TRAKS MAGAZINE 034
Ecco il nuovo numero di TRAKS MAGAZINE! La rivista di TRAKS, tutta online e da sfogliare subito, per il numero di giugno prevede in copertina Mezzalibbra e all'interno interviste a Esc, Rio, Synthagma Project e Samuele Fortunato. Leggila subito!
Ecco il nuovo numero di TRAKS MAGAZINE! La rivista di TRAKS, tutta online e da sfogliare subito, per il numero di giugno prevede in copertina Mezzalibbra e all'interno interviste a Esc, Rio, Synthagma Project e Samuele Fortunato. Leggila subito!
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MAGAZINE
Numero 34 - giugno 2020
MEZZALIBBRA
brillare di luce propria
ESC
RIO
SYNTHAGMA PROJECT
SAMUELE FORTUNATO
sommario
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Mezzalibbra
ESC
Rio
Synthagma Project
Samuele Fortunato
Questa non è una testata giornalistica poiché viene aggiornata
senza alcuna periodicità. Non può pertanto
considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge
n. 62/2001. Qualora l’uso di un’immagine violasse
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MEZZALIBBRA
brillare di luce propria
“Cometa” è il nuovo singolo del cantautore , legato alle proprie origini, con
modelli molto nobili e un altro singolo in arrivo a breve
Ci racconti chi è Mezzalibbra?
Mezzalibbra non è altro che il soprannome
della famiglia di mio
padre. Ho voluto prenderlo in
prestito e utilizzarlo nel mio percorso
musicale perché rimanda
alle mie origini e al forte legame
spirituale che ho con la natura.
Mezzalibbra rappresenta ciò che
sono, ciò che sono stato e ciò che
sarò ed è, quindi, il marchio che
mi porterò sempre addosso.
Raccontaci la genesi di “Cometa”
“Cometa” è un messaggio di speranza
e di coraggio di essere sé
stessi ed è nato tutto una sera
d’estate mentre ero a cena con la
mia attuale fidanzata. Dietro di lei
passa una cometa, che non avevo
mai visto prima, e mi ha sbalordito
il modo in cui, abbia illuminato
per un istante un cielo totalmente
buio. Il messaggio di “Cometa”
è proprio questo: brillare di luce
propria anche se tutto intorno è
spento. Non bisogna mai permettere
a niente e nessuno di soffocare
la propria luce.
“Cometa” è accompagnata anche
da un video. Dove te ne vai con
quella Panda blu a fine clip?
Per il primo video non ho voluto
fare niente di particolare, soltanto
una presentazione del personaggio
e del mio primo singolo
e la Panda è una sorta di reliquia
per me. Mi è stata regalata da mio
nonno e mi ha portato ovunque,
non mi ha mai deluso. Ho voluto
presentarmi a 360 gradi nel primo
video, mettendo in risalto anche
alcuni oggetti importanti per me.
Comunque, ero alla fine delle riprese
e quella è stata proprio l’ultima
scena girata, quindi probabilmente
ero in procinto di tornare
a casa a mangiarmi un piatto di
pasta.
Quali sono i tuoi punti di riferimento
nella musica italiana di
oggi?
Stimo in particolare due artisti:
Neffa e Max Gazzè. Neffa partì
dal rap e ha toccato tantissimi generi
in maniera geniale. Gazzè è
un grande cantante nonché uno
dei bassisti migliori in Italia, a
mio avviso. Li stimo per il grande
contributo che danno alla musica
italiana, spero di poterli conoscere
un giorno. Nel frattempo, mi
limito ad ascoltarli tanto e anche
prendere spunti dalla loro musica.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
A breve uscirà il secondo singolo
intitolato “XXL” e sarà il singolo
che anticiperà il primo album, che
spero di far uscire in autunno. Io
e la mia band stiamo lavorando
sodo e sono davvero contento di
condividere questo percorso insieme
a loro. Sono sicuro che lavorando
bene insieme potremo toglierci
qualche bella soddisfazione
e vivere diverse esperienze importanti.
Ma intanto, lavoriamo umilmente
ma sempre a testa alta.
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ESC
“Argonauta” è il “disco 0” del cantautore romano, con un range di ispirazione
che va da Battiato a Cremonini e tanti progetti in testa
Raccontaci chi è ESC
Sono un ragazzo che è arrivato a
laurearsi in ingegneria con la musica
in testa e sentendo di avere
delle cose da tirare fuori, e adesso
ho iniziato a farlo.
Vorrei capire alcune cose rispetto
ad “Argonauta”: intanto perché
questo titolo, e poi perché lo
definisci “disco 0”
Argonauta è una parola alla quale
sono legato da tanto tempo sia per
la storia a cui rimanda sia perché
rappresenta il mio legame con le
persone con cui ho condiviso l’adolescenza.
In più per me racchiude
le due basi del disco, un approccio
cantautorale e la ricerca di
un suono che includesse influenze
elettroniche. Mi è capitato di parlare
di disco 0 perché Argonauta
rappresenta un passaggio molto
forte nella mia vita, per i cambiamenti
che ha portato e la relativa
velocità con cui sono avvenuti. Mi
sono tuffato, spinto dalle canzoni.
Raccontami qualcosa anche de
La principessa sul triciclo, il primo
singolo
È una delle canzoni più intime del
disco, e una delle mie preferite.
Ho cercato di esprimere protezione
nei confronti dei momenti di
fragilità delle persone e del rispetto
delle loro scelte.
Tre nomi che ti piacciono particolarmente
della musica italiana
Ce ne sono moltissimi. Mi è sempre
piaciuto molto Battiato. Stimo
molto le canzoni e il percorso di
Cremonini e seguo i progetti di
Niccolò Contessa nelle sue varie
vesti.
Visto che “Argonauta” è il “disco
0”, hai già qualche idea rispetto
al “disco 1”?
Il periodo tra la scrittura e l’uscita
di Argonauta è stato molto intenso,
mi ha regalato una serie di
nuove porte aperte da esplorare.
Non ho smesso mai di scrivere in
questo periodo ma sto iniziando a
lavorare a nuove cose, al momento
invertendo i passaggi rispetto
al modo in cui ho realizzato Argonauta.
Sento il bisogno di provare
a partire dal suono.
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RIO
State of Mind è il nuovo album di un musicista esperto e con alle spalle
numerose collaborazioni di grande prestigio
Ci racconti chi è Rio?
Rio è il nome d’arte che scelsi
quando nel 1991 entrai a far parte
della Band dei Sold Out. Il motivo
di questa scelta è stato semplicemente
perché avevo bisogno di
un nome facile da ricordare. Ebbi
l’ispirazione da un film di Marlon
Brando nel quale interpretava un
personaggio che si chiamava Rio.
Rio è la parte di me con la quale
convivo dall’età di 9 anni e che mi
ha dato la possibilità di toccare i
miei sogni musicali.
Raccontaci di State of mind:
come sono andate le lavorazioni?
È cominciato tutto nel 2019 quando
incontrai Gino D’Ignazio,
grande musicista, al quale spiegai
cosa avevo in mente di fare. Così,
dopo aver scambiato con lui alcuni
punti di vista inerenti al progetto,
decisi di affidargli la produzione
artistica. Avevo già sei brani
completi, gli altri 4 in ordine di
tempo sono venuti durante la lavorazione
del disco e sono: Loving
you is a bad affair, Your eyes,
Don’t stop the rhithym e if you let
me say. Durante la lavorazione
dell’album ho voluto fortemente
la collaborazione di grandi musicisti
tra cui Sergio Orso, grandissimo
organista residente a Miami.
Aurelio De Stefanis, chitarrista
di livello internazionale. Le batterie,
invece, sono state registrate
da Giancarlo Ippolito e Sergio Di
Natale, due musicisti fantastici e
di grande esperienza e Vincenzo
Boemia, chitarrista eclettico. I cori
sono stati eseguiti da due talentuosissime
cantanti, Alessandra
Cicceriello e Martina Doni.
Perché hai scelto di cantare in
inglese?
Non è una vera e propria scelta,
ma un ritorno naturale su un
percorso tracciato con i Sold Out
anni prima ma anche dettato dal
fatto che ho sempre ascoltato i
grandi artisti americani come i
Platters, Stevie Wonder, Donny
Hathaway eccetera
Qual è la canzone del disco alla
quale sei più legato?
Sono legato a tutte le canzoni del
disco, ma se proprio fossi costretto
a sceglierne una, sceglierei If
you let me say l’ultima, in ordine
di tempo che ho scritto e a cui
sono particolarmente legato.
Hai collaborato con tantissimi
grandi musicisti. Qual è la collaborazione
che ti è rimasta maggiormente
nel cuore?
Senza dubbio quella con Gigi
Canu, Sergio Della Monica e Alessandro
Sommella. I produttori dei
Sold Out, oggi Planet Funk. Con
loro ho vissuto l’arte della musica
nel senso più profondo e costruttivo
del termine calcando palchi
come il teatro Hippodrome di
Londra, trasmissioni televisive alla
BBC One fino alla partecipazione
al festival di Sanremo come gruppo
ospite internazionale.
Quali saranno i tuoi prossimi
progetti?
Per quanto riguarda i miei prossimi
progetti, al momento non mi
soffermo molto poiché sono concentrato
su questo che ho in uscita
e al quale sento di dedicare tutto il
mio tempo e la cura di cui esso ha
bisogno.
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SYNTHAGMA
PROJECT
“Onirica” è il nuovo disco della formazione nata da una costola degli
InChanto e con orizzonti molto liberi e variegati
Come nasce il progetto? E perché
la necessità di “staccarvi” da
InChanto?
Quello di InChanto (a questo proposito
quest’anno fanno 20 anni
dal nostro debutto discografico
con Muliermala) è un progetto
nato alla fine degli anni ‘90. Con
esso abbiamo avuto la possibilità
di suonare in situazioni stimolanti
e in contesti più disparati sia in
Italia che all’estero. Sin dagli inizi,
per una scelta progettuale e per il
tipo di organico, abbiamo impostato
il nostro repertorio, interamente
originale, su partiture completamente
scritte e rigide. Questo
nel corso degli anni ha determinato
un po’ una standardizzazione
della nostra scrittura. Per evitare
questa sorta di stagnazione e di
ripetitività dei nostri cliché abbiamo
sentito l’esigenza di un cambio
di rotta. E’ nato così il progetto
Synthagma con cui ci siamo voluti
svincolare da questa sorta di gabbia
in modo da dare un taglio netto
a quanto fatto in precedenza.
Quindi via libera ad ampi spazi
per l’improvvisazione cambiando
completamente, se non addirittura
rovesciando, il metodo
di comporre e arrangiare i brani.
Molti di essi nascono in studio,
magari ispirati semplicemente da
un suono o da un accordo venuto
fuori quasi per caso e solo dopo
viene fissata su carta una “traccia”
di riferimento. In questo modo si
aprono decine di strade: non resta
che imboccare quella che più senti
vicina in quel determinato attimo
e che puoi scegliere di cambiare
anche nel corso dei concerti.
Mi sembra che le influenze in
questo lavoro siano molto diversificate.
Come avete scelto i brani
da inserire?
La curiosità deve essere la chiave
di tutto quando si ha la voglia di
proporre qualcosa di diverso e di
personale. Questo in ambito artistico
in generale e a maggior ragione
in quello musicale. I nostri
ascolti sono quindi molto variegati,
passando senza preclusioni di
sorta, da Miles Davis ai Fairport
Convention, da Debussy ai Led
Zeppelin alle Cantigas de Santa
Maria, dal Canterbury sound
a Dvoràk. E in questo contesto è
stato inevitabile prendere come
base di partenza il progressive
degli anni ’70, sia per l’intento di
fondere più generi musicali rifuggendo
dai canoni classici della forma
“canzone”, che per l’attenzione
al progetto grafico: quindi King
Crimson, Van Der Graaf Generator,
Gentle Giant, Genesis, Jethro
Tull eccetera rivestono un ruolo di
primo piano tra le nostre influenze.
Per la composizione del repertorio
non abbiamo fatto, in realtà,
una scelta ragionata dei brani ma
sono stati i brani che… hanno
scelto noi. Il nostro progetto nasce
fondamentalmente dall’esigenza
di comporre musica originale. E’
successo, però, che ci siamo imbattuti
in alcune composizioni di
musica antica come Voi ch’amate o
Huron carol con cui siamo entrati
subito in sintonia facendoli praticamente
nostri. Si è trattato anche
di una sorta di sfida: “riscrivere”
brani che hanno attraversato i secoli,
dandone una diversa chiave
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di lettura
che, speriamo,
risulti
altrettanto
affascinante.
Come nasce
“Fragments”
e perché l’avete scelta come singolo
e video?
Quando abbiamo dato vita al progetto
una delle cose che più ci intrigavano
era quella di “estrarre”
sonorità inusuali da strumenti
acustici che, pur con tutte le loro
limitazioni come nel caso della
ghironda, conservavano il loro
fascino arcaico. Fragments, che
è nato quasi per caso nel nostro
studio di registrazione, nella sua
brevità è quasi un “corpo estraneo”
all’interno di un cd in cui la
maggioranza dei brani sono strutturati
in modo abbastanza esteso
e complesso. Al tempo stesso esso
costituisce una sorta di “compendio”
della nostra filosofia musicale
e del lavoro fatto per Onirica: al
suo interno coesistono improvvisazione,
suoni acustici e voce, il
tutto modificato e filtrato. Il video,
quindi, anziché “raccontare una
storia” legata al testo ci ha permesso
piuttosto di esprimere anche
per immagini le sensazioni e
le atmosfere che vogliamo comunicare
con la nostra musica.
Siete musicisti esperti e collocati
in posizione decisamente “alternativa”
rispetto alle tendenze
odierne. Qual è il vostro giudizio
sulla musica italiana in questo
momento?
Abbiamo cominciato a suonare,
purtroppo o per fortuna, quando
ancora non c’erano talent o contest
vari: l’unico modo per esibirsi
erano sale da ballo, sagre e discoteche.
Era la cosiddetta “gavetta”:
situazioni spesso non molto
esaltanti ma che ti permettevano
di confrontarti con molti generi
musicali diversi e di crescere “on
the road”. Riuscivamo con fatica
a ritagliarci comunque degli
spazi dove poter fare ascoltare le
nostre cose. I mezzi che abbiamo
attualmente a disposizione (parlo
di internet, ma anche di scuole
di ottimo livello e di stage) hanno
permesso a molti giovani musicisti
di crescere molto più rapidamente
e con un tasso tecnico im-
pressionante: purtroppo la voglia
di “sfondare” subito relega spesso
in secondo piano la parte “creativa”
della musica, sprecando così
dei talenti notevoli. I fermenti
creativi degli anni ‘70 e ‘80, la voglia
di fare qualcosa di diverso si
sono persi per strada, facendo posto,
con l’instaurarsi della società
dell’apparire, a un’omologazione
verso il basso quale scorciatoia
per il successo (effimero in molti
casi). Questo grazie ad un’industria
musicale sempre più miope
ed interessata solo al profitto e
ad una cultura musicale sempre
più povera per il disinteresse della
scuola e delle istituzioni. Però,
cercando bene, riusciamo a scovare
delle cose notevoli a cui andrebbe
data la possibilità di avere
più spazio e maggiore visibilità.
In questo contesto è molto importante
l’attività delle cosiddette
“etichette indipendenti” che hanno
il merito, nonostante le grosse
difficoltà con cui si scontrano, di
privilegiare l’aspetto creativo.
Quali i vostri progetti futuri?
Intanto vogliamo ricominciare a
fare concerti in modo da portare
finalmente i brani di Onirica davanti
a un pubblico “reale” e non
solo virtuale. Purtroppo l’anno
scorso abbiamo dovuto annullare,
per motivi di salute, tutti le date
fissate ritardando di conseguenza
anche l’uscita del cd. Quest’anno,
invece, con il disco appena stampato
abbiamo dovuto affrontare
un ulteriore stop forzato dovuto
al Covid-19. La speranza è di poter
iniziare già con l’estate. Inoltre
vorremmo sviluppare nei nostri
spettacoli dal vivo l’aspetto “immagine”,
elemento fondamentale
del nostro progetto, attraverso
animazioni, magari partendo proprio
dai disegni del booklet dove
abbiamo contaminato foto, elaborazione
grafica e disegno. Infine
stiamo già pensando a un nuovo
disco: infatti, oltre ad alcuni brani
che pur essendo eseguiti regolarmente
in concerto non hanno trovato
posto nel Cd, abbiamo anche
diverso materiale non utilizzato
durante le registrazioni che potrà
costituire una buona base di partenza
per nuove composizioni.
Ma per il momento... godiamoci
Onirica.
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SAMUELE FORTUNATO
Di Chiara Orsetti
25 anni, originario di Como, Samuele Fortunato ha pubblicato il suo secondo
ep, intitolato Ta Da! “Questo disco è la mia redenzione, nasce in un
nuovo ciclo vitale che ho intrapreso”, racconta l’artista, che ha da poco
deciso di dedicare completamente la sua vita alla musica
Ta Da! è il tuo secondo ep, un
progetto semplice ma allo stesso
tempo carico di significati…
ci racconti come è nato e la tua
esperienza in Val Bormida?
Ta Da! nasce quasi per caso, sei
tracce scritte di getto, alcune nel
periodo appena precedente all’uscita
del disco e altre scritte nel
corso degli anni. In Val Bormida
ci capitai per caso, fu la prima
meta del mio viaggio alla Kerouac,
senza un soldo in tasca e con le
idee molto confuse. Scoprii Teatro
Cantiere, un’associazione culturale,
che mi ospitò e mi diede modo
di registrare i pezzi. In quella casa
ci vive Zeff, un musicista straordinario
e completamente pazzo che
mi è stato vicino durante le incisioni,
è lui che suona la tromba in
Lisbona – Pisa.
I riferimenti letterari all’interno
delle tue canzoni non mancano:
oltre ai grandi classici, che tipo
di lettura ti appassiona?
Non saprei definire con esattezza
un determinato tipo di letture
“preferite”, vado a momenti e mi
affido molto all’ispirazione. Mi
piacciono quei libri dove ogni frase
è un macigno, una pugnalata,
quei libri che ti fanno fissare il
vuoto dopo ogni parola.
Uno dei brani che ha maggiormente
colpito la nostra attenzione
è Baudelaire, per l’atmosfera,
la malinconia e la sensazione
di essere fuori dal tempo e dallo
spazio. Ci racconti di come è
nato il brano?
Baudelaire nasce sette anni fa, in
una cucina, in una casa, in una
notte. Vivevo ancora con la madre
di mia figlia, e una sera, dopo aver
sistemato i giocattoli della bambina,
mi misi seduto e il primo ver-
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so (“riordino il disordine che hai
lasciato dentro il cuore mio”) mi
piombò addosso. Avevo accanto
a me i Diari intimi di Baudelaire,
così cominciai a leggere qualche
frase qua e là e la canzone prese
forma. Parla di due diverse donne
che hanno fatto parte in modi diversi
della mia vita, nella canzone
sono diventate una sola, per esigenze
poetiche diciamo.
Sei diventato padre giovanissimo,
e nonostante le “responsabilità”
leggo che da poco hai
abbandonato tutto ciò che non
riguarda la musica. Un salto
importante, che sicuramente
richiede un grande coraggio…
Cosa consiglieresti a chi non è
ancora sicuro di “mollare tutto”
per seguire la musica, o più in
generale, un sogno?
Lasciare tutto non è per forza la
soluzione migliore, aiuta però,
ecco tutto. Non avere un piano b
ti sprona, o ce la fai o non mangi.
Nel mio caso preferisco non avere
neanche un piano a, se non hai un
piano non può andarti male.
La chitarra è stato il tuo primo
strumento e una grande passione.
Ci sono artisti a cui ti sei
ispirato? Come sono cambiati i
tuoi gusti
nel corso
degli
anni?
Sono cresciuto
ascoltando
Rino
Gaetano
e Battisti
con mia
madre,
passando
per Vasco
e Venditti.
Mio fratello
e mio padre mi contagiarono
con la passione per i Doors. La
figura di Morrison mi ha permesso
di scoprire scrittori che sono
poi diventati i miei punti di riferimento.
La seconda moglie di mio
padre mi fece scoprire Bowie, e
non la ringrazierò mai abbastanza
per questo. In breve tempo David
Bowie divenne per me un idolo
indiscusso. Mi ispiro molto però
ai cantautori classici italiani, De
Andrè, Capossela, cose così insomma.
Chiara Orsetti
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