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Giovanna Patrignani - Soroptimist International Club di Fano

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quelli che rimangono – una cinquantina <strong>di</strong> famiglie - sono ormai tutti parenti tra loro, per cui i<br />

matrimoni hanno bisogno <strong>di</strong> <strong>di</strong>spensa, ottenuta senza risparmio <strong>di</strong> spesa.<br />

Anche il <strong>di</strong>ffuso fenomeno delle adozioni o “affiliazioni” era determinato dal fatto <strong>di</strong> cercare <strong>di</strong><br />

evitare l‟estinzione <strong>di</strong> un casato. Il caso più noto era stato quello del nobile giurista fanese Guido<br />

Nolfi, ricchissimo e mecenate, ma senza <strong>di</strong>scendenza, per cui nel suo testamento del 1627 nominò<br />

erede universale il nobile fanese Vincenzo Galassi, obbligandolo ad assumere il suo cognome e, nel<br />

caso in cui non avesse avuto figli – come avvenne – a fondare il Collegio degli stu<strong>di</strong> Nolfi.<br />

Non valsero ai fini della sopravvivenza le adozioni fatte dai Costanzi che affiliarono un Flavi, i<br />

Bambini un Borgogelli, i Nolfi un Tomassini, i Danielli un Alavolini, i Carrara un Lanci e poi un<br />

Bertozzi, infine un Martinozzi: in poche generazioni si estinsero tutti.<br />

Mentre in altre città pontificie la presenza <strong>di</strong> artigiani, mercanti, dottori era ammessa e regolata<br />

dagli Statuti, queste categorie erano invece del tutto fuori dal Consiglio generale a <strong>Fano</strong>, dove<br />

l‟irriducibile nobiltà fanese aveva sempre sostenuto che il Consiglio era riservato esclusivamente a<br />

citta<strong>di</strong>ni fanesi appartenenti alla nobiltà con esclusione assoluta <strong>di</strong> artigiani e <strong>di</strong> esercenti arti<br />

meccaniche o mercantili, lasciando solo qualche varco ai dottori in legge.<br />

Nel Seicento, ma anche dopo, la nobiltà assume un atteggiamento rigidamente conservatore nel<br />

tenere serrate le porte a quella che Borgarucci definisce “plebaglia”, ma anche, con poche<br />

eccezioni, a certe famiglie (e non erano moltissime) che avrebbero potuto dare qualche apporto alla<br />

amministrazione citta<strong>di</strong>na, a cui era invece favorevole lo stesso Borgarucci, che faceva infatti notare<br />

che a chiedere o ad attendere l‟ammissione in Consiglio non c‟erano solo persone esercenti arti vili<br />

e meccaniche, ma possidenti terrieri, dottori in legge e soprattutto uomini appartenenti a rami<br />

cadetti <strong>di</strong> famiglie nobili o con esse imparentati per matrimonio e che vivevano more nobilium.<br />

Tutta gente che avrebbe giovato alla autorevolezza stessa del Consiglio e che lo avrebbe almeno in<br />

parte rinsanguato perché a metà Seicento per rendere valide le riunioni ci si dava da fare per far<br />

<strong>di</strong>chiarare sufficiente la presenza <strong>di</strong> 30 consiglieri. Nel 1776 erano presenti a <strong>Fano</strong> solo 35 famiglie<br />

nobili, <strong>di</strong> cui 29 sedenti in Consiglio.<br />

Non solo il Consiglio si andava assottigliando, ma le famiglie che vi erano rappresentate<br />

esprimevano una “nobiltà recente”, non superiore a un centinaio d‟anni: al tempo del Borgarucci,<br />

nella prima metà del Seicento, le famiglie <strong>di</strong> antica nobiltà erano soltanto 6 o 7 in tutto. Nel<br />

Consiglio generale, o senato citta<strong>di</strong>no, che si riuniva nella “sala grande” del Palazzo Malatestiano,<br />

<strong>di</strong>ventato allora Palazzo della Comunità - e oggi (non più integro) Museo Civico - c‟erano tutte<br />

“barbe bianche”, scrive Borgarucci, erano tutti vecchi.<br />

Anche da un punto <strong>di</strong> vista patrimoniale le famiglie nobili veramente ricche erano poche perché a<br />

<strong>Fano</strong> il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> primogenitura era eccezione, non regola, e ciò favoriva la frantumazione delle<br />

antiche ricchezze. Sono numerosi i casi <strong>di</strong> ere<strong>di</strong>tà in<strong>di</strong>visa tra fratelli, che consentiva ai fratelli ere<strong>di</strong><br />

e poi ai loro <strong>di</strong>scendenti <strong>di</strong> abitare in appartamenti <strong>di</strong>stinti ricavati nello stesso palazzo (come fecero<br />

i Carrara, i Fabbri, i Palazzi, i Gabrielli ecc.). L‟ere<strong>di</strong>tà veniva assegnata per “agnazione” - cioè tra i<br />

<strong>di</strong>scendenti maschi del padre -, mentre le femmine ricevevano la dote.<br />

La stagnazione economica era del resto certamente sfavorevole a quelle famiglie che, pur <strong>di</strong> rango<br />

nobiliare, dovevano reggersi su introiti piuttosto modesti unicamente legati alla ren<strong>di</strong>ta agraria.<br />

Un argomento del costume nobiliare citta<strong>di</strong>no ben lontano dagli aspetti più eclatanti della vita<br />

signorile dei patrizi era quello dei bastar<strong>di</strong>, cui il Borgarucci de<strong>di</strong>ca un intero capitolo, l‟unico<br />

<strong>di</strong>scorso che si conosca sugli illegittimi della nobiltà fanese.<br />

Alcuni venivano ad<strong>di</strong>rittura ignorati dai padri naturali, come avvenne nelle casate Pili, Borgogelli,<br />

Lanci, mentre altri nobili fanesi – Palazzi, Amiani, Corbelli, Uffreducci, De Cuppis – riservarono<br />

un trattamento più umano alla loro prole naturale.<br />

Questi casi furono i più noti a <strong>Fano</strong> nella prima metà del Seicento: se pensiamo al numero non<br />

eccessivo delle vecchie casate nobili, ne ve<strong>di</strong>amo molte rappresentate nell‟elenco fatto dal<br />

Borgarucci; quello degli illegittimi <strong>di</strong> rango nobile fu dunque un fenomeno non del tutto marginale<br />

nell‟ambito del locale patriziato.<br />

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