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TRAKS MAGAZINE 038

Grafica nuova per il nuovo numero di TRAKS MAGAZINE: in copertina Annaré e all'interno interviste con Alessandro Gomma Antolini, NDM, Linea, Fiori di Cadillac, D.IN.GE.CC.O, Bioscrape, Boavista e molti altri. Leggilo subito!

Grafica nuova per il nuovo numero di TRAKS MAGAZINE: in copertina Annaré e all'interno interviste con Alessandro Gomma Antolini, NDM, Linea, Fiori di Cadillac, D.IN.GE.CC.O, Bioscrape, Boavista e molti altri. Leggilo subito!

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traks magazine

Numero 38 - novembre 2020

ANNARE’

AGA

NDM

FIORI DI CADILLAC

LINEA

BOAVISTA


sommario

4 Annaré

8 AGA

12 NDM

16 Linea

20 Fiori di Cadillac

24 D.IN.GE.CC.O

28 Bioscrape

32 Boavista

36 Gregorio Mucci

40 Pierpaolo Lauriola

42 Eduardo De Felice

46 Marco Santoro

50 AAAA

TRAKS MAGAZINE

www.musictraks.com

info@musictraks.com



ANNARE’

Una sognatrice con qualche problema con il glutine: “Gluten Free” è il nuovo

singolo e video della cantautrice, in attesa dell’album “Mezzanotte”

e allo stesso tempo e allo stesso

modo, estremamente asociale.

Due lati di me che si possono riscontrare

anche quando salgo sul

palco.

“Gluten free” è il tuo nuovo singolo

e video: da quali ispirazioni

(immagino non solo alimentari)

nasce?

Nasce dal voler ironizzare su una

cosa che in realtà non mi faceva

ridere per niente: le mie intolleranze/allergie

alimentari. Erano

i primi incontri con una persona

e mi ricordo di aver pensato, sul

divano nel salotto di casa, con la

chitarra in mano: “Cavolo! Ma se

ci devo uscire a cena che mi invento?!”

e di lì è nato il ritornello

“E vuoi uscire con me? Ma senza

glutine, senza lattosio, magari evicover

story

Partiamo dalle presentazioni: ci

racconti chi è Annarè?

Annarè è una sognatrice, una persona

all’apparenza molto estroversa

ma che in realtà è molto riservata

e timida.. Mi piace scherzare,

molto, mi piace condividere con

le persone momenti di sorrisi e

risate, ma per la maggior parte

del tempo, mi chiudo in me stessa,

nel mio piccolo mondo fatto di

note, sfumature, emozioni, spesso

prorompenti tanto da farmi perdere

la cognizione del tempo e del

luogo e, spesso purtroppo, anche

delle persone. Questo mi porta

a scrivere e suonare tantissimo,

ecco perché ho decine e decine di

canzoni, messe da parte, magari

registrate magari solo canticchiate.

Sono estremamente socievole



tiamo anche il peperoncino..”

Le mie canzoni nascono sempre

in relazione a qualche evento,

spunto, episodio personale che realmente

vivo.

Raccontaci qualcosa del tuo nuovo

disco, “Mezzanotte”

“Mezzanotte” sarà un disco molto

“elettrico”.. Mi spiego meglio..è un

album che presenta 12 tracce che

sono anche notevolmente diverse

tra loro sia per contenuti, sia per

espressione, sia per musica. In realtà,

come ho detto prima, tutte le

canzoni che scrivo, raccontano di

me. Questo album più di tutti mi

racconta a 360°; racconta la mia

parte, appunto, socievole, simpatica,

leggera anche.. Ma racconta

pure l’altra faccia di me, quella

scura, quella malinconica, quella

silenziosa e riflessiva. Se il primo

album “Prometto” era quasi un

mio urlo, uno sfogo personale a

volte anche direttamente sfacciato

nei confronti delle persone che in

un modo o nell’altro mi avevano

ferito, cambiato, scheggiato, “Mezzanotte”

è un mio ritratto, messo

lì, a mostrare a tutti chi è realmente

Annarè.

Hai partecipato a numerosi concorsi

canori. Qual è la lezione

migliore che hai imparato calcando

quei palchi?

La cosa più importante che ho

imparato è a godere della musica.

Molto spesso, soprattutto all’inizio,

ne abbiamo paura, il palco

quasi ci terrorizza..vuoi per il giudizio

di chi ascolta, vuoi per timidezza,

vuoi per paura di metterti a

nudo..Tutte le esperienze fatte mi

hanno portato invece a vivermela

come un vortice, come un salto

verso tutte le mie emozioni, sensazioni,

idee. E’ come mettermi

davanti allo specchio e parlare con

me stessa. All’inizio era una cosa

assolutamente autodistruttiva, ora

invece cavolo, mi piace un sacco!

Mi guardo e addirittura mi sorrido!

Ed è paradossalmente assurdo

quanto ora, molto più di prima,

la gente mi capisca e riesca ad apprezzare

ciò che faccio ma soprattutto

ciò che sono.. Proprio ora

che l’essere accettata socialmente,

mi interessa poco. Sono riuscita

a creare, in tutti questi anni, un

pubblico ristretto, un pubblico che

però si ferma ad ascoltare parola

per parola e che trova spunto molto

spesso dalle mie canzoni. Ecco,

devo dire che il senso, il vero motivo

per cui condivido la mia musica

con la gente, è per dare voce

alle persone che hanno magari

avuto un percorso simile al mio,

ma che proprio come me, molto

spesso non riescono a parlare, ad

esprimere ciò che provano. Vorrei

donare un po’ di forza a tutte queste

persone e fargli capire che non

sono sbagliate, che andiamo bene

così.

Che piani hai ora, in questi tempi

di incertezza per tutti?

I tempi purtroppo ci portano a

star lontani appunto dal nostro

pubblico, ci portano a condividere

tramite schermi, video, telefonate.

A marzo mi sono buttata a capofitto

sulla scrittura e la composizione.

Ora sto ultimando il disco e

sto progettando una serie di eventi

ONLINE per poter continuare

a condividere, ad emozionarmi e

a stare vicino a quelle bellissime

persone che mi seguono sempre.

Non ci si ferma mai.. Per fortuna

il nostro non è solo un lavoro, è

una vocazione, un moto continuo

che si sviluppa in ogni forma

e momento. Non si sta mai fermi

e non ci si può sottrarre da tutto

questo. Quindi il mio piano è sicuramente

quello di ultimare il

disco, preparare al meglio i live

che torneranno ad esserci e poi

condividere qualsiasi cosa con il

mio pubblico.

6

7



AGA

“Dream On” è il nuovo lavoro di Alessandro “Gomma” Antolini, che per la

prima volta utilizza la lingua italiana per le proprie visioni

l’intervista

Prima domanda ovvia: perché il

passaggio all’italiano, e perché

ora?

R[Evolution] è stato un disco che

ho concepito con la parola al

servizio del suono in Dream On

sentivo la necessità di una scrittura

più estesa. Anche se ascolto e

compongo brani con riferimenti

più vicini al linguaggio musicale

internazionale e/o d’oltremanica

quando parliamo di testi penso

che la lingua italiana sia più ricca

di sfumature e Dream On aveva

bisogno di queste.

Come va interpretato questo tuo

invito al sogno? Quanto c’è di

fuga da una realtà molto precaria

come quella odierna?

il sogno va interpretato come un

linguaggio notturno che pone il

suo messaggio con simboli, parole

alle volte sconnesse ma con senso

compiuto, a una azione mentale

e non fisica. Tutto questo per dire

che non c’è alcuna fuga, semmai

il desiderio che arrivi quello per

cui si è sognato. Penso che la vita

odierna come quella in passato

possa riservare dei momenti difficili

l’ unica differenza è che questa

difficoltà oggi è di tutti indistinta-



mente.

Seppure in modo piuttosto “alternativo”,

definisci questo disco

come una sorta di concept. Qual

è la storia che volevi raccontare?

Se mi scrivi questo vuol dire che

non hai capito la storia che sta

dietro a Dream On, o sbaglio?

Nessun problema, la mia volontà

era quella di creare una storia che

permettesse chiunque ascoltasse il

disco di esser protagonista senza

alcuna verità da dire o da condividere.

La tua domanda mi ha fatto

capire che il mio intento è riuscito.

Tu produttore ti sei avvalso di

ben tre produttori per il disco,

tra l’altro anche di notevole

fama. Ci spieghi perché e che

cosa hanno regalato al disco?

Quando associo a me uso il termine

“Produttore” lo intendo per

il solo prodotto di cui sono anche

l’autore cioè AGA. Produrre musica

per me è stato un lavoro a tutto

tondo come si dice “dalla semina

al raccolto”. Naturalmente mi

sono avvalso di studi e produttori

con cui collaboro e con cui sono

entrato in empatia già da diversi

anni grazie al potenziale che ha il

loro studio di registrazione. Colgo

l’occasione anche per sottolineare

che la scelta è stata di più studi di

registrazione perché essendo AGA

un progetto solista volevo avere

con me la persona più giusta per il

brano preso in questione. Peraltro,

ringraziandoli tutti, ho cercato e

cercherò sempre di unire le forze

del territorio romagnolo e oltre

che ormai conosco molto bene.

Quali saranno i tuoi prossimi

progetti?

Ci sono in atto già alcune collaborazioni

che concluderanno il lavoro

di Dream On per poi arrivare

al nuovo lavoro che suppongo vedrà

luce nel 2021. Sarà un lavoro

inedito nella sua forma meno nei

contenuti e si avvarrà di collaborazioni

a distanza e non. Nelle

prossime uscite sui social vi terrò

aggiornati. Concludo, in ultimo

ma non per importanza, dicendo

che quando ritornerà (spero al

più presto) la possibilità di esibirsi

avrò già pronto un live-set con il

mio fedele Visual Art e compagno

di avventure Gianni Giovanni

Margotto.

10 11



NDM

Raccontateci chi sono gli

NDM

Gli NDM sono un’alternative

rock band composta da personalità

artistiche con attitudini

e gusti diversi. Ci piace

cercare di far confluire le nostre

idee verso una concezione

del rock possibilmente al

di fuori delle categorie e delle

sfumature di genere, all’interl’intervista

“Non so se avete presente” è l’ultmo disco della band, ricco di rock, di spigoli

e di canzoni taglienti



no delle quali molti artisti si trovano

incasellati, intrappolati. Vogliamo

proporre un rock libero da

sovrastrutture, definizioni e categorizzazioni,

per noi paradossi di

quella che dovrebbe essere la vera

essenza del rock.

Un ep molto robusto e ruvido,

un sound che sembra arrivare

da decenni perduti: come avete

messo insieme Non so se avete

presente?

Il suono arriva dal passato, ma

cerchiamo di decontestualizzarlo

e inglobarlo in un’attitudine più

moderna. Non so se avete presente

rappresenta le nostre idee successive

al primo album… uno step

evolutivo necessario, secondo gradino

di quella che speriamo sia

una lunga scalinata.

Posto che si sentono molto i ’70

e i ’90 nel vostro stile, ci raccontate

qualcosa del vostro metodo

di scrittura delle canzoni, anche

per capire se è vintage anche

quello?

Nel rock è facile rievocare in chi

ascolta riferimenti ad epoche o

sonorità. Ci piace prenderli e de-

contestualizzarli in atteggiamenti

compositivi più moderni. Il nostro

modo di scrivere avviene in

maniera abbastanza naturale: si

parte sempre dalla parte strumentale,

da improvvisazioni… dopo

di che si estrapola il buono e ci si

continua a lavorare al dettaglio. Il

testo è uno step successivo, quasi

come fosse una reazione istintiva

a quello che lo strumentale ci sta

trasmettendo. Non crediamo esistano

modi di scrivere “vintage” o

“moderni” se si tratta di attitudini

spontanee. Cerchiamo da sempre

la versatilità: abbozzare delle idee

insieme o su un pc è soltanto un

piccolo passo verso il sentire un

pezzo chiuso. Il grosso lo fa il sudore

e le ore di prove in saletta.

Posto che quello che pensate

dell’indie pop e dell’itpop è abbastanza

chiaro, che cosa vi piace

della musica italiana oggi?

Ci piace chi non ha paura di esprimersi,

chi non si lega a un filone

musicale o artistico solo perché in

quel momento risulta essere quello

“vincente” all’interno del mercato

discografico. Ci piace chi, con

la consapevolezza tipica del vero

artista, racconta sé stesso senza

forzarsi in ruoli o attitudini che

non gli appartengono. Ci piacciono

le novità e le contaminazioni

di genere, ci piacciono i cantautori

che non parlano nei loro testi

delle loro liste della spesa. Proprio

in virtù di questo discorso, e non

facendo di tutta l’erba un fascio,

è chiaro che ci sia capitato di trovare

anche degli esempi di artisti

virtuosi all’interno della scena, per

esempio, indie.

Come molte rock band immagino

che patiate particolarmente la

situazione dei live. Come rimediate

e come vi state tenendo in

allenamento?

I live sono la cosa che ci manca di

più in assoluto. La sentiamo come

la nostra dimensione per eccellenza

e quel particolare scambio di

energie rimane unico e incolmabile.

In questo periodo però stiamo

facendo confluire tutte le nostre

energie su quello che succede

“dietro” il palco: sulla scrittura di

nuovi pezzi, su nuovi ascolti…

Di certo ci faremo trovare pronti

quando ci sarà la possibilità di riabbracciarci

tutti, sottopalco.

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LINEA

Una band storica che torna per festeggiare un anniversario importante,

ma anche per offrire una nuova veste a brani storici

Perché un ritorno dei Linea ora?

Gimmy: Un ritorno ora perché

nel 2019 sono stati 30 anni dalla

fondazione della band, quindi per

questo traguardo importante avevamo

deciso di farci (e fare a tutti)

un regalo all’altezza. E cosa di

meglio per una band di un disco??

Abbiamo così iniziato a lavorare a

questo progetto, che tra lockdown

e tempi di lavorazione, è andato

più in lungo...però ci siamo riusciti

e ne siamo orgogliosi! Federico:

nel 2019 abbiamo “salutato” i 30

non siamo stati molto attivi come

Linea però tieni presente che dal

2014 al 2019 abbiamo fatto da

backing band al nostro amico

cantautore Filippo Andreani e con

lui abbiamo prodotto due dischi

(La prima volta e Il secondo tempo).

Non siamo mai stati una band

molto prolifica discograficamente

parlando ma non ci siamo mai

sciolti. A livello globale non si può

certo dire che il 2020 sia un anno

nato sotto a una buona stella, ci è

voluto del coraggio per uscire con

un disco nuovo nel bel mezzo di

una pandemia però questo è ciò

che ci sentivamo di fare e non abbiamo

preso in considerazione il

fatto che potesse essere un limite.

Per noi la musica ha una forte

funzione consolatoria, nei momenti

peggiori è di gran sostegno

morale, spegnerla significherebbe

soccombere.

Come siete arrivati alla formazione

attuale?

Gimmy: in 30 anni sono cambiati

diversi elementi nella band,

chi per scazzi, chi per diversità di

vedute, chi per problemi di saluanni

di attività per cui ci girava

in testa questa idea di festeggiare

questa ricorrenza, che per noi

significa un gran bel traguardo,

facendo un disco nuovo ma che

ripercorresse un po’ tutta la nostra

storia. È vero che negli ultimi anni



te e anche per eventi più tragici,

insomma, a parte qualcuna, tutte

le cose che succedono in quasi

tutte le band che si rispettino!

Ora siamo in quattro e la formazione

è stabile. Io sono il più

vecchio e sono nella band dalla

fondazione nel 1989. Con Silvio

(bassista), suoniamo insieme da

ormai vent’anni. Con Fede (altro

chitarrista) da quindici anni. Max

invece (batterista) è con noi da

poco prima di questo disco, ma lo

conosciamo da trent’anni. Infatti

era venuto a fare un provino con

noi nel 1990, quando cercavamo

un nuovo batterista. Lui suonava

in una band di San Giuliano con

Silvio e venne a provare con noi,

ma alla fine decise di non unirsi ai

Linea, perché non si sentiva pronto.

Dopo 30 anni eccolo qui... Federico:

la nostra storia è comune

a quella di molte band, durante il

tragitto può essere che qualcuno

“scenda dal treno in corsa” per i

più svariati motivi. Io,Gimmy e

Silvio suoniamo insieme dal 2005,

loro due addirittura dal 2000... se

non ci siamo ancora presi a cazzotti

vuol dire che questa line-up

funziona, ahah. A parte gli scherzi

la vera novità, oltre a Max che da

qualche anno ha sostituito Fulvio

alla batteria, è che non abbiamo

più il cantante come figura centrale:

abbiamo deciso di dividerci

il compito io e Gimmy assestandoci

così in questa formazione a

quattro. Purtroppo a volte le vicissitudini

della vita quotidiana

non hanno consentito ad alcuni

nostri ex-compagni di continuare

a fare parte della band. In alcuni

casi, invece, qualcuno se n’è andato

per divergenza di vedute ma

mai nessuno è stato messo alla

porta. A dire il vero, pensando ai

live di presentazione che ahimè

per il momento non possiamo

fare, abbiamo deciso un nuovo

inserimento in organico, per la

prima volta sarà presente un tastierista.

Fuori mercato è dedicato

a noi stessi ma anche a tutti quelli

che hanno fatto parte della nostra

famiglia musicale o che con

uno strumento o un microfono in

mano hanno contribuito alla continuità

dei Linea.

Invece di partire dagli inediti,

avete rinnovato alcuni brani del

vostro repertorio. Perché?

Gimmy: Avevamo in mente di

fare questo disco per i 30 anni, andando

a riprendere vecchi brani

lungo tutta la nostra storia. Abbiamo

lasciato fuori quei pezzi,

che nel corso del tempo, erano

diventati i nostri classici suonati

anche live. Siamo andati a cercare

quei pezzi che per noi non

avevano avuto la luce che si meritavano,

magari per un arrangiamento

non all’altezza, o per altri

motivi. In questo caso abbiamo

scelto dei brani che per noi erano

belli...una bellezza intrinseca,

negli accordi, nell’armonia o nella

melodia, nel testo, e abbiamo cercato

di tirare fuori questa bellezza

con un nuovo vestito, un nuovo

arrangiamento. Senza badare al

genere o alla strada che prendeva,

dandogli un suono più moderno,

una nuova luce. Credo e spero di

esserci riusciti. Per questo voglio

ricordare lo studio dove lo abbiamo

registrato, L’Edac studio Di

Fino Mornasco con Davide Lasala

e Andrea Fognini; e anche il

buon Kappa con la sua Ammonia

Records. Federico: questa cosa

è nata dalla volontà di rivalutare

alcune canzoni che nel corso

degli anni son rimaste un po’ in

ombra e che magari non abbiamo

nemmeno mai suonato dal vivo.

In alcuni casi si tratta di canzoni

inedite in quanto non sono mai

“entrate” nei nostri dischi. Comunque

si tratta di canzoni di cui

non eravamo soddisfatti quanto

ad arrangiamento e registrazione.

Aggiungi il fatto che ci sembrava

bello festeggiare i trent’anni ripercorrendo

alcune tappe del nostro

cammino aggiungendo un brano

nuovo di zecca che è un po’ la “ciliegina”

sulla torta.

A quando un disco di inediti?

Gimmy: Be’ per ora stiamo promuovendo

al meglio questo Fuori

mercato che ci sta dando molte

soddisfazioni anche per gli ottimi

ritorni. In futuro chissà....dopo

questa bella esperienza, soprattutto

per il modo in cui abbiamo

lavorato, tranquilli e divertendoci,

si può ripartire da questi nuovi

suoni e pensare a dei pezzi nuovi

da mettere in un nuovo disco...

Sempre se questa maledetta pandemia

ci darà una tregua!

18 19



FIORI DI

passare giornate intere in videochiamata

e a chiederci cosa stesse

realmente succedendo nel mondo,

ed è cosi che abbiamo buttato

giù le idee per questo nuovo singolo.

Abbiamo utilizzato l’elettronica,

i synth, le drum machine e

tutto ciò che avevamo in casa per

raggiungere un sound che espril’intervista

CADILLAC

“Ma che succede fuori” è il nuovo singolo del trio salernitano, “figlio”

della quarantena e della voglia di libertà

Ma che succede fuori è il vostro

nuovo singolo e non è contenuto

nel vostro ultimo disco. Mi raccontate

come nasce?

Ma che succede fuori è il primo

singolo che esce dopo Fuori

dalla Storia, album che abbiamo

pubblicato il 20 marzo, in pieno

lockdown. Ci siamo ritrovati a



messe ansia, inquietudine contrapposte

a un’enorme voglia di

vivere.

Il singolo è in qualche modo “figlio”

della prima quarantena. E’

quasi ora di scriverne un altro?

Ci sono tante cose in cantiere,

nell’ultimo periodo stiamo lavorando

duramente su vari progetti.

Un altro singolo, chissà… Un’altra

quarantena? forse …

Mi raccontate qualcosa del video?

Per il video abbiamo immaginato

una storia basata su due protagonisti:

Luigi e Benedetta. Due

ragazzi che si fanno un giro per

conoscersi meglio, e che insieme

trovano il coraggio per scendere

in strada e mettere

in atto la propria

rivoluzione. A luglio

abbiamo fatto

tutte le riprese in

una Salerno desolata,

strana, ma

con una sorta di

elettricità nell’aria.

Ogni scena è stata

possibile soltanto

grazie a un grande

lavoro di squadra, grazie a molti

amici che hanno partecipato attivamente

alla realizzazione del

video. Durante le riprese ci siamo

accorti che i personaggi della storia,

rispecchiavano appieno ciò

che ognuno di noi sentiva dentro

di sé. Ci siamo accorti che forse,

in fondo, non stavamo nemmeno

recitando.

Tre nomi che vi piacciono particolarmente

della musica italiana

di oggi

Venerus, Ghemon, Post Nebbia.

Quali sono i vostri prossimi piani?

Il nostro piano è continuare a sperare

che tutto questo macello finisca

e ricominciare a suonare live.

23



D.IN.GE.CC.O

“Linear Burns” ovvero ustioni lineari:

musica elettronica sì, ma trasfigurata,

contaminata, rivisitata

Partiamo da te: ci racconti chi

sei e come nasce il tuo progetto?

Chi sono? La prima cosa che mi è

venuta in mente, per rispondere a

questa domanda è la risposta data

da Rodolfo nella Boheme di Puccini,

in “Che Gelida Manina”…

hai presente? > Chi son? Sono un

poeta. Che cosa faccio? Scrivo.

E come vivo? Vivo.> A parte le

battute, credo che nella sostanza

la mia risposta possa avvicinarsi

molto a quella di Rodolfo perché

sono convinto che ogni approccio

con la propria parte creativa,

debba nascere dalla poesia e, in

generale, da una visione poetica

dell’esistenza. Il mio approccio alla

creatività, è nato con la musica ma

il primo passo verso il giudizio, da

parte del mondo esterno, sul mio

operato, l’ho fatto con la poesia.

Pubblicai una raccolta di poesie

quando avevo 22 anni dal titolo

Domani Niente Sarà più Lo Stesso.

Scrivere per me è sempre stato un

atto liberatorio, una vera passione

che insieme a quella per la musica,

mi ha sempre accompagnato.

Ma la passione per la musica fu

più precoce. Componevo sonate

al pianoforte ancora prima di

riuscire a leggere la musica. Le

incidevo in delle audio cassette

che dovrei ancora avere da qualche

parte, a casa dei miei genitori.

Dall’altra parte, le mie composizioni

musicali, me le sono sempre

tenute strette, gelosamente, come

un diario segreto che non volevo

fare leggere a nessuno. Sì, è vero,

da ragazzino suonavo il pianoforte

per gli amici e i parenti e perlopiù

cose composte da me, ma l’idea di

fare conoscere “al mondo” la mia

musica, è venuta molto più tardi.

L’ho fatto quando mi sono sentito

pronto o semplicemente ne ho

sentito l’esigenza. Posso quindi

affermare che questa cosiddetta

“ossessione di comunicare” è comunque

stata sempre presente

nella mia vita. Linear Burns è nato

da questo stesso impulso: comunicare

la mia visione delle cose,

oggi, nel 2020, e credo che ogni

artista o creativo, debba rispondere

ad una sola domanda, prima di

rendere pubblica una sua opera:

cosa ho da dire? Se ti convincerai

che si, effettivamente, hai qualcosa

da dire, allora desidererai avere un

tuo pubblico, lo cercherai, perché

nascerà forte dentro di te l’esigenza

di far conoscere la tua visione

agli altri. Questa vibrazione che

sentirai, diventerà come un imperativo

categorico, tant’è che, difficilmente,

ti chiederai, poi, perché

lo stai facendo.

Vorrei sapere quali sono le ispi-

razioni di Linear Burns

Posso dire che avevo altri progetti

prima che prendesse corpo Linear

Burns. Dalla pubblicazione del

primo lp nel 2013, alla pubblicazione

del secondo, nel 2019, ho

fatto passare 6 anni. Questa volta

ho impiegato molto meno per

pubblicare il terzo lp. Ma semplicemente

perché avevo qualcosa

da dire di diverso rispetto a quello

che avevo detto precedentemente.

Chi ha un’indole introversa come

la mia, è sempre alla ricerca di

un’evoluzione interiore che a volte

matura in tempi lunghi, altre

volte, invece, si manifesta in tempi

più brevi. Dipende da quello

che ti circonda, dalle esperienze

che fai, sia di vita vissuta che nella

vita interiore. Nella composizione

di Linear Burns sono stato molto

influenzato da ciò che mi accadeva

intorno, a me come persona e

in generale ai tempi che stiamo

vivendo. Ci sono brani che sono

decisamente più intimisti ed altri

nati da una voglia di rappresentare

la mia visione di quello

che ci sta accadendo come genere

umano. La rappresentazione

24

25



di una società che sempre più si

affida alla velocità, che sta collassando

nella sua smania di consumare

tutto; il richiamo di suoni

del mondo e di tradizioni lontane

che sembrano perdute nel tempo,

tutto questo si può tradurre in

suoni? In una canzone? Io credo

di si. E la musica elettronica, per

come l’ho sempre concepita, è in

grado di farlo se riesce a uscire

allo scoperto, libera da gabbie stilistiche

o concettuali, senza compromessi,

facendosi violentare e

plasmare a piacimento. Ed è così

che attraverso la ricerca di suoni e

ritmi, ho fatto i conti con una rappresentazione

musicale che vuole

essere, prima di tutto, evocativa,

evocativa di miei ricordi, musicali

e non, anche d’infanzia, ma anche

d’impressioni legate a quello che

potrebbe avvenire… lampi di futuro

che ho visto, qualche volta,

colpire la mia fantasia durante i

miei viaggi. Viaggi reali ma anche

immaginari, che ho intrapreso

leggendo un libro o vedendo un

film o magari giocando a un video

game. Come in Nuovo Cinema Paradiso,

l’avvento della tecnologia

ha dato vita a nuove generazioni

di sognatori.

Ad accompagnare il disco ci

sono alcune tue immagini, un

po’ post atomiche un po’ da medico

con il becco dell’epoca della

peste. E’ questa la visione che hai

del mondo in questo momento?

Esatto, post atomiche e cyberpunk

direi. E’ un gioco quello delle maschere

ma rappresenta un po’ un

immaginario onnipresente nella

nostra epoca, immaginario che,

tra l’altro, calza perfettamente con

i giorni che stiamo vivendo, non

credi? La mia generazione è cre-

sciuta sotto lo spettro imminente

di inevitabili catastrofi. Da bambino

mi ricordo benissimo quando

mia madre fece sparire il latte da

casa. Come facevo a fare colazione

senza il latte? Io adoravo il latte,

corretto con quintali di Nesquik

o Ovomaltina… ma c’era stato il

disastro di Chernobyl e quindi,

niente più latte a colazione, per

mesi.Tra orrori reali e orrori immaginari,

sono decenni che viviamo

sotto una cappa inesorabile

catastrofica che ha segnato i nostri

anni più belli. Tutto questo credo

che ci abbia insegnato a convivere

con il senso ineluttabile della fine

del genere umano. L’uomo nero,

Babadook, è divenuto quasi un

compagno di merende. Esorcizzare

la fine, una fine collettiva, ricordandoci

che potrebbe aspettarci

un futuro come quello di Mad

Max o Terminator o magari peggio,

è un po’ come dire: ecco non

ho paura, sono pronto. Così come,

in questo tempo di pandemìa, la

mascherina sanitaria ci protegge

da un nemico invisibile, così la

maschera Cyberpunk simboleggia

quasi una corazza moderna da indossare

per prepararsi a un’imminente

grande battaglia, qualunque

essa sia. In fondo questo non è un

atto di resistenza che presuppone

una bella dose di ottimismo verso

il futuro?

Come nasce il singolo Foreign

doors?

Foreign Doors è nato con l’idea di

fare un pezzo che rievocasse le atmosfere

di quelle serie televisive

anni ‘70-’80, a sfondo poliziesco

o noir, condite di ironia e atmosfere

un po’ malinconiche, che

poi sono state ispiratrici di tutta

la new wave degli anni ‘80. Ho rivisitato

il tutto in chiave moderna

costruendo una struttura molto

lineare, anche a livello compositivo,

incastonata su una linea ritmica

quasi in controtempo ma

incalzante e potente. Così ho fatto

mie le movenze e i ghigni del

giovane cameriere in livrea e l’eleganza

dell’anziana nobile signora

che, da soli, creano un contrasto

eccezionale. E così ne è uscito un

video tra il noir, il giallo e l’horror,

condito da ironia dark, che credo

sia riuscito nell’intento di fare da

cornice ideale per il brano.

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BIOSCRAPE

La vostra band ha una storia

piuttosto lunga e articolata. Ma

ci raccontate chi sono i Bioscrape

oggi?

Sì il prossimo anno speriamo di

riuscire a festeggia i nostri primi

quindici anni. I Bioscrape ril’intervista

“Havoc” è il nuovo ep di “quattro amici musicisti”, accomunati dalla determinazione,

dal rock e dalla mancanza dei live



mangono quattro amici musicisti

accomunati da una fortissima

determinazione, da un’amicizia

profonda e dal desiderio incessante

di raggiungere insieme traguardi

sempre più importanti.

Quali sono le premesse del vostro

nuovo ep Havoc?

Gli organi specializzati e gli addetti

ai lavori finora hanno accolto

molto bene l’ep con ottime

recensioni sia italiane che straniere.

Purtroppo siamo solo riusciti

a fare uno spettacolo a febbraio

di presentazione e poi c’è stato il

blocco totale,abbiamo lavorato e

continuiamo

a lavorare

molto

con la promozione

facendo

più apparizioni

radio

possibili

in attesa di

poter nuovamente

salire sul

palco.

Com’è la

scena piemontese

dal punto

di vista

del rock?

Il metal

in Piemonte

è

abbastanza attivo e presente con

diversi festival estivi di alto livello

e alcuni ottimi locali che danno

fortunatamente anche spazio alle

band originali. La nostra speranza

è che ci siano sempre più opportunità

di suonare dal vivo per chi

propone musica propria.

Situazione live: come state vivendo

questi tempi difficili?

Lo spettacolo live è ,da sempre ,la

nostra massima espressione dove

riusciamo a trasmettere al meglio

la nostra impronta sonora e

la mancanza del palco in questo

periodo è davvero una sofferenza

enorme. Attualmente ci stiamo

dedicando a tempo pieno alla

composizione di nuovo materiale

per avere molti brani su cui lavorare

per il prossimo lavoro in studio.

Come farete passare il tempo da

qui all’uscita del vostro nuovo

disco, previsto per il 2022?

Sicuramente continueremo a scrivere

e arrangiare il nuovo materiale

e comunque prima di registrare

il nuovo album vogliamo

fare un periodo di promozione dal

vivo di Havoc che è ancora forzatamente

nuovo come lavoro.

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BOAVISTA

l’intervista

“Lì dove ci sono le stelle” è il nuovo album del quintetto nato a Bologna e

cresciuto a pane e rock

Chi sono i Boavista?

Siamo semplicemente cinque ragazzi

che sognano di continuo,

cercando di tramutare i sogni in

musica. Siamo una band che nasce

da incontri casuali a Bologna

e scatta subito quella scintilla che

ci permette di scrivere, suonare e

stare insieme divertendoci. Non

a caso abbiamo proprio deciso di



chiamarci Boavista (che indica

“Visti a Bologna”).

Con quali ispirazioni (e aspirazioni)

siete arrivati a questo disco

di debutto?

Mmmm... in realtà abbiamo cominciato

a scrivere non pensando

di tirare fuori l’album, però più lo

facevamo e più vedevamo che già

prendeva forma in modo naturale.

Ovviamente ci sono tante influenze

nei nostri brani che sono frutto

dei nostri singoli ascolti. Cerchiamo

di valorizzare le nostre singole

caratteristiche che hanno sicuramente

fondamento nel rock, ma

allo stesso tempo si respira aria

di cantautorato miscelandolo a

suoni elettronici come synth e le

chitarre più rockeggianti. Ci piace

ascoltare il britrock, il rock americano,

l’elettronica ma abbiamo

anche tanti riferimenti dello scenario

italiano come i Negramaro,

Subsonica, Elisa, Gazzè, Vasco ecc

ecc...

Come nasce Ruggine e perché l’avete

scelta per il video?

Ruggine è nata durante una notte

in studio da me (Luigi). Eravamo

io e Simone (cantante), e ho fatto

ascoltare delle registrazioni che

avevo già fatto in pre produzione.

Simone si è fermato immediatamente,

mi chiede di rimandare in

ascolto il brano e a un certo punto

comincia a scrivere su un foglio

di carta che avevo lì sulla scrivania.

Davvero, si è fermato il tempo

e quando ci siamo resi conto che

siamo stati lì senza fiatare per 4

ore aveva preso forma Ruggine.

Questo è quello che definisco magia.

Avevamo bisogno di dare un

volto a questo brano e abbiamo

deciso di girare un video incentrandolo

sulla storia di una ballerina

che nonostante le avversità

non ha mai mollato. E’ il messaggio

che vogliamo trasmettere.

Tre nomi che vi piacciono particolarmente

del rock italiano di

oggi

Tre sono pochi, ma come già spoilerato

nella domanda precedente,

sicuramente Negramaro, Subsonica,

Elisa.

Quali sono i vostri progetti futuri?

Non appena finisce questo brutto

periodo, sicuramente portare

live il nostro album. Abbiamo necessità

di raccontarlo alla gente e

sentire il loro calore. Ora si cerca

di promuoverlo a più non posso

tramite tanti canali di riferimento

e grazie al nostro ufficio stampa

L’Altoparlante che ci segue di continuo.

Nel frattempo si continua a

lavorare in studio confrontandoci

con il nostro produttore Filippo

Manni e diamo sfogo a questo

continuo flusso di nuove idee che

non possiamo fermare. La musica

deve andare avanti.

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GREGORIO MUCCI

> 1) Ci racconti chi sei?

> Sono una persona profondamente innamorata dell’arte, della bellezza.

> Per anni ho rifiutato l’etichetta di artista. Adesso ha un suono dolcissimo e delicato.

> Credo che la vita sia semplice: una volta capito quello che ami, basta seguirlo.

>

> 2) Come sei arrivato alla scelta dei cinque pezzi dell’ep? E’ la

> fotografia del momento oppure le accumulavi da un po’?

l’intervista

> La fotografia del momento non direi. Possono esserci dei richiami ma non sono voluti perchè il lavoro è antecedente a questa situazione che

stiamo vivendo.

> Il fatto che ci siano echi di cio’ che stiamo attraversando mi fa molto piacere: ci abbiamo visto lungo (ahah).

> La scelta è arrivata seguendo una semplice regola: dare un’immagine di me che fosse fedele alla musica che sto scrivendo.

> E quindi puoi sentire il Jaguaro e poi passare a Non è un Problema. Puoi sentire Meglio Morire e poi trovarti in un’atmosfera come quella di E

aspetto te.

> La musica, come tutta l’arte, ha bisogno di confini. Compito dell’artista è quello di trovare quelli giusti.

>

> 3) Come nasce “Il jaguaro” e perché l’hai scelta come singolo?

> Il Jaguaro è una descrizione piuttosto romanzata di un amico. Ha attraversato un momento complicato e si è trovato tanta gente che, invece di

comprendere e fare uno sforzo di empatia, ha preferito la via piu’ semplice: giudicare e puntare il dito. L’ho scelta perchè è una canzone a cui sono

molto legato e perchè eravamo convinti che fosse un gran bel pezzo.

>

> 4) Chi sono i tuoi punti di riferimento musicali?

> Attingo molto dal passato, sia in ambito internazionale che nazionale. Rolling Stones, Beatles, Dylan, Prince, M. Jackson, Bowie; Battisti, Dalla,

Rossi, Rossini, Battiato e Rino Gaetano.

>

> 5) La promozione live al momento sembra impossibile. Quali saranno i

> tuoi prossimi passi?

> Lavorare con quello che è possibile maneggiare. I social (internet in generale) al momento sembra l’unica via per poter arrivare a un certo numero

di persone. Abbiamo già diverse idee in mente, ci stiamo lavorando e sono molto fiducioso.

“Lì dove ci sono le stelle” è il nuovo album del quintetto nato a Bologna e

cresciuto a pane e rock

Ci racconti chi sei?

Sono una persona profondamente

innamorata dell’arte, della bellezza.

Per anni ho rifiutato l’etichetta

di artista. Adesso ha un suono

dolcissimo e delicato. Credo che la



vita sia semplice: una volta capito

quello che ami, basta seguirlo.

Come sei arrivato alla scelta dei

cinque pezzi dell’ep? E’ la fotografia

del momento oppure le accumulavi

da un po’?

La fotografia del momento non

direi. Possono esserci dei richiami

ma non sono voluti perché il lavoro

è antecedente a questa situazione

che stiamo vivendo. Il fatto

che ci siano echi di ciò che stiamo

attraversando mi fa molto piacere:

ci abbiamo visto lungo (ahah).

La scelta è arrivata seguendo una

semplice regola: dare un’immagine

di me che fosse fedele

alla musica che sto scrivendo.E

quindi puoi sentire

il Jaguaro e poi passare

a Non è un Problema. Puoi

sentire Meglio Morire e poi

trovarti in un’atmosfera

come quella di E aspetto te.

La musica, come tutta l’arte,

ha bisogno di confini.

Compito dell’artista è quello

di trovare quelli giusti.

Come nasce Il Jaguaro e

perché l’hai scelta come

singolo?

Il Jaguaro è una descrizione

piuttosto romanzata di un amico.

Ha attraversato un momento

complicato e si è trovato tanta

gente che, invece di comprendere

e fare uno sforzo di empatia, ha

preferito la via più semplice: giudicare

e puntare il dito. L’ho scelta

perchè è una canzone a cui sono

molto legato e perché eravamo

convinti che fosse un bel pezzo.

Chi sono i tuoi punti di riferimento

musicali?

Attingo molto dal passato, sia

in ambito internazionale sia nazionale.

Rolling Stones, Beatles,

Dylan, Prince, M. Jackson, Bowie;

Battisti, Dalla, Rossi, Rossini, Battiato

e Rino Gaetano.

La promozione live al momento

sembra impossibile. Quali saranno

i tuoi prossimi passi?

Lavorare con quello che è possibile

maneggiare. I social (internet

in generale) al momento sembra

l’unica via per poter arrivare a un

certo numero di persone. Abbiamo

già diverse idee in mente, ci

stiamo lavorando e sono molto

fiducioso.

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PIERPAOLO

LAURIOLA

“CANZONI

SCRITTE SUI

MURI”

Terzo album per il cantautore: sette

canzoni che raccontano bene i tempi

che stiamo vivendo (anche se sono

state scritte prima)

Ci sono dischi che inseguono

gli eventi e altri che, in qualche

modo, riescono ad anticiparli.

Anche involontariamente, anche

senza capirli del tutto, anche se

le realtà che dipingono appaiono

frammentarie, ma del resto la vita

che viviamo non segue fili logici

particolarmente evidenti. Canzoni

scritte sui muri è il nuovo

lavoro del cantautore Pierpaolo

Lauriola, pugliese di origine

ma avvitato sul territorio milanese

anche per iniziative solidali

sul territorio. Il nuovo album del

cantautore è stato anticipatore di

certe sensazioni che oggi viviamo

sulla nostra pelle, bisognosi

cose siamo di certezze, di difese,

di immagini sicure a cui aggrapparci,

ora più che mai. Eppure

preda di ansie che prima rimanevano

soprattutto legate a pericoli

indefiniti e possibili, e che ora

prendono le forme evidenti di

letti d’ospedale. Il disco, il terzo

della carriera di Lauriola, si apre

con le due canzoni che sono state

scelte come singoli, Le nostre

fragili certezze e Scudo e riparo,

per certi versi complementari. “In

questa giostra di paura e di coraggio”

che è la vita di tutti i giorni,

si combatte contro le difficoltà ma

anche contro se stessi, pur realizzando

che “Non sei solo e non sei

sempre uguale”. I suoni sono spesso

movimentati, rivelando una

vitalità rock per canzoni che però

non si tirano mai indietro quando

c’è da regalare una pennellata

poetica. “Proverò a barattare tutto

questo dolore/con una nuova

canzone”: oppure con otto nuove

canzoni, che sono scritte sui muri

ma anche sulla pelle, meditate

con attenzione assoluta ai dettagli.

Perché poi è questo quello che

fanno i cantautori: cesellano con

cura i dettagli delle sensazioni che

risveglieranno echi in chi ascolta.

Percorrendo il disco ci si sorprende

nell’incontrare sensazioni

universali e senza tempo, ma anche

particolari che ci richiamano

all’oggi (anche se sono state scritte

mesi prima della pandemia),

come quando la title track Canzoni

scritte sui muri parla dei silenzi

delle nostre città. Fantasmi del

passato sfilano: Bessie Smith, Tien

An Men, Jeff Buckley, ma anche

la recensione

storie piccole e quotidiane. Come

quelle che raccontano la trasformazione

in Da uomo a padre: il

calcio di una volta alla radio diventa

metafora di una paternità

che supera le generazioni. Ci sono

racconti che prevedono il solo

ausilio della chitarra, come fa Ti

reggo al ballo le mani. La sincerità

dei brani colpisce, la volontà

di esporre la propria fragilità per

costruire un ponte con quelle di

chi ascolta. “Così ho scritto queste

canzoni che è da un po’ che avevo

dentro”, racconta Lauriola ne La

memoria: è un bene che le abbia

tirate fuori, perché possono prenderci

per mano e accompagnarci

in tempi difficili.

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EDUARDO

DE FELICE

“ORDINE E

DISORDINE”

A due anni dal precedente “E’ così”,

ecco il nuovo lavoro del cantaure: dieci

tracce intimistiche ma aperte alla contaminazione

sonora

È disponibile negli store e in streaming

Ordine e disordine, il nuovo

album di Eduardo De Felice.

A due anni dal precedente È Così,

De Felice rinnova il sodalizio artistico

con Claudio “Gnut” Domestico

e pubblica con l’etichetta

Apogeo Records dieci tracce con

un’anima intimistica, musicalmente

ricco di strumenti acustici,

aperto alla contaminazione di vari

generi pur mantenendo uno stile

personale e riconoscibile. Un disco

d’altri tempi, libero dalle logiche

del mainstream odierno, che

si pone come unico obiettivo la

musica come piacere soggettivo.

Ordine e disordine è un album di

matrice pop cantautorale ma che

si diverte a spaziare tra vari generi

ponendo la musica e le emozioni

al centro di tutto. Si parte dai fiati

e da un ulteriore dualismo, oltre

a quello del titolo dell’album: Il

dubbio e la certezza è una canzone

che ha tendenze melodiche

marcate, con un inciso di piano

un po’ battistiano, e qualche momento

di bossa nova o giù di lì.

Passo ragionato quello di Foschia,

che ragiona sulle catene mentali

e sulle libertà possibili, attraverso

immagini abbastanza eteree. L’amore

cos’è racconta di un sentimento

per lo più infelice, aiutandosi

con archi e chitarra acustica,

su un andamento abbastanza

mosso dal punto di vista ritmico

e su un testo fitto e appassionato.

C’è una certa allegria in Viaggia

ragazzina, che accelera e fa pensare

alla scuola romana Silvestri-Gazzé-Fabi

come stile, sempre

su suoni per lo più analogici e con

il piano che conduce le danze. La

prima metà dell’album si chiude

con Nostalgia, che torna subito

su toni malinconici e nostalgici,

con movimenti orchestrali e quasi

cinematografici sullo sfondo.

Ma c’è spazio anche per qualche

accelerazione, per una canzone

non ferma. E se il brano precedente

aveva accennato a qualche

sensazione jazzata, da lì si riparte

per Qualcosa di più, tranquilla e

senza troppi strappi. La tua vanità

si fa abrasiva, con un po’ di blues

e molto dinamismo, per un testo

insolitamente appuntito. C’è un

che di definitivo nel viaggio che si

racconta all’interno di una molto

la recensione

dolce In fondo al buio. Ecco poi

la title track Ordine e disordine,

pezzo movimentato e anche

ricco di spine. Si chiude con Percezioni,

che torna a modi molto

descrittivi e pacifici. Coda finale

che si veste di funk jazz. C’è molta

dolcezza nel disco di Eduardo

De Felice, che affronta uno spettro

completo di emozioni con le armi

del cantautore e pochissimo che

esce dal “classico” a livello di sonorità

e temi. Ciononostante tutto

è portato a termine con qualità e

anche con fantasia.

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MARCO SANTORO

l’intervista

“Dentro al Blu” è il nuovo brano del musicista, che ritorna a quattro anni

di distanza dal suo ep, “La piccola bottega di Khaloud”

Quattro anni dopo La piccola

bottega di Khaloud sembri pronto

per iniziare un nuovo progetto.

Ci racconti com’è questo momento

per te, dal punto di vista

artistico?

Sono sempre fiducioso e ottimista



un po’ per predisposizione. Sicuramente

in questi giorni difficili

per tutti, in cui abbiamo sospeso

gran parte delle nostre attività

quotidiane, nel mio piccolo, cerco

di mantenere vivo il pensiero creativo.

Sicuro del ruolo fondamentale

che la Cultura e l’Arte abbiano

nel veicolare messaggi importanti,

sono riuscito a fare il mio mestiere

un po’ controvento quest’estate

con La cosa giusta di Daniele Silvestri,

a scrivere canzoni, cercando

così di prendere parte alla possibilità

del delinearsi di orizzonti

futuri. Questi giorni di puro silenzio,

in cui le giornate si dilatano,

mi portano a pensare, progettare,

scrivere, ascolto il tempo e il tempo

si concede a me benevolo. Ho

il tempo per respirare tempo per

sentirmi dentro… mi concedo

spazio, la vita fa silenzio e io lo

ascolto.

Come nasce Dentro al blu?

Dentro al Blu non nasce da un

semplice istante, ma dentro c’è nascosta

un’esperienza di vita. Nasce

dall’esaltazione dei particolari di

qualcuno, da piccole riflessioni,

spesso automatiche, sugli stati d’animo

che un rapporto crea. Ho

voluto identificare questo stato

d’animo con un colore: il blu. Mi

piace pensare di essere avvolto

dentro ad una bolla blu quando

devo proteggermi, e nel contempo

che diventi casa condivisa con

l’essere speciale che il destino ha

voluto per me. Dentro al blu nasce

inevitabilmente dalle due facce

dell’amore. Vale a dire, da un sentimento

solido, che sa ridere di sé,

delle proprie imperfezioni, e poi

dei limiti, della paura – invalidante-

della perdita.

Ci racconti qualcosa del video

che accompagna il brano?

Volevo che questa canzone fosse

raccontata da un video che mi

connettesse con qualcosa di mio,

che fosse un mio fatto personale.

Per questo ho pensato al Terminal

2, dove ho perso il sonno diverse

notti con i Silvestri. E per questo

ho scelto Roma, che è la mia seconda

casa. Il video è girato interamente

con uno smartphone per

le spiagge di Ostia. Nel video non

c’è nostalgia, ma c’è molto amore e

gratitudine per una storia. Abbiamo

girato nei luoghi in cui volevo

che si sentisse la verità profonda

di questa canzone perché in questo

nuovo lavoro e forse per la

prima volta completamente senza

nient’altro, sono Marco.

Nella tua carriera hai lavorato

con tantissimi artisti di alto livello.

Chi ti ha lasciato le migliori

lezioni?

Ogni artista mi ha trasmesso un

ricordo e un insegnamento che

porterò nel mio bagaglio professionale.

Ho avuto la fortuna di lavorare

con musicisti straordinari

(Morgan, Sting, Giovanni Allevi…

per esempio) con alcuni di loro

ho condiviso spesso progetti che

vanno molto al di là della messa

in scena e mi hanno lasciato qualcosa,

nella capacità di vivere il

palco come atto di collaborazione

e complicità, un percorso maieutico.

Poi ci sono altri che sono quasi

dei fratelli e sorelle maggiori:

Daniele Silvestri, Petra Magoni,

Tosca, con la quale non ho ancora

lavorato ma spiritualmente e

praticamente è una presenza preziosa)

da loro ho appreso il rigore

e l’umiltà, il grande rispetto per il

lavoro e per il ruolo che ciascuno

ricopre.

Quali saranno le fasi successive

al singolo?

Non ho pensato a nessuna fase

successiva del singolo. Come ho

sempre fatto in passato, mi limito

a pensare: c’è bisogno delle mie

idee? Io non ho mai smesso di

scrivere, ho smesso di pubblicare,

che è diverso. Alla fine credo che

anche senza volerlo ho un quantitativo

di cose che usciranno quando

sarà il momento giusto per me,

e soprattutto nel momento storico

giusto.

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AAAA

l’intervista

Alla scoperta di un duo particolarmente misterioso, all’incrocio tra musica,

esoterismo, arte e feticismo per il vinile

Mi raccontate la genesi del vostro

progetto?

Gli ĀAAA sono 0 e 1. Non c’è un

desiderio di anonimato, ma più

che altro il progetto stesso ne ha

bisogno. Prima di tutto è un’opera

epica. L’epica non ha autori definiti,

ne toglierebbe la magia. La

generazione? 0 disse a 1: “Penso

che dovremmo fare un disco”. 1



rispose “Penso di no”. Dopo qualche

settimana 1 disse a 0 “Penso

che dovremmo fare un disco”. 0

rispose “Penso di sì”. Da li siamo

partiti. Ogni volta che ci siamo

incontrati le cose sono venute in

una serie di improvvisazioni e comunque

in maniera estemporanea,

per tutto il 2019. Il disco è la

cristallizzazione di varie sedute di

“canalizzazione”, “improvvisazione”

e “riorganizzazione del materiale”.

Quali sono le ispirazioni e le premesse

sulle quali poggia il vostro

nuovo lavoro?

Ci ispiriamo al sottile

filo conduttore che

collega la mitologia

antica dei canti arcaici

all’era odierna,

digitale, che viviamo.

È stata voluta creare

mediaticamente una

cesura per separare la

Magia dalla scienza,

l’arte dall’Arte, quando

questa separazione rimane

illusoria, è solo

uno stato mentale. Noi

pratichiamo Arte, nel

senso arcaico della parola, come

fusione informe di varie discipline,

mirata alla ricerca di un fine. Il

fine di questa opera era la ricerca

della bellezza e del sacro atemporale

in un mondo comunque morente,

apocalittico, in decomposizione.

Ho visto una cura particolare

per il packaging del disco (i testi

stampati su papiro!). Vorrei

sapere da dove nasce questa attenzione

ai dettagli “esteriori” e

se voi siete feticisti del disco, del

vinile eccetera...

La musica è solo una parte della

nostra opera. I testi sono altresì

importanti. Altrettanta cura

mettiamo nel design grafico, nei

dettagli, e il packaging è il coronamento

di tutto questo sforzo. In

un’era in cui vorrebbero che anche

le persone si “digitalizzassero”, assumessero

sempre più un’incorporeità

in questa vita troppo densa,

affollata, ci sembra importante, e

anche e soprattutto bello, vestire

la nostra opera col piacere puro e

l’energia della Materia. La materia,

merce morta nel materialismo,

è invece cristallizzazione dell’energia

universale secondo l’esoterismo

(e la fisica quantistica). Il

metallo (simbolo dell’era che si sta

chiudendo, la rivoluzione tecnologica)

è passato nell’acido, simboleggiando

come la Generazione

si basi sempre sulla Distruzione.

Questo concetto è “incorporato”

per sempre nella materia della copertina

disco e ne arricchisce il significato,

e ogni volta al momento

di metterlo sul piatto, rimane li a

ricordartelo. Questo e altri dettagli

grafico-artistici, il loop che rimane

al finale del vinile, rendono

la fruizione dell’opera materiale

un’esperienza decisamente diversa

dall’mp3.

Quali sono i vostri punti di riferimento

musicali?

Considerando “punto di riferimento”

non necessariamente “fonte

di ispirazione” facciamo riferimento

a tutta la musica che già si

possa considerare “storia”. Fare un

elenco di nomi sarebbe riduttivo,

siamo stati consumatori compulsivi

di vinili per anni, e sebbene

non ci ispiriamo a nessuno in particolare,

ci sono dei dischi dove

passa la magia, che indipendentemente

dal genere li potrai ascoltare

per sempre, e altri che stufano.

Ci ispiriamo ai primi.

Quali saranno i vostri passi successivi?

Non siamo programmatori, rispondiamo

a necessità più viscerali

e dettatte da impulsi subitanei.

Il programma che il mondo sembra

prospettarci è di stare tranquilli

e goderci l’apocalisse. Se la

situazione continua a permetterci

di produrre musica, be’, per il nostro

genere sarà sicuramente un

periodo fertile!

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