L'INCANTESIMO DI DICKENS 8 Prodigi e portenti dell'esistenza quotidiana nei capolavori del maestro inglese di Edoardo Rialti saggio pretesti| Febbraio 2012
In mezzo a quel gran mare spumeggiante d'allegria che è Il circolo Pickwick, con le sue farse e le sue avventure picaresche, dove, come nel Don Chisciotte, la ridicola goffaggine dei protagonisti si carica pagina dopo pagina d'un aureola di gioiosa santità, d'un tratto il lettore si trova esposto alla gelida corrente di un racconto del tutto diverso, e rabbrividisce: si racconta la storia di una famigliola imprigionata per debiti. La madre ed il bambino muoiono di stenti, e l'uomo rimane solo. Ed ecco che il narratore fa un passo avanti, come incapace a trattenersi dal ribadire qualcosa di decisivo: “Non sa, chi definisce freddamente la morte dei poveri come una benefica liberazione dal dolore per chi se ne va, e una provvidenziale diminuzione delle spese per chi gli sopravvive, non sa, dicevo, quale sia l'angoscia di questi lutti. Uno sguardo affettuoso e premuroso scambiato in silenzio quando tutti hanno distolto freddamente il loro, la sicurezza di aver conservato la simpatia e l'affetto di un essere umano quando tutti ci hanno voltato le spalle, sono un'àncora, un sostegno, un conforto nella più profonda afflizione, e nessuna ricchezza può comprarli, nessuna potenza può renderli obbligatori”. Tanta parte della forza artistica di Dickens costituisce proprio una vasta cassa di risonanza a quel “non sa”: la sua forza nell'additare ancora e ancora la glaciale indifferenza di chi (come lo Scrooge che vedrebbe di buon grado la morte dei senza tetto, se questo può abbassare l'eccesso di popolazione) riposa nello stato attuale delle cose, ben disposto a conservarlo se ciò comporta il proprio benessere e la propria sicurezza, ma anche dell'altrettanto gelida astrazione 9 dei cosiddetti riformatori sociali, così innamorati delle proprie buone intenzioni e dal proprio amore per l'umanità intera per lasciarsi davvero commuovere e coinvolgere dalle vite di coloro che incontrano. Se Manzoni ci ha regalato Donna Prassede e il suo stolido moralismo, i romanzi di Dickens pullulano di figure simili, la cui apparente benevolenza si è fatta indistinguibile dalla crudeltà. Basti pensare al grottesco ritratto in Casa desolata della Signora Pardiggle, che si pavoneggia nel presentare alle amiche i figli che ha coinvolto a forza nelle sue attività benefiche: “Egbert, il maggiore (dodici anni), è il ragazzino che spedì tutto quello che aveva in tasca, ossia cinque scellini e tre pence, agli Indiani Tockahoopo. Oswald, il secondogenito (dieci anni e mezzo) è il bam pretesti| Febbraio 2012