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ARIMINUM sett/ottobre - Rotary Club Rimini

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L’auto sfrecciava sulle rampe per San<br />

Marino a oltre cento chilometri l’ora. Il<br />

superamento di quella velocità mitica,<br />

attestato dalla lancetta del “contachilometri”<br />

(così era detto quel quadrante,<br />

nessuno lo chiamava “tachimetro”),<br />

scatenava la mia esultanza assieme a<br />

inevitabili rigurgiti, dovuti all’appendice<br />

prossima alla cancrena, alla velocità,<br />

alla strada (con buche d’ogni tipo, specie<br />

nei lunghi tratti non asfaltati) e ai<br />

“tourniquet” (francesismo in voga, più<br />

chic del nostro lento e faticoso “tornante”,<br />

allora conosciuto quasi esclusivamente<br />

dai ciclisti tifosi di Bartali e<br />

Coppi e dagli autisti delle traballanti<br />

“corriere”).<br />

Tornai quindi a frequentare la parrocchia appena ristabilito, a<br />

<strong>sett</strong>embre inoltrato del ‘49 (La degenza era stata lunga e sofferta,<br />

con poche consolazioni, fra cui, al tramonto, quella di poter<br />

vedere dalle murate dell’Ospedale il rientro delle comparse in<br />

momento di quei giorni e di quelle notti con il conforto almeno del<br />

vostro volto amico, di una coperta, di una bevanda calda.<br />

*<br />

Soccorrete le persone indotte a far merce di sé. So che dovrete<br />

superare con delicatezza le difficoltà dell’approccio. Se vi riuscirete,<br />

però, scoprirete che rivolgere loro con il cuore la mia esortazione<br />

a tornare sé stesse è molto più semplice e ancora più bello<br />

di quel che pensavate.<br />

Unite all’esortazione, allora, l’invito tangibile ad essere libere<br />

abitando ove, da tempo e con rispetto ed affetto, sono attese: nelle<br />

case-famiglia o nelle strutture umane di accoglienza nate dalle<br />

associazioni che hanno dato ali ai miei slanci e vita alle mie aspirazioni.<br />

Quell’invito ha sempre contribuito a rinvigorire volontà affievolite<br />

e a indirizzarle a ritrovare nella propria intimità violata le<br />

risorse morali, sorgive della speranza d’affrancarsi dalla condizione<br />

sofferta.<br />

E Dio sa quante volte quell’invito ha infuso alle loro vite soggiogate<br />

il coraggio e la forza per recidere gli stretti lacci annodati<br />

all’ambiente che le sfrutta!<br />

*<br />

Ho desiderato ardentemente quelle case-famiglia e quelle strutture<br />

umane e le ho volute a sostegno di chiunque è respinto, ignorato<br />

o abusato dalla società civile.<br />

Mantenetele e accrescetele, per accogliere quei vostri fratelli e<br />

sorelle in pena con amore puro e caritatevole, che è quello incarnato<br />

da Maria, vissuto da Giuseppe, insegnato da Gesù di<br />

Nazareth.<br />

*<br />

Quell’amore, che accende e mantiene viva la fiamma della carità,<br />

ha abitato me tutta la vita, viatico mai esausto di gioia e di fraternità<br />

per grazia dello Spirito Santo, lenimento profuso a tutte le<br />

creature che avvicinavo tormentate da patimenti.<br />

Esse sono il nostro prossimo perennemente in disagio, turbato o<br />

infelice, cioè perennemente alla ricerca di Dio, anche senza<br />

saperlo.<br />

Ed io raccomando a voi di manifestare sempre quello stesso<br />

amore nell’andare ad esse incontro.<br />

AMARCORD<br />

G. B.<br />

costume e dei cavalli bardati de “Il<br />

Principe delle volpi” con Tyrone Power.<br />

Pure la convalescenza fu lunga e non<br />

esente da complicazioni).<br />

San Nicolò aveva poco da offrire, in quegli<br />

anni. La chiesa era distrutta. A noi<br />

ragazzi importava poco, anzi nulla. Ci<br />

andava benissimo lo stanzone della<br />

canonica dove si celebravano le funzioni<br />

e si teneva il “mese di maggio”, affollatissimo,<br />

fra le nove e le dieci di sera,<br />

denso d’incenso, che scompariva dalle<br />

narici sulla via del ritorno a casa, sostituito<br />

dal fresco odore dei prati... d’erba<br />

proletaria sorti sulle rovine della guerra,<br />

un grato odore che s’intensificava mentre<br />

li calpestavamo nel cercare di<br />

acchiappare le lucciole da portare a casa e metterle sotto il bicchiere<br />

rovesciato.<br />

Sul retro della canonica vi era soltanto un campetto (c’è ancora!)<br />

all’intersezione delle vie Graziani e Bastioni Settentrionali,<br />

ove s’immettono nel doppio sottopasso della ferrovia (ciascuna<br />

via per conto proprio in ambo i sensi e con pessime statistiche<br />

di incidenti, alcuni mortali, a danno di ciclisti). Bastò quel campetto<br />

a scatenare le voglie di giocare, che Don Oreste assecondava<br />

oltre i limiti e i riguardi posti dal parroco. Don Angelo, il<br />

parroco, qualche volta si affacciava dalla porticina sul retro della<br />

canonica per ammonire con la sua sola apparizione (più che sufficiente!),<br />

ma senza mai vietare, interrompere, proibire, se non<br />

quando fosse superato l’orario del nostro rientro a casa.<br />

Il pallone di cuoio extralogoro (color del fango del campetto, su<br />

cui giocavamo anche quando era viscido per la pioggia) saltò<br />

finalmente fuori e il foot ball “prese piede” assieme ad una frequentazione<br />

della Chiesa da parte dei ragazzi mai vista sino ad<br />

allora, con la partecipazione attiva di Don Oreste (che non si<br />

toglieva mai la tonaca per giocare, ma se la infilava sotto a cintura).<br />

Ci furono poi gite in bicicletta, si costituì una squadra di<br />

foot-ball che avrebbe partecipato anche al torneo interparrocchiale<br />

cittadino, arrivò il primo biliardino.<br />

La confessione da Don Oreste (evitando don Angelo, “tanto<br />

confessava i grandi”) era diventata un’abitudine attesa, una<br />

chiacchierata <strong>sett</strong>imanale che lavava l’anima e la rendeva linda<br />

come il corpo, quando nelle famiglie il sabato “si faceva il<br />

bagno”.<br />

Lasciai la parrocchia nell’estate del 1952, quando la mia famiglia<br />

si trasferì da “villa Bona”, sul viale Principe Amedeo, a<br />

piazza Tre Martiri. Più o meno in quello stesso periodo, forse<br />

l’anno dopo, anche don Oreste lasciò l’incarico di cappellano,<br />

per quello di direttore spirituale dei seminaristi. Ma non ci perdemmo<br />

di vista.<br />

Tutti i “ragazzi del ‘49” continuarono a frequentarlo, proseguendo<br />

non solo a confessarsi da lui con una continuità durata<br />

sino agli anni <strong>sett</strong>anta ben inoltrati, ma anche ad avere rapporti<br />

più o meno intensi per esperienze di vita, di comunità, di gruppi,<br />

di fidanzati, di giovani sposi.<br />

Anch’io ero fra questi ed ho partecipato a più di un gruppo con<br />

intenti di conoscenza e propagazione del pensiero cristiano,<br />

nella specie di tipo “orestiano”. Ho seguito Don Oreste nei suoi<br />

percorsi straordinari di umanità e di fede anche successivamente,<br />

ma le occasioni di incontro con lui si sono rarefatte.<br />

SETTEMBRE-OTTOBRE 2011 /ARIMINVM .33

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