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Reyneri- La vulnerabilità degli immigrati.pdf - Cnel

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C. Saraceno e A. Brandolini (a cura di), Disuguaglianze economiche e<br />

<strong>vulnerabilità</strong> in Italia, Bologna, Il Mulino, 2007.<br />

anche in altre occupazioni la presenza <strong>degli</strong> <strong>immigrati</strong> è ormai<br />

diventata largamente diffusa. Tuttavia, non esiste una<br />

specializzazione etnica, per cui gli <strong>immigrati</strong> di un gruppo si<br />

concentrano in particolari attività per tradizioni culturali. Più che le<br />

culture originarie contano i modi di inserimento nel mercato del lavoro<br />

italiano. <strong>La</strong> concentrazione in particolari nicchie occupazionali è il<br />

risultato paradossale dell’efficienza delle reti sociali di alcuni gruppi di<br />

<strong>immigrati</strong>, che prima li aiutano a trovar lavoro più in fretta, ma poi<br />

rischiano di “intrappolarli” [Ambrosini 2001]. D’altro canto, la<br />

concentrazione <strong>degli</strong> <strong>immigrati</strong> da uno stesso paese in alcune<br />

occupazioni è frutto anche del comportamento dei datori di lavoro, che<br />

spesso adottano <strong>degli</strong> stereotipi cognitivi, fondati su dicerie o sulla<br />

conoscenza diretta di qualche caso, e quindi tendono a selezionare<br />

solo <strong>immigrati</strong> da alcuni paesi a scapito di altri. Ciò provoca una<br />

discriminazione statistica che si autoalimenta nel tempo. Soltanto un<br />

forte ruolo delle varie “agenzie di intermediazione” può impedire che<br />

reti sociali <strong>degli</strong> <strong>immigrati</strong> e stereotipi dei datori di lavoro si rafforzino<br />

reciprocamente e provochino chiusure etniche nel mercato del lavoro.<br />

Delle cattive condizioni di lavoro <strong>degli</strong> <strong>immigrati</strong> si sa poco più di quanto<br />

emerge da indagini qualitative o locali. Ma un indicatore significativo è<br />

costituito dagli infortuni sul lavoro. Secondo i dati forniti dall’Inail, la<br />

percentuale di non-comunitari tra gli infortunati cresce dal 7,4% (8% per<br />

quelli mortali) del 2001 sino al 12,3% (13,2% per quelli mortali) del 2004.<br />

Poiché sono quasi il doppio delle percentuali di <strong>immigrati</strong> occupati in Italia<br />

negli stessi anni, si può dire che in Italia i lavoratori stranieri presentano un<br />

rischio di infortunio doppio rispetto a quello dei nativi, come d’altronde accade<br />

anche negli altri paesi europei 23 . E la reale differenza può essere ancora<br />

maggiore, perché è probabile che gli <strong>immigrati</strong>, anche quelli occupati<br />

regolarmente, tendano più spesso a non denunciare gli infortuni di minor<br />

rilievo. <strong>La</strong> ragioni della maggiore esposizione agli infortuni <strong>degli</strong> <strong>immigrati</strong> sta<br />

nella loro maggior presenza nei settori e nelle imprese più a rischio, ma un<br />

raro studio condotto su questo problema in alcune province toscane rivela che<br />

i datori di lavoro non solo spesso si curano poco della formazione antiinfortunistica<br />

e delle difficoltà di comunicazione linguistica, ma tendono ad<br />

affidare agli <strong>immigrati</strong> i compiti più pericolosi [Giovine 2005]. Nonostante ciò,<br />

secondo la stessa indagine, la maggior parte <strong>degli</strong> <strong>immigrati</strong> valuta<br />

positivamente il proprio lavoro: probabilmente troppo forte è il confronto con<br />

23 Va detto, peraltro, che in Italia la frequenza <strong>degli</strong> infortuni risulta parecchio<br />

inferiore alla media dei paesi dell’Unione Europea, anche se non per quelli mortali, la<br />

cui la frequenza è un po’ superiore alla media.<br />

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