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La piccola gente

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PRESENTAZIONE IN CATALOGO

Il cammino silenzioso di un “vero pittore”

I

l destino d’artista di Giuseppe Ballarini è stato segnato da sempre. Da quando, come racconta,

nella penuria del tempo di guerra strappava vecchie lenzuola o cercava pezzi di legno per

procurarsi supporti al suo dipingere di ragazzo. I materiali cromatici li recuperava sottraendo

barattolini di smalto per la verniciatura delle moto al meccanico del paese (Montecchio, dove era

nato nel 1926). Per i neri grumosi e assai poco stabili, ricorreva al bitume non ancora solidificato

nell’asfaltatura delle strade. Divideva questa passione pittorica con il fratello Mario, immaturamente

scomparso, per il quale nutriva un grande affetto e meritata stima.

Suona singolare, dunque, che tanta passione per dipingere, pur essendo a lungo esercitata nella

pratica pittorica, non fosse approdata alla piena consapevolezza di essere pittore. Fu l’incontro

con il maestro Alessandro Gallucci, nel 1971, alla sua prima mostra alla Galleria Comunale di

Pesaro aperta alle giovani promesse (ma Ballarini era già entrato nella maturità) a legittimare

definitivamente la sua vocazione. “Non so chi lei sia, ma so che in lei c’è un pittore” gli disse il

Maestro dopo avergli chiesto di incontrarlo. Nacque così una lunga amicizia, una frequentazione

in cui il pittore riconosciuto dava consigli al pittore “giovane” e nello stesso tempo riceveva da lui

insegnamenti involontari, nati dalla sua pratica, come quello della tavolozza continuamente violata

dall’impeto del dipingere, che da linda e superordinata degli inizi, divenne anche per Gallucci,

nel corso della sua vicenda, carica di pigmenti che si fondevano e “si sporcavano”, in aderenza

all’evolversi della sua intensa espressività coloristica. Ballarini riceve dunque il crisma di pittore

da Gallucci ma rimane tuttavia ai margini dell’ambiente artistico pesarese, eccetto per le partecipazioni

(dal ‘75 al ‘77) alle Biennali d'Arte allestite dal Gruppo 7, composto da Emma Corvo,

Cecilia Picciola Ferri, Paola Ranocchi, Umberto Martinelli, Nino Naponelli, Dante Panni, Tullio

Zicari e che svolgeva la sua attività espositiva in pieno spirito di libertà stilistica accordata ai singoli

componenti. Avviene in questo contesto il secondo incontro con un personaggio di rilievo

come Francesco Carnevali che dal ‘69 partecipava alle esposizioni del gruppo, diventandone poi

presidente onorario.

Il maestro - “di valori umani eccezionali, un fare dolcissimo e capace di coniugare alte qualità

con rara modestia”, come ricorda Ballarini - ne diventa amico, lo invita per una personale

all’Accademia Raffaello di Urbino, introducendolo nell’ambiente artistico locale, dove conosce

pittori e incisori come Carlo Ceci, Leonardo Castellani, Arnaldo Battistoni, Walter Piacesi,

Marcello Lani. Si apre successivamente il periodo delle mostre a largo raggio: Bologna, Genova,

Roma, Vienna, Parigi. Ma Ballarini resta un “creatore solitario”, attratto dalla sensuale apparenza

delle cose trasportate, attraverso il filtro della memoria, in un tempo e in una storia interiori. Ed è

un mondo ancora concentrato in un orizzonte rurale, dove le mura dei borghi sulle colline racchiudono

una vita di piccole cose e piccoli eventi - il bucato, il gioco delle bocce, l’amore tra

ragazzi, il temporale, il concerto in piazza, la passeggiata con la maestra - nel quale erompono rari

e inaspettati accadimenti tragici (Sudario, 1975, Infanticidio, 1977) gettando fosche ombre in un

mondo di arcaica felicità.

Poi ci sono gli ambienti marini, fatti di brezze che accarezzano bagnanti mattutine o di tempeste

che scuotono capanni di pescatori sul porto e lasciano sulla riva carcasse di barche dal fascia-

me disarticolato. O racconti in atmosfere di magica sospensione con soggetti non consueti: violinisti

che suonano solitari sulla battigia, sirene morenti tra vortici di flutti, esotiche creature femminili

abbracciate a radici contorte strappate altrove e restituite alla riva da un mare riappacificato.

Una tematica molto amata è quella degli zingari, rappresentati non come “straccioni”, “ladri”,

“stregoni”, ma come popolo errante. Come “gente in continuo andare” (...) “Zingari come uomini

di coraggio. Fieri nella loro maledizione. Alteri. E tra essi, il soggetto prediletto sono le zingare,

chiuse nei loro silenzi e nella loro orgogliosa bellezza. A giudizio di Nando Cecini, la pittura di

Ballarini “non è improvvisazione di facili annotazioni bozzettistiche ma è il risultato di un’appassionata

ricerca e in controluce rivela una tradizione culturale di rispetto, come può essere la scuola

pesarese del novecento.” C’è chi parla di “recupero, in maniera insolita, perciò originale, della

poesia crepuscolare” e chi, al contrario, lo rinnega, ponendo l’interrogativo che l’opera di

Ballarini vada piuttosto iscritta in una “pittura dialettale” ma considerando tale aggettivazione in

senso alto, “se nel dialetto si crede come mezzo per raggiungere l’universale attraverso il quotidiano:

cioè l’uomo che è grande, pur nella sua piccolezza. E infatti anche Valerio Volpini scrive di

“pagine aperte sull'uomo”, còlte in una “periferia simbolica” in un racconto che “tocca inquietudine

e sofferenze”.

Forse l’ipotesi di lettura più vicina alla poetica di Ballarini è quella espressa da Anna Marchetti

in riferimento agli artisti del Gruppo 7, che “percorrono un proprio autonomo itinerario artistico,

proteggendosi discretamente da atteggiamenti esteriori, aristocraticamente appartati dalle bagarres,

lontani e distanti da dichiarazioni od atteggiamenti esplosivi d’opposizione, dalle eccentricità

e dalle perdite di equilibrio, dagli effimeri orientamenti alla moda”. Si tratta dunque di uno “sparso

e fluido aggregato d’artisti che hanno svolto un “cammino silenzioso”. Nella mai abbandonata

consapevolezza che lo spazio periferico della provincia può anche essere un centro generatore di

autonomia e originalità artistica”.

Ballarini ci pare che condivida questo atteggiamento. Il suo “cammino silenzioso” ci conduce in

un universo immerso in un 'non tempo' mitico. Qui ci piace indugiare e condividere con lui quella

“sincera commozione profondamente umana” di cui parlava Gallucci, per le storie dell’uomo e

le piccole e grandi espressioni della natura, rese vive e fruibili attraverso il forte piacere di dipingere

del “vero pittore”.

Pesaro, Agosto 2005

Marta Alessandri

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