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Petronio: Satiricon

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di tormentare Gitone. Ma Lica, indispettito da quella mia impudente<br />

uscita, perde la tramontana, vedendo che, invece di pensare alla mia<br />

situazione, son lì che sbraito tanto per un altro. Anche Trifena, toccata<br />

nel vivo dalle mie frecciate, si scatena di brutto, e tutta la ciurma<br />

comincia a dividersi in due schiere. Da una parte il servo-barbiere ci<br />

distribuisce i suoi rasoi armandosi anche lui; dall'altra i servi di<br />

Trifena ci mostrano i pugni, mentre anche le ancelle partecipano allo<br />

scontro strillando a più non posso. Soltanto il timoniere dichiara che<br />

avrebbe lasciato andare la nave alla deriva, se non cessava la gazzarra<br />

provocata dalla foia di quei depravati. Ciò nonostante il furore dei<br />

duellanti non accenna a placarsi, decisi com'erano quelli a vendicarsi, e<br />

noi a salvare la pelle. Sia di qui che di là ne andarono al tappeto<br />

parecchi, anche se nessuno ci lasciò le penne, mentre in molti<br />

abbandonarono sanguinanti lo scontro, proprio come in una battaglia vera,<br />

senza che però a nessuno si placassero i bollenti spiriti. Allora Gitone,<br />

coraggiosissimo, si accostò il rasoio funesto alle parti basse,<br />

minacciando di tagliar via la causa di tutti quei guai. Ma Trifena si<br />

buttò a impedire un delitto tanto grave, mostrandosi però disposta al<br />

perdono. Allora anch'io mi accostai numerose volte il rasoio alla gola,<br />

deciso però a togliermi la vita tanto quanto Gitone lo era di mettere in<br />

pratica il suo di proposito. Lui però recitava la scenetta tragica con<br />

maggiore convinzione, perché sapeva di avere in mano proprio il rasoio col<br />

quale si era già in precedenza tagliato il collo. Quando fu chiaro che,<br />

stando così le cose da entrambe le parti, quella non sarebbe stata una<br />

scaramuccia delle solite, il timoniere ottenne non senza sforzi che<br />

Trifena, in qualità di mediatrice, proponesse una tregua. Dopo esserci<br />

così scambiati i giuramenti secondo la consuetudine dei nostri padri,<br />

Trifena avanza con in mano un ramo d'olivo tolto al dio protettore della<br />

nave, e coraggiosamente si fa avanti a parlamentare:<br />

«Quale furore trasforma la pace in guerra?<br />

Che colpa scontano le nostre truppe? Su questa nave<br />

l'eroe troiano non conduce seco<br />

il pegno sottratto all'Atride ingannato;<br />

qui Medea non combatte furiosa per mezzo del sangue fraterno,<br />

ma l'amore spregiato schiera le sue milizie. Ahimè,<br />

chi impugnando le armi desidera affrettare la sorte?<br />

Una morte non è già abbastanza? Non vincete per furia<br />

il mare, altri flutti di sangue non date ai gorghi selvaggi».<br />

109 Quando la donna proruppe in queste commosse parole, la mischia cessò<br />

per un attimo, e le schiere, richiamate alla pace, interruppero lo<br />

scontro. Eumolpo, il nostro capo, coglie al volo quell'attimo di<br />

rinsavimento e, dopo aver mosso i rimproveri più aspri a Lica, suggella i<br />

termini di un trattato, le cui clausole erano le seguenti: «Nel pieno<br />

possesso delle tue facoltà mentali, tu, Trifena, prometti di non<br />

lamentarti più dell'affronto subito da Gitone, e di non accusarlo, di non<br />

vendicartene e di non perseguitarlo in alcun modo per tutto quello che tra<br />

di voi c'è stato fino a oggi. Inoltre ti impegni a non pretendere dal<br />

ragazzo, qualora non sia pienamente consenziente, che ti abbracci, ti<br />

baci, venga a letto con te, pena il pagamento di un'ammenda di cento<br />

denari in contanti. Allo stesso modo, tu, Lica, nel pieno possesso delle<br />

tue facoltà mentali, ti impegni a non tormentare Encolpio con espressioni

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