La Rivista
A project by Rita Petrilli and Graziana Saccente Publishing lab 1 · Iuav University of Venice Tutor: Leonardo Sonnoli Year: 2012 This anthology is a collection of materials, texts and images on Futurism, the only avant-garde movement in Italy. The Futurists took care of all forms of expression: painting, sculpture, literature, music, architecture, theater. The anthology, however, focuses on the typographic revolution carried out by the movement, and then on editorial production, particularly magazines and posters.
A project by Rita Petrilli and Graziana Saccente
Publishing lab 1 · Iuav University of Venice
Tutor: Leonardo Sonnoli
Year: 2012
This anthology is a collection of materials, texts and images on Futurism, the only avant-garde movement in Italy. The Futurists took care of all forms of expression: painting, sculpture, literature, music, architecture, theater.
The anthology, however, focuses on the typographic revolution carried out by the movement, and then on editorial production, particularly magazines and posters.
You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
1
Università degli Studi di Venezia
Facoltà di Design e Arti
Corso di laurea magistrale in comunicazioni visive e multimediali
Laboratorio di design della comunicazione 1
a.a. 2011/2012
docenti
Leonardo Sonnoli, Gabriele Toneguzzi, Thomas Bisiani
ricerca antologica
a cura di Rita Petrilli, Graziana Saccente
caratteri tipografici
Universe Std, Caslon Std
stampa e legatura
Al Canal - Venezia
Indice
Prefazione
5
Sezione uno
7
RIVOLUZIONE TIPOGRAFICA
. Scrivere futurista
. Tavole parolibere
9
18
MANIFESTI
. Il manifesto del futurismo
. L’arte di fare manifesti
. Manifesti celebri: immagini
23
24
32
STORIA DELLA GRAFICA EDITORIALE FUTURISTA
. Il ruolo delle riviste
. La grafica dei periodici futuristi
. Le riviste e la grafica razionalista
. Gli anni eroici: 1909-1915
. Guerra e dopoguerra
. Anni Venti
. Movimeno e giornali a Gorizia
. Anni Trenta
. Epilogo
41
43
51
54
76
85
91
96
106
Sezione due
109
RIVISTE FUTURISTE
. Elenco dei giornali futuristi
. Poesia
. Lacerba
. La Balza futurista
. Vela Latina
. L’Italia Futurista
. Noi
. Roma futurista
. Dinamo
. L’ Aurora
. 25
. Futurismo
. Dinamo futurista
. Sant’Elia
. Stile futurista
. Artecrazia
110
131
145
169
177
187
199
215
219
227
233
235
241
253
257
263
TESTATE FUTURISTE
. Raccolta delle principali testate: immagini
267
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
275
Prefazione
Questa antologia è una raccolta di materiali, testi
e immagini, sul futurismo, unico movimento d’avanguardia
storica in Italia.
I futuristi si occuparono di ogni forma di espressione:
pittura, scultura, letteratura, musica, architettura,
teatro. La ricerca antologica, però, si concentra
sulla rivoluzione tipografica attuata dal movimento, e
quindi sulla produzione editoriale, in particolar modo
riviste e manifesti teorici contenuti all’interno di esse.
Attraverso lo studio di questi documenti, considerati
oggetti di culto e spesso di non facile reperibilità, si è
cercato di ricostruire le tappe più importanti dell’avventura
futurista, che va dal momento in cui il movimento
decolla (1909) fino alla morte del fondatore
Marinetti (1944).
Oltre che sul contenuto delle pubblicazioni, ci si è
soffermati sull’aspetto grafico e tipografico, in quanto
l’elemento visivo costituisce parte integrante della
poetica futurista.
Il libro si compone, dunque, di due parti principali.
La prima è una raccolta di testi e informazioni inerenti
la storia della grafica editoriale futurista, mentre
la seconda è una sezione iconografica delle principali
testate.
Sezione uno
Barattin, Dino; De Grassi, Marino; Scudiero, Maurizio. 1992.
Parole in libertà: libri e riviste del futurismo nelle Tre Venezie.
Monfalcone : Edizioni della Laguna.
Baroni, Giorgio. 2005. Il Futurismo sulla rampa di lancio. «Poesia»,
1905-2005, Atti del convegno internazionale. Milano: Università Cattolica
del Sacro Cuore.
Bonito Oliva, Achille. 2009. Futurismo Manifesto 100x100, 100 anni
per 100 manifesti. Electa.
Bove, Giovanni. 2009. Scrivere futurista: la rivoluzione tipografica
tra scrittura e immagine. Roma : Nuova cultura.
Fanelli, Giovanni. 1988. Il futurismo e la grafica. Milano: Edizioni
di Comunità.
Lista, Giovanni. 1984. Le livre futuriste. Modena: Panini.
Salaris, Claudia. 1980. Marinetti editore. Bologna: il Mulino.
Salaris, Claudia. 1985. Storia del futurismo: libri, giornali, manifesti.
Roma: Editori riuniti.
Salaris, Claudia. 1992. Artecrazia: L’avanguardia futurista negli anni
del fascismo. Firenze: La Nuova Italia.
Salaris, Claudia. 2001. La rivoluzione tipografica. Introduzione
di Claudia Salaris. Milano, Edizioni: Sylvestre Bonnard.
RIVOLUZIONE TIPOGRAFICA
Scrivere futurista
Io inizio una rivoluzione tipografica diretta contro la bestiale e
nauseante concezione del libro di versi passatista e dannunziana,
la carta a mano seicentesca, fregiata di galee, minerve e apolli, di
iniziali rosse a ghirigori, ortaggi, mitologici nastri da messale, epigrafi
e numeri romani. Il libro deve essere l’espressione futurista
del nostro pensiero futurista. Non solo. La mia rivoluzione è diretta
contro la così detta armonia tipografica della pagina, che è
contraria al flusso e riflusso, ai sobbalzi e agli scoppi dello stile che
scorre nella pagina stessa. Noi useremo perciò in una medesima
pagina, tre o quattro colori diversi d ‘inchiostro, e anche 20 caratteri
tipografici diversi, se occorrerà. Per esempio, corsivo per una
serie di sensazioni simili e veloci, grassetto tondo per le onomatopee
violente. Con questa rivoluzione tipografica io mi propongo di
raddoppiare la forza espressiva delle parole.
Così scrive F. T. Marinetti in Distruzione della sintassi.
Immaginazione senza fili. Parole in libertà (11 maggio
1913). Con una simile ‘rivoluzione’ la tipografia viene
utilizzata in funzione lirico-espressiva e, emancipatasi
dal ruolo di ancella della scrittura, svolge un compito
essenziale nella costruzione di un’opera letteraria.
Salaris. La rivoluzione tipografica. 5
F. T. Marinetti,
L’immaginazione
senza fili e le parole
in libertà, pag. 34
[...] Per il loro specifico carattere grafico, i testi futuristi
derivati dalla pratica della cosiddetta rivolu-
9
F. T. Marinetti,
Lo splendore
geometrico
e la sensibilità
meccanica,
in “Lacerba”,
pag. 167
zione tipografica avviata da alcuni scritti di Filippo
Tommaso Marinetti, il leader del movimento, possono
essere considerati come una sintesi esemplare di due
modalità espressive radicalmente diverse: la scrittura
e l’immagine.
[...] La riflessione sulla letteratura e sulle forme
espressive che essa andava assumendo in quel periodo
maturò attraverso tre scritti firmati da Marinetti e
orientati a trasformare radicalmente il sistema espressivo
alla base del fare letterario: la scrittura. Questi
scritti, riconosciuti per il loro carattere non solo teorico
ma anche tecnico, sono indicati come pilastri del paroliberismo
futurista: Manifesto tecnico della letteratura futurista
(1912), Distruzione della sintassi-Immaginazione
senza fili-Parole in libertà (1913), Lo Splendore geometrico
e la sensibilità meccanica (1914). Dopo la diffusione
di questi manifesti, Marinetti continuò a teorizzare e
praticare la nuova letteratura futurista.
[...] L’esposizione di alcuni punti teorici di questi
scritti risultano così utile per comprendere il nesso tra
la tecnica tipografica prevista da Marinetti e il risultato
in termini di rappresentazione con un linguaggiodell’attività
artistico-letteraria di coloro che scelsero di
“scrivere futurista”. Nel Manifesto tecnico della letteratura
futurista si legge: [...] bisogna fondere direttamente
l’oggetto con l’immagine che esso evoca, dando l’immagine
in scorcio mediante una sola parola essenziale».
Sebbene la terminologia marinettiana non si sia
mai chiaramente soffermata sulla definizione del concetto
di immagine, è opportuno rilevare che il trattamento
previsto per il sistema della scrittura finì per
generare aspetti plastico-visibili fortemente ancorati
alla tecnica di realizzazione del testo.
10
[...] nella prima fase del Manifesto tecnico (1912), si
esplicita che principi e regole di composizione del
testo saranno il bersaglio prescelto dagli scrittori futuristi:
si tratta allora, di riconoscere «[...] l’inanità ridicola
della vecchia sintassi ereditata da Omero [...]»
per cui «Bisogna distruggere la sintassi disponendo
dei sostantivi a caso, come nascono». Di conseguenza,
diversi punti programmatici di questo manifesto
introducono gradualmente il trattamento da riservare
a sostantivi, verdi, aggettivi, avverbi e congiunzioni.
Inoltre, il potere evocativo e di “stupefazione” che
può essere veicolato attraverso un linguaggio letterario
maturato da particolari scelte stilistiche, è presentato
con tutta la sua carica novatrice: il manifesto,
infatti, si chiude introducendo le parole in libertà
derivate dall’assenza di punteggiatura e quindi dalla
«[...] continuità balia di uno stile vivo che si crea da sé,
senza le soste assurde delle virgole e dei punti».
[...] Nell’impianto teorico-letterario tracciato da
Marinetti le parole in libertà possono essere associate
non solo al «[...] bisogno furioso di liberare le parole»
ma anche alla suggestiva possibilità di non pensare le
composizioni liriche attraverso le scelte stilistiche in
senso stretto e la carica linguistico-eversiva implicitamente
vincolata dalla volontà di un rinnovamento radicale.
Questo aspetto e emergerà con ulteriore enfasi
in altri scritti tecnici, a partire dalle Risposte alle obiezioni
pubblicate pochi mesi dopo il Manifesto tecnico
del 1912. Ecco uno dei passaggi più importanti:
Le parole liberate dalla punteggiatura irradiando le une sulle altre,
incroceranno i loro diversi magnetismi, secondo il dinamismo
ininterrotto del pensiero. Uno spazio bianco, più o meno lungo,
11
indicherà al lettore i polsi ai sogni più o meno lunghi dell’intuizione.
Le lettere maiuscole indicheranno al lettore i sostantivi che
sintetizzano un’analogia dominatrice.
E ancora dallo stesso scritto:
La distruzione del periodo tradizionale [...] e della punteggiatura
determineranno necessariamente il fallimento della troppo famosa
armonia dello stile, così che il poeta futurista potrà finalmente
utilizzare tutte le onomatopee, anche le più cacofoniche, che riproducono
gli innumerevoli rumori della materia in movimento.
Le Risposte marinettiane amplificano non solo il
senso di libertà lirico-compositiva che deriva dalla distruzione
della sintassi ma predispongono anche alla
possibilità di immaginare un tipo di relazione fra l’intuizione
lo spazio bianco della pagina-o meglio della
superficie-su cui comporre (o forse “disporre”) le
parti del discorso. Per la prima di queste ultime due
citazioni, in effetti, si potrebbe riconoscere un’origine
remota in un punto del Manifesto del 1912: «siccome
ogni specie di ordine è fatalmente un prodotto
dell’intelligenza cauta e guardinga bisogna orchestrare
le immagini disponendole secondo un maximum di
disordine». Tuttavia, sebbene quest’ultimo sia ormai
convalidato come uno dei capisaldi della teoria parlolibera,
il riferimento alla spazialità non risulta tanto
evidente quanto nel passato estratto dalle Risposte alle
obiezioni.
Continuando, nel secondo scritto tecnico dal titolo
ancora più esplicito Distruzione della sintassi. Immaginazione
senza fili. Parole in libertà (1913) si ritrovano
due sezioni destinate a sancire definitivamente il
12
passaggio dalla distruzione dell’armonia dello stile a
quella dell’armonia tipografica della pagina. Nella prima,
dal titolo Rivoluzione tipografica, compaiono alcune
indicazioni per l’uso di caratteri tipografici destinati
a «[...] raddoppiare la forza espressiva delle parole».
Nell’altra, sull’ortografia libera espressiva lo stesso
passaggio è reso in maniera ancora più incisiva inquadrandolo
fin dall’inizio nella seguente considerazione:
«Da necessità storica dell’ortografia libera espressiva
è dimostrata dalle successive rivoluzioni che hanno
sempre più liberato dai ceppi e dalle regole la potenza
lirica della razza umana». Infine l’ultimo punto della
sezione sull’ortografia si dimostra molto significativo.
Oggi non vogliamo più che l’ebrietà lirica disponga sintatticamente
le parole prima di lanciarle fuori coi fiati da noi inventati, ed
abbiamo le parole in libertà. Inoltre la nostra ebrietà lirica deve
liberamente deformare, riplasmare le parole, tagliandole, allungandone,
rinforzandone il centro o l’estremità, aumentando o diminuendo
il numero delle vocali delle consonanti. Avremo così
la nuova ortografia che io chiamo libera espressiva. Questa di deformazione
istintiva delle parole corrisponde alla nostra tendenza
naturale verso l’onomatopea. Poco importa se la parola deformata,
diventa equivoca.
[...] Nell’affinare ulteriormente l’attacco alla sintassi,
nel terzo manifesto tecnico Lo splendore geometrico
e meccanico e la sensibilità numerica (1914) Marinetti
introduce un nuovo fondamentale concetto per valorizzare
la pratica e gli effetti delle parole in libertà:
si tratta della “multiforme prospettiva emozionale”
destinata a distruggere quella prospettiva scientifica
e fotografica ancora contenuta nel periodo sintattico.
13
Soprattutto, questo manifesto include fondamentali
osservazioni che stimolano il mutamento tecnico-formale
che “lascerà slittare” agli scrittori futuristi verso
la realizzazione delle tavole parolibere. In particolare:
Con le parole in libertà, noi formiamo talvolta delle tavole sinottiche
di valori lirici, che si permettono di seguire leggendo contemporaneamente
molte correnti di sensazioni incrociate o parallele.
Queste parole si noti che non devono essere uno scopo, ma un
mezzo per aumentare la forza espressiva del lirismo. [...] il parolibero
Cangiullo in Fumatori IIa, fu felicissimo nel dare questa
analogia disegnata [...] Le parole in libertà [...] si trasformano naturalmente
in auto-illustrazioni, mediante l’ortografia e tipografia
libere espressive, Le tavole sinottiche di valori lirici è le analogie
disegnate. [...] Le tavole sinottiche di valori sono inoltre la base
della critica delle parole in libertà.
La situazione introduce dunque l’idea che gli scrittori
futuristi possono realizzare, in qualche modo,
forma di rappresentazioni che permettono di leggere,
seguire, carpire contemporaneamente “sensazioni
incrociate”. Ancora, dallo stesso documento:
L’ortografia e tipografia libere e espressive servono inoltre ad
esprimere la mimica facciale e la gesticolazione e del narratore.
Così le parole in libertà giungono ad utilizzare (rendendola completamente)
quella parte di esuberanza comunicativa e di generalità
epidermica che è una delle caratteristiche delle razze meridionali.
Quest’energia d’accento, di voce e di chimica che finora
si rivela soltanto in tenori commoventi e in conversatori brillanti,
trova la sua espressione naturale nelle sproporzioni dei caratteri
tipografici che riproducono le smorfie del viso e la forza scultorea
e cesellante dei gesti.
14
L’importanza che può assumere la sproporzione
dei caratteri tipografici, dunque, è testimoniata anche
nel terzo scritto tecnico. In effetti, sulla genesi delle
tavole parolibere ci sono pochi studi. Relativamente
all’approccio tracciato in questo contributo, è interessante
riportare alcune dichiarazioni di Francesco
Cangiullo, uno dei massimi esponenti del movimento
futurista:
La madre delle tavole parolibere- e del calligrafa (avanti lettera)
fu La mia firma-Panorama che adottai da che avevo 15 anni. Nel
1912 [...] questa mia firma era nota [...], è chiaro, a chiunque io scrivevo:
fra i più entusiasti Marinetti e Boccioni, in Italia, Apollinaire
e Cocteau a Parigi. Da questa firma [...] cominciai a scherzare con
l’alfabeto e pensare che con le lettere sapientemente disposte si
possono fare, comporre, paesaggi e figure fantastici. [...] L’appellativo
di tavole parolibere, per estensione, dalle sue parole in libertà,
glielo azzeccò Marinetti. Come si vede, il nome... non è azzeccato
soprattutto poiché è per comporre queste tavole bisogna saper
disegnare, (Boccioni scoprì l’altarino), altrimenti si corre il rischio
di fare... Le tavole parolibere. Le mie (non tengo affatto a menar
vanto) dovrebbero chiamarsi tavole cangiulliane.
[...] Il manifesto La Musica Futurista scritto da Pratella
nel 1911 mostra chiaramente il valore espressivo già
accordato al verso libero, associandolo alla possibilità
di rendere con efficacia le parole umane:
L’ombra polifonica della poesia umana trova nel verso libero tutti
i ritmi, tutti gli accenti e tutti i modi per potersi esuberantemente
esprimere, come in un’ affascinante sinfonia di parole. [...]
L’uomo e la moltitudine degli uomini sulla scena non debbono
più imitare unicamente il comune parlare, ma debbono cantare,
15
come quando noi, inconsci del luogo e dell’ora, presi da un’ultima
volontà di espansione e di dominio, prorompiamo istintivamente
nell’essenziale ed affascinante linguaggio umano. Tanto naturale,
spontaneo, senza la misura dei ritmi o degli intervalli, artificiosa
limitazione dell’espressione, che ci fa qualche volta rimpiangere
l’efficacia della parola.
In un articolo di Luigi Russolo, pubblicato nel
1916 e intitolato Rumori del linguaggio (le consonanti),
le osservazioni sulle possibilità fonico-espressive
che potrebbero realizzarsi attraverso scelte stilistiche
e formali si spingono fino a riflettere sul valore comunicativo
delle consonanti delle vocali: «[...] nelle
parole in libertà futuriste, la consonante che rappresenta
il rumore è finalmente adoperata per se stessa
e serve, come una musica, a moltiplicare gli elementi
dell’espressione dell’emozione».
È interessante aggiungere che nello stesso intervento
Russolo si rifà anche ad alcuni risultati emersi
dal primo congresso internazionale di fonetica sperimentale:
[...]così al primo congresso internazionale di fonetica sperimentale,
è stato provato anche che non solo la musica ma pure il rumore
esercita un’influenza sulla voce. [...] Da ciò quindi l’influenza che
esercitano i rumori naturali come le cascate d’acqua, le onde del
mare, i venti, ecc. sul timbro e l’intonazione della voce di chi è
esposto quest’influenza. [...] Si tratta di una tendenza involontaria
e incosciente che ha il carattere di un fenomeno fisiologico di
natura generale.
Prendendo spunto da queste osservazioni, Russolo
16
aggiunge delle riflessioni dirette ad arricchire quanto
lui stesso aveva già sostenuto nel suo manifesto L’arte
dei Rumori del 1913. Ancora dall’articolo del 1916:
[...] Ma è del rumore come elemento stesso del linguaggio, che io
voglio parlare, elemento che fino ad ora non è stato considerato
con l’importanza che ha. Le vocali rappresentano, nel linguaggio,
il suono, mentre le consonanti rappresentano indubbiamente il rumore.
[...] La consonante cioè va pronunciata, e non solo chiamata
col suo nome. Sono irrinunciabili benissimo le seguenti consonanti:
R,S,F,Z,V, e C; molto Meno Le B, D, G, M, N, P, Q, T, ecc.
L. Russolo,
L’ Arte dei Rumori
in “Dinamo”,
pag. 225
La volontà di indagare i meccanismi per la “resa sonora”
degli elementi del linguaggio svelerà in effetti
il suo aspetto tecnico-lirico in molteplici composizioni
parolibere nel primo decennio di vita dell’avanguardia
futurista. Nel suo insieme, La battaglia per il rinnovo
in letteratura mirava ribaltare non solo le competenze
formali degli scrittori, ma anche le tecniche di produzione
materiale dei contenuti e delle espressioni artistiche
idonei a veicolarli.
[...] In conclusione, dunque, per la storia letteraria
tracciata e desiderata da Marinetti, da un lato l’accostamento
del lirismo alla macchina tipografica si sarebbe
presentato come un’istanza di “innovazione funzionale”
all’ispirazione lirica futurista; dall’altro, le scelte
tecnico-letteraria degli scrittori paroliberi avrebbero
portato a sconvolgere definitivamente i modi di rappresentare
e concepire la scrittura stessa.
Bove. Scrivere futurista. 33-44
17
Tavole parolibere
Il primo stadio del paroliberismo, verificabile non
solo nella storia del movimento ma anche nell’itinerario
di ogni poeta futurista, fu quello dell’ortografia
libera espressiva a cui appartiene anche Zang Tumb
Tuum di Marinetti.
[...] Una delle ripercussioni immediate dell’innovazione
paroliera fu comunque una nuova tematizzazione
del lavoro di composizione tipografica che già
Mallarmé aveva assimilato ad un “rito”.
[...] Dopo la componente sonora, era ora componente
la grafica della poesia che balzava in primo piano.
Ma veniva anche problematizzata l’efficacia stessa
del sistema alfabetico come mezzo di espressione del
vissuto sensoriale. Nel corso delle prime declamazioni
parolibere Marinetti aveva già tentato di integrare
effetti rumoristi, e soprattutto immagini disegnate,
nel flusso delle parole in libertà. La più celebre delle
sue declamazioni fu, in questo senso, quella che ebbe
luogo nell’aprile 1914 a Londra. Egli stesso ricordava:
«in tre punti della sala erano preparate tre lavagne alle
quali mi avvicinavo alternativamente, camminando o
correndo, per disegnarvi in modo effimero, concesso
un’analogia». Tentando di rendere il continuum di
una lettera puramente sensoriale della realtà, il paroliberismo
mimava la visualizzazione cinematografica.
Ma erano i segni della poesia stessa che tendevano
ormai a darsi come nuovo linguaggio visivo. Le prime
innovazioni tipografiche di Marinetti furono prontamente
adottate da Cangiullo, Carrà, Jannelli, Binazzi,
i quali pubblicarono su Lacerba diverse composizioni
18
parolibere e da un grande risalto alla plasticità delle
lettere tipografiche combinandole liberamente fino
alla trasgressione del modello lineare. Lo spazio bianco
della pagina diventata così un campo agravitazionale
entro cui segni tipografici potevano ubbidire ai
magnetici diversi.
[...] In luglio la rivista fiorentina pubblicava una
composizione di parole di forme e seguita da Severini
intitolata Danza serpentina. Appena 15 giorni dopo,
Marinetti scriveva a quest’ultimo, a Parigi, proponendogli
di definire “disegno o dipinto parolibero” questa
nuova forma d’arte. E aggiungeva: «Carrà, che ha
avuto contemporaneamente, e senza saper nulla di ciò
che facevi, la stessa idea di fondere il dinamismo plastico
con le parole in libertà, trova eccellente questa
denominazione». Il quadro di Carrà Festa patriottica,
poema pittorico era pubblicato in agosto su Lacerba.
[...] Malgrado le diversità delle scelte formali, tutte
queste composizioni obbedivano infatti ad una sola
volontà che era quella di raggiungere la fusione tra
scrittura e pittura, cioè di conferire una dimensione
più estesamente iconografica al poema parolibero.
Carrà realizzava perfino un’opera di scrittura, pittura
e collage come I Rumori del caffè notturno in cui delle
forme plastiche uscivano letteralmente dalla superficie
del quadro coinvolgendo lo spettatore. Si tratta
di un’opera significativa in quanto evidenzia anche il
processo parallelo che portava allora la pittura astratta
ad integrarsi la parola scritta come strumento di concettualizzazione
della forma. Questa svolta fondamentale
del paroliberismo si compiva dunque in funzione
della pittura. I poeti stessi ne erano coscienti. Apollinaire
riprendeva una fare celebre: «E anch’io son
19
Govini, Cangiullo,
Buzzi, Parole
consonanti
vocali numeri
in libertà
pag. 38
pittore!». A sostegno della stessa idea Masnata citava
Leonardo da Vinci: «La pittura è una poesia muta, e la
poesia è una pittura cieca».
[…] L’abolizione del modello lineare e della scrittura
in poesia equivaleva al superamento della figurazione
bidimensionale in pittura. Nemmeno un anno
dopo questa svolta del paroliberismo tipografico verso
le tavole parolibere, Marinetti riprese l’iniziativa
nell’intenzione di pubblicare un’antologia di queste
nuove opere futuriste. Un volantino manifesto venne
così diffuso nel marzo 1915, datato però dell’11 febbraio,
dal titolo Parole, consonanti, vocali, numeri in libertà.
Vi si annunciava la prossima uscita del libro fornendo
quattro esempi di tavole paroliere firmati da Marinetti,
Cangiullo, Govoni, Buzzi. Il manifesto fu accolto
molto duramente su Lacerba da Palazzeschi e su La
Voce da De Robertis. Ambedue vedevano nelle tavole
parolibere una negazione dell’arte e una ulteriore
manifestazione della superficialità del confusionismo
dell’ultimo gruppo dell’avanguardia, ormai arroccato,
si pensava, intorno Marinetti e al futurismo milanese.
Lo scoppio della guerra impedì la pubblicazione
dell’antologia. Solo più tardi ebbero luogo nuove personali
codificazioni del paroliberismo.
Lista. Le livre futuriste. 43,44
[...] Esiste un indubbio legame tra la scrittura verbo-visiva
futurista e il mondo della grafica applicata,
che si presenta sotto un duplice aspetto: da un lato
le prime creazioni parolibere hanno avuto non solo
modelli “alti”, come quello mallarmeano, ma anche
“bassi”, facendo i conti con le trovate di tipografi, cartellonisti,
illustratori, i rebus, i titoli e caratteri espres-
20
sivi dei giornali; d’altro canto le idee futuriste sul rinnovamento
della composizione tipografica ben presto
hanno suscitato l’attenzione di coloro che maggiormente
si sono impegnati nella modernizzazione della
stampa. Uno dei primi è stato Terenzio Grandi, che ha
inquadrato il fenomeno perolibero in un’ottica evoluzionistica,
ricollegandola alla tradizione simbolista, e
ha introdotto un tema destinato a divenire ricorrente
nella storiografia futurista, quello del rapporto tra parole
in libertà e arte reclamistica.
[...] Verso la fine degli anni Trenta [...] si assiste
a una ripresa del paroliberismo, applicato alla poesia
murale, o in vista di un’utilizzazione pubblicitaria. Per
esempio, le Tavole parolibere (Edizioni futuriste di Poesia,
Roma 1932) di Pino Masnata, Così con un genere
di poesia architettonico-plastica, assai vicino, nella
sintesi del messaggio visivo, al codice della reclame.
Sulla scia di queste osservazioni, prende piede l’idea
del superamento del libro, ritenuto da alcuni futuristi
un contenitore troppo angusto per la poesia, che invece
dovrebbe confrontarsi con nuovi mezzi modalità di
comunicazione.
Salaris. La rivoluzione tipografica. 11
21
MANIFESTI
Il manifesto del futurismo
Il lettore abituale del giornale parigino Le Figaro la
mattina del 20 febbraio 1909 si trovò di fronte ad una
bella sorpresa: in prima pagina il suo quotidiano riportava
un manifesto tanto bizzarro quanto incendiario,
Le futurisme. L’uso di pubblicare manifesti letterari su
testate importanti non era infrequente in Francia. La
vera meraviglia di quel sabato consisteva invece nel
fatto che l’insolito proclama travalicava il semplice
obiettivo di fondare una nuova scuola letteraria per
porsi come appello non convenzionale e anticonformista,
indirizzato dalle pagine del più autorevole foglio
della borghesia parigina all’universo mondo.
Prudentemente tuttavia in una nota introduttiva la
redazione manteneva le distanze dalle idee che ispiravano
lo scritto, definendole singolarmente audaci.
Salaris. Storia del futurismo. 14
Ma forse non tutti sanno che la data del debutto
ufficiale del movimento futurista non è il 20 febbraio
1909 con la pubblicazione del manifesto di Marinetti
su Le Figaro. Sei giorni prima, il 14 febbraio, La Tavola
Rotonda, rivista piedigrottesca delle Edizioni Bideri,
anticipava qui a Napoli quel documento.
[...] La grande deflagrazione innescata dal futurismo,
tuttavia, è innanzi tutto di natura comunicativa.
F. T. Marinetti,
Manifesto
del Futurismo,
pag. 32
23
Già il primo, già citato manifesto di Marinetti suona
come un “editto” di carattere estetico che, presupponendo
una vasta platea di ascoltatori, diventa mezzo di
propaganda, diffuso per le strade e fra la gente, “vera
e propria arma di guerriglia”! Capace di scuotere alla
radice il clima conservatore e accademico dell’epoca,
in virtù dei contenuti forti e del linguaggio aggressivo,
di immediata presa sui pubblico.
«Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine
all’energia e alla temerità - recita il primo degli
undici punti posti in programma - il coraggio, l’audacia,
la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra
poesia», e così fino all’inno del nuovo simbolo della
moderna bellezza: «Un automobile da corsa col suo
cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito
esplosivo ... un automobile ruggente, che sembra correre
sulla mitraglia, e più bello della Vittoria di Samotracia».
Il plurale majestatis utilizzato nel manifesto
è virtuale, nascondendo l’elaborazione pressoché individuale
del documento: Marinetti, a questa data, è
ancora isolato nella battaglia che diventerà la sua missione
di vita, ma non tarderà a circondarsi di giovani
intellettuali e artisti, conquistati dall’entusiasmo travolgente
del fondatore del futurismo.
Bonito Oliva. Futurismo Manifesto 100x100.
L’arte di fare manifesti
La storia del futurismo è legata in modo inalienabile
al Manifesto, che assume sin dalla prima uscita entrambe
le valenze di genere letterario e di strumento
24
mediatico. Tale recupero storico va valutato non soltanto
in relazione alla sperimentazione creativa che i
futuristi fanno con i nuovi media, quanta nell’approccio
comunicativo di tipo esplosivo che predispone a
un’esuberanza dell’esperienza comunicativa. Questa
per Marinetti passa per la poesia visiva, il teatro, il cinematografo,
la “radia”, la pubblicità ma prima ancora
per “l’arte di fare manifesti” .
Già l’impronta cosmopolita della rivista Poesia in
cui Marinetti si sperimenta dal 1905 fino al lancio del
futurismo, aveva rivelato la felice intuizione in merito
al funzionamento delle strategie comunicative, con
l’avvio di uno stile promozionale inusuale ed efficace
imperniato su concorsi e inchieste che fungevano da
richiamo per il pubblico.
Ma è al manifesto come genere che Marinetti consegna
il compito di essere fondamento e forza di sfondamento
della vecchia guardia, “spina dorsale” della
sua avanguardia.
Questa nuovo strumento, insieme letterario e mezzo
mediatico, assume un ruolo militante per la riformulazione
di pensiero e lessico nuovi, applicabili alle
molteplici sfere dell’immaginazione creativa.
[...] Pur avvalendosi di un genere già apparso tra la
fine del XIX e l’inizio del XX secolo (il Manifesto del
simbolismo di Jean Moreas e del 1886, quello del naturismo
di Saint-Georges de Bouhelier del 1897, l’unanimismo
di Jules Romains del 1905), il proclama di Marinetti
si presenta subito come testo dotato di grande
originalità nell’impostazione poetica e funzionale alla
strategia della comunicazione mediatica, capace di
adattarsi ai più disparati supporti cartacei, dalla rivista
al volantino, dal catalogo di mostre alla pubblicazione
25
26
di libri futuristi come premessa teorica.
[...] «La produzione costante di “Manifesti” - scrive
Luciano Caruso - è il documento più probante, malgrado
cadute e ritorni, di un continuo atteggiamento
creativo, che traduce ed espone la volontà dichiarata
di reinventare il quotidiano, sia pure con abbagli, confusioni
e contraddizioni e spesso per avvenimenti e
produzioni marginali».
[...] I manifesti futuristi senza dubbio esprimono
principalmente idealità di comportamento, indicato
attraverso pubblici proclami e poi magari contraddetti
nel quotidiano e nella propria vita privata. Il superamento
di ogni modica quantità, l’amore per il pericolo
e l’azzardo, l’apologia della macchina e dell’industria,
la pubblicazione del primo manifesto su un quotidiano
della città più cosmopolita d’Europa, ci segnalano
una modernissima ansietà di comunicazione: oltrepassare
il recinto del linguaggio e bucare l’immaginario
collettivo di una società di massa magari disattenta.
[...] Solo tra il 1910 e il 1920, nell’arco di quello
che è stato definito “periodo eroico”, la formazione,
in continuo divenire, darà alle stampe oltre cento tra
manifesti, dichiarazioni di intenti e altri scritti teorici
assimilabili a tali generi letterari - con l’impressionante
frequenza di quasi uno al mese - argomentando di
volta in volta su ciascuna sfera dell’arie e dell’esistenza
stessa.
[...] Attraverso gli apodittici messaggi lanciati dalla
“Direzione del Movimento”, infatti, Marinetti e i suoi
sentenziano non soltanto sulle infinite rivelazioni della
creatività umana, che vanno, assecondando l’anelito
futurista all’opera d’arte totale e assoluta, dalla pittura
alla scultura, dal cinema alla fotografia, dalla plastica
murale alla ceramica, dalla poesia al teatro, dalla prosa
alla musica, dalla danza alla scenografia; pretendono di
descrivere i luoghi abitati dal divino nel mondo contemporaneo
(La nuova religione-morale della velocità ,
1916), immaginano il paesaggio urbano e l’habitat del
domani (L’Architettura Futurista, 1914), propongono un
nuovo modo di vestire (II Vestito Antineutrale, 1914),
di mangiare (Cucina Futurista, 1930), di rapportarsi
all’altro sesso (Manifesto futurista della Lussuria, 1912)
e alla natura (Manifesto del naturismo futurista,1934);
indirizzano il principio dell’agire, completandolo teoricamente,
verso un’unica dimensione estetica, fino
alla suggestiva ipotesi della Ricostruzione Futurista
dell’Universo: «Noi futuristi, Balla e Depero, - ascritto
nell’omonimo manifesto del 1915 - vogliamo realizzare
questa fusione totale per ricostruire l’universo
rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente .... Troveremo
degli equivalenti astratti di tutte le forme e
di tutti gli elementi dell’universo, poi li combineremo
insieme, secondo i capricci della nostra ispirazione... ».
[...] Il primo documento programmatico futurista
destinato a uno specifico indirizzo artistico, dopo
l’esordio intenzionalmente letterario del movimento,
è il Manifesto dei pittori futuristi, redatto nel febbraio
del 1910, seguilo, nell’aprile della stesso anno, da La
Pittura Futurista - Manifesto tecnico, ai quali aderiscono
Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Gino Severini, Giacomo
Balla e Luigi Russolo.
Nel 1911 il più agguerrito tra i promotori del futurismo
pittorico, Umberto Boccioni, diffonde il Manifesto
tecnico della scultura futurista, dove vengono postulati i
concetti alla base della nuova arte plastica. La scultura,
svincolandosi finalmente dall’uso dei soli materiali
Balla, Depero,
Ricostruzione
Futurista
dell’Universo,
pag. 39
27
convenzionali, dovrà rinascere polimaterica.
I propositi del Manifesto, integrati e approfonditi
dalla successiva pubblicazione del volume Pittura
scultura futuriste: dinamismo plastico (1914), trovano
un’immediata risposta nella ristretta ma assai significativa
produzione scultorea dell’artista, concentrata
nel quadriennio 1912-1915.
[...] L’anno dopo, a corredo della presentazione
dell’antologia I poeti futuristi, Marinetti rende noto
il Manifesto tecnico della Letteratura futurista, scaturito
come sempre, stando al racconto dell’autore, da una
folgorazione avuta sperimentando l’ebbrezza della
modernità.
In aeroplano, seduto sui cilindro della benzina, scaldato il ventre
dalla testa dell’aviatore - riferisce - io sentii l’umanità ridicola della
vecchia sintassi ereditata da Omero. Bisogno furioso di liberare
le parole, traendole fuori dalla prigione del periodo latino!
Articolato in undici punti, più tre aggiuntivi (Il rumore,
Il peso, L’odore) e un supplemento (Risposte alle
obiezioni, 11 agosto 1912), il documento fissa i termini
di una nuova sensibilità letteraria nell’utilizzo di alcuni
accorgimenti “tecnici”: la distruzione della sintassi,
l’uso del verbo all’infinito, l’abolizione dell’aggettivo,
dell’avverbio e della punteggiatura, il raddoppio del
sostantivo. Riguardo ai contenuti, prescrive in prima
istanza l’eliminazione dell’io psicologico, sostituito
«con l’ossessione lirica della materia» e con la ricerca
di una rete di analogie «che verranno lanciate nel
mare misterioso dei fenomeni». Marinetti allega al testo
una serie di esempi, ma si può dire che le potenzialità
del poema parolibero delineate nella scritto si
28
dispieghino in una prima, concreta applicazione solo
nel romanzo Zang Tumb Tumb (1914), che riporta, a introduzione,
l’ancora più calzante Distruzione della Sintassi
- L’immaginazione senza fili e le parole in libertà (11
maggio 1913). Al 1913 risale anche L’arte dei rumori,
annuncio redatto da Luigi Russolo con dedica all’amico
musicista e compositore Francesco Balilla Pratella.
Il rumore diventa paradigma della civiltà attuale, la
civiltà delle macchine, in netto contrasto con l’ordine
naturale e taciturno delle case.
L. Russolo,
L’ Arte dei Rumori
in “Dinamo”,
pag. 225
Oggi, il Rumore trionfa e domina sovrano sulla sensibilità degli
uomini. Per molti secoli la vita si svolse in silenzio, o, per lo più,
in sordina ... Poiché, se trascuriamo gli eccezionali movimenti tellurici,
gli uragani, le tempeste, le valanghe e le cascate, la natura
è silenziosa.
[...] La musica del futurismo è una combinazione
sperimentale di suoni e rumori, ricavati da strumenti
mai visti prima: gli “intonarumori”, casse rettangolari
in legno contenenti diversi motori e munite di grossi
amplificatori a forma di imbuto.
II primo concerto futurista aperto al pubblico si
svolge nell’aprile del 1914 al Teatro Dal Verme di
Milano con un’orchestra di diciotto “intonarumori”,
suddivisi in gorgogliatori, crepitatori, ululatori, rombatori,
sibilatori, ronzatori e stropicciatori. È il delirio: gli
spettatori fischiano, urlano, lanciano verdure e scoppiano
violenti tafferugli, sedati solo dall’intervento
energico delle forze dell’ordine.
[...] Un aspetto certamente indagato dalla critica
ma non ancora sufficientemente percepito nella sua
portata e centralità riguarda la teatralità sottesa al ge-
29
30
nere “manifesto”. Al di là della componente oratoria
e più precisamente declamatoria, la teatralità emerge
nella stessa gestualità spesso connaturata al lancio del
manifesto/volantino. Si pensi in tal senso ai diversi
proclami scritti contro le città passatiste e in particolar
modo Contro Venezia passatista.
[...] L’esperienza teatrale per i futuristi, e per Marinetti
in particolar modo, non è riconducibile in senso
stretto alla produzione specificamente destinata al teatro.
Essa è una vocazione che si declina perfettamente
con il voler essere precursori della comunicazione
mediatica.
[...] Una vicenda che attesta l’andamento dell’officina
marinettiana e quella relativa alla stesura del manifesto
Le analogie plastiche del dinamismo su cui lavora
Severini dalla fine del 1913, testo che infine non fu
mai pubblicato. La scrittura fu con grande probabilità
più laboriosa perché coincidente con un momento
prolifico nella produzione di testi teorici. L’aspetto
interessante di questa mancata pubblicazione è lo
scambio epistolare tra Marinetti e Severini che rivela
come il caposcuola del futurismo si sentisse chiamato
in prima persona a controllare forma, contenuti e
tempi di uscita dei proclami. Appare evidente come
ognuno di essi fosse un caposaldo di un’imponente
architettura, che insieme andava a comporre una vera
e propria “rete” teorica di riferimento. Indispensabile,
quindi, era assicurare un’assoluta coerenza ed evitare
inutili sovrapposizioni, poiché l’uscita di un proclama
doveva essere in corrispondenza sinergica con la sfera
di riferimento di pensiero che il futurismo stava nel
tempo elaborando.
Bonito Oliva. Futurismo Manifesto 100x100.
I manifesti della direzione ufficiale sono caratterizzati
da un formato standard (cm 29x 23), con quattro
facciate, e recano in calce la firma dell’autore, o di
più autori, seguiti dalla data e dall’indirizzo del movimento,
che coincide con l’abitazione di Marinetti.
Dal 1909 fino al 1912: Milano, via Senato 2; dal 1912
al 1924: Milano, corso Venezia 61. In seguito: Roma,
piazza Adriana 30.
Nelle date ricorre il numero 11, che è la cifra scaramantica
di Marinetti. In alcuni casi il formato è più
piccolo. I titoli evidenti, il senso architettonico della
costruzione grafica, nel giusto rapporto tra piombo e
spazio bianco, inoltre l’uso di numeri, cassetti, corsivi
e corpi differenti nel testo sono elementi che dimostrano
un’attenzione spiccata per quella tipografia
espressiva, che è uno dei cardini delle parole in libertà.
Tra i manifesti più rilevanti dal punto di vista grafico
ricordiamo: L’Antitradizione futurista. Manifestosintesi
di Guillaume Apollinaire (29 giugno 1913);
L’architettura futurista. Manifesto di Antonio Sant’Elia
(11 luglio 1914); il Vestito antineutrale. Manifesto futurista
di Giacomo Balla (11 settembre 1914); Ricostruzione
Futurista dell’Universo di Balla e Fortunato Depero
(11 marzo 1915); Parole consonanti vocali numeri
in Libertà di F. T. Marinetti, Corrado Govini, Francesco
Cangiullo e Paolo Buzzi (11 febbraio 1915); Sintesi Futurista
della guerra di Marinetti, U. Boccioni, C. Carrà,
L. Russolo e Ugo Piatti (20 settembre 1914).
[...] In tutto si tratta di un materiale cartaceo che in
tutto supera i duecento titoli.
Salaris. La rivoluzione tipografica. 82, 83
G. Apollinaire,
L’ Antitradizione
futurista
in “Lacerba”,
pag. 165
A. Sant’Elia,
L’ Architettura
futurista
in “Lacerba”,
pag. 167
Govini, Cangiullo,
Buzzi, Parole
consonanti
vocali numeri
in libertà
pag. 38
Marinetti,
Boccioni, Carrà,
Russolo, Piatti,
Sintesi Futurista
della guerra
pag. 36
31
32
Filippo Tommaso Marinetti,
Manifesto del Futurismo,
in “La Tavola Rotonda”, 14 febbraio 1909
33
34
Filippo Tommaso Marinetti,
L’immaginazione senza fili e le parole
in libertà, 11 maggio 1913
Giacomo Balla,
Il Vestito Antineutrale, 11 settembre 1914
35
36
Marinetti, Boccioni, Carrà, Russolo, Piatti
Sintesi futurista della guerra, 1914
37
38
Marinetti, Govoni, Cangiullo, Buzzi,
Parole consonanti vocali numeri
in libertà, 11 febbraio 1915
Balla, Depero,
Ricostruzione Futurista dell’Universo,
11 marzo 1915
39
STORIA DELLA GRAFICA EDITORIALE FUTURISTA
Il ruolo delle riviste
Le riviste hanno svolto un ruolo essenziale nella
storia del futurismo, fungendo da luogo d’aggregazione
per inutili e gruppi disseminati in quasi tutte le
regioni italiane. Oltre alle testate principali, si contano
molti fogli dalla vita più o meno effimera, numeri unici,
a circolazione limitata; si tratta, complessivamente,
di circa 170 titoli, cui va aggiunta una settantina di riviste
d’area parafuturista o modernista. Questo fenomeno
di proliferazione si registra soprattutto a partire
dalla Grande Guerra.
Salaris. La rivoluzione tipografica. 70
Anche i periodici sono sottoposti a quel procedimento
di ridefinizione che investe tutti i settori della
produzione e della comunicazione artistica, le cui
leggi, modalità e codici vengono “reinventati” dai
futuristi [...] La tradizione precedente è azzerata: i
fogli futuristi rispecchiano i comportamenti e le norme
dell’avanguardia che si traducono in aggressività
linguistica e grafica. Pubblicano testi e manifesti ma
contemporaneamente divengono il luogo privilegiato
per cronache di manifestazioni futuriste, appuntamenti
per esposizioni e presentazioni. Un oggetto da
mandare in omaggio, come i libri, a uomini di cultura,
giornalisti e personaggi famosi.
41
42
Le testate futuriste proliferano in tutt’Italia e nel
mondo: solo negli anni “eroici”, fino cioè alla prima
metà degli anni venti, fra riviste maggiori e fogli minori
sono oltre 160 ma il numero cresce di molto se si
considerano anche i periodici d’avanguardia.
La rivoluzione in campo grafico, attraverso la parola-immagine,
che il movimento futurista compie a
partire dalle sperimentazioni parolibere, una radicale
reazione antipassatista e antidannunziana «diretta
contro la così detta armonia tipografica della pagina,
che è contraria al flusso e riflusso, ai sobbalzi e agli
scoppi dello stile che scorre nella pagina stessa», come
proclama Filippo Tommaso Marinetti nel manifesto
L’immaginazione senza fili e le parole in libertà, investe
sotto vari aspetti anche le pubblicazioni periodiche,
spazio privilegiato di diffusione e dibattito del pensiero-azione
futurista. Così le riviste futuriste da un lato
incarnano l’organo di diffusione stesso del movimento
(pensiamo al numero di manifesti che vi vengono
pubblicati), dall’altro sono esse stesse campo aperto di
sperimentazione tipografica, dove la pagina, non più
intesa come schermo passivo e vincolato a rigide regole
di armonia, viene percepita, al contrario, come campo
dinamico da utilizzare in funzione lirico-espressiva.
E non è un caso che il manifesto sopra citato venga
pubblicato per la prima volta proprio sulla neonata Lacerba,
il 15 giugno 1913, testata che incarna un modo
nuovo di pensare la funzione e il peso specifico delle
riviste dopo i fogli vociani, dai quali gli avanguardisti
Giovanni Papini e Ardengo Soffici si sono allontanati
polemicamente. Nell’Introibo, il manifesto programmatico
che funge da premessa al primo numero della
rivista fiorentina (1 gennaio 1913), si legge un implici-
to attacco ideologico di Papini contro il ruolo assunto
da La Voce di Giuseppe Prezzolini:
Queste pagine non hanno affatto lo scopo né di far piacere, né
d’istruire, né di risolvere con ponderatezza le più gravi questioni
del mondo. Sarà questo un foglio stonato, urtante, spiacevole e
personale. Sarà uno sfogo per nostro beneficio e per quelli che
non sono del tutto rimbecilliti dagli odierni idealismi, riformismi,
umanitarismi, cristianismi e moralismi.
Introibo,
in “Lacerba”,
pag. 150
La rivista diviene con il Futurismo luogo privilegiato
e «personale» di accesi dibattiti culturali, un organismo
vivo che incide sulla realtà artistica italiana e
internazionale e non semplicemente specchio di ciò
che accade nel circostante universo culturale. Il periodico
si rinnova, tipograficamente e concettualmente.
Parafrasando Marinetti, la rivista deve essere
l’espressione futurista del pensiero futurista, così
come avviene per il libro. La lettura del fenomeno
avanguardista di primo Novecento non può essere
dunque separata dal confronto costante con i suoi organi
privilegiati di diffusione.
Gubert. Il Futurismo sulla rampa di lancio: «Poesia»
1905-2005
La grafica dei periodici futuristi
Tracciando un bilancio del contributo futurista alla
grafica del libro del periodico, Enrico Crispolti osserva
che «quando all’elaborazione della pagina stampata,
gli esiti più significativi restano nell’ambito che scon-
43
44
fina […] con il “paroliberismo” e l’ampia intrusione
di elementi comici espliciti nel contesto della scrittura
verbale, mentre meno originale è l’invenzione
complessiva dell’impaginato dei periodici». E infatti
l’elemento della stampa futurista che ha prodotto
l’effetto di choc sul pubblico, che è stato percepito
come novità, non è rappresentato da soluzioni di messa
in pagina sovvertitrice dei canoni di architettura tipografica
vigenti nelle pubblicazioni periodiche, ma
dall’invadente e caratterizzante presenza di parole
in libertà, e peraltro raramente rompono la ricorrente
orditura delle colonne. Un dato che accomuna la
maggior parte degli organi di stampa del movimento
futurista, a partire dalla fiorentina Lacerba, è la scelta
della veste tipografica (ma non sempre del formato)
del quotidiano, piuttosto che della rivista. Tra i giornali
culturali e d’avanguardia non è questa una novità:
nella stessa Firenze si deve ricordare il presidente de
il Marzocco e, tra i periodici più prestigiosi dell’avanguardia
internazionale, quello di Der Sturm, fondato
nel 1910. Hanno ancora ritroso nel tempo si potrebbe
citare un lungo elenco di riviste di scienza, di tecnica
e di cultura dal Settecento all’Ottocento. Sebbene
suggerita da ragioni di economia, questa opzione risulta
tuttavia la più coerente con alcune affermazioni
fondamentali dell’ideologia futurista e con i contenuti
stessi e le finalità di questi giornali. Per comprenderne
le motivazioni è superfluo scomodare ancora una volta
Mallarmé e le sue riflessioni sulla presentazione materiale
del libro, pubblicate in The National Observer (11
giugno 1892) ne La Revue Blanche (luglio 1895), dove
è insinuata la profezia che il giornale possa un giorno
soppiantare il libro. La scelta della veste del quotidia-
no è innanzitutto espressione emblematica dell’anticulturalismo
del futurismo: è la più appropriata divisa
di battaglia di una stampa antiaccademica, che all’universo
statico dei valori consolidati oppone la transitorietà
della ricerca in atto. Offrendosi a un rapido
consumo, la forma del quotidiano esprime il rifiuto di
divenire storia ricorrente nella polemica futurista, fin
dal manifesto di fondazione, ed è esaltazione dell’effimero
contro l’imperituro. Essa è dunque funzionale
a quell’ideologia del divenire che assurge alla dimensione
di un culto del transeunte, ma è anche la forma
tipografica organica della prosa futurista. Il quotidiano
non è il luogo del saggio dotto e ponderoso, ma la sede
di una prosa essenziale, improntata alla concisione,
alla sintesi, all’immediatezza comunicativa.
Un pensiero che non può essere detto in poche parole non merita
d’esser detto.
Introibo,
in “Lacerba”,
pag. 150
Questo motto inneggiante alla laconicità non figura
forse nell’editoriale del primo numero di Lacerba?
E anche Marinetti, in diverse occasioni, non manca
di riconoscere nel giornalismo una scuola di stile fondato
sulla “concisione essenziale” e sulla “sintesi”, su
un “laconismo” che risponde alle leggi di velocità dei
tempi moderni e anche ai “rapporti multisecolari” tra
capo e pubblico.
D’altronde la veste del quotidiano ben si addice a
organi di stampa che rifuggono dalla specializzazione,
che aspirano a svolgere un’azione politica oltre che
culturale, che intendono proporsi come strumenti di
provocazione del pubblico e di reclutamento di nuovi
adepti. La scelta della veste tipografica di periodi-
45
46
ci è in definitiva coerente con quella di mimesi delle
forme di comunicazione con il pubblico proprie delle
organizzazioni partitiche che, pur costituendo esperienza
comune dei gruppi d’avanguardia, caratterizza
in modo particolare lo sforzo del movimento futurista
di costituirsi come avanguardia di massa. Come le serate
futuriste mimano i comizi, come i manifesti imitano
i volantini di propaganda politica, così i periodici
del movimento si modellano sui quotidiani dei partiti
e assumono una forma che si presta all’affissione sui
muri o alla vendita per mezzo di strilloni.
Nella grafica dei giornali futuristi sono individuabili
- come giustamente suggerisce Crispolti - due filoni:
«l’accentuazione un po’ enfatica del messaggio, che
è una linea tipicamente d’impostazione grafica futurista
[...] e uno invece di notevole controllo costruttivo
e razionale, che è una linea originariamente tipica
dell’estetica meccanica futurista, ma che finisce per
rapportarsi alla grafica “razionale”». Il primo indirizzo
comincia a delinearsi nel novembre 1913 con la pubblicazione
delle parole in libertà di Boccioni e Cangiullo
in Lacerba, la cui grafica è affidata ad Ardengo
Soffici, autore anche delle testate. È però nei primi
mesi del 1914 che la pratica parolibera caratterizza in
maniera determinante il giornale, conferendogli un
aspetto che critici malevoli definiranno da «magazzino
da rigattiere». In verità l’accresciuta presenza di parole
in parole in libertà non produce effetti dirompenti
sulla gabbia tipografica, distruggendo la tradizionale
orditura su due colonne dei testi, diversamente da
quando avverrà in Vela Latina e ne L’Italia Futurista.
Stampata a Napoli con la veste e il formato del
quotidiano, Vela Latina ospita dal N. 41 del 14 otto-
bre 1915 al N.8 del 4 marzo 1916 due “pagine futuriste”
curate da Cangiullo, che rappresentano colonne
di diverse giustezze tipografiche (mentre le altre pagine
del giornale conservano un impianto di cinque
colonne uguali), la cui disposizione muta da un numero
all’altro. Nei numeri del 1916 compaiono anche
composizioni paroliere che occupano un’intera pagina
oppure una metà o un quarto. In Lacerba invece solo
Messina di Guglielmo Jannelli ( n. 4, 15 febbraio 1914)
e Cd’hArcOUrtFÉ di Carlo Carrà (n. 13, 1 luglio 1914)
debordano con il testo su due colonne, interrompendo
la linea verticale che le separa, e poche sono le parole
in libertà stampate a piena pagina.
Le soluzioni grafiche che meritano di essere segnalate
nel periodico fiorentino, e in particolare nella
seconda annata (1914), figurano la dilatazione delle
dimensioni della testata, la cui altezza supera la metà
del foglio dandosi come richiamo pubblicitario di efficace
effetto, e la forte evidenza conferita ai titoli realizzati
perlopiù con caratteri del tipo lineare, talvolta
di grande corpo.
Maggiore di formato rispetto a Lacerba, L’Italia Futurista
pure pubblicata a Firenze dal giugno 1916 al
febbraio 1918 presenta, come Vela Latina, una veste
tipografica del tutto assimilata a quella del quotidiano.
La presenza di composizioni parolibere risulta
più accentuata che nei giornali futuristi che l’hanno
preceduta. Le parole in libertà, tra le quali prevalgono
quelle che - secondo una distinzione formulata da
Marinetti - manifestano «una sensibilità più pittorica
che musicale rumorista», finiscono con lo svolgere
una funzione di surrogato dell’illustrazione, che pure
è presente come riproduzioni di disegni di Boccioni,
G. Jannelli,
Messina,
in “Lacerba”
pag. 152
C. Carrà,
Cd’hArcOUrtFÉ,
in “Lacerba”,
pag. 158
47
A. Martini,
copertine
di “Poesia”,
pag. 137
Balla, Depero, Gino Galli, Lucio Venna, Rosa Rosà,
Emilio Notte, Achille Lega e altri, e con caricature
sintetiche e vignette di satira politica di Neri e Vieri
Nannetti, Arnaldo Ginna ed Emilio Settimelli. Alle
parole in libertà sono riservate pagine speciali, caratterizzate
da un’estrema libertà e varietà di soluzioni
di impaginazione, che talvolta si presentano come un
inserto suscettibile di piegatura diversa da quella del
resto del giornale.
Il modello de L’Italia Futurista, la cui impaginazione
è curata da Ginna, è ricalcato da Roma Futurista
che, pubblicata nella capitale dal settembre 1918 al
maggio 1920 e nata come giornale prevalentemente
politico, nel 1920 comincia a concedere maggiore spazio
ad argomenti artistici e alle parole in libertà.
I periodici futuristi che hanno assunto la veste
tipografica della rivista risultano più convenzionali
nell’impaginazione e nella grafica. Fondata a Milano
nel 1905, Poesia che appartiene alla preistoria del
futurismo e che rivela, pure nelle scelte grafiche che
la contraddistinguono, il proprio inserimento nella
cultura simbolista. Il disegno della copertina, dovuto
ad Alberto Martini, ha, come annota Lista, «un contenuto
allegorico di un’ispirazione molto affine alle
morfologia della simbolica infernale che si riscontrano
nell’opera grafica di Ensor degli ultimi anni del secolo».
Nella sua produzione pittorica e grafica, come
del resto anche in quella letteraria, il futurismo non
reciderà mai in maniera definitiva i legami con le proprie
origini simboliste, che periodicamente riaccenderanno
a distanza di anni. Particolarmente convincenti
risultano, a tal proposito, gli argomenti addotti da Lista
a sostegno di una continuità di linea di gusto tra la
48
prima e la seconda serie (1920-21) di Poesia.
[...] tra le riviste futuriste che rivelano la permanenza
di un gusto simbolista va ricordata Haschisch
(stampata da Catania nel 1921), le cui copertine sono
dovute a Giuseppe Marletta.
Pubblicato a Roma tre 1917 e il 1920 e diretta da
Bino Sanminiatelli e da Enrico Prampolini, che ne
cura la veste grafica, la prima serie di Noi risulta emancipata
da indulgenze simboliste. Stampata su carta
che a qualche critico malevolo poteva sembrare “di
lusso”, questa rivista si segnala innanzitutto per il suo
carattere di prodotto di un artigianato di qualità, sottolineato
dalle copertine con xilografie di un Prampolini
impegnato a prendere le distanze dalla cultura figurativa
tardo Liberty-simbolista dei suoi esordi di pittore
e di illustratore. La scelta delle quattro incisioni
delle copertine rivela un percorso ancora incerto, che
si muove tra scomposizioni dinamiche d’ascendenza
futuriste e suggestioni cubiste, oppure entra una simbiosi
di figurazione e di astrazione meccanica. Anche
nelle pagine interne Noi adotta talvolta la tecnica xilografica
per riprodurre disegni di Hans Arp, Marcel
Janco, Nicola Galante e altri artisti. L’impaginazione
presenta una controllata varietà di soluzioni, risultante
dall’alternanza di pagine a una, due o tre colonne, e
dal dosaggio di spazi bianchi, ma non riesce evitare
di incorrere in alcune ingenuità, rivelatrici di una non
ancora raggiunta maturità professionale, come la presenza
di illustrazioni a cavallo di due pagine o la tendenza
a costipare testi diversi in una colonna.
Nel composito panorama della stampa futurista, il
modello di un artigianato di qualità di Noi non è rimasto
privo di emulatori. A esso può essere riferita la
E. Prampolini,
copertine
di “Noi”,
pag. 201
49
E. Prampolini,
copertine
di “Noi”,
pag. 201
rivista L’Aurora (1923-24), pubblicata a Gorizia e diretta
da Sofronio Pocarini, che all’accurata scelta di carte
di diverso colore e composizione abbinava la ricca
presenza di linoleumgrafie e xilografie di Giorgio Carmelich.
Non va tuttavia dimenticato, come altro precedente
della rivista goriziana, che lo stesso Carmelich,
prima di collaborarvi, aveva dato vita assieme a
Emilio Mario Dolfi a un’iniziativa editoriale, la Bottega
di Epeo, all’insegna del puro artigianato, per produrre
libri e riviste con tiratura dattiloscritta di otto o dieci
esemplari e illustrazioni disegnate a mano.
Quando, dopo un’interruzione di tre anni, riprende
le pubblicazioni nel 1923, Noi presenta una grafica
radicalmente rinnovata, che, come ha fatto notare
Crispolti, registra il mutato clima di poetica ormai
aperto agli apporti del purismo de L’Esprit Nouveau
e dell’estetica meccanica. Accantonato il carattere artigianale
della prima serie, nell’illustrazione adottata
la riproduzione fotomeccanica mentre la grafica della
copertina (uguale per tutti numeri, anche se stampata
con colori diversi su carte di differente colore) è risolta
mediante una composizione tipografica nella quale
sono inseriti caratteri appositamente disegnati del titolo,
è ancora lasciano trasparire in filigrana un forte
accento di gusto Déco. Nonostante questa permanenza
la seconda serie di Noi inaugura una fase nuova
nella grafica delle riviste futuriste, aperta a sviluppi
destinati a incontrarsi con le tendenze razionaliste.
Chiari segni di tale rinnovamento sono già avvertibili
nel 1925 nella rivista triestina 25, diretta da Carmelich
e presentata come «sintesi pubblicitaria dell’arte contemporanea».
Fanelli. Il futurismo e la grafica. 23-27
50
Le riviste e la grafica razionalista
Tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta, è
riscontrabile nei periodici del movimento futurista, e
in particolare in quelli del gruppo torinese, un orientamento
verso formule grafiche di matrice razionalista.
Questo ritorno all’ordine, e impaginazioni di più
chiara immediata leggibilità, è già individuabile nel
giornale La Città Futurista, di cui escono solo quattro
numeri del 1928 del 1929. La testata, disegnata da
Diulgheroff, è giuocata sull’effetto negativo-positivo
e denota, anche nella scelta dei caratteri, impressioni
di gusto riferibili a prodotti dell’area Déco piuttosto
che alla tipografia d’avanguardia. È soprattutto nella
quarta pagina, riservata alle inserzioni pubblicitarie,
che si può rilevare la permanenza di echi del paroliberismo
futurista, sia pur ricomposti entro un’orditura
ortogonale di linea.
Sarà sufficiente questa sommessa presenza a dare
ancora una volta adito alle critiche-peraltro non del
tutto prive di fondamento di Giulio I. Lagoni, e dalla
pagina di pubblicità de L’Italia Futurista trarrà pretesto
per denunciare ancora una volta, dalle colonne di
Graphicus, l’inapplicabilità dell’esperienza paroliera
futurista al campo della tipografia:
A chi guarda la pagina nel suo assieme, manca quell’impressione
di cose finite completa [...] ove gli annunzi sono fatti e collocati
in modo da farli risaltare singolarmente e da costituire collettivamente
un complesso omogeneo, cioè una pagina estetica. La
pagina che riproduciamo, invece, oltre a non presentare nel suo
assieme l’aspetto [...] di una cosa armonica, è [...] per i suoi fini
51
pubblicitari, un disastro. Infatti, in tutta pagina figurano ben 14
annunzi, mai si sono composti con tale uniformità di stile e forza
di caratteri da sembrare quasi una cosa sola; difetto peggiorato dal
fatto di mancare fra i vari avvisi una netta, 20 a divisione, sì che fra
essi si confondono. Chi sarà quell’industriale o commerciante che
vorrà pagare un avviso che [...] non sarà letto da alcuno o tutt’al più
dagli amatori di rebus.
A questo attacco replica Farfa rivendicando l’efficacia
pubblicitaria della libertà futurista dalla costrizione
delle regole:
Che gioia divertirsi a mandarle con le gambe all’aria perché l’annuncio
giustifichi l’effetto pel quale è nato di pugno nell’occhio,
precisamente quale... frutto di fantasia, altro che ventata di armonia!
Negli anni trenta la linea più ortodossa della tipografia
futurista è perpetuata dei periodici romani fondati
e diretti da Mino Somenzi: Futurismo (1932-33),
Sant’Elia (1933-35), Artecrazia (1934-39). In questi
periodici, che hanno informato del quotidiano, permangono
scelte tipografiche tipiche della tradizione
futurista: uso di inchiostri colorati, alternanza di carta
ruvida patinata, presenza caratterizzante di composizioni
paroliere, ecc.
Inoltre non infrequenti sono le sovrapposizioni di
testo e disegno. La permanenza di formule di gusto
futurista e anche rilevabile nel lettering delle testate
di periodici pubblicati nella prima metà degli anni
Trenta, come Supremazia futurista o Il lampo futurista.
All’opposto i periodici di emanazione del gruppo
futurista torinese, diretti da Fillia, cioè La Città Nuova
52
(1932-34), La terra dei Vivi (1933), Stile Futurista (1934-
35), La Forza (1935), tendono vieppiù ad assimilarsi
ai prodotti della grafica razionalista. La diversità
di impostazione della veste tipografica di questi due
gruppi di periodici bene riflette i loro diversi orientamenti
culturali, nel composito arcipelago del movimento
futurista degli anni Trenta: da un lato la rigida,
e talvolta un po’ ridicola, tutela dell’ortodossia futurista
di Somenzi, dall’altro la disponibilità al dialogo e
alla collaborazione con altre tendenze artistiche, e in
particolare quelli architetti del razionalismo, di Fillia
e del gruppo torinese. Tale è la compostezza dell’impianto
tipografico delle riviste torinesi che a qualcuno
esse sembrano addirittura prive di un’identità futurista.
Antonio Chiattione, su Il Risorgimento Grafico
(n.7, 1935), giunge ad accusare Stile Futurista di essere
«quasi passatista» ed ebbe rinnegato «Le esperienze
audacissime di un tempo». «I futuristi, fin dall’inizio,»
replica Fillia, dopo aver rivendicato una «coerenza
perfetta» nei periodici futuristi, da Poesia a Stile Futurista,
«hanno proclamato la glorificazione della civiltà
meccanica che si sono ispirati ad essa.
[...] Leggi meccaniche che portano fatalmente
nell’impaginazione degli articoli, al semplice, al chiaro,
al netto, al geometrico. I futuristi, in questo, si vantano
di aver percorso quella estetica tipografica che
oggi, per fortuna, trionfa in tutto il mondo».
Fanelli. Il futurismo e la grafica. 43-45
53
Gli anni eoici: 1909-1915
«Poesia»
A. Martini,
copertine
di “Poesia”,
pag. 137
Medaglioni,
in “Poesia”,
pag. 139
Inchiesta
internazionale
di Poesia
sul Verso Libero,
in “Poesia”,
pag. 140
Alla preistoria del movimento appartiene la rivista
Poesia (1905-1909), rassegna internazionale mensile,
fondata a Milano da Filippo Tommaso Marinetti con
Vitaliano Ponti e Sem Benelli, che dopo la prima annata
rimane sotto la direzione del solo Marinetti. Ne
escono 31 fascicoli, tra cui molti numeri doppi e tripli.
La copertina reca sempre lo stesso disegno, di Alberto
Martini, ma varia nel colore. Quasi ogni numero si apre
con un medaglione dedicato a un poeta, di cui viene
fornito un ritratto disegnato da Enrico Sacchetti o Ugo
Valeri, in qualche caso da Giuseppe Grandi. Vi collaborano
poeti di lingua francese, come Gustave Kahn,
ideatore del verso libero, Paul Fort, Emile Verhaeren,
il provenzale Frédéric Mistral, Jean Moréas, estensore
del manifesto del simbolismo, Anna de Noailles, Alfred
Jarry, il giovanissimo Jean Cocteau, Paul Claudel;
autori di lingua inglese, come William Butler Yeats,
di lingua tedesca, tra cui Arno Holz, ispano-latinoamericani,
come Miguel de Unamuno; il simbolista
russo Valerij Brjusov; il poeta nazionale greco Costis
Palamas, e, tra gli italiani, Giovanni Pascoli, Gabriele
D’Annunzio, Guido Gozzano. La rivista si impegna
a difendere l’uso del verso libero, promuovendo un
importante sondaggio, i cui risultati sono raccolti nel
volume Enquête internationale sur le Vers libre et Manifeste
du futurisme par F. T. Marinetti (Edizioni di Poesia,
Milano 1909). La rivista propone altre inchieste concorsi
e utilizza quei sistemi promozionali reclamistici
54
che divengono poi tipici della propaganda futurista.
Salaris. La rivoluzione tipografica. 70, 71
Fondamentale è l’incontro di Marinetti e Lucini:
quest’ultimo, sin dalla fine dell’Ottocento sta elaborando
una certa visione nazionale della poetica simbolista,
una via italiana proprio mentre questa tendenza
in Francia e già in declino. Ma, individualista ed anarchico,
Lucini non pensa ad un movimento organizzato
bensì ad una vasta corrente di pensiero. Le sue riflessioni
trovano un valido complemento nelle capacita
manageriali di Marinetti. Prima tappa del sodalizio
è l’inchiesta sul verso libero, che la rivista lancia nel
1905, prendendo lo spunto dalle innovazioni poetiche
bandite in Francia da Kahn. Nella sua risposta, Lucini
sostiene che il verso libero rappresenta la rivolta contro
il principio d’autorità e diventa il mezzo più adatto
per trasferire in poesia la realtà del mondo moderno.
L’interpretazione progressista del neoilluminismo luciniano
ha una notevole influenza sui seguaci marinettiani,
soprattutto per ciò che riguarda quei contenuti
sociali che si configurano come veri e propri «luoghi»
poetici, sobborghi, prigioni, prostituzione, che tanta
importanza avranno nel futurismo della prim’ora.
[...] Poesia, ambiziosa «rassegna internazionale»,
trait d’union con la cultura francese, con le sue molteplici
iniziative (concorsi, contatti a largo raggio) costituisce
per Marinetti un prezioso rodaggio. Presto
il nostro avrà alle spalle un apprendistato tale che gli
permetterà di candidarsi come leader d’un movimento
intellettuale. Inoltre, con la morte del padre, avvenuta
nel 1907, Marinetti si trova ad amministrare una
grossa eredità, che diventerà la banca da cui attingere
55
F. T. Marinetti,
Tuons le clair
de lune!,
in “Poesia”,
pag. 143
per progetti sempre più vasti.
La bella e raffinata rivista, che ha contribuito a diffondere
il simbolismo in Italia, elegantemente impaginata
nel più schietto gusto liberty (Alberto Martini
ha disegnato l’immagine allegorica in copertina, che
cambia colore ad agni numero, nata con il motto «ma
qui la morta poesia risurga», s’affretta ora a concludere
il suo ciclo. Marinetti, come vedremo, brucia sempre
le tappe, guarda al domani ed esaurisce presto le
proprie iniziative per gettarsi in nuove imprese. Sul
primo numero del 1909 appare il manifesto del futurismo.
Il testo avrà una diffusione enorme in Italia e
all’ estero, essendo subito registrato in tutto il mondo.
[...] Le scelte non solo letterarie ma anche politiche
di Marinetti si rivelano ben presto in occasione delle
elezioni generali del 1909, quando Poesia riporta con
un certo contrasto rispetto a fregi e ricercatezze tipografiche
un immediato Manifesto politico futurista (che
viene affisso anche sui muri): espansione nazionale,
lotta a quei candidati che «patteggiano coi vecchi e
coi preti» sono le coordinate che sia pure in embrione
esplicitano la natura anarco-nazionalista del capo del
nuovo movimento.
Ormai per la Poesia seducente e preziosa non c’è
più posto, Marinetti è convinto che la lotta contro il
vecchio non possa limitarsi ad una battaglia letteraria,
e nell’ alzare il tiro egli sente la necessità di armi più
incisive, certamente meno estetizzanti.
Quando appare il manifesto Tuons le clair de lune! la
rivista è al suo ultimo numero. Marinetti taglia i ponti
col passato, distrugge ciò che ha creato, indirizza i suoi
strali contro quel simbolismo che fino a poco prima
ha avuto il merito di diffondere. Come Edipo, egli
56
deve uccidere il padre. Quest’ultimo proclama marinettiano
esorta i poeti incendiari a uscire dalle città di
Paralisi e Podagra per dichiarare guerra ad un mondo
di morti. Sempre sull’ultimo numero di Poesia appare
emblematicamente una divertente tavola a colori su
due pagine, disegnata da Manca e ripresa dal Pasquino
di Torino, che raffigura satiricamente Marinetti incoronato
in mezzo a seguaci in corteo che battono la
grancassa, fanno piroette da clown, innalzano cartelli
con la scritta «Pink», dal nome d’una celebre pillola.
Per i suoi metodi «americani», scandalistici e pubblicitari,
il capo del movimento si guadagna il soprannome
di «poeta Pink». Scriverà in proposito Palazzeschi:
Manca,
Le Futurisme
dans la caricature
italienne!,
in “Poesia”,
pag. 141
Marinetti aveva capito fino da allora il potere della pubblicità che
doveva raggiungere fatti e persone a tutte le profondità e a tutte le
altezze, nessuno escluso della compagine sociale, e riservata allora
esclusivamente per le Pillole Pink, il cerotto Bertelli e la Chinina
Migone, usarla per i problemi dello spirito era ritenuta dai ben
pensanti tale ignominia per cui nessun vocabolario possedeva una
parola infamante per poterla degnamente qualificare.
[...] Con Poesia nasce anche l’omonima collana, che
resta in attività dal 1905 al 1943, sopravvivendo alla
rassegna, la quale invece conclude la sua esperienza
dopo gli ultimi tre fascicoli dedicati al futurismo.
[...]La storia di queste pubblicazioni ha inizio nella
fase simbolista e prefuturista, quindi fuoriesce in parte
dalle vicende dell’ avanguardia. Le edizioni acquistano
l’attributo di «futuriste» solo nel 1910, a partire
da L‘incendiario di Palazzeschi.
Salaris. Storia del futurismo. 19-23
Edizioni
di “Poesia”,
pag. 144
57
«Lacerba»
G. Papini,
Abbiamo Vinto!,
in “Lacerba”,
pag. 164
Nel gennaio del 1913 prende l’avvio a Firenze la
pubblicazione di Lacerba, per iniziativa del nucleo più
vivace e inquieto dei vociano, formato da Papini e Soffici.
La testata si presenta come scissione del gruppo.
Durerà fino al maggio del 1915 quando, con l’entrata
in guerra dell’Italia, la redazione riterrà di avere
esaurito il proprio compito nella battaglia culturale
mentre incombono altri doveri. Sull’ultimo numero
Papini firmerà un fondo intitolato sintomaticamente
Abbiamo vinto!
Per più di due anni il giornale è stato uno strumento
di rottura nell’ambito della cultura, divenendo da
un lato la tribuna dell’avanguardia, grazie all’alleanza
tra il nucleo fiorentino e il gruppo marinettiano,
dall’altro la palestra interventista per molti intellettuali.
Arte e politica qui si sono strette la mano vistosamente.
Le matrici ideologiche del foglio sono quelle
dell’irrazionalismo più spinto: il fine è rivendicare il
principio dell’intuizione contro il razionalismo, il diritto
di ribellarsi alle regole della società affermando
la più anarchica libertà individuale, che peraltro viene
riconosciuta specialmente all’artista. Questa è la linea
degli animatori, che risentono tra l’altro di una fede in
quel primordiale che a largo raggio viene spesso nelle
arti nella cultura europea (basti pensare al fascino di
Gauguin o al Doganiere Rousseau).
Edita da Vallecchi, la rivista prende il nome da
un’operetta di Cecco d’Ascoli (il titolo è però stampato
senza l’apostrofo, come ricorda Soffici, proprio
per creare disorientamento nel lettore e incuriosirlo).
Su queste pagine avviene l’incontro col gruppo dei
58
marinettiani, tanto che la testata finisce col diventare
l’organo del futurismo. L’alleanza subisce alterne
e travagliate vicende: i primi contatti tra le due parti
avvengono grazie alla mediazione di Severini, che ha
conosciuto Soffici a Parigi; e pure il fiorentino Palazzeschi
ha un suo ruolo nella liasion. La simpatia di
Papini, anche se critica, nei confronti del movimento
è evidente in alcuni articoli. Dal marzo del 1913
inizia l’apertura totale al futurismo, che durerà per 24
numeri fino al marzo dell’anno successivo, quando
Boccioni nel reagire violentemente ad un attacco di
Papini rivolto alla sua concezione pittorica, difenderà
l’ortodossia futurista (Papini, Il cerchio si chiude, 15
febbraio 1914; Boccioni, Il cerchio non si chiude, 1 marzo
1914; Papini, Cerchi aperti, 15 marzo 1914). La polemica
si allarga e si capisce che a Papini non va a genio
tutta l’impostazione marinettiana del movimento. La
rottura si esprime in pieno in un successivo intervento
di Papini e Soffici (Lacerba, il futurismo e Lacerba,
1 dicembre 1914): vengono criticate le «esagerazioni»
dei futuristi milanesi, e la gestione ufficiale del movimento,
che rischierebbe di diventare una chiesa con
i suoi sacerdoti riconosciuti. Il terrore del dogma fa
dire ai due fiorentini in Boccioni sussistono elementi
di «religiosismo umanitario complicato da un’ombra
paurosa di accademia». Essi rimproverano a Marinetti
di essersi impegnato poco nell’interventismo (!) E si
lamentano della leggerezza con cui accoglie i nuovi
talenti, quasi sempre di scarso valore.
Più tardi Palazzeschi, Papini e Soffici riassumono
in uno schema i difetti degli avversari, e così contrappongono
ciò che a loro avviso è il vero futurismo al
marinettismo: supercultura contro ignoranza, immagi-
G. Papini,
Il cerchio si chiude,
in “Lacerba”,
pag. 162
U. Boccioni,
Il cerchio non si
chiude,
in “Lacerba”,
pag. 163
59
60
ni in libertà contro parole in libertà, originalità contro
stranezza formale, ironia contro profetismo, libertà
contro solidarietà e disciplina, anche religiosismo integrale
e amoralismo contro religiosità laica e moralismo
(Futurismo e Marinettismo, 14 febbraio 1915).
Il pezzo sul giornale porta anche le firme di Carrà,
Govoni, Pratella, Severini e Tavolato (di essi solo Pratella
reagisce pubblicamente, dichiarandosi un fedele
di Marinetti). Contro il capo del futurismo, che molto
diplomaticamente non risponde, si scaglia Soffici
il quale, con un ridicolo pseudonimo (Elettroni Rotativi),
firma il falso manifesto dell’Adampetonismo,
parodia dei proclami marinettiani.
Dall’agosto del 1914 la rivista diviene eminentemente
politica, le sue pagine si riempiono di propaganda
“antitriplicista” a favore della guerra; al nucleo
fondatore si affianca una figura come quella di Fernando
Agnoletti, tipico esponente di certo becerismo
fiorentino popolaresco, guerrafondaio e antitedesco.
Non va dimenticato che dietro le posizioni papiniane
s’annida un individualismo nichilista e qualunquista,
ben diverso dal messianismo ottimista di Marinetti:
sintomatico e il suo articolo intitolato Freghiamoci della
politica scritto per le elezioni del 1913, per le quali Marinetti
elabora invece un programma politico futurista,
una sorta di miscela modernista in salsa nazionalista.
Nello spettro delle motivazioni non si dimentichi che
Palazzeschi non esita a definirsi neutrale anche se poi
sull’ultimo numero della rivista aggiunge dire: «Gridare:
“evviva questa guerra” vuol dire anzitutto: “abbasso
la guerra!”».
Nei mesi dell’alleanza tra papiniani e marinettiani
Lacerba rappresenta il polo principale dell’avanguar-
dismo italiano: il tono cattivo insolente di Papini, che
spara contro tutto e tutti, servendosi anche della parolaccia,
e una indubbia novità nelle battaglie culturali,
notevoli sono le “stroncature” di Italo Tavolato e
i suoi articoli immoralisti che causano al giornale un
processo per oltraggio al pudore (l’avvocato Ulisse
Contri, pubblicherà l’arringa del volume In difesa di
Italo Tavolato, Firenze, Vallecchi, 1914). Su queste colonne
inoltre Soffici si distingue per le riflessioni sul
cubismo ed anche per la rubrichetta arguta Giornale
di bordo. Importanti sono inoltre gli scritti sull’arte di
Carrà e Boccioni, e tutti manifesti di questo fertile periodo
che, assieme alle prime parole in libertà, vedono
la luce proprio sulla testata. Da non sottovalutare è
l’apertura alla cultura europea: qui troviamo illustrazioni
di Archipenko, Larionov, Picasso e collaborazioni
di Theodor Daubler, Paul Fort, Max Jacob, e Apollinaire.
In quest’ultimo Boccioni peraltro polemizza,
ritenendo l’orfismo un’imitazione del futurismo. Il
poeta francese poco dopo tuttavia lancia il manifesto
L’Antitradition futuriste (29 giugno 1913 pubblicato
su Lacerba il 15 settembre 1913), un omaggio al movimento
marinettiano definito qui come «motore di
tutte le tendenze», che termina con due sezioni in
cui getta «merda» a professori, critici e pedagoghi, e
«rose» ai rappresentanti del futurismo, ovvero ai più
bei nomi dell’intelligenza internazionale (Picasso,
Matisse, Duchamp, Stravinskij, Kandinskij Braque,
Cendrars, ecc., accanto ai futuristi).
In questa dimensione internazionale rientra il Manifeste
futuriste contre Montmartre di Félix Mac Delmarle
(10 luglio 1913, su Lacerba il 15 agosto dello stesso
anno. L’autore ha firmato nel marzo dello stesso anno
G. Apollinaire,
L’antitradition
futuriste,
in “Lacerba”
pag. 165
61
il manifesto Le peinture futuriste). Il primo episodio che
sancisce l’alleanza tra milanesi e fiorentini nel corso
del 1913 è la famosa serata al Costanzi di Roma (21
febbraio), durante la quale Papini tiene il discorso
Contro Roma e contro Benedetto Croce, (in volantino, s.d.
, è in fascicolo con il titolo Il discorso di Roma, Edizioni
di Lacerba, 1913). Per avere un’idea dell’invettiva
papiniana basta leggere queste frasi:
Io sono un teppista, è arcivero. Mi è sempre piaciuto rompere le
finestre e i coglioni altrui e vi sono in Italia dei crani illustri che
mostrano ancora le bozze livide delle mie sassate. Non c’è, nel
nostro caro paese di parvenu, abbastanza teppismo intellettuale.
Siamo nelle mani dei borghesi, dei burocrati, degli accademici, di
posapiano, dei piacciconi.
Questo becerismo serve all’oratore per colpire la
capitale papalina, simbolo di passatismo e monumentomania,
è al tempo stesso la filosofia crociana, definita
un « vuoto fasciato di formule».
Il tono battagliero immediato procura il giornale
le simpatie degli ospedali. Più tardi scriverà Antonio
Gramsci: «Prima della guerra i futuristi erano molto
popolari lavoratori. La rivista Lacerba che aveva una
tiratura di 20.000 esemplari, era diffusa per i quattro
quinti tra i lavoratori».
L’anima toscana del foglio è molto diversa da
quella dei milanesi. Si dietro ai marinettiani c’è tutta
l’aggressività rampante d’una borghesia che mitizza
l’industria, dietro ai fiorentini invece si avverte
la presenza di quei valori agrari che sono il prodotto
di una situazione culturale che alle spalle la realtà
della mezzadria. Quegli aspetti manageriali partitici
62
della gestione marinettiana, che Papini scambia per
molti ecclesiastici, non sono altro che mezzi adeguati
per diffondere la cultura della società moderna, per
rendere cioè l’avanguardia di massa. Marinetti intuisce
più dei fiorentini le ragioni storiche dell’organizzazione
massiccia. Papini e Soffici, invece, anche se
spesso colgono nel segno in certe critiche, restano due
intellettuali che credono nella nascita di un cenacolo
selezionato di intelligenti anticonformisti, il loro è il
vecchio italico sogno del gene isolato. Questa posizione
si riflette nel loro interventismo. Papini non esita
a presentarsi come l’«antifilosofo» (termine che stranamente
anticipa la definizione coniata da Tzara) e
presto diviene simbolo del ribellismo culturale per un
discreto numero di giovani intellettuali (con le Edizioni
di Lacerba ristampa nel 1914 Il crepuscolo dei filosofi
del 1906, presentandolo come opera che ha anticipato
il futurismo). Nel passaggio da La Voce a Lacerba veste
i panni dell’estremista, incendiando gli animi di molti
giovani, recitando oltretutto la parte del teppista della
letteratura, del Barabba dell’arte o della apache della
cultura. [...] va detto che di sicuro Papini cerca nel futurismo
la possibilità di allargarsi al di fuori dei confini
angusti provinciali da cui, bene o male, sono l’intraprendente
Marinetti può trascinarlo via.
Soffici è invece dapprima il dandy rimbaudiano
che a Firenze ha diffuso la poesia francese moderna e
l’arte figurativa, da Medardo Rosso a Picasso.
[...] Qui, al di là dello spirito di parte e delle strumentalizzazioni,
Soffici fornisce una seducente teoria
dell’avanguardia: arte come totale libertà, non condizionata
da finalità morali, etiche o religiose, arte come
divertimento, ma non pura casualità, bensì lucida
63
A. Soffici,
Bif& ZF + 18 =
Simultaneità –
Chimismi lirici,
Edizioni Della Voce,
pag. 168
costruzione creativa: «Libertà, nella modernità, nella
fantasia, nella giocosità, nella danzante ironia, nel
rutilante fremito di intuizioni fuggevoli di prodigio:
ecco la struttura mobile e capricciosa della nostra estetica».
Il che denota una certa sintonia col nichilismo
dadaista. In Bif& ZF + 18 = Simultaneità – Chimismi
lirici (Firenze, La Voce, 1915) Soffici offre uno dei più
alti saggi di poesia futurista traversi libri ispirati al simultaneismo
e un paroliberismo dato come alchimia
lirica che giunge la distruzione del senso logico, con
interessantissimi interventi tipografici, quasi dadaisti,
e calligrafi. Forti sono le implicazioni rimbaudiane e
baudelairiane cariche di un certo spleen. [...] Tra le
pagine inoltre si può riscontrare qualche esempio di
poesia astratta cerebralmente persurrealista.
[...] Le Edizioni di Lacerba presentano la prima raccolta
organica di scritti proclami, I manifesti del futurismo,
nel 1914, e l’Almanacco della guerra, nel 1915,
dietro cui c’è il solito gruppo di nomi, si tratta d’una
canzonatura della Kultur tedesca. [...] il libretto è illustrato
con bisogni primitivi di gusto fortemente infantile
di Rosai.
[...] Tra il 1913 e il 1914 è uscito a Firenze Quartiere
latino che raccoglie i nomi di molti collaboratori del foglio
papiniano (Ugo Tommei, Italo Tavolato, Govoni,
Cardile, Sbarbaro, dando anche spazio a Lucini, di cui
è annunciata la ristampa del Verso Libero). La rivista
è, anche per questo motivo, una sorta di Lacerba artisticamente
più cauta, di “destra”: il grande giornale
fiorentino è infatti in piena fase parolibera.
[...] Lacerba ha rappresentato dunque un’epoca: la
sua testata si inserisce sempre più spesso come citazione
(ritagliata o dipinta che sia) in numerose opere
64
di pittori da parte di tutto il mondo, come contrassegno
di modernità (Picasso, Fèrat, Braque, Puni, Popova,
Severini, ecc. Soffici da parte sua disegna le belle
carte usate nella rilegatura editoriale delle tre annate,
e si ha notizia perfino di una copia confezionata con le
carte di Robert Delaunay).
Salaris. Storia del futurismo. 71-79
Il titolo, ideato da Soffici, è tratto da un’opera di
Cecco d’Ascoli, cui è stato tolto l’apostrofo per creare
un neologismo senza preciso significato, che tuttavia
suggerisce l’idea di qualcosa di “lacerante” e “acerbo”
al tempo stesso.
[...] Utilizzò colori e caratteri diversi: dapprima
lettere di tipo etrusco stampate in colore terra rossa,
poi enormi caratteri a bastone stampato in nero,
esattamente uguali a quelli che si potevano vedere
allora sui suoi manifesti affissi per le strade di Firenze
e sulla copertina del suo libro Cubismo Futurismo;
infine caratteri da santino impressi in un rosso vivo
nell’ultimo periodo della rivista, pubblicata negli anni
della guerra. Questi ultimi erano già stati utilizzati da
Boccioni nel 1912. In nero, saranno ripresi ancora da
Carrà nella copertina del suo libro Guerrapittura. La
costante ricerca di un equilibrio e di una chiarezza
strutturale della composizione della pagina esplicita
comunque presso Soffici una scelta stilistica molto
più vicina al cubo-futurismo della sua pittura che al
futurismo più ortodosso di Boccioni e di Carrà. Le
creazioni grafiche dell’artista toscano aprivano allora
una linea espressiva caratterizzata dalla sobrietà e
dalle forti evidenzialità plastica delle componenti
A. Soffici,
testate di “Lacerba”,
pag. 149
65
G. Papini,
Viva il maiale!
in “Lacerba”,
pag. 163
I. Tavolato,
Elogio della
prostituzione,
in “Lacerba”,
pag. 162
tipografiche della pagina.
[...] Il contenuto degli articoli è programmaticamente
provocatorio e antiborghese, tanto da suscitare
reazioni ostili negli ambienti dei benpensanti (Odiatevi
gli uni cogli altri, Viva il maiale!, Chiudiamo le scuole,
di Papini; Elogio della prostituzione di Italo Tavolato).
[...] Soffici crea dapprima una testata color ruggine,
che nella seconda annata sostituisce con una nuova,
dotata di enormi caratteri a bastone; infine, nell’ultimo
periodo, sceglie per il titolo caratteri stampino in
rosso. Per le rilegature del giornale fiorentino l’artista
dipinge carte con decorazioni policrome astratte, non
distanti dai motivi orfismi di Sonia Delaunay.
Presto Lacerba diviene un tal oggetto di culto, per i
bibliofili e per gli stessi futuristi, che negli anni Trenta
il periodico Futurismo ne segnala una collezione rilegata
con carte sofficiane, come se si trattasse di una
vera rarità (Il futurismo in Italia, in Futurismo, 39, 4 giugno
1933). Lacerba ha anche una propria collana, dove
appaiono opere di Soffici e Papini.
Lista. Le livre futuriste. 77
Salaris. La rivoluzione tipografica. 71,72
II rapporto Marinetti - «Lacerba»
Palazzeschi era stato il principale artefice del sodalizio
tra i futuristi marinettiani e gli animatori della
rivista Lacerba [...]
In passato i rapporti tra La voce e i futuristi, in realtà,
non erano stati buoni: nel 1911 Soffici aveva attaccato
pesantemente su questo giornale proprio i pittori
futuristi i quali, capitanati da Marinetti, avevano orga-
66
nizzato in seguito una ‘spedizione punitiva’, culminata
in una rissa al celebre caffè letterario delle Giubbe
Rosse. Marinetti aveva poi diffuso un volantino, intitolato
Schiaffi, pugni e quadri futuristi, in cui veniva descritto
questa curioso episodio di ‘militanza artistica’.
Ma ben presto, Soffici e Papini, stanchi dei rigori
vociani, avevano sentito il bisogno di distaccarsi dalla
testata prezzoliniana, e di fondare una nuova rivista
più libera e più aperta alle questioni artistiche.
Nacque Lacerba, che subito si caratterizzò per una
radicale insofferenza nei confronti della cultura dominante,
finendo così per attirare nella propria orbita
i futuristi. Infatti, attraverso la mediazione palazzeschiana,
Lacerba diventò, dopo i primi numeri, la tribuna
ufficiale del movimento.
[...] Finché il sodalizio tra i due gruppi ebbe vita,
Marinetti mise a disposizione dei lacerbiani i suoi,
rapporti con gli intellettuali italiani e stranieri, nonché
la struttura organizzativa del futurismo e parte della
tiratura di Lacerba fu da lui assorbita e diffusa.
Occorre notare però che Papini e Soffici non entrarono
nel novero degli autori delle Edizioni futuriste di
Poesia, bensì pubblicarono presso la tipografia Valecchi
con Le Edizioni di Lacerba.
Lacerba ebbe un notevole successo di pubblico,
tanto da costituire ben presto un’operazione in attivo.
Sulla sua effettiva tiratura sono state avanzate delle
ipotesi.
[...] Marinetti in una lettera a Mario Carli:
Sono convinto che una volta sparita la censura, si potrebbe superare
la massime tiratura di Lacerba delIe 18.000 copie.
67
[...] In una lettera a Palazzeschi, del 16 maggio 1913,
l’editore Attilio Vallecchi invece accennava a «diecimila
copie»; mentre Papini, in una missiva, inviata
sempre all’autore de L’Incendiario, nello stesso periodo
parlava di ottomila esemplari esauriti del numero di
Lacerba uscito il 1° marzo 1913, contenente il Discorso
di Roma, tenuto dallo stesso Papini nella burrascosa
serata al Teatro Costanzi, in cui lo scrittore per la prima
volta si era schierato ufficialmente dalla parte dei
marinettiani:
Lacerba va a ruba. Grandi discussioni e conversioni. Il n° è piaciuto
molto e delle 8.000 copie ne rimangono poche.
G. Papini,
Contro il futurismo,
in “Lacerba”,
pag. 161
Marinetti acquistava ben tremila copie della tiratura
complessiva, che poi pensava a diffondere. É lo
stesso Papini ad aver accennato a questa cifra in una
lettera al capo futurista, in cui tra l’altro spiegava i motivi
che l’avevano indotto a pubblicare l’articolo Contro
il futurismo, apparentemente ostile al movimento,
ma in realtà redatto proprio allo scopo di suscitare attenzione
attorno alla svolta futurista di Lacerba.
Oggi s’è finito di stampare L. e avrai subito le 3000 copie. Troverai
in principio un articolo mio che ho voluto intitolare Contro il Futurismo.
Non ti spaventare. L’ho fatto apposta per attirare l’attenzione
e la curiosità della gente. È una apologia dei Fut. [...]
Non ti avere a male se ripeto un paio di volte ‘Che non sono futurista’.
È necessario per la tattica.
[...] Sono più che evidenti le aspettative che l’animatore
di Lacerba riponeva negli aiuti anche finanziari
del capo futurista, il quale per altro si prodigava nel
68
procurare abbonamenti. Così scriveva infatti Papini a
Marinetti nella fase di avvio del sodalizio:
Ricevo lettera e abbonamenti. Ringrazio moltissimo te e gli amici.
Ti farò spedire oggi a G.V. le 3000 copie di Lacerba.
Il direttore della testata fiorentina, inoltre, pensava
di avvalersi dell’indirizzario dei futuristi per potere
inviare Lacerba in omaggio, e ne faceva esplicita
richiesta a Marinetti. Tra Firenze e Milano si stabiliva
così un filo diretto: avvenivano scambi di cortesie e di
informazioni. Per esempio, Papini avvertiva preventivamente
Marinetti che su La voce sarebbe apparso
l’intervento in cui Lucini avrebbe spiegato le ragioni
della sua rottura con i futuristi, fornendo molti particolari
sulla vicenda:
Ti spedisco alcune copie di L. coll’articolo di Boccioni. Debbo avvertirti
per debito di amicizia che Lucini ha mandato a Prezzolini
per il n. futurista della V. un lungo artic. (Come ho superato il Fut),
dove, a quanto pare, ci sono pettegolezzi di retroscena, lettere tue,
di Govoni, ecc. - miranti soprattutto a dimostrare le tue pressioni e
negligenze nelle cose dei tuoi amici futuristi.
Le reciproche gentilezze facevano parte dell’intesa:
e del resto Papini diffondeva i manifesti della direzione
futurista, infatti scriveva a Marinetti:
Mandami subito un pacco di manifesti (compresi quelli in francese
sulla pittura) e qualche copia del mio discorso.
I lacerbiani, per altro, erano fermamente intenzionati
a mandare avanti l’alleanza coi futuristi milanesi
anche per motivi non del tutto disinteressati: ai loro
69
I. Tavolato,
Elogio della
prostituzione,
in “Lacerba”,
pag. 162
G. Apollinaire,
L’antitradition
futuriste,
in “Lacerba”
pag. 165
occhi Marinetti era il poeta milionario, che si poteva
permettere il lusso d’una bella sede con dei dipendenti.
[...] Nel giugno del 1913 aveva preso l’avvio il processo
per oltraggio al pudore che portava Lacerba sul
banco degli imputati a causa d’un articolo ritenuto
lesivo della morale (Elogio della prostituzione). Papini
e Marinetti testimoniarono in difesa dell’autore del
brano incriminato: Italo Tavolato, un giovane triestino
che vestiva i panni dell’immolista alla Karl Kraus.
Contemporaneamente Papini veniva denunciato per
vilipendio alla religione, avendo pubblicato sempre
su Lacerba l’editoriale Gesù peccatore. Il vescovo di Firenze
arrivò a proibire la lettura del foglio ai fedeli,
mentre il processo per l’articolo sulla prostituzione diveniva
nella città toscana il fatto del giorno.
Tali episodi si trasformarono di fatto in pubblicità
per il giornale. Nello stesso periodo prendeva corpo la
singolare alleanza tra i futuristi e il poeta Guillaume
Apollinaire, il quale, colto da breve infatuazione per
il movimento marinettiano, volle firmare il manifesto
L’Antitradizione futurista. Questo testa piacque a Soffici,
che così ne parlò in una lettera a Marinetti:
Ho ricevuto e letto con entusiasmo il manifesto di Apollinaire.
Vi dicevo che non bisognava inimicarselo.
Il pittore di Poggio a Caiano era infatti il principale
fautore del sodalizio col poeta francese, mentre Boccioni
non era propenso a stringere trappo i rapporti col
paladino del cubismo e dell’orfismo.
Papini da parte sua approvava il testo, pur trovandovi
dei limiti:
70
Il manifesto nuovo e impreveduto e buonissimo e per quanta non
vi sia gran che di nuovo per chi conosce gli arti, pure sintetizza
bene le vertebre del movimento [...], tra i nomi ce ne sono alcuni
che non conosco affatto altri non mi sembrano, come tu dici, degni
di «rose» ma basta a me di vedermi assieme a molti che adoro ed
ammiro per essere contento.
[...]Nel promuovere l’uscita di questo proclama,
Marinetti aveva pensato certamente all’ipotesi di poter
riunire sotto l’egida del futurismo gli avanguardismi
europei. Apollinaire invece desiderava porsi a sua
volta al centro di una operazione di raccordo, in cui il
futurismo avrebbe dovuto svolgere un ruolo di comprimario
con gli altri movimenti d’avanguardia. Non
esisteva, dunque, unanimità tra i due poeti nell’impostare
i termini dell’alleanza e non a caso il progetto
non andò oltre la stesura del manifesto.
Poco dopo, il 12 dicembre 1913, si teneva la serata
futurista al Teatro Verdi e l’attenzione per il movimento
marinettiano raggiungeva l’acme a Firenze.
Papini informava Marinetti del successo di Lacerba:
A quest’ora devi aver ricevuto già il n°.
Soltanto a Firenze ne abbiamo vendute più di 3000 copie [...].
Martedì esce l’Almanacco. Ti raccomando i Manifesti.
Cosa fai di quello di Palazzeschi?
Ma con il nuovo anno l’intesa tra lacerbiani e marinettiani
andava sgretolandosi, anche a causa di un
sentimento di rivalsa nutrito da «Gian Falco» nei confronti
del poeta-manager di Milano.
[...] vi erano anche altri motivi di scontentezza che
spingevano Papini a prendere le distanze da Marinet-
71
ti: quest’ultimo infatti come editore continuava ad
ignorare i suoi lavori.
[...] Quando, dopo l’estate, si instaurò in Italia il
clima interventista, Papini cominciò subito a rimproverare
a Marinetti e ai suoi intimi sodali un’inerzia in
verità poco futurista:
Quest’inazione futurista fa cattivissima impressione. A Roma socialisti
e nazionalisti hanno saputo fare un po’ di rumore e voi altri
a Milano niente [...]. Il futurismo ha in testa al suo programma
l’adorazione della guerra e ora che la guerra c’è - e quale guerra!
- tu stai zitto e fermo? Non credo che un manifesto mandato privatamente
ai tanti indirizzi che possiedi sarebbe sequestrato. Bada
che si tratta di un momento importantissimo e se il F. è assente c’è
il caso che la guerra ammazzi anche lui.
G. Balla,
Il Vestito
Antineutrale
Manifesto,
pag. 35
[...] La tensione tra lacerbiani e marinettiani anche
in seguito non accennò a diminuire: a fine annata i futuristi
parteciparono alle manifestazioni interventiste
romane, in occasione delle quali Cangiullo indossò il
“vestito antineutrale tricolore”, ideato da Balla, che ai
fiorentini parve una trovata puramente goliardica. In
quel periodo Soffici annunciava a Marinetti:
Lacerba diventa per mia volontà e per quella degli amici di Firenze,
politica [...]. Dopo questo numero Lacerba uscirà settimanalmente
[...] con meno pagine [...], l’editore si trova in una situazione
terribile finanziaria dopo la crisi bancaria che ha dovuto
licenziare molti operai [...]. Le parole in libertà: impossibile questa
volta. Non possiamo comporle ne farle fotografare mancano
gli uomini [...]. Bisogna però che tu e gli amici ci aiutiate per la
pubblicazione ebdomadaria mandando articoli. Articoli cortissimi
[...]. Dì loro che le loro passeranno appena finita la guerra, quando
72
Lac. ritornerà artistico-letteraria.
Invece le collaborazioni dei marinettiani non giunsero
ed i nodi vennero al pettine apertamente con la
pubblicazione sulla rivista fiorentina dell’articolo Futurismo
e Marinettismo (14 febbraio 1915), redatto da
Palazzeschi, Papini e Soffici. In esso, oltre ai tre firmatari,
venivano indicati come autentici futuristi antimarinettiani
anche Carrà, Govoni, Severini, Tavolato
e Pratella, i cui nomi però erano stati inseriti senza il
consenso dei diretti interessati.
Infatti il maestro Pratella si affrettava ad inviare
una lettera di dissociazione, datata 16 febbraio 1915;
che Lacerba riporta nel numero del 28 febbraio. Ma
prima ancora che la smentita fosse pubblicata, Marinetti
aveva scritto al maestro romagnolo queste parole:
Palazzeschi,
Papini, Soffici,
Futurismo
e Marinettismo,
in “Lacerba”,
pag. 164
Tutti proclamano imbecillescamente passatista Lacerba; tutti trovano
che laggiù sono impazziti e seguono ormai l’illustre portinaia
Palazzeschi in quel partito d’invidia, di malafede e di professoralismo
mascherato che si potrebbe chiamare il Portinarismo. Disgusto,
nausea, pietà in tutti, a Milano e a Roma, dove mi recai,
tra Venezia e Verona. Tavolato scriverà una lettera dichiarando che
il futurismo è uno solo, che non vi è marinettismo, che Marinetti
non è un Kaiser ma un semplice organizzatore, che senza organizzazione
e solidarietà non vi è che guazzabuglio balordo, e impotenza
passatista, e che non vuol quindi essere lanciato contra i
veri futuristi.
E in un messaggio successivo, inviato sempre a
Pratella, Marinetti aggiungeva:
Ti ho telegrafato da Genova poiché pensavo alla possibilità lon-
73
tana di una sfida e di un duello, e perciò ti facevo sapere dove
ero, per una eventualità di padrini, ecc. Tutti hanno trovato la tua
lettera degna di te e del sangue romagnolo. Russolo ha scritto pure
una lettera violentissima e decisiva. Settimelli e Corradini hanno
fatto lo stesso. Vedremo se le pubblicheranno.
Ai tre futuristi Lacerba rispose sul numero del 13 marzo
1915 con un articolo intitolato Marinettismo, firmato
da Papini, Soffici e Palazzeschi in cui si leggeva:
In questi ultimi giorni abbiamo ricevuto da alcuni accoliti del
marinettismo, con sfida di pubblicazione, diverse lettere che non
vogliamo né giudicare né pubblicare. Senza nessuna acrimonia né
avversione personale, noi abbiamo voluto nei nostri due articoIi,
chiarire la nostra divergenza teorica e pratica dal marinettismo e
prendere davanti a quello una posizione netta. Ci sembra perciò
che l’unica persona autorizzata a rispondere ai nostri argomenti a
rettificare p combattere le nostre affermazioni dovesse essere il
direttore, di quel movimento, cioè F. T. Marinetti.
Invece Marinetti non si curò di rispondere e Lacerba
andò avanti fino al numero 22 del 22 maggio 1915.
Dopo questo fascicolo la rivista fiorentina sospese
le pubblicazioni. Nell’ultima fase Lacerba, trasformatasi
in settimanale politico, aveva accolto il contributo
dei vociani e in particolare di Prezzolini, che per altro
sul suo giornale si era soffermato più volte sul futurismo,
cercando di attirare in un contrasto polemico
Marinetti, a cui nel 1913 aveva indirizzato una lettera
aperta. Ma il capo futurista, secondo il suo solito modo
di fare, aveva evitato le discussioni.
[...]Marinetti sapeva troppo bene che farsi coinvolgere
in una discussione significava offrire al proprio
74
antagonista della pubblicità. La sua scelta diplomatica
era dunque il silenzio.
Successivamente, sul numero di Lacerba del 15
gennaio 1914, era apparsa sotto il titolo Affari idealisti
una curiosa lettera, evidentemente falsa, indirizzata a
Marinetti e firmata da Prezzolini.
[...]Poco dopo Carrà scriveva a Soffici una lettera
in cui diceva:
Benissimo le Antiprezzoliniane che fate in Lacerba. A essere
giusti con noi stessi Prezzolini meriterebbe ben peggio.
L’episodio rientrava dunque in quel clima di reciproche
punzecchiature che caratterizzava i rapporti tra
vociani e futuristi, ma era anche la spia della rivalità
tra due concezioni di editoria militante, da un lato
concordi nel promuovere una produzione finalizzata
alla diffusione di idee e proposte nuove, ma dall’altro
divergenti sul modo d’intendere l’approccio al mercato:
non si dimentichi che Prezzolini, presidente della
Società Cooperativa della Libreria de La Voce rimproverava
a Marinetti di mandare in omaggio le intere
tirature dei volumi, accusandolo di essere un editore
«disorganizzatore » poiché mostrava di ignorare le leggi
del commercio librario, alle quali invece la collezione
de La Voce scrupolosamente si atteneva.
[...] Ma per ironia della sorte oggi è ben più ricercata
sul mercato un’edizione di Poesia di una pubblicazione
di La Voce!
Salaris. Marinetti Editore. 141-156
Salaris. Storia del futurismo. 8
75
Guerra e dopoguerra
Marinetti, Carrà,
Boccioni, Mazza,
Piatti, Russolo,
Sintesi futurista della
guerra, pag. 36
L’elogio della guerra come farmaco sociale, comune
a tanti intellettuali del momento, trova nell’opera
marinettiana la sua realizzazione più vistosa, il paroliberismo
stesso è nato come mimesi dei rumori e della
scenografia della guerra. L’idea del conflitto non solo
appare al nostro come “igienica”, ma corrisponde quasi
alla legge dell’evoluzione. Al contrario, il pacifismo
risulta come stasi, sintomo di morte. Questi due opposti
fantasmi hanno un ruolo importantissimo nel sistema
mitologico marinettiano.
Verso l’inizio del 1915, inoltre, viene lanciato il teatro
sintetico che assume una funzione centrale nella
battaglia politica a favore della guerra. Politica e spettacolo
si compenetrano.
Già nel settembre del 1914 avvengono manifestazioni
interventiste a Milano, organizzate da Marinetti,
Boccioni, Mazza, Piatti, Russolo, che vengono arrestati.
Il 20 settembre i cinque futuristi, simbolicamente
“dal cellulare di Milano”, lanciano il volantino-affiche
Sintesi futurista della guerra, in cui è raffigurato un grande
cuneo al cui interno vengono collocati i nomi delle
nazioni avverse alla “passatismo” di Austria e Germania,
ovviamente al vertice di questo fronte di sfondamento
c’è il futurismo. L’immagine è simile al Cuneo
che nel 1919 El Lissitskij concepisce nel voler rappresentare
la armata dei rossi che «colpisce l’esercito
bianco». L’idea del Cuneo come simbolo di battaglia
è già apparsa nella firma di Marinetti, vera poesia visiva,
in cui la scritta «FuTurisMarinetti» (si noti che le
iniziali del poeta sono in maiuscolo) compone con le
76
sue lettere un angolo acuto che va a scagliarsi contro
una linea spezzata, composta dalle lettere della parola
“passatismo”.
«Vela Latina»
Verso la metà degli anni dieci il futurismo cominciò
diffondersi dei centri principali (Milano, Firenze
e Roma) alla periferia. A Messina nasce la rivista La
balza (1915) di Giovanni Antonio Di Giacomo, detto
Vann’Antò, Luciano Nicastro, Guglielmo Jannelli,
a Napoli Vela Latina ospita tra il 1915 e il 1916 una
“pagina futurista”, che si distingue per il paroliberismo
più audace. Cangiullo ne è l’animatore. Proprio
su questa testata viene tenuta a battesimo la prima paroliera
ufficialmente riconosciuta, Marietta Angelini,
cameriera di Marinetti, presentata dal gruppo come
l’antiletteraria per eccellenza, in contrapposizione alle
“celebri scrittrici” del periodo (Ada Negri, Neera, Deledda,
ecc.). [...] l’idea di presentare l’Angelini rientra
invece in quella scelta del naif che il gruppo persegue,
presentando, tra l’altro su Vela Latina, quel Pasqualino
13 anni, fratello minore di Cangiullo, poeta parolibero
in erba. La predilezione per le espressioni della creatività
dei ragazzi è una tendenza che rientra nel primitivismo
e nell’anticulturalismo del gruppo.
All’insegna del disprezzo per ogni forma di accademia
si muove con talento spontaneo, partenopeo e
clownesco Francesco Cangiullo, che diventa uno dei
più originali paroleliberi, non disdegnando peraltro di
scrivere, accanto a canzonette popolari, poesie di varia
ispirazione palazzeschiana (Le cocottesce, Napoli, Edi-
F. Cangiullo,
Pasqualino 13 anni,
in “Vela Latina”,
pag. 177
77
zioni giovani, 1912, con prefazione di Palazzeschi).
«L’Italia futurista»
Abbiamo visto come di fronte all’annuncio della
guerra e il cerchio dell’esperienza lacerbiana si sia
chiuso. Ma appena un anno dopo nella città toscana
assistiamo alla nascita di una nuova importante testata
d’avanguardia: L’Italia futurista che viene ad alimentare
il cosiddetto secondo futurismo fiorentino (1 giugno
1916-14 febbraio 1918).
L’intento dei redattori è quello di non dover necessariamente
decorrere bene pennelli di fronte alla
guerra: bisogna esercitare la creatività, usando tutti
i ferri del mestiere, sullo sfondo del conflitto. Occorre
insomma tener fede all’arte in tali frangenti è,
semmai, trarre dall’esperienza bellica l’ispirazione
necessaria per fare un’arte all’altezza dei tempi. Ma
chi sono gli animatori del giornale? Essi si chiamano
Emilio Settimelli, Bruno e Arnaldo Ginnani-Corradini
(che, per differenziarsi assumono rispettivamente il
nome di Bruno Corra e Arnaldo Ginna) Mario Carli,
Remo Chiti. Questi intellettuali si battono da tempo
per un’arte d’eccezione, che non esclude lo strano, il
paradossale, l’eccessivo e il bizzarro, con implicazioni
perfino esoteriche.
L’originalità del punto di vista peraltro emerge in
quel manifesto proto-concettuale su Pesi misure e prezzi
del genio artistico, di cui si è parlato, che fa capolino
nel clima di Lacerba, dove i nuovi venuti così strambi
non sono troppo graditi a Papini il censore.
[...] Il principale obiettivo del gruppo «liberista» è
78
quello di collegare tra loro le arti, in vista proprio del
recupero della creatività come dimensione globale.
[...] Il sodalizio tra i simpatici “folli” e Marinetti avviene
dapprima sulla base degli interessi teatrali, abbiamo
infatti già visto quella decisiva funzione abbiano
avuto Settimelli e Corra nell’elaborazione teorica
e pratica del teatro sintetico. Proprio questo settore
ha molto spazio su L’Italia futurista; infatti qui escono
“sintesi” dei vari Boccioni, Buzzi, Remo Chiti, Alberto
Maurizio, Mina della Pergola, Cangiullo, Volt, Neri
Nannetti, Raffaello Franchi, ecc. Ma i campi l’azione
e di intervento giornale sono molteplici, dallo spettacolo
in senso lato, alla letteratura, dall’arte alla politica.
Nel complesso due sono le anime che si congiungono
in quest’esperienza: quella tecnologico-modernista
dei marinettiani e quella cerebrale-simbolista del nucleo
del giornale, portato a privilegiare una sorta di
prosa poetica d’avanguardia, di tipo astratto-oniricoriflessivo,
con puntate costanti nello “psichico puro”,
nell’assurdo e nell’irreale. I nuovi venuti per tali caratteristiche
occupano un posto particolare non solo
all’interno della storia futurista, ma proprio nell’ambito
della cultura italiana, dunque rappresentano una
corrente post-simbolista e pre-surrealista.
[...] Ciò per cui L’Italia futurista si distingue dalle
comuni riviste dell’epoca è, tra l’altro, l’aspetto grafico,
ricco di audaci spettacolari parole in libertà, di
grande effetto. In questo settore visivo troviamo, accanto
ai personaggi già noti, figure più o meno nuove.
[...] Non mancano donne e giovanissimi, cui è riservato
un’apposita rubrica. La gamma degli interventi
paroliberi che varia, va dal quadretto tipografico piuttosto
descrittivo (vedi Pasqualino 13 anni) al versante
79
P. Buzzi,
Pioggia nel pineto
antidannunziana,
in “L’Italia
Futurista”,
pag. 192
concreto (Piero Gigli, Luciano De Nardis, Cangiullo,
Buzzi, per esempio, Pioggia nel pineto antidannunziana
un componimento fatto di sole virgole). Notevole è
infine l’astrattismo tipografico di Marinetti. Sul côté
fonetico troviamo le prove di Balla (la famosa Treslì
Trelnò), l’«omolingua» di Depero.
[...] Con esiti molto personali invece Corra reinventa
il linguaggio in Browning:
Sì tu violenta detonazione crollo sparire via fuliggine concave sordomute
nero rossastre in chiusezze amare pulsose via retacità nevroroventi
centrocarnate vuotidiozie nucoochiodatamente orbitali
autoassenze vertiginature gioiofollie in sbilichissimi ultraviolettari
su miliaspillori di narcotici stramorcàssami tu acciaiezza.
S. Quasimodo,
Sera d’estate,
in “L’Italia
Futurista”,
pag. 193
Tanti sono gli esempi, tra cui segnavo, non solo titolo
di curiosità o propria dimostrazione dell’espansione
tappeto del futurismo, la presenza paroliera dell’esordiente
Salvatore Quasimodo, autore di una imprevista
Sera d’estate. [...] Chi, oggi, potrebbe davvero attribuire
al poeta del Nobel questo saggio? Il fatto è che per
molti giovani assetati di novità il movimento marinettiano
è stato punto di riferimento d’obbligo e L’Italia
futurista, in questi anni di crescita numerica degli
adepti, è riuscita a raccogliere i contributi più validi di
tutte le contrade d’Italia.
Nell’arco della sua esistenza il giornale diventa
inoltre la tribuna da cui lanciare diversi manifesti. La
linea marinettiana si presa col proclama La nuova religione
morale della velocità (11 marzo 1916), che nel dare
lo sfratto alla vecchia metafisica demistifica il concetto
del sacro, ribaltando nella modernolatria che ha propri
«luoghi abitati dal divino»: stazioni, sale cinematogra-
80
fiche, transatlantici, ecc.
Accanto all’ortodossia marinettiana ha modo di dar
frutto l’eterodossia latente del nucleo che ha in mano
la testata, sul cui secondo numero appare uno dei più
inquietanti manifesti del periodo: La scienza futurista
di Corra, Ginna, Chiti, Settimelli, Carli, Oscar Mara,
Vieri Nannetti. Il che equivale ad una dichiarazione
di poetica collettiva: il rifiuto della conoscenza tradizionale
si accompagna ad una attenzione per quella
«quella zona meno scandagliata della nostra realtà che
comprende i fenomeni del medianismo, dello psichismo,
della rabdomanzia, della divinazione, della telepatia».
Quest’anima esoterica, che sta alla base del
pre-surrealismo del gruppo, è vivacemente attratta da
tutto ciò che è abnorme. L’eclettismo che la caratterizza
si riflette peraltro nel ventaglio degli interessi, che
comprende perfino il cinema.
[...] La testata fu anche da sfondo alla Manifesto
della danza futurista di Marinetti (8 luglio 1917) come
la descrizione di tre danze ispirate ai meccanismi da
guerra: lo shrapnel, la mitragliatrice e l’aeroplano. Il
capo del movimento suggerisce una gestualità meccanica,
antiromantica, «disarmonica, sgarbata, antigraziosa,
asimmetrica, sintetica, dinamica, parlolibera».
Il conflitto ha un grande spazio sul periodico, ispirando
non solo complimenti creativi ma numerosi articoli
prettamente politici. Non mancano i manifesti
legati direttamente all’argomento come Moltiplichiamo
i sardi: primo materiale di guerra di Pasquale Marica
(1 novembre 1916).
[...] Il giornale promuove inoltre un’attività editoriale:
i cosiddetti «Libri di valore», termine che rinvia
alla concezione critica maturata dal gruppo, legata ad
F. T. Marinetti,
Manifesto della
danza futurista,
in “L’Italia
Futurista”,
pag. 194
L. Labozzetta,
Trincea,
in “L’Italia
Futurista”,
pag. 196
81
un criterio di misurazione oggettivo-scientifica della
creatività. La collana, diretta dalla “musa inquietante”
Maria Ginnani (che si chiama Maria Crisi ed è moglie
di Ginna), annovera sette titoli in tutto; di essi i primi
sei escono nel 1917 e in ultimo appartiene al 1918. Si
tratta di disegni di lusso, con copertina di cartoncino,
affidate alla generalità delle illustrazioni quasi dalle
dadaiste e surrealiste di Ginna. I volumi si aprono con
una foto dell’autore. Nel complesso l’iniziativa mantiene
una certa indipendenza dai canoni dell’ortodossia
paroliera marinettiana, per lo più presentando testi
ispirati alla poetica del nucleo fiorentino.
Salaris. Storia del futurismo. 79-97
«Roma futurista»
Il manifesto che annuncia la fondazione della nuova
organizzazione politica futurista appare per la prima
volta sull’ultimo numero di L’Italia futurista nel
febbraio del 1918 è nel settembre dello stesso anno
sul primo numero della nascente Roma futurista, rivista
che, ritorno dalla testata fiorentina il ruolo di giornale-pilota
del movimento, finisce col rappresentare
in pieno la fase in cui il futurismo naviga tra le sempre
più agitate complesse correnti politiche del dopoguerra.
Il manifesto, anticlericale e antimonarchico, è il risultato
dell’incontro tra il “messianismo” marinettiano,
trasportato dal cielo dell’arte al terreno delle cose
pratiche, e fermenti di varia provenienza, anarchici,
nazionalistici, riformisti.
[...] Sono questi termini della cosiddetta “democrazia
futurista”, con cui il movimento marinettiano si
82
rinnova nel momento della riconversione dal tempo di
guerra al tempo di pace, spostando così la battaglia sul
fronte “interno” contro ex neutralisti, socialisti, borghesia
parassitaria, pescecani, e via dicendo, con una
violenza che aumenta dal momento in cui la vittoria si
profila come “mutilata”.
[...] Questi spunti, arricchiti di un evidente componente
mazziniana, patriottico-repubblicana, si riflettono
nei dibattiti di Roma futurista. Proprio questo
giornale fa da sfondo al sodalizio tra futuristi e arditi,
i militari dei reparti d’assalto sorti durante la guerra
per risolvere situazioni di, noti come “fegatacci” pronti
a tutto, non troppo rispettosi delle gelatine e delle
discipline, sulle cui imprese all’epoca e nascondere
proprio mito.
[...] L’operazione passa oltre che su Roma futurista
– che per tutta una prima fase la tribuna dell’arditismo
– su vari giornali, tutti stampati a Milano: L’Ardito
di Ferruccio Vecchi e Carli, La testa di ferro, “rivista
del fiumanesimo” diretta da Carli, e I nemici d’Italia
di Mazza.
[...] La seconda manovra tentata su Roma futurista,
certo meno eclatante di quella che riguarda gli arditi,
ma da non sottovalutare, è costituita dall’apertura alle
donne, potenziali alleate d’un disegno politico che
viene ad inglobare i remi del voto e dell’emancipazione
femminile. E sulla testata uomini e donne riflettono
sul contributo femminile nelle opere assistenziali
del tempo di guerra, sul ruolo della donna nella società,
nella politica nel lavoro. Un ardito arriva perfino
a lanciare un appello alle donne, esortandole partecipare
alla ricostruzione del dopoguerra: non poche
futuriste rispondono (da Fulvia Giuliani, vecchia co-
83
84
noscenza di L’italia futurista, a Futurluce, ovvero Elda
Norchi, Anna Q. Bonfadini, ecc.) e qualcuno propone
l’organizzazione d’un fascio di Ardite! Il clima è rivoluzionario,
dal dibattito sono perlopiù esclusi privato,
la psicologia, mentre molto si parla di obiettivi giuridico-economici.
Con rigor giacobino nello stesso periodo
Marinetti arriva a formulare nel manifesto Contro il
lusso femminile (11 febbraio 1920) un insieme di leggi
suntuarie futuriste contro le vanità della moda esterofila.
E sempre dalle colonne nel giornale al capo del
futurismo fa eco Volt, ma con spirito leggero divertito,
nel bizzarro Manifesto della moda femminile futurista
che propone di ripassare il corpo della donna in base
all’estetica fantasiosa, colorata, asimmetrica, polimaterica
della creatività futurista. Viva la donna-scultura, la
femmina-opera d’arte! Sintomaticamente il processo
di riconversione dall’impegno al disimpegno che, è
causato dalla delusione politica, si riflette ovviamente
su Roma futurista che registra il polso della situazione.
Questa è in sintesi la sua storia. Il giornale vive una
prima fase tutta politica (20 settembre 1918-dicembre
1919) sotto la direzione di Giuseppe Bottai, affiancato
da Enrico Rocca e Guido Calderini; vi lavorano Piero
Bolzon, Ferruccio Vecchi, Volt, Mario Scaparro ecc.
Proprio nel periodo elettorale Bottai affronta più volte
il tema “futurismo contro socialismo”.
[...] Solo dopo il fallimento elettorale si comincia
sbriciolare il fronte politico e il giornale ritorna col
vento in poppa sul terreno dell’arte fino alla chiusura
(gennaio-maggio 1920): i pittori Balla e Gino Calli
vengono a dirigere la testata mentre Bottai se ne va.
In un periodo improvviso è annunciato con un Programma
a sorpresa: la rivista torna agli antichi amori
giudicando non piacevole la partecipazione alla battaglia
elettorale conclusasi con l’insuccesso. Gli ultimi
numeri di Roma futurista, testata nata per ragioni politiche
e dunque piena di appelli, dibattiti e proclami,
improvvisamente si riempiono di disegni, tavole paroliere,
parole in libertà e testi creativi.
Salaris. Storia del futurismo. 113-116
Anni Venti
La guerra crea un solco nella storia del movimento:
la spinta propulsiva degli esordi infatti rallenta. Un
ciclo si conclude, tutto sembra ricominciare su altre
basi, vengono nuove generazioni, nuove situazioni. È
questo il tempo del “secondo futurismo”.
L’ufficialità è rappresentata nel decennio da Il futurismo,
la «rivista sintetica illustrata» che esce sporadicamente,
dapprima a Milano (dal 1922 al 1924 fino
al n. 9), poi a Roma, mantenendo quello stesso formato
dei volantini, ai quali si sostituisce: qui appunto
escono i principali manifesti. Ad essa si affianca Noi,
seconda serie (Roma, 1923-25), la prampoliniana «rivista
d’arte futurista » in carta patinata, dalle notevoli
aperture internazionali, che rappresenta la linea vincente
in seno al movimento: quella che punta a farsi
riconoscere come tendenza esclusivamente artistica.
Salaris. Storia del futurismo. 126,127
Per il loro impegno politico di vecchia data i futuristi
hanno ritenuto di poter interpretare l’anima
originaria del fascismo, quella “rivoluzionaria”, a cui
85
86
continuamente si richiamano negli anni della “normalizzazione”
con toni di effettiva nostalgia. Infatti,
Marinetti, abbandonata definitivamente l’idea d’una
politica in proprio, si limita a recitare la parte del “precursore”,
al tempo stesso però cerca di far guadagnare
al proprio movimento uno “status” ufficiale, ribadendo
costantemente che il futurismo è l’unica corrente
che abbia tutte le carte in regola per rappresentare
l’arte del fascismo. Questo programma, tuttavia, non
riuscirà ad ottenere il sostegno del potere politico, e
ciò procurerà un continuo senso di frustrazione nelle
file futuriste.
[...] Anche per quanto riguarda la cultura popolare,
i futuristi ritengono di poter fornire proposte appropriate,
essendo animati dal desiderio di configurarsi
appunto come i costruttori di un’ “avanguardia di
massa”, Marinetti infatti ora tende a presentare i suoi
artisti come specialisti e tecnici della comunicazione
estetica allargata, in tutti i campi, dalle arti maggiori
alle arti applicate, dalla propaganda al costume, ecc.
[...] Si verifica così una sostanziale revisione del
futurismo, che passa dalla contestazione globale a
un obiettivo ben più limitato, la difesa sindacale
dell‘avanguardia e la conquista di uno spazio. Nella
prima metà degli anni Venti, dal punto di vista ideologico,
si assiste ad uno spostamento di rotta che rovescia
la visione “totalitaria” dell’anteguerra: Marinetti,
deluso dalla politica, dapprima si pronuncia a favore
del primato assoluto dell’arte, arrivando a formulare
l’ipotesi utopistica, e del tutto metastorica e metaforica,
degli artisti al potere.
[...] L’avvenimento che nella storia del futurismo
segna il momento del riavvicinamento al fascismo è
la pubblicazione del manifesto I diritti artistici propugnati
dai futuristi italiani, proprio sul primo numero de
L’impero, nel 1923; in Noi, I, aprile 1923. Si tratta d’una
articolata piattaforma di rivendicazioni corporative,
che il gruppo di Marinetti, ripresentatosi compatto
dopo un lungo silenzio, indirizza al “governo fascista”.
Salaris. Artecrazia. 2-7
F. T. Marinetti,
I diritti artistici
propugnati dai
futuristi italiani-
Manifesto al
governo fascista,
in “Noi”,
pag. 212
[...] Nel decennio venti-trenta pullula una miriade
di situazioni provinciali e di piccoli centri, ruotanti
attorno a riviste e rivistine locali; si tratta dell’aspetto
capillare, diffuso del corpo del futurismo.
[...] Questa avanguardia disseminata dalla Sicilia
alle Alpi, spesso si annida in zone arretrate, dove il
verbo marinettiamo è visto come un miraggio, una novità,
o forse una “moda” al pari degli altri ingredienti
tipici di questi anni folli.
Salaris. Storia del futurismo. 126,127
«Dinamo»
Rivista mensile pubblicata a Roma nel 1919. Sulla
copertina del primo numero, uscito nel febbraio 1919,
compare il sottotitolo “Rivista futurista”. La sede della
direzione è inizialmente in via Conte Verde 15, a
Roma; l’amministrazione invece risulta presso l’Impresa
Editoriale Ugoletti in via Condotti 21, dove, dal
maggio 1919, sarà situata anche la direzione. A partire
dal sesto numero direzione e amministrazione saranno
trasferite entrambe in via Venezia 18. Complessivamente
escono sette numeri, l’ultimo dei quali riporta
la data settembre/ottobre 1919; il sesto e il settimo fa-
87
88
scicolo sono doppi. Ogni numero è costituito da una
trentina di pagine di 25 cm ed ha un costo di 50 centesimi.
La direzione del periodico è affidata ad Emilio
Settimelli, Mario Carli e Remo Chiti. Dal numero
4 del maggio 1919 essi saranno sostituiti da Filippo
Tommaso Marinetti. La maggior parte dei collaboratori
(Bruno Corra, Mario Dessy, Volt, Crescenzo Fornari,
Enrico Rocca, Pietro Pupino Carbonelli, Giuseppe
Bottai, Paolo Buzzi, Luciano Folgore, Francesco Cangiullo,
Fulvia Giuliani, Mina Della Pergola, Dinamo
Correnti, Jamar 14) proviene dal gruppo di Roma futurista,
il “giornale del Partito politico futurista” (divenuto
poi “settimanale del Movimento futurista) nato
nel settembre del 1918, prima della fine della guerra,
per iniziativa degli stessi Marinetti, Carli e Settimelli,
e che accompagna, non solo cronologicamente, la trasformazione
del Futurismo da movimento in partito.
Fin dall’editoriale del primo numero Dinamo (o La
Dinamo, come talora si definisce la rivista) desidera
sottolineare la differenza dagli altri giornali che, pur
dichiarandosi futuristi, non furono in grado di seguire
coerentemente la pratica avanguardistica. «La Dinamo
sarà l’organo intransigente del movimento futurista
artistico e del partito politico futurista». È evidente
da queste prime dichiarazioni la netta presa di posizione
del periodico e il desiderio di riaffermare prepotentemente
l’esistenza di un futurismo unico, quello
marinettiano. È forte inoltre la polemica nei confronti
di quegli artisti che, pur provenendo da una militanza
futurista, se ne sono poi distaccati per andare ad ingrossare
le fila dei cosiddetti “passatisti”.
La posizione del gruppo di “Dinamo” è coerente
con l’atteggiamento abitualmente assunto da Mari-
netti e risponde all’esigenza di un richiamo all’ordine
e della ripresa dell’egemonia del movimento, in
seguito allo sfaldamento del futurismo causato dalla
crisi bellica. Dinamo non affronta mai apertamente
le questioni politiche, ma resta legato ad un orizzonte
strettamente artistico: molti sono i testi creativi, le
parole in libertà, le sintesi teatrali. Frequentemente
le pagine del periodico ospitano illustrazioni, disegni,
riproduzioni. Largo spazio è dedicato anche a riquadri
pubblicitari di mostre o pubblicazioni futuriste (una
lunga recensione è dedicata a Crepapelle di Luciano
Folgore); in particolare vengono messi in risalto i titoli
dell’editore Ugoletti che, oltre a Dinamo stampava anche
Roma futurista e Cronache d’attualità.
L’unica rubrica presente nella rivista è denominata
“Caffè-Concerto”; essa ha inizio col numero 4 e contiene
cronache artistiche e teatrali.
I testi teorici costituiscono una minoranza: nel
numero di maggio appare L’arte dei rumori di Luigi
Russolo, e in quello successivo troviamo l’articolo dal
titolo Architettura futurista in cui Virgilio Marchi accosta
l’architettura alla genialità, all’ispirazione. Tra i
manifesti vengono riproposti La declamazione dinamica
e sinottica di Marinetti e il Teatro futurista sintetico di
Marinetti, Settimelli e Corra. Vi sono inoltre altri interventi,
meno noti ma che vale la pena segnalare. Il
primo numero ospita, ad esempio, l’ultimo scritto inedito
di Umberto Boccioni dedicato a Virgilio Funi, definito
“uno dei migliori campioni della giovane pittura
italiana”. Sul numero 5 troviamo invece un curioso intervento
di Marinetti (Il proletariato dei geniali) il quale
propone che in ogni città venga costruito un palazzo,
denominato “Mostra libera dell’ingegno creatore”,
L. Russolo,
L’ Arte dei Rumori,
in “Dinamo”,
pag. 225
F. T. Marinetti,
La declamazione
dinamica
e sinottica,
in “Dinamo”,
pag. 224
F. T. Marinetti,
Teatro futurista
sintetico,
in “Dinamo”,
pag. 224
89
F. T. Marinetti,
Il proletariato
dei geniali,
in “Dinamo”,
pag. 223
Anonimo,
Caffè-Concerto,
in “Dinamo”,
pag. 225
dove possa venir valorizzata tutta la schiera di uomini
geniali, troppo spesso “derisi, svalutati, imprigionati”.
Nel sesto numero Mario Carli propone un articolo
in cui manifesta tutto il suo disprezzo per gli artisti cosiddetti
“puri”: gli apatici, i contemplativi, gli statici, i
sofistici; e sottolinea il fatto che i futuristi non concepiscono
altra opera d’arte se non quella che “scaturisce
fulmineamente dall’urto brutale con la vita”.
Dinamo, pur volendo riportare nell’alveo del futurismo
i vari sperimentalismi, non giunge quasi mai
a scontri aperti. Tuttavia, un accenno di polemica è
rintracciabile nell’articolo di Gino Soggetti (n.3, aprile
1919), il quale si schiera contro le neo-nata Ronda,
definendola «un’infelice creatura di cervelli pecorili
non più giovani, uno scatto a vuoto nel campo dell’arte
moderna». Violento e privo di mediazioni è invece
l’attacco nei confronti del dadaismo: nella rubrica
Caffè-Concerto del sesto fascicolo il movimento artistico
fondato da Tristan Tzara è paragonato a «roba di
seconda mano», «una specie di infantilismo e di balbettamento,
che puzza alquanto di tedescheria».
La rivista sospenderà le pubblicazioni prima delle
elezioni e verrà sostituita dalla serie artistica di Roma
futurista.
Pur essendo di durata limitata, Dinamo rappresenta
un’esperienza interessante poiché contribuisce a
mostrare con chiarezza i fili che componevano la variegata
trama dello sperimentalismo nella Roma tra la
prima guerra mondiale e la fine degli anni Venti. Essa
mette in luce il groviglio di inquietudini e di nuove ricerche
che ha attraversato il Futurismo nel dopoguerra,
e rende evidenti le soluzioni e gli atteggiamenti
adottati dal gruppo per tentare di risolvere i problemi
90
dell’avanguardia marinettiana.
CIRCE. Catalogo informatico riviste culturali europee
Movimento e giornali a Gorizia
Questa volta i segnali partivano da Gorizia, e Fiume,
crogiuolo di tutte le irrequietezze per la cui causa
il Futurismo si batteva e si agitava con vigore, stava sullo
sfondo. A onor del vero l’avventura di D’Annunzio
non era ancora in corso quando Roma futurista, organo
del Partito politico futurista, ospitava nel suo numero
15/16 del 13/20 aprile 1919 una lettera di adesione al
movimento e al partito di Sofronio Pocarini, giornalista
e poeta del capoluogo isontino. Sul medesimo
periodico, di cui era condirettore il goriziano Enrico
Rocca, il 19 ottobre 1919, e quindi dopo l’occupazione
di Fiume da parte dei legionari dannunziani avvenuta
il 12 settembre, Pocarini annunciava, assieme all’architetto
Mario Mirko Vucetich, la nascita a Gorizia
della Sezione del Movimento futurista per la Venezia
Giulia. Nella città del Carnaro, proprio nell’ottobre
del 1919, Pocarini aveva consumato una breve ma intensa
esperienza giornalistica, cogliendo l’opportunità
di respirare l’aria eccitata delle primissime sperimentazioni
politiche e culturali della ‘città di vita” dannunziana.
Pocarini, del resto, aveva già organizzato a
Gorizia, nella primavera del’ 19, un gruppo yoga di “ ...
irruenti e arditi futuristi goriziani”. Egli insomma non
era estraneo alle grandi tensioni del momento, sia sul
piano politico che su quello culturale, e spesso in quei
frangenti era l’attrazione per la battaglia politica a su-
91
92
scitare l’interesse per l’impegno culturale. I fermenti
fiumani, che nel corso del 1920 trovavano espressione,
tra gli altri, nei periodici La testa di ferro, fondato e diretto
dal futurista Mario Carli, e Yoga, con l’iscrizione
in testata Yoga unione di spiriti liberi tendente alla
perfezione, creato e guidato dal legionario futur-ardito
Guido Keller assieme a Giovanni Comisso, costituivano
quindi uno strato influente, ancorché indiretto, sulle
vicende dell’avanguardia e del Futurismo giuliano
e perciò della sua produzione editoriale, quantomeno
sino alla fine del 1924.
Nel 1921 il giovanissimo udinese profugo di guerra
a Milano con la famiglia, Michele Leskovic (più tardi
noto con il nome d’arte Escodamè) sottoscriveva nella
capitale lombarda, assieme a tali Roberto Clerici e
Pietro Albrighi, il manifesto futurista Svegliatevi, Studenti
d’Italia! che prupugnava, tra l’altro, l’abolizione
dell’insegnante, nell’interesse della libertà cerebrale
dello studioso”. Il provocatorio ed entusiasmante
messaggio sortiva i suoi effetti anche a Trieste, ove
due giovanissimi studenti di scuola media superiore,
Umberto Martelli e Bruno Giordano Sanzin, fondavano
nel dicembre 1922 il Gruppo Futurista Studentesco,
annunciandone la nascita su Gaudeamus igitur,
settimanale studentesco della Venezia Giulia, su cui
Sanzin reggeva la rubrica Futurismo, comprendente
una pagina del periodico, che dava informazioni
sull’attività del movimento a livello nazionale ed internazionale,
nonchè pubblicava brani tratti da opere
teatrali di autori futuristi.
«L’Aurora»
Il periodico, pur qualificandosi come organo del
movimento futurista giuliano, rivela lo sforzo di comporre
in una sola testata tendenze diverse, momentaneamente
riferibili al futurismo italiano, ma di certo
non tutte allineate con l’ortodossia marinettiana, nè
sul versante politico nè su quello artistico e paroliberistico.
Basta scorrere la rivista per notare la convivenza
delle composizioni parolibere di Sanzin con quelle
semi-futuriste o espressioniste di Pocarini e Tummolo
e con gli sperimentalismi di Dolfi e Jablowsky, e ancora
con i colti interventi culturali del trinomio di Epeo,
che si occupa anche della recensione di libri e riviste
d’avanguardia di tutto Europa, rivelando vocazioni ed
interessi raramente riscontrabili nei più giovani protagonisti
dei futurismi regionali italiani.
Pocarini dosava con equilibrio la presenza dei grandi
nomi del Futurismo nazionale, garantendo sempre
la prevalenza degli autori locali, vuoi nella componente
marinettiana ortodossa facente capo a Sanzin vuoi
in quella “sperimentale” e di più ampie visioni degli
epeiani, con a capo il “genio” Carmelich. L’Aurora
peraltro suscitava interesse, e qualche riserva, quanto
meno in due personaggi di livello europea e internazionale
come Depero e Prampolini; il 10 aprile 1924 il
primo scriveva infatti a Sonzin «Ho ricevuto vostra la
rivista L’Aurora, cambiate il titolo, non va. Bella internamente
- originali le xilografie di Carmelich. Vi abbraccio
Vostro Depero»; il 18 luglio dello stesso anno
Prampolini scriveva a Sanzin:
G. Carmelich,
Xilografie,
in “L’ Aurora”,
pag. 230, 231
[...] Ho visto il n. 7 di Aurora, vedo sempre una grande reclame
93
intorno a Depero, ma niente intorno a me che produco futuristicamente
più di tutti, in occasione della mia esposizione a Vienna settembre
Pocarini potrebbe fare un N. unico dedicato alla mia opera
con vostri artisti e altri celebri futuristi. Desidererei anche una tua
lirica in libertà intorno alla mia opera. Scrivi, io acquisterei un centinaio
di copie a prezzo di vendita. Vi invierò delle segnalazioni.
Scrivi a Pocarini. Con affetto Prampolini.
L’istanza di Prampolini sortiva i suoi effetti e il numero
10 dell’ottobre 1924 (l’ultimo che risulta pubblicato)
veniva dedicato tutto a Prampolini con testi di
Vasari, Gori, Furlani, Mix, Carmelich, Pocarini e dello
stesso Prampolini. Per ironia della sorte non compariva
Sanzin, che pure aveva perorato la causa del numero-omaggio
a Prampolini; egli infatti aveva rotto i
rapporti con il gruppo e in particolare con Pocarini a
seguito di una feroce beffa giocatagli da quest’ultimo
con la stampa a proprio nome, quale Edizione del movimento
futurista giuliano , Trieste, del volumetto Un
buon parolibero e un verseggiatore mancato, che contiene
in realtà esclusivamente tavole parolibere e versi di
Sanzin con una prefazione e una postfazione ai versi,
queste sì di Pocarini, fortemente ironiche e assai pesanti
sul collega triestino, che si vedeva così “bruciati”
i materiali paroliberi di un suo annunciato prossimo
volume dal titolo Guerra al passato. L’Aurora cessava
di esistere dopo esser uscita con 11 numeri (a quanto
consta dalle indicazioni in testata, ma se ne conoscono
7 e dopo aver segnato il momento più felice e più alto
raggiunto dall’avanguardia giuliana raccolta sotto l’insegna
del Futurismo.
94
«25»
L’esito del Primo congresso futurista di Milano
(23-25 novembre 1924) era devastante per l’unità dei
giuliani: Jablowsky, che del congresso era uno dei responsabili
organizzativi, abbandonava il Futurismo.
Carmelich e Dolfi orientavano i loro interessi di ricerca
verso il Costruttivismo e, assieme all’amico, ricomponevano
la triade di Epeo e davano vita a Trieste, nel
gennaio 1925, ad una rivista significativamente intitolata
25, sintesi pubblicitaria dell’arte contemporanea.
Il primo numero consiste in una cartolina a tre ante
di formata cm. 9x14. L’impianto grafico, naturalmente
elaborato da Carmelich, è di chiara ascendenza cubocostruttivista
e quello tipografico richiama immediatamente
le esperienze del Bauhaus e quelle raccolte nel
Die Neue Typographie di Tschicold (che peraltro sarebbe
stato pubblicato appena nel1928, quindi tre anni
più tardi) e, ancor più da vicino, quelle della contemporanea
Elementare Typographie, la nuova scuola russa
che si rifaceva ai valori dei suprematisti russi, attingendo
però a tutto campo alle fonti delle più avanzate
avanguardie europee.
Nella primavera del 1925 compariva il secondo
numero, che si qualificava Rivista trimestrale; questa
volta la forma è quella di un normale periodico, misura
infatti cm. 23x 18 e consta di 12 pagine.
I testi sono della solita triade, ma anche di Pocarini,
Zaratin e, ciò che più conta e colpisce di Max Jacob;
diretto quindi, e autorevole, il richiamo all’avanguardia
europea.
Non si conoscono altri numeri di 25, che tuttavia
rappresenta un’esperienza avanzatissima e per certi
95
aspetti unica nel panorama dell’avanguardia italiana.
Baratti, De Grassi, Scudiero. Parole in libertà : libri e riviste
del futurismo nelle Tre Venezie. 28-36
Anni Trenta
Nelle arti del decennio il futurismo va sfumando
quel toni trasgressivi che tanto scandalo hanno in passato
suscitato; con l’aeropittura si recupera appunto
un certo figurativismo e, sempre in fase di normalizzazione,
si arriva a concepire perfino un arte sacra, in
poesia tornano senso e sintassi, mentre l’ architettura
diventa «arte trainante» sulle maggiori testate. Gli
interessi architettonici, in grande espansione, sono il
riflesso d‘un atteggiamento nuovo di fronte alle cose:
non più la forza dell’utopia che distrugge il passato,
disprezza il presente ed ha lo sguardo rivolto al futuro,
bensì l’immersione nell’oggi, l’attuazione della
progettualità futurista.
Alla fase della scandalo subentrano la conquista
del museo, la progettazione della Città nuova, non più
futuribile, ma da realizzare. Questo «presentismo» si
riscontra pure nei manifesti che non hanna più implicazioni
palingenetiche ma si riferiscono piuttosto a
settori particolari, investendo spesso la vita quotidiana,
le arti applicate (dalla cucina alla plastica murale,
dalla cravatta al cappello, dalla fotografia alla radio,
dalla pubblicità al cinema, alla ceramica. Tutto diviene
«aereo» in virtù del mito aviatorio, che peraltro cela
un’aspirazione alla «leggerezza», ma anche alla fuga
verso chissà quali cosmici approdi: aeropoesia, aero-
96
pittura, aeroplastica, aeromusica, aerodanza, aeroarchitettura,
ecc., ecc. Questo desiderio d’un «altrove»
rappresenta una tendenza opposta a quella del presentismo,
ma in fondo complementare.
Marinetti funge da capo carismatico ed affida al
luogotenente Mino Somenzi il compito di garantire
un’ufficialità futurista attraverso una serie di testate,
Futurismo, Sant’Elia, Artecrazia, che nel tempo organizzano
il movimento come un vero e proprio partito
di artisti.
Fillia con le sue riviste rappresenta invece un volto
del futurismo più aperto alle esperienze estere, una
tendenza dunque meno autarchica. Tra queste due
linee principali si collocano altre situazioni minori,
che tentano di navigare controcorrente, mettendo in
discussione la centralità rappresentata dalla gestione
Somenzi, apparentemente avallata da Marinetti.
[...] Con l’omaggio a Sant’Elia i futuristi intendono
attribuire all’architetto comasco tutti i meriti dell’edilizia
moderna ed anche la paternità del razionalismo.
[...] Nel 1932 esce a Torino La città nuova, «quindicinale
di artevita» di Fillia, che ha periodicità irregolare
(vi collaborano Pagano, Levi-Montalcini).
Salaris. Storia del futurismo. 190-192
Depero futurista
Da un lato l’adesione di Depero al Futurismo non
fu incondizionata. Ad esempio assunse fin dal principio
una posizione critica nei confronti della volontà
di Boccioni di “rifare la storia”. Fu invece molto più
vicino alle concezioni del suo maestro Balla, conside-
97
98
randolo il pioniere di una ricerca approfondita sulla
genesi e la struttura funzionale della forma. Tale ricerca
verrà poi portata avanti da Depero in maniera molto
discreta all’interno del gruppo futurista, individuando
e chiarendo analiticamente la relazione tra Futurismo
e altre correnti artistiche che non fossero (ovviamente)
il Cubismo, in particolare il Dadaismo di Marcel
Duchamp.
Nel 1927 pubblica il suo famoso Depero Futurista
altrimenti noto come “libro bullonato”. Il volume di
Depero, come è ormai noto, oltre che essere impresso
in formato anomalo (cioè in ottavo oblungo) è infatti
tenuto assieme da due grossi bulloni con relativo
dado. Ma la fama che già allora il libro si guadagnò
presso tutti gli ambienti culturali, anche e soprattutto
extra-futuristi (Kurt Schwitters ne era rimasto affascinato,
come scrisse a Depero, e ne custodiva una copia
nella sua biblioteca che mostrava spesso ad amici e
colleghi), era dovuta non soltanto all’originale legatura
meccanica (ideata da Azari, l’editore del volume che
però si compone e si stampa a Rovereto) quanto dalla
nuova, globale, impostazione editoriale concepita da
Depero. Non solo, quindi, operazione di confezionamento,
di facciata esterna, quanto piuttosto autentica
rivoluzione tipo-grafica nella composizione della pagina.
Alto, basso, ortogonalità, corpo, carattere, carta:
tutto viene sovvertito e piegato ai desideri dell’artista.
I testi, di conseguenza, viaggiano in diagonale, oppure
non vengono più composti per colonne ma assumono
le forme più bizzarre (da quelle alfabetiche a quelle
geometriche). Per poterli leggere consecutivamente
il lettore è a volte direttamente, se non fisicamente,
coinvolto (suo malgrado). Infatti, il senso della lettura
assume spesso senso rotatorio e così tutto il libro deve
essere ruotato seguendo apposite istruzioni e frecce
direzionali poste a corredo. La carta cambia continuamente
di spessore ed anche di colore: grezza, poti nata,
fine, grossa, trasparente; di colore bianco, giallo, verde,
azzurro. Inoltre, a causa della sua originale quanto ingombrante
legatura, il libro diviene quasi incollocabile
in libreria fianco a fianco con quelli “normali”, con il
rischio di graffiarli od ammaccarli con i bulloni.
Insomma libro ed allo stesso tempo oggetto, primo
di una lunga serie cui si dedicarono poi molti artisti
non solo futuristi. Ma, dal punto di vista del prodotto,
dove finisca il libro e dove inizi l’oggetto è francamente
difficile dirlo.
Nel 1933 Depero si impegna a fondo nel suo nuovo
progetto, la rivista Dinamo Futurista. Ne usciranno
solo 5 numeri, di cui uno triplo dedicato a Boccioni,
ma l’operazione di Depero sarà comunque di grande
supporto all’attività dei gruppi futuristi del Veneto a
cui dà grande spazio. Il formato è l’infolio grande (sul
tipo dell’odierno tabloid), la grafica e l’impaginazione
sono, come sempre, vivaci sebbene meno sperimentali
delle opere precedenti. L’anno seguente, nel
1934, Depero concluderà il ciclo più felice delle sue
proposte editoriali con le Liriche radiofoniche, che esce
a Milano presso Morreale. Questo ennesimo libro di
Depero vede, ovviamente, il suo precedente teorico
nel manifesto di Marinetti.
Baratti, De Grassi, Scudiero. Parole in libertà : libri e riviste
del futurismo nelle Tre Venezie. 44-47
99
«Futurismo»
Nel maggio del 932 esce a Roma Futurismo, «quindicinale
dell’artecrazia italiana» di Mino Somenzi. Il
giornale, nonostante i periodi di sospensione, riesce
a garantire una certa continuità, divenendo l’organo
di stampa più importante del futurismo.(Cambierà la
testata prima in Sant’Elia, poi in Artecrazia). La linea
somenziana tende ad affermare l’identità ideale che
lega futurismo e fascismo, tentando di rappresentare
il movimento come massimo interprete artistico dello
spirito sansepolcrista. La rivista vuole far passare
l’idea d’un’avanguardia di massa, agendo allo scopo
come un organo di partito: interessante è per esempio
l’«aeropostale futurista» di Brunas (Bruna Somenzi),
una piccola posta che funge da raccordo tra molteplici
gruppi locali, spesso spontanei e singole persone.
[...] L’allargamento del numero dei seguaci comporta
necessariamente una certa elasticità nell’accogliere
opere da pubblicarne deriva una linea non sempre
coerente. Nel complesso, Somenzi assume il ruolo
della «buona coscienza» del regime e da posizioni puriste
non esita a denunciare certe iniziative dell’establishment
fascista.
[...] Il giornale dà notevole spazio alla Mostra della
rivoluzione fascista (Roma, 1932-33), valutando gli allestimenti
(a partire dalla facciata rifatta da De Renzi
e Libera sul vecchio Palazzo delle Esposizioni) come
obiettivamente influenzati da Sant’Elia. La grande
rassegna pone il problema della fruizione politicopropagandistica
dell’arte e quindi del ruolo dell’arte
di stato, che ai futuristi oggi appare come illegittimo
100
approdo del rifiuto dell’«arte per l’arte». E certamente
negli allestimenti si riscontra una certa influenza
dell’arte di propaganda russa o tedesca (molte sono le
ispirazioni costruttiviste e frequente è l’uso del fotomontaggio,
come si può constatare dal volume uscito
nel 1933 a cura del Pnf).
Dopo che La città nuova di Fillia chiude i battenti
(1933) su Futurismo aumenta l’interesse per l’architettura
(vi collaborano Sartoris, Levi-Montalcini, Fillia e
Giuseppe Pensabene, che da difensore del razionalismo
in seguito si trasformerà in nemico dell’ arte moderna).
Nel 1933 a Futurismo si affianca il giornale di turismo,
arte e architettura La terra dei vivi di Fillia (pubblicato
dalla Casa d’arte di La Spezia durante la preparazione
del premio di pittura Golfo della Spezia),
che manifesta una particolare attenzione per il problema
dell’estetica del paesaggio. Il giornale di Somenzi
ospita poi le polemiche sul concorso per la stazione
nuova di Firenze. Il progetto di Angiolo Mazzoni, cui
dapprima è stato affidato l’incarico, ha suscitato infatti
aspre critiche, e così è stata indetta una gara. Contro
il Mazzoni, difeso da Ugo Ojetti, si schiera Marinetti
che fa parte della commissione. II premio viene dato
al gruppo toscano capitanato da Giovanni Michelucci.
Con uno stupefacente voltafaccia, poco dopo la testata
di Somenzi cambia opinione: dopo avere sposato la
causa del gruppo vincente dà il via ad un processo di
rivalutazione di Mazzoni il quale, sorprendendo tutti,
e suscitando non poche perplessità nelle file marinettiane,
si dichiara ben presto futurista.
Verso la fine del 1933 Futurismo è impegnato a creare
attenzione per la Prima mostra nazionale futurista
101
che a Roma raduna un grandissimo numero di espositori.
È evidente dai nomi il grande ricambio generazionale.
«Sant’Elia»
Dal luglio all’ottobre del 1933 l’ultima pagina di
Futurismo reca la testata di Sant’Elia, che diventa il
titolo della nuova pubblicazione di Somenzi in autunno.
Il periodico vuol essere l’«organo del nuovo movimento
italiano Sant’Elia». Futurismo diventa la testata
dell’ultima pagina. Alla direzione troviamo anche
Mazzoni, dal primo numero del 1934. Nell’editoriale
d’apertura Somenzi sostiene che il giornale intende
non solo contrastare le «molte influenze nordiche,
moderne o pseudomoderne, che tentano pregiudicare
lo sviluppo naturalmente antinordico della nascente
architettura fascista», ma anche «coordinare le nascenti
volontà fasciste contro l’invadenza di “stili” che
non corrispondono alle esigenze liriche imposte dal
clima dal temperamento della tradizionale gloria artistica
della nostra razza». Si parla inoltre di «architettura
mussoliniana» e non più di «architettura futurista»:
la via dell’autarchia culturale è ampiamente praticata,
contro le tentazioni razionaliste dei torinesi.
Il giornale dà risalto ad alcuni temi: l’analisi del
moderno come prodotto del genio di Sant’Elia, la critica
del razionalismo come neoaccademia, la presentazione
di materiali italiani per l’edilizia, e perfino l’architettura
aerea (vedi il Manifesto dell’architettura aerea
di Marinetti, Somenzi e Mazzoni - 10 febbraio 1934,
nella pagina di Aerovita) in cui viene immaginata una
102
«città unica a linee continue da ammirare in volo»,
con «edifici in forma di sfera, cono, piramide, prisma».
Somenzi, Spiridigliozzi e Prampolini realizzeranno
sul tema dei progetti. La ricerca d’uno stile fascista
eclettico, non rigorosamente d’avanguardia, ed anche
la presenza moderata del Mazzoni finiscono per creare
dello scontento nelle schiere marinettiane. Nel corso
del 1934 i torinesi non appaiono più sul giornale,
che nell’ottobre di quest’anno abbandona il nome di
Sant’Elia per nascere come Artecrazia (il titolo era già
apparso come nome di un supplemento di Futurismo).
Appare chiaro che Somenzi intende presentarsi come
l’esponente d’avanguardia più vicino al regime, in
qualche modo più adatto di Marinetti stesso a guidare
un movimento per l’architettura moderna.
«Stile futurista»
Nel 1934 riprende La città nuova di Fillia, che porta
avanti il colloquio coi razionalisti e dà spazio all’architettura
degli interni.
[…] Nel 1935 fonda Stile Futurista, che dirige con
Prampolini, dove affronta il rapporto pittura-architettura.
Qui esce l’articolo-manifesto Plastica murale, di
Fillia, che prelude al recupero del “soggetto”, ispirato
alla realtà dell’epoca. Proprio a Genova, sempre nel
1934 si tiene la prima mostra di plastica murale (con
catalogo pubblicato da Stile futurista).
[…] Tra il 1934 e il 1935 Stile futurista affronta il
tema singolare del naturismo, che comporta la ricerca
d’una nuova architettura nell’ambito dell’equilibrio
tra spazio edificato e spazio verde.
103
A Torino Fillia lancia il giornale La forza (1935), a
Roma esce Il nuovo di Ginna (1934): entrambi parlano
di naturismo.
[…] Nel 1934 Marinetti e Ginna in occasione del primo
congresso naturista-futurista, tenutosi a Milano,
hanno lanciato un manifesto in cui tra l’altro si condanna
il nudismo perché poco eroico, troppo pacifista
e antivirale (eppure una volta Marinetti sognava un
mondo di uomini nudi, liberi dai vestiti “passatisti”,
con piazze e strade “termosifonate” d’inverno.
[…] Non è escluso che Marinetti cerchi con questa
dimostrazione di sopravvivere nel regime, mentre in
Germania già infuria la lotta contro l’arte moderna.
«Artecrazia»
Artecrazia domina la situazione nella seconda metà
del decennio. Il gruppo torinese si disperde dopo la
morte di Fillia, avvenuta nel ‘36. Il giornale di Somenzi
dà spazio a temi quali la difesa dalle incursioni aeree,
l’urbanistica coloniale e l’autarchia edilizia, con
impronta tutta mussoliniana; ma a parte ciò riesce ad
assicurare a Marinetti la difesa del futurismo e dell’arte
moderna in occasione del tentativo reazionario di
trasferire in Italia l’operazione “arte degenerata”, di
marca nazista, con tutte le sue implicazioni razziali.
Dopo questo episodio la testata viene prima sequestrata
e poi soppressa nel 1939. Per ricostruire sia pure
sommariamente i fatti, occorre tornare un po’ indietro
nel tempo.
Un primo segno di attrito tra l’avanguardia italiana
e la politica culturale del nazismo si è manifestato in
104
occasione della mostra di aeropittura a Berlino (1934).
Già si sta esprimendo l’intolleranza nazista nei confronti
della cultura moderna […] l’arte d’avanguardia
è vista come degenerazione ed espressione di corruzione
e decadenza […] si individua la pericolosità politica
insita nel concetto stesso d’avanguardia artistica.
[…] Somenzi, ebreo e intellettuale d’avanguardia,
si è buttato nella mischia dando battaglia col suo giornale.
Il culmine dello scontro è raggiunto nei due ultimi
numeri (tra il dicembre 1938 e il gennaio successivo).
Somenzi parla di speculazione nata da interessi di
parte e i suoi toni sono espliciti e violenti.
[…] Nell’ultimo numero giungono i primi stralci
d’una azione plebiscitaria in favore dell’arte moderna.
[…] L’equivoco d’un fascismo rivoluzionario è
pure alla base della difesa di Marinetti, tutto teso a
saldare la frattura che vuole allontanarlo dall’orbita
del regime. Il fascicolo riporta inoltre un elenco
di nomi, compilato da Marinetti, Sartoris e Terragni,
che non rientrano nelle coordinate del bolscevismo e
dell’ebraismo. Difesa diplomatica, questa, che tuttavia
non salva il giornale dal sequestro.
Salaris. Storia del futurismo. 193-203
105
Epilogo
La storia del movimento volge al termine sullo
sfondo del secondo conflitto mondiale il futurismo segue
il fascismo sino all’utimo atto. Marinetti, vantando
di essere uno specialista nella descrizione poetica
della guerra, tende a presentarsi ora come un «Omero
meccanizzato». Al nuovo clima instaurato egli dedica
i suoi interventi (dal Manifesto dell’aeropittura dei bombardamenti,
in Il giornale d’Italia, 4 dicembre 1940 al
Manifesto dell’aeropittura maringuerra, febbraio 1941).
[...] Si conclude nei primi anni Quaranta la vicenda
umana di Marinetti, condotto dalle scelte politiche su
un fronte opposto a quello su cui si sono trovati tutti
gli avanguardisti europei. In proposito vale la pena di
ricordare una frase di Louis Mandin, tratta da Les Marges,
che il capo del futurismo riporta nel «collaudare»
il libro di Bellanova:
Mallarmé è il nonno dei dadaisti divenuti surrealisti Aragon e Breton.
Marinetti è il loro padre. Essi hanno rubato a Marinetti tutto:
pantaloni, calze, tic nervosi. Marinetti tuonò manifesti incendiari;
essi pure. Marinetti si fingeva Rabelais; essi pure. Marinetti abusava
della parola di Cambronne; essi pure. Le parole in libertà futuriste
furono la prima manifestazione dadaista e sfido chiunque
a negarlo. Marinetti domandava il diritto all’incoscienza in poesia;
essi pure. Se fossero andati in guerra anch’ essi non si potrebbe
distinguerli dal loro padre.
C’è da aggiungere però a queste affermazioni che
mentre il dadaismo trova terreno fertile nel pacifismo,
e il surrealismo congiunge il pensiero di Freud al
106
marxismo, il marinettismo, invece, affonda le proprie
radici nell’irrazionalismo, tanto nella fase del superomismo
aggressivo che in quella sentimentale-mistica
degli ultimissimi anni. Ma l’elemento di fondo che
divide il futurismo dalle correnti dell’avanguardia è
proprio la politica; il dadaismo, il surrealismo e il futurismo
praticano una rivolta del desiderio che postula
il recupero della creatività da parte di tutti; in ciò i tre
movimenti sono anarchici allo stesso modo. Ma in Marinetti
è presente la componente nazionalista, per la
quale egli ha ceduto sul terreno delle libertà, ponendo
sempre e dovunque il patriottismo al primo posto.
Salaris. Storia del futurismo. 243-250
107
Sezione due
Barattin, Dino; De Grassi, Marino; Scudiero, Maurizio. 1992.
Parole in libertà: libri e riviste del futurismo nelle Tre Venezie.
Monfalcone : Edizioni della Laguna.
Bartram, Alan. 2006. Futurist Typography and the Liberated Text.
New Haven: Yale University Press.
Cammarota, Domenico. 2006. Futurismo: bibliografia di 500 scrittori
italiani. Rovereto: Mart; Milano: Skira.
C.I.R.C.E. Catalogo informatico riviste culturali europee. - Catalogo
Informatico delle Riviste Futuriste. www.circe.lett.unitn.it
Godoli, Ezio. 2001. Il dizionario del futurismo. Firenze: Vallecchi.
Lista, Giovanni. 1984. Le livre futuriste. Modena: Panini.
1
137
Corrado Govoni,
Afa, anno V, 1909
Sem Benelli,
Apparizione dell’idea,
anno I, 1905
Alfred Jarry,
Le Fouzi-Yama: (Poème en prose),
anno I, 1905
Jean Cocteau,
Tes yeux, anno IV, 1908
138
Filippo Tommaso Marinetti,
A Gustav Kahn, anno I, 1905,
disegno di Enrico Sacchetti
Filippo Tommaso Marinetti,
A Madame Ada Negri, anno II, 1906,
disegno di Enrico Sacchetti
Sem Benelli,
Giovanni pascoli, anno I, 1905,
disegno di Enrico Sacchetti
ÉmileBernard,
A Marinetti, anno IV, 1908,
disegno di Romolo Romani
139
Sem Benelli,
Concorso di poesia, anno V, 1909
Filippo Tommaso Marinetti,
Concorso di Poesia,
anno I, 1905
Filippo Tommaso Marinetti,
Il grande concorso di Poesia, anno I, 1905
Marinetti, Benelli, Ponti,
Inchiesta internazionale di Poesia sul Verso
Libero, anno I, 1905
140
Manca,
Le Futurisme dans la caricature italienne,
anno V, 1909
141
Filippo Tommaso Marinetti,
Fondazione e Manifesto del Futurismo,
anno V, 1909
142
Filippo Tommaso Marinetti,
Tuons le clair de lune,
anno V, 1909
143
Filippo Tommaso Marinetti,
Uccidiamo il chiaro di luna!,
Edizioni di “Poesia”, 1911
Filippo Tommaso Marinetti,
Les mots en liberté futuristes,
Edizioni di “Poesia”, 1919
144
3
149
150
Giovanni Papini, Introibo, primo editoriale
di Lacerba anno I, n. 1, 1° gennaio 1913
Filippo Tommaso Marinetti,
Ponte, anno II, n. 1, 1° gennaio1914
151
152
Guglielmo Jannelli, Messina, anno II, n. 4,
15 febbraio 1914
Francesco Cangiullo, Fumatori: Parole
in libertà, anno II, n. 1, 1° gennaio 1914
153
Francesco Cangiullo, Serata in onore
di Yvonne - Quattro tavole, anno II, n. 12,
15 giugno 1914
154
155
156
157
Carlo Carrà, Cd’hArcOUrtFÉ, anno II,
n. 13, 1° luglio 1914
158
159
160
Ardengo Soffici, Al buffet della Stazione,
anno II, n. 15, 1° agosto 1914
Giovanni Papini,
Contro il futurismo,
anno I, n. 6, 15 marzo 1913
Filippo Tommaso Marinetti,
Programma Politico Futurista,
anno I, n. 20, 15 ottobre 1913
161
Italo Tavolato,
Elogio dellaprostituzione,
anno I, n. 9, 1° maggio 1913
Giovanni Papini,
Il cerchio si chiude,
anno II, n. 4, 15 febbraio 1914
162
Umberto Boccioni,
Il cerchio non si chiude,
anno II, n. 5, 1° marzo 1914
Giovanni Papini,
Viva il Maiale!,
anno II, n. 10, 15 maggio 1914
163
Palazzeschi, Papini, Soffici,
Futurismo e Marinettismo,
anno III, n. 7, 14 febbraio 1915
Giovanni Papini, Abbiamo vinto!,
anno III, n. 22, 22 maggio 1915
164
Guillaume Apollinaire, L’antitradizione
futurista - Manifesto, Anno I, n. 8,
15 settembre 1913
165
Filippo Tommaso
Marinetti,
Dopo il verso libero
le parole in libertà -
Manifesto,
anno I, n. 22,
15 novembre 1913
Aldo Palazzeschi,
Il controdolore -
Manifesto,
anno II, n. 2,
15 gennaio 1914
Filippo Tommaso
Marinetti,
Le immagini senza
fili e le parole in
libertà - Manifesto,
anno I, n. 12,
15 giugno 1913
Carlo Carrà,
La pittura
dei suoni, rumori,
odori. Manifesto
futurista, Anno I,
n. 17, 1° settembre
1913
Filippo Tommaso
Marinetti,
Lo splendore
geometrico
e meccanico nelle
parole in libertà -
Manifesto
anno II , n. 6,
15 marzo 1914
Antonio Sant’Elia,
L’architettura
futurista: Manifesto,
anno II, n. 15,
1° agosto 1914
166
167
Ardengo Soffici,
Bif& ZF + 18 = Simultaneità – Chimismi
lirici, Edizioni Della Voce,
Frontespizio,1915
Ardengo Soffici,
Bif& ZF + 18 = Simultaneità – Chimismi
lirici,Edizioni Della Voce,
Tavola Parolibera, 1915
168
13
171
Jannelli, Nicastro, Vann’Antò,
Il teatro sintetico futurista, anno I,
aprile 1915
Jannelli, Nicastro, Vann’Antò,
Boccioni; Russolo; I futuristi a San
Francisco; Nella esposizione d’arte
infantile; I pugilati della quindicina,
anno I, aprile 1915
172
Francesco Cangiullo,
Canzone pirotecnica,
anno I, aprile 1915
173
Filippo Tommaso Marinetti,
Antineutralità: Sintesi teatrale,
anno I, aprile 1915
Filippo Tommaso Marinetti,
La guerra elettrica: (Visione-ipotesi)
anno I, aprile 1915
174
Enrico Prampolini,
Scenografia futurista-Manifesto
anno I, maggio 1915
175
15
Jannelli, Paqualino,
Parole in libertà,
anno IV, 4 marzo 1916
179
Cangiullo, Buzzi, Nicastro, Jannelli,
Parole in libertà,
anno IV, 15 gennaio 1916
180
Marinetti, Mazza, Pratella, Buzzi,
Cangiullo, Parole in libertà, anno III,
28 ottobre - 3 novembre 1915
181
Francesco Cangiullo,
Pasqualino,
anno IV, 26 febbraio 1916
182
Francesco Cangiullo,
La prima poetessa parolibera: Marietta Angelini,
anno IV, 12 febbraio 1916
183
Marinetti, Settimelli, Corra,
Il teatro sintetico futurista-Manifesto,
anno III, 23-31 dicembre 1915
184
Umberto Boccioni,
Manifesto futurista di Boccioni ai pittori meridionali,
anno IV, 5 febbraio 1916
185
Marinetti, Boccioni, Russolo, Sant’Elia, Sironi, Piatti,
L’orgoglio italiano-Manifesto futurista,
anno IV, 15 gennaio 1916
186
16
191
Paolo Buzzi,
Pioggia nel pineto antidannunziana,
1916, tav. 6
192
Salvatore Quasimodo,
Sera d’estate,
1917, tav. 8
193
194
195
Leoluca Labozzetta,
Trincea, 1917, tav. 1
Paolo Buzzi,
Canzone dei Bersaglieri, 1917, tav. 10
196
Jamar 14,
Alla contessa Maria Ginanni dopo la lettura
delle Montagne trasparenti,
1917, tav. 9
Francesco Cangiullo,
Balie, 4 novembre 1917, n. 32
Lucio Venna,
Sintesi di città,1917, tav. 13
197
Ginna, Settimelli,
Testata del 12 agosto 1917
Corra, Settimelli,
Testata del 1° dicembre 1916
198
22
201
202
Julius Evola,
L’arte come libertà e come egoismo,
anno IV, gennaio 1920
Gino Severini,
La pittura d’avanguardia,
anno II, febbraio 1918
203
Enrico Prampolini,
Bombardiamo le accademie ultimo
residuo pacifista,
anno II, febbraio 1918
204
Filippo De Pisis,
Il futurismo e l’arte contemporanea,
anno I, 1923
Virgilio Marchi,
Artefici futuristi,
anno I,1923
205
Enrico Prampolini,
L’atmosfera scenica futurista,
anno I, 1924
Gino Gori,
Teatro e scenografia in Italia,
anno I, 1924
206
Antonio Angermayer,
Il teatro espressionista e le sue tendenze
artistiche, anno I, 1924
Filippo Tommaso Marinetti,
Bollettino futurista,
anno I, 1924
207
Filippo Tommaso Marinetti,
Santa Unica torturata da Santa Velocità
e da Santa Simultaneità: Parole in libertà,
anno I, 1923
208
Vinicio Paladini,
Estetica meccanica,
anno I, 1923
Nelson Morpurgo,
Parole in libertà,
anno I, 1923
209
Francesco Cangiullo,
Poesia Pentagrammata,
anno I, 1923
Franco Casavola,
Piedigrotta,
anno I, 1923
210
Fernand Léger,
Natura morta,
anno I, 1923
De pistoris,
Ritratto: Costruzione spaziale,
anno I, 1923
211
Prampolini, Pannaggi, Paladini,
L’arte meccanica-Manifesto futurista,
anno I, 1923
Filippo Tommaso Marinetti,
I diritti artistici propugnati dai futuristi
italiani-Manifesto al governo fascista,
anno I, 1923
212
Filippo Tommaso Marinetti,
Le futurisme mondial: Manifest à Paris,
anno I, 1924
Filippo Tommaso Marinetti,
Dopo il teatro sintetico e il teatro
a sorpresa, noi inventiamo il teatro
antipsicologico astratto, di puri elementi
e il teatro tattile, anno I, 1924
213
25
217
Maino,
Musica Passatista,
Anno III, n. 84-85,
16 maggio 1920
Verderame,
Ballerini,
Anno III, n. 65,
11 gennaio 1920
218
27
221
Franco Bernini,
Aerofrescura: (Parole in libertà),
anno I, n. 3, aprile 1919
Francesco Cangiullo, Pasqualino,
Ritratto parolibero di Marinetti,
anno I, n. 4, maggio 1919
222
Filippo Tommaso Marinetti,
Il proletariato dei geniali,
anno I, n. 5, giugno 1919
Giacomo Balla,
Autoritratto; Primavera,
anno I, n. 5, giugno 1919
223
Filippo Tommaso Marinetti,
La declamazione dinamica e sinottica:
Manifesto futurista, anno I, n. 1,
febbraio 1919
Marinetti, Corra, Settimelli,
Teatro futurista: Manifesto,
anno I, n. 2, marzo 1919
224
Luigi Russolo,
L’arte dei rumori: Nuova voluttà acustica,
anno I, n. 4, maggio 1919
Anonimo,
Caffè-Concerto,
anno I, n. 6, luglio/agosto 1919
225
226
Giacomo Balla,
studi del 1913 per le testate
delle riviste “Dinamo”
e “Dinamica”
65
229
Giorgio Carmelich,
Ilustrazioni ne “L’ Aurora”,
marzo 1923-1924
230
231
Giorgio Carmelich,
Intestazione di carte da lettere
per “L’ Aurora”, 1923
232
78
113
Mino Somenzi,
Testata n. 8, anno I,
28 ottobre 1932
Mino Somenzi,
Testata n. 29, anno II
26 marzo 1933
239
118
245
Fortunato Depero,
Editoriale: Ringrazio,
anno I, n. 1,
febbraio 1933
Fortunato Depero,
Grafica pubblicitaria
Istituto di Credito
Fondiario,
anno I, n. 1,
febbraio 1933
Fortunato Depero,
Senza titolo,
pagina di chiusura
del fascicolo
anno I, n. 1,
febbraio 1933
246
Fortunato Depero,
ABC del futurismo,
anno I, n. 1,
febbraio 1933
247
Fortunato Depero,
Editoriale: Aver fede,
anno I, n. 2, marzo 1933
Fortunato Depero,
Grafiche pubblicitarie Radi; Komarek,
anno I, n. 2, marzo 1933
Fortunato Depero,
Grafica pubblicitaria
Veramon-Schering,
anno 1, n. 2, marzo 1933
248
Fortunato Depero,
ABC del futurismo: Pittura futurista;
Musica futurista; Architettura futurista,
anno I, n. 2, marzo 1933
249
Giovanni Gerbino,
Poesia pubblicitaria: Manifesto futurista,
anno I, n. 2, marzo 1933
Filippo Tommaso Marinetti,
Ritratto olfattivo di una donna,
anno I, n. 2, marzo 1933
250
Fortunato Depero,
Onoranze a Umberto Boccioni,
anno I, n. 3-4-5, giugno 1933
Massimo Bontempelli,
L’impegno prodigioso
di Boccioni,
anno I, n. 3-4-5, giugno 1933
251
Fortunato Depero,
Grafica pubblicitaria, Cordial Campari
anno I, n. 1, febbraio 1933
252
125
133
261
134
TESTATE FUTURISTE
266
267
268
269
270
271
272
273
BIBLIOGRAFIA
Barattin, Dino; De Grassi, Marino; Scudiero, Maurizio. 1992.
Parole in libertà: libri e riviste del futurismo nelle Tre Venezie.
Monfalcone : Edizioni della Laguna.
Baroni, Giorgio. 2005. Il Futurismo sulla rampa di lancio. «Poesia»,
1905-2005, Atti del convegno internazionale. Milano: Università Cattolica
del Sacro Cuore.
Bartram, Alan. 2006. Futurist Typography and the Liberated Text.
New Haven: Yale University Press.
Bonito Oliva, Achille. 2009. Futurismo Manifesto 100x100, 100 anni
per 100 manifesti. Electa.
Bove, Giovanni. 2009. Scrivere futurista: la rivoluzione tipografica
tra scrittura e immagine. Roma : Nuova cultura.
Cammarota, Domenico. 2006. Futurismo: bibliografia di 500 scrittori
italiani. Rovereto: Mart; Milano: Skira.
Fanelli, Giovanni. 1988. Il futurismo e la grafica. Milano: Edizioni
di Comunità.
Godoli, Ezio. 2001. Il dizionario del futurismo. Firenze: Vallecchi.
Lista, Giovanni. 1984. Le livre futuriste. Modena: Panini.
Salaris, Claudia. 1980. Marinetti editore. Bologna: il Mulino.
Salaris, Claudia. 1985. Storia del futurismo: libri, giornali, manifesti.
Roma: Editori riuniti.
Salaris, Claudia. 1992. Artecrazia: L’avanguardia futurista negli anni
del fascismo. Firenze: La Nuova Italia.
Salaris, Claudia. 2001. La rivoluzione tipografica. Introduzione
di Claudia Salaris. Milano, Edizioni: Sylvestre Bonnard.
SITOGRAFIA
C.I.R.C.E. Catalogo informatico riviste culturali europee. - Catalogo
Informatico delle Riviste Futuriste. www.circe.lett.unitn.it
275
Università degli Studi di Venezia
Facoltà di Design e Arti
CdL in Comunicazioni Visive e Multimediali
Laboratorio di design della comunicazione 1
docenti: Sonnoli, Toneguzzi, Bisiani
progetto di Rita Petrilli e Graziana Saccente
1