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CANALETTO_2019_Catalogo

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ALBERTO

CRAIEVICH

ANTONIO CANAL detto

CANALETTO

Il bacino di San Marco,

particolare.

Boston, Museum of Fine Arts,

Fondo Abbott Lawrence,

Fondo Seth K. Sweetser e

Fondo Charles Edward French

CANALETTO

& VENEZIA

Antonio Canal, detto

Canaletto è oggi l’artista più celebre del Settecento

veneziano. Ne fanno fede il numero di mostre che

gli sono dedicate e i risultati delle sue opere alle aste

(è uno dei pochi esponenti dell’arte antica a rivaleggiare

con le quotazioni dei maestri contemporanei).

Oggi il suo è uno dei grandi nomi di richiamo

della storia dell’arte: è un ulteriore e sorprendente

tassello della storia del gusto, che prosegue nel presente.

Quindi, scegliere il suo nome per esemplificare

un intero secolo è soltanto la presa d’atto di una

situazione oggettiva.

Al suo nome si è semplicemente accostato

quello di Venezia. Per ovvie ragioni. È Canaletto

più di qualsiasi altro vedutista ad aver codificato

l’aspetto della città che tuttora appartiene all’immaginario

collettivo, identificandosi con il luogo che

raffigura. Come il Marco Polo di Italo Calvino nelle

Città invisibili, anche lui avrebbe potuto affermare:

“ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di

Venezia [...] per distinguere le qualità delle altre devo

partire da una prima città che resta implicita. Per

me è Venezia”. Inoltre, per la prima volta, proprio

nel Settecento, è la città stessa a essere vista come

un’opera d’arte a sé stante: “Percorrendo le lagune

nel pieno sfolgorare del sole e osservando sul fianco

delle gondole i gondolieri, che sembravano scivolare

via nelle loro movenze agili e nei loro costumi variopinti,

mentre le loro figure si profilavano sullo specchio

verde chiaro dell’acqua, sullo sfondo dell’aria

di un azzurro profondo, ho ammirato il quadro

migliore e più perfetto della scuola veneziana” (J.W.

von Goethe).

Nella preparazione della mostra, tuttavia,

si è voluto, piuttosto che dedicargli un’ennesima

monografica, mettere in rapporto le sue opere con

quelle degli altri maestri della scuola veneziana, in

un confronto che non tenga conto solo del suo percorso

individuale ma che si innesti con i fatti che

hanno scandito la storia dell’arte in laguna durante

tutto il secolo. È stato necessario, quindi, ampliare

l’orizzonte tanto in termini cronologici, quanto di

‘genere’ (disegno, incisione, scultura, architettura,

arti decorative), provando così a ricomporre un quadro

d’insieme se non completo, almeno ampio.

L’ispirazione è data da due straordinarie

esposizioni allestite ormai un quarto di secolo

fa: The Glory of Venice (1994) e Splendori del

Settecento veneziano (1995), dove è stato posto l’accento

sull’aspetto più innovativo dell’arte veneziana

che scavalca il consueto limite posto dalla

caduta della Serenissima. Canova, soprattutto,

ma anche Piranesi e Bellotto (benché scomparsi

lontano dalla patria e prima della caduta della

Serenissima) ‘aprono’ ai grandi temi dell’arte europea:

il Neoclassicismo, la poetica del sublime, il

paesaggio romantico.

Una visione quest’ultima, troppo a lungo

appiattita da quel mito nostalgico, costruito dopo

la fine della Serenissima, che ha visto il Settecento

veneziano come il tempo del vivere felice e spensierato,

consapevole, tuttavia, della propria fine

imminente. Un’immagine leggera e allo stesso

tempo decadente che ha escluso ogni eccezione e

— CANALETTO & VENEZIA — 15

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