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La Rivista

A project by Rita Petrilli and Graziana Saccente Publishing lab 1 · Iuav University of Venice Tutor: Leonardo Sonnoli Year: 2012 This anthology is a collection of materials, texts and images on Futurism, the only avant-garde movement in Italy. The Futurists took care of all forms of expression: painting, sculpture, literature, music, architecture, theater. The anthology, however, focuses on the typographic revolution carried out by the movement, and then on editorial production, particularly magazines and posters.

A project by Rita Petrilli and Graziana Saccente
Publishing lab 1 · Iuav University of Venice
Tutor: Leonardo Sonnoli
Year: 2012

This anthology is a collection of materials, texts and images on Futurism, the only avant-garde movement in Italy. The Futurists took care of all forms of expression: painting, sculpture, literature, music, architecture, theater.
The anthology, however, focuses on the typographic revolution carried out by the movement, and then on editorial production, particularly magazines and posters.

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1




Università degli Studi di Venezia

Facoltà di Design e Arti

Corso di laurea magistrale in comunicazioni visive e multimediali

Laboratorio di design della comunicazione 1

a.a. 2011/2012

docenti

Leonardo Sonnoli, Gabriele Toneguzzi, Thomas Bisiani

ricerca antologica

a cura di Rita Petrilli, Graziana Saccente

caratteri tipografici

Universe Std, Caslon Std

stampa e legatura

Al Canal - Venezia


Indice

Prefazione

5

Sezione uno

7

RIVOLUZIONE TIPOGRAFICA

. Scrivere futurista

. Tavole parolibere

9

18

MANIFESTI

. Il manifesto del futurismo

. L’arte di fare manifesti

. Manifesti celebri: immagini

23

24

32

STORIA DELLA GRAFICA EDITORIALE FUTURISTA

. Il ruolo delle riviste

. La grafica dei periodici futuristi

. Le riviste e la grafica razionalista

. Gli anni eroici: 1909-1915

. Guerra e dopoguerra

. Anni Venti

. Movimeno e giornali a Gorizia

. Anni Trenta

. Epilogo

41

43

51

54

76

85

91

96

106


Sezione due

109

RIVISTE FUTURISTE

. Elenco dei giornali futuristi

. Poesia

. Lacerba

. La Balza futurista

. Vela Latina

. L’Italia Futurista

. Noi

. Roma futurista

. Dinamo

. L’ Aurora

. 25

. Futurismo

. Dinamo futurista

. Sant’Elia

. Stile futurista

. Artecrazia

110

131

145

169

177

187

199

215

219

227

233

235

241

253

257

263

TESTATE FUTURISTE

. Raccolta delle principali testate: immagini

267

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

275


Prefazione

Questa antologia è una raccolta di materiali, testi

e immagini, sul futurismo, unico movimento d’avanguardia

storica in Italia.

I futuristi si occuparono di ogni forma di espressione:

pittura, scultura, letteratura, musica, architettura,

teatro. La ricerca antologica, però, si concentra

sulla rivoluzione tipografica attuata dal movimento, e

quindi sulla produzione editoriale, in particolar modo

riviste e manifesti teorici contenuti all’interno di esse.

Attraverso lo studio di questi documenti, considerati

oggetti di culto e spesso di non facile reperibilità, si è

cercato di ricostruire le tappe più importanti dell’avventura

futurista, che va dal momento in cui il movimento

decolla (1909) fino alla morte del fondatore

Marinetti (1944).

Oltre che sul contenuto delle pubblicazioni, ci si è

soffermati sull’aspetto grafico e tipografico, in quanto

l’elemento visivo costituisce parte integrante della

poetica futurista.

Il libro si compone, dunque, di due parti principali.

La prima è una raccolta di testi e informazioni inerenti

la storia della grafica editoriale futurista, mentre

la seconda è una sezione iconografica delle principali

testate.



Sezione uno

Barattin, Dino; De Grassi, Marino; Scudiero, Maurizio. 1992.

Parole in libertà: libri e riviste del futurismo nelle Tre Venezie.

Monfalcone : Edizioni della Laguna.

Baroni, Giorgio. 2005. Il Futurismo sulla rampa di lancio. «Poesia»,

1905-2005, Atti del convegno internazionale. Milano: Università Cattolica

del Sacro Cuore.

Bonito Oliva, Achille. 2009. Futurismo Manifesto 100x100, 100 anni

per 100 manifesti. Electa.

Bove, Giovanni. 2009. Scrivere futurista: la rivoluzione tipografica

tra scrittura e immagine. Roma : Nuova cultura.

Fanelli, Giovanni. 1988. Il futurismo e la grafica. Milano: Edizioni

di Comunità.

Lista, Giovanni. 1984. Le livre futuriste. Modena: Panini.

Salaris, Claudia. 1980. Marinetti editore. Bologna: il Mulino.

Salaris, Claudia. 1985. Storia del futurismo: libri, giornali, manifesti.

Roma: Editori riuniti.

Salaris, Claudia. 1992. Artecrazia: L’avanguardia futurista negli anni

del fascismo. Firenze: La Nuova Italia.

Salaris, Claudia. 2001. La rivoluzione tipografica. Introduzione

di Claudia Salaris. Milano, Edizioni: Sylvestre Bonnard.


RIVOLUZIONE TIPOGRAFICA


Scrivere futurista

Io inizio una rivoluzione tipografica diretta contro la bestiale e

nauseante concezione del libro di versi passatista e dannunziana,

la carta a mano seicentesca, fregiata di galee, minerve e apolli, di

iniziali rosse a ghirigori, ortaggi, mitologici nastri da messale, epigrafi

e numeri romani. Il libro deve essere l’espressione futurista

del nostro pensiero futurista. Non solo. La mia rivoluzione è diretta

contro la così detta armonia tipografica della pagina, che è

contraria al flusso e riflusso, ai sobbalzi e agli scoppi dello stile che

scorre nella pagina stessa. Noi useremo perciò in una medesima

pagina, tre o quattro colori diversi d ‘inchiostro, e anche 20 caratteri

tipografici diversi, se occorrerà. Per esempio, corsivo per una

serie di sensazioni simili e veloci, grassetto tondo per le onomatopee

violente. Con questa rivoluzione tipografica io mi propongo di

raddoppiare la forza espressiva delle parole.

Così scrive F. T. Marinetti in Distruzione della sintassi.

Immaginazione senza fili. Parole in libertà (11 maggio

1913). Con una simile ‘rivoluzione’ la tipografia viene

utilizzata in funzione lirico-espressiva e, emancipatasi

dal ruolo di ancella della scrittura, svolge un compito

essenziale nella costruzione di un’opera letteraria.

Salaris. La rivoluzione tipografica. 5

F. T. Marinetti,

L’immaginazione

senza fili e le parole

in libertà, pag. 34

[...] Per il loro specifico carattere grafico, i testi futuristi

derivati dalla pratica della cosiddetta rivolu-

9


F. T. Marinetti,

Lo splendore

geometrico

e la sensibilità

meccanica,

in “Lacerba”,

pag. 167

zione tipografica avviata da alcuni scritti di Filippo

Tommaso Marinetti, il leader del movimento, possono

essere considerati come una sintesi esemplare di due

modalità espressive radicalmente diverse: la scrittura

e l’immagine.

[...] La riflessione sulla letteratura e sulle forme

espressive che essa andava assumendo in quel periodo

maturò attraverso tre scritti firmati da Marinetti e

orientati a trasformare radicalmente il sistema espressivo

alla base del fare letterario: la scrittura. Questi

scritti, riconosciuti per il loro carattere non solo teorico

ma anche tecnico, sono indicati come pilastri del paroliberismo

futurista: Manifesto tecnico della letteratura futurista

(1912), Distruzione della sintassi-Immaginazione

senza fili-Parole in libertà (1913), Lo Splendore geometrico

e la sensibilità meccanica (1914). Dopo la diffusione

di questi manifesti, Marinetti continuò a teorizzare e

praticare la nuova letteratura futurista.

[...] L’esposizione di alcuni punti teorici di questi

scritti risultano così utile per comprendere il nesso tra

la tecnica tipografica prevista da Marinetti e il risultato

in termini di rappresentazione con un linguaggiodell’attività

artistico-letteraria di coloro che scelsero di

“scrivere futurista”. Nel Manifesto tecnico della letteratura

futurista si legge: [...] bisogna fondere direttamente

l’oggetto con l’immagine che esso evoca, dando l’immagine

in scorcio mediante una sola parola essenziale».

Sebbene la terminologia marinettiana non si sia

mai chiaramente soffermata sulla definizione del concetto

di immagine, è opportuno rilevare che il trattamento

previsto per il sistema della scrittura finì per

generare aspetti plastico-visibili fortemente ancorati

alla tecnica di realizzazione del testo.

10


[...] nella prima fase del Manifesto tecnico (1912), si

esplicita che principi e regole di composizione del

testo saranno il bersaglio prescelto dagli scrittori futuristi:

si tratta allora, di riconoscere «[...] l’inanità ridicola

della vecchia sintassi ereditata da Omero [...]»

per cui «Bisogna distruggere la sintassi disponendo

dei sostantivi a caso, come nascono». Di conseguenza,

diversi punti programmatici di questo manifesto

introducono gradualmente il trattamento da riservare

a sostantivi, verdi, aggettivi, avverbi e congiunzioni.

Inoltre, il potere evocativo e di “stupefazione” che

può essere veicolato attraverso un linguaggio letterario

maturato da particolari scelte stilistiche, è presentato

con tutta la sua carica novatrice: il manifesto,

infatti, si chiude introducendo le parole in libertà

derivate dall’assenza di punteggiatura e quindi dalla

«[...] continuità balia di uno stile vivo che si crea da sé,

senza le soste assurde delle virgole e dei punti».

[...] Nell’impianto teorico-letterario tracciato da

Marinetti le parole in libertà possono essere associate

non solo al «[...] bisogno furioso di liberare le parole»

ma anche alla suggestiva possibilità di non pensare le

composizioni liriche attraverso le scelte stilistiche in

senso stretto e la carica linguistico-eversiva implicitamente

vincolata dalla volontà di un rinnovamento radicale.

Questo aspetto e emergerà con ulteriore enfasi

in altri scritti tecnici, a partire dalle Risposte alle obiezioni

pubblicate pochi mesi dopo il Manifesto tecnico

del 1912. Ecco uno dei passaggi più importanti:

Le parole liberate dalla punteggiatura irradiando le une sulle altre,

incroceranno i loro diversi magnetismi, secondo il dinamismo

ininterrotto del pensiero. Uno spazio bianco, più o meno lungo,

11


indicherà al lettore i polsi ai sogni più o meno lunghi dell’intuizione.

Le lettere maiuscole indicheranno al lettore i sostantivi che

sintetizzano un’analogia dominatrice.

E ancora dallo stesso scritto:

La distruzione del periodo tradizionale [...] e della punteggiatura

determineranno necessariamente il fallimento della troppo famosa

armonia dello stile, così che il poeta futurista potrà finalmente

utilizzare tutte le onomatopee, anche le più cacofoniche, che riproducono

gli innumerevoli rumori della materia in movimento.

Le Risposte marinettiane amplificano non solo il

senso di libertà lirico-compositiva che deriva dalla distruzione

della sintassi ma predispongono anche alla

possibilità di immaginare un tipo di relazione fra l’intuizione

lo spazio bianco della pagina-o meglio della

superficie-su cui comporre (o forse “disporre”) le

parti del discorso. Per la prima di queste ultime due

citazioni, in effetti, si potrebbe riconoscere un’origine

remota in un punto del Manifesto del 1912: «siccome

ogni specie di ordine è fatalmente un prodotto

dell’intelligenza cauta e guardinga bisogna orchestrare

le immagini disponendole secondo un maximum di

disordine». Tuttavia, sebbene quest’ultimo sia ormai

convalidato come uno dei capisaldi della teoria parlolibera,

il riferimento alla spazialità non risulta tanto

evidente quanto nel passato estratto dalle Risposte alle

obiezioni.

Continuando, nel secondo scritto tecnico dal titolo

ancora più esplicito Distruzione della sintassi. Immaginazione

senza fili. Parole in libertà (1913) si ritrovano

due sezioni destinate a sancire definitivamente il

12


passaggio dalla distruzione dell’armonia dello stile a

quella dell’armonia tipografica della pagina. Nella prima,

dal titolo Rivoluzione tipografica, compaiono alcune

indicazioni per l’uso di caratteri tipografici destinati

a «[...] raddoppiare la forza espressiva delle parole».

Nell’altra, sull’ortografia libera espressiva lo stesso

passaggio è reso in maniera ancora più incisiva inquadrandolo

fin dall’inizio nella seguente considerazione:

«Da necessità storica dell’ortografia libera espressiva

è dimostrata dalle successive rivoluzioni che hanno

sempre più liberato dai ceppi e dalle regole la potenza

lirica della razza umana». Infine l’ultimo punto della

sezione sull’ortografia si dimostra molto significativo.

Oggi non vogliamo più che l’ebrietà lirica disponga sintatticamente

le parole prima di lanciarle fuori coi fiati da noi inventati, ed

abbiamo le parole in libertà. Inoltre la nostra ebrietà lirica deve

liberamente deformare, riplasmare le parole, tagliandole, allungandone,

rinforzandone il centro o l’estremità, aumentando o diminuendo

il numero delle vocali delle consonanti. Avremo così

la nuova ortografia che io chiamo libera espressiva. Questa di deformazione

istintiva delle parole corrisponde alla nostra tendenza

naturale verso l’onomatopea. Poco importa se la parola deformata,

diventa equivoca.

[...] Nell’affinare ulteriormente l’attacco alla sintassi,

nel terzo manifesto tecnico Lo splendore geometrico

e meccanico e la sensibilità numerica (1914) Marinetti

introduce un nuovo fondamentale concetto per valorizzare

la pratica e gli effetti delle parole in libertà:

si tratta della “multiforme prospettiva emozionale”

destinata a distruggere quella prospettiva scientifica

e fotografica ancora contenuta nel periodo sintattico.

13


Soprattutto, questo manifesto include fondamentali

osservazioni che stimolano il mutamento tecnico-formale

che “lascerà slittare” agli scrittori futuristi verso

la realizzazione delle tavole parolibere. In particolare:

Con le parole in libertà, noi formiamo talvolta delle tavole sinottiche

di valori lirici, che si permettono di seguire leggendo contemporaneamente

molte correnti di sensazioni incrociate o parallele.

Queste parole si noti che non devono essere uno scopo, ma un

mezzo per aumentare la forza espressiva del lirismo. [...] il parolibero

Cangiullo in Fumatori IIa, fu felicissimo nel dare questa

analogia disegnata [...] Le parole in libertà [...] si trasformano naturalmente

in auto-illustrazioni, mediante l’ortografia e tipografia

libere espressive, Le tavole sinottiche di valori lirici è le analogie

disegnate. [...] Le tavole sinottiche di valori sono inoltre la base

della critica delle parole in libertà.

La situazione introduce dunque l’idea che gli scrittori

futuristi possono realizzare, in qualche modo,

forma di rappresentazioni che permettono di leggere,

seguire, carpire contemporaneamente “sensazioni

incrociate”. Ancora, dallo stesso documento:

L’ortografia e tipografia libere e espressive servono inoltre ad

esprimere la mimica facciale e la gesticolazione e del narratore.

Così le parole in libertà giungono ad utilizzare (rendendola completamente)

quella parte di esuberanza comunicativa e di generalità

epidermica che è una delle caratteristiche delle razze meridionali.

Quest’energia d’accento, di voce e di chimica che finora

si rivela soltanto in tenori commoventi e in conversatori brillanti,

trova la sua espressione naturale nelle sproporzioni dei caratteri

tipografici che riproducono le smorfie del viso e la forza scultorea

e cesellante dei gesti.

14


L’importanza che può assumere la sproporzione

dei caratteri tipografici, dunque, è testimoniata anche

nel terzo scritto tecnico. In effetti, sulla genesi delle

tavole parolibere ci sono pochi studi. Relativamente

all’approccio tracciato in questo contributo, è interessante

riportare alcune dichiarazioni di Francesco

Cangiullo, uno dei massimi esponenti del movimento

futurista:

La madre delle tavole parolibere- e del calligrafa (avanti lettera)

fu La mia firma-Panorama che adottai da che avevo 15 anni. Nel

1912 [...] questa mia firma era nota [...], è chiaro, a chiunque io scrivevo:

fra i più entusiasti Marinetti e Boccioni, in Italia, Apollinaire

e Cocteau a Parigi. Da questa firma [...] cominciai a scherzare con

l’alfabeto e pensare che con le lettere sapientemente disposte si

possono fare, comporre, paesaggi e figure fantastici. [...] L’appellativo

di tavole parolibere, per estensione, dalle sue parole in libertà,

glielo azzeccò Marinetti. Come si vede, il nome... non è azzeccato

soprattutto poiché è per comporre queste tavole bisogna saper

disegnare, (Boccioni scoprì l’altarino), altrimenti si corre il rischio

di fare... Le tavole parolibere. Le mie (non tengo affatto a menar

vanto) dovrebbero chiamarsi tavole cangiulliane.

[...] Il manifesto La Musica Futurista scritto da Pratella

nel 1911 mostra chiaramente il valore espressivo già

accordato al verso libero, associandolo alla possibilità

di rendere con efficacia le parole umane:

L’ombra polifonica della poesia umana trova nel verso libero tutti

i ritmi, tutti gli accenti e tutti i modi per potersi esuberantemente

esprimere, come in un’ affascinante sinfonia di parole. [...]

L’uomo e la moltitudine degli uomini sulla scena non debbono

più imitare unicamente il comune parlare, ma debbono cantare,

15


come quando noi, inconsci del luogo e dell’ora, presi da un’ultima

volontà di espansione e di dominio, prorompiamo istintivamente

nell’essenziale ed affascinante linguaggio umano. Tanto naturale,

spontaneo, senza la misura dei ritmi o degli intervalli, artificiosa

limitazione dell’espressione, che ci fa qualche volta rimpiangere

l’efficacia della parola.

In un articolo di Luigi Russolo, pubblicato nel

1916 e intitolato Rumori del linguaggio (le consonanti),

le osservazioni sulle possibilità fonico-espressive

che potrebbero realizzarsi attraverso scelte stilistiche

e formali si spingono fino a riflettere sul valore comunicativo

delle consonanti delle vocali: «[...] nelle

parole in libertà futuriste, la consonante che rappresenta

il rumore è finalmente adoperata per se stessa

e serve, come una musica, a moltiplicare gli elementi

dell’espressione dell’emozione».

È interessante aggiungere che nello stesso intervento

Russolo si rifà anche ad alcuni risultati emersi

dal primo congresso internazionale di fonetica sperimentale:

[...]così al primo congresso internazionale di fonetica sperimentale,

è stato provato anche che non solo la musica ma pure il rumore

esercita un’influenza sulla voce. [...] Da ciò quindi l’influenza che

esercitano i rumori naturali come le cascate d’acqua, le onde del

mare, i venti, ecc. sul timbro e l’intonazione della voce di chi è

esposto quest’influenza. [...] Si tratta di una tendenza involontaria

e incosciente che ha il carattere di un fenomeno fisiologico di

natura generale.

Prendendo spunto da queste osservazioni, Russolo

16


aggiunge delle riflessioni dirette ad arricchire quanto

lui stesso aveva già sostenuto nel suo manifesto L’arte

dei Rumori del 1913. Ancora dall’articolo del 1916:

[...] Ma è del rumore come elemento stesso del linguaggio, che io

voglio parlare, elemento che fino ad ora non è stato considerato

con l’importanza che ha. Le vocali rappresentano, nel linguaggio,

il suono, mentre le consonanti rappresentano indubbiamente il rumore.

[...] La consonante cioè va pronunciata, e non solo chiamata

col suo nome. Sono irrinunciabili benissimo le seguenti consonanti:

R,S,F,Z,V, e C; molto Meno Le B, D, G, M, N, P, Q, T, ecc.

L. Russolo,

L’ Arte dei Rumori

in “Dinamo”,

pag. 225

La volontà di indagare i meccanismi per la “resa sonora”

degli elementi del linguaggio svelerà in effetti

il suo aspetto tecnico-lirico in molteplici composizioni

parolibere nel primo decennio di vita dell’avanguardia

futurista. Nel suo insieme, La battaglia per il rinnovo

in letteratura mirava ribaltare non solo le competenze

formali degli scrittori, ma anche le tecniche di produzione

materiale dei contenuti e delle espressioni artistiche

idonei a veicolarli.

[...] In conclusione, dunque, per la storia letteraria

tracciata e desiderata da Marinetti, da un lato l’accostamento

del lirismo alla macchina tipografica si sarebbe

presentato come un’istanza di “innovazione funzionale”

all’ispirazione lirica futurista; dall’altro, le scelte

tecnico-letteraria degli scrittori paroliberi avrebbero

portato a sconvolgere definitivamente i modi di rappresentare

e concepire la scrittura stessa.

Bove. Scrivere futurista. 33-44

17


Tavole parolibere

Il primo stadio del paroliberismo, verificabile non

solo nella storia del movimento ma anche nell’itinerario

di ogni poeta futurista, fu quello dell’ortografia

libera espressiva a cui appartiene anche Zang Tumb

Tuum di Marinetti.

[...] Una delle ripercussioni immediate dell’innovazione

paroliera fu comunque una nuova tematizzazione

del lavoro di composizione tipografica che già

Mallarmé aveva assimilato ad un “rito”.

[...] Dopo la componente sonora, era ora componente

la grafica della poesia che balzava in primo piano.

Ma veniva anche problematizzata l’efficacia stessa

del sistema alfabetico come mezzo di espressione del

vissuto sensoriale. Nel corso delle prime declamazioni

parolibere Marinetti aveva già tentato di integrare

effetti rumoristi, e soprattutto immagini disegnate,

nel flusso delle parole in libertà. La più celebre delle

sue declamazioni fu, in questo senso, quella che ebbe

luogo nell’aprile 1914 a Londra. Egli stesso ricordava:

«in tre punti della sala erano preparate tre lavagne alle

quali mi avvicinavo alternativamente, camminando o

correndo, per disegnarvi in modo effimero, concesso

un’analogia». Tentando di rendere il continuum di

una lettera puramente sensoriale della realtà, il paroliberismo

mimava la visualizzazione cinematografica.

Ma erano i segni della poesia stessa che tendevano

ormai a darsi come nuovo linguaggio visivo. Le prime

innovazioni tipografiche di Marinetti furono prontamente

adottate da Cangiullo, Carrà, Jannelli, Binazzi,

i quali pubblicarono su Lacerba diverse composizioni

18


parolibere e da un grande risalto alla plasticità delle

lettere tipografiche combinandole liberamente fino

alla trasgressione del modello lineare. Lo spazio bianco

della pagina diventata così un campo agravitazionale

entro cui segni tipografici potevano ubbidire ai

magnetici diversi.

[...] In luglio la rivista fiorentina pubblicava una

composizione di parole di forme e seguita da Severini

intitolata Danza serpentina. Appena 15 giorni dopo,

Marinetti scriveva a quest’ultimo, a Parigi, proponendogli

di definire “disegno o dipinto parolibero” questa

nuova forma d’arte. E aggiungeva: «Carrà, che ha

avuto contemporaneamente, e senza saper nulla di ciò

che facevi, la stessa idea di fondere il dinamismo plastico

con le parole in libertà, trova eccellente questa

denominazione». Il quadro di Carrà Festa patriottica,

poema pittorico era pubblicato in agosto su Lacerba.

[...] Malgrado le diversità delle scelte formali, tutte

queste composizioni obbedivano infatti ad una sola

volontà che era quella di raggiungere la fusione tra

scrittura e pittura, cioè di conferire una dimensione

più estesamente iconografica al poema parolibero.

Carrà realizzava perfino un’opera di scrittura, pittura

e collage come I Rumori del caffè notturno in cui delle

forme plastiche uscivano letteralmente dalla superficie

del quadro coinvolgendo lo spettatore. Si tratta

di un’opera significativa in quanto evidenzia anche il

processo parallelo che portava allora la pittura astratta

ad integrarsi la parola scritta come strumento di concettualizzazione

della forma. Questa svolta fondamentale

del paroliberismo si compiva dunque in funzione

della pittura. I poeti stessi ne erano coscienti. Apollinaire

riprendeva una fare celebre: «E anch’io son

19


Govini, Cangiullo,

Buzzi, Parole

consonanti

vocali numeri

in libertà

pag. 38

pittore!». A sostegno della stessa idea Masnata citava

Leonardo da Vinci: «La pittura è una poesia muta, e la

poesia è una pittura cieca».

[…] L’abolizione del modello lineare e della scrittura

in poesia equivaleva al superamento della figurazione

bidimensionale in pittura. Nemmeno un anno

dopo questa svolta del paroliberismo tipografico verso

le tavole parolibere, Marinetti riprese l’iniziativa

nell’intenzione di pubblicare un’antologia di queste

nuove opere futuriste. Un volantino manifesto venne

così diffuso nel marzo 1915, datato però dell’11 febbraio,

dal titolo Parole, consonanti, vocali, numeri in libertà.

Vi si annunciava la prossima uscita del libro fornendo

quattro esempi di tavole paroliere firmati da Marinetti,

Cangiullo, Govoni, Buzzi. Il manifesto fu accolto

molto duramente su Lacerba da Palazzeschi e su La

Voce da De Robertis. Ambedue vedevano nelle tavole

parolibere una negazione dell’arte e una ulteriore

manifestazione della superficialità del confusionismo

dell’ultimo gruppo dell’avanguardia, ormai arroccato,

si pensava, intorno Marinetti e al futurismo milanese.

Lo scoppio della guerra impedì la pubblicazione

dell’antologia. Solo più tardi ebbero luogo nuove personali

codificazioni del paroliberismo.

Lista. Le livre futuriste. 43,44

[...] Esiste un indubbio legame tra la scrittura verbo-visiva

futurista e il mondo della grafica applicata,

che si presenta sotto un duplice aspetto: da un lato

le prime creazioni parolibere hanno avuto non solo

modelli “alti”, come quello mallarmeano, ma anche

“bassi”, facendo i conti con le trovate di tipografi, cartellonisti,

illustratori, i rebus, i titoli e caratteri espres-

20


sivi dei giornali; d’altro canto le idee futuriste sul rinnovamento

della composizione tipografica ben presto

hanno suscitato l’attenzione di coloro che maggiormente

si sono impegnati nella modernizzazione della

stampa. Uno dei primi è stato Terenzio Grandi, che ha

inquadrato il fenomeno perolibero in un’ottica evoluzionistica,

ricollegandola alla tradizione simbolista, e

ha introdotto un tema destinato a divenire ricorrente

nella storiografia futurista, quello del rapporto tra parole

in libertà e arte reclamistica.

[...] Verso la fine degli anni Trenta [...] si assiste

a una ripresa del paroliberismo, applicato alla poesia

murale, o in vista di un’utilizzazione pubblicitaria. Per

esempio, le Tavole parolibere (Edizioni futuriste di Poesia,

Roma 1932) di Pino Masnata, Così con un genere

di poesia architettonico-plastica, assai vicino, nella

sintesi del messaggio visivo, al codice della reclame.

Sulla scia di queste osservazioni, prende piede l’idea

del superamento del libro, ritenuto da alcuni futuristi

un contenitore troppo angusto per la poesia, che invece

dovrebbe confrontarsi con nuovi mezzi modalità di

comunicazione.

Salaris. La rivoluzione tipografica. 11

21


MANIFESTI


Il manifesto del futurismo

Il lettore abituale del giornale parigino Le Figaro la

mattina del 20 febbraio 1909 si trovò di fronte ad una

bella sorpresa: in prima pagina il suo quotidiano riportava

un manifesto tanto bizzarro quanto incendiario,

Le futurisme. L’uso di pubblicare manifesti letterari su

testate importanti non era infrequente in Francia. La

vera meraviglia di quel sabato consisteva invece nel

fatto che l’insolito proclama travalicava il semplice

obiettivo di fondare una nuova scuola letteraria per

porsi come appello non convenzionale e anticonformista,

indirizzato dalle pagine del più autorevole foglio

della borghesia parigina all’universo mondo.

Prudentemente tuttavia in una nota introduttiva la

redazione manteneva le distanze dalle idee che ispiravano

lo scritto, definendole singolarmente audaci.

Salaris. Storia del futurismo. 14

Ma forse non tutti sanno che la data del debutto

ufficiale del movimento futurista non è il 20 febbraio

1909 con la pubblicazione del manifesto di Marinetti

su Le Figaro. Sei giorni prima, il 14 febbraio, La Tavola

Rotonda, rivista piedigrottesca delle Edizioni Bideri,

anticipava qui a Napoli quel documento.

[...] La grande deflagrazione innescata dal futurismo,

tuttavia, è innanzi tutto di natura comunicativa.

F. T. Marinetti,

Manifesto

del Futurismo,

pag. 32

23


Già il primo, già citato manifesto di Marinetti suona

come un “editto” di carattere estetico che, presupponendo

una vasta platea di ascoltatori, diventa mezzo di

propaganda, diffuso per le strade e fra la gente, “vera

e propria arma di guerriglia”! Capace di scuotere alla

radice il clima conservatore e accademico dell’epoca,

in virtù dei contenuti forti e del linguaggio aggressivo,

di immediata presa sui pubblico.

«Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine

all’energia e alla temerità - recita il primo degli

undici punti posti in programma - il coraggio, l’audacia,

la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra

poesia», e così fino all’inno del nuovo simbolo della

moderna bellezza: «Un automobile da corsa col suo

cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito

esplosivo ... un automobile ruggente, che sembra correre

sulla mitraglia, e più bello della Vittoria di Samotracia».

Il plurale majestatis utilizzato nel manifesto

è virtuale, nascondendo l’elaborazione pressoché individuale

del documento: Marinetti, a questa data, è

ancora isolato nella battaglia che diventerà la sua missione

di vita, ma non tarderà a circondarsi di giovani

intellettuali e artisti, conquistati dall’entusiasmo travolgente

del fondatore del futurismo.

Bonito Oliva. Futurismo Manifesto 100x100.

L’arte di fare manifesti

La storia del futurismo è legata in modo inalienabile

al Manifesto, che assume sin dalla prima uscita entrambe

le valenze di genere letterario e di strumento

24


mediatico. Tale recupero storico va valutato non soltanto

in relazione alla sperimentazione creativa che i

futuristi fanno con i nuovi media, quanta nell’approccio

comunicativo di tipo esplosivo che predispone a

un’esuberanza dell’esperienza comunicativa. Questa

per Marinetti passa per la poesia visiva, il teatro, il cinematografo,

la “radia”, la pubblicità ma prima ancora

per “l’arte di fare manifesti” .

Già l’impronta cosmopolita della rivista Poesia in

cui Marinetti si sperimenta dal 1905 fino al lancio del

futurismo, aveva rivelato la felice intuizione in merito

al funzionamento delle strategie comunicative, con

l’avvio di uno stile promozionale inusuale ed efficace

imperniato su concorsi e inchieste che fungevano da

richiamo per il pubblico.

Ma è al manifesto come genere che Marinetti consegna

il compito di essere fondamento e forza di sfondamento

della vecchia guardia, “spina dorsale” della

sua avanguardia.

Questa nuovo strumento, insieme letterario e mezzo

mediatico, assume un ruolo militante per la riformulazione

di pensiero e lessico nuovi, applicabili alle

molteplici sfere dell’immaginazione creativa.

[...] Pur avvalendosi di un genere già apparso tra la

fine del XIX e l’inizio del XX secolo (il Manifesto del

simbolismo di Jean Moreas e del 1886, quello del naturismo

di Saint-Georges de Bouhelier del 1897, l’unanimismo

di Jules Romains del 1905), il proclama di Marinetti

si presenta subito come testo dotato di grande

originalità nell’impostazione poetica e funzionale alla

strategia della comunicazione mediatica, capace di

adattarsi ai più disparati supporti cartacei, dalla rivista

al volantino, dal catalogo di mostre alla pubblicazione

25


26

di libri futuristi come premessa teorica.

[...] «La produzione costante di “Manifesti” - scrive

Luciano Caruso - è il documento più probante, malgrado

cadute e ritorni, di un continuo atteggiamento

creativo, che traduce ed espone la volontà dichiarata

di reinventare il quotidiano, sia pure con abbagli, confusioni

e contraddizioni e spesso per avvenimenti e

produzioni marginali».

[...] I manifesti futuristi senza dubbio esprimono

principalmente idealità di comportamento, indicato

attraverso pubblici proclami e poi magari contraddetti

nel quotidiano e nella propria vita privata. Il superamento

di ogni modica quantità, l’amore per il pericolo

e l’azzardo, l’apologia della macchina e dell’industria,

la pubblicazione del primo manifesto su un quotidiano

della città più cosmopolita d’Europa, ci segnalano

una modernissima ansietà di comunicazione: oltrepassare

il recinto del linguaggio e bucare l’immaginario

collettivo di una società di massa magari disattenta.

[...] Solo tra il 1910 e il 1920, nell’arco di quello

che è stato definito “periodo eroico”, la formazione,

in continuo divenire, darà alle stampe oltre cento tra

manifesti, dichiarazioni di intenti e altri scritti teorici

assimilabili a tali generi letterari - con l’impressionante

frequenza di quasi uno al mese - argomentando di

volta in volta su ciascuna sfera dell’arie e dell’esistenza

stessa.

[...] Attraverso gli apodittici messaggi lanciati dalla

“Direzione del Movimento”, infatti, Marinetti e i suoi

sentenziano non soltanto sulle infinite rivelazioni della

creatività umana, che vanno, assecondando l’anelito

futurista all’opera d’arte totale e assoluta, dalla pittura

alla scultura, dal cinema alla fotografia, dalla plastica


murale alla ceramica, dalla poesia al teatro, dalla prosa

alla musica, dalla danza alla scenografia; pretendono di

descrivere i luoghi abitati dal divino nel mondo contemporaneo

(La nuova religione-morale della velocità ,

1916), immaginano il paesaggio urbano e l’habitat del

domani (L’Architettura Futurista, 1914), propongono un

nuovo modo di vestire (II Vestito Antineutrale, 1914),

di mangiare (Cucina Futurista, 1930), di rapportarsi

all’altro sesso (Manifesto futurista della Lussuria, 1912)

e alla natura (Manifesto del naturismo futurista,1934);

indirizzano il principio dell’agire, completandolo teoricamente,

verso un’unica dimensione estetica, fino

alla suggestiva ipotesi della Ricostruzione Futurista

dell’Universo: «Noi futuristi, Balla e Depero, - ascritto

nell’omonimo manifesto del 1915 - vogliamo realizzare

questa fusione totale per ricostruire l’universo

rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente .... Troveremo

degli equivalenti astratti di tutte le forme e

di tutti gli elementi dell’universo, poi li combineremo

insieme, secondo i capricci della nostra ispirazione... ».

[...] Il primo documento programmatico futurista

destinato a uno specifico indirizzo artistico, dopo

l’esordio intenzionalmente letterario del movimento,

è il Manifesto dei pittori futuristi, redatto nel febbraio

del 1910, seguilo, nell’aprile della stesso anno, da La

Pittura Futurista - Manifesto tecnico, ai quali aderiscono

Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Gino Severini, Giacomo

Balla e Luigi Russolo.

Nel 1911 il più agguerrito tra i promotori del futurismo

pittorico, Umberto Boccioni, diffonde il Manifesto

tecnico della scultura futurista, dove vengono postulati i

concetti alla base della nuova arte plastica. La scultura,

svincolandosi finalmente dall’uso dei soli materiali

Balla, Depero,

Ricostruzione

Futurista

dell’Universo,

pag. 39

27


convenzionali, dovrà rinascere polimaterica.

I propositi del Manifesto, integrati e approfonditi

dalla successiva pubblicazione del volume Pittura

scultura futuriste: dinamismo plastico (1914), trovano

un’immediata risposta nella ristretta ma assai significativa

produzione scultorea dell’artista, concentrata

nel quadriennio 1912-1915.

[...] L’anno dopo, a corredo della presentazione

dell’antologia I poeti futuristi, Marinetti rende noto

il Manifesto tecnico della Letteratura futurista, scaturito

come sempre, stando al racconto dell’autore, da una

folgorazione avuta sperimentando l’ebbrezza della

modernità.

In aeroplano, seduto sui cilindro della benzina, scaldato il ventre

dalla testa dell’aviatore - riferisce - io sentii l’umanità ridicola della

vecchia sintassi ereditata da Omero. Bisogno furioso di liberare

le parole, traendole fuori dalla prigione del periodo latino!

Articolato in undici punti, più tre aggiuntivi (Il rumore,

Il peso, L’odore) e un supplemento (Risposte alle

obiezioni, 11 agosto 1912), il documento fissa i termini

di una nuova sensibilità letteraria nell’utilizzo di alcuni

accorgimenti “tecnici”: la distruzione della sintassi,

l’uso del verbo all’infinito, l’abolizione dell’aggettivo,

dell’avverbio e della punteggiatura, il raddoppio del

sostantivo. Riguardo ai contenuti, prescrive in prima

istanza l’eliminazione dell’io psicologico, sostituito

«con l’ossessione lirica della materia» e con la ricerca

di una rete di analogie «che verranno lanciate nel

mare misterioso dei fenomeni». Marinetti allega al testo

una serie di esempi, ma si può dire che le potenzialità

del poema parolibero delineate nella scritto si

28


dispieghino in una prima, concreta applicazione solo

nel romanzo Zang Tumb Tumb (1914), che riporta, a introduzione,

l’ancora più calzante Distruzione della Sintassi

- L’immaginazione senza fili e le parole in libertà (11

maggio 1913). Al 1913 risale anche L’arte dei rumori,

annuncio redatto da Luigi Russolo con dedica all’amico

musicista e compositore Francesco Balilla Pratella.

Il rumore diventa paradigma della civiltà attuale, la

civiltà delle macchine, in netto contrasto con l’ordine

naturale e taciturno delle case.

L. Russolo,

L’ Arte dei Rumori

in “Dinamo”,

pag. 225

Oggi, il Rumore trionfa e domina sovrano sulla sensibilità degli

uomini. Per molti secoli la vita si svolse in silenzio, o, per lo più,

in sordina ... Poiché, se trascuriamo gli eccezionali movimenti tellurici,

gli uragani, le tempeste, le valanghe e le cascate, la natura

è silenziosa.

[...] La musica del futurismo è una combinazione

sperimentale di suoni e rumori, ricavati da strumenti

mai visti prima: gli “intonarumori”, casse rettangolari

in legno contenenti diversi motori e munite di grossi

amplificatori a forma di imbuto.

II primo concerto futurista aperto al pubblico si

svolge nell’aprile del 1914 al Teatro Dal Verme di

Milano con un’orchestra di diciotto “intonarumori”,

suddivisi in gorgogliatori, crepitatori, ululatori, rombatori,

sibilatori, ronzatori e stropicciatori. È il delirio: gli

spettatori fischiano, urlano, lanciano verdure e scoppiano

violenti tafferugli, sedati solo dall’intervento

energico delle forze dell’ordine.

[...] Un aspetto certamente indagato dalla critica

ma non ancora sufficientemente percepito nella sua

portata e centralità riguarda la teatralità sottesa al ge-

29


30

nere “manifesto”. Al di là della componente oratoria

e più precisamente declamatoria, la teatralità emerge

nella stessa gestualità spesso connaturata al lancio del

manifesto/volantino. Si pensi in tal senso ai diversi

proclami scritti contro le città passatiste e in particolar

modo Contro Venezia passatista.

[...] L’esperienza teatrale per i futuristi, e per Marinetti

in particolar modo, non è riconducibile in senso

stretto alla produzione specificamente destinata al teatro.

Essa è una vocazione che si declina perfettamente

con il voler essere precursori della comunicazione

mediatica.

[...] Una vicenda che attesta l’andamento dell’officina

marinettiana e quella relativa alla stesura del manifesto

Le analogie plastiche del dinamismo su cui lavora

Severini dalla fine del 1913, testo che infine non fu

mai pubblicato. La scrittura fu con grande probabilità

più laboriosa perché coincidente con un momento

prolifico nella produzione di testi teorici. L’aspetto

interessante di questa mancata pubblicazione è lo

scambio epistolare tra Marinetti e Severini che rivela

come il caposcuola del futurismo si sentisse chiamato

in prima persona a controllare forma, contenuti e

tempi di uscita dei proclami. Appare evidente come

ognuno di essi fosse un caposaldo di un’imponente

architettura, che insieme andava a comporre una vera

e propria “rete” teorica di riferimento. Indispensabile,

quindi, era assicurare un’assoluta coerenza ed evitare

inutili sovrapposizioni, poiché l’uscita di un proclama

doveva essere in corrispondenza sinergica con la sfera

di riferimento di pensiero che il futurismo stava nel

tempo elaborando.

Bonito Oliva. Futurismo Manifesto 100x100.


I manifesti della direzione ufficiale sono caratterizzati

da un formato standard (cm 29x 23), con quattro

facciate, e recano in calce la firma dell’autore, o di

più autori, seguiti dalla data e dall’indirizzo del movimento,

che coincide con l’abitazione di Marinetti.

Dal 1909 fino al 1912: Milano, via Senato 2; dal 1912

al 1924: Milano, corso Venezia 61. In seguito: Roma,

piazza Adriana 30.

Nelle date ricorre il numero 11, che è la cifra scaramantica

di Marinetti. In alcuni casi il formato è più

piccolo. I titoli evidenti, il senso architettonico della

costruzione grafica, nel giusto rapporto tra piombo e

spazio bianco, inoltre l’uso di numeri, cassetti, corsivi

e corpi differenti nel testo sono elementi che dimostrano

un’attenzione spiccata per quella tipografia

espressiva, che è uno dei cardini delle parole in libertà.

Tra i manifesti più rilevanti dal punto di vista grafico

ricordiamo: L’Antitradizione futurista. Manifestosintesi

di Guillaume Apollinaire (29 giugno 1913);

L’architettura futurista. Manifesto di Antonio Sant’Elia

(11 luglio 1914); il Vestito antineutrale. Manifesto futurista

di Giacomo Balla (11 settembre 1914); Ricostruzione

Futurista dell’Universo di Balla e Fortunato Depero

(11 marzo 1915); Parole consonanti vocali numeri

in Libertà di F. T. Marinetti, Corrado Govini, Francesco

Cangiullo e Paolo Buzzi (11 febbraio 1915); Sintesi Futurista

della guerra di Marinetti, U. Boccioni, C. Carrà,

L. Russolo e Ugo Piatti (20 settembre 1914).

[...] In tutto si tratta di un materiale cartaceo che in

tutto supera i duecento titoli.

Salaris. La rivoluzione tipografica. 82, 83

G. Apollinaire,

L’ Antitradizione

futurista

in “Lacerba”,

pag. 165

A. Sant’Elia,

L’ Architettura

futurista

in “Lacerba”,

pag. 167

Govini, Cangiullo,

Buzzi, Parole

consonanti

vocali numeri

in libertà

pag. 38

Marinetti,

Boccioni, Carrà,

Russolo, Piatti,

Sintesi Futurista

della guerra

pag. 36

31


32

Filippo Tommaso Marinetti,

Manifesto del Futurismo,

in “La Tavola Rotonda”, 14 febbraio 1909


33


34

Filippo Tommaso Marinetti,

L’immaginazione senza fili e le parole

in libertà, 11 maggio 1913


Giacomo Balla,

Il Vestito Antineutrale, 11 settembre 1914

35


36

Marinetti, Boccioni, Carrà, Russolo, Piatti

Sintesi futurista della guerra, 1914


37


38

Marinetti, Govoni, Cangiullo, Buzzi,

Parole consonanti vocali numeri

in libertà, 11 febbraio 1915


Balla, Depero,

Ricostruzione Futurista dell’Universo,

11 marzo 1915

39


STORIA DELLA GRAFICA EDITORIALE FUTURISTA


Il ruolo delle riviste

Le riviste hanno svolto un ruolo essenziale nella

storia del futurismo, fungendo da luogo d’aggregazione

per inutili e gruppi disseminati in quasi tutte le

regioni italiane. Oltre alle testate principali, si contano

molti fogli dalla vita più o meno effimera, numeri unici,

a circolazione limitata; si tratta, complessivamente,

di circa 170 titoli, cui va aggiunta una settantina di riviste

d’area parafuturista o modernista. Questo fenomeno

di proliferazione si registra soprattutto a partire

dalla Grande Guerra.

Salaris. La rivoluzione tipografica. 70

Anche i periodici sono sottoposti a quel procedimento

di ridefinizione che investe tutti i settori della

produzione e della comunicazione artistica, le cui

leggi, modalità e codici vengono “reinventati” dai

futuristi [...] La tradizione precedente è azzerata: i

fogli futuristi rispecchiano i comportamenti e le norme

dell’avanguardia che si traducono in aggressività

linguistica e grafica. Pubblicano testi e manifesti ma

contemporaneamente divengono il luogo privilegiato

per cronache di manifestazioni futuriste, appuntamenti

per esposizioni e presentazioni. Un oggetto da

mandare in omaggio, come i libri, a uomini di cultura,

giornalisti e personaggi famosi.

41


42

Le testate futuriste proliferano in tutt’Italia e nel

mondo: solo negli anni “eroici”, fino cioè alla prima

metà degli anni venti, fra riviste maggiori e fogli minori

sono oltre 160 ma il numero cresce di molto se si

considerano anche i periodici d’avanguardia.

La rivoluzione in campo grafico, attraverso la parola-immagine,

che il movimento futurista compie a

partire dalle sperimentazioni parolibere, una radicale

reazione antipassatista e antidannunziana «diretta

contro la così detta armonia tipografica della pagina,

che è contraria al flusso e riflusso, ai sobbalzi e agli

scoppi dello stile che scorre nella pagina stessa», come

proclama Filippo Tommaso Marinetti nel manifesto

L’immaginazione senza fili e le parole in libertà, investe

sotto vari aspetti anche le pubblicazioni periodiche,

spazio privilegiato di diffusione e dibattito del pensiero-azione

futurista. Così le riviste futuriste da un lato

incarnano l’organo di diffusione stesso del movimento

(pensiamo al numero di manifesti che vi vengono

pubblicati), dall’altro sono esse stesse campo aperto di

sperimentazione tipografica, dove la pagina, non più

intesa come schermo passivo e vincolato a rigide regole

di armonia, viene percepita, al contrario, come campo

dinamico da utilizzare in funzione lirico-espressiva.

E non è un caso che il manifesto sopra citato venga

pubblicato per la prima volta proprio sulla neonata Lacerba,

il 15 giugno 1913, testata che incarna un modo

nuovo di pensare la funzione e il peso specifico delle

riviste dopo i fogli vociani, dai quali gli avanguardisti

Giovanni Papini e Ardengo Soffici si sono allontanati

polemicamente. Nell’Introibo, il manifesto programmatico

che funge da premessa al primo numero della

rivista fiorentina (1 gennaio 1913), si legge un implici-


to attacco ideologico di Papini contro il ruolo assunto

da La Voce di Giuseppe Prezzolini:

Queste pagine non hanno affatto lo scopo né di far piacere, né

d’istruire, né di risolvere con ponderatezza le più gravi questioni

del mondo. Sarà questo un foglio stonato, urtante, spiacevole e

personale. Sarà uno sfogo per nostro beneficio e per quelli che

non sono del tutto rimbecilliti dagli odierni idealismi, riformismi,

umanitarismi, cristianismi e moralismi.

Introibo,

in “Lacerba”,

pag. 150

La rivista diviene con il Futurismo luogo privilegiato

e «personale» di accesi dibattiti culturali, un organismo

vivo che incide sulla realtà artistica italiana e

internazionale e non semplicemente specchio di ciò

che accade nel circostante universo culturale. Il periodico

si rinnova, tipograficamente e concettualmente.

Parafrasando Marinetti, la rivista deve essere

l’espressione futurista del pensiero futurista, così

come avviene per il libro. La lettura del fenomeno

avanguardista di primo Novecento non può essere

dunque separata dal confronto costante con i suoi organi

privilegiati di diffusione.

Gubert. Il Futurismo sulla rampa di lancio: «Poesia»

1905-2005

La grafica dei periodici futuristi

Tracciando un bilancio del contributo futurista alla

grafica del libro del periodico, Enrico Crispolti osserva

che «quando all’elaborazione della pagina stampata,

gli esiti più significativi restano nell’ambito che scon-

43


44

fina […] con il “paroliberismo” e l’ampia intrusione

di elementi comici espliciti nel contesto della scrittura

verbale, mentre meno originale è l’invenzione

complessiva dell’impaginato dei periodici». E infatti

l’elemento della stampa futurista che ha prodotto

l’effetto di choc sul pubblico, che è stato percepito

come novità, non è rappresentato da soluzioni di messa

in pagina sovvertitrice dei canoni di architettura tipografica

vigenti nelle pubblicazioni periodiche, ma

dall’invadente e caratterizzante presenza di parole

in libertà, e peraltro raramente rompono la ricorrente

orditura delle colonne. Un dato che accomuna la

maggior parte degli organi di stampa del movimento

futurista, a partire dalla fiorentina Lacerba, è la scelta

della veste tipografica (ma non sempre del formato)

del quotidiano, piuttosto che della rivista. Tra i giornali

culturali e d’avanguardia non è questa una novità:

nella stessa Firenze si deve ricordare il presidente de

il Marzocco e, tra i periodici più prestigiosi dell’avanguardia

internazionale, quello di Der Sturm, fondato

nel 1910. Hanno ancora ritroso nel tempo si potrebbe

citare un lungo elenco di riviste di scienza, di tecnica

e di cultura dal Settecento all’Ottocento. Sebbene

suggerita da ragioni di economia, questa opzione risulta

tuttavia la più coerente con alcune affermazioni

fondamentali dell’ideologia futurista e con i contenuti

stessi e le finalità di questi giornali. Per comprenderne

le motivazioni è superfluo scomodare ancora una volta

Mallarmé e le sue riflessioni sulla presentazione materiale

del libro, pubblicate in The National Observer (11

giugno 1892) ne La Revue Blanche (luglio 1895), dove

è insinuata la profezia che il giornale possa un giorno

soppiantare il libro. La scelta della veste del quotidia-


no è innanzitutto espressione emblematica dell’anticulturalismo

del futurismo: è la più appropriata divisa

di battaglia di una stampa antiaccademica, che all’universo

statico dei valori consolidati oppone la transitorietà

della ricerca in atto. Offrendosi a un rapido

consumo, la forma del quotidiano esprime il rifiuto di

divenire storia ricorrente nella polemica futurista, fin

dal manifesto di fondazione, ed è esaltazione dell’effimero

contro l’imperituro. Essa è dunque funzionale

a quell’ideologia del divenire che assurge alla dimensione

di un culto del transeunte, ma è anche la forma

tipografica organica della prosa futurista. Il quotidiano

non è il luogo del saggio dotto e ponderoso, ma la sede

di una prosa essenziale, improntata alla concisione,

alla sintesi, all’immediatezza comunicativa.

Un pensiero che non può essere detto in poche parole non merita

d’esser detto.

Introibo,

in “Lacerba”,

pag. 150

Questo motto inneggiante alla laconicità non figura

forse nell’editoriale del primo numero di Lacerba?

E anche Marinetti, in diverse occasioni, non manca

di riconoscere nel giornalismo una scuola di stile fondato

sulla “concisione essenziale” e sulla “sintesi”, su

un “laconismo” che risponde alle leggi di velocità dei

tempi moderni e anche ai “rapporti multisecolari” tra

capo e pubblico.

D’altronde la veste del quotidiano ben si addice a

organi di stampa che rifuggono dalla specializzazione,

che aspirano a svolgere un’azione politica oltre che

culturale, che intendono proporsi come strumenti di

provocazione del pubblico e di reclutamento di nuovi

adepti. La scelta della veste tipografica di periodi-

45


46

ci è in definitiva coerente con quella di mimesi delle

forme di comunicazione con il pubblico proprie delle

organizzazioni partitiche che, pur costituendo esperienza

comune dei gruppi d’avanguardia, caratterizza

in modo particolare lo sforzo del movimento futurista

di costituirsi come avanguardia di massa. Come le serate

futuriste mimano i comizi, come i manifesti imitano

i volantini di propaganda politica, così i periodici

del movimento si modellano sui quotidiani dei partiti

e assumono una forma che si presta all’affissione sui

muri o alla vendita per mezzo di strilloni.

Nella grafica dei giornali futuristi sono individuabili

- come giustamente suggerisce Crispolti - due filoni:

«l’accentuazione un po’ enfatica del messaggio, che

è una linea tipicamente d’impostazione grafica futurista

[...] e uno invece di notevole controllo costruttivo

e razionale, che è una linea originariamente tipica

dell’estetica meccanica futurista, ma che finisce per

rapportarsi alla grafica “razionale”». Il primo indirizzo

comincia a delinearsi nel novembre 1913 con la pubblicazione

delle parole in libertà di Boccioni e Cangiullo

in Lacerba, la cui grafica è affidata ad Ardengo

Soffici, autore anche delle testate. È però nei primi

mesi del 1914 che la pratica parolibera caratterizza in

maniera determinante il giornale, conferendogli un

aspetto che critici malevoli definiranno da «magazzino

da rigattiere». In verità l’accresciuta presenza di parole

in parole in libertà non produce effetti dirompenti

sulla gabbia tipografica, distruggendo la tradizionale

orditura su due colonne dei testi, diversamente da

quando avverrà in Vela Latina e ne L’Italia Futurista.

Stampata a Napoli con la veste e il formato del

quotidiano, Vela Latina ospita dal N. 41 del 14 otto-


bre 1915 al N.8 del 4 marzo 1916 due “pagine futuriste”

curate da Cangiullo, che rappresentano colonne

di diverse giustezze tipografiche (mentre le altre pagine

del giornale conservano un impianto di cinque

colonne uguali), la cui disposizione muta da un numero

all’altro. Nei numeri del 1916 compaiono anche

composizioni paroliere che occupano un’intera pagina

oppure una metà o un quarto. In Lacerba invece solo

Messina di Guglielmo Jannelli ( n. 4, 15 febbraio 1914)

e Cd’hArcOUrtFÉ di Carlo Carrà (n. 13, 1 luglio 1914)

debordano con il testo su due colonne, interrompendo

la linea verticale che le separa, e poche sono le parole

in libertà stampate a piena pagina.

Le soluzioni grafiche che meritano di essere segnalate

nel periodico fiorentino, e in particolare nella

seconda annata (1914), figurano la dilatazione delle

dimensioni della testata, la cui altezza supera la metà

del foglio dandosi come richiamo pubblicitario di efficace

effetto, e la forte evidenza conferita ai titoli realizzati

perlopiù con caratteri del tipo lineare, talvolta

di grande corpo.

Maggiore di formato rispetto a Lacerba, L’Italia Futurista

pure pubblicata a Firenze dal giugno 1916 al

febbraio 1918 presenta, come Vela Latina, una veste

tipografica del tutto assimilata a quella del quotidiano.

La presenza di composizioni parolibere risulta

più accentuata che nei giornali futuristi che l’hanno

preceduta. Le parole in libertà, tra le quali prevalgono

quelle che - secondo una distinzione formulata da

Marinetti - manifestano «una sensibilità più pittorica

che musicale rumorista», finiscono con lo svolgere

una funzione di surrogato dell’illustrazione, che pure

è presente come riproduzioni di disegni di Boccioni,

G. Jannelli,

Messina,

in “Lacerba”

pag. 152

C. Carrà,

Cd’hArcOUrtFÉ,

in “Lacerba”,

pag. 158

47


A. Martini,

copertine

di “Poesia”,

pag. 137

Balla, Depero, Gino Galli, Lucio Venna, Rosa Rosà,

Emilio Notte, Achille Lega e altri, e con caricature

sintetiche e vignette di satira politica di Neri e Vieri

Nannetti, Arnaldo Ginna ed Emilio Settimelli. Alle

parole in libertà sono riservate pagine speciali, caratterizzate

da un’estrema libertà e varietà di soluzioni

di impaginazione, che talvolta si presentano come un

inserto suscettibile di piegatura diversa da quella del

resto del giornale.

Il modello de L’Italia Futurista, la cui impaginazione

è curata da Ginna, è ricalcato da Roma Futurista

che, pubblicata nella capitale dal settembre 1918 al

maggio 1920 e nata come giornale prevalentemente

politico, nel 1920 comincia a concedere maggiore spazio

ad argomenti artistici e alle parole in libertà.

I periodici futuristi che hanno assunto la veste

tipografica della rivista risultano più convenzionali

nell’impaginazione e nella grafica. Fondata a Milano

nel 1905, Poesia che appartiene alla preistoria del

futurismo e che rivela, pure nelle scelte grafiche che

la contraddistinguono, il proprio inserimento nella

cultura simbolista. Il disegno della copertina, dovuto

ad Alberto Martini, ha, come annota Lista, «un contenuto

allegorico di un’ispirazione molto affine alle

morfologia della simbolica infernale che si riscontrano

nell’opera grafica di Ensor degli ultimi anni del secolo».

Nella sua produzione pittorica e grafica, come

del resto anche in quella letteraria, il futurismo non

reciderà mai in maniera definitiva i legami con le proprie

origini simboliste, che periodicamente riaccenderanno

a distanza di anni. Particolarmente convincenti

risultano, a tal proposito, gli argomenti addotti da Lista

a sostegno di una continuità di linea di gusto tra la

48


prima e la seconda serie (1920-21) di Poesia.

[...] tra le riviste futuriste che rivelano la permanenza

di un gusto simbolista va ricordata Haschisch

(stampata da Catania nel 1921), le cui copertine sono

dovute a Giuseppe Marletta.

Pubblicato a Roma tre 1917 e il 1920 e diretta da

Bino Sanminiatelli e da Enrico Prampolini, che ne

cura la veste grafica, la prima serie di Noi risulta emancipata

da indulgenze simboliste. Stampata su carta

che a qualche critico malevolo poteva sembrare “di

lusso”, questa rivista si segnala innanzitutto per il suo

carattere di prodotto di un artigianato di qualità, sottolineato

dalle copertine con xilografie di un Prampolini

impegnato a prendere le distanze dalla cultura figurativa

tardo Liberty-simbolista dei suoi esordi di pittore

e di illustratore. La scelta delle quattro incisioni

delle copertine rivela un percorso ancora incerto, che

si muove tra scomposizioni dinamiche d’ascendenza

futuriste e suggestioni cubiste, oppure entra una simbiosi

di figurazione e di astrazione meccanica. Anche

nelle pagine interne Noi adotta talvolta la tecnica xilografica

per riprodurre disegni di Hans Arp, Marcel

Janco, Nicola Galante e altri artisti. L’impaginazione

presenta una controllata varietà di soluzioni, risultante

dall’alternanza di pagine a una, due o tre colonne, e

dal dosaggio di spazi bianchi, ma non riesce evitare

di incorrere in alcune ingenuità, rivelatrici di una non

ancora raggiunta maturità professionale, come la presenza

di illustrazioni a cavallo di due pagine o la tendenza

a costipare testi diversi in una colonna.

Nel composito panorama della stampa futurista, il

modello di un artigianato di qualità di Noi non è rimasto

privo di emulatori. A esso può essere riferita la

E. Prampolini,

copertine

di “Noi”,

pag. 201

49


E. Prampolini,

copertine

di “Noi”,

pag. 201

rivista L’Aurora (1923-24), pubblicata a Gorizia e diretta

da Sofronio Pocarini, che all’accurata scelta di carte

di diverso colore e composizione abbinava la ricca

presenza di linoleumgrafie e xilografie di Giorgio Carmelich.

Non va tuttavia dimenticato, come altro precedente

della rivista goriziana, che lo stesso Carmelich,

prima di collaborarvi, aveva dato vita assieme a

Emilio Mario Dolfi a un’iniziativa editoriale, la Bottega

di Epeo, all’insegna del puro artigianato, per produrre

libri e riviste con tiratura dattiloscritta di otto o dieci

esemplari e illustrazioni disegnate a mano.

Quando, dopo un’interruzione di tre anni, riprende

le pubblicazioni nel 1923, Noi presenta una grafica

radicalmente rinnovata, che, come ha fatto notare

Crispolti, registra il mutato clima di poetica ormai

aperto agli apporti del purismo de L’Esprit Nouveau

e dell’estetica meccanica. Accantonato il carattere artigianale

della prima serie, nell’illustrazione adottata

la riproduzione fotomeccanica mentre la grafica della

copertina (uguale per tutti numeri, anche se stampata

con colori diversi su carte di differente colore) è risolta

mediante una composizione tipografica nella quale

sono inseriti caratteri appositamente disegnati del titolo,

è ancora lasciano trasparire in filigrana un forte

accento di gusto Déco. Nonostante questa permanenza

la seconda serie di Noi inaugura una fase nuova

nella grafica delle riviste futuriste, aperta a sviluppi

destinati a incontrarsi con le tendenze razionaliste.

Chiari segni di tale rinnovamento sono già avvertibili

nel 1925 nella rivista triestina 25, diretta da Carmelich

e presentata come «sintesi pubblicitaria dell’arte contemporanea».

Fanelli. Il futurismo e la grafica. 23-27

50


Le riviste e la grafica razionalista

Tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta, è

riscontrabile nei periodici del movimento futurista, e

in particolare in quelli del gruppo torinese, un orientamento

verso formule grafiche di matrice razionalista.

Questo ritorno all’ordine, e impaginazioni di più

chiara immediata leggibilità, è già individuabile nel

giornale La Città Futurista, di cui escono solo quattro

numeri del 1928 del 1929. La testata, disegnata da

Diulgheroff, è giuocata sull’effetto negativo-positivo

e denota, anche nella scelta dei caratteri, impressioni

di gusto riferibili a prodotti dell’area Déco piuttosto

che alla tipografia d’avanguardia. È soprattutto nella

quarta pagina, riservata alle inserzioni pubblicitarie,

che si può rilevare la permanenza di echi del paroliberismo

futurista, sia pur ricomposti entro un’orditura

ortogonale di linea.

Sarà sufficiente questa sommessa presenza a dare

ancora una volta adito alle critiche-peraltro non del

tutto prive di fondamento di Giulio I. Lagoni, e dalla

pagina di pubblicità de L’Italia Futurista trarrà pretesto

per denunciare ancora una volta, dalle colonne di

Graphicus, l’inapplicabilità dell’esperienza paroliera

futurista al campo della tipografia:

A chi guarda la pagina nel suo assieme, manca quell’impressione

di cose finite completa [...] ove gli annunzi sono fatti e collocati

in modo da farli risaltare singolarmente e da costituire collettivamente

un complesso omogeneo, cioè una pagina estetica. La

pagina che riproduciamo, invece, oltre a non presentare nel suo

assieme l’aspetto [...] di una cosa armonica, è [...] per i suoi fini

51


pubblicitari, un disastro. Infatti, in tutta pagina figurano ben 14

annunzi, mai si sono composti con tale uniformità di stile e forza

di caratteri da sembrare quasi una cosa sola; difetto peggiorato dal

fatto di mancare fra i vari avvisi una netta, 20 a divisione, sì che fra

essi si confondono. Chi sarà quell’industriale o commerciante che

vorrà pagare un avviso che [...] non sarà letto da alcuno o tutt’al più

dagli amatori di rebus.

A questo attacco replica Farfa rivendicando l’efficacia

pubblicitaria della libertà futurista dalla costrizione

delle regole:

Che gioia divertirsi a mandarle con le gambe all’aria perché l’annuncio

giustifichi l’effetto pel quale è nato di pugno nell’occhio,

precisamente quale... frutto di fantasia, altro che ventata di armonia!

Negli anni trenta la linea più ortodossa della tipografia

futurista è perpetuata dei periodici romani fondati

e diretti da Mino Somenzi: Futurismo (1932-33),

Sant’Elia (1933-35), Artecrazia (1934-39). In questi

periodici, che hanno informato del quotidiano, permangono

scelte tipografiche tipiche della tradizione

futurista: uso di inchiostri colorati, alternanza di carta

ruvida patinata, presenza caratterizzante di composizioni

paroliere, ecc.

Inoltre non infrequenti sono le sovrapposizioni di

testo e disegno. La permanenza di formule di gusto

futurista e anche rilevabile nel lettering delle testate

di periodici pubblicati nella prima metà degli anni

Trenta, come Supremazia futurista o Il lampo futurista.

All’opposto i periodici di emanazione del gruppo

futurista torinese, diretti da Fillia, cioè La Città Nuova

52


(1932-34), La terra dei Vivi (1933), Stile Futurista (1934-

35), La Forza (1935), tendono vieppiù ad assimilarsi

ai prodotti della grafica razionalista. La diversità

di impostazione della veste tipografica di questi due

gruppi di periodici bene riflette i loro diversi orientamenti

culturali, nel composito arcipelago del movimento

futurista degli anni Trenta: da un lato la rigida,

e talvolta un po’ ridicola, tutela dell’ortodossia futurista

di Somenzi, dall’altro la disponibilità al dialogo e

alla collaborazione con altre tendenze artistiche, e in

particolare quelli architetti del razionalismo, di Fillia

e del gruppo torinese. Tale è la compostezza dell’impianto

tipografico delle riviste torinesi che a qualcuno

esse sembrano addirittura prive di un’identità futurista.

Antonio Chiattione, su Il Risorgimento Grafico

(n.7, 1935), giunge ad accusare Stile Futurista di essere

«quasi passatista» ed ebbe rinnegato «Le esperienze

audacissime di un tempo». «I futuristi, fin dall’inizio,»

replica Fillia, dopo aver rivendicato una «coerenza

perfetta» nei periodici futuristi, da Poesia a Stile Futurista,

«hanno proclamato la glorificazione della civiltà

meccanica che si sono ispirati ad essa.

[...] Leggi meccaniche che portano fatalmente

nell’impaginazione degli articoli, al semplice, al chiaro,

al netto, al geometrico. I futuristi, in questo, si vantano

di aver percorso quella estetica tipografica che

oggi, per fortuna, trionfa in tutto il mondo».

Fanelli. Il futurismo e la grafica. 43-45

53


Gli anni eoici: 1909-1915

«Poesia»

A. Martini,

copertine

di “Poesia”,

pag. 137

Medaglioni,

in “Poesia”,

pag. 139

Inchiesta

internazionale

di Poesia

sul Verso Libero,

in “Poesia”,

pag. 140

Alla preistoria del movimento appartiene la rivista

Poesia (1905-1909), rassegna internazionale mensile,

fondata a Milano da Filippo Tommaso Marinetti con

Vitaliano Ponti e Sem Benelli, che dopo la prima annata

rimane sotto la direzione del solo Marinetti. Ne

escono 31 fascicoli, tra cui molti numeri doppi e tripli.

La copertina reca sempre lo stesso disegno, di Alberto

Martini, ma varia nel colore. Quasi ogni numero si apre

con un medaglione dedicato a un poeta, di cui viene

fornito un ritratto disegnato da Enrico Sacchetti o Ugo

Valeri, in qualche caso da Giuseppe Grandi. Vi collaborano

poeti di lingua francese, come Gustave Kahn,

ideatore del verso libero, Paul Fort, Emile Verhaeren,

il provenzale Frédéric Mistral, Jean Moréas, estensore

del manifesto del simbolismo, Anna de Noailles, Alfred

Jarry, il giovanissimo Jean Cocteau, Paul Claudel;

autori di lingua inglese, come William Butler Yeats,

di lingua tedesca, tra cui Arno Holz, ispano-latinoamericani,

come Miguel de Unamuno; il simbolista

russo Valerij Brjusov; il poeta nazionale greco Costis

Palamas, e, tra gli italiani, Giovanni Pascoli, Gabriele

D’Annunzio, Guido Gozzano. La rivista si impegna

a difendere l’uso del verso libero, promuovendo un

importante sondaggio, i cui risultati sono raccolti nel

volume Enquête internationale sur le Vers libre et Manifeste

du futurisme par F. T. Marinetti (Edizioni di Poesia,

Milano 1909). La rivista propone altre inchieste concorsi

e utilizza quei sistemi promozionali reclamistici

54


che divengono poi tipici della propaganda futurista.

Salaris. La rivoluzione tipografica. 70, 71

Fondamentale è l’incontro di Marinetti e Lucini:

quest’ultimo, sin dalla fine dell’Ottocento sta elaborando

una certa visione nazionale della poetica simbolista,

una via italiana proprio mentre questa tendenza

in Francia e già in declino. Ma, individualista ed anarchico,

Lucini non pensa ad un movimento organizzato

bensì ad una vasta corrente di pensiero. Le sue riflessioni

trovano un valido complemento nelle capacita

manageriali di Marinetti. Prima tappa del sodalizio

è l’inchiesta sul verso libero, che la rivista lancia nel

1905, prendendo lo spunto dalle innovazioni poetiche

bandite in Francia da Kahn. Nella sua risposta, Lucini

sostiene che il verso libero rappresenta la rivolta contro

il principio d’autorità e diventa il mezzo più adatto

per trasferire in poesia la realtà del mondo moderno.

L’interpretazione progressista del neoilluminismo luciniano

ha una notevole influenza sui seguaci marinettiani,

soprattutto per ciò che riguarda quei contenuti

sociali che si configurano come veri e propri «luoghi»

poetici, sobborghi, prigioni, prostituzione, che tanta

importanza avranno nel futurismo della prim’ora.

[...] Poesia, ambiziosa «rassegna internazionale»,

trait d’union con la cultura francese, con le sue molteplici

iniziative (concorsi, contatti a largo raggio) costituisce

per Marinetti un prezioso rodaggio. Presto

il nostro avrà alle spalle un apprendistato tale che gli

permetterà di candidarsi come leader d’un movimento

intellettuale. Inoltre, con la morte del padre, avvenuta

nel 1907, Marinetti si trova ad amministrare una

grossa eredità, che diventerà la banca da cui attingere

55


F. T. Marinetti,

Tuons le clair

de lune!,

in “Poesia”,

pag. 143

per progetti sempre più vasti.

La bella e raffinata rivista, che ha contribuito a diffondere

il simbolismo in Italia, elegantemente impaginata

nel più schietto gusto liberty (Alberto Martini

ha disegnato l’immagine allegorica in copertina, che

cambia colore ad agni numero, nata con il motto «ma

qui la morta poesia risurga», s’affretta ora a concludere

il suo ciclo. Marinetti, come vedremo, brucia sempre

le tappe, guarda al domani ed esaurisce presto le

proprie iniziative per gettarsi in nuove imprese. Sul

primo numero del 1909 appare il manifesto del futurismo.

Il testo avrà una diffusione enorme in Italia e

all’ estero, essendo subito registrato in tutto il mondo.

[...] Le scelte non solo letterarie ma anche politiche

di Marinetti si rivelano ben presto in occasione delle

elezioni generali del 1909, quando Poesia riporta con

un certo contrasto rispetto a fregi e ricercatezze tipografiche

un immediato Manifesto politico futurista (che

viene affisso anche sui muri): espansione nazionale,

lotta a quei candidati che «patteggiano coi vecchi e

coi preti» sono le coordinate che sia pure in embrione

esplicitano la natura anarco-nazionalista del capo del

nuovo movimento.

Ormai per la Poesia seducente e preziosa non c’è

più posto, Marinetti è convinto che la lotta contro il

vecchio non possa limitarsi ad una battaglia letteraria,

e nell’ alzare il tiro egli sente la necessità di armi più

incisive, certamente meno estetizzanti.

Quando appare il manifesto Tuons le clair de lune! la

rivista è al suo ultimo numero. Marinetti taglia i ponti

col passato, distrugge ciò che ha creato, indirizza i suoi

strali contro quel simbolismo che fino a poco prima

ha avuto il merito di diffondere. Come Edipo, egli

56


deve uccidere il padre. Quest’ultimo proclama marinettiano

esorta i poeti incendiari a uscire dalle città di

Paralisi e Podagra per dichiarare guerra ad un mondo

di morti. Sempre sull’ultimo numero di Poesia appare

emblematicamente una divertente tavola a colori su

due pagine, disegnata da Manca e ripresa dal Pasquino

di Torino, che raffigura satiricamente Marinetti incoronato

in mezzo a seguaci in corteo che battono la

grancassa, fanno piroette da clown, innalzano cartelli

con la scritta «Pink», dal nome d’una celebre pillola.

Per i suoi metodi «americani», scandalistici e pubblicitari,

il capo del movimento si guadagna il soprannome

di «poeta Pink». Scriverà in proposito Palazzeschi:

Manca,

Le Futurisme

dans la caricature

italienne!,

in “Poesia”,

pag. 141

Marinetti aveva capito fino da allora il potere della pubblicità che

doveva raggiungere fatti e persone a tutte le profondità e a tutte le

altezze, nessuno escluso della compagine sociale, e riservata allora

esclusivamente per le Pillole Pink, il cerotto Bertelli e la Chinina

Migone, usarla per i problemi dello spirito era ritenuta dai ben

pensanti tale ignominia per cui nessun vocabolario possedeva una

parola infamante per poterla degnamente qualificare.

[...] Con Poesia nasce anche l’omonima collana, che

resta in attività dal 1905 al 1943, sopravvivendo alla

rassegna, la quale invece conclude la sua esperienza

dopo gli ultimi tre fascicoli dedicati al futurismo.

[...]La storia di queste pubblicazioni ha inizio nella

fase simbolista e prefuturista, quindi fuoriesce in parte

dalle vicende dell’ avanguardia. Le edizioni acquistano

l’attributo di «futuriste» solo nel 1910, a partire

da L‘incendiario di Palazzeschi.

Salaris. Storia del futurismo. 19-23

Edizioni

di “Poesia”,

pag. 144

57


«Lacerba»

G. Papini,

Abbiamo Vinto!,

in “Lacerba”,

pag. 164

Nel gennaio del 1913 prende l’avvio a Firenze la

pubblicazione di Lacerba, per iniziativa del nucleo più

vivace e inquieto dei vociano, formato da Papini e Soffici.

La testata si presenta come scissione del gruppo.

Durerà fino al maggio del 1915 quando, con l’entrata

in guerra dell’Italia, la redazione riterrà di avere

esaurito il proprio compito nella battaglia culturale

mentre incombono altri doveri. Sull’ultimo numero

Papini firmerà un fondo intitolato sintomaticamente

Abbiamo vinto!

Per più di due anni il giornale è stato uno strumento

di rottura nell’ambito della cultura, divenendo da

un lato la tribuna dell’avanguardia, grazie all’alleanza

tra il nucleo fiorentino e il gruppo marinettiano,

dall’altro la palestra interventista per molti intellettuali.

Arte e politica qui si sono strette la mano vistosamente.

Le matrici ideologiche del foglio sono quelle

dell’irrazionalismo più spinto: il fine è rivendicare il

principio dell’intuizione contro il razionalismo, il diritto

di ribellarsi alle regole della società affermando

la più anarchica libertà individuale, che peraltro viene

riconosciuta specialmente all’artista. Questa è la linea

degli animatori, che risentono tra l’altro di una fede in

quel primordiale che a largo raggio viene spesso nelle

arti nella cultura europea (basti pensare al fascino di

Gauguin o al Doganiere Rousseau).

Edita da Vallecchi, la rivista prende il nome da

un’operetta di Cecco d’Ascoli (il titolo è però stampato

senza l’apostrofo, come ricorda Soffici, proprio

per creare disorientamento nel lettore e incuriosirlo).

Su queste pagine avviene l’incontro col gruppo dei

58


marinettiani, tanto che la testata finisce col diventare

l’organo del futurismo. L’alleanza subisce alterne

e travagliate vicende: i primi contatti tra le due parti

avvengono grazie alla mediazione di Severini, che ha

conosciuto Soffici a Parigi; e pure il fiorentino Palazzeschi

ha un suo ruolo nella liasion. La simpatia di

Papini, anche se critica, nei confronti del movimento

è evidente in alcuni articoli. Dal marzo del 1913

inizia l’apertura totale al futurismo, che durerà per 24

numeri fino al marzo dell’anno successivo, quando

Boccioni nel reagire violentemente ad un attacco di

Papini rivolto alla sua concezione pittorica, difenderà

l’ortodossia futurista (Papini, Il cerchio si chiude, 15

febbraio 1914; Boccioni, Il cerchio non si chiude, 1 marzo

1914; Papini, Cerchi aperti, 15 marzo 1914). La polemica

si allarga e si capisce che a Papini non va a genio

tutta l’impostazione marinettiana del movimento. La

rottura si esprime in pieno in un successivo intervento

di Papini e Soffici (Lacerba, il futurismo e Lacerba,

1 dicembre 1914): vengono criticate le «esagerazioni»

dei futuristi milanesi, e la gestione ufficiale del movimento,

che rischierebbe di diventare una chiesa con

i suoi sacerdoti riconosciuti. Il terrore del dogma fa

dire ai due fiorentini in Boccioni sussistono elementi

di «religiosismo umanitario complicato da un’ombra

paurosa di accademia». Essi rimproverano a Marinetti

di essersi impegnato poco nell’interventismo (!) E si

lamentano della leggerezza con cui accoglie i nuovi

talenti, quasi sempre di scarso valore.

Più tardi Palazzeschi, Papini e Soffici riassumono

in uno schema i difetti degli avversari, e così contrappongono

ciò che a loro avviso è il vero futurismo al

marinettismo: supercultura contro ignoranza, immagi-

G. Papini,

Il cerchio si chiude,

in “Lacerba”,

pag. 162

U. Boccioni,

Il cerchio non si

chiude,

in “Lacerba”,

pag. 163

59


60

ni in libertà contro parole in libertà, originalità contro

stranezza formale, ironia contro profetismo, libertà

contro solidarietà e disciplina, anche religiosismo integrale

e amoralismo contro religiosità laica e moralismo

(Futurismo e Marinettismo, 14 febbraio 1915).

Il pezzo sul giornale porta anche le firme di Carrà,

Govoni, Pratella, Severini e Tavolato (di essi solo Pratella

reagisce pubblicamente, dichiarandosi un fedele

di Marinetti). Contro il capo del futurismo, che molto

diplomaticamente non risponde, si scaglia Soffici

il quale, con un ridicolo pseudonimo (Elettroni Rotativi),

firma il falso manifesto dell’Adampetonismo,

parodia dei proclami marinettiani.

Dall’agosto del 1914 la rivista diviene eminentemente

politica, le sue pagine si riempiono di propaganda

“antitriplicista” a favore della guerra; al nucleo

fondatore si affianca una figura come quella di Fernando

Agnoletti, tipico esponente di certo becerismo

fiorentino popolaresco, guerrafondaio e antitedesco.

Non va dimenticato che dietro le posizioni papiniane

s’annida un individualismo nichilista e qualunquista,

ben diverso dal messianismo ottimista di Marinetti:

sintomatico e il suo articolo intitolato Freghiamoci della

politica scritto per le elezioni del 1913, per le quali Marinetti

elabora invece un programma politico futurista,

una sorta di miscela modernista in salsa nazionalista.

Nello spettro delle motivazioni non si dimentichi che

Palazzeschi non esita a definirsi neutrale anche se poi

sull’ultimo numero della rivista aggiunge dire: «Gridare:

“evviva questa guerra” vuol dire anzitutto: “abbasso

la guerra!”».

Nei mesi dell’alleanza tra papiniani e marinettiani

Lacerba rappresenta il polo principale dell’avanguar-


dismo italiano: il tono cattivo insolente di Papini, che

spara contro tutto e tutti, servendosi anche della parolaccia,

e una indubbia novità nelle battaglie culturali,

notevoli sono le “stroncature” di Italo Tavolato e

i suoi articoli immoralisti che causano al giornale un

processo per oltraggio al pudore (l’avvocato Ulisse

Contri, pubblicherà l’arringa del volume In difesa di

Italo Tavolato, Firenze, Vallecchi, 1914). Su queste colonne

inoltre Soffici si distingue per le riflessioni sul

cubismo ed anche per la rubrichetta arguta Giornale

di bordo. Importanti sono inoltre gli scritti sull’arte di

Carrà e Boccioni, e tutti manifesti di questo fertile periodo

che, assieme alle prime parole in libertà, vedono

la luce proprio sulla testata. Da non sottovalutare è

l’apertura alla cultura europea: qui troviamo illustrazioni

di Archipenko, Larionov, Picasso e collaborazioni

di Theodor Daubler, Paul Fort, Max Jacob, e Apollinaire.

In quest’ultimo Boccioni peraltro polemizza,

ritenendo l’orfismo un’imitazione del futurismo. Il

poeta francese poco dopo tuttavia lancia il manifesto

L’Antitradition futuriste (29 giugno 1913 pubblicato

su Lacerba il 15 settembre 1913), un omaggio al movimento

marinettiano definito qui come «motore di

tutte le tendenze», che termina con due sezioni in

cui getta «merda» a professori, critici e pedagoghi, e

«rose» ai rappresentanti del futurismo, ovvero ai più

bei nomi dell’intelligenza internazionale (Picasso,

Matisse, Duchamp, Stravinskij, Kandinskij Braque,

Cendrars, ecc., accanto ai futuristi).

In questa dimensione internazionale rientra il Manifeste

futuriste contre Montmartre di Félix Mac Delmarle

(10 luglio 1913, su Lacerba il 15 agosto dello stesso

anno. L’autore ha firmato nel marzo dello stesso anno

G. Apollinaire,

L’antitradition

futuriste,

in “Lacerba”

pag. 165

61


il manifesto Le peinture futuriste). Il primo episodio che

sancisce l’alleanza tra milanesi e fiorentini nel corso

del 1913 è la famosa serata al Costanzi di Roma (21

febbraio), durante la quale Papini tiene il discorso

Contro Roma e contro Benedetto Croce, (in volantino, s.d.

, è in fascicolo con il titolo Il discorso di Roma, Edizioni

di Lacerba, 1913). Per avere un’idea dell’invettiva

papiniana basta leggere queste frasi:

Io sono un teppista, è arcivero. Mi è sempre piaciuto rompere le

finestre e i coglioni altrui e vi sono in Italia dei crani illustri che

mostrano ancora le bozze livide delle mie sassate. Non c’è, nel

nostro caro paese di parvenu, abbastanza teppismo intellettuale.

Siamo nelle mani dei borghesi, dei burocrati, degli accademici, di

posapiano, dei piacciconi.

Questo becerismo serve all’oratore per colpire la

capitale papalina, simbolo di passatismo e monumentomania,

è al tempo stesso la filosofia crociana, definita

un « vuoto fasciato di formule».

Il tono battagliero immediato procura il giornale

le simpatie degli ospedali. Più tardi scriverà Antonio

Gramsci: «Prima della guerra i futuristi erano molto

popolari lavoratori. La rivista Lacerba che aveva una

tiratura di 20.000 esemplari, era diffusa per i quattro

quinti tra i lavoratori».

L’anima toscana del foglio è molto diversa da

quella dei milanesi. Si dietro ai marinettiani c’è tutta

l’aggressività rampante d’una borghesia che mitizza

l’industria, dietro ai fiorentini invece si avverte

la presenza di quei valori agrari che sono il prodotto

di una situazione culturale che alle spalle la realtà

della mezzadria. Quegli aspetti manageriali partitici

62


della gestione marinettiana, che Papini scambia per

molti ecclesiastici, non sono altro che mezzi adeguati

per diffondere la cultura della società moderna, per

rendere cioè l’avanguardia di massa. Marinetti intuisce

più dei fiorentini le ragioni storiche dell’organizzazione

massiccia. Papini e Soffici, invece, anche se

spesso colgono nel segno in certe critiche, restano due

intellettuali che credono nella nascita di un cenacolo

selezionato di intelligenti anticonformisti, il loro è il

vecchio italico sogno del gene isolato. Questa posizione

si riflette nel loro interventismo. Papini non esita

a presentarsi come l’«antifilosofo» (termine che stranamente

anticipa la definizione coniata da Tzara) e

presto diviene simbolo del ribellismo culturale per un

discreto numero di giovani intellettuali (con le Edizioni

di Lacerba ristampa nel 1914 Il crepuscolo dei filosofi

del 1906, presentandolo come opera che ha anticipato

il futurismo). Nel passaggio da La Voce a Lacerba veste

i panni dell’estremista, incendiando gli animi di molti

giovani, recitando oltretutto la parte del teppista della

letteratura, del Barabba dell’arte o della apache della

cultura. [...] va detto che di sicuro Papini cerca nel futurismo

la possibilità di allargarsi al di fuori dei confini

angusti provinciali da cui, bene o male, sono l’intraprendente

Marinetti può trascinarlo via.

Soffici è invece dapprima il dandy rimbaudiano

che a Firenze ha diffuso la poesia francese moderna e

l’arte figurativa, da Medardo Rosso a Picasso.

[...] Qui, al di là dello spirito di parte e delle strumentalizzazioni,

Soffici fornisce una seducente teoria

dell’avanguardia: arte come totale libertà, non condizionata

da finalità morali, etiche o religiose, arte come

divertimento, ma non pura casualità, bensì lucida

63


A. Soffici,

Bif& ZF + 18 =

Simultaneità –

Chimismi lirici,

Edizioni Della Voce,

pag. 168

costruzione creativa: «Libertà, nella modernità, nella

fantasia, nella giocosità, nella danzante ironia, nel

rutilante fremito di intuizioni fuggevoli di prodigio:

ecco la struttura mobile e capricciosa della nostra estetica».

Il che denota una certa sintonia col nichilismo

dadaista. In Bif& ZF + 18 = Simultaneità – Chimismi

lirici (Firenze, La Voce, 1915) Soffici offre uno dei più

alti saggi di poesia futurista traversi libri ispirati al simultaneismo

e un paroliberismo dato come alchimia

lirica che giunge la distruzione del senso logico, con

interessantissimi interventi tipografici, quasi dadaisti,

e calligrafi. Forti sono le implicazioni rimbaudiane e

baudelairiane cariche di un certo spleen. [...] Tra le

pagine inoltre si può riscontrare qualche esempio di

poesia astratta cerebralmente persurrealista.

[...] Le Edizioni di Lacerba presentano la prima raccolta

organica di scritti proclami, I manifesti del futurismo,

nel 1914, e l’Almanacco della guerra, nel 1915,

dietro cui c’è il solito gruppo di nomi, si tratta d’una

canzonatura della Kultur tedesca. [...] il libretto è illustrato

con bisogni primitivi di gusto fortemente infantile

di Rosai.

[...] Tra il 1913 e il 1914 è uscito a Firenze Quartiere

latino che raccoglie i nomi di molti collaboratori del foglio

papiniano (Ugo Tommei, Italo Tavolato, Govoni,

Cardile, Sbarbaro, dando anche spazio a Lucini, di cui

è annunciata la ristampa del Verso Libero). La rivista

è, anche per questo motivo, una sorta di Lacerba artisticamente

più cauta, di “destra”: il grande giornale

fiorentino è infatti in piena fase parolibera.

[...] Lacerba ha rappresentato dunque un’epoca: la

sua testata si inserisce sempre più spesso come citazione

(ritagliata o dipinta che sia) in numerose opere

64


di pittori da parte di tutto il mondo, come contrassegno

di modernità (Picasso, Fèrat, Braque, Puni, Popova,

Severini, ecc. Soffici da parte sua disegna le belle

carte usate nella rilegatura editoriale delle tre annate,

e si ha notizia perfino di una copia confezionata con le

carte di Robert Delaunay).

Salaris. Storia del futurismo. 71-79

Il titolo, ideato da Soffici, è tratto da un’opera di

Cecco d’Ascoli, cui è stato tolto l’apostrofo per creare

un neologismo senza preciso significato, che tuttavia

suggerisce l’idea di qualcosa di “lacerante” e “acerbo”

al tempo stesso.

[...] Utilizzò colori e caratteri diversi: dapprima

lettere di tipo etrusco stampate in colore terra rossa,

poi enormi caratteri a bastone stampato in nero,

esattamente uguali a quelli che si potevano vedere

allora sui suoi manifesti affissi per le strade di Firenze

e sulla copertina del suo libro Cubismo Futurismo;

infine caratteri da santino impressi in un rosso vivo

nell’ultimo periodo della rivista, pubblicata negli anni

della guerra. Questi ultimi erano già stati utilizzati da

Boccioni nel 1912. In nero, saranno ripresi ancora da

Carrà nella copertina del suo libro Guerrapittura. La

costante ricerca di un equilibrio e di una chiarezza

strutturale della composizione della pagina esplicita

comunque presso Soffici una scelta stilistica molto

più vicina al cubo-futurismo della sua pittura che al

futurismo più ortodosso di Boccioni e di Carrà. Le

creazioni grafiche dell’artista toscano aprivano allora

una linea espressiva caratterizzata dalla sobrietà e

dalle forti evidenzialità plastica delle componenti

A. Soffici,

testate di “Lacerba”,

pag. 149

65


G. Papini,

Viva il maiale!

in “Lacerba”,

pag. 163

I. Tavolato,

Elogio della

prostituzione,

in “Lacerba”,

pag. 162

tipografiche della pagina.

[...] Il contenuto degli articoli è programmaticamente

provocatorio e antiborghese, tanto da suscitare

reazioni ostili negli ambienti dei benpensanti (Odiatevi

gli uni cogli altri, Viva il maiale!, Chiudiamo le scuole,

di Papini; Elogio della prostituzione di Italo Tavolato).

[...] Soffici crea dapprima una testata color ruggine,

che nella seconda annata sostituisce con una nuova,

dotata di enormi caratteri a bastone; infine, nell’ultimo

periodo, sceglie per il titolo caratteri stampino in

rosso. Per le rilegature del giornale fiorentino l’artista

dipinge carte con decorazioni policrome astratte, non

distanti dai motivi orfismi di Sonia Delaunay.

Presto Lacerba diviene un tal oggetto di culto, per i

bibliofili e per gli stessi futuristi, che negli anni Trenta

il periodico Futurismo ne segnala una collezione rilegata

con carte sofficiane, come se si trattasse di una

vera rarità (Il futurismo in Italia, in Futurismo, 39, 4 giugno

1933). Lacerba ha anche una propria collana, dove

appaiono opere di Soffici e Papini.

Lista. Le livre futuriste. 77

Salaris. La rivoluzione tipografica. 71,72

II rapporto Marinetti - «Lacerba»

Palazzeschi era stato il principale artefice del sodalizio

tra i futuristi marinettiani e gli animatori della

rivista Lacerba [...]

In passato i rapporti tra La voce e i futuristi, in realtà,

non erano stati buoni: nel 1911 Soffici aveva attaccato

pesantemente su questo giornale proprio i pittori

futuristi i quali, capitanati da Marinetti, avevano orga-

66


nizzato in seguito una ‘spedizione punitiva’, culminata

in una rissa al celebre caffè letterario delle Giubbe

Rosse. Marinetti aveva poi diffuso un volantino, intitolato

Schiaffi, pugni e quadri futuristi, in cui veniva descritto

questa curioso episodio di ‘militanza artistica’.

Ma ben presto, Soffici e Papini, stanchi dei rigori

vociani, avevano sentito il bisogno di distaccarsi dalla

testata prezzoliniana, e di fondare una nuova rivista

più libera e più aperta alle questioni artistiche.

Nacque Lacerba, che subito si caratterizzò per una

radicale insofferenza nei confronti della cultura dominante,

finendo così per attirare nella propria orbita

i futuristi. Infatti, attraverso la mediazione palazzeschiana,

Lacerba diventò, dopo i primi numeri, la tribuna

ufficiale del movimento.

[...] Finché il sodalizio tra i due gruppi ebbe vita,

Marinetti mise a disposizione dei lacerbiani i suoi,

rapporti con gli intellettuali italiani e stranieri, nonché

la struttura organizzativa del futurismo e parte della

tiratura di Lacerba fu da lui assorbita e diffusa.

Occorre notare però che Papini e Soffici non entrarono

nel novero degli autori delle Edizioni futuriste di

Poesia, bensì pubblicarono presso la tipografia Valecchi

con Le Edizioni di Lacerba.

Lacerba ebbe un notevole successo di pubblico,

tanto da costituire ben presto un’operazione in attivo.

Sulla sua effettiva tiratura sono state avanzate delle

ipotesi.

[...] Marinetti in una lettera a Mario Carli:

Sono convinto che una volta sparita la censura, si potrebbe superare

la massime tiratura di Lacerba delIe 18.000 copie.

67


[...] In una lettera a Palazzeschi, del 16 maggio 1913,

l’editore Attilio Vallecchi invece accennava a «diecimila

copie»; mentre Papini, in una missiva, inviata

sempre all’autore de L’Incendiario, nello stesso periodo

parlava di ottomila esemplari esauriti del numero di

Lacerba uscito il 1° marzo 1913, contenente il Discorso

di Roma, tenuto dallo stesso Papini nella burrascosa

serata al Teatro Costanzi, in cui lo scrittore per la prima

volta si era schierato ufficialmente dalla parte dei

marinettiani:

Lacerba va a ruba. Grandi discussioni e conversioni. Il n° è piaciuto

molto e delle 8.000 copie ne rimangono poche.

G. Papini,

Contro il futurismo,

in “Lacerba”,

pag. 161

Marinetti acquistava ben tremila copie della tiratura

complessiva, che poi pensava a diffondere. É lo

stesso Papini ad aver accennato a questa cifra in una

lettera al capo futurista, in cui tra l’altro spiegava i motivi

che l’avevano indotto a pubblicare l’articolo Contro

il futurismo, apparentemente ostile al movimento,

ma in realtà redatto proprio allo scopo di suscitare attenzione

attorno alla svolta futurista di Lacerba.

Oggi s’è finito di stampare L. e avrai subito le 3000 copie. Troverai

in principio un articolo mio che ho voluto intitolare Contro il Futurismo.

Non ti spaventare. L’ho fatto apposta per attirare l’attenzione

e la curiosità della gente. È una apologia dei Fut. [...]

Non ti avere a male se ripeto un paio di volte ‘Che non sono futurista’.

È necessario per la tattica.

[...] Sono più che evidenti le aspettative che l’animatore

di Lacerba riponeva negli aiuti anche finanziari

del capo futurista, il quale per altro si prodigava nel

68


procurare abbonamenti. Così scriveva infatti Papini a

Marinetti nella fase di avvio del sodalizio:

Ricevo lettera e abbonamenti. Ringrazio moltissimo te e gli amici.

Ti farò spedire oggi a G.V. le 3000 copie di Lacerba.

Il direttore della testata fiorentina, inoltre, pensava

di avvalersi dell’indirizzario dei futuristi per potere

inviare Lacerba in omaggio, e ne faceva esplicita

richiesta a Marinetti. Tra Firenze e Milano si stabiliva

così un filo diretto: avvenivano scambi di cortesie e di

informazioni. Per esempio, Papini avvertiva preventivamente

Marinetti che su La voce sarebbe apparso

l’intervento in cui Lucini avrebbe spiegato le ragioni

della sua rottura con i futuristi, fornendo molti particolari

sulla vicenda:

Ti spedisco alcune copie di L. coll’articolo di Boccioni. Debbo avvertirti

per debito di amicizia che Lucini ha mandato a Prezzolini

per il n. futurista della V. un lungo artic. (Come ho superato il Fut),

dove, a quanto pare, ci sono pettegolezzi di retroscena, lettere tue,

di Govoni, ecc. - miranti soprattutto a dimostrare le tue pressioni e

negligenze nelle cose dei tuoi amici futuristi.

Le reciproche gentilezze facevano parte dell’intesa:

e del resto Papini diffondeva i manifesti della direzione

futurista, infatti scriveva a Marinetti:

Mandami subito un pacco di manifesti (compresi quelli in francese

sulla pittura) e qualche copia del mio discorso.

I lacerbiani, per altro, erano fermamente intenzionati

a mandare avanti l’alleanza coi futuristi milanesi

anche per motivi non del tutto disinteressati: ai loro

69


I. Tavolato,

Elogio della

prostituzione,

in “Lacerba”,

pag. 162

G. Apollinaire,

L’antitradition

futuriste,

in “Lacerba”

pag. 165

occhi Marinetti era il poeta milionario, che si poteva

permettere il lusso d’una bella sede con dei dipendenti.

[...] Nel giugno del 1913 aveva preso l’avvio il processo

per oltraggio al pudore che portava Lacerba sul

banco degli imputati a causa d’un articolo ritenuto

lesivo della morale (Elogio della prostituzione). Papini

e Marinetti testimoniarono in difesa dell’autore del

brano incriminato: Italo Tavolato, un giovane triestino

che vestiva i panni dell’immolista alla Karl Kraus.

Contemporaneamente Papini veniva denunciato per

vilipendio alla religione, avendo pubblicato sempre

su Lacerba l’editoriale Gesù peccatore. Il vescovo di Firenze

arrivò a proibire la lettura del foglio ai fedeli,

mentre il processo per l’articolo sulla prostituzione diveniva

nella città toscana il fatto del giorno.

Tali episodi si trasformarono di fatto in pubblicità

per il giornale. Nello stesso periodo prendeva corpo la

singolare alleanza tra i futuristi e il poeta Guillaume

Apollinaire, il quale, colto da breve infatuazione per

il movimento marinettiano, volle firmare il manifesto

L’Antitradizione futurista. Questo testa piacque a Soffici,

che così ne parlò in una lettera a Marinetti:

Ho ricevuto e letto con entusiasmo il manifesto di Apollinaire.

Vi dicevo che non bisognava inimicarselo.

Il pittore di Poggio a Caiano era infatti il principale

fautore del sodalizio col poeta francese, mentre Boccioni

non era propenso a stringere trappo i rapporti col

paladino del cubismo e dell’orfismo.

Papini da parte sua approvava il testo, pur trovandovi

dei limiti:

70


Il manifesto nuovo e impreveduto e buonissimo e per quanta non

vi sia gran che di nuovo per chi conosce gli arti, pure sintetizza

bene le vertebre del movimento [...], tra i nomi ce ne sono alcuni

che non conosco affatto altri non mi sembrano, come tu dici, degni

di «rose» ma basta a me di vedermi assieme a molti che adoro ed

ammiro per essere contento.

[...]Nel promuovere l’uscita di questo proclama,

Marinetti aveva pensato certamente all’ipotesi di poter

riunire sotto l’egida del futurismo gli avanguardismi

europei. Apollinaire invece desiderava porsi a sua

volta al centro di una operazione di raccordo, in cui il

futurismo avrebbe dovuto svolgere un ruolo di comprimario

con gli altri movimenti d’avanguardia. Non

esisteva, dunque, unanimità tra i due poeti nell’impostare

i termini dell’alleanza e non a caso il progetto

non andò oltre la stesura del manifesto.

Poco dopo, il 12 dicembre 1913, si teneva la serata

futurista al Teatro Verdi e l’attenzione per il movimento

marinettiano raggiungeva l’acme a Firenze.

Papini informava Marinetti del successo di Lacerba:

A quest’ora devi aver ricevuto già il n°.

Soltanto a Firenze ne abbiamo vendute più di 3000 copie [...].

Martedì esce l’Almanacco. Ti raccomando i Manifesti.

Cosa fai di quello di Palazzeschi?

Ma con il nuovo anno l’intesa tra lacerbiani e marinettiani

andava sgretolandosi, anche a causa di un

sentimento di rivalsa nutrito da «Gian Falco» nei confronti

del poeta-manager di Milano.

[...] vi erano anche altri motivi di scontentezza che

spingevano Papini a prendere le distanze da Marinet-

71


ti: quest’ultimo infatti come editore continuava ad

ignorare i suoi lavori.

[...] Quando, dopo l’estate, si instaurò in Italia il

clima interventista, Papini cominciò subito a rimproverare

a Marinetti e ai suoi intimi sodali un’inerzia in

verità poco futurista:

Quest’inazione futurista fa cattivissima impressione. A Roma socialisti

e nazionalisti hanno saputo fare un po’ di rumore e voi altri

a Milano niente [...]. Il futurismo ha in testa al suo programma

l’adorazione della guerra e ora che la guerra c’è - e quale guerra!

- tu stai zitto e fermo? Non credo che un manifesto mandato privatamente

ai tanti indirizzi che possiedi sarebbe sequestrato. Bada

che si tratta di un momento importantissimo e se il F. è assente c’è

il caso che la guerra ammazzi anche lui.

G. Balla,

Il Vestito

Antineutrale

Manifesto,

pag. 35

[...] La tensione tra lacerbiani e marinettiani anche

in seguito non accennò a diminuire: a fine annata i futuristi

parteciparono alle manifestazioni interventiste

romane, in occasione delle quali Cangiullo indossò il

“vestito antineutrale tricolore”, ideato da Balla, che ai

fiorentini parve una trovata puramente goliardica. In

quel periodo Soffici annunciava a Marinetti:

Lacerba diventa per mia volontà e per quella degli amici di Firenze,

politica [...]. Dopo questo numero Lacerba uscirà settimanalmente

[...] con meno pagine [...], l’editore si trova in una situazione

terribile finanziaria dopo la crisi bancaria che ha dovuto

licenziare molti operai [...]. Le parole in libertà: impossibile questa

volta. Non possiamo comporle ne farle fotografare mancano

gli uomini [...]. Bisogna però che tu e gli amici ci aiutiate per la

pubblicazione ebdomadaria mandando articoli. Articoli cortissimi

[...]. Dì loro che le loro passeranno appena finita la guerra, quando

72


Lac. ritornerà artistico-letteraria.

Invece le collaborazioni dei marinettiani non giunsero

ed i nodi vennero al pettine apertamente con la

pubblicazione sulla rivista fiorentina dell’articolo Futurismo

e Marinettismo (14 febbraio 1915), redatto da

Palazzeschi, Papini e Soffici. In esso, oltre ai tre firmatari,

venivano indicati come autentici futuristi antimarinettiani

anche Carrà, Govoni, Severini, Tavolato

e Pratella, i cui nomi però erano stati inseriti senza il

consenso dei diretti interessati.

Infatti il maestro Pratella si affrettava ad inviare

una lettera di dissociazione, datata 16 febbraio 1915;

che Lacerba riporta nel numero del 28 febbraio. Ma

prima ancora che la smentita fosse pubblicata, Marinetti

aveva scritto al maestro romagnolo queste parole:

Palazzeschi,

Papini, Soffici,

Futurismo

e Marinettismo,

in “Lacerba”,

pag. 164

Tutti proclamano imbecillescamente passatista Lacerba; tutti trovano

che laggiù sono impazziti e seguono ormai l’illustre portinaia

Palazzeschi in quel partito d’invidia, di malafede e di professoralismo

mascherato che si potrebbe chiamare il Portinarismo. Disgusto,

nausea, pietà in tutti, a Milano e a Roma, dove mi recai,

tra Venezia e Verona. Tavolato scriverà una lettera dichiarando che

il futurismo è uno solo, che non vi è marinettismo, che Marinetti

non è un Kaiser ma un semplice organizzatore, che senza organizzazione

e solidarietà non vi è che guazzabuglio balordo, e impotenza

passatista, e che non vuol quindi essere lanciato contra i

veri futuristi.

E in un messaggio successivo, inviato sempre a

Pratella, Marinetti aggiungeva:

Ti ho telegrafato da Genova poiché pensavo alla possibilità lon-

73


tana di una sfida e di un duello, e perciò ti facevo sapere dove

ero, per una eventualità di padrini, ecc. Tutti hanno trovato la tua

lettera degna di te e del sangue romagnolo. Russolo ha scritto pure

una lettera violentissima e decisiva. Settimelli e Corradini hanno

fatto lo stesso. Vedremo se le pubblicheranno.

Ai tre futuristi Lacerba rispose sul numero del 13 marzo

1915 con un articolo intitolato Marinettismo, firmato

da Papini, Soffici e Palazzeschi in cui si leggeva:

In questi ultimi giorni abbiamo ricevuto da alcuni accoliti del

marinettismo, con sfida di pubblicazione, diverse lettere che non

vogliamo né giudicare né pubblicare. Senza nessuna acrimonia né

avversione personale, noi abbiamo voluto nei nostri due articoIi,

chiarire la nostra divergenza teorica e pratica dal marinettismo e

prendere davanti a quello una posizione netta. Ci sembra perciò

che l’unica persona autorizzata a rispondere ai nostri argomenti a

rettificare p combattere le nostre affermazioni dovesse essere il

direttore, di quel movimento, cioè F. T. Marinetti.

Invece Marinetti non si curò di rispondere e Lacerba

andò avanti fino al numero 22 del 22 maggio 1915.

Dopo questo fascicolo la rivista fiorentina sospese

le pubblicazioni. Nell’ultima fase Lacerba, trasformatasi

in settimanale politico, aveva accolto il contributo

dei vociani e in particolare di Prezzolini, che per altro

sul suo giornale si era soffermato più volte sul futurismo,

cercando di attirare in un contrasto polemico

Marinetti, a cui nel 1913 aveva indirizzato una lettera

aperta. Ma il capo futurista, secondo il suo solito modo

di fare, aveva evitato le discussioni.

[...]Marinetti sapeva troppo bene che farsi coinvolgere

in una discussione significava offrire al proprio

74


antagonista della pubblicità. La sua scelta diplomatica

era dunque il silenzio.

Successivamente, sul numero di Lacerba del 15

gennaio 1914, era apparsa sotto il titolo Affari idealisti

una curiosa lettera, evidentemente falsa, indirizzata a

Marinetti e firmata da Prezzolini.

[...]Poco dopo Carrà scriveva a Soffici una lettera

in cui diceva:

Benissimo le Antiprezzoliniane che fate in Lacerba. A essere

giusti con noi stessi Prezzolini meriterebbe ben peggio.

L’episodio rientrava dunque in quel clima di reciproche

punzecchiature che caratterizzava i rapporti tra

vociani e futuristi, ma era anche la spia della rivalità

tra due concezioni di editoria militante, da un lato

concordi nel promuovere una produzione finalizzata

alla diffusione di idee e proposte nuove, ma dall’altro

divergenti sul modo d’intendere l’approccio al mercato:

non si dimentichi che Prezzolini, presidente della

Società Cooperativa della Libreria de La Voce rimproverava

a Marinetti di mandare in omaggio le intere

tirature dei volumi, accusandolo di essere un editore

«disorganizzatore » poiché mostrava di ignorare le leggi

del commercio librario, alle quali invece la collezione

de La Voce scrupolosamente si atteneva.

[...] Ma per ironia della sorte oggi è ben più ricercata

sul mercato un’edizione di Poesia di una pubblicazione

di La Voce!

Salaris. Marinetti Editore. 141-156

Salaris. Storia del futurismo. 8

75


Guerra e dopoguerra

Marinetti, Carrà,

Boccioni, Mazza,

Piatti, Russolo,

Sintesi futurista della

guerra, pag. 36

L’elogio della guerra come farmaco sociale, comune

a tanti intellettuali del momento, trova nell’opera

marinettiana la sua realizzazione più vistosa, il paroliberismo

stesso è nato come mimesi dei rumori e della

scenografia della guerra. L’idea del conflitto non solo

appare al nostro come “igienica”, ma corrisponde quasi

alla legge dell’evoluzione. Al contrario, il pacifismo

risulta come stasi, sintomo di morte. Questi due opposti

fantasmi hanno un ruolo importantissimo nel sistema

mitologico marinettiano.

Verso l’inizio del 1915, inoltre, viene lanciato il teatro

sintetico che assume una funzione centrale nella

battaglia politica a favore della guerra. Politica e spettacolo

si compenetrano.

Già nel settembre del 1914 avvengono manifestazioni

interventiste a Milano, organizzate da Marinetti,

Boccioni, Mazza, Piatti, Russolo, che vengono arrestati.

Il 20 settembre i cinque futuristi, simbolicamente

“dal cellulare di Milano”, lanciano il volantino-affiche

Sintesi futurista della guerra, in cui è raffigurato un grande

cuneo al cui interno vengono collocati i nomi delle

nazioni avverse alla “passatismo” di Austria e Germania,

ovviamente al vertice di questo fronte di sfondamento

c’è il futurismo. L’immagine è simile al Cuneo

che nel 1919 El Lissitskij concepisce nel voler rappresentare

la armata dei rossi che «colpisce l’esercito

bianco». L’idea del Cuneo come simbolo di battaglia

è già apparsa nella firma di Marinetti, vera poesia visiva,

in cui la scritta «FuTurisMarinetti» (si noti che le

iniziali del poeta sono in maiuscolo) compone con le

76


sue lettere un angolo acuto che va a scagliarsi contro

una linea spezzata, composta dalle lettere della parola

“passatismo”.

«Vela Latina»

Verso la metà degli anni dieci il futurismo cominciò

diffondersi dei centri principali (Milano, Firenze

e Roma) alla periferia. A Messina nasce la rivista La

balza (1915) di Giovanni Antonio Di Giacomo, detto

Vann’Antò, Luciano Nicastro, Guglielmo Jannelli,

a Napoli Vela Latina ospita tra il 1915 e il 1916 una

“pagina futurista”, che si distingue per il paroliberismo

più audace. Cangiullo ne è l’animatore. Proprio

su questa testata viene tenuta a battesimo la prima paroliera

ufficialmente riconosciuta, Marietta Angelini,

cameriera di Marinetti, presentata dal gruppo come

l’antiletteraria per eccellenza, in contrapposizione alle

“celebri scrittrici” del periodo (Ada Negri, Neera, Deledda,

ecc.). [...] l’idea di presentare l’Angelini rientra

invece in quella scelta del naif che il gruppo persegue,

presentando, tra l’altro su Vela Latina, quel Pasqualino

13 anni, fratello minore di Cangiullo, poeta parolibero

in erba. La predilezione per le espressioni della creatività

dei ragazzi è una tendenza che rientra nel primitivismo

e nell’anticulturalismo del gruppo.

All’insegna del disprezzo per ogni forma di accademia

si muove con talento spontaneo, partenopeo e

clownesco Francesco Cangiullo, che diventa uno dei

più originali paroleliberi, non disdegnando peraltro di

scrivere, accanto a canzonette popolari, poesie di varia

ispirazione palazzeschiana (Le cocottesce, Napoli, Edi-

F. Cangiullo,

Pasqualino 13 anni,

in “Vela Latina”,

pag. 177

77


zioni giovani, 1912, con prefazione di Palazzeschi).

«L’Italia futurista»

Abbiamo visto come di fronte all’annuncio della

guerra e il cerchio dell’esperienza lacerbiana si sia

chiuso. Ma appena un anno dopo nella città toscana

assistiamo alla nascita di una nuova importante testata

d’avanguardia: L’Italia futurista che viene ad alimentare

il cosiddetto secondo futurismo fiorentino (1 giugno

1916-14 febbraio 1918).

L’intento dei redattori è quello di non dover necessariamente

decorrere bene pennelli di fronte alla

guerra: bisogna esercitare la creatività, usando tutti

i ferri del mestiere, sullo sfondo del conflitto. Occorre

insomma tener fede all’arte in tali frangenti è,

semmai, trarre dall’esperienza bellica l’ispirazione

necessaria per fare un’arte all’altezza dei tempi. Ma

chi sono gli animatori del giornale? Essi si chiamano

Emilio Settimelli, Bruno e Arnaldo Ginnani-Corradini

(che, per differenziarsi assumono rispettivamente il

nome di Bruno Corra e Arnaldo Ginna) Mario Carli,

Remo Chiti. Questi intellettuali si battono da tempo

per un’arte d’eccezione, che non esclude lo strano, il

paradossale, l’eccessivo e il bizzarro, con implicazioni

perfino esoteriche.

L’originalità del punto di vista peraltro emerge in

quel manifesto proto-concettuale su Pesi misure e prezzi

del genio artistico, di cui si è parlato, che fa capolino

nel clima di Lacerba, dove i nuovi venuti così strambi

non sono troppo graditi a Papini il censore.

[...] Il principale obiettivo del gruppo «liberista» è

78


quello di collegare tra loro le arti, in vista proprio del

recupero della creatività come dimensione globale.

[...] Il sodalizio tra i simpatici “folli” e Marinetti avviene

dapprima sulla base degli interessi teatrali, abbiamo

infatti già visto quella decisiva funzione abbiano

avuto Settimelli e Corra nell’elaborazione teorica

e pratica del teatro sintetico. Proprio questo settore

ha molto spazio su L’Italia futurista; infatti qui escono

“sintesi” dei vari Boccioni, Buzzi, Remo Chiti, Alberto

Maurizio, Mina della Pergola, Cangiullo, Volt, Neri

Nannetti, Raffaello Franchi, ecc. Ma i campi l’azione

e di intervento giornale sono molteplici, dallo spettacolo

in senso lato, alla letteratura, dall’arte alla politica.

Nel complesso due sono le anime che si congiungono

in quest’esperienza: quella tecnologico-modernista

dei marinettiani e quella cerebrale-simbolista del nucleo

del giornale, portato a privilegiare una sorta di

prosa poetica d’avanguardia, di tipo astratto-oniricoriflessivo,

con puntate costanti nello “psichico puro”,

nell’assurdo e nell’irreale. I nuovi venuti per tali caratteristiche

occupano un posto particolare non solo

all’interno della storia futurista, ma proprio nell’ambito

della cultura italiana, dunque rappresentano una

corrente post-simbolista e pre-surrealista.

[...] Ciò per cui L’Italia futurista si distingue dalle

comuni riviste dell’epoca è, tra l’altro, l’aspetto grafico,

ricco di audaci spettacolari parole in libertà, di

grande effetto. In questo settore visivo troviamo, accanto

ai personaggi già noti, figure più o meno nuove.

[...] Non mancano donne e giovanissimi, cui è riservato

un’apposita rubrica. La gamma degli interventi

paroliberi che varia, va dal quadretto tipografico piuttosto

descrittivo (vedi Pasqualino 13 anni) al versante

79


P. Buzzi,

Pioggia nel pineto

antidannunziana,

in “L’Italia

Futurista”,

pag. 192

concreto (Piero Gigli, Luciano De Nardis, Cangiullo,

Buzzi, per esempio, Pioggia nel pineto antidannunziana

un componimento fatto di sole virgole). Notevole è

infine l’astrattismo tipografico di Marinetti. Sul côté

fonetico troviamo le prove di Balla (la famosa Treslì

Trelnò), l’«omolingua» di Depero.

[...] Con esiti molto personali invece Corra reinventa

il linguaggio in Browning:

Sì tu violenta detonazione crollo sparire via fuliggine concave sordomute

nero rossastre in chiusezze amare pulsose via retacità nevroroventi

centrocarnate vuotidiozie nucoochiodatamente orbitali

autoassenze vertiginature gioiofollie in sbilichissimi ultraviolettari

su miliaspillori di narcotici stramorcàssami tu acciaiezza.

S. Quasimodo,

Sera d’estate,

in “L’Italia

Futurista”,

pag. 193

Tanti sono gli esempi, tra cui segnavo, non solo titolo

di curiosità o propria dimostrazione dell’espansione

tappeto del futurismo, la presenza paroliera dell’esordiente

Salvatore Quasimodo, autore di una imprevista

Sera d’estate. [...] Chi, oggi, potrebbe davvero attribuire

al poeta del Nobel questo saggio? Il fatto è che per

molti giovani assetati di novità il movimento marinettiano

è stato punto di riferimento d’obbligo e L’Italia

futurista, in questi anni di crescita numerica degli

adepti, è riuscita a raccogliere i contributi più validi di

tutte le contrade d’Italia.

Nell’arco della sua esistenza il giornale diventa

inoltre la tribuna da cui lanciare diversi manifesti. La

linea marinettiana si presa col proclama La nuova religione

morale della velocità (11 marzo 1916), che nel dare

lo sfratto alla vecchia metafisica demistifica il concetto

del sacro, ribaltando nella modernolatria che ha propri

«luoghi abitati dal divino»: stazioni, sale cinematogra-

80


fiche, transatlantici, ecc.

Accanto all’ortodossia marinettiana ha modo di dar

frutto l’eterodossia latente del nucleo che ha in mano

la testata, sul cui secondo numero appare uno dei più

inquietanti manifesti del periodo: La scienza futurista

di Corra, Ginna, Chiti, Settimelli, Carli, Oscar Mara,

Vieri Nannetti. Il che equivale ad una dichiarazione

di poetica collettiva: il rifiuto della conoscenza tradizionale

si accompagna ad una attenzione per quella

«quella zona meno scandagliata della nostra realtà che

comprende i fenomeni del medianismo, dello psichismo,

della rabdomanzia, della divinazione, della telepatia».

Quest’anima esoterica, che sta alla base del

pre-surrealismo del gruppo, è vivacemente attratta da

tutto ciò che è abnorme. L’eclettismo che la caratterizza

si riflette peraltro nel ventaglio degli interessi, che

comprende perfino il cinema.

[...] La testata fu anche da sfondo alla Manifesto

della danza futurista di Marinetti (8 luglio 1917) come

la descrizione di tre danze ispirate ai meccanismi da

guerra: lo shrapnel, la mitragliatrice e l’aeroplano. Il

capo del movimento suggerisce una gestualità meccanica,

antiromantica, «disarmonica, sgarbata, antigraziosa,

asimmetrica, sintetica, dinamica, parlolibera».

Il conflitto ha un grande spazio sul periodico, ispirando

non solo complimenti creativi ma numerosi articoli

prettamente politici. Non mancano i manifesti

legati direttamente all’argomento come Moltiplichiamo

i sardi: primo materiale di guerra di Pasquale Marica

(1 novembre 1916).

[...] Il giornale promuove inoltre un’attività editoriale:

i cosiddetti «Libri di valore», termine che rinvia

alla concezione critica maturata dal gruppo, legata ad

F. T. Marinetti,

Manifesto della

danza futurista,

in “L’Italia

Futurista”,

pag. 194

L. Labozzetta,

Trincea,

in “L’Italia

Futurista”,

pag. 196

81


un criterio di misurazione oggettivo-scientifica della

creatività. La collana, diretta dalla “musa inquietante”

Maria Ginnani (che si chiama Maria Crisi ed è moglie

di Ginna), annovera sette titoli in tutto; di essi i primi

sei escono nel 1917 e in ultimo appartiene al 1918. Si

tratta di disegni di lusso, con copertina di cartoncino,

affidate alla generalità delle illustrazioni quasi dalle

dadaiste e surrealiste di Ginna. I volumi si aprono con

una foto dell’autore. Nel complesso l’iniziativa mantiene

una certa indipendenza dai canoni dell’ortodossia

paroliera marinettiana, per lo più presentando testi

ispirati alla poetica del nucleo fiorentino.

Salaris. Storia del futurismo. 79-97

«Roma futurista»

Il manifesto che annuncia la fondazione della nuova

organizzazione politica futurista appare per la prima

volta sull’ultimo numero di L’Italia futurista nel

febbraio del 1918 è nel settembre dello stesso anno

sul primo numero della nascente Roma futurista, rivista

che, ritorno dalla testata fiorentina il ruolo di giornale-pilota

del movimento, finisce col rappresentare

in pieno la fase in cui il futurismo naviga tra le sempre

più agitate complesse correnti politiche del dopoguerra.

Il manifesto, anticlericale e antimonarchico, è il risultato

dell’incontro tra il “messianismo” marinettiano,

trasportato dal cielo dell’arte al terreno delle cose

pratiche, e fermenti di varia provenienza, anarchici,

nazionalistici, riformisti.

[...] Sono questi termini della cosiddetta “democrazia

futurista”, con cui il movimento marinettiano si

82


rinnova nel momento della riconversione dal tempo di

guerra al tempo di pace, spostando così la battaglia sul

fronte “interno” contro ex neutralisti, socialisti, borghesia

parassitaria, pescecani, e via dicendo, con una

violenza che aumenta dal momento in cui la vittoria si

profila come “mutilata”.

[...] Questi spunti, arricchiti di un evidente componente

mazziniana, patriottico-repubblicana, si riflettono

nei dibattiti di Roma futurista. Proprio questo

giornale fa da sfondo al sodalizio tra futuristi e arditi,

i militari dei reparti d’assalto sorti durante la guerra

per risolvere situazioni di, noti come “fegatacci” pronti

a tutto, non troppo rispettosi delle gelatine e delle

discipline, sulle cui imprese all’epoca e nascondere

proprio mito.

[...] L’operazione passa oltre che su Roma futurista

– che per tutta una prima fase la tribuna dell’arditismo

– su vari giornali, tutti stampati a Milano: L’Ardito

di Ferruccio Vecchi e Carli, La testa di ferro, “rivista

del fiumanesimo” diretta da Carli, e I nemici d’Italia

di Mazza.

[...] La seconda manovra tentata su Roma futurista,

certo meno eclatante di quella che riguarda gli arditi,

ma da non sottovalutare, è costituita dall’apertura alle

donne, potenziali alleate d’un disegno politico che

viene ad inglobare i remi del voto e dell’emancipazione

femminile. E sulla testata uomini e donne riflettono

sul contributo femminile nelle opere assistenziali

del tempo di guerra, sul ruolo della donna nella società,

nella politica nel lavoro. Un ardito arriva perfino

a lanciare un appello alle donne, esortandole partecipare

alla ricostruzione del dopoguerra: non poche

futuriste rispondono (da Fulvia Giuliani, vecchia co-

83


84

noscenza di L’italia futurista, a Futurluce, ovvero Elda

Norchi, Anna Q. Bonfadini, ecc.) e qualcuno propone

l’organizzazione d’un fascio di Ardite! Il clima è rivoluzionario,

dal dibattito sono perlopiù esclusi privato,

la psicologia, mentre molto si parla di obiettivi giuridico-economici.

Con rigor giacobino nello stesso periodo

Marinetti arriva a formulare nel manifesto Contro il

lusso femminile (11 febbraio 1920) un insieme di leggi

suntuarie futuriste contro le vanità della moda esterofila.

E sempre dalle colonne nel giornale al capo del

futurismo fa eco Volt, ma con spirito leggero divertito,

nel bizzarro Manifesto della moda femminile futurista

che propone di ripassare il corpo della donna in base

all’estetica fantasiosa, colorata, asimmetrica, polimaterica

della creatività futurista. Viva la donna-scultura, la

femmina-opera d’arte! Sintomaticamente il processo

di riconversione dall’impegno al disimpegno che, è

causato dalla delusione politica, si riflette ovviamente

su Roma futurista che registra il polso della situazione.

Questa è in sintesi la sua storia. Il giornale vive una

prima fase tutta politica (20 settembre 1918-dicembre

1919) sotto la direzione di Giuseppe Bottai, affiancato

da Enrico Rocca e Guido Calderini; vi lavorano Piero

Bolzon, Ferruccio Vecchi, Volt, Mario Scaparro ecc.

Proprio nel periodo elettorale Bottai affronta più volte

il tema “futurismo contro socialismo”.

[...] Solo dopo il fallimento elettorale si comincia

sbriciolare il fronte politico e il giornale ritorna col

vento in poppa sul terreno dell’arte fino alla chiusura

(gennaio-maggio 1920): i pittori Balla e Gino Calli

vengono a dirigere la testata mentre Bottai se ne va.

In un periodo improvviso è annunciato con un Programma

a sorpresa: la rivista torna agli antichi amori


giudicando non piacevole la partecipazione alla battaglia

elettorale conclusasi con l’insuccesso. Gli ultimi

numeri di Roma futurista, testata nata per ragioni politiche

e dunque piena di appelli, dibattiti e proclami,

improvvisamente si riempiono di disegni, tavole paroliere,

parole in libertà e testi creativi.

Salaris. Storia del futurismo. 113-116

Anni Venti

La guerra crea un solco nella storia del movimento:

la spinta propulsiva degli esordi infatti rallenta. Un

ciclo si conclude, tutto sembra ricominciare su altre

basi, vengono nuove generazioni, nuove situazioni. È

questo il tempo del “secondo futurismo”.

L’ufficialità è rappresentata nel decennio da Il futurismo,

la «rivista sintetica illustrata» che esce sporadicamente,

dapprima a Milano (dal 1922 al 1924 fino

al n. 9), poi a Roma, mantenendo quello stesso formato

dei volantini, ai quali si sostituisce: qui appunto

escono i principali manifesti. Ad essa si affianca Noi,

seconda serie (Roma, 1923-25), la prampoliniana «rivista

d’arte futurista » in carta patinata, dalle notevoli

aperture internazionali, che rappresenta la linea vincente

in seno al movimento: quella che punta a farsi

riconoscere come tendenza esclusivamente artistica.

Salaris. Storia del futurismo. 126,127

Per il loro impegno politico di vecchia data i futuristi

hanno ritenuto di poter interpretare l’anima

originaria del fascismo, quella “rivoluzionaria”, a cui

85


86

continuamente si richiamano negli anni della “normalizzazione”

con toni di effettiva nostalgia. Infatti,

Marinetti, abbandonata definitivamente l’idea d’una

politica in proprio, si limita a recitare la parte del “precursore”,

al tempo stesso però cerca di far guadagnare

al proprio movimento uno “status” ufficiale, ribadendo

costantemente che il futurismo è l’unica corrente

che abbia tutte le carte in regola per rappresentare

l’arte del fascismo. Questo programma, tuttavia, non

riuscirà ad ottenere il sostegno del potere politico, e

ciò procurerà un continuo senso di frustrazione nelle

file futuriste.

[...] Anche per quanto riguarda la cultura popolare,

i futuristi ritengono di poter fornire proposte appropriate,

essendo animati dal desiderio di configurarsi

appunto come i costruttori di un’ “avanguardia di

massa”, Marinetti infatti ora tende a presentare i suoi

artisti come specialisti e tecnici della comunicazione

estetica allargata, in tutti i campi, dalle arti maggiori

alle arti applicate, dalla propaganda al costume, ecc.

[...] Si verifica così una sostanziale revisione del

futurismo, che passa dalla contestazione globale a

un obiettivo ben più limitato, la difesa sindacale

dell‘avanguardia e la conquista di uno spazio. Nella

prima metà degli anni Venti, dal punto di vista ideologico,

si assiste ad uno spostamento di rotta che rovescia

la visione “totalitaria” dell’anteguerra: Marinetti,

deluso dalla politica, dapprima si pronuncia a favore

del primato assoluto dell’arte, arrivando a formulare

l’ipotesi utopistica, e del tutto metastorica e metaforica,

degli artisti al potere.

[...] L’avvenimento che nella storia del futurismo

segna il momento del riavvicinamento al fascismo è


la pubblicazione del manifesto I diritti artistici propugnati

dai futuristi italiani, proprio sul primo numero de

L’impero, nel 1923; in Noi, I, aprile 1923. Si tratta d’una

articolata piattaforma di rivendicazioni corporative,

che il gruppo di Marinetti, ripresentatosi compatto

dopo un lungo silenzio, indirizza al “governo fascista”.

Salaris. Artecrazia. 2-7

F. T. Marinetti,

I diritti artistici

propugnati dai

futuristi italiani-

Manifesto al

governo fascista,

in “Noi”,

pag. 212

[...] Nel decennio venti-trenta pullula una miriade

di situazioni provinciali e di piccoli centri, ruotanti

attorno a riviste e rivistine locali; si tratta dell’aspetto

capillare, diffuso del corpo del futurismo.

[...] Questa avanguardia disseminata dalla Sicilia

alle Alpi, spesso si annida in zone arretrate, dove il

verbo marinettiamo è visto come un miraggio, una novità,

o forse una “moda” al pari degli altri ingredienti

tipici di questi anni folli.

Salaris. Storia del futurismo. 126,127

«Dinamo»

Rivista mensile pubblicata a Roma nel 1919. Sulla

copertina del primo numero, uscito nel febbraio 1919,

compare il sottotitolo “Rivista futurista”. La sede della

direzione è inizialmente in via Conte Verde 15, a

Roma; l’amministrazione invece risulta presso l’Impresa

Editoriale Ugoletti in via Condotti 21, dove, dal

maggio 1919, sarà situata anche la direzione. A partire

dal sesto numero direzione e amministrazione saranno

trasferite entrambe in via Venezia 18. Complessivamente

escono sette numeri, l’ultimo dei quali riporta

la data settembre/ottobre 1919; il sesto e il settimo fa-

87


88

scicolo sono doppi. Ogni numero è costituito da una

trentina di pagine di 25 cm ed ha un costo di 50 centesimi.

La direzione del periodico è affidata ad Emilio

Settimelli, Mario Carli e Remo Chiti. Dal numero

4 del maggio 1919 essi saranno sostituiti da Filippo

Tommaso Marinetti. La maggior parte dei collaboratori

(Bruno Corra, Mario Dessy, Volt, Crescenzo Fornari,

Enrico Rocca, Pietro Pupino Carbonelli, Giuseppe

Bottai, Paolo Buzzi, Luciano Folgore, Francesco Cangiullo,

Fulvia Giuliani, Mina Della Pergola, Dinamo

Correnti, Jamar 14) proviene dal gruppo di Roma futurista,

il “giornale del Partito politico futurista” (divenuto

poi “settimanale del Movimento futurista) nato

nel settembre del 1918, prima della fine della guerra,

per iniziativa degli stessi Marinetti, Carli e Settimelli,

e che accompagna, non solo cronologicamente, la trasformazione

del Futurismo da movimento in partito.

Fin dall’editoriale del primo numero Dinamo (o La

Dinamo, come talora si definisce la rivista) desidera

sottolineare la differenza dagli altri giornali che, pur

dichiarandosi futuristi, non furono in grado di seguire

coerentemente la pratica avanguardistica. «La Dinamo

sarà l’organo intransigente del movimento futurista

artistico e del partito politico futurista». È evidente

da queste prime dichiarazioni la netta presa di posizione

del periodico e il desiderio di riaffermare prepotentemente

l’esistenza di un futurismo unico, quello

marinettiano. È forte inoltre la polemica nei confronti

di quegli artisti che, pur provenendo da una militanza

futurista, se ne sono poi distaccati per andare ad ingrossare

le fila dei cosiddetti “passatisti”.

La posizione del gruppo di “Dinamo” è coerente

con l’atteggiamento abitualmente assunto da Mari-


netti e risponde all’esigenza di un richiamo all’ordine

e della ripresa dell’egemonia del movimento, in

seguito allo sfaldamento del futurismo causato dalla

crisi bellica. Dinamo non affronta mai apertamente

le questioni politiche, ma resta legato ad un orizzonte

strettamente artistico: molti sono i testi creativi, le

parole in libertà, le sintesi teatrali. Frequentemente

le pagine del periodico ospitano illustrazioni, disegni,

riproduzioni. Largo spazio è dedicato anche a riquadri

pubblicitari di mostre o pubblicazioni futuriste (una

lunga recensione è dedicata a Crepapelle di Luciano

Folgore); in particolare vengono messi in risalto i titoli

dell’editore Ugoletti che, oltre a Dinamo stampava anche

Roma futurista e Cronache d’attualità.

L’unica rubrica presente nella rivista è denominata

“Caffè-Concerto”; essa ha inizio col numero 4 e contiene

cronache artistiche e teatrali.

I testi teorici costituiscono una minoranza: nel

numero di maggio appare L’arte dei rumori di Luigi

Russolo, e in quello successivo troviamo l’articolo dal

titolo Architettura futurista in cui Virgilio Marchi accosta

l’architettura alla genialità, all’ispirazione. Tra i

manifesti vengono riproposti La declamazione dinamica

e sinottica di Marinetti e il Teatro futurista sintetico di

Marinetti, Settimelli e Corra. Vi sono inoltre altri interventi,

meno noti ma che vale la pena segnalare. Il

primo numero ospita, ad esempio, l’ultimo scritto inedito

di Umberto Boccioni dedicato a Virgilio Funi, definito

“uno dei migliori campioni della giovane pittura

italiana”. Sul numero 5 troviamo invece un curioso intervento

di Marinetti (Il proletariato dei geniali) il quale

propone che in ogni città venga costruito un palazzo,

denominato “Mostra libera dell’ingegno creatore”,

L. Russolo,

L’ Arte dei Rumori,

in “Dinamo”,

pag. 225

F. T. Marinetti,

La declamazione

dinamica

e sinottica,

in “Dinamo”,

pag. 224

F. T. Marinetti,

Teatro futurista

sintetico,

in “Dinamo”,

pag. 224

89


F. T. Marinetti,

Il proletariato

dei geniali,

in “Dinamo”,

pag. 223

Anonimo,

Caffè-Concerto,

in “Dinamo”,

pag. 225

dove possa venir valorizzata tutta la schiera di uomini

geniali, troppo spesso “derisi, svalutati, imprigionati”.

Nel sesto numero Mario Carli propone un articolo

in cui manifesta tutto il suo disprezzo per gli artisti cosiddetti

“puri”: gli apatici, i contemplativi, gli statici, i

sofistici; e sottolinea il fatto che i futuristi non concepiscono

altra opera d’arte se non quella che “scaturisce

fulmineamente dall’urto brutale con la vita”.

Dinamo, pur volendo riportare nell’alveo del futurismo

i vari sperimentalismi, non giunge quasi mai

a scontri aperti. Tuttavia, un accenno di polemica è

rintracciabile nell’articolo di Gino Soggetti (n.3, aprile

1919), il quale si schiera contro le neo-nata Ronda,

definendola «un’infelice creatura di cervelli pecorili

non più giovani, uno scatto a vuoto nel campo dell’arte

moderna». Violento e privo di mediazioni è invece

l’attacco nei confronti del dadaismo: nella rubrica

Caffè-Concerto del sesto fascicolo il movimento artistico

fondato da Tristan Tzara è paragonato a «roba di

seconda mano», «una specie di infantilismo e di balbettamento,

che puzza alquanto di tedescheria».

La rivista sospenderà le pubblicazioni prima delle

elezioni e verrà sostituita dalla serie artistica di Roma

futurista.

Pur essendo di durata limitata, Dinamo rappresenta

un’esperienza interessante poiché contribuisce a

mostrare con chiarezza i fili che componevano la variegata

trama dello sperimentalismo nella Roma tra la

prima guerra mondiale e la fine degli anni Venti. Essa

mette in luce il groviglio di inquietudini e di nuove ricerche

che ha attraversato il Futurismo nel dopoguerra,

e rende evidenti le soluzioni e gli atteggiamenti

adottati dal gruppo per tentare di risolvere i problemi

90


dell’avanguardia marinettiana.

CIRCE. Catalogo informatico riviste culturali europee

Movimento e giornali a Gorizia

Questa volta i segnali partivano da Gorizia, e Fiume,

crogiuolo di tutte le irrequietezze per la cui causa

il Futurismo si batteva e si agitava con vigore, stava sullo

sfondo. A onor del vero l’avventura di D’Annunzio

non era ancora in corso quando Roma futurista, organo

del Partito politico futurista, ospitava nel suo numero

15/16 del 13/20 aprile 1919 una lettera di adesione al

movimento e al partito di Sofronio Pocarini, giornalista

e poeta del capoluogo isontino. Sul medesimo

periodico, di cui era condirettore il goriziano Enrico

Rocca, il 19 ottobre 1919, e quindi dopo l’occupazione

di Fiume da parte dei legionari dannunziani avvenuta

il 12 settembre, Pocarini annunciava, assieme all’architetto

Mario Mirko Vucetich, la nascita a Gorizia

della Sezione del Movimento futurista per la Venezia

Giulia. Nella città del Carnaro, proprio nell’ottobre

del 1919, Pocarini aveva consumato una breve ma intensa

esperienza giornalistica, cogliendo l’opportunità

di respirare l’aria eccitata delle primissime sperimentazioni

politiche e culturali della ‘città di vita” dannunziana.

Pocarini, del resto, aveva già organizzato a

Gorizia, nella primavera del’ 19, un gruppo yoga di “ ...

irruenti e arditi futuristi goriziani”. Egli insomma non

era estraneo alle grandi tensioni del momento, sia sul

piano politico che su quello culturale, e spesso in quei

frangenti era l’attrazione per la battaglia politica a su-

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92

scitare l’interesse per l’impegno culturale. I fermenti

fiumani, che nel corso del 1920 trovavano espressione,

tra gli altri, nei periodici La testa di ferro, fondato e diretto

dal futurista Mario Carli, e Yoga, con l’iscrizione

in testata Yoga unione di spiriti liberi tendente alla

perfezione, creato e guidato dal legionario futur-ardito

Guido Keller assieme a Giovanni Comisso, costituivano

quindi uno strato influente, ancorché indiretto, sulle

vicende dell’avanguardia e del Futurismo giuliano

e perciò della sua produzione editoriale, quantomeno

sino alla fine del 1924.

Nel 1921 il giovanissimo udinese profugo di guerra

a Milano con la famiglia, Michele Leskovic (più tardi

noto con il nome d’arte Escodamè) sottoscriveva nella

capitale lombarda, assieme a tali Roberto Clerici e

Pietro Albrighi, il manifesto futurista Svegliatevi, Studenti

d’Italia! che prupugnava, tra l’altro, l’abolizione

dell’insegnante, nell’interesse della libertà cerebrale

dello studioso”. Il provocatorio ed entusiasmante

messaggio sortiva i suoi effetti anche a Trieste, ove

due giovanissimi studenti di scuola media superiore,

Umberto Martelli e Bruno Giordano Sanzin, fondavano

nel dicembre 1922 il Gruppo Futurista Studentesco,

annunciandone la nascita su Gaudeamus igitur,

settimanale studentesco della Venezia Giulia, su cui

Sanzin reggeva la rubrica Futurismo, comprendente

una pagina del periodico, che dava informazioni

sull’attività del movimento a livello nazionale ed internazionale,

nonchè pubblicava brani tratti da opere

teatrali di autori futuristi.


«L’Aurora»

Il periodico, pur qualificandosi come organo del

movimento futurista giuliano, rivela lo sforzo di comporre

in una sola testata tendenze diverse, momentaneamente

riferibili al futurismo italiano, ma di certo

non tutte allineate con l’ortodossia marinettiana, nè

sul versante politico nè su quello artistico e paroliberistico.

Basta scorrere la rivista per notare la convivenza

delle composizioni parolibere di Sanzin con quelle

semi-futuriste o espressioniste di Pocarini e Tummolo

e con gli sperimentalismi di Dolfi e Jablowsky, e ancora

con i colti interventi culturali del trinomio di Epeo,

che si occupa anche della recensione di libri e riviste

d’avanguardia di tutto Europa, rivelando vocazioni ed

interessi raramente riscontrabili nei più giovani protagonisti

dei futurismi regionali italiani.

Pocarini dosava con equilibrio la presenza dei grandi

nomi del Futurismo nazionale, garantendo sempre

la prevalenza degli autori locali, vuoi nella componente

marinettiana ortodossa facente capo a Sanzin vuoi

in quella “sperimentale” e di più ampie visioni degli

epeiani, con a capo il “genio” Carmelich. L’Aurora

peraltro suscitava interesse, e qualche riserva, quanto

meno in due personaggi di livello europea e internazionale

come Depero e Prampolini; il 10 aprile 1924 il

primo scriveva infatti a Sonzin «Ho ricevuto vostra la

rivista L’Aurora, cambiate il titolo, non va. Bella internamente

- originali le xilografie di Carmelich. Vi abbraccio

Vostro Depero»; il 18 luglio dello stesso anno

Prampolini scriveva a Sanzin:

G. Carmelich,

Xilografie,

in “L’ Aurora”,

pag. 230, 231

[...] Ho visto il n. 7 di Aurora, vedo sempre una grande reclame

93


intorno a Depero, ma niente intorno a me che produco futuristicamente

più di tutti, in occasione della mia esposizione a Vienna settembre

Pocarini potrebbe fare un N. unico dedicato alla mia opera

con vostri artisti e altri celebri futuristi. Desidererei anche una tua

lirica in libertà intorno alla mia opera. Scrivi, io acquisterei un centinaio

di copie a prezzo di vendita. Vi invierò delle segnalazioni.

Scrivi a Pocarini. Con affetto Prampolini.

L’istanza di Prampolini sortiva i suoi effetti e il numero

10 dell’ottobre 1924 (l’ultimo che risulta pubblicato)

veniva dedicato tutto a Prampolini con testi di

Vasari, Gori, Furlani, Mix, Carmelich, Pocarini e dello

stesso Prampolini. Per ironia della sorte non compariva

Sanzin, che pure aveva perorato la causa del numero-omaggio

a Prampolini; egli infatti aveva rotto i

rapporti con il gruppo e in particolare con Pocarini a

seguito di una feroce beffa giocatagli da quest’ultimo

con la stampa a proprio nome, quale Edizione del movimento

futurista giuliano , Trieste, del volumetto Un

buon parolibero e un verseggiatore mancato, che contiene

in realtà esclusivamente tavole parolibere e versi di

Sanzin con una prefazione e una postfazione ai versi,

queste sì di Pocarini, fortemente ironiche e assai pesanti

sul collega triestino, che si vedeva così “bruciati”

i materiali paroliberi di un suo annunciato prossimo

volume dal titolo Guerra al passato. L’Aurora cessava

di esistere dopo esser uscita con 11 numeri (a quanto

consta dalle indicazioni in testata, ma se ne conoscono

7 e dopo aver segnato il momento più felice e più alto

raggiunto dall’avanguardia giuliana raccolta sotto l’insegna

del Futurismo.

94


«25»

L’esito del Primo congresso futurista di Milano

(23-25 novembre 1924) era devastante per l’unità dei

giuliani: Jablowsky, che del congresso era uno dei responsabili

organizzativi, abbandonava il Futurismo.

Carmelich e Dolfi orientavano i loro interessi di ricerca

verso il Costruttivismo e, assieme all’amico, ricomponevano

la triade di Epeo e davano vita a Trieste, nel

gennaio 1925, ad una rivista significativamente intitolata

25, sintesi pubblicitaria dell’arte contemporanea.

Il primo numero consiste in una cartolina a tre ante

di formata cm. 9x14. L’impianto grafico, naturalmente

elaborato da Carmelich, è di chiara ascendenza cubocostruttivista

e quello tipografico richiama immediatamente

le esperienze del Bauhaus e quelle raccolte nel

Die Neue Typographie di Tschicold (che peraltro sarebbe

stato pubblicato appena nel1928, quindi tre anni

più tardi) e, ancor più da vicino, quelle della contemporanea

Elementare Typographie, la nuova scuola russa

che si rifaceva ai valori dei suprematisti russi, attingendo

però a tutto campo alle fonti delle più avanzate

avanguardie europee.

Nella primavera del 1925 compariva il secondo

numero, che si qualificava Rivista trimestrale; questa

volta la forma è quella di un normale periodico, misura

infatti cm. 23x 18 e consta di 12 pagine.

I testi sono della solita triade, ma anche di Pocarini,

Zaratin e, ciò che più conta e colpisce di Max Jacob;

diretto quindi, e autorevole, il richiamo all’avanguardia

europea.

Non si conoscono altri numeri di 25, che tuttavia

rappresenta un’esperienza avanzatissima e per certi

95


aspetti unica nel panorama dell’avanguardia italiana.

Baratti, De Grassi, Scudiero. Parole in libertà : libri e riviste

del futurismo nelle Tre Venezie. 28-36

Anni Trenta

Nelle arti del decennio il futurismo va sfumando

quel toni trasgressivi che tanto scandalo hanno in passato

suscitato; con l’aeropittura si recupera appunto

un certo figurativismo e, sempre in fase di normalizzazione,

si arriva a concepire perfino un arte sacra, in

poesia tornano senso e sintassi, mentre l’ architettura

diventa «arte trainante» sulle maggiori testate. Gli

interessi architettonici, in grande espansione, sono il

riflesso d‘un atteggiamento nuovo di fronte alle cose:

non più la forza dell’utopia che distrugge il passato,

disprezza il presente ed ha lo sguardo rivolto al futuro,

bensì l’immersione nell’oggi, l’attuazione della

progettualità futurista.

Alla fase della scandalo subentrano la conquista

del museo, la progettazione della Città nuova, non più

futuribile, ma da realizzare. Questo «presentismo» si

riscontra pure nei manifesti che non hanna più implicazioni

palingenetiche ma si riferiscono piuttosto a

settori particolari, investendo spesso la vita quotidiana,

le arti applicate (dalla cucina alla plastica murale,

dalla cravatta al cappello, dalla fotografia alla radio,

dalla pubblicità al cinema, alla ceramica. Tutto diviene

«aereo» in virtù del mito aviatorio, che peraltro cela

un’aspirazione alla «leggerezza», ma anche alla fuga

verso chissà quali cosmici approdi: aeropoesia, aero-

96


pittura, aeroplastica, aeromusica, aerodanza, aeroarchitettura,

ecc., ecc. Questo desiderio d’un «altrove»

rappresenta una tendenza opposta a quella del presentismo,

ma in fondo complementare.

Marinetti funge da capo carismatico ed affida al

luogotenente Mino Somenzi il compito di garantire

un’ufficialità futurista attraverso una serie di testate,

Futurismo, Sant’Elia, Artecrazia, che nel tempo organizzano

il movimento come un vero e proprio partito

di artisti.

Fillia con le sue riviste rappresenta invece un volto

del futurismo più aperto alle esperienze estere, una

tendenza dunque meno autarchica. Tra queste due

linee principali si collocano altre situazioni minori,

che tentano di navigare controcorrente, mettendo in

discussione la centralità rappresentata dalla gestione

Somenzi, apparentemente avallata da Marinetti.

[...] Con l’omaggio a Sant’Elia i futuristi intendono

attribuire all’architetto comasco tutti i meriti dell’edilizia

moderna ed anche la paternità del razionalismo.

[...] Nel 1932 esce a Torino La città nuova, «quindicinale

di artevita» di Fillia, che ha periodicità irregolare

(vi collaborano Pagano, Levi-Montalcini).

Salaris. Storia del futurismo. 190-192

Depero futurista

Da un lato l’adesione di Depero al Futurismo non

fu incondizionata. Ad esempio assunse fin dal principio

una posizione critica nei confronti della volontà

di Boccioni di “rifare la storia”. Fu invece molto più

vicino alle concezioni del suo maestro Balla, conside-

97


98

randolo il pioniere di una ricerca approfondita sulla

genesi e la struttura funzionale della forma. Tale ricerca

verrà poi portata avanti da Depero in maniera molto

discreta all’interno del gruppo futurista, individuando

e chiarendo analiticamente la relazione tra Futurismo

e altre correnti artistiche che non fossero (ovviamente)

il Cubismo, in particolare il Dadaismo di Marcel

Duchamp.

Nel 1927 pubblica il suo famoso Depero Futurista

altrimenti noto come “libro bullonato”. Il volume di

Depero, come è ormai noto, oltre che essere impresso

in formato anomalo (cioè in ottavo oblungo) è infatti

tenuto assieme da due grossi bulloni con relativo

dado. Ma la fama che già allora il libro si guadagnò

presso tutti gli ambienti culturali, anche e soprattutto

extra-futuristi (Kurt Schwitters ne era rimasto affascinato,

come scrisse a Depero, e ne custodiva una copia

nella sua biblioteca che mostrava spesso ad amici e

colleghi), era dovuta non soltanto all’originale legatura

meccanica (ideata da Azari, l’editore del volume che

però si compone e si stampa a Rovereto) quanto dalla

nuova, globale, impostazione editoriale concepita da

Depero. Non solo, quindi, operazione di confezionamento,

di facciata esterna, quanto piuttosto autentica

rivoluzione tipo-grafica nella composizione della pagina.

Alto, basso, ortogonalità, corpo, carattere, carta:

tutto viene sovvertito e piegato ai desideri dell’artista.

I testi, di conseguenza, viaggiano in diagonale, oppure

non vengono più composti per colonne ma assumono

le forme più bizzarre (da quelle alfabetiche a quelle

geometriche). Per poterli leggere consecutivamente

il lettore è a volte direttamente, se non fisicamente,

coinvolto (suo malgrado). Infatti, il senso della lettura


assume spesso senso rotatorio e così tutto il libro deve

essere ruotato seguendo apposite istruzioni e frecce

direzionali poste a corredo. La carta cambia continuamente

di spessore ed anche di colore: grezza, poti nata,

fine, grossa, trasparente; di colore bianco, giallo, verde,

azzurro. Inoltre, a causa della sua originale quanto ingombrante

legatura, il libro diviene quasi incollocabile

in libreria fianco a fianco con quelli “normali”, con il

rischio di graffiarli od ammaccarli con i bulloni.

Insomma libro ed allo stesso tempo oggetto, primo

di una lunga serie cui si dedicarono poi molti artisti

non solo futuristi. Ma, dal punto di vista del prodotto,

dove finisca il libro e dove inizi l’oggetto è francamente

difficile dirlo.

Nel 1933 Depero si impegna a fondo nel suo nuovo

progetto, la rivista Dinamo Futurista. Ne usciranno

solo 5 numeri, di cui uno triplo dedicato a Boccioni,

ma l’operazione di Depero sarà comunque di grande

supporto all’attività dei gruppi futuristi del Veneto a

cui dà grande spazio. Il formato è l’infolio grande (sul

tipo dell’odierno tabloid), la grafica e l’impaginazione

sono, come sempre, vivaci sebbene meno sperimentali

delle opere precedenti. L’anno seguente, nel

1934, Depero concluderà il ciclo più felice delle sue

proposte editoriali con le Liriche radiofoniche, che esce

a Milano presso Morreale. Questo ennesimo libro di

Depero vede, ovviamente, il suo precedente teorico

nel manifesto di Marinetti.

Baratti, De Grassi, Scudiero. Parole in libertà : libri e riviste

del futurismo nelle Tre Venezie. 44-47

99


«Futurismo»

Nel maggio del 932 esce a Roma Futurismo, «quindicinale

dell’artecrazia italiana» di Mino Somenzi. Il

giornale, nonostante i periodi di sospensione, riesce

a garantire una certa continuità, divenendo l’organo

di stampa più importante del futurismo.(Cambierà la

testata prima in Sant’Elia, poi in Artecrazia). La linea

somenziana tende ad affermare l’identità ideale che

lega futurismo e fascismo, tentando di rappresentare

il movimento come massimo interprete artistico dello

spirito sansepolcrista. La rivista vuole far passare

l’idea d’un’avanguardia di massa, agendo allo scopo

come un organo di partito: interessante è per esempio

l’«aeropostale futurista» di Brunas (Bruna Somenzi),

una piccola posta che funge da raccordo tra molteplici

gruppi locali, spesso spontanei e singole persone.

[...] L’allargamento del numero dei seguaci comporta

necessariamente una certa elasticità nell’accogliere

opere da pubblicarne deriva una linea non sempre

coerente. Nel complesso, Somenzi assume il ruolo

della «buona coscienza» del regime e da posizioni puriste

non esita a denunciare certe iniziative dell’establishment

fascista.

[...] Il giornale dà notevole spazio alla Mostra della

rivoluzione fascista (Roma, 1932-33), valutando gli allestimenti

(a partire dalla facciata rifatta da De Renzi

e Libera sul vecchio Palazzo delle Esposizioni) come

obiettivamente influenzati da Sant’Elia. La grande

rassegna pone il problema della fruizione politicopropagandistica

dell’arte e quindi del ruolo dell’arte

di stato, che ai futuristi oggi appare come illegittimo

100


approdo del rifiuto dell’«arte per l’arte». E certamente

negli allestimenti si riscontra una certa influenza

dell’arte di propaganda russa o tedesca (molte sono le

ispirazioni costruttiviste e frequente è l’uso del fotomontaggio,

come si può constatare dal volume uscito

nel 1933 a cura del Pnf).

Dopo che La città nuova di Fillia chiude i battenti

(1933) su Futurismo aumenta l’interesse per l’architettura

(vi collaborano Sartoris, Levi-Montalcini, Fillia e

Giuseppe Pensabene, che da difensore del razionalismo

in seguito si trasformerà in nemico dell’ arte moderna).

Nel 1933 a Futurismo si affianca il giornale di turismo,

arte e architettura La terra dei vivi di Fillia (pubblicato

dalla Casa d’arte di La Spezia durante la preparazione

del premio di pittura Golfo della Spezia),

che manifesta una particolare attenzione per il problema

dell’estetica del paesaggio. Il giornale di Somenzi

ospita poi le polemiche sul concorso per la stazione

nuova di Firenze. Il progetto di Angiolo Mazzoni, cui

dapprima è stato affidato l’incarico, ha suscitato infatti

aspre critiche, e così è stata indetta una gara. Contro

il Mazzoni, difeso da Ugo Ojetti, si schiera Marinetti

che fa parte della commissione. II premio viene dato

al gruppo toscano capitanato da Giovanni Michelucci.

Con uno stupefacente voltafaccia, poco dopo la testata

di Somenzi cambia opinione: dopo avere sposato la

causa del gruppo vincente dà il via ad un processo di

rivalutazione di Mazzoni il quale, sorprendendo tutti,

e suscitando non poche perplessità nelle file marinettiane,

si dichiara ben presto futurista.

Verso la fine del 1933 Futurismo è impegnato a creare

attenzione per la Prima mostra nazionale futurista

101


che a Roma raduna un grandissimo numero di espositori.

È evidente dai nomi il grande ricambio generazionale.

«Sant’Elia»

Dal luglio all’ottobre del 1933 l’ultima pagina di

Futurismo reca la testata di Sant’Elia, che diventa il

titolo della nuova pubblicazione di Somenzi in autunno.

Il periodico vuol essere l’«organo del nuovo movimento

italiano Sant’Elia». Futurismo diventa la testata

dell’ultima pagina. Alla direzione troviamo anche

Mazzoni, dal primo numero del 1934. Nell’editoriale

d’apertura Somenzi sostiene che il giornale intende

non solo contrastare le «molte influenze nordiche,

moderne o pseudomoderne, che tentano pregiudicare

lo sviluppo naturalmente antinordico della nascente

architettura fascista», ma anche «coordinare le nascenti

volontà fasciste contro l’invadenza di “stili” che

non corrispondono alle esigenze liriche imposte dal

clima dal temperamento della tradizionale gloria artistica

della nostra razza». Si parla inoltre di «architettura

mussoliniana» e non più di «architettura futurista»:

la via dell’autarchia culturale è ampiamente praticata,

contro le tentazioni razionaliste dei torinesi.

Il giornale dà risalto ad alcuni temi: l’analisi del

moderno come prodotto del genio di Sant’Elia, la critica

del razionalismo come neoaccademia, la presentazione

di materiali italiani per l’edilizia, e perfino l’architettura

aerea (vedi il Manifesto dell’architettura aerea

di Marinetti, Somenzi e Mazzoni - 10 febbraio 1934,

nella pagina di Aerovita) in cui viene immaginata una

102


«città unica a linee continue da ammirare in volo»,

con «edifici in forma di sfera, cono, piramide, prisma».

Somenzi, Spiridigliozzi e Prampolini realizzeranno

sul tema dei progetti. La ricerca d’uno stile fascista

eclettico, non rigorosamente d’avanguardia, ed anche

la presenza moderata del Mazzoni finiscono per creare

dello scontento nelle schiere marinettiane. Nel corso

del 1934 i torinesi non appaiono più sul giornale,

che nell’ottobre di quest’anno abbandona il nome di

Sant’Elia per nascere come Artecrazia (il titolo era già

apparso come nome di un supplemento di Futurismo).

Appare chiaro che Somenzi intende presentarsi come

l’esponente d’avanguardia più vicino al regime, in

qualche modo più adatto di Marinetti stesso a guidare

un movimento per l’architettura moderna.

«Stile futurista»

Nel 1934 riprende La città nuova di Fillia, che porta

avanti il colloquio coi razionalisti e dà spazio all’architettura

degli interni.

[…] Nel 1935 fonda Stile Futurista, che dirige con

Prampolini, dove affronta il rapporto pittura-architettura.

Qui esce l’articolo-manifesto Plastica murale, di

Fillia, che prelude al recupero del “soggetto”, ispirato

alla realtà dell’epoca. Proprio a Genova, sempre nel

1934 si tiene la prima mostra di plastica murale (con

catalogo pubblicato da Stile futurista).

[…] Tra il 1934 e il 1935 Stile futurista affronta il

tema singolare del naturismo, che comporta la ricerca

d’una nuova architettura nell’ambito dell’equilibrio

tra spazio edificato e spazio verde.

103


A Torino Fillia lancia il giornale La forza (1935), a

Roma esce Il nuovo di Ginna (1934): entrambi parlano

di naturismo.

[…] Nel 1934 Marinetti e Ginna in occasione del primo

congresso naturista-futurista, tenutosi a Milano,

hanno lanciato un manifesto in cui tra l’altro si condanna

il nudismo perché poco eroico, troppo pacifista

e antivirale (eppure una volta Marinetti sognava un

mondo di uomini nudi, liberi dai vestiti “passatisti”,

con piazze e strade “termosifonate” d’inverno.

[…] Non è escluso che Marinetti cerchi con questa

dimostrazione di sopravvivere nel regime, mentre in

Germania già infuria la lotta contro l’arte moderna.

«Artecrazia»

Artecrazia domina la situazione nella seconda metà

del decennio. Il gruppo torinese si disperde dopo la

morte di Fillia, avvenuta nel ‘36. Il giornale di Somenzi

dà spazio a temi quali la difesa dalle incursioni aeree,

l’urbanistica coloniale e l’autarchia edilizia, con

impronta tutta mussoliniana; ma a parte ciò riesce ad

assicurare a Marinetti la difesa del futurismo e dell’arte

moderna in occasione del tentativo reazionario di

trasferire in Italia l’operazione “arte degenerata”, di

marca nazista, con tutte le sue implicazioni razziali.

Dopo questo episodio la testata viene prima sequestrata

e poi soppressa nel 1939. Per ricostruire sia pure

sommariamente i fatti, occorre tornare un po’ indietro

nel tempo.

Un primo segno di attrito tra l’avanguardia italiana

e la politica culturale del nazismo si è manifestato in

104


occasione della mostra di aeropittura a Berlino (1934).

Già si sta esprimendo l’intolleranza nazista nei confronti

della cultura moderna […] l’arte d’avanguardia

è vista come degenerazione ed espressione di corruzione

e decadenza […] si individua la pericolosità politica

insita nel concetto stesso d’avanguardia artistica.

[…] Somenzi, ebreo e intellettuale d’avanguardia,

si è buttato nella mischia dando battaglia col suo giornale.

Il culmine dello scontro è raggiunto nei due ultimi

numeri (tra il dicembre 1938 e il gennaio successivo).

Somenzi parla di speculazione nata da interessi di

parte e i suoi toni sono espliciti e violenti.

[…] Nell’ultimo numero giungono i primi stralci

d’una azione plebiscitaria in favore dell’arte moderna.

[…] L’equivoco d’un fascismo rivoluzionario è

pure alla base della difesa di Marinetti, tutto teso a

saldare la frattura che vuole allontanarlo dall’orbita

del regime. Il fascicolo riporta inoltre un elenco

di nomi, compilato da Marinetti, Sartoris e Terragni,

che non rientrano nelle coordinate del bolscevismo e

dell’ebraismo. Difesa diplomatica, questa, che tuttavia

non salva il giornale dal sequestro.

Salaris. Storia del futurismo. 193-203

105


Epilogo

La storia del movimento volge al termine sullo

sfondo del secondo conflitto mondiale il futurismo segue

il fascismo sino all’utimo atto. Marinetti, vantando

di essere uno specialista nella descrizione poetica

della guerra, tende a presentarsi ora come un «Omero

meccanizzato». Al nuovo clima instaurato egli dedica

i suoi interventi (dal Manifesto dell’aeropittura dei bombardamenti,

in Il giornale d’Italia, 4 dicembre 1940 al

Manifesto dell’aeropittura maringuerra, febbraio 1941).

[...] Si conclude nei primi anni Quaranta la vicenda

umana di Marinetti, condotto dalle scelte politiche su

un fronte opposto a quello su cui si sono trovati tutti

gli avanguardisti europei. In proposito vale la pena di

ricordare una frase di Louis Mandin, tratta da Les Marges,

che il capo del futurismo riporta nel «collaudare»

il libro di Bellanova:

Mallarmé è il nonno dei dadaisti divenuti surrealisti Aragon e Breton.

Marinetti è il loro padre. Essi hanno rubato a Marinetti tutto:

pantaloni, calze, tic nervosi. Marinetti tuonò manifesti incendiari;

essi pure. Marinetti si fingeva Rabelais; essi pure. Marinetti abusava

della parola di Cambronne; essi pure. Le parole in libertà futuriste

furono la prima manifestazione dadaista e sfido chiunque

a negarlo. Marinetti domandava il diritto all’incoscienza in poesia;

essi pure. Se fossero andati in guerra anch’ essi non si potrebbe

distinguerli dal loro padre.

C’è da aggiungere però a queste affermazioni che

mentre il dadaismo trova terreno fertile nel pacifismo,

e il surrealismo congiunge il pensiero di Freud al

106


marxismo, il marinettismo, invece, affonda le proprie

radici nell’irrazionalismo, tanto nella fase del superomismo

aggressivo che in quella sentimentale-mistica

degli ultimissimi anni. Ma l’elemento di fondo che

divide il futurismo dalle correnti dell’avanguardia è

proprio la politica; il dadaismo, il surrealismo e il futurismo

praticano una rivolta del desiderio che postula

il recupero della creatività da parte di tutti; in ciò i tre

movimenti sono anarchici allo stesso modo. Ma in Marinetti

è presente la componente nazionalista, per la

quale egli ha ceduto sul terreno delle libertà, ponendo

sempre e dovunque il patriottismo al primo posto.

Salaris. Storia del futurismo. 243-250

107



Sezione due

Barattin, Dino; De Grassi, Marino; Scudiero, Maurizio. 1992.

Parole in libertà: libri e riviste del futurismo nelle Tre Venezie.

Monfalcone : Edizioni della Laguna.

Bartram, Alan. 2006. Futurist Typography and the Liberated Text.

New Haven: Yale University Press.

Cammarota, Domenico. 2006. Futurismo: bibliografia di 500 scrittori

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C.I.R.C.E. Catalogo informatico riviste culturali europee. - Catalogo

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Godoli, Ezio. 2001. Il dizionario del futurismo. Firenze: Vallecchi.

Lista, Giovanni. 1984. Le livre futuriste. Modena: Panini.























1







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Afa, anno V, 1909

Sem Benelli,

Apparizione dell’idea,

anno I, 1905

Alfred Jarry,

Le Fouzi-Yama: (Poème en prose),

anno I, 1905

Jean Cocteau,

Tes yeux, anno IV, 1908

138


Filippo Tommaso Marinetti,

A Gustav Kahn, anno I, 1905,

disegno di Enrico Sacchetti

Filippo Tommaso Marinetti,

A Madame Ada Negri, anno II, 1906,

disegno di Enrico Sacchetti

Sem Benelli,

Giovanni pascoli, anno I, 1905,

disegno di Enrico Sacchetti

ÉmileBernard,

A Marinetti, anno IV, 1908,

disegno di Romolo Romani

139


Sem Benelli,

Concorso di poesia, anno V, 1909

Filippo Tommaso Marinetti,

Concorso di Poesia,

anno I, 1905

Filippo Tommaso Marinetti,

Il grande concorso di Poesia, anno I, 1905

Marinetti, Benelli, Ponti,

Inchiesta internazionale di Poesia sul Verso

Libero, anno I, 1905

140


Manca,

Le Futurisme dans la caricature italienne,

anno V, 1909

141


Filippo Tommaso Marinetti,

Fondazione e Manifesto del Futurismo,

anno V, 1909

142


Filippo Tommaso Marinetti,

Tuons le clair de lune,

anno V, 1909

143


Filippo Tommaso Marinetti,

Uccidiamo il chiaro di luna!,

Edizioni di “Poesia”, 1911

Filippo Tommaso Marinetti,

Les mots en liberté futuristes,

Edizioni di “Poesia”, 1919

144


3





149


150

Giovanni Papini, Introibo, primo editoriale

di Lacerba anno I, n. 1, 1° gennaio 1913


Filippo Tommaso Marinetti,

Ponte, anno II, n. 1, 1° gennaio1914

151


152

Guglielmo Jannelli, Messina, anno II, n. 4,

15 febbraio 1914


Francesco Cangiullo, Fumatori: Parole

in libertà, anno II, n. 1, 1° gennaio 1914

153


Francesco Cangiullo, Serata in onore

di Yvonne - Quattro tavole, anno II, n. 12,

15 giugno 1914

154


155


156


157


Carlo Carrà, Cd’hArcOUrtFÉ, anno II,

n. 13, 1° luglio 1914

158


159


160

Ardengo Soffici, Al buffet della Stazione,

anno II, n. 15, 1° agosto 1914


Giovanni Papini,

Contro il futurismo,

anno I, n. 6, 15 marzo 1913

Filippo Tommaso Marinetti,

Programma Politico Futurista,

anno I, n. 20, 15 ottobre 1913

161


Italo Tavolato,

Elogio dellaprostituzione,

anno I, n. 9, 1° maggio 1913

Giovanni Papini,

Il cerchio si chiude,

anno II, n. 4, 15 febbraio 1914

162


Umberto Boccioni,

Il cerchio non si chiude,

anno II, n. 5, 1° marzo 1914

Giovanni Papini,

Viva il Maiale!,

anno II, n. 10, 15 maggio 1914

163


Palazzeschi, Papini, Soffici,

Futurismo e Marinettismo,

anno III, n. 7, 14 febbraio 1915

Giovanni Papini, Abbiamo vinto!,

anno III, n. 22, 22 maggio 1915

164


Guillaume Apollinaire, L’antitradizione

futurista - Manifesto, Anno I, n. 8,

15 settembre 1913

165


Filippo Tommaso

Marinetti,

Dopo il verso libero

le parole in libertà -

Manifesto,

anno I, n. 22,

15 novembre 1913

Aldo Palazzeschi,

Il controdolore -

Manifesto,

anno II, n. 2,

15 gennaio 1914

Filippo Tommaso

Marinetti,

Le immagini senza

fili e le parole in

libertà - Manifesto,

anno I, n. 12,

15 giugno 1913

Carlo Carrà,

La pittura

dei suoni, rumori,

odori. Manifesto

futurista, Anno I,

n. 17, 1° settembre

1913

Filippo Tommaso

Marinetti,

Lo splendore

geometrico

e meccanico nelle

parole in libertà -

Manifesto

anno II , n. 6,

15 marzo 1914

Antonio Sant’Elia,

L’architettura

futurista: Manifesto,

anno II, n. 15,

1° agosto 1914

166


167


Ardengo Soffici,

Bif& ZF + 18 = Simultaneità – Chimismi

lirici, Edizioni Della Voce,

Frontespizio,1915

Ardengo Soffici,

Bif& ZF + 18 = Simultaneità – Chimismi

lirici,Edizioni Della Voce,

Tavola Parolibera, 1915

168


13



171


Jannelli, Nicastro, Vann’Antò,

Il teatro sintetico futurista, anno I,

aprile 1915

Jannelli, Nicastro, Vann’Antò,

Boccioni; Russolo; I futuristi a San

Francisco; Nella esposizione d’arte

infantile; I pugilati della quindicina,

anno I, aprile 1915

172


Francesco Cangiullo,

Canzone pirotecnica,

anno I, aprile 1915

173


Filippo Tommaso Marinetti,

Antineutralità: Sintesi teatrale,

anno I, aprile 1915

Filippo Tommaso Marinetti,

La guerra elettrica: (Visione-ipotesi)

anno I, aprile 1915

174


Enrico Prampolini,

Scenografia futurista-Manifesto

anno I, maggio 1915

175



15



Jannelli, Paqualino,

Parole in libertà,

anno IV, 4 marzo 1916

179


Cangiullo, Buzzi, Nicastro, Jannelli,

Parole in libertà,

anno IV, 15 gennaio 1916

180


Marinetti, Mazza, Pratella, Buzzi,

Cangiullo, Parole in libertà, anno III,

28 ottobre - 3 novembre 1915

181


Francesco Cangiullo,

Pasqualino,

anno IV, 26 febbraio 1916

182


Francesco Cangiullo,

La prima poetessa parolibera: Marietta Angelini,

anno IV, 12 febbraio 1916

183


Marinetti, Settimelli, Corra,

Il teatro sintetico futurista-Manifesto,

anno III, 23-31 dicembre 1915

184


Umberto Boccioni,

Manifesto futurista di Boccioni ai pittori meridionali,

anno IV, 5 febbraio 1916

185


Marinetti, Boccioni, Russolo, Sant’Elia, Sironi, Piatti,

L’orgoglio italiano-Manifesto futurista,

anno IV, 15 gennaio 1916

186


16





191


Paolo Buzzi,

Pioggia nel pineto antidannunziana,

1916, tav. 6

192


Salvatore Quasimodo,

Sera d’estate,

1917, tav. 8

193


194


195


Leoluca Labozzetta,

Trincea, 1917, tav. 1

Paolo Buzzi,

Canzone dei Bersaglieri, 1917, tav. 10

196


Jamar 14,

Alla contessa Maria Ginanni dopo la lettura

delle Montagne trasparenti,

1917, tav. 9

Francesco Cangiullo,

Balie, 4 novembre 1917, n. 32

Lucio Venna,

Sintesi di città,1917, tav. 13

197


Ginna, Settimelli,

Testata del 12 agosto 1917

Corra, Settimelli,

Testata del 1° dicembre 1916

198


22



201


202

Julius Evola,

L’arte come libertà e come egoismo,

anno IV, gennaio 1920


Gino Severini,

La pittura d’avanguardia,

anno II, febbraio 1918

203


Enrico Prampolini,

Bombardiamo le accademie ultimo

residuo pacifista,

anno II, febbraio 1918

204


Filippo De Pisis,

Il futurismo e l’arte contemporanea,

anno I, 1923

Virgilio Marchi,

Artefici futuristi,

anno I,1923

205


Enrico Prampolini,

L’atmosfera scenica futurista,

anno I, 1924

Gino Gori,

Teatro e scenografia in Italia,

anno I, 1924

206


Antonio Angermayer,

Il teatro espressionista e le sue tendenze

artistiche, anno I, 1924

Filippo Tommaso Marinetti,

Bollettino futurista,

anno I, 1924

207


Filippo Tommaso Marinetti,

Santa Unica torturata da Santa Velocità

e da Santa Simultaneità: Parole in libertà,

anno I, 1923

208


Vinicio Paladini,

Estetica meccanica,

anno I, 1923

Nelson Morpurgo,

Parole in libertà,

anno I, 1923

209


Francesco Cangiullo,

Poesia Pentagrammata,

anno I, 1923

Franco Casavola,

Piedigrotta,

anno I, 1923

210


Fernand Léger,

Natura morta,

anno I, 1923

De pistoris,

Ritratto: Costruzione spaziale,

anno I, 1923

211


Prampolini, Pannaggi, Paladini,

L’arte meccanica-Manifesto futurista,

anno I, 1923

Filippo Tommaso Marinetti,

I diritti artistici propugnati dai futuristi

italiani-Manifesto al governo fascista,

anno I, 1923

212


Filippo Tommaso Marinetti,

Le futurisme mondial: Manifest à Paris,

anno I, 1924

Filippo Tommaso Marinetti,

Dopo il teatro sintetico e il teatro

a sorpresa, noi inventiamo il teatro

antipsicologico astratto, di puri elementi

e il teatro tattile, anno I, 1924

213



25



217


Maino,

Musica Passatista,

Anno III, n. 84-85,

16 maggio 1920

Verderame,

Ballerini,

Anno III, n. 65,

11 gennaio 1920

218


27



221


Franco Bernini,

Aerofrescura: (Parole in libertà),

anno I, n. 3, aprile 1919

Francesco Cangiullo, Pasqualino,

Ritratto parolibero di Marinetti,

anno I, n. 4, maggio 1919

222


Filippo Tommaso Marinetti,

Il proletariato dei geniali,

anno I, n. 5, giugno 1919

Giacomo Balla,

Autoritratto; Primavera,

anno I, n. 5, giugno 1919

223


Filippo Tommaso Marinetti,

La declamazione dinamica e sinottica:

Manifesto futurista, anno I, n. 1,

febbraio 1919

Marinetti, Corra, Settimelli,

Teatro futurista: Manifesto,

anno I, n. 2, marzo 1919

224


Luigi Russolo,

L’arte dei rumori: Nuova voluttà acustica,

anno I, n. 4, maggio 1919

Anonimo,

Caffè-Concerto,

anno I, n. 6, luglio/agosto 1919

225


226

Giacomo Balla,

studi del 1913 per le testate

delle riviste “Dinamo”

e “Dinamica”


65



229


Giorgio Carmelich,

Ilustrazioni ne “L’ Aurora”,

marzo 1923-1924

230


231


Giorgio Carmelich,

Intestazione di carte da lettere

per “L’ Aurora”, 1923

232


78



113





Mino Somenzi,

Testata n. 8, anno I,

28 ottobre 1932

Mino Somenzi,

Testata n. 29, anno II

26 marzo 1933

239



118





245


Fortunato Depero,

Editoriale: Ringrazio,

anno I, n. 1,

febbraio 1933

Fortunato Depero,

Grafica pubblicitaria

Istituto di Credito

Fondiario,

anno I, n. 1,

febbraio 1933

Fortunato Depero,

Senza titolo,

pagina di chiusura

del fascicolo

anno I, n. 1,

febbraio 1933

246


Fortunato Depero,

ABC del futurismo,

anno I, n. 1,

febbraio 1933

247


Fortunato Depero,

Editoriale: Aver fede,

anno I, n. 2, marzo 1933

Fortunato Depero,

Grafiche pubblicitarie Radi; Komarek,

anno I, n. 2, marzo 1933

Fortunato Depero,

Grafica pubblicitaria

Veramon-Schering,

anno 1, n. 2, marzo 1933

248


Fortunato Depero,

ABC del futurismo: Pittura futurista;

Musica futurista; Architettura futurista,

anno I, n. 2, marzo 1933

249


Giovanni Gerbino,

Poesia pubblicitaria: Manifesto futurista,

anno I, n. 2, marzo 1933

Filippo Tommaso Marinetti,

Ritratto olfattivo di una donna,

anno I, n. 2, marzo 1933

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Fortunato Depero,

Onoranze a Umberto Boccioni,

anno I, n. 3-4-5, giugno 1933

Massimo Bontempelli,

L’impegno prodigioso

di Boccioni,

anno I, n. 3-4-5, giugno 1933

251


Fortunato Depero,

Grafica pubblicitaria, Cordial Campari

anno I, n. 1, febbraio 1933

252


125





133





261



134




TESTATE FUTURISTE

266


267


268


269


270


271


272


273



BIBLIOGRAFIA

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Università degli Studi di Venezia

Facoltà di Design e Arti

CdL in Comunicazioni Visive e Multimediali

Laboratorio di design della comunicazione 1

docenti: Sonnoli, Toneguzzi, Bisiani

progetto di Rita Petrilli e Graziana Saccente

1

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