Il Guado dell'Antico Mulino - Novembre 2011 - Sanpietroingu .net

Fu una delle occasioni in cui ancora una volta
si ebbe la conferma che il colore della pelle, la
forma fisica, il vestito, la diversità non hanno
alcun valore e non determinano quanto valiamo
come persone. Sono le scelte, i principi, le
idee, l’educazione che fanno di noi gli uomini e
le donne che siamo.
Infatti Robigno sembrava essersi dimenticato
delle dicerie e delle malelingue nei suoi confronti,
perché, mai come in quel momento, voleva
far ritornare il sorriso sui volti degli abitanti
di Tintorelandia.
Provò ad entrare nella fabbrica del colore.
Silenzio. Deserto. Tutto era tinto di bianco e
nero. Tristezza e desolazione facevano da scenario
in un triste e scuro teatro. Qualcosa di
simile ad un grande lenzuolo aveva ricoperto
macchinari, pentoloni, barattoli di colore, tubi
e tubicini. Non l’aveva mai vista in funzione ma
immaginava calderoni zeppi di inchiostro colorato
che ribollivano e gorgheggiavano.
Immaginava un buco nel fondo di ogni pentola
collegato a vari tubicini che facevano defluire
l’essenza in grossi diffusori: quest’ultimi dovevano
spruzzarla come uno spray in tutto il paesaggio.
Ora tutto era buio e spento. Innaturale. Come
un film in bianco e nero. Come una vecchia
foto. Sì, doveva fare qualcosa.
Poi gli venne un’idea. Preparò lo zaino, sapeva
che sarebbe stato un viaggio lungo.
Camminò verso est, attraversò grigie praterie e
neri deserti. Passò sotto candide nubi e bianche
stelle, che facevano sembrare la notte ancora
più buia. Si accampò sotto la grigia chioma di
una folta quercia, dalla quale sbucavano occhi
curiosi di un gruppo di ghiri dal pelo scuro ed
ispido, dotati di denti bianchi, aguzzi, che facevano
rabbrividire.
Aveva freddo perché il paesaggio gli trasmetteva
una sensazione di terrore. Non scorgeva anima
viva.
Gli abitanti se ne stavano ben chiusi nelle loro
grigie case, in attesa che il manto sparisse pian
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