TRAKS MAGAZINE #33
Ecco il numero di maggio 2020 di TRAKS MAGAZINE: in copertina Pierpaolo Lauriola, che parla del suo nuovo album in arrivo a breve. E all'interno interviste a Ivan Francesco Ballerini, San Diego, Dettori & Moretti, Ubba Bond, Eleviole?, Zero Portrait, Il Tipo di Jesi, oZZo, kmfrommyills, Iron Mais, Silek.
Ecco il numero di maggio 2020 di TRAKS MAGAZINE: in copertina Pierpaolo Lauriola, che parla del suo nuovo album in arrivo a breve. E all'interno interviste a Ivan Francesco Ballerini, San Diego, Dettori & Moretti, Ubba Bond, Eleviole?, Zero Portrait, Il Tipo di Jesi, oZZo, kmfrommyills, Iron Mais, Silek.
You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
www.musictraks.com
MAGAZINE
Numero 33 - maggio 2020
PIERPAOLO LAURIOLA
il potenziale della musica
IVAN FRANCERSO BALLERINI
SAN DIEGO
ELEVIOLE?
UBBA BOND
sommario
4
10
14
18
22
26
30
34
38
42
46
50
Pierpaolo Lauriola
Ivan Ballerini
San Diego
Dettori & Moretti
Ubba Bond
Eleviole?
Zero Portrait
kmfrommyills
Il Tipo di Jesi
oZZo
Iron Mais
Silek
Questa non è una testata giornalistica poiché viene aggiornata
senza alcuna periodicità. Non può pertanto
considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge
n. 62/2001. Qualora l’uso di un’immagine violasse
diritti d’autore, lo si comunichi a info@musictraks.com
e provvederemo alla rimozione immediata
TRAKS MAGAZINE
www.musictraks.com
info@musictraks.com
PIERPAOLO LAURIOLA
il potenziale della musica
Giunto al suo terzo album, il cantautore presenta la sua
nuova fatica discografica “Canzoni scritte sui muri”,
in uscita il prossimo 13 maggio. Attivo sulla scena musicale
da ormai trent’anni, con questo album parla di
trasformazione e di certezze, raccontate con passione e
voglia di sperimentare
Di Chiara Orsetti
Il tuo nuovo album si intitola
“Canzoni scritte sui muri”, e fa
pensare immediatamente a muri
che creano divisioni e musica
che, nonostante tutto, unisce.
Che cosa rappresenta per te essere
un cantautore in un momento
storico così delicato? Che potenziale
ha la musica?
La musica ha un potenziale enorme;
essere un cantautore mi dà
la possibilità di esprimermi con
linguaggi diversi. Puoi mettere insieme
musica e testo, ed essere un
interprete di quel tutt’uno. A oggi
è difficile analizzare il ruolo della
musica e in particolare del cantautore
in un momento inaspettato
come questo; quando ne saremo
fuori, a distanza di tempo, verranno
a galla le riflessioni metabolizzate
in questi mesi.
Il primo singolo estratto è Scudo
e riparo, amaro e coraggioso
flusso che fa sentire allo stesso
tempo protetti e amareggiati.
Che sensazioni hai provato scrivendola?
In chi, o in che cosa,
riesci a specchiarti?
Scriverla è stato emozionante. La
musica l’ho scritta da solo nel mio
studio e ho seguito il mio istin-to.
Il testo l’ho composto insieme a
Sergio Salamone. Erano anni che
ci rincorrevamo e questa volta è
stata quella giusta. Abbiamo prima
parlato a lungo. Successivamente
ci siamo mandati via mail
tutte le idee a cui abbiamo lavorato.
Scrivere questa canzone per
me è stato catartico. Ho pensato
a tutte quelle persone che hanno
bisogno di affetto, di protezione.
Ho pensato che sono fortunato ad
avere questa protezione da parte
di chi mi vuole bene. I miei punti
di riferimento sono tutti quelli che
affrontano la vita spendendosi per
gli altri. Sono questi i valori che
mi affascinano e in cui mi rispecchio.
Sei impegnato da anni in progetti
umanitari e sociali. In questi
mesi di blocco totale i problemi
che incontreremo avranno connotati
diversi rispetto a quelli
che abbiamo lasciato. Hai già in
mente qualche nuovo progetto a
cui dedicarti?
Sì, vorrei realizzare nuove iniziative.
Non credo, come ho letto da
qualche parte che la pandemia
ci renderà migliori di prima, ma
spero che non venga meno il senso
di solidarietà: come ha detto
Papa Francesco, siamo tutti sulla
stessa barca. Penso che dovremo
ripartire ciascuno dal nostro piccolo,
e guardarci anche intorno,
partendo ciascuno dal proprio
quartiere. Sono diventato da poco
padre e non nascondo che mi
sento vicino alle problematiche
dell’infanzia.
Sei sulla scena musicale da
trent’anni: com’è è cambiato il
modo di fare musica nel corso
della tua esperienza? C’è qualche
costante che porti con te fin
dall’inizio della tua carriera?
Se penso a come è cambiato il
modo di fare musica non posso
che pensare ai sistemi con cui
si catturano le idee oggi. Quando
ho iniziato a fare musica era
il 1991 e i miei demo li costruivo
con il multitraccia Yamaha MD4.
Registravo tutti gli strumenti e poi
condividevo le mie incisioni con
gli altri della band. Oggi utilizzo
il computer. Per lo più lavoro su
Logic Pro X e Ableton per i pezzi
con più elettronica. Negli ultimi
dieci anni mi sono appassionato
molto anche alla chitarra acustica
oltre che a quella elettrica. Il device
con cui si ascolta musica oggi
per antonomasia è lo smartphone,
molto diverso dai vinili con cui
sono cresciuto, che imponevano
all’ascoltatore un tempo di attenzione
maggiore, si ascoltava tutto
l’album leggendo i testi, invece di
saltellare da una playlist all’altra
(di questo ho una certa nostalgia).
La costante in questi anni è stata
la scrittura; quando arriva la sera
metto nero su bianco le mie sensazioni
che poi nel tempo rimaneggio;
da quegli appunti nasceranno
i testi delle canzoni.
7
Una delle tracce che mi ha emozionata
di più è Ti reggo al ballo
le mani. Emozionante la storia,
vibrante la musica. Ci racconti la
storia di questo brano?
Sono contento che ti sia arrivata.
Per me è stata una prova di coraggio,
un piacevole schiaffo. Ti
reggo al ballo le mani è il pezzo
più vicino alle sonorità di Fabrizio
De André, con una melodia che
ri-corda Disamistade. Il protagonista
è un uomo solo in una stanza
d’attesa che immagina il suo
perso-nale ballo con la mamma.
Con questo ballo le chiede perdono
per tutto il tempo in cui è stato
assente.
Parliamo di influenze: si riconosce
l’influenza dei grandi cantautori,
ma con aspetti molto lontani
dalle sonorità a cui ci hanno
abituati. Quali sono i tuoi riferimenti
musicali?
In Canzoni scritte sui muri interagiscono
tra loro lo stile italiano
di autori quali Ivano Fossati, Fabrizio
De André, Paolo Conte, e
dei grandi maestri come Leonard
Cohen, Bob Dylan, Johnny
Cash a cui si aggiungono le
suggestioni degli ascolti più
recenti come Bon Iver, Radiohead
e Sufjan Stevens.
La musica che ora sembra
andare per la maggiore funziona
un po’ come un mordi
e fuggi. Canzoni che impari
in fretta e che, altrettanto
in fretta, finiscono nel dimenticatoio.
La tua scelta di
comporre un album come
Canzoni scritte sui muri si
contrappone, chiedendo
espressamente pazienza e
attenzione, è stato un gesto
coraggioso o semplice necessità
espressiva?
Avendo ascoltato per anni
molti dischi pensati come un
concept e come un progetto
unico, indipendente da ogni
singola traccia che le componeva,
mi viene naturale
pensare a questo tipo di progettualità.
È stata una mia necessità
narrativa.
Chiara Orsetti
IVAN FRANCESCO
BALLERINI
Si intitola “Cavallo Pazzo” l’esordio discografico del cantautore toscano.
Dieci brani inediti in un concept album in cui si narra la storia del leggendario
capo indiano
Ci vuoi raccontare chi sei?
Chi sono? E chi lo sa. Forse un
cane reincarnato nel corpo di un
uomo.... scherzi a parte. Sono un
musicista. Nel 2019, stanco di
suonare canzoni di altri autori,
seppur bellissime, mi sono messo
a scrivere cose mie. È iniziato tutto
come un gioco, una sfida con
me stesso per capire cosa sarei stato
in grado di produrre. Poi senza
accorgermene, mi sono trovato in
mano un album di dodici inediti,
alcuni son stati scartati,
tutto incentrato sugli indiani
d’America. Bestiale....
Domanda ovvia: perché
un album intero sulle storie
dei nativi americani?
Non c’è un motivo vero e
proprio. Son partito scrivendo
“Cavallo Pazzo”... poi
via via, i brani sono venuti
fuori da soli. Alla fine mi
son trovato tra le mani cinque-sei
brani tutti sui nativi
americani e allora ho deciso,
anzi abbiamo deciso
assieme ad Alberto Checcacci,
di fare un album su
un unico argomento, un
concept, come si suol dire.
Che cosa ti ha colpito in
particolare della storia di
Cavallo Pazzo?
Tutto... il suo senso di libertà,
il suo essere indomabile.
È morto a soli 39 anni
ed è, e sarà sempre, un personaggio
mitologico. Lui
non nasce con indole guerriera.
Lo diventa a seguito di alcuni lutti
che lo colpiscono direttamente.
Poi la sua diversità rispetto agli
altri.... aveva i capelli ricci e non
lisci, castani e non neri.... unico.
Chi sono i tuoi artisti di riferimento?
Se si ascolta Cavallo pazzo è piuttosto
semplice intuire. Fabrizio De
André primo tra tutti, Francesco
De Gregori, Guccini. Ma anche
Claudio Baglioni. Do più importanza
al testo che alla musica. La
musica per me arriva un attimo
dopo il messaggio che si vuole
lanciare. Inutile avere musiche
fantastiche e testi vuoti.... oggi se
ne sentono tante di canzoni così.
Il mio è un album semplice, interamente
partorito in due.... io,
scrittore di testi e musiche, Alberto
Checcacci arrangiatore.
So che sei al lavoro su un nuovo
disco. Ci puoi anticipare come
sarà?
Alcuni mi hanno chiesto se ci sarebbe
stato un Cavallo pazzo parte
due.... ahahahah, no assolutamente.
Quello che stiamo portando a
termine è un album di canzoni attuali.
A canzoni d’amore si intrecciano
storie di vita, massaggi per
i giovani, e un brano dedicato a
mia figlia Eleonora. Pur trattando
argomenti completamente diversi
da cavallo pazzo, sotto certi aspetti
gli somiglia. Insomma si sente
che chi compone è sempre lo stesso
individuo. Quello che mi preme
evidenziare è che la famiglia
sta crescendo. Al mio fianco oltre
Alberto Checcacci, che è colui che
cura ogni dettaglio degli arrangiamenti
e a Nedo Baglioni, fotografo
e regista, si è aggiunta Monica
Barghini, corista e cantante di un
mio brano e il bravissimo violinista
Alessandro Golini che vol suo
violino e la sua sensibilità ha “dipinto”
alcuni miei brani e...... basta
altrimenti vi dico tutto.
12
13
SAN DIEGO
Un album “estivo”, dal titolo molto curioso, cioè “ù” e un nuovo featuring
con lo Sgargabonzi: tre anni dopo “Disco”, un nuovo lavoro per il
cantautore
Be’ partirei dal curioso titolo.
Perché “ù”?
Perché “ù” è l’unica lettera rimasta
dopo aver cancellato tutti i ti-
toli papabili sul foglio di testo, il
classico errore invece di premere
“invio” sulla tastiera, e lo ritenevo
molto emblematico come concetto,
oltretutto è una vocale che ricorre
spesso nel disco.
Trovo che il tuo disco sia particolarmente
“estivo”. In questa
condizione particolare pensi che
potrebbe cambiare la percezione
di chi ascolta o può servire da
consolazione?
In base a quello che mi stanno dicendo
per molti funge da proiezione
verso ambienti e sensazioni
marittime, quindi direi che sì, può
essere anche consolatorio al limite.
“Rinascente” è un po’ il manifesto
del disco. Da cosa avevi bisogno
di rinascere?
Per me ha vari significati, come
un po’ tutte le canzoni. Rinascere
per un nuovo disco o una fase
successiva della vita, per me qualsiasi
cosa va affrontata come una
rinascita.
Hai fatto un altro featuring con
lo Sgargabonzi. Qual è la sua caratteristica
decisiva nello scegliere
di lavorare con lui?
Perché mi piace moltissimo come
scrive, la scelta accurata di ogni
singola parola, la sua capacità di
creare microcosmi letterari, e tra
noi c’è una sincera amicizia e reciproca
stima.
Quali saranno i tuoi passi successivi?
Sto scrivendo cose nuove e sono
già proiettato verso l’immediato
futuro, mi sento fiducioso.
17
BEPPE DETTORI &
RAOUL MORETTI
“(In)Canto Rituale” è un disco che si snoda tra innovazione e la matrice
identitaria tradizionale, in omaggio a Maria Carta
Vorrei sapere come nasce il progetto
e l’omaggio a Maria Carta
DETTORI: Nasce grazie a Giovannino
Porcheddu di UNDAS
Edizioni Musicali e Federico Canu
del Tangerine Sa Pedrache. Abbiamo
“fermato” qualche nostro live
in alcune registrazioni. Nel 2019
c’è stata la ricorrenza dei 25 anni
dalla scomparsa di Maria Carta e,
come a dar seguito a qualcosa già
accennato nel nostro precedente
disco, abbiamo deciso di dedicarci
proprio a un intero omaggio a
questa grandissima artista.
MORETTI: Alcune rivisitazioni
di brani che erano nel repertorio
di Maria Carta erano già presenti
nel repertorio di Beppe da qualche
anno, e poi sono entrati a far
parte del nostro progetto del 2019
“S’Incantu e sas cordas”. Stimolati
anche dalla Fondazione Maria
Carta abbiamo sviluppato gli arrangiamenti
ed aggiunto altre due
pietre miliari come “Stata Mater”
e “No Potho Reposare” . A completamento,
abbiamo musicato la
poesia “Ombre” che apre il libro di
Maria Carta, Canto Rituale, da cui
è tratto il titolo del disco.
Non è certo la prima
collaborazione Dettori-Moretti.
Non vi è
venuta la tentazione di
coinvolgere altri musicisti
per questo progetto?
DETTORI: Un progetto
con un sound ben definito
e scarno per nostra
scelta, dettata anche da
un’esigenza mera di mercato,
che, per assurdo,
nella sua crisi, ha generato
tutto questo… Ma
comunque nella solidità
di questo duo abbiamo certamente
provato ad inserire altri strumenti
e con ottimi risultati.
MORETTI: In realtà la nostra
collaborazione nacque all’interno
di un quartetto che negli anni
è andato a scalare. Siamo rimasti
per un periodo in trio con Manuel
Rossi Cabizza, che abbiamo
comunque ospitato in due brani
del precedente lavoro. Ora volevamo
arrivare all’essenza del nostro
sound, un incontro tra voce, chitarra
e arpa, ed il loro utilizzo con
18 19
tecniche provenienti dalla tradizione
e dalla contemporaneità.
Al contrario di altre tradizioni
regionali, a uno sguardo totalmente
esterno mi sembra che
la musica sarda goda ancora di
estimatori e sia ancora piuttosto
forte. Ci sono dei rischi all’orizzonte?
DETTORI: Sì è una nicchia molto
solida, e gode di stima in tutto il
mondo e questo è una ricchezza
che va sostenuta. Però il decadimento
della cultura è un grande
campanello d’allarme che sta ancora
suonando e ci ha resi assuefatti
a quel disturbo sonoro tipico
dell’allarme. Le tecnologie e le
proiezioni continue di felicità fittizie
hanno soppiantato la bellezza
dell’arte e della cultura, uccidendo
anche la nostra identità.
MORETTI: Il mio approccio da
continentale adottato dall’isola è
proprio quello di un estimatore.
Oltre al fascino dalla musica che
nasce in questa terra, mi colpisce
quanta cultura e con quanta forza
e identità si esprime… I suoi riti
arcaici, la musicalità della sua lingua
e tanto altro.
Come si vive l’isolamento dovuto
al virus in una terra che l’isolamento
lo conosce già piuttosto
bene?
DETTORI: Per alcuni, come me,
non e’ cambiato molto, devo essere
sincero. Immagino però la
sofferenza grande che c’è ovunque
si guardi. Speriamo finisca presto.
Soltanto questo…
MORETTI: L’anno scorso sono
uscito con un lavoro solista dal
titolo “IsolaMenti” che oggi mi
sembra quasi profetico. Era frutto
di un percorso personale in cui
c’era l’isola come metafora. Non
un luogo di esilio ma un luogo di
contemplazione verso il tutto. Ora
il mio augurio è che questo sia un
periodo di contemplazione, di sottrazione
per arrivare all’essenza e
da li ripartire verso una nuova direzione.
Quali saranno i prossimi progetti?
DETTORI: Guarire… risanare la
mente e lo spirito… sognare…
amare e continuare a farlo con
una determinazione d’acciaio. E se
fosse ancora possibile vorrei suonare
e cantare nei concerti, piccoli
e grandi, con il pubblico che
si diverte… e noi, a nostra volta,
che andiamo ai concerti di amici e
colleghi, una festa di rinascita globale…
vivere!
MORETTI: Tornare a suonare dal
vivo, incontrare la gente, viaggiare
e condividere i nostri progetti. Il
musicista è nato per suonare dal
vivo, in quella magia dell’incontro
con il pubblico che ogni sera si
rinnova. Il nostro mestiere vive di
questo. Tutto il resto è “industria”,
è un fattore marginale.
20 21
ELEVIOLE?
Un nuovo video, tutto al femminile, che chiude l’avventura del disco “Dove
non si tocca” e che si prepara, in qualche modo, a “uscire”: la cantautrice
milanese pubblica “Dieci gocce” e pensa al futuro
Hai realizzato il video di “Dieci
gocce” in un contesto che non
prevedeva la quarantena... Che
effetto fa ora pubblicare un video
che trasmette la voglia di
“uscire”?
Questo voleva essere un videoclip
sulla femminilità e sulle sue
sfumature. L’ho girato in inverno
e avevo pensato di farlo uscire l’8
marzo. Poi l’emergenza sanitaria
ha rimescolato le carte e il video è
diventato una piccola celebrazione
di quella che è l’attesa della normalità.
Penso trasmetta un messaggio
positivo ma non banale,
in questo momento dove siamo
soverchiati di arcobaleni e di positività
un po’ forzata penso che la
sua leggerezza non possa che farci
bene.
E’ anche il primo video che ti
vede nei panni della regista.
Come ti sei sentita dietro la macchina
da presa?
È stato molto bello. Era un po’ che
questa cosa mi ronzava in testa
e ho preferito fare questo esperimento
su una mia canzone. Ho
sempre tante idee e pochi mezzi
per realizzarle e mi sono scontrata
con una serie di problematiche
“tecniche” a cui non ero assolutamente
pronta. Devo ringraziare
Claudio del Monte con cui ho lavorato
su altri video, che si è occupato
del montaggio e mi ha dato
un supporto tecnico fondamentale
per arrivare in fondo e per tirare
fuori 4 minuti da circa 300!
Chi sono le attrici del tuo clip?
Sono tutte mie amiche, e anche
per questo è stato così bello lavorare
insieme, c’è stata da subito
fiducia reciproca e voglia di giocare.
Ciascuna di noi ha lavorato
sulle proprie resistenze e insicurezze,
me compresa, e ognuna di
loro mi ha insegnato cos’è la bellezza.
Sono veramente molto grata
per questo.
“Dieci gocce” conclude il viaggio
di “Dove non si tocca”, il tuo
primo album da solista. E parlo
di “viaggio” non a caso, visto che
l’hai anche accompagnato con
un road movie. Sei soddisfatta
del percorso che hai fatto e quali
consapevolezze porterai nel
prossimo disco?
Se mi guardo indietro è stato un
percorso piuttosto denso. Penso di
essere riuscita a fare un lavoro sul
femminile con un focus ben preciso:
dallo straordinario all’ordinario,
a far diventare la normalità
e il quotidiano cose da proteggere
e custodire. Sono molto felice di
questo disco e l’unica certezza che
ho è che porterò con me la voglia
di continuare a compiere delle
piccole/grandi imprese affinché la
mia musica continui a essere “sostanza”.
25
UBBA BOND
“Mangiasabbia” è il nuovo album del duo, portatore di una dedica importante
e sentita, tra pensieri sulla quarantena e scelte di dischi da
ascoltare piuttosto significative e particolari
Questo disco ha una dedica importante.
Se per voi va bene partirei
da qui.
Sì, abbiamo scelto di dedicarlo a
una persona per noi importante
che in poco tempo ha saputo
conquistarci, seminando perle di
genialità nella stesura condivisa
delle parti di fiati che sono uno
degli elementi fondanti di questo
disco. Si chiamava Daniel Cau e la
sua recente ed improvvisa scomparsa
ci ha trovato completamente
impreparati e ci ha lasciato scossi
e increduli. Ci è sembrato quindi
doveroso ricordarlo per sottolineare,
celebrare e lodare le qualità di
una persona che in vita ha saputo
vivere di musica, con la musica,
nella musica. Grazie Daniel.
Mi incuriosisce molto il titolo e
vorrei sapere su quali basi poggia
questo disco.
Si riferisce e risuona in una parte
del testo di un brano intitolato “Su
milioni di auto”. La frase in oggetto
è “la solita vecchia storia di
quando hai sete di deserto e inizi
a bere sabbia” ed è stata scritta da
Max Guidetti, altro amico e collaboratore
che ha prestato la voce in
due brani del disco. La frase suona
ovvia e assurda allo stesso tempo:
la sete di deserto (quello stesso
deserto in cui la sete sembra ovvia)
ti porta a bere sabbia (assurdo).
Da qui il mangiare sabbia
che, ancora per un assurdo contrasto,
rappresenta un’azione senza
dubbio più corretta: la sabbia
si mangia, non si beve. Senonchè
il mangiare sabbia non è altro che
l’azione del mare, quindi dell’acqua
che potresti bere, ma non
puoi perché l’acqua di mare è essa
stessa intrisa di una forma, seppur
speciale, di sabbia (il sale). Quindi
rimani a guardare e ad ascoltare
la musica, incantato dalle sirene
che ti attirano in un mondo acquatico,
friabile come infiniti granelli
di sabbia. Non a caso, l’acqua
è il denominatore comune di molti
brani del disco.
Lavorate un po’ con le porte girevoli
rispetto ai collaboratori:
scrivete pensando a chi potrebbe
intervenire oppure prima arriva
il collaboratore e poi la canzone?
In realtà, nonostante tutti si facciano
la fatidica domanda, a nessuno
interessa sapere se sia nato
prima l’uovo o la gallina. Il filo
d’erba si piega a causa del vento
o il vento soffia pur di accompagnarne
l’inchino? L’ordine (in cui
accadono le cose) è un concetto
sopravvalutato, almeno quanto il
concetto di tempo.
Potete scegliere tre dischi usciti
di recente che vi piacciono particolarmente?
Il primo che ci viene in mente è
Milano posto di merda dei Giallorenzo:
loro sono giovani e scazzati,
ma nella direzione giusta (alla
Pavement per capirci) e con una
scrittura di qualità...e poi sono
ragazzi che sanno suonare, insomma
sono una boccata di aria
fresca in un panorama asfittico
come quello della musica italiana.
Vedremo come continueranno,
ma di sicuro hanno iniziato sganciando
una bombetta. Per gli altri
due titoli invece dobbiamo andare
indietro di qualche anno (con il
vostro permesso). Appartengono
a due artisti che amiamo molto,
il primo è Francesco De Leo, uno
dei pochissimi veri talenti usciti
allo scoperto negli ultimi anni.
Di Fra (che salutiamo, avendoci
fatto due dischi insieme) scegliamo
Antologia della cameretta non
perché non amiamo anche i dischi
“ufficiali” dell’Officina Della Camomilla
(tutti bellissimi), ma perchè
è all’interno di quel quintuplo
disco (!) di demo registrate in casa
che è possibile ammirare la purezza
della sua visione artistica. Un
vero gioiello. Infine non possiamo
non nominare Edda, ovvero l’artista
che, secondo noi, ha lasciato
un segno indelebile sulla musica
degli ultimi 10 anni. Edda è pura
potenza emotiva, sia su disco
che dal vivo (in solo o con la sua
formidabile band) ed è un vero
peccato che un artista di questo
spessore non abbia un riscontro di
pubblico adeguato, a discapito di
tanti fenomeni indie-pop buoni al
massimo per qualche like su Facebook
o una diretta Instagram. Di
Edda amiamo tutto, ma scegliamo
Odio i vivi perché contiene Anna.
Un artista di un altro livello, un
alieno, un dono.
Siete stati costretti a spostare l’uscita
del disco e presumo ad annullare
i live. Come ritenete che
usciremo da questa curiosa e paradossale
situazione?
Per dirla alla Bennato “ne usciremo
in fila per tre”: un modo
semplice per dire che (purtroppo)
procederemo in maniera ordinata
e organizzata dall’alto, verso quella
che sembra essere l’uscita, sperando
che lo sia. Questo per mettere
l’accento su varie cose, includendo
il fatto che non riusciamo a vedere
una via di uscita nello “smart working”
applicato allo spettacolo dal
vivo, come se fosse possibile farlo
a distanza. Per vivere un’esperienza
“LIVE” è necessario scambiare
fluidi corporei e contagiarsi di
sudore e lacrime, non ci si può
limitare a fare dei video (anche
se ci stiamo divertendo a farne).
Quindi, mettendo al fuoco molta
calma e una manciata di buon
senso, accettando di aspettare che
i tempi maturino e che ci sia di
nuovo uno spazio da riempire e
a cui destinare vita vera, cerchiamo
di “scarrocciare” per goderci
in seguito quello che ci viene più
naturale fare: suonare. Non sappiamo
quando, ma sappiamo che
succederà.
28
29
ZERO PORTRAIT
Misterioso e mascherato, dopo un’intensa attività da dj, varie collaborazioni
e produzioni con differenti moniker, firma il suo primo lavoro discografico
in uscita l’8 maggio 2020 per Antistandard Records. “Pulp”
Il tuo attuale moniker fa riferimento
alla negazione dell’immagine
che mai come in questi anni
ha “colpito” anche i personaggi
del pop e dei generi contigui.
Che cosa rappresenta la tua denominazione
Zero Portrait?
Da che ho memoria nella mia
infanzia ho sempre ascoltato la
musica in radio e guardato i video
musicali su Mtv cercando i
programmi che trasmettessero la
musica che mi faceva fantasticare
mondi lontani dalla quotidianità.
All’epoca era la musica che mi ricordava
i videogiochi e i fumetti,
e che mi rimandavano mondi cyberpunk
o distese californiane con
quei suoi elettronici che, nella mia
fantasia, venivano direttamente
dal futuro. Questi ascolti creavano
in me un’aspettativa sui musicisti,
immaginando che facessero una
vita diversa da quella di noi altri
e mi sono sempre chiesto quale
fosse il loro volto. Questo desiderio
ha mantenuto vivo in me
quell’attenzione alla ricerca della
musica con la fantasia di un bambino
che provava ad andare oltre
dell’ascoltato. Il passaggio negli
anni è stato che i dj/produttori e
beatmaker sono passati da essere
autentici sconosciuti dietro alle
macchine a superstar, con volti
sovraesposti, interviste fatte trite
e ritrite. L’occasione di mostrare
l’autenticità artistica è diventata
mezzo di propaganda di uno stile
di vita consumistico e orientato
a fare sponsor più che parlare da
esseri umani a esseri umani. Forse
abbiamo barattato la piacevolezza
del desiderio con la mercificazione
ossessiva quasi pornografica
dell’atto creativo. Per cui credo,
almeno per me ha funzionato, di
voler ripristinare una parte di quel
“mistero” creativo, non esponendomi,
anche se in realtà si tratta di
mera protezione del mio me più
autentico, lasciando che la musica
sia da colonna sonora e che non
parli necessariamente di me ma
che, come un’opera cinematografica,
ti trasporti in mondi diversi
del quotidiano. Il nome pertanto
dovrebbe essere Portrait, ovvero
ritratto di un’idea, di un luogo geografico
o meta. L’aggiunta dello
Zero è dovuta in quanto in passato
ho avuto altri progetti sotto
diversi moniker e, alla giovane
soddisfazione di sapere di aver totalizzato
1k di listens, mi è stato
rimandato da gente più dentro di
me nel mondo della musica che
1k ad oggi (all’epoca) corrisponde(va)
a Zero. Ho fatto quindi risorsa
di questa “delusione”. Per cui
voglio concedermi la possibilità di
iniziare sempre da zero ogni cosa
che farò in questo percorso d’artigianato
musicale. Non c’è dunque
connessione diretta tra i due, Zero
Portrait è cacofonico, è dissonante,
difficile da scrivere. Per cui mi
piace...
Nel tuo disco si viaggia senza distinzione
di genere, quasi da un
estremo all’altro. Come ti immagini
il tuo “ascoltatore medio”?
Se dovessi fare un’analisi che osserva
i canoni stilistici della struttura
di ogni brano potrebbero in
effetti risultare fatti da mani diverse.
Ma non è così, Pulp è come un
viaggio, con relativi vissuti, quello
che senza dubbio li accomuna, e
che ha un filo comune, per me che
li ho creati, è la ritmica e la percussione,
poco lineare. Li ho immaginati
come colonne sonore di
un’unica opera che si può consumare
in un club in cui ogni traccia
diventa colonna sonora di quanto
succede tra le persone che sono
il centro di tutto, gli attori principali
senza dei quali tutto “sto
casino” non avrebbe senso. Il mio
ascoltatore medio credo quindi
che possa essere senza dubbio una
persona curiosa che segue un filo
personale nella scoperta delle cose
che va aldilà del seminato, dove
ogni cosa non è al suo posto perché
ognuno può scegliere il posto
dove inserirla.
Vorrei sapere come nasce “Fauna”
e la collaborazione con
Agronomist
Con Agro ci siamo conosciuti
anni fa a un evento legato al mondo
del design e della grafica, mettevano
i dischi due nostri amici.
Lui indossava il giubbotto del suo
gruppo Smania Uagliuns, gruppo
rap che io seguivo. In quella
circostanza non l’ho riconosciuto
per cui gli ho fatto i props sia per
il giubbotto che per i gusti musicali.
Insomma ci siamo conosciuti
casualmente. Entrambi fuori luogo
dagli ambienti hype ci siamo
confrontati su molti aspetti, e ci
siamo trovati sulla stessa lunghezza
d’onda oltre che sui contenuti,
sui modi che avevamo e abbiamo
di scegliere la musica che ci piace,
le letture, le persone e le situazioni
in cui c’inseriamo. Alla fine
abbiamo sentito che quel modo
di leggere le cose doveva diventare
musica e abbiamo iniziato a
vederci praticamente quasi quotidianamente
da un capo all’altro
di Roma per provare a unire
le nostre competenze. L’idea di
Fauna è stata proposta da me, lui
è stato capace di coglierne l’essenza
intenzionale, senza che io
gliela spiegassi ed è venuto quello
che sapete. Fauna è un brano che
esprime, e in un certo qual modo
è, il manifesto di Pulp e di quello
che entrambi cerchiamo di portare
avanti umanamente nelle nostre
professioni e nella musica, si parla
di quelle faune fuori da quella visione
sovraesposta, ma dei margini
di chi non ha modo o voglia di
esporsi ma ha un mondo da esprimere
e il semplice fatto che i loro
mezzi non gli concedano voce
non rende la loro voce meno interessante.
E noi siamo e stiamo con
loro. Attualmente siamo e saremo
in collaborazioni per altri progetti.
Tre nomi che ti piacciono particolarmente
della musica contemporanea
italiana di qualunque
genere
Per contemporanei intendo che
ho ascoltato o che sono usciti con
qualcosa nelle ultime settimane.
Direi Agronomist/Smania Uagliuns
(e tutte le sue camaleontiche
forme) forse l’artista rap che è
capace ad oggi di declinare le sue
intenzioni artistiche senza cadere
nella trappola di genere musicali.
Nasty Boy, storico produttore
house, che ha creato questo progetto
parallelo Future Jazz Ensemble,
la prima forma, che io
conosca, di Jazz in Italia fatto con
strumenti elettronici che non sia
il classico crossover acerbo, bensì
un vero disco jazz in piena regola.
Infine il terzo nome è La Musica
del Sud Italia, da cui proviene secondo
me il 70% della migliore
musica italiana contemporanea.
Per citare qualcuno, dalla scuola
pugliese, il duo Jok Troonz & K9,
e da Napoli, città-stato che ha un
mondo culturale vero, cito Yodaman,
la Niňa e i Fuera.
32
33
IL TIPO DI JESI
Tommaso Sampaolesi cambia in parte il sound e pubblica “Yeah Yeah
Jesi!!”, nuovo disco in cui stempera un po’ l’atteggiamento nei confronti
della provincia marchigiana
Cambio sonoro e di atmosfere
per il tuo nuovo lavoro. A cosa è
dovuto?
Avevo voglia di sperimentare e
azzardare un po’ per trovare un
sound più elettronico rispetto al
primo disco. In aggiunta c’è da
dire che dopo Pranzo Rock in Via
Trieste ho passato molto più tempo
sul synth rispetto alla chitarra
e questo sicuramente ha influito
sulle scelte artistiche di Yeah Yeah
Jesi!! Per quanto riguarda i testi
ho voluto prendermi un po’ meno
sul serio e le atmosfere del disco
rispecchiano questa ricerca di un
maggiore senso di leggerezza.
C’è un cuore in copertina ma
non lo definirei “romantico”: che
cosa vuoi simboleggiare?
Mi dà l’idea che sia un po’ un cuore
elettronico, “romantico a comando”,
che rispecchia abbastanza
il sound e le atmosfere del disco.
La copertina sta a significare che
dentro questo disco c’è il mio cuore
e la base tramite cui ci ho potuto
imprimere le mie emozioni è
l’elettronica.
Mi incuriosisce La notte invece
di dormire suona: come nasce?
Questa è la canzone romantica del
disco e si attacca un po’ al brano
Tione, la nebbia, le montagne, tu
contenuto nel primo album. È
una canzone d’amore che racconta
i primi passi di avvicinamento tra
due persone chiuse al riparo del
loro rifugio sicuro. Mi sono immaginato
una scena notturna in
cui l’uomo suona una dolce confessione
d’amore e promessa di
protezione alla sua amata.
Tre nomi contemporanei italiani
che ti piacciono particolarmente?
Giovanni Truppi su tutti, poi La
Rappresentante di Lista e Calcutta.
Le Marche sono state fra le regioni
più colpite dal coronavirus
e tu sei legato alla tua terra fin
dal nome d’arte. Che cosa ti senti
di dire in questo momento così
particolare della, ma anche alla,
tua città?
Spero che l’emergenza finisca presto
e che ognuno di noi possa tornare
a sentirsi libero di vivere la
propria vita. Mi auguro che questa
esperienza ci lasci e ci insegni
qualcosa soprattutto sul modo di
rapportarci alle altre persone ma
anche sul modo in cui decidiamo
di vivere le nostre vite. Probabilmente
c’era anche bisogno di fermarsi
un attimo perché la frenesia
di questa società di certo non ci
faceva bene. Mi dispiace che questa
occasione di nuova consapevolezza
sia dovuta accadere a spese
di tante vite e a costo di tanti disagi,
soprattutto per chi è impegnato
in prima linea al contenimento
dell’emergenza.
36
37
oZZo
A partire dal singolo “Hello”, sono mille i progetti per il musicista e dj ex
adepto della scena hardcore milanese
Come nasce il progetto oZZo?
Nasce intorno al 2018 dopo una
mia separazione dal mondo musicale
di circa un anno dopo lo scioglimento
degli Audrey (metalcore
band ultima mia fiamma). Veterano
della scena hardcore milanese
di metà anni 90 ho militato come
chitarrista in progetti come PHP,
Mellowtoy per chiudere per l’appunto
con gli Audrey. Un po’ per
nostalgia e un po’ per terapeutico
rifiuto della vecchia scena nasce
quasi per scherzo il progetto oZZo
che per l’appunto prende il nome
dal mio stesso nickname. Doveva
essere una toccata e fuga, mi volevo
regalare la scrittura di un singolo
(Nothing but you) lontano dai
canoni e dalle imposizioni di genere
che il mio passato mi costringeva
ad avere. Poi in realtà ci ho
preso gusto e ho scritto insieme a
Alessio Corrado alla voce e Jacopo
Festa alla produzione in studio,
#pastislost il mio primo ep datato
aprile 2018. Sei tracce di elettronica
e rock senza timori reverenziali;
ero riuscito a scrivere dei pezzi
che non seguivano le leggi del genere
in cui mi si etichettava, suono
come si suol dire quello che mi
piace. Dall’ep sempre per scherzo
inizio a giocare ma un po’ più seriamente
con la parte elettronica
della mia nuova avventura e da li
a poco senza accorgermene faccio
i primi passi verso il mondo dei
producer/dj; nascono cosi a breve
i remix di Crazy (smilax records),
Change, Choices (tutti brani presenti
nel mio ep ma stravolti in
chiave “dance” elettrica, fino ad
arrivare a Hello, uscita lo scorso
28 febbraio.
Vorrei sapere qualcosa sulla genesi
dell’ultimo singolo, Hello
Hello, appunto. Hai presente
quando si dice le congiunzioni
astrali? In questo momento di
stallo dovuto al lockdown e incognite
sul futuro mi giro indietro
al 2019 e sorrido. E’ successo
tutto velocemente, ho iniziato a
collaborare con 7skies dj producer
noto ai più come artefice dei
successi di Tiesto, KHSMR, Nervo
e via dicendo; insomma non proprio
l’ultimo arrivato al quale avevo
chiesto un supporto per il mix
e il mastering di Hello e la sua versione
remix. Scatta quello che in
gergo si dice stima a pelle reciproca,
lui ci mette del suo anche nella
produzione delle due versioni dei
brani e io nel frattempo inizio una
collaborazione come musicista
per la sua Standalone-music registrando
dapprima dei loop di chitarra
per il primo sound pack per
il vst Getlow e poi proseguo con la
registrazione di sample di chitarre
elettriche, (grazie a Lamina gtr e
nero gtr per la partnership) acustiche
e classiche per il secodo gtr
pack uscito poco prima della release
di Hello. La versione di Hello
sancisce un altro passo di avvicinamento
del mio vecchio suono
al mondo dell’elettronica. Uso
massiccio di synth e loop, ma non
ho abbandonato le chitarre heheh.
Poi dopo il mio viaggio a New
york dello scorso ottobre stringo
dei buoni rapporti con l’etichetta
indipendente (italiana) beatsound
di Beppe Stanco che mi prende
sottobraccio e mi pubblica i brani
e segue la promozione. Ritorno
alle origini, di nuovo “indipendente”.
Il video della canzone è molto
forte e d’impatto...
La regia del video è stata come
sempre affidata a Helena Gudkova
(cameragirlhelena) mia compagna
di video e visual fin dai tempi
degli Audrey. Ho totale fiducia in
lei e so che sa leggere bene nella
mia testa senza bisogno di perdere
tempo in chiacchiere. L’idea
della sceneggiatura quindi è un
mix della mia, embrionale e molto
semplice, con gli innesti geniali
della regista per rendere la confusione
e dicotomia che regna nel
mio cervello diciamo un po piu
fruibile. La storia apparentemente
banale esprime il concetto del:
“nella vita siamo il risultato delle
nostre scelte e da quelle spesso dipende
la nostra storia”. Ho voluto
inserire come protagonista Elisa,
la mia nipotina che ai tempi delle
riprese aveva 2 anni e attraverso
lei abbiamo raccontato le paure e i
ricordi di una bambina che cresce
e fa i conti col suo essere e diventare
donna. Il fatto che ci siano dei
riferimenti più o meno espliciti a
mondi come Madonna (Frozen) e
a film come Dal tramonto all’alba
o spunti alla 30 seconds to mars,
fa parte della mia deformazione
professionale (art director e fotografo)
che cerca sempre di posizionare
un prodotto anche sul
mercato e renderlo appetibile
Ci vuoi spiegare perché i singoli
escono affiancati dal remix?
No non sono un megalomane anche
se ci sono tutti gli elementi
per pensarlo. Per me la musica è
sempre stata una questione solo
ed esclusivamente di linguaggio
e genere. La musica è espressione
del proprio stato d’animo e del
momento in cui sono state scritte;
la formula che io chiamo “formula
oZZo” prevede per le uscite
dei singoli sempre i tre elementi
– Pezzo originale – remix – video
- perché credo che sia la sintesi del
mio progetto intero. Dopo che finisco
la stesura e l’arrangiamento
del brano mi chiedo sempre come
sarebbe se lo dovessi portare oltre
che live anche durante un mio dj
set; come potrei far convivere il
brano con pezzi di Aoki o 7skies
per l’appunto o CID o Chali e
quindi come dicevo prima scatta
la necessità di cambiare linguaggio
e portarlo sui temi della “dancefloor”
sempre mista al mio animo
noir, ma più “smuovi sedere”.
Questa schizofrenia artistica mi
permette anche durante i dj set di
portare slot di 30 minuti circa di
soli miei brani che non è male per
chi come me fino a poco tempo fa
componeva musica punk e ha ancora
nel cuore i Bad Religion.
Quali i tuoi prossimi progetti?
Prima di entrare in questa fase
di stallo, più fisico che artistico,
stavo preparando il live show cercando
di non parlare piu di oZZo
e oZZo dj poiché la dicotomia è
nata più per necessità di comunicazione
italiana che altro. Lo show
si compone di momenti live suonati
(chitarra voce batteria) con
stacchi alla consolle con la batteria
e momenti di Djset puro. Non
potendo prevedere quando, ma
soprattutto come potrò portarlo
in giro sto preparando la sua trasposizione
live probabilmete streaming
dal mio quartier generale
(#kspacemilano) e ne ho fatto uno
showreel demo di 20min. Sto anche
scrivendo i follow up di Hello
e soprattutto lavorando come
producer a vari progetti al di fuori
di oZZo come i Wolftheory e suonando
in streaming con la neonata
crew House of NoLo che sarebbe
dovuto essere il format per la
presentazione di Hello nei piccoli
club ma che la contingenza non
me lo ha permesso, per il momento.
Vi aspetto per ora nei canali
social e sulle piattaforme stream
ma non dispero che presto potremo
incontrare come si diceva una
volta, sotto il palco.
40
41
KMFROMMYILLS
Nell’ultimo singolo del duo, “The garden in_side” si concretizzano le
molteplici influenze che caratterizzano la musica di Caterina e Manuel
Partirei dal raccontare chi siete e
il motivo del vostro nome
Ciao a tutti e grazie dell’opportunità
di raccontarci. Il nome nasce
poco dopo l’incontro personale ed
artistico tra me (Manuel) e Caterina.
Riflette, in parte, la mia passione
per i giochi di parole e gli
acronimi. Quando ci siamo incontrati
abbiamo speso molto tempo
in un luogo bucolico, distante
kilometri dalla densità urbana,
in pratica, campi, fossi, colline,
uccelli notturni e cani da pastore.
Proveniamo entrambi da esperienze
musicali pregresse che hanno
contribuito a farci crescere sia
dal punto di vista umano che ar-
tistico e soprattutto, hanno mosso
in noi il desiderio di sperimentare
in questo progetto (composto da
due persone) territori musicali
che non avevamo ancora esplorato.
Ridurre l’organico, aumenta le
libertà e le responsabilità, quando
si vuole condividere l’etica e l’estetica
di quello che si produce.
Come nasce The garden in_side,
il vostro ultimo singolo e video?
The garden in_side nasce prima
come musica. Il testo è stato totalmente
ispirato dalla musica, la
melodia della voce si è generata
spontaneamente dall’ascolto. Parte
dei brani del progetto
(e questo in
particolare) indagano
la possibilità
della dimensione
domestica, intesa
come rifugio, spazio
concreto ma
anche dimensione
interiore, luogo in
cui poter coltivare
la creatività, ed
elaborare ciò che
poi restituirai al
mondo. Riguardo
al referente del
giardino interno,
esso non è una
pura idealizzazione,
ma corrisponde
alla realtà delle
cose, in quanto,
nella casa in cui
viviamo, piante e fiori occupano
spazio preponderante e godono di
importante attenzione (insieme ai
felini). Il video è stato completamente
realizzato da Martina Prosperi
aka IWRYN, un’artista visiva
con la quale siamo molto in sintonia
e con cui abbiamo collaborato
anche per la realizzazione del
video del singolo precedente. Esistono
numerose convergenze tra
la visione del mondo di Martina
e la nostra, è stato quindi molto
naturale affidarle il compito di costruire
un “visivo” per The garden
in_side. Quello che le abbiamo
chiesto, era di lavorare in totale
libertà, lasciandosi ispirare dall’ascolto
della canzone. E’ molto stimolante
pensare che qualcuno stia
traducendo, in un altro codice,
ispirazioni che tu stesso hai cercato
di tradurre in musica e parole.
La nostra collaborazione, infatti, è
in divenire e non si esaurisce con
questi due video.
Quali sono i vostri punti di riferimento
artistici e musicali?
Tutta la musica che abbiamo
ascoltato, ascoltiamo e ascolteremo,
molta letteratura, il teatro, la
performing art, l’arte visiva, il cinema.
L’umano. L’animale. La fisica.
La metafisica. Se vibra, ispira.
Quali sono i vostri prossimi progetti?
Il n°10 di Downing Street, il disco,
continuare a fare ciò che amiamo.
44
45
IRON MAIS
“Woodcock” è il nuovo album della band “rurale”, con un inedito e
molte riletture, alcune delle quali decisamente sorprendenti
Partiamo dalle radici: mi raccontate
come nasce “Woodcock”?
Woodcock, come tutti gli altri
album, nasce per dare energia,
buon umore e fibra a chi sceglie di
ascoltarci; siamo rimasti fedeli alla
nostra linea , le nostre interpretazioni
diventano come sempre dei
veri e propri nuovi pezzi renden-
do quasi irriconoscibili le versioni
originali, il tutto sempre accompagnato
da inediti,in questo caso
“Sole” che rappresenta chi siamo e
cosa pensiamo sempre con un po’
di sarcasmo e ironia.
Come avete scelto i brani di cui
fare la cover? C’è molto metallo
ma anche punk e qualche scelta
decisamente pop...
Veniamo tutti da estrazioni e
background musicali diversi,
classica, stoner, psychobilly, folk,
rock, hardcore eccetera eccetera e
quindi nei nostri album cerchiamo
di omaggiare oltre che gli ar-
tisti anche solo i
brani che abbiamo
amato e amiamo
tuttora sempre e
rigorosamente con
il “Cock” duro!
Mi raccontate
qualcosa dell’inedito,
Sole?
I nostri pezzi nascono
dalla voglia
di esprimere sentimenti,
pareri e
pensieri, di solito
i nostri brani sono
sempre ironicamente
pungenti
e nel caso di Sole
anche di protesta
verso quelle persone
che perdono
tempo vivendo infelici,
invidiose e
insoddisfatte invece di agire, passare
ai fatti e poi permettersi di riposarsi
e prendere il sole, appunto
da quí il titolo.
Con una cover che avete fatto in
passato avete duettato con l’artista
originale (Corona). Potendo
sceglierne una da “Woodcock”,
chi scegliereste per un duetto
ora?
Scegliere un artista con questa
parata di nomi storici sarebbe
impossibile, potremmo però fare
contenti tutti con un bel concerto
insieme ai Clash, ai Van Halen o
in un’altra vita con Michael Jackson,
perché no?!
Siete famosi per la voglia di sorridere
e le esibizioni dal vivo.
Pare che questo periodo ce le abbia
tolte entrambe. Come state
vivendo la quarantena?
Noi siamo un gruppo che vale
e dà molto dal vivo e questa situazione
non può che farci male,
come penso ai tanti musicisti nel
mondo nella nostra stessa situazione...
Viviamo un periodo che
passerà alla storia, in questo momento
di incertezze ci è consentito
soltanto aspettare come tutti il
ritorno della normalità anche nel
campo della musica. Ovviamente
in questo periodo ci dedicheremo
a qualche diretta on line o collaborazione
a distanza, a scrivere e
suonare ma soprattutto a restare
pronti per ricominciare ancora
più carichi e forti di prima.
48
49
SILEK
Si chiama “Carnival” il nuovo album del rapper proveniente da Padova:
più omogeneo e compatto, è soprattutto “il primo disco di Simone”
Ci vuoi raccontare chi è Silek?
Silek è lo pseudonimo di Simone,
un ragazzino che si è appassionato
al rap e a tutta la cultura
hip hop da molto piccolo e nella
metà degli anni ‘90 ha voluto farne
parte in maniera attiva. Prima
del rap c’era tanta altra musica, e
dal rap in poi altra ancora per cui
la contaminazione con altri generi,
sia per musica che scrittura ha
colorato e cambiato molto la connotazione
di quello che faccio rispetto
al rap nella sua versione più
ortodossa. Per dieci anni ho fatto
parte di Dozhens, la prima realtà
nata a Padova, poi diventato quasi
un laboratorio di sperimentazione
e crossover fra generi inventandosi
fra i primi il rap sulla musica
elettronica già all’inizio dei 2000.
Chiusa l’esperienza di gruppo
dopo 10 anni di live e tre album,
ho continuato la stessa ricerca da
solo. Tanti altri live, vari album
solisti, pause, esperienze e collaborazioni
negli States fino a qui
oggi. Negli anni mi sono appropriato
di una scrittura sempre più
personale, ho imparato a produrmi
la musica da solo. La mia è una
ricerca che porta a una modalità
comunicativa fatta a strati, non
facile, ma è una scelta, così come
un flow personale, complesso che
continuo a rivedere ed evolvere.
Magari domani Silek sarà solo
musica... o solo scrittura... o un
progetto multimediale interattivo...
vedremo.
Si parla di maschere con “Carnival”:
mi racconti con quali sentimenti
hai approcciato il lavoro
sul disco?
Volevo fosse il primo disco di Simone.
Lasciare il personaggio per
far parlare la persona, toccando le
parti più intime, lasciando fluire
le emozioni senza imbarazzi. Non
ci sono temi sociali, come di solito
era per la mia composizione, non
ci sono teoremi e visioni o messaggi,
c’è la mia parte emotiva più
profonda, nuda, difficile da scrivere
perché smuove cose che sono in
fondo. L’ho scritto composto e registrato
in tre mesi esatti e ci sono
tutte le esperienze, le emotività i
passaggi di questo periodo, è stato
davvero intenso e mi ha portato
a scrivere ogni giorno in maniera
continua e fluida. In Carnival
ci sono bui profondi ma c’è anche
la luce, c’è il far pace con pezzi
della mia vita, ci sono le mie paure
e le mie speranze. La sera mi
sedevo e scrivevo e dopo un’ora
avevo la bozza del brano con tanto
di ritornello. Mandavo.in giro
su whatsapp i provini annoiando
tutti quelli che si sentivano di sopportarmi
e tiravo le somme. Poi
smussavo.
Benché tu sia abituato a spaziare
tra i generi mi sembra che in
questo caso tu abbia scelto un
vestito sonoro molto omogeneo
e compatto. Da cosa nasce questa
scelta?
Volevo avesse delle tinte precise,
ho scelto una palette e vi sono rimasto
coerente, l’idea è che fosse
un ascolto esattamente dentro
quella stanza, con quegli odori e
quei suoni. E’ un disco hip hop
attuale, non vintage o nostalgico,
ha bpm molto bassi, utili a darmi
elasticità nella stesura del rap.
Credo sia stato davvero il progetto
più fluido e veloce del mio percorso,
togli mix e periodo covid dopo
tre mesi scarsi dall’idea di fare un
nuovo progetto (dopo il precedente
uscito a settembre) era tutto registrato
con sette brani e pronto a
uscire. Ho aggiunto solo la bonus
track Quarantema composta e registrata
a casa da me per ovvi motivi
di cronaca. Nel totale quattro
produzioni sono mie, tre di Nevo,
una di Skinny.
Chi sono i tuoi punti di riferimento
nell’hip hop italiano?
Vengo dall’ascolto di tutto il rap
anni ‘90, per Sangue Misto e LouX
sono stati i mentori che ancora mi
godo, oggi però non riesco più ad
ascoltare artisti della mia generazione
ancora in giro, sono stati
ottimi maestri ma che sento non
appartenermi più. Fra i più attuali,
anche se a loro volta di lungo percorso,
ascolto e apprezzo molto
Noyz Narcos, Salmo, Marracash,
Primo Brown (RIP), Mezzo Sangue,
ma anche qualcuno di più
giovane ancora che si muove in
altri territori.
Che cosa pensi della situazione
attuale l’hai spiegato bene in
“Quarantema”... Che cosa farai
“all’uscita”?
Qualsiasi cosa io dica verrà confutata
e resa merda dalle due grosse
fazioni che vedo andare a crearsi,
future contro no future, negazionismo
contro fine del mondo.
Credo che ne usciremo, ma una
parte di noi è in preda al panico,
credo che subire la paura sia il rischio
più dannoso del virus stesso
che va amministrato con responsabilità,
ma presto o tardi passerà.
Il problema è se rimane la paura.
All’uscita farò quello che ho sempre
fatto: cercare di costruire cose
positive, solo che per un periodo
lo farò con la mascherina.
52 53