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Giovanna Patrignani - Soroptimist International Club di Fano

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del medesimo problema, riscontrabile anche in altre nazioni e stati: da un lato il progressivo e<br />

generale esaurimento numerico delle famiglie nobili, evidenziato dalle <strong>di</strong>fficoltà che si riscontrano a<br />

radunare “in valido e sufficiente numero” i corpi amministrativi che gli aristocratici compongono in<br />

tutto o in parte determinante, e dall‟altro la severità della chiusura <strong>di</strong> ceto che vanifica <strong>di</strong> fatto ogni<br />

possibilità <strong>di</strong> rinnovare, in misura adeguata, il corpo sociale dei nobili e le loro organizzazioni<br />

istituzionali.<br />

E‟ <strong>di</strong>fficile <strong>di</strong>scernere in quale misura, a determinare l‟atteggiamento rigidamente esclusivistico nei<br />

confronti delle altre classi sociali assunto dalla nobiltà della Marca nel 6 e Settecento, abbiano<br />

contribuito l‟orgoglio <strong>di</strong> casta e il <strong>di</strong>sprezzo acritico e pregiu<strong>di</strong>ziale verso i ceti inferiori, sentimenti<br />

accolti e nutriti dal gruppo dominante. Le motivazioni si compen<strong>di</strong>ano nel senso <strong>di</strong> repulsione verso<br />

gruppi che si reputano rozzi, ignoranti ed inetti a funzioni pubbliche che richiedono esperienza,<br />

acume, dottrina, decoro. L‟atteggiamento degli aristocratici locali rivela l‟assoluta e quasi congenita<br />

incapacità <strong>di</strong> superare la barriera della vita more nobilium e mostrare la minima propensione a<br />

cooptare i parvenus. Resta tuttavia da domandarsi se effettivamente, nel quadro socio-economico<br />

generale offerto dalla Marca nei sec. XVII-XVIII, possa parlarsi <strong>di</strong> incapacità come inettitu<strong>di</strong>ne<br />

immanente al ricambio o non piuttosto come conseguenza quasi automatica della mancata<br />

espansione <strong>di</strong> un vero ceto interme<strong>di</strong>o che presentava, forse, spessori troppo esigui per poter<br />

costituire una fonte consistente <strong>di</strong> reclute che fossero fornite <strong>di</strong> un minimo <strong>di</strong> iniziazione e <strong>di</strong><br />

attitu<strong>di</strong>ne all‟esercizio delle funzioni pubbliche.<br />

Sarà solo nella seconda metà dell‟Ottocento, quando gli effetti dell‟abolizione dei fidecommissi, dei<br />

patronati, dei benefici laicali determinarono il frazionamento dei patrimoni, che alla per<strong>di</strong>ta dei<br />

privilegi si accompagnerà il declino economico. I privilegi ere<strong>di</strong>tari scompaiono definitivamente<br />

con l‟arrivo dell‟armata francese.<br />

Frattanto l‟espressione “vivere nobilmente” <strong>di</strong>verrà, in un modo incontrovertibile, sinonimo – per<br />

usare una felice similitu<strong>di</strong>ne dello storico belga Henry Pirenne (1862-1935), uno dei gran<strong>di</strong> maestri<br />

della storiografia contemporanea – del “vivere senza far niente”, mentre la nobiltà della Marca<br />

passerà, con sonnacchiosa rassegnazione, quasi docilmente, de l’âge des privilèges aux temps des<br />

vanités.<br />

E‟ in questo contesto storico che va inquadrato il ceto nobiliare a <strong>Fano</strong>, dove il 1463 segna la fine<br />

della signoria malatestiana e il ritorno della città sotto il <strong>di</strong>retto dominio del papa.<br />

Bisogna però fare attenzione sulla reale portata della libertas ecclesiastica, che non va intesa come<br />

concessione <strong>di</strong> un autonomo reggimento politico. La libertà sopravvisse più come stato d‟animo che<br />

come reale sostanza <strong>di</strong> vita politica, ridotta a mera capacità <strong>di</strong> proposta, in un contesto generale <strong>di</strong><br />

svuotamento <strong>di</strong> potere politico a danno del patriziato delle province pontificie.<br />

Comunque <strong>Fano</strong>, benché travagliata da duri e sanguinosi contrasti fra le locali fazioni nobiliari,<br />

riuscì sempre a riacquistare o mantenere la propria libertas, governata da un‟oligarchia nobiliare<br />

egoista e litigiosa, con un contado completamente soggetto all‟arbitrio, strapotere e clientelismo<br />

nobiliare e clericale.<br />

<strong>Fano</strong> secentesca era un piccolo centro, in un secolo <strong>di</strong> rallentamento e stagnazione demografica<br />

nonché <strong>di</strong> depressione economica e <strong>di</strong> crisi dell‟agricoltura in tutto lo Stato ecclesiastico e nel resto<br />

d‟Italia. La terra è la fonte delle ren<strong>di</strong>te, il fondamento del prestigio del ceto patrizio <strong>di</strong>rigente e <strong>di</strong><br />

chi aspira ad entrarvi: la stagnazione economica era certamente sfavorevole a quelle famiglie che,<br />

pur <strong>di</strong> rango nobiliare, dovevano reggersi su introiti piuttosto modesti unicamente legati alla ren<strong>di</strong>ta<br />

agraria.<br />

Come in ogni altra città italiana, anche la povertà del Seicento fanese era <strong>di</strong>sastrosa, inquadrabile<br />

nell‟aggravamento del pauperismo come fenomeno generalmente <strong>di</strong>ffuso in Italia e in Europa<br />

durante il Seicento.<br />

Senza il risvolto della povertà e dei miserabili, a lungo rigettati dagli storici locali e non solo, ai<br />

margini e sullo sfondo dei maneggi dei politici, delle creazioni degli artisti, delle finezze dei nobili,<br />

il ritratto della nobiltà sarebbe incompleto.<br />

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