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CANALETTO_2019_Catalogo

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verso la metà degli anni Quaranta la prima, entro cioè

la sua partenza per Londra, e un’ulteriore nel 1750-51.

Sulla direttrice di un duplice percorso – suggerito già

dal titolo eloquente di Vedute Altre prese da i luoghi

altre ideate, emblematica asserzione di una sostanziale

equivalenza tra i registri del reale e dell’immaginario

– si snoda un itinerario che oscilla tra la

veduta e il suo naturale polo dialettico: il capriccio,

con contaminazioni paesistiche di motivi padovani

e lagunari. La loro genesi inventiva, tuttavia, doveva

aver preso forma già intorno al 1740, se sono servite

di modello, come pare, alle acqueforti giovanili del

precoce nipote Bernardo Bellotto (1722-80), in un’attività

che sfocia in una serie di piccoli soggetti di paesaggio

dalla grafia prodigiosa. Si tratta di un gruppo di

otto piccole, delicate acqueforti con capricci e rovine,

che in alcuni casi guardano direttamente a simili soggetti

canalettiani, rivisitandoli però, con segno largo e

semplificato, all’insegna di un’elegiaca malinconia, e

in cui si fatica a cogliere i segni di quel nitore incisorio

che caratterizzerà invece i più tardi, limpidissimi

panorami eseguiti da Bellotto a Dresda e a Varsavia.

È verosimile dunque ipotizzare un comune percorso

nell’immediato entroterra veneziano, in cui zio e

nipote si dedicarono con impegno a riprese grafiche

dei luoghi topograficamente più interessanti. Queste,

tuttavia, non sembrano orientate alla fedele diffusione

degli aspetti monumentali della città, quanto

a una manipolazione del dato visuale oggettivo, rivelandoci

come il vedutismo canalettiano presupponga

semmai la conoscenza delle regole prospettiche al

solo fine di ingannare l’osservatore. Consapevoli della

natura “falsata” di queste riprese, caratterizzate dalla

contiguità concettuale tra paesaggio, capriccio – nelle

sue diverse accezioni – e veduta, possiamo apprezzarne

più liberamente il peculiare segno vibrante,

vitale, fluido come un tratto di penna, ma ancor più

di quello capace di una resa sensibilissima della luce.

Il corpus acquafortistico di Canaletto, qualunque

fossero le sue effettive origini e destinazioni,

resta quindi un capitolo a sé stante nel percorso

dell’incisione settecentesca veneziana. Esso sfuggirà

infatti, per la sua peculiare concezione, a quel

comune destino di riprese, contraffazioni e plagi che

subirono le stampe degli altri vedutisti-incisori del

tempo, salvo essere rivalutato più tardi, per la sua

FIG. 5

ANTONIO VISENTINI

Prospectus Magni Canalis

Venetiarum [...], frontespizio

1 _ Per un approfondimento

sull’argomento si rimanda a:

Disegni, incisioni e bozzetti

del Carlevarijs, catalogo della

mostra (Udine, Loggia del

Lionello; Roma, Gabinetto

Nazionale delle Stampe) a

cura di A. Rizzi, Udine 1963;

J. G. Links, Views of Venice by

Canaletto, Engraved by Antonio

Visentini, New York 1971; R.M.

Mason, Nuovo catalogo delle

incisioni “archeologiche” di

Gianfrancesco Costa, “Print

collector. Il conoscitore di

stampe”, 41, 1979, pp. 2-55;

F. Montecuccoli Degli Erri,

Antonio Visentini: la prima

edizione delle incisioni di vedute

di Venezia, “Print collector.

Il conoscitore di stampe”, 48,

1980, pp. 2-45; Le incisioni

di Michele Marieschi (1710-

1743) vedutista veneziano,

catalogo della mostra (Gorizia,

Museo Provinciale di Palazzo

Attems) a cura di D. Succi,

Gorizia 1981; P. Dreyer,

Vedute. Architektonisches

Capriccio und Landschaft in

der Venezianischen Graphik

des 18. Jahrhunderts, catalogo

della mostra (Berlino,

Kupferstichkabinett), Berlin

1985; R.M. Mason, Canaletto

imprimé: un nouveau catalogue

raisonné, “Arte Veneta”, 40,

1986, pp. 302-304; Canaletto &

Visentini, Venezia & Londra,

catalogo della mostra a cura

di D. Succi, Cittadella 1986;

D. Succi, Michiel Marieschi,

Catalogo ragionato dell’opera

incisa, Torino 1987; T. Colletta,

Vincenzo Coronelli, cosmografo

della Repubblica veneta e gli

“Atlanti di città” tra il XVII

e il XVIII secolo, in Libro e

incisione a Venezia e nel Veneto

nei secoli XVII e XVIII, Vicenza

1988, pp. 1-32; E. Concina, Il

Canal Grande nelle vedute del

“Prospectus Magni Canalis

Venetiarum” disegnate e incise

da Antonio Visentini dai dipinti

di Canaletto, Milano 1988; Une

Venise imaginaire. Architectures,

vues et scènes capricieuses dans

la gravure vénitienne du XVIIIe

siècle, catalogo della mostra

(Ginevra, Cabinet des Estampes)

a cura di R.M. Mason, Genève

1991; R. Bromberg, Canaletto’s

Etchings. Revised and Enlarged

Edition of the Catalogue

Raisonné, San Francisco 1993;

Venezia 1717 Venezia 1993

immagini a confronto, catalogo

della mostra (Venezia, Palazzo

Ducale) a cura di U. Franzoi, M.

G. Montessori, A. Bonannini,

Cinisello Balsamo 1993; G.

Marini, L’incisione nel Seicento

e nel Settecento, in Storia di

Venezia. Temi, II: L’Arte, a cura

di R. Pallucchini, Roma 1995,

pp. 521-555; Luca Carlevarijs.

Le fabriche, e Vedute di Venezia,

catalogo della mostra a cura

di I. Reale, Venezia 1995; J.

Schulz, Il Gran teatro di Venezia

di Domenico Lovisa, in Studi

in onore di Renato Cevese,

a cura di G. Beltramini, A.

Ghisetti Giavarina, P. Marini,

Vicenza 2000, pp. 443-457;

Tiepolo. Piazzetta. Novelli.

L’incanto del libro illustrato

nel Settecento veneto, catalogo

della mostra (Padova, Musei

Civici agli Eremitani, Palazzo

Zuckermann) a cura di V. C.

Donvito, D. Ton, Crocetta del

Montello 2012; D. Succi, La

Serenissima nello specchio di

rame. Splendore di una civiltà

figurativa del Settecento. L’opera

completa dei grandi maestri

veneti, Castelfranco Veneto

2013.

componente poetica e immaginaria, nel contesto di

quel nuovo modo di piegare la veduta alla rappresentazione

del mondo che furono le vedute ottiche, dove

pure alcune stampe di Canaletto finirono per essere

riusate – colorate e ritagliate – nella molteplice attività

editoriale della Calcografia Remondini.

Se è difficile valutare quale fosse la reale diffusione

e la “ricezione” contemporanea delle acqueforti

di Canaletto, certo è che il filone commerciale

di gran lunga prevalente per il resto del secolo rimase

quello rivolto al mercato delle vedute e della rappresentazione

topografica della città. A riprova, tuttavia,

di quanto fosse in realtà incerto un preciso confine

tra le categorie che – noi, oggi, per una praticità

molto convenzionale e riduttiva – pensiamo di poter

distinguere fra “stampa originale” e “stampa di traduzione”,

si pone l’attività di incisori come il bellunese

Giovambattista Brustolon (1712-1796), in grado

di rielaborare con visione autonoma i più fortunati

esempi grafici della generazione precedente. Nel 1763

veniva pubblicata dall’editore Ludovico Furlanetto la

serie del Prospectum Ædium, Viarumque insignorum

Urbis Venetiarum, in cui l’incisore bellunese riuniva

dodici vedute di Venezia riprese, in formato ingrandito,

tratte dalle traduzioni di Visentini dai dipinti

di Canaletto, a cui furono aggiunte in seguito altre

dieci tavole, da prototipi di Marieschi, Moretti e

ancora Canaletto. Lo stesso Furlanetto, a partire dal

marzo 1766, offriva al pubblico una serie di grandi

stampe commissionate a Brustolon raffiguranti le

Feste Ducali, ovvero le cerimonie e le celebrazioni

cui partecipavano i dogi veneziani al momento della

loro elezione, o in occasione delle diverse festività

nel corso dell’anno. Sappiamo che solamente quattro

acqueforti erano effettivamente completate nell’agosto

del 1768, e che l’intera serie non fu in realtà

portata a termine prima del 1773-75, ma il loro successo

è confermato dalle numerose edizioni che ne

vennero tratte, operazioni in cui gli editori Teodoro

Viero e quindi Giuseppe Battaggia si succedettero al

Furlanetto. Lo stile largamente descrittivo dei prototipi

di Canaletto, reso con tecnica raffinata nei dieci

grandi disegni acquerellati oggi noti, contribuisce alla

vivacità dei soggetti, e al loro facile appeal di accattivante

narrazione per immagini della peculiare storia

veneziana. Brustolon vi adotta una tecnica in grado di

rendere fedelmente i modelli originali, con effetti di

grande luminosità, ottenuti con un continuo variare

di linee e di incroci di segni, oltre a diverse morsure

della lastra con l’acido.

La fortuna di questa formula dovette offrire il

modello a una sequenza incalzante di iniziative consimili,

in cui peraltro si andava gradualmente esaurendo

l’iniziale forza d’impatto di quella “rivoluzione

visiva” inaugurata all’inizio del secolo proprio tramite

le stampe. Così il parmense Dionisio Valesi (1715-post

1781), dopo una diffusa attività di traduzione per il

mercato editoriale di Verona e la collaborazione a una

celebre serie di sei grandi vedute della città, promossa

da Francesco Masieri nel 1747, si dedicò a tradurre il

sensibilissimo vedutismo di Francesco Guardi in una

serie di soggetti veneziani, pubblicati nel 1778 dal

libraio Melchior Gabrieli. L’anno seguente usciva la

raccolta delle Ventiquattro Prospettive delle Isole della

laguna di Venezia, incise da Antonio Sandi (1733-1817),

autore pure di quattro grandi fogli con i Prospetti

marittimi, del 1781. Quanto questa produzione fosse

ormai compilativa, e guidata da dinamiche editoriali,

lo ribadisce anche l’attività di Marco Sebastiano

Giampiccoli, autore di oltre quaranta vedute veneziane

che ripercorrevano moduli e inquadrature di

tutto il vedutismo dei decenni precedenti. Di certo,

il proliferare di queste iniziative commerciali dà la

misura della tenace continuità di una domanda di

mercato ancora fiorente, se un incisore e mercante di

stampe come il bassanese Teodoro Viero (1740-1819)

poteva trascinare oltre gli estremi limiti del secolo, e

fin dopo la caduta della Repubblica, una fitta attività

di riedizioni di rami altrui, in cui era ancora largamente

preponderante il filone della veduta.

Come per la Roma settecentesca rappresentata

da Piranesi – peraltro anch’egli segnato da una

giovanile formazione veneziana – l’immagine di

Venezia veicolata dalle stampe si era andata sostituendo,

superandola e alterandola, alla visione diretta,

reale dei monumenti e dei siti della città. Anche se

questi, nella trasposizione incisoria, da spazi condivisi

del vivere collettivo erano ormai scaduti a “luoghi

comuni” della visione, banalizzati dal loro “consumo”

incondizionato [1] .

50 — IL PRIMO SETTECENTO —

— LA VEDUTA INCISA: VENEZIA MOLTIPLICATA NELLE STAMPE — 51

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