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Petronio: Satiricon

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Ma non Cesare ancora, che appoggiato all'asta possente<br />

col suo passo sicuro violava quegli orridi campi,<br />

quale l'Anfitrioniade scese altero dal Caucaso,<br />

o Giove cupo in volto calò dalle vette d'Olimpo,<br />

quando respinse i dardi dei Giganti al tramonto.<br />

Mentre Cesare irato sconfigge quelle rocche superbe,<br />

con un battito d'ali fremente la Fama veloce s'invola,<br />

e del Palatino il punto più alto raggiunge,<br />

ogni statua rimbomba di quel rombo romano:<br />

navi corrono il mare e a ogni giogo delle Alpi<br />

si addensano squadre coperte di sangue germano.<br />

Armi, sangue, massacri, incendi e rovine di guerra<br />

dinanzi agli occhi sfilano. Allora i cuori sconvolti<br />

in tumulto dal panico sono scissi in due schiere.<br />

Scappa questo per terra, confida quello nel mare,<br />

della patria adesso più sicuro. Qualcuno vuole invece<br />

la strada delle armi tentare e il fato seguire imperioso.<br />

Quanto grande il terrore, tanto rapida è la fuga. Ma ancora più in fretta,<br />

- vista questa miseranda - nel pieno del caos lascia<br />

il popolo la sua città deserta e va dove il cuore lo spinge.<br />

Roma vuole fuggire, e i Quiriti sbaragliati a un semplice suono<br />

di voce le case si lasciano dietro nel lutto.<br />

Chi con mano tremante i figli sostiene, chi in seno<br />

i Penati nasconde e piangendo varca per l'ultima volta la soglia,<br />

e il nemico assente consacra nel voto alla morte.<br />

Alcuni si stringono al petto angosciati le spose,<br />

e i genitori anziani, mentre i giovani inadatti agli sforzi<br />

salvano solo quel che han di più caro. Chi incauto trascina<br />

con sé tutto quanto possiede, il bottino trasporta ai nemici.<br />

È come quando l'Austro si leva imperioso dal largo,<br />

e gonfia di colpi le onde, che allora alla ciurma<br />

non serve più remo o timone, ma all'albero lega uno il suo peso,<br />

mentre un altro cerca spiagge sicure in fondo a un golfo,<br />

e un altro ancora spiega le vele e in tutto alla sorte si affida.<br />

Ma questo è ancora poco. Insieme ai due consoli il Grande,<br />

lui terrore del Ponto, lui che è giunto all'Idaspe selvaggio,<br />

lui flagello dei pirati, che portato tre volte in trionfo,<br />

Giove stesso aveva temuto, cui il Ponto dal vortice infranto<br />

e il Bosforo dall'onda mansueta si erano inchinati,<br />

lui - vergogna! - fuggiva gettando il suo nome di capo,<br />

così che la Sorte bizzarra vedesse la schiena anche del Grande.<br />

124 Allora l'immane contagio colpisce anche gli dèi.<br />

E il cielo stesso fugge impaurito. Ed ecco che la mite schiera<br />

dei numi abbandona sdegnata la terra impazzita,<br />

lasciandosi dietro le spalle la folla dannata dei mortali.<br />

Agitando le sue candide braccia, prima fra tutti la Pace<br />

nasconde nell'elmo il capo sconfitto, e in fuga abbandona<br />

la terra, riparando nel regno implacabile di Dite.<br />

L'accompagna dimessa la Fede e sciolte le chiome<br />

la Giustizia, e in lacrime la Concordia col mantello a brani.<br />

Ma là dove s'apre squarciata la sede dell'Erebo,

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