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La piccola gente

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ARTICOLO

Nel segno di una tradizione pittorica

N

ell’arco delle feste di fine d’anno, nella sala Laurana del Palazzo Ducale di Pesaro, espone

Giuseppe Ballarini. È la terza mostra che organizza a Pesaro. La prima, all’inizio degli anni

settanta, passò inosservata; la seconda nel 1971 non fece vendere al pittore nessun quadro, ma gli

valse il riconoscimento e la stima di Alessandro Gallucci; questa terza, dopo aver ottenuto successi a

Bologna e a Roma, dovrebbe far conoscere a Pesaro un suo autentico pittore, per altro già noto alla

critica più attenta.

Giuseppe Ballarini, cinquant’anni portati bene, una folta barba brizzolata, su di un viso aperto e

cordiale, ha l’atelier nella soffitta della sua casa in via Manzoni. Sono andato a curiosare per vedere

come vive.

La sua casa è un tipico esempio di quelle costruzioni che, non più di mezzo secolo fa, erano il

suburbio della città, a ridosso delle mura roveresche, fuori Porta Fano. Erano case cittadine, ma

con le finestre spalancate sui campi e sugli orti. Proprio un orto racchiuso dalle mura di cinta, illumina

la casa del pittore ed è ricco di ligustri ed allori. Vicino ad una fontana arcaica un giuggiolo

prepotente trama il breve orizzonte chiuso dalle nuove costruzioni della città in espansione.

Ballarini mi apre la parte più recondita della sua casa.

Nell’atelier il solito quadro incompiuto sul cavalletto riempie la stanza.

Una presenza che qualifica un modo di sentire, e apre interessanti illuminazioni sulla pittura del

Ballarini, è la sua biblioteca con cataloghi d’arte e libri di poesia (Hoffman, Lorca, Pascoli) e la raccolta

di dischi, soprattutto musica sinfonica e da camera.

Guardo in anteprima le tele pronte per la mostra.

Sono tre anni di lavoro, di difficile ricerca sperimentale. Si vede subito la vocazione alla pittura,

non certo un’evasione da tempo libero. E poi il mestiere, nel disegno soprattutto, essenziale, pulito,

immediato. Si osservi la vecchietta in ciabatte, che torna dalla messa con le scarpe buone in mano,

per non consumarle.

Una linea armonica riesce a creare un’atmosfera spirituale, un mondo di poche cose con una

dignità e al di sopra di tutto una poetica sottile, crepuscolare.

La pittura di Ballarini è una poesia crepuscolare, sfumata nei colori spenti della sua tavolozza.

Ho pensato a Marino Moretti delle “Poesie scritte col lapis”. La sottile tristezza dei pomeriggi

domenicali nell’autunno piovoso, la quiete apparente di certe piazze di paese con la porta aperta

dell’unico caffè, la silenziosa presenza di spalle di due fanciulli seduti su un muro, l’interno di una

stanza con una donna in attesa, sono atmosfere crepuscolari visualizzate nella pittura di Ballarini,

con un segno preciso e con colori di sfumate tonalità.

Ballarini ama le cose semplici della periferia e i personaggi che vivono in essa carichi di umanità,

che a volte è dolore, altre permettono divagazioni ironiche, altre ancora una sfuggente notazione

poetica. La pittura di Ballarini raccoglie queste impressioni e le rielabora in immagini esemplari per

nitore di forma ed essenzialità di colore. Nel fondo poi traspare evidente la partecipazione umana

dell’artista attento a questa realtà che lo circonda per trasferirla nel magico mondo dell’arte.

È chiaro che la pittura di Ballarini non è improvvisazione di facili annotazioni bozzettistiche, ma è

il risultato di un’appassionata ricerca e in controluce rivela una tradizione culturale di tutto

rispetto, come può essere la scuola pesarese del novecento, ancora in grande parte da scoprire e

da studiare. Le ascendenze di Ballarini sono evidenti sia nella tecnica che nel vigore morale della

ispirazione. Si è già detto dell’amicizia di Alessandro Gallucci, che vede in Ballarini un autentico

pittore e annota in una lettera-presentazione come la “sua dote predominante è la sobrietà sia

disegnatoria che pittorica”. Queste affermazioni di un maestro schivo come Gallucci sono qualcosa

di più di un semplice riconoscimento di circostanza, ma avvallano in un discepolato ideale la

continuità di una scuola, che annovera Gallucci tra i suoi autori più espressivi.

Nel filone del novecento pesarese incontriamo altri nomi a cui la pittura di Ballarini può essere

ricondotta più che per esaltanti derivazioni, per lo spirito che la informa. Penso in particolare a

certi olii di Francesco Carnevali intorno agli anni venti, alcuni paesaggi della periferia pesarese, le

marine con le barche in secca, le processioni, i ritratti di una umanità sofferente, quelli dei propri

cari. Anche Ballarini si richiama a quel mondo e la sensibilità di interpretazione è la stessa. È in

questa continuità di una tradizione qualificata nella tecnica e ancor più nel rigore interiore della

ispirazione che la pittura di Giuseppe Ballarini è degna di rispetto e di ammirazione e trova un

suo spazio di autentica, indimenticabile poesia.

Periodico “Il Marchigiano” Dicembre 1974 Nando Cecini

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