ESZ NEWS N. 53_ottobre 2010.pdf - Edizioni Suvini Zerboni
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Aspetti del mio linguaggio<br />
È<br />
difficile parlare da sé del proprio “stile”, ammesso<br />
che se ne abbia uno, e affermarlo già dimostra una<br />
certa arroganza... Mi accontenterei allora di definire<br />
qualche asse che caratterizza il mio linguaggio.<br />
Credo che un asse primario del mio lavoro sia<br />
l’attrazione per il virtuosismo; non il virtuosismo gratuito,<br />
soltanto dimostrativo e pertanto abbastanza vacuo,<br />
bensì il virtuosismo che costituisce il vettore di<br />
un’energia trasmissibile all’ascoltatore. Un’opera infatti<br />
vive soltanto tramite e per l’ascoltatore. Non si tratta di<br />
indirizzarne le emozioni (necessariamente soggettive; il<br />
termine è poi abbastanza compromesso e rinvia a un<br />
quadro di riferimento passatista), ma di creare una<br />
forma di frenesia comunicativa. Che sia per un solo<br />
strumento, nei pezzi di musica da camera o per grande<br />
orchestra, ogni parte è solista (da qui derivano le<br />
partiture d’orchestra estremamente articolate) ed esige<br />
un investimento strumentale e fisico essenziale da parte<br />
di ciascuno, così da concorrere a questa energia che<br />
intendo comunicare.<br />
Dal punto di visto armonico, ricordo che Philippe Hurel<br />
mi diceva che si trattava d’una “dialettica tra il brutto e il<br />
bello”. Sono molto attratto (e da questo punto di vista<br />
non rinnego affatto la mia ascendenza francese pura!)<br />
da ciò che “suona”: da ciò deriva l’utilizzo di armonie<br />
relativamente consonanti (ancora una nozione<br />
essenzialmente soggettiva), ma sempre offuscata<br />
dall’impiego intenso di microintervalli. Nei miei pezzi più<br />
recenti, in particolare in Vertigo, tendo a utilizzare<br />
sempre più come contrappeso una scrittura per cluster<br />
(scale clusterizzate, aggregati massicci), sebbene<br />
continui a impiegare una scrittura di “blocchi” armonici<br />
annotati in modo estremamente preciso, secondo<br />
l’insegnamento di Ligeti.<br />
Autunno a Strasburgo<br />
N<br />
el quadro del Festival Musica, il soprano Françoise<br />
Kubler e l’Ensemble Accroche Note presentano in prima<br />
esecuzione assoluta il 5 <strong>ottobre</strong>, alla Salle de la Bourse<br />
di Strasburgo, Diadème per soprano, clarinetto in Sib e<br />
pianoforte su testi di Pierre Jean Jouve.<br />
Il pezzo, costituito da quattro movimenti<br />
separati da una cadenza del pianoforte e<br />
presentato più diffusamente nel numero<br />
scorso delle <strong>ESZ</strong> News, rappresenta la<br />
sintesi tra l’attrazione per l’energia frenetica<br />
della velocità e la calma dolcezza delle<br />
liriche che intona. Punto d’equilibrio tra<br />
queste tensioni contrapposte è la figura del<br />
trillo, nelle parole di Bertrand «al tempo<br />
stesso rapidità e linearità». Ciascuno dei<br />
quattro movimenti sviluppa un modello di<br />
trillo, mentre le poesie impiegate, tratte da<br />
Diadème (1949), Présences (1912), Sueur de sang<br />
(1933-1935) e Kyrie (1938), mescolano, come spesso in<br />
Pierre Jean Jouve, i temi della donna, dell’eros, della<br />
malinconia, del sesso, della morte e di Dio. Strasburgo<br />
ospiterà un’ulteriore prima esecuzione assoluta di<br />
Christophe Bertrand: Ayas, fanfara per undici ottoni e<br />
percussioni, commissione dell’Orchestre<br />
Philharmonique de Strasbourg, che l’eseguirà, sotto la<br />
guida di Dmitri Slobodeniouk, il 18 novembre alla Salle<br />
Érasme del Palais de la Musique et des Congrès, con<br />
repliche il 19 e il 25 novembre, in quest’ultima data con<br />
la direzione di Otto Trausk. Spiega l’Autore: «Ayas è un<br />
termine sanscrito che significa ottone: era il termine<br />
ideale per scrivere questa piccola fanfara di due minuti<br />
per l’Orchestre Philharmonique de Strasbourg. Non ho<br />
Sul piano del ritmo mi sforzo spesso di scrivere in modo<br />
tale che nulla sia sincrono: dei ritmi confusi, vaghi, con<br />
numerose sovrapposizioni metriche. Ma utilizzo anche<br />
frequentemente, come contraltare, omoritmie molto<br />
marcate, talvolta assai vicine al jazz, e molti elementi<br />
che si ripetono, variati a ciascuna iterazione. Sul piano<br />
formale impiego molto spesso una scrittura in sezioni<br />
all’interno delle quali viene sviluppata un’idea principale<br />
in modo sempre direzionale (un gesto del pianoforte<br />
viene demoltiplicato fino alla saturazione, un intrico di<br />
scale si dirige verso il registro acuto).<br />
Infine, poiché ho citato la nozione di gesto, cerco<br />
sempre di far sì che la mia musica sia comprensibile;<br />
utilizzo cioè dei gesti che siano chiari e identificabili<br />
all’ascolto, quasi “concreti”. Comprensibile non significa<br />
in alcun modo semplice, e mi oppongo a qualsiasi<br />
semplificazione di carattere edonistico (penso<br />
ovviamente alla corrente neotonale); il mio intento non è<br />
piacere; ciò che cerco è che la mia musica possa<br />
essere almeno compresa a grandi linee, nel suo<br />
percorso drammatico.<br />
Ho letto sul sito dell’Ensemble Court-Circuit la seguente<br />
definizione, che riassume perfettamente le<br />
caratteristiche del mio linguaggio, meglio di quanto non<br />
saprei dire io stesso:<br />
«Christophe Bertrand esplora il mondo della<br />
micropolifonia di cui György Ligeti gli ha trasmesso la<br />
passione. Musica virtuosistica, densa e molto ritmata,<br />
che mette i musicisti in una situazione sempre<br />
pericolosa. Ma anche musica di processi di<br />
trasformazione, che gioca su sottili messe in fase e<br />
sfasamenti ritmici così come su incontri microtonali che<br />
danno all’intreccio delle parti un colore peculiare».<br />
Christophe Bertrand, giugno 2007<br />
voluto fare un pezzo scoppiettante, convenzionale, in<br />
cui gli ottoni urlassero a ogni piè sospinto, a ritmo<br />
regolare dei timpani. Per questo motivo il pezzo è diviso<br />
in due sezioni: la prima è quasi esclusivamente<br />
composta di scale clusterizzate agli ottoni,<br />
ascendenti e discendenti (talvolta glissandi<br />
armonici ai corni) che s’immobilizzano ogni<br />
volta su un grande accordo realizzato dalla<br />
sovrapposizione di terze: a un certo punto si<br />
identifica con il celebre “accordo mistico” di<br />
Scriabin: Do - Fa# - Sib - Mi - La - Re. Dalla<br />
quinta misura i timpani scandiscono un ritmo<br />
del tutto irregolare per semicrome e crome; ma<br />
la parte dei timpani non è in sincrono con gli<br />
altri strumenti: in realtà, se tutti gli ottoni e la<br />
seconda parte delle percussioni sono a 60 al<br />
quarto, i timpani suonano a 90 al quarto. Poco<br />
dopo l’entrata dei timpani, la seconda parte delle<br />
percussioni suona un ostinato ritmico composto da sei<br />
gong, un colpo di grancassa e un tintinnio di crotali.<br />
Entrambe le parti delle percussioni hanno una cosa in<br />
comune: progrediscono sin dal loro ingresso in<br />
crescendo sino alla fine del pezzo, senza tregua alcuna.<br />
Verso l’ultimo terzo del pezzo tutti gli strumenti si<br />
adeguano al tempo dei timpani (quarto: 90) in una parte<br />
molto ritmica in cui gli ottoni suonano dei cluster sul<br />
ritmo scandito dai timpani. Tutto ciò in un immenso<br />
crescendo che si concluderà con un grande accordo per<br />
terze sovrapposte, lo stesso che aveva aperto il pezzo.<br />
Ayas è dedicato in amicizia a Cristina Rocca, che ha<br />
avuto la buona idea di propormi di scrivere questa<br />
“fanfara” per la manifestazione “Orchestres en Fête”».<br />
In due prime esecuzioni la lirica<br />
novecentesca di Jouve e una<br />
fanfara festiva per ottoni<br />
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