Le formelle marmoree di Sorrento* - Facoltà di Lettere e Filosofia
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<strong>Le</strong> <strong>formelle</strong> <strong>marmoree</strong> <strong>di</strong> Sorrento *<br />
Roberto Coroneo<br />
<strong>Le</strong> <strong>formelle</strong> <strong>marmoree</strong> <strong>di</strong> Sorrento sono sculture ben note nella<br />
storia degli stu<strong>di</strong>. La vicenda critica inizia con la citazione nelle<br />
opere monumentali <strong>di</strong> Émile Bertaux (1903) 1 , <strong>di</strong> Adolfo Venturi<br />
(1904) 2 e <strong>di</strong> Pietro Toesca (1927) 3 , e procede attraverso vari contributi<br />
sulle lastre frammentarie del Museo Correale <strong>di</strong> Terranova<br />
e della cattedrale (cui se ne aggiungono altre in <strong>di</strong>verse raccolte<br />
museali, a Roma, Berlino e Washington) pubblicati in riviste specialistiche,<br />
a firma <strong>di</strong> Maria Teresa Tozzi (1931) 4 , Armando Ottaviano<br />
Quintavalle (1931-32) 5 , Wolfgang Fritz Volbach (1942) 6 ,<br />
Anna Grelle (1962) 7 , fino al recente articolo <strong>di</strong> Carlo Ebanista<br />
(2001) 8 su alcuni elementi ine<strong>di</strong>ti da riferire allo stesso contesto.<br />
Assieme agli altrettanto noti plutei con coppie <strong>di</strong> grifi, pegasi e<br />
anatre affrontati all’albero della vita (figg. 1-2), le <strong>formelle</strong> sorrentine<br />
sono puntualmente apparse anche in altre opere <strong>di</strong> ampio<br />
contesto, de<strong>di</strong>cate al quadro generale o ad aspetti specifici dell’arte<br />
sia italo-meri<strong>di</strong>onale 9 sia campana 10 . Esse con<strong>di</strong>vidono la sorte<br />
critica <strong>di</strong> tanta parte della scultura <strong>di</strong> arredo liturgico dell’Italia<br />
meri<strong>di</strong>onale e insulare nei secoli compresi fra il IX e l’XI, relegata<br />
al rango <strong>di</strong> semplice “decorazione”, dunque produzione <strong>di</strong> registro<br />
ornamentale e <strong>di</strong> tono implicitamente “minore” rispetto alla scultura<br />
figurativa, <strong>di</strong> registro narrativo, prodotta nell’area fra l’XI e il<br />
XIII secolo.<br />
La presenza delle <strong>formelle</strong> e dei plutei sorrentini ora in una monografia<br />
sugli Arabi in Italia 11 , ora in un’altra sui Bizantini in Italia<br />
12 , tra<strong>di</strong>sce le <strong>di</strong>verse valutazioni e fors’anche l’imbarazzo della<br />
critica <strong>di</strong> fronte a produzioni tecnicamente <strong>di</strong> qualità altissima, ma<br />
“stilisticamente” <strong>di</strong>fficili da collocare, sino alla scelta, raffinata ma<br />
complessa, <strong>di</strong> comprenderli nella mostra sul Futuro dei Longobar<strong>di</strong>,<br />
tenutasi a Brescia nel 2000 13 , certo a suggerirne il rapporto <strong>di</strong>alettico<br />
con la produzione plastica dell’entroterra campano longobardo,<br />
però <strong>di</strong> segno formale del tutto <strong>di</strong>verso.<br />
<strong>Le</strong> <strong>formelle</strong> sono oggi erratiche in quattro raccolte museali. Il<br />
nucleo più numeroso (sei) si conserva nel Museo Correale <strong>di</strong> Terranova,<br />
a Sorrento (figg. 3-8). <strong>Le</strong> <strong>di</strong>mensioni sono pressoché uniformi<br />
quanto allo spessore e alla larghezza delle lastre, con minime<br />
variazioni rispetto all’altezza, dovute a successive riduzioni. Altre<br />
due <strong>formelle</strong> si conservano nel Museo Barracco <strong>di</strong> Roma (figg. 9-<br />
Sorrento, Museo Correale <strong>di</strong> Terranova<br />
Formella con aquila rivolta a destra cm 51,5 x 44,5 x 7<br />
Formella con aquila rivolta a sinistra cm 52,5 x 44,5 x 7<br />
Formella con pegaso cm 52 x 44,5 x 7<br />
Formella con grifo cm 52 x 44,5 x 7<br />
Formella con fagiani affrontati cm 46 x 44,5 x 7<br />
Formella con pegasi affrontati cm 48,5 x 44,5 x 7<br />
Roma, Museo Barracco<br />
Formella con pegasi affrontati cm 50 x 40 circa<br />
Formella con anatre contrapposte cm 50 x 40 circa<br />
Berlin, Staatliche Museen<br />
Formella con anatre contrapposte cm 51 x 43 circa<br />
Washington, Dumbarton Oaks<br />
Formella con fagiani affrontati cm 50 x 40 circa<br />
15<br />
10). Un’altra fa parte delle raccolte dei Musei Statali <strong>di</strong> Berlino e<br />
un’altra ancora è nella Dumbarton Oaks Collection <strong>di</strong> Washington<br />
D.C.<br />
Non si hanno notizie precise circa il luogo <strong>di</strong> provenienza e<br />
dunque sull’originaria ubicazione delle <strong>formelle</strong>. Una, oggi nel<br />
Museo Correale – quella con fagiani affrontati (fig. 7) –, reca tracce<br />
evidenti <strong>di</strong> degrado causato da agenti marini: erosione per moto<br />
ondoso e forellini a opera <strong>di</strong> organismi epibionti. Analoghi segni<br />
si osservano in un’altra lastra della stessa raccolta (fig. 11), molto<br />
erosa, con partito geometrico a maglia <strong>di</strong> losanghe che includono<br />
uccelli e quadrupe<strong>di</strong> 14 . Si tratta evidentemente <strong>di</strong> marmi recuperati<br />
in mare, in tempi e circostanze che non sono al momento<br />
conosciuti. Nei cataloghi del museo berlinese la formella viene<br />
schedata con specifica dell’acquisizione nel 1912 e dell’ipotetica<br />
provenienza da Salerno 15 , mentre genericamente campana è la provenienza<br />
<strong>di</strong> quella oggi a Washington 16 .<br />
Stante l’identità del partito compositivo, le <strong>formelle</strong> <strong>di</strong> Roma,<br />
Berlino e Washington sono palesemente da riferire allo stesso<br />
gruppo <strong>di</strong> quelle del Museo Correale. In tutte il campo rettangolare<br />
è riquadrato all’identico modo, in primo luogo da una sottile<br />
cornice a listello che corre lungo il perimetro. Questa segna il livello<br />
del piano emergente su quello <strong>di</strong> fondo. Tutti gli elementi figurativi<br />
hanno la stessa profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> rilievo. Al centro si <strong>di</strong>spone<br />
un clipeo contornato da una cornice tripartita. Fra due sottili listelli<br />
corre una serie <strong>di</strong> fuseruole ovoidali alternate ad anellini binati.<br />
Gli spazi derivanti dall’inserimento del clipeo entro il campo<br />
rettangolare sono occupati da elementi fitomorfi a trifoglio con lobi<br />
riccamente sfrangiati e gemma (fiore o frutto) centrale portata<br />
da un lungo picciolo. Entro il clipeo si <strong>di</strong>spongono figure animali<br />
singole (aquila, pegaso, grifo) oppure appaiate (fagiani, pegasi,<br />
anatre). <strong>Le</strong> figure singole sono rivolte a sinistra e in un unico caso<br />
(una delle due aquile) a destra. <strong>Le</strong> figure appaiate si affrontano (fagiani,<br />
pegasi) o si contrappongono (anatre), sempre in schema<br />
aral<strong>di</strong>co.<br />
L’intero gruppo con<strong>di</strong>vide con altre lastre del Museo Correale<br />
analogie tecnico-formali talmente strette, da poter esser riferito allo<br />
stesso arredo liturgico, probabilmente dell’antica cattedrale sorrentina<br />
dei Santi Filippo e Giacomo, giunta a noi nel rifacimento<br />
successivo al XV secolo 17 . Vi si conservano altre lastre, rinvenute<br />
nel corso <strong>di</strong> lavori <strong>di</strong> restauro moderno 18 . In particolare, le <strong>formelle</strong><br />
sembrano la versione, in scala <strong>di</strong>mensionalmente minore ma <strong>di</strong><br />
qualità tecnicamente più accurata e formalmente più raffinata,<br />
delle gran<strong>di</strong> lastre <strong>di</strong> formato sia rettangolare (figg. 1-2, 12) sia<br />
quadrato (fig. 13), utilizzate probabilmente come plutei, anche in<br />
considerazione dell’esistenza, nel Museo Correale, <strong>di</strong> due pilastrini<br />
considerevoli quanto a <strong>di</strong>mensioni 19 . È imme<strong>di</strong>ato rilevare<br />
l’identità <strong>di</strong> dettagli iconografici, anche macroscopici, fra plutei e<br />
<strong>formelle</strong>: a titolo esemplificativo, la figura del grifo (figg. 1, 7), i<br />
pegasi che si abbeverano alla medesima fonte in forma <strong>di</strong> vasca parallelepipeda<br />
(figg. 2, 9-10), le lunghe penne dei fagiani (figg. 7,<br />
12), la coda delle anatre desinente in una grande foglia palmata<br />
(figg. 10, 13).<br />
Quanto alla datazione, non è possibile entrare qui nello specifico,<br />
che implicherebbe una <strong>di</strong>scussione dell’intera cronologia della<br />
produzione scultorea campana fra IX e XI secolo, sorretta da
1. Sorrento, Museo Correale, pluteo<br />
con grifi (da Gli Arabi in Italia<br />
1979)<br />
file troppo<br />
piccolo rimandare<br />
a<br />
300 dpi altezzaalmeno<br />
cm 8<br />
5. Sorrento, Museo Correale, formella<br />
con pegaso (da Gli Arabi in Italia<br />
1979)<br />
2. Sorrento, Museo Correale, pluteo<br />
con pegasi (da Gli Arabi in Italia<br />
1979)<br />
6. Sorrento, Museo Correale, formella<br />
con grifo<br />
7. Sorrento, Museo Correale, formella<br />
con fagiani (da I Bizantini in Italia<br />
1982)<br />
16<br />
3. Sorrento, Museo Correale, formella<br />
con aquila verso destra (da I<br />
Bizantini in Italia 1982)<br />
8. Sorrento, Museo Correale, formella<br />
con pegasi (da Gli Arabi in Italia<br />
1979)<br />
4. Sorrento, Museo Correale,<br />
formella con aquila verso sinistra (da<br />
Gli Arabi in Italia 1979)
9. Roma, Museo Barracco, formella<br />
con pegasi (da La Seta e la sua via<br />
1985)<br />
10. Roma, Museo Barracco, formella<br />
con anatre (da La Seta e la sua via<br />
1985)<br />
scarsissimi appigli documentari e ancora oggi per molte ragioni<br />
controversa. Per l’arredo marmoreo della cattedrale <strong>di</strong> Sorrento sono<br />
state proposte date oscillanti tra l’VIII e il XII secolo 20 , mentre<br />
a mio avviso va collocato in massima parte nei primi decenni dell’XI<br />
secolo.<br />
<strong>Le</strong> <strong>formelle</strong> sono parti smembrate <strong>di</strong> un insieme marmoreo che<br />
comprendeva almeno tre coppie <strong>di</strong> lastre con identica figurazione<br />
ad animali affrontati: fagiani, pegasi, anatre. Due <strong>formelle</strong> recano<br />
un’unica figura animale, l’aquila stemmante, rivolta ora verso destra<br />
ora verso sinistra. Altre due <strong>formelle</strong> mostrano la figura del<br />
grifo e quella del pegaso, che guardano entrambi verso sinistra. Si<br />
potrebbe ipotizzare che, per completare la serie, manchino almeno<br />
due <strong>formelle</strong>, forse un altro grifo e un altro pegaso, affrontati ai<br />
primi ma rivolti verso destra. Si restituirebbero così due coppie <strong>di</strong><br />
<strong>formelle</strong> ad unica figura animale, speculare e affrontata.<br />
È possibile anche un’ipotesi alternativa, che cioè al grifo rivolto<br />
a sinistra si affrontasse un pegaso, e al pegaso un grifo, entrambi<br />
isolati nel campo figurativo della singola formella. Questa ipotesi<br />
trova il conforto <strong>di</strong> un pluteo originariamente parte dello stesso<br />
arredo, ma ora <strong>di</strong>viso in due frammenti, uno col pegaso (fig.<br />
14), reimpiegato nella navata laterale destra della cattedrale della<br />
Santissima Annunziata a Vico Equense 21 , l’altro con grifo nel Museo<br />
Correale (fig. 15). In origine i due quadrupe<strong>di</strong> dovevano affrontarsi<br />
all’albero della vita, che sopravvive nel frammento <strong>di</strong> Vico<br />
Equense 22 . L’ipotesi è avvalorata anche da un pluteo iconograficamente<br />
simile ma <strong>di</strong> datazione leggermente più alta (seconda<br />
metà del X secolo), rinvenuto in mare presso l’isola <strong>di</strong> San Macario<br />
(costa sud-occidentale sarda) e oggi nel Museo Archeologico<br />
Nazionale <strong>di</strong> Cagliari 23 . Nel campo figurativo un grifo e pegaso si<br />
affrontano all’albero della vita (fig. 16).<br />
Non mi è riuscito <strong>di</strong> elaborare una plausibile restituzione del<br />
manufatto liturgico, forse un ambone, cui appartenevano le <strong>formelle</strong><br />
sorrentine. <strong>Le</strong> sei del Museo Correale, che ho potuto analizzare<br />
più agevolmente, presentano tutte dei lunghi listelli in aggetto,<br />
a sezione quadrata (figg. 17-18). Soltanto una – quella con<br />
l’aquila rivolta a sinistra (fig. 4) – conserva i listelli d’incastro in<br />
tutt’e quattro gli spessori, mentre le altre cinque li hanno persi ora<br />
17<br />
11. Sorrento, Museo Correale, pluteo<br />
con trama geometrica (da I Bizantini<br />
in Italia 1982)<br />
in alto, ora in basso, ora su un lato. Sembra evidente che detti listelli<br />
servissero a incastrare le <strong>formelle</strong> in elementi pure marmorei<br />
destinati a incorniciarle, raccordandole entro un telaio strutturale<br />
e figurativo omogeneo. Nessuna <strong>di</strong> queste cornici è giunta fino a<br />
noi o è comunque identificabile come tale.<br />
<strong>Le</strong> <strong>formelle</strong> sono scolpite in un marmo bianco a grana fine, apparentemente<br />
lunense, in quanto privo delle venature grigie, tipiche<br />
del proconnesio. L’eventualità che si trattasse <strong>di</strong> marmi <strong>di</strong> età<br />
classica precedentemente già lavorati sembra confermata da una<br />
peculiarità della lastra con pegasi affrontati (fig. 8). Si tratta <strong>di</strong><br />
un’incisione curvilinea sul margine sinistro della faccia frontale, assai<br />
<strong>di</strong>versa dalle incisioni superficiali accidentalmente o intenzionalmente<br />
prodotte dopo l’esecuzione del rilievo col clipeo a fuseruole<br />
e la figurazione zoomorfa.<br />
Questa profonda incisione preesisteva al rilievo come oggi lo si<br />
vede 24 . Probabilmente l’originario decoro della lastra venne rimosso,<br />
abbassandone la superficie e rilavorandola a eccezione del punto<br />
dove corre l’incisione, peraltro secondario in quanto interessa la<br />
cornice. Qui non fu possibile abbassare ulteriormente il piano utile<br />
alla lavorazione e pertanto si mantenne l’incisione curvilinea,<br />
confidando probabilmente su una finitura a stucco policromo, che<br />
doveva celarla alla vista.<br />
Poco <strong>di</strong>stante dall’incisione si nota un profondo foro <strong>di</strong> trapano,<br />
ad andamento obliquo e <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro molto maggiore rispetto<br />
agli altri fori che in <strong>di</strong>verse <strong>formelle</strong> definiscono i dettagli della figurazione.<br />
Il foro non sembra prodotto da agenti marini come il<br />
dattero, mollusco che scava il suo alloggio nella pietra sommersa:<br />
a <strong>di</strong>fferenza d’altre della stessa raccolta museale (figg. 7, 11), la lastra<br />
con i pegasi non presenta nessun segno evidente <strong>di</strong> erosione da<br />
parte <strong>di</strong> agenti marini. Anche questo foro sembra preesistere al rilievo<br />
e deriva probabilmente dalla lavorazione scultorea, operata in<br />
età classica, del marmo poi reimpiegato per scolpire la formella.<br />
In ogni formella il rilievo deriva da una successione <strong>di</strong> piani paralleli,<br />
a spigoli dolcemente arrotondati, il che conferisce alla scultura<br />
una particolare morbidezza <strong>di</strong> contrasti luce/ombra, del tutto<br />
assente in rilievi campani e sar<strong>di</strong> culturalmente e iconograficamente<br />
simili ma <strong>di</strong> datazione più alta, come ad esempio il pluteo con
12. Sorrento, Museo Correale, pluteo<br />
con anatre (da Gli Arabi in Italia<br />
1979)<br />
13. Sorrento, Museo Correale, lastra<br />
con anatre<br />
figg. 13, 14, 15, 17, 18, 19, 20<br />
file troppo piccoli<br />
14. Vico Equense, cattedrale,<br />
frammento con pegaso<br />
15. Sorrento, Museo Correale,<br />
frammento con grifo<br />
18<br />
16. Cagliari, Museo Archeologico<br />
Nazionale, pluteo con grifo e pegaso<br />
17. Sorrento, Museo Correale,<br />
formella con pegaso, particolare<br />
18. Sorrento, Museo Correale,<br />
formella con pegasi, particolare<br />
grifo e pegaso del Museo Archeologico Nazionale <strong>di</strong> Cagliari, che<br />
appare lavorato secondo una successione <strong>di</strong> piani come ritagliati e<br />
appoggiati l’uno sull’altro, con spigoli quasi ad angolo retto. Al<br />
contrario, il trattamento scultoreo delle figure animali nelle <strong>formelle</strong><br />
risulta lo stesso <strong>di</strong> quello dei grifi, dei pegasi e delle anatre<br />
nei plutei, con spigoli dolcemente arrotondati, che si accompagnano<br />
a una peculiare corposità del rilievo.<br />
Nella formella con grifo una delle zampe posteriori rivela una<br />
singolarità: gli unghioni felini si ritagliano non sul piano <strong>di</strong> fondo<br />
del rilievo, bensì su una forma che segue genericamente l’andamento<br />
curvilineo dell’estremità della zampa.<br />
Il dettaglio è meglio visibile in un frammento marmoreo (fig.<br />
19) reimpiegato all’esterno, in una delle vie del centro storico <strong>di</strong><br />
Sorrento, che conserva entro una cornice a largo listello piatto il<br />
residuo <strong>di</strong> una zampa, nella quale gli artigli sono scolpiti all’interno<br />
<strong>di</strong> una forma similmente curvilinea. Si tratta a mio avviso del<br />
frammento <strong>di</strong> un parapetto d’ambone con la pistrice, simile ai due<br />
conservati nel Museo Correale, uno integro (fig. 20), l’altro frammentario,<br />
entrambi della seconda metà dell’XI se non del pieno<br />
XII secolo 25 .<br />
Forse il parapetto non fu finito e la zampa della pistrice rimase,<br />
come quella del grifo nella formella, allo sta<strong>di</strong>o semilavorato. Se<br />
così fosse, la forma curvilinea sarebbe dovuta sparire completamente<br />
con l’ultimazione degli unghioni, me<strong>di</strong>ante asportazione<br />
del marmo sino a raggiungere il fondo. Se la deduzione corrispondesse<br />
al vero, si avrebbe qui un’importante in<strong>di</strong>cazione sul fatto<br />
che la sagoma utilizzata per riportare sulla superficie del marmo la<br />
figura degli animali (il grifo e la pistrice) fosse in realtà una sagoma<br />
generica, adattabile alle specifiche esigenze iconografiche caso<br />
per caso: un contorno dai dettagli in<strong>di</strong>stinti, destinati ad essere<br />
puntualizzati come unghioni soltanto al momento della finitura<br />
del rilievo in forma <strong>di</strong> grifo o <strong>di</strong> pistrice.<br />
Per l’inquadratura ornamentale <strong>di</strong> tutte le <strong>formelle</strong> fu utilizzata<br />
del resto un’unica sagoma standard, che servì a riportare sul marmo<br />
il clipeo circolare a cornice tripartita con due listelli marginali intercalati<br />
da fuseruole alternate ad anellini binati, come pure gli elementi<br />
fitomorfi a trifoglio, che occupano i cantonali <strong>di</strong> risulta. All’interno<br />
del clipeo si operò invece la variazione dei motivi ornamentali,<br />
secondo <strong>di</strong>fferenti modalità <strong>di</strong> utilizzo delle sagome.<br />
Una delle <strong>formelle</strong> ospita l’aquila rivolta verso destra (fig. 3), e<br />
la stessa sagoma fu riportata in altra formella (fig. 4), dove la figura<br />
è speculare, in quanto la sagoma venne ribaltata in controparte,
19. Sorrento, centro storico,<br />
frammento con zampa<br />
20. Sorrento, Museo Correale,<br />
parapetto con pistrice<br />
operandovi minimi adattamenti ad esempio nella testa dell’uccello,<br />
più corposa e leggermente ritratta all’in<strong>di</strong>etro. In altri casi (figg.<br />
7-10) la stessa sagoma, raffigurante ora un fagiano, ora un pegaso,<br />
ora un’anatra, fu adoperata non in una <strong>di</strong>versa ma nella stessa formella,<br />
ribaltandola per tracciare sul marmo il contorno dell’animale<br />
affrontato al primo. La sagoma a contorni generici utilizzata per<br />
il pegaso isolato nella singola formella (fig. 5) servì anche per il grifo<br />
in identica situazione (fig. 6). Probabilmente le estremità delle<br />
zampe, rese a contorno generico nella sagoma, furono poi modellate<br />
come zoccoli nel primo caso, come unghioni nel secondo. Allo<br />
stesso modo si operò per quanto riguarda la testa, al fine <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenziare<br />
i due quadrupe<strong>di</strong>.<br />
Per quanto concerne l’iconografia, si è da sempre affermato che<br />
i motivi zoomorfi delle <strong>formelle</strong> <strong>di</strong> Sorrento, come pure quelli <strong>di</strong><br />
tanta parte della figurazione animalistica campana, derivano da<br />
modelli attinti dai tessuti serici <strong>di</strong> produzione orientale, che circolavano<br />
ampiamente in ambito me<strong>di</strong>terraneo, come risulta dalla testimonianza<br />
non solo dei lacerti serici ritrovati all’interno <strong>di</strong> croci<br />
o urne-reliquiario, o inseriti a mo’ <strong>di</strong> cuscino nelle sepolture, ma<br />
anche da quella delle fonti scritte. Stante la necessità <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere<br />
fra prototipi e modelli, la derivazione dai tessuti <strong>di</strong>fficilmente<br />
può essere negata, per le evidenti consonanze formali sia <strong>di</strong> partiti<br />
compositivi, sia <strong>di</strong> singoli motivi, fra la scultura campana e sarda<br />
del IX-XI secolo e i prototipi tessili tardoantichi, specie <strong>di</strong> produzione<br />
egiziana o sasanide, come pure i modelli costantinopolitani,<br />
iranici e iberici, che ne derivarono. Tuttavia la precisazione dei<br />
prototipi e dei modelli non è operazione facile, se si considerano<br />
le notevoli <strong>di</strong>scordanze che investono la lettura dei tessuti rispetto<br />
sia ai luoghi <strong>di</strong> produzione, sia alla cronologia, non sempre circoscrivibili<br />
con esattezza 26 .<br />
In funzione del pegaso d’una delle <strong>formelle</strong> sorrentine (fig. 5),<br />
è da rilevare come la posizione sollevata d’una delle zampe anteriori<br />
lo allontani dai possibili prototipi in tessuti a rotae <strong>di</strong> lino e lana<br />
<strong>di</strong> produzione egiziana – come i lacerti del Benaki Museum <strong>di</strong><br />
Atene, ascritto al V-VI secolo, e dell’Abegg-Stiftung <strong>di</strong> Riggisberg,<br />
ascritto al VII-VIII secolo – e lo accosti invece a tessuti in seta più<br />
recenti, ritenuti <strong>di</strong> produzione costantinopolitani, come il lacerto<br />
a pegasi passanti del Museo Sacro della Biblioteca Apostolica Vaticana,<br />
proveniente dal tesoro del Sancta Sanctorum al Laterano,<br />
ascritto all’VIII secolo-inizi del IX secolo, o quello a rotae del Museu<br />
Textil i d’Indumentaria <strong>di</strong> Barcellona, ascritto fra il IX e il XII<br />
secolo 27 .<br />
19<br />
Sia per la posizione del muso rivolto verso il basso, con le ali<br />
che puntano <strong>di</strong>ritte verso l’alto, la coppia <strong>di</strong> pegasi d’altre <strong>formelle</strong><br />
sorrentine (figg. 8-9) rimanda invece puntualmente a prototipi<br />
identificabili nel novero dei tessuti in seta o dei piatti in argento<br />
comunemente ritenuti <strong>di</strong> produzione iranica, nello specifico sasanide,<br />
del V-VII secolo, come il piatto in argento già nella collezione<br />
Kleyman <strong>di</strong> New York 28 .<br />
Il riferimento a prototipi o modelli in oggetti d’arte suntuaria<br />
<strong>di</strong> produzione orientale, sasanide o iranica, serve anche a meglio<br />
identificare il volatile d’altra formella (fig. 7), solitamente definito<br />
come un gallo: si tratta più verosimilmente <strong>di</strong> un fagiano, dotato<br />
<strong>di</strong> lunga coda ricurva e curiosamente <strong>di</strong> orecchie nella formella<br />
sorrentina, orecchie che probabilmente derivano dal frainten<strong>di</strong>mento<br />
dei bargigli caratteristici del volatile, come si vedono in un<br />
frammento <strong>di</strong> caftano su pelliccia dell’Ermitage <strong>di</strong> San Pietroburgo,<br />
ascritto all’VIII secolo-prima metà del IX secolo 29 .<br />
I molteplici richiami ai tessuti quale fonte <strong>di</strong> modelli iconografici<br />
obbligano a questo punto a tornare sulla problematica relativa<br />
ai plutei <strong>di</strong> Sant’Aspreno a Napoli 30 , anch’essi fluttuanti quanto a<br />
datazione ma collocabili nella seconda metà del X secolo. A mio<br />
avviso, da un lato si ra<strong>di</strong>cano al contesto territoriale e devozionale<br />
campano con l’intenzionale richiamo al locale prototipo della fine<br />
IV-inizi V secolo rappresentato dalle lastre <strong>di</strong> recinzione del martyrium<br />
<strong>di</strong> San Felice in Pincis a Cimitile 31 , che presentano identica<br />
maglia a losanghe; dall’altro lo attualizzano con l’inserimento <strong>di</strong><br />
figure animali, me<strong>di</strong>ate dai tessuti serici orientali, che dovevano esser<br />
presenti a Napoli alla metà del X secolo. La stoffa <strong>di</strong> lana e lino<br />
col Sacrificio <strong>di</strong> Isacco, <strong>di</strong> produzione copta, richiamata dal Volbach<br />
e da Mario Rotili in quanto compositivamente la più simile<br />
ai plutei <strong>di</strong> Sant’Aspreno per il partito a losanghe che inseriscono<br />
figure animali sempre variate, già ritenuta del V-VI secolo, è stata<br />
da ultimo posticipata al IX-X secolo da Marie-Hélene Rutschowsakaya<br />
32 : viene così a cadere la <strong>di</strong>fficoltà della lunga durata dei modelli<br />
e se ne recupera uno tessile, pertinente e coevo.<br />
Inoltre, l’oratorio <strong>di</strong> Sant’Aspreno è nella zona del porto antico<br />
e peraltro anche noto come Sant’Aspreno ai tintori, essendo ubicato<br />
dove avevano sede i laboratori per la tintura dei tessuti. Si<br />
trattava probabilmente <strong>di</strong> tessuti in lino, industria per la quale Napoli<br />
viene ricordata in una fonte islamica come luogo <strong>di</strong> una fiorente<br />
industria, che produceva manufatti anche per l’esportazione.<br />
Deve trattarsi degli stessi tessuti preziosi in genere, che mercanti<br />
amalfitani recarono in dono alla sublime porta <strong>di</strong> Cordova, in una
missione del 942, tesa a ottenere privilegi commerciali nel Me<strong>di</strong>terraneo<br />
occidentale. La fonte è la Cronaca <strong>di</strong> Ibn Hayyân 33 , nativo<br />
<strong>di</strong> Cordova, stilata intorno alla metà dell’XI secolo, come nuova<br />
e<strong>di</strong>zione delle cronache ispano-arabe <strong>di</strong> età anteriore. Con riferimento<br />
agli anni del regno <strong>di</strong> ‘Abd ar-Rahmân III, essa riporta la<br />
richiesta <strong>di</strong> concessione <strong>di</strong> un trattato <strong>di</strong> pace, <strong>di</strong> cui si fece latore<br />
un messaggero del “signore dell’isola <strong>di</strong> Sardegna”, recatosi a Cordova<br />
assieme a mercanti amalfitani, forse gli stessi che in precedenza<br />
avevano chiesto e ottenuto un salvacondotto per scambi commerciali<br />
con l’Andalusia: “Nel marzo 942 alcuni mercanti amalfitani<br />
arrivarono a Cordova. Essi vennero per mare in al-Andalus,<br />
volendo farvi commercio con le merci che essi portavano. Non si<br />
ha conoscenza alcuna – prima dell’epoca <strong>di</strong> al-Nasir […] – che essi<br />
siano mai penetrati nel nostro paese, né siano arrivati ai nostri<br />
porti, né per terra né per mare. Essi sollecitarono il salvacondotto<br />
del sultano. Questi mercanti portavano prodotti meravigliosi del<br />
loro paese: fini broccati, porpore eccellenti e altre merci preziose,<br />
la maggior parte delle quali acquistò al-Nasir a prezzo mo<strong>di</strong>co e il<br />
resto i suoi cortigiani e i commercianti della capitale. Tutti fecero<br />
buoni affari e furono sod<strong>di</strong>sfatti delle transazioni. Più tar<strong>di</strong> i loro<br />
successori continuarono a venire in al-Andalus e ciò fu <strong>di</strong> grande<br />
vantaggio […] Il martedì 24 agosto 942, un messaggero del signore<br />
dell’isola <strong>di</strong> Sardegna si presentò alla Porta <strong>di</strong> al-Nasir […] chiedendo<br />
la concessione <strong>di</strong> un trattato <strong>di</strong> pace e <strong>di</strong> amicizia. Con lui<br />
vennero dei mercanti, gente <strong>di</strong> Malfat, conosciuti in al-Andalus<br />
come amalfitani, con tutto l’assortimento delle loro preziose merci:<br />
lingotti d’argento puro, broccati, ecc. […] transazioni da cui si<br />
trasse guadagno e gran<strong>di</strong> vantaggi”.<br />
La stessa fonte islamica riferisce che i mercanti amalfitani ot-<br />
20<br />
tennero a loro volta in dono tessuti e altri oggetti preziosi, da riportare<br />
in patria. È il caso <strong>di</strong> sottolineare che i motivi <strong>di</strong> lunga durata<br />
e <strong>di</strong> ascendenza orientale poterono giungere in occidente tanto<br />
dalla <strong>di</strong>rezione est (costantinopolitana o islamica) quanto da<br />
quella ovest, cioè dalla penisola iberica in cui la presenza araba determinava<br />
l’irra<strong>di</strong>azione <strong>di</strong> modelli anche questi <strong>di</strong> ascendenza sasanide,<br />
me<strong>di</strong>ati dal canale <strong>di</strong> trasmissione omayade, che la storiografia<br />
dell’ultimo decennio ha riconosciuto valido anche per la<br />
massima parte della produzione scultorea ispanica fra l’VIII e il X<br />
secolo 34 .<br />
Lo schema compositivo delle <strong>formelle</strong> sorrentine pone però<br />
problemi che coinvolgono anche un altro, <strong>di</strong>verso orizzonte culturale.<br />
Il clipeo tripartito a fuseruole e i trifogli angolari hanno stretto<br />
riscontro in una serie <strong>di</strong> <strong>formelle</strong> eburnee provenienti da un<br />
piatto <strong>di</strong> legatura oggi smembrato fra il Museo Nazionale <strong>di</strong> Ravenna,<br />
il Victoria and Albert Museum <strong>di</strong> Londra e una collezione<br />
privata fiorentina. Sulla base del ricorrere dello stesso partito e delle<br />
generali consonanze con avori della cosiddetta “scuola <strong>di</strong> Ada”,<br />
prodotti in laboratori legati alla corte <strong>di</strong> Carlomagno, nonché con<br />
la miniatura <strong>di</strong> un co<strong>di</strong>ce della Bibliothèque nationale <strong>di</strong> Cambrai,<br />
il piatto <strong>di</strong> legatura è stato datato da Clementina Rizzar<strong>di</strong> alla fine<br />
dell’VIII secolo e riferito alla produzione aulica carolingia, anche<br />
nel catalogo della recente mostra <strong>di</strong> Paderborn. 35 A volerlo mantenere<br />
in quest’ambito, notandone comunque le iscrizioni IC e XC in<br />
greco nella formella col Cristo, bisognerebbe ipotizzare o un canale<br />
<strong>di</strong> trasmissione <strong>di</strong> modelli dall’Italia settentrionale carolingia alla<br />
costa campana, o la <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> prototipi tardoantichi, comuni<br />
ai due ambiti geografico-culturali.
* Ricerca nell’ambito del P.R.I.N. 2002-04, coor<strong>di</strong>nato da Maria Andaloro e finalizzato<br />
alla creazione <strong>di</strong> una banca dati su <strong>di</strong>pinti e sculture in Italia e a Bisanzio<br />
fra il IV e il XV secolo.<br />
1 É. Bertaux, L’art dans l’Italie méri<strong>di</strong>onale, I, Paris 1903, p. 80. Cfr. anche V.<br />
Kienerk, in L’art dans l’Italie méri<strong>di</strong>onale. Aggiornamento dell’opera <strong>di</strong> Émile Bertaux<br />
sotto la <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> Adriano Pran<strong>di</strong>, Roma,1978, pp. 255-256.<br />
2 A. Venturi, Storia dell’arte italiana, III, L’arte romanica, Milano 1904, pp. 528-<br />
529. Cfr. anche R. Filangieri <strong>di</strong> Can<strong>di</strong>da, Sorrento e la sua penisola, Bergamo<br />
1917, pp. 88-95.<br />
3 P. Toesca, Storia dell’arte italiana. Il Me<strong>di</strong>oevo, Torino 1927, p. 442, nota 21,<br />
pp. 849, 908, nota 78.<br />
4 M.T. Tozzi, Sculture me<strong>di</strong>oevali nell’antico duomo <strong>di</strong> Sorrento, Roma 1931.<br />
5 A.O. Quintavalle, Plutei e frammenti d’ambone nel Museo Correale a Sorrento,<br />
“Rivista del R. Istituto d’Archeologia e Storia dell’Arte”, III 1931-32, pp. 160-<br />
183.<br />
6 W.F. Volbach, Oriental Influences in the Animal Sculpture of Campania, “The<br />
Art Bulletin”, XXIV 1942, pp. 174-178.<br />
7 A. Grelle, Frammenti me<strong>di</strong>oevali nella cattedrale <strong>di</strong> Sorrento, Napoli 1962.<br />
8 C. Ebanista, Ine<strong>di</strong>ti elementi <strong>di</strong> arredo scultoreo altome<strong>di</strong>evale da Sorrento, “Ren<strong>di</strong>conti<br />
della Accademia <strong>di</strong> Archeologia <strong>Le</strong>ttere e Belle Arti”, n.s., LXX 2001, pp.<br />
269-306.<br />
9 F. Aceto, Pittura e scultura dal Tardo-antico al Trecento, in Storia del Mezzogiorno,<br />
XI, 4, Napoli 1993, pp. 322-323; F. Abbate, Storia dell’arte nell’Italia meri<strong>di</strong>onale.<br />
Dai longobar<strong>di</strong> agli svevi, Roma 1997, pp. 84-86.<br />
10 M. Rotili, L’arte a Napoli dal VI al XIII secolo, Napoli 1978, pp. 51-52; F. Gandolfo,<br />
La scultura normanno-sveva in Campania. Botteghe e modelli, Roma-Bari<br />
1999, pp. 9-11; R. Coroneo, Scultura me<strong>di</strong>obizantina in Sardegna, Nuoro 2000,<br />
pp. 162-166.<br />
11 F. Gabrieli-U. Scerrato, Gli Arabi in Italia, Milano 1979, pp. 361-362, figg.<br />
393-394, 398-401, p. 459, fig. 512.<br />
12 R. Farioli Campanati, La cultura artistica nelle regioni bizantine d’Italia dal VI<br />
all’XI secolo, in I Bizantini in Italia, Milano 1982, pp. 256-257, schede 144-148,<br />
151.<br />
13 V. Pace, Scultura dell’Alto Me<strong>di</strong>oevo a Sorrento, in Il futuro dei Longobar<strong>di</strong>. L’Italia<br />
e la costruzione dell’Europa <strong>di</strong> Carlo Magno Catalogo della mostra, a cura <strong>di</strong><br />
G. Bertelli, G.P. Brogiolo, Milano 2000, pp. 449-450, schede 429, 431-432.<br />
14 R. Farioli Campanati, La cultura artistica cit., p. 256, scheda 144.<br />
15 Staatliche Museen zu Berlin, Bildwerke des Kaiser Friedrich-Museums, Mittelalterliche<br />
Bildwerke aus Italien und Byzanz, a cura <strong>di</strong> W.F. Volbach, Berlin-<strong>Le</strong>ipzig<br />
1930 (II ed.), p. 58, n. 6683.<br />
16 G. Vykan, Catalogue of the Sculpture in the Dumbarton Oaks Collection from<br />
the Ptolemaic Period to the Renaissance, Washington D.C. 1995, pp. 91-95.<br />
17 C. Ebanista, Ine<strong>di</strong>ti elementi cit., pp. 287-288.<br />
18 A. Grelle, Frammenti me<strong>di</strong>oevali cit., p. 7.<br />
19 V. Pace, Scultura cit., p. 450, scheda 433.<br />
20 Cfr. l’accurata rassegna storiografica in C. Ebanista, Ine<strong>di</strong>ti elementi cit., pp.<br />
296-299.<br />
21 R. Pane, Sorrento e la costa, Napoli 1955, fig. 77.<br />
22 Il riconoscimento della provenienza dei due frammenti (Vico Equense e Correale)<br />
da un’unica lastra si deve al prof. Mario Russo, che ha in preparazione una<br />
monografia sui marmi <strong>di</strong> Sorrento.<br />
23 R. Coroneo, Scultura cit., p. 220, scheda 4.8.<br />
24 Devo anche questa osservazione all’amico Mario Russo, che ringrazio per la<br />
collaborazione.<br />
25 R. Farioli Campanati, La cultura artistica cit., pp. 10-11, fig. 20<br />
26 A. Muthesius, Stu<strong>di</strong>es in Silk in Byzantium, London 2004.<br />
21<br />
27 La Seta e la sua via, a cura <strong>di</strong> M.T. Luci<strong>di</strong>, Roma 1994, pp. 169, 204 scheda<br />
e fig. 39 (Atene), p. 108, fig. 11 (Riggisberg), pp. 170-171, 229, scheda e fig. 45<br />
(Città del Vaticano), pp. 168, 202, scheda e fig. 34 (Barcellona).<br />
28 P. Fe<strong>di</strong>, Il Cavallo alato, in La Seta cit., p. 140, fig. 2.<br />
29 A. Santoro, La seta e le sue testimonianze in Asia Centrale, in La Seta cit., p. 45,<br />
fig. 2.<br />
30 G.A. Galante, Guida sacra della città <strong>di</strong> Napoli, Napoli 1872, pp. 314-316; M.<br />
Schipa, La cappella <strong>di</strong> S. Aspreno, “Napoli Nobilissima”, I 1982, pp. 113-117; B.<br />
Croce, Sommario critico della Storia dell’arte nel Napoletano, III, Arte dei bassi<br />
tempi ed arte bizantina (secoli VI-X), “Napoli Nobilissima”, II 1893, pp. 38-39<br />
(fine VIII-inizi IX secolo); V. Spinazzola, La cripta <strong>di</strong> S. Aspreno dopo le nuove scoperte,<br />
“Napoli Nobilissima”, II 1893, pp. 174-175; U. Monneret de Villard, <strong>Le</strong><br />
transenne <strong>di</strong> Sant’Aspreno e le stoffe alessandrine, “Aegyptus”, IV 1923, pp. 65-71<br />
(IX sec.); P. Toesca, Storia dell’arte cit., p. 440 (fine X secolo); M.T. Tozzi, Di alcune<br />
sculture me<strong>di</strong>oevali della Campania, “Bollettino d’Arte”, XXV/6 <strong>di</strong>cembre<br />
1931, pp. 276-278 (X secolo); W.F. Volbach, Sculture me<strong>di</strong>oevali della Campania,<br />
“Atti della Pontificia Accademia Romana <strong>di</strong> Archeologia. Ren<strong>di</strong>conti”, XII<br />
1936, pp. 82-84 (X secolo); Id., Oriental Influences cit., p. 174 (X secolo); A.O.<br />
Quintavalle, Plutei cit., p. 167 (fine X secolo); H. Belting, Die Basilica dei SS.<br />
Martiri in Cimitile und ihr frühmittelalterlicher Freskenzyklus, Wiesbaden 1962,<br />
pp. 146-149, 185-188 (fine IX secolo-inizi X secolo); A. Ven<strong>di</strong>tti, Architettura<br />
bizantina nell’Italia meri<strong>di</strong>onale, II, Napoli 1967, pp. 501-508 (X secolo); M.<br />
Rotili, L’arte a Napoli cit., p. 43 (fine IX secolo-inizi X secolo); R. Farioli Campanati,<br />
La cultura artistica cit., p. 256, scheda 79 (X secolo); F. Aceto, Sculture<br />
in costiera <strong>di</strong> Amalfi nei secoli VIII-X: prospettive <strong>di</strong> ricerca, “Rassegna Storica Salernitana”,<br />
I/2 1984, fig. 20 (fine IX secolo); F. Gabrieli-U. Scerrato, Gli Arabi<br />
cit., figg. 378-379 (IX-X secolo); G. Cavallo, <strong>Le</strong> tipologie della cultura nel riflesso<br />
delle testimonianze scritte, in Bisanzio, Roma e l’Italia nell’alto Me<strong>di</strong>oevo Atti<br />
della XXXIV settimana <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o del Centro italiano <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> sull’alto me<strong>di</strong>oevo,<br />
Spoleto 1988, p. 494 (ante VIII secolo, ma sulla base dell’epigrafe); F. Aceto, Pittura<br />
e scultura cit., p. 322 (fine IX secolo-inizi X secolo); A. Guillou, Recueil des<br />
inscriptions grecques mé<strong>di</strong>évales d’Italie, Roma 1996, scheda 122 (VIII secolo?); F.<br />
Abbate, Storia dell’arte cit., pp. 82-83 (IX secolo); F. Gandolfo, La scultura cit.,<br />
pp. 8-9 (X secolo?); R. Coroneo, Scultura cit., pp. 159-160 (seconda metà del X<br />
secolo).<br />
31 C. Ebanista, Et manet in me<strong>di</strong>is quasi gemma intersita tectis. La basilica <strong>di</strong> S.<br />
Felice a Cimatile. Storia degli scavi fasi e<strong>di</strong>lizie reperti, Napoli 2003, pp. 208-209.<br />
32 M.-H. Rutschowscaya, Coptic Fabrics, Paris 1990, pp. 128-129.<br />
33 C. Renzi Rizzo, I rapporti <strong>di</strong>plomatici fra il re Ugo <strong>di</strong> Provenza e il califfo ‘Abd<br />
ar-Rahmân III: fonti cristiane e fonti arabe a confronto, “Reti Me<strong>di</strong>evali”, rivista<br />
online, www.storia.unifi.it/_RM/rivista/saggi/Renzi.htm<br />
34 Visigodos y Omeyas: un debate entre la antigüedad tardía y la alta edad me<strong>di</strong>a,<br />
“Anejos del Archivo Español de Arqueología”, XXIII 2000.<br />
35 C. Rizzar<strong>di</strong>, Gli avori del Museo Nazionale <strong>di</strong> Ravenna: due <strong>formelle</strong> <strong>di</strong> età carolingia,<br />
“Felix Ravenna”, CXXVII-CXXX 1984-85, pp. 405-418; M. Collareta,<br />
Per la ricostruzione <strong>di</strong> un capolavoro della scultura in avorio, “Paragone”,<br />
CCCCXLV marzo 1987, pp. 3-12; P. Williamson, Halbfigur Christi, Symbol des<br />
Evangelisten Matthäus, Symbol des Evangelisten Johannes, in 799, Kunst und Kultur<br />
der Karolingerzeit, Karl der Große und Papst <strong>Le</strong>o III. in Paderborn, II Catalogo<br />
della mostra, Mainz a.R. 1999, pp. 749-750, scheda X.31-33; P. Novara, Formella<br />
eburnea con raffigurazione del busto <strong>di</strong> Cristo, Formella eburnea con raffigurazione<br />
dell’angelo, simbolo <strong>di</strong> san Matteo, Formella eburnea con rappresentazione<br />
del bue, simbolo <strong>di</strong> san Luca, in , pp. 340-341, schede 333-335.<br />
Referenze fotografiche<br />
Dove non <strong>di</strong>versamente in<strong>di</strong>cato, le foto sono dell’autore.