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GIUSEPPE
PAVANELLO
FIG. 1
SEBASTIANO RICCI
Soffitto in nove comparti
con Divinità dell’Olimpo,
particolare. Berlino,
Gemäldegalerie - Staatliche
Museen zu Berlin (fino al 1944
Venezia, palazzo Mocenigo a
San Samuele)
V E N E Z I A ’ 700:
I M M AGI NA Z ION E /
OSSERVAZIONE
In apertura di secolo,
nell’Orazione in lode di S.E. Il Signor Cavaliere Luigi
Pisani Procurator di S. Marco (Venezia 1711), si legge:
“Alla Liberalità finalmente dessi aggiungere un’altra
Virtù, la quale fa un uso eroico delle ricchezze: ed è
la Magnificenza”. È la Serenissima Repubblica stessa
a dar esempio, a partire da piazza San Marco “teatro
di Meraviglie”, quindi dai palazzi: “sommi sforzi
di un’arte, che si adopera a dimostrare con la nobiltà
delle abitazioni la grandezza o di chi vi soggiorna, o di
chi ne comandò l’edificazione, o ne gode il dominio”.
È una visione di matrice barocca, favorita
pure dalle scelte ‘conservatrici’ del governo aristocratico.
Ma già in quegli anni d’inizio secolo molto
stava cambiando nell’ambiente artistico veneziano.
Basti pensare alla novità della ritrattistica di Rosalba
Carriera, che aveva relegato in soffitta, per così dire,
le rappresentazioni d’apparato, al fine di far emergere
i volti delle persone con fisionomie e caratteri specifici.
Per di più usando un mezzo, come il pastello, che
per la rapidità dell’esecuzione si attagliava alla mano
di chi, con un occhio ’moderno’, sapeva cogliere all’istante
la verità di uno sguardo.
Siamo nell’ambito dell’osservazione – contraltare
o rovescio, come in una medaglia, dell’immaginazione
–, che, sempre a inizio secolo, veniva rinnovando
espressioni e tematiche. È Sebastiano Ricci
il protagonista, ma con comprimari come Antonio
Pellegrini, soprattutto nel campo della decorazione
d’interni, anche in villa. La Dominante e il suo entroterra
sono un tutt’uno, quasi sempre anche nella
committenza.
Primi anni del Settecento. Ricci dipinge le
nove tele da soffitto in palazzo Mocenigo a San
Samuele per il matrimonio tra Alvise Mocenigo IV e
Pisana Corner, celebrato nel febbraio 1705; Pellegrini
affresca la sala di villa Alessandri alla Mira. Nel primo
complesso – purtroppo emigrato a Berlino nel corso
della Seconda guerra mondiale, in circostanze poco
chiare – si danno convegno le divinità dell’Olimpo:
protagonista è Amore stesso, e non più un personaggio
come Ercole, con le sue virtù e le sue imprese. Per
di più, è un Amore bambino, ricevuto in Olimpo da
Giove e da Giunone, con il Tempo incatenato: indice
quanto mai significativo della sensibilità che sta
prendendo piede anche nella tradizionalista Venezia.
E poi la luce è chiara, l’aria finalmente tersa, i colori
brillanti: è come un annuncio di primavera per la pittura
veneziana del secolo (fig. 1).
Un confronto con il soffitto dipinto da Nicolò
Bambini per ca’ Pesaro con l’Apoteosi di Venezia, di
vent’anni prima, è rivelatore delle novità che ormai
vengono a imporsi nella tematica, così come nella
vivacità della tavolozza: non più retorica e opulenza,
ma eleganza. Non diversamente, Antonio Pellegrini.
Nella villa di Mira si viene a creare una simulata
Galleria di quadri, provvisti di cornice: è l’apoteosi
della mitologia e della lievità pittorica, con tutta una
sequenza di episodi per lo più a tema erotico tratti
dalle Metamorfosi di Ovidio. In anni posteriori, il suo
vastissimo soffitto per il salone di palazzo Pisani a San
Vidal raffigurante l’Aurora con le ninfe dell’Aria (ora a
— VENEZIA ’700: IMMAGINAZIONE / OSSERVAZIONE — 23