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CANALETTO_2019_Catalogo

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soprattutto la raccolta delle oltre cento tavole delle

Fabriche, e vedute di Venetia disegnate, poste in prospettiva

et intagliate da Luca Carlevarijs (1663-1730),

pubblicate nel 1703 presso Giambattista Finazzi,

celebrazione insieme del singolare volto monumentale

della città e del governo della Serenissima.

Pur senza un’apparente formazione da incisore,

Carlevarijs riesce a fissarvi con chiarezza magistrale

la categoria della veduta veneziana a stampa, e

– nella valenza normativa delle sue riprese, governate

dal montaggio prospettico dei principali siti della

città secondo criteri scenografici – ne fa un modello

destinato a essere imitato a lungo, nella sequenza

gerarchica di un percorso ideale tra le tipologie degli

edifici. La preferenza è accordata alle vedute frontali

di architetture presentate secondo categorie tipologiche:

le chiese precedono le “scuole”, seguite dagli

edifici pubblici e dai palazzi privati. Ne risulta quindi

un compendio ragionato, ricomposto in un itinerario

narrativo, svincolato da una logica strettamente

topografica: le fabbriche del buon governo della

Repubblica, i luoghi delle istituzioni e della mercatura,

le architetture moderne dei cives che partecipano

alla gloria della città. Stimolato dagli esempi

degli incisori romani – probabilmente conosciuti in un

suo viaggio in riva al Tevere dei tardi anni Ottanta –

e in particolare dalle Vedute delle Fabriche che Giovan

Battista Falda aveva pubblicato nel 1665, parafrasandone

persino il titolo Carlevarijs ne riprende lo schema

compositivo e gli arrangiamenti spaziali, trasferendo a

Venezia quella stessa vocazione documentaria e didascalica

ispirata dai romanisti neerlandesi e dal vedutismo

analitico di Gaspar van Wittel. Per la serie si conosce

la maggior parte dei disegni preparatori, eloquenti

del suo metodo, debitore del ricorso alla camera ottica

per impostare con facilità l’impianto spaziale: l’artista

delinea prima l’ossatura delle vedute, che condensa in

un telaio geometrico essenziale, superandolo quindi

nella traduzione incisoria con la vivacità del segno

d’acquaforte e l’efficace scansione luministica.

La dedica della raccolta al doge regnante si

spinge a dichiararle non solo il prodotto della “fatica

della mano”, ma piuttosto dell’azione dell’intelletto,

con un’operazione di lettura e interpretazione del

reale. Esplicitandone programmaticamente gli intenti

divulgativi delle “venete magnificenze”, essa ci rivela

quanto la serie rivestisse già agli occhi del suo autore

un chiaro interesse promozionale per il mercato artistico,

come confermerà da subito una fitta sequenza

di riedizioni, derivazioni o evidenti plagi: da quelli

delle Singolarità veneziane del frate Coronelli (1708-

09) alle copie commissionate dell’editore olandese

Pieter van der Aa per il quinto tomo del Thesaurum

antiquitatum et historiarum Italiæ, pubblicato nel

1722. E ancora, le acqueforti di Carlevarijs servirono

da fonte diretta alle molte vedute incise da Francesco

Zucchi per il Teatro delle fabbriche più cospicue in prospettiva,

sì pubbliche, che private della città di Venezia,

a illustrazione della guida del Forestiere illuminato –

edita a più riprese da Giambattista Albrizzi a partire

dal 1740, ma fino agli inizi dell’Ottocento – e vennero

quindi reincise, intorno al 1750, nell’attivissima bottega

di Martin Engelbrecht ad Augusta.

Preparata da un’attenta campagna pubblicitaria,

che annunciava nell’aprile 1715, nel manifesto

d’invito alla sottoscrizione, come fossero sempre

più “universalmente desiderate le stampe delle principali

Vedute, e delle più celebri Pitture dell’inclita

città di Venezia”, vide la luce nel 1717 il Gran Teatro

di Venezia, ovvero raccolta delle principali vedute e pitture

che in essa si contengono, un’ulteriore silloge in

cui Domenico Lovisa, libraio e stampatore a Rialto,

aveva raccolto per conto di un’accademia patrizia

promossa dal Cancellier grande Giovambattista

Nicolosi una serie d’immagini della città, ancora

apertamente ispirate al precedente di Carlevarijs.

La loro relativa obiettività documentaria lascia piuttosto

il campo, come già suggeriva il titolo, alla suggestione

del panorama urbano nella sua valenza scenografica,

presentando gli spazi comuni cittadini

come palcoscenici, resi vitali da presenze operose,

intente alle attività quotidiane, che popolano piazze,

campi, calli. Ne risulta una lettura del volto della città

come teatro – appunto – di un tessuto sociale vitalissimo,

attento insieme alla celebrazione di se stesso

e a offrirne l’immagine più consona al “consumo” dei

visitatori stranieri.

Col procedere del secolo, la produzione di

vedute a stampa muoverà però rapidamente dal

prevalente carattere repertoriale delle tipologie dei

monumenti cittadini alla loro rappresentazione in

sequenze visive più ordinate e coerenti. La serie di

FIG. 2

LUCA CARLEVARIJS

Veduta della Piazza di San

Marco verso l’Horologio,

in Fabbriche, e vedute di

Venezia [...]

riprese veneziane che l’architetto, teorico e prospettico

Antonio Visentini (1688-1782) trasse da dipinti

di Canaletto è senza dubbio una delle interpretazioni

più felici del vedutismo obiettivo settecentesco

in laguna; un singolare episodio di committenza

che prese forma, non a caso, sotto l’abile regia del

mercante inglese – e poi console a Venezia – Joseph

Smith. La sua valenza promozionale rispetto alle piccole

tele che Canaletto andava dipingendo per il console

risulta evidente almeno nelle prime quattordici

tavole, pubblicate nel 1735 sotto il titolo Prospectus

Magni Canalis Venetiarum, che venivano in pratica a

costituire un vero e proprio “catalogo di vendita” dei

dipinti, disponibili presso lo Smith nel suo palazzo ai

Santi Apostoli. Sul piano espressivo, peraltro, il loro

indubbio elemento di novità risulta soprattutto l’originale

messa in sequenza delle tavole di Visentini

secondo una lettura urbana continua, lungo un percorso

coerente che dal fulcro di Rialto si divide per

raggiungere separatamente gli estremi opposti del

Canal Grande. Ampliata a trentotto tavole nell’edizione

del 1742 per Giambattista Pasquali, dal titolo

di Urbis Venetiarum Prospectus Celebriores, la raccolta

venne così a rappresentare non solamente una brillantissima

idea promozionale che – tramite la riduzione

al bianco e nero e al piccolo formato – consentiva

di raggiungere un più vasto, crescente mercato,

ma pure un’ideale successione visiva dei luoghi più

caratteristici della città dallo straordinario fascino

panoramico, rendendola un ricercato souvenir per un

46 — IL PRIMO SETTECENTO — — LA VEDUTA INCISA: VENEZIA MOLTIPLICATA NELLE STAMPE — 47

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