20.05.2013 Views

Consulta il testo - Il diritto amministrativo

Consulta il testo - Il diritto amministrativo

Consulta il testo - Il diritto amministrativo

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

www.<strong>il</strong><strong>diritto</strong><strong>amministrativo</strong>.it<br />

OSSERVATORIO SUL PROCESSO AMMINISTRATIVO<br />

AL 31 GENNAIO 2012<br />

A CURA DI DONATELLA TORREGROSSA<br />

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. III, 7 dicembre 2011, n. 6453<br />

L’art. 45, comma 2, c.p.a. consente <strong>il</strong> deposito e, quindi, l’iscrizione a ruolo del<br />

ricorso, anche quando la notificazione si è perfezionata per <strong>il</strong> ricorrente ma non si è<br />

ancora perfezionata per <strong>il</strong> destinatario. Costituisce in tal caso onere del ricorrente<br />

depositare successivamente l’originale del ricorso con la prova dell’avvenuto<br />

perfezionamento della notifica anche per <strong>il</strong> soggetto o i soggetti destinatari della<br />

stessa.<br />

Peraltro, la scelta di tale modalità non comporta l’improcedib<strong>il</strong>ità del ricorso, qualora<br />

<strong>il</strong> deposito dell’originale del ricorso con la prova del perfezionamento delle avvenute<br />

notifiche, avvenga oltre <strong>il</strong> termine perentorio di 30 giorni dall’avvenuto<br />

perfezionamento (anche per <strong>il</strong> destinatario) dell’ultima notifica.<br />

La sentenza in epigrafe offre lo spunto per analizzare la questione del dies a quo, a partire dal<br />

quale decorre <strong>il</strong> termine per <strong>il</strong> deposito del ricorso.<br />

Prima di addentrarci nella disamina della pronuncia è opportuna qualche breve<br />

considerazione di carattere dogmatico.<br />

La dottrina tradizionale riconduce al deposito del ricorso la costituzione del rapporto<br />

processuale e, in particolar modo, del rapporto tra organo giudicante e ricorrente. Tale<br />

orientamento trova la sua ratio nella natura di vocatio iudicis propria del ricorso <strong>amministrativo</strong>,<br />

ritenendo, pertanto, che <strong>il</strong> rapporto processuale si costituisce non appena <strong>il</strong> giudice sia stato<br />

messo a conoscenza della proposizione del ricorso, e quindi al momento del deposito.<br />

Tale orientamento ha ormai perso r<strong>il</strong>evanza, prevalendo in dottrina la linea interpretativa che<br />

individua nell’atto di deposito <strong>il</strong> momento nel quale va valutata la litispendenza e la perpetuatio<br />

iurisdictionis.<br />

Costituendo <strong>il</strong> deposito del ricorso <strong>il</strong> momento in cui <strong>il</strong> giudice prende conoscenza della<br />

proposizione della domanda da parte del ricorrente, sorge l’esigenza di attribuire certezza<br />

all’instaurazione della controversia. A tal fine, <strong>il</strong> legislatore ha previsto un termine perentorio<br />

che, come già prescritto dalla legge n. 1034 del 1971 ed oggi ribadito dal comma 1 dell’art.45<br />

del c.p.a, è di trenta giorni “decorrente dal momento in cui l’ultima notificazione dell’atto stesso si è<br />

1


www.<strong>il</strong><strong>diritto</strong><strong>amministrativo</strong>.it<br />

perfezionata anche per <strong>il</strong> destinatario”: “con tale adempimento <strong>il</strong> ricorso viene iscritto a ruolo e, previa la<br />

presentazione della domanda di fissazione d’udienza, di cui all’art. 71 del c.p.a., è destinato alla trattazione<br />

(la domanda di fissazione d’udienza è necessaria anche per l’esame della domanda cautelare ai sensi degli<br />

articoli 55, comma 4, e 56, comma 1 del c.p.a.)”.<br />

Peraltro, dovendo individuarsi <strong>il</strong> dies a quo nel giorno in cui si è perfezionata per <strong>il</strong><br />

destinatario l’ultima delle notifiche effettuate dal notificante, con un’ampia d<strong>il</strong>atazione dei<br />

tempi che potrebbe essere anche strumentalizzata dalla parte ricorrente, la giurisprudenza ha<br />

chiarito che per “ultima notifica” deve intendersi l’ultima notifica “ut<strong>il</strong>e”, ossia quella<br />

effettuata tempestivamente ad uno dei soggetti contemplati nell’art. 41 c.p.a. come necessari<br />

destinatari della stessa. In questo senso, non possono valere a spostare nel tempo <strong>il</strong> dies a quo<br />

del deposito le notifiche aggiuntive eseguite presso terzi che non siano parti necessarie del<br />

giudizio o che non valgano ad instaurare correttamente <strong>il</strong> contraddittorio.<br />

Alla disciplina dettata dal comma 1 dell’art. 45 c.p.a. è apportato un correttivo da parte del<br />

successivo comma 2, <strong>il</strong> quale consente alla parte “di effettuare <strong>il</strong> deposito dell'atto, anche se<br />

non ancora pervenuto al destinatario, sin dal momento in cui la notificazione del ricorso si<br />

perfeziona per <strong>il</strong> notificante”.<br />

<strong>Il</strong> successivo comma 3 stab<strong>il</strong>isce, in tal caso, che “la parte che si avvale della facoltà di cui al<br />

comma 2 è tenuta a depositare la documentazione comprovante la data in cui la<br />

notificazione si è perfezionata anche per <strong>il</strong> destinatario. In assenza di tale prova le domande<br />

introdotte con l'atto non possono essere esaminate”.<br />

La disposizione in esame consente, dunque, <strong>il</strong> “deposito anticipato” e, di conseguenza,<br />

l’iscrizione a ruolo del ricorso dal momento in cui la notifica si sia perfezionata per <strong>il</strong><br />

ricorrente, senza dover attendere che la medesima si perfezioni nei confronti del destinatario.<br />

In questo caso, peraltro, la parte che si avvale di tale facoltà deve successivamente depositare<br />

in giudizio la documentazione comprovante l’avvenuta notifica al destinatario. In assenza di<br />

tale prova non si può procedere all’esame delle domande introdotte “e quindi, come ora accade<br />

per <strong>il</strong> caso di mancata presentazione della domanda di fissazione di udienza, <strong>il</strong> giudice non può pronunciarsi<br />

sulle domande proposte per la mancata prova della corretta instaurazione del contraddittorio”.<br />

2


www.<strong>il</strong><strong>diritto</strong><strong>amministrativo</strong>.it<br />

Appare, dunque, evidente la ratio della disposizione, che, in ossequio al principio del<br />

contraddittorio, non consente la trattazione di questioni di cui la controparte può non avere<br />

avuto notizia.<br />

<strong>Il</strong> legislatore, con tale disposizione, ha trovato un giusto b<strong>il</strong>anciamento tra la necessità di<br />

garantire a tutte le parti <strong>il</strong> <strong>diritto</strong> di difesa, da un lato, e la necessità di snellire quanto più<br />

possib<strong>il</strong>e gli oneri a carico di chi deve depositare, nei confronti del quale, tra l’altro, la<br />

notifica si perfeziona al momento della consegna del ricorso all’ufficiale notificante.<br />

A tali considerazioni occorre legarne un’ulteriore, che costituisce <strong>il</strong> punto focale della<br />

sentenza in epigrafe.<br />

Difatti, <strong>il</strong> citato comma 2 “non impone, qualora sia scelta tale modalità, un termine perentorio per <strong>il</strong><br />

deposito anche dell’originale dell’atto comprovante <strong>il</strong> perfezionamento (anche per <strong>il</strong> destinatario) della notifica.<br />

E tale termine, del resto, non risulta nemmeno necessario, essendo già stato iscritto <strong>il</strong> ricorso a ruolo ed<br />

essendo stata quindi presentata al giudice la richiesta di pronunciarsi sulla domanda oggetto del ricorso”.<br />

“La norma prevede (solo) che – come già sopra evidenziato - in assenza di tale prova le domande<br />

introdotte con l'atto non possono essere esaminate”.<br />

Ne consegue, pertanto, che, “qualora <strong>il</strong> ricorrente abbia scelto, per <strong>il</strong> deposito del ricorso e la sua<br />

iscrizione a ruolo, la modalità disciplinata dai commi 2 e 3 dell’art. 45 del c.p.a., non può ritenersi causa di<br />

improcedib<strong>il</strong>ità l’avvenuto deposito dell’originale del ricorso con la prova del perfezionamento delle avvenute<br />

notifiche oltre <strong>il</strong> termine perentorio di 30 giorni dall’avvenuto perfezionamento (anche per <strong>il</strong> destinatario)<br />

dell’ultima notifica”.<br />

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V, 14 dicembre 2011, n. 6537<br />

Nel giudizio <strong>amministrativo</strong> assume r<strong>il</strong>evanza solo la connessione oggettiva, per cui<br />

<strong>il</strong> cumulo di domande presuppone che le medesime siano o contemporaneamente<br />

connesse dal punto di vista oggettivo e soggettivo, oppure semplicemente connesse<br />

dal punto di vista oggettivo.<br />

La sentenza in esame si impone all’attenzione dell’interprete in quanto con essa <strong>il</strong> Consiglio<br />

di Stato ha definito i lineamenti teorici del ricorso cumulativo nell’ambito del processo<br />

<strong>amministrativo</strong>, r<strong>il</strong>evando, in particolare, come in tale sede “vale la regola, discendente da una<br />

3


www.<strong>il</strong><strong>diritto</strong><strong>amministrativo</strong>.it<br />

antica tradizione, secondo cui <strong>il</strong> ricorso deve essere diretto contro un solo provvedimento a meno che tra gli atti<br />

impugnati esista una connessione procedimentale o funzionale tale da giustificare un unico processo”.<br />

Si può, pertanto, affermare che nel processo <strong>amministrativo</strong>, a differenza del processo civ<strong>il</strong>e,<br />

in cui <strong>il</strong> cumulo delle domande può essere giustificato tanto da una connessione oggettiva,<br />

quanto da una connessione soggettiva, assume r<strong>il</strong>evanza solo la prima forma di connessione,<br />

non essendo consentita l’impugnativa con un unico ricorso di provvedimenti diversi, a meno<br />

che sussista anche un collegamento oggettivo tra di essi: “in altri termini, nel giudizio<br />

<strong>amministrativo</strong> occorre che le domande siano o contemporaneamente connesse dal punto di vista oggettivo e<br />

soggettivo, oppure semplicemente connesse dal punto di vista oggettivo”.<br />

La ratio di tale indirizzo interpretativo deve essere colta nell’esigenza di evitare la confusione<br />

tra controversie diverse, con conseguente aggravio dei tempi del processo, nonché nella<br />

necessità di impedire l’elusione delle disposizioni fiscali, atteso che con <strong>il</strong> ricorso cumulativo<br />

<strong>il</strong> ricorrente chiede più pronunce giurisdizionali provvedendo una sola volta al pagamento<br />

dei relativi tributi.<br />

All’interno di tale cornice concettuale, la giurisprudenza ha tradizionalmente ravvisato la<br />

connessione oggettiva “a) quando fra gli atti impugnati viene ravvisata quantomeno una connessione<br />

procedimentale di presupposizione giuridica o di carattere logico, in quanto i diversi atti incidono sulla<br />

medesima vicenda; b) quando le domande cumulativamente avanzate si basino sugli stessi presupposti di fatto<br />

o di <strong>diritto</strong> e siano riconducib<strong>il</strong>i nell'ambito del medesimo rapporto o di un'unica sequenza procedimentale; c)<br />

quando sussistano elementi di connessione tali da legittimare la riunione dei ricorsi”.<br />

Tale assetto, che ravvisa la connessione oggettiva esclusivamente nelle ipotesi di<br />

presupposizione giuridica o di carattere logico e allorché le domande siano riconducib<strong>il</strong>i a<br />

medesimi presupposti di fatto o di <strong>diritto</strong>, risulta confermato alla luce della disciplina dettata<br />

dal nuovo codice del processo <strong>amministrativo</strong> e da quella relativa al versamento del<br />

contributo unificato, sia pure con alcune precisazioni.<br />

Con particolare riguardo al primo riferimento normativo, occorre evidenziare come <strong>il</strong><br />

cumulo di domande, la cui ammissib<strong>il</strong>ità nel processo <strong>amministrativo</strong> è innegab<strong>il</strong>e in forza<br />

del disposto di cui all’art. 32 c.p.a., deve essere ancorata a determinati postulati di fondo, che<br />

vengono in r<strong>il</strong>ievo in particolar modo nel giudizio impugnatorio. A tal proposito, viene in<br />

r<strong>il</strong>ievo “la norma sancita dall’art. 40, co. 1, lett. b), c.p.a., che, nell’individuare <strong>il</strong> contenuto necessario del<br />

4


www.<strong>il</strong><strong>diritto</strong><strong>amministrativo</strong>.it<br />

ricorso, stab<strong>il</strong>isce che lo stesso deve contenere, fra l’altro, con ciò lasciando intendere, testualmente, che nel giudizio<br />

impugnatorio, fatta salva la disciplina dei motivi aggiunti, a ciascun ricorso corrisponde di norma<br />

l’impugnativa di un solo provvedimento”.<br />

L’inammissib<strong>il</strong>ità del cumulo soggettivo e l’opportunità di una individuazione rigorosa dei<br />

presupposti legittimanti <strong>il</strong> cumulo oggettivo, traggono nuova linfa dalla più recente disciplina<br />

in materia di contributo unificato che, nel prevedere la quantificazione del contributo<br />

unificato, in misura forfettaria, per i ricorsi e non per le domande, “implica che <strong>il</strong> contributo è<br />

unico nel caso di ricorso contenente una pluralità di domande diverse, in astratto soggette a diversi contributi<br />

unificati; tanto sia nel caso in cui vengano proposte domande ontologicamente diverse (ad. es. di accertamento<br />

del s<strong>il</strong>enzio inadempimento e risarcimento del danno, o di ottemperanza al giudicato e risarcimento del<br />

danno), sia quando, come nel caso di specie, la domanda sia in astratto identica, perché sussumib<strong>il</strong>e nel<br />

medesimo genus di quelle costitutive di annullamento, ma abbia ad oggetto una pluralità di provvedimenti<br />

amministrativi. Da qui la necessità della conferma del divieto di connessione soggettiva e di una esegesi<br />

rigorosa in ordine ai presupposti costitutivi del cumulo oggettivo”.<br />

A valorizzare tale linea interpretativa viene in r<strong>il</strong>ievo la particolare valenza che <strong>il</strong> concetto di<br />

connessione assume allorché lo si consideri come presupposto legittimante l’esercizio del<br />

potere del giudice di riunire i ricorsi. Da tale angolo prospettico, infatti, la connessione<br />

amplia <strong>il</strong> suo spettro, potendo essere ricondotte ad essa anche ipotesi che presentano un<br />

mera identità giuridica, ma che <strong>il</strong> giudice ritiene opportuno trattare congiuntamente.<br />

Tale eventualità, peraltro, non può costituire <strong>il</strong> grimaldello per superare l’esegesi rigorosa che<br />

si è sv<strong>il</strong>uppata in ordine ai presupposti costitutivi del cumulo di domande, in quanto “<strong>il</strong><br />

controllo postumo operato dal giudice di una scelta un<strong>il</strong>aterale compiuta dalla parte ricorrente non consente di<br />

prevenire l’elusione di imposta e non agevola la valutazione sull’aggravio dei tempi e della complessità del<br />

processo”.<br />

Difatti, “quando è <strong>il</strong> giudice a disporre la riunione di più ricorsi pendenti: a) <strong>il</strong> contributo unificato è stato<br />

già versato (e non sarà restituito a valle del provvedimento di riunione); b) <strong>il</strong> giudice ha valutato in concreto<br />

tutti gli aspetti della vicenda soppesando quelli positivi rispetto alle conseguenze negative discendenti da un<br />

aggravio della procedura ridondanti sul principio di ragionevole durata del processo e su quello di economia dei<br />

mezzi processuali”.<br />

5


www.<strong>il</strong><strong>diritto</strong><strong>amministrativo</strong>.it<br />

Tale approdo esegetico non subisce osc<strong>il</strong>lazioni neppure alla luce del principio di effettività<br />

della tutela giurisdizionale e della parità delle armi: “la scelta del codice di confermare che, di norma,<br />

<strong>il</strong> ricorso impugnatorio ha ad oggetto un solo provvedimento, è da condividersi non alterando la parità delle<br />

parti, atteso che non si tratta, come pure si è affermato, di ingiustificati priv<strong>il</strong>egi della parte pubblica, nonché<br />

alla luce del divieto di abuso del processo”.<br />

Ha, infatti, concluso <strong>il</strong> Collegio che la ricostruzione dell’istituto processuale della<br />

connessione oggettiva risulta perfettamente coerente con <strong>il</strong> consolidato indirizzo seguito dal<br />

giudice delle leggi in materia di interferenze fra oneri fiscali e tutela processuale, oltreché con<br />

<strong>il</strong> generale divieto di abuso del processo.<br />

Con particolare riguardo al primo prof<strong>il</strong>o, <strong>il</strong> Collegio ha evidenziato come, se, da un lato,<br />

costituisce un principio consolidato nella giurisprudenza della Corte costituzionale<br />

“l’inammissib<strong>il</strong>ità di quelle imposizioni tributarie che mirino al soddisfacimento di interessi del tutto estranei<br />

alle finalità processuali precludendo o ostacolando grandemente l’esperimento della tutela giurisdizionale<br />

addirittura condizionando l’esercizio del <strong>diritto</strong> di azione al previo pagamento del tributo, dall’altro “non si<br />

deve però neppure verificare <strong>il</strong> caso opposto, ovvero che <strong>il</strong> pagamento del tributo sia condizionato dalle<br />

modalità di esercizio dell’azione”.<br />

In altri termini, si deve evitare l’eccedenza delle forme di tutela approntate dall’ordinamento<br />

rispetto allo scopo pratico avuto di mira dal ricorrente. In caso contrario, si verrebbe a<br />

configurare un’ipotesi di abuso del processo e di lesione del giusto processo, inteso come<br />

risposta alla domanda della parte.<br />

Difatti, la ratio del divieto di abuso del processo va ravvisata nell’esigenza di evitare l’esercizio<br />

dell’azione in forme eccedenti o devianti rispetto alla tutela attribuita dall’ordinamento,<br />

priv<strong>il</strong>egiando “opzioni avversanti ogni inut<strong>il</strong>e e perdurante appesantimento del giudizio al fine di<br />

approdare, attraverso la riduzione dei tempi della giustizia, ad un processo che risulti anche giusto”.<br />

Tali considerazioni hanno condotto <strong>il</strong> Collegio a dichiarare l’inammissib<strong>il</strong>ità del cumulo di<br />

domande che nel caso concreto era stato proposto contro provvedimenti attinenti a<br />

procedimenti autonomi relativi a diverse situazioni di viab<strong>il</strong>ità e privi di una connessione<br />

oggettiva, stante che ciascuno di detti provvedimenti era sostenuto da ragioni fattuali<br />

specifiche, presentando, altresì, priva di r<strong>il</strong>ievo la considerazione per cui in tutti i ricorsi<br />

erano state dedotte le medesime censure di. difetto di motivazione e di istruttoria<br />

6


www.<strong>il</strong><strong>diritto</strong><strong>amministrativo</strong>.it<br />

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV, 10 gennaio 2012, n. 16<br />

L’interesse processuale presuppone, nella prospettazione della parte istante, una<br />

lesione concreta ed attuale dell’interesse sostanziale dedotto in giudizio e l’idoneità<br />

del provvedimento richiesto al giudice a tutelare e soddisfare <strong>il</strong> medesimo interesse<br />

sostanziale.<br />

La sentenza in epigrafe costituisce un’interessante ricostruzione concettuale dell’interesse al<br />

ricorso, quale condizione dell’agire ex art. 100 c.p.c.<br />

La controversia, che dà la stura alla disamina di tale prof<strong>il</strong>o, concerneva l’impugnazione di<br />

una nota, qualificata da parte ricorrente come ordinanza contingib<strong>il</strong>e e urgente, con la quale<br />

<strong>il</strong> Comune i proprietari degli immob<strong>il</strong>i di una zona territoriale interessata da un evento<br />

franoso ad eseguire verifiche sui relativi immob<strong>il</strong>i, nonché le opere provvisionali di<br />

assicurazione strettamente necessarie ad eliminare <strong>il</strong> pericolo derivante dai rischi di ulteriore<br />

evoluzione di eventi franosi.<br />

Accadeva, peraltro, che in sede di delibazione sulla domanda cautelare di sospensione<br />

dell’esecutività del provvedimento impugnato veniva acquisita una nota proveniente<br />

dall’amministrazione comunale, con la quale si dava atto che spettava alla medesima<br />

amministrazione l’onere dei lavori di messa in sicurezza.<br />

A fronte di ciò, <strong>il</strong> TAR definiva la causa nel merito, dichiarando improcedib<strong>il</strong>e <strong>il</strong> ricorso per<br />

sopravvenuta carenza di interesse.<br />

Avverso detta sentenza la ricorrente proponeva un articolato appello, evidenziando che la<br />

motivazione della impugnata decisione era apodittica ed errata, in quanto la nota<br />

dell’amministrazione non poteva essere considerata atto di autotutela, essendo carente di<br />

un’espressa indicazione in ordine all’avvenuta revoca, ovvero ritiro od annullamento del<br />

comando impositivo contenuto nel provvedimento gravato.<br />

Ne discendeva che l’appellante - in quanto destinataria dell’<strong>il</strong>legittimo ordine di esecuzione<br />

dei lavori mai revocato e gravato in primo grado - avrebbe potuto essere destinataria delle<br />

sanzioni (anche penali, ex art. 650 del codice penale) incombenti sui soggetti inottemperanti<br />

alle ordinanze comunali contingib<strong>il</strong>i ed urgenti. Da ciò conseguiva che permaneva <strong>il</strong> proprio<br />

interesse a ricorrere e che la sentenza di primo grado era certamente errata.<br />

7


www.<strong>il</strong><strong>diritto</strong><strong>amministrativo</strong>.it<br />

Tale lettura interpretativa, peraltro, è stata rigettata dal Consiglio di Stato, <strong>il</strong> quale ha ritenuto<br />

corretta la statuizione di improcedib<strong>il</strong>ità del giudice di primo grado.<br />

In particolare, <strong>il</strong> Collegio ha evidenziato “come in base ai principi generali in materia di condizioni<br />

dell’azione, desumib<strong>il</strong>i dall’art. 24, co. 1°, della Costituzione (


www.<strong>il</strong><strong>diritto</strong><strong>amministrativo</strong>.it<br />

giurisdizionale di un atto <strong>amministrativo</strong> non sia in grado di arrecare alcun vantaggio all’interesse sostanziale<br />

del ricorrente (che ne “legittima” l’instaurazione del giudizio)”.<br />

Inoltre, come è noto, per pacifica giurisprudenza, “l’interesse al ricorso, in quanto condizione<br />

dell’azione, deve sussistere sia al momento della proposizione del gravame, che al momento della decisione, con<br />

conseguente attribuzione al giudice <strong>amministrativo</strong> del potere di verificare la persistenza della predetta<br />

condizione in relazione a ciascuno di tali momenti (cfr. C.d.S., Sez. VI, n. 475/92)”.<br />

Sulla scorta di tali considerazioni, <strong>il</strong> Collegio ha ritenuto che tale interesse non permanesse al<br />

momento della pronuncia di primo grado ancorché l’amministrazione non avesse emesso<br />

alcun espresso provvedimento di ritiro dell’atto gravato, in quanto la nota<br />

dell’amministrazione comunale, adottata in corso di causa, pur non potendo essere<br />

considerata atto di autotutela, essendo ivi carente di qualsivoglia espressa indicazione in<br />

ordine all’avvenuta revoca, ovvero ritiro od annullamento del comando impositivo<br />

contenuto nel provvedimento gravato, era, comunque, tale da eliminare qualunque<br />

situazione di incertezza circa gli obblighi di cui parte ricorrente era destinataria.<br />

Tale considerazione - ha precisato <strong>il</strong> Collegio - deve legarsi con quella ulteriore per cui <strong>il</strong><br />

provvedimento impugnato non poteva qualificarsi come ordinanza contingib<strong>il</strong>e ed urgente,<br />

non imponendo alcun obbligo sic et simpliciter ai privati destinatari della diffida, in quanto <strong>il</strong><br />

contenuto di quest’ultima era subordinato ad un dato (inesistenza della titolarità dell’area in<br />

capo al comune) insussistente (e che la stessa appellata sapeva essere non esistente), “di guisa<br />

che dalla nota impugnata nessun obbligo poteva discendere e l’appellante non avrebbe avuto interesse a<br />

gravarla, neppure sotto <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o della possib<strong>il</strong>ità che potessero sulla stessa discendere responsab<strong>il</strong>ità penali<br />

laddove non vi avesse ottemperato”.<br />

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. III, ordinanza 17 gennaio 2012, n. 150<br />

Rispetto al più stringente sistema delineato dal previgente art. 245, comma 2-octies,<br />

del d.lgs 163 del 2006 (codice degli appalti), come modificato dal D.Lgs n. 53 del<br />

2010, l’art. 120, comma 6, c.p.a. non impone più <strong>il</strong> rispetto del limite massimo per la<br />

definizione del processo di “sessanta giorni dalla scadenza del termine per la<br />

costituzione delle parti diverse dal ricorrente”, ma statuisce che, se non è possib<strong>il</strong>e<br />

decidere <strong>il</strong> merito in sede cautelare, l’udienza di merito, ove non indicata dal<br />

collegio, “è immediatamente fissata d’ufficio con assoluta priorità”. Pertanto, anche<br />

con particolare riguardo al rito degli appalti deve applicarsi l’art. 71 c.p.a., ai sensi del<br />

9


www.<strong>il</strong><strong>diritto</strong><strong>amministrativo</strong>.it<br />

quale la fissazione dell’udienza per la discussione del ricorso può avvenire solo<br />

decorso <strong>il</strong> termine per la costituzione delle altre parti, ossia in materia di appalti<br />

decorsi trenta giorni dal perfezionarsi della notifica del ricorso per <strong>il</strong> destinatario.<br />

La comunicazione del decreto di fissazione dell’udienza da parte della segreteria, da<br />

effettuare almeno sessanta giorni (trenta giorni in materia di appalti) prima<br />

dell’udienza fissata, può aver luogo soltanto dopo la scadenza del termine per la<br />

costituzione delle parti intimate, per cui – con particolare riguardo al rito degli<br />

appalti - <strong>il</strong> periodo di “almeno” trenta giorni precedenti l’udienza, ai fini di tale<br />

adempimento di segreteria, va sommato al precedente termine di trenta giorni, ut<strong>il</strong>e<br />

per la tempestiva costituzione in giudizio, al fine di consentire alle parti di<br />

organizzare le difese, ovvero <strong>il</strong> deposito di documenti, memorie e repliche in vista<br />

dell’udienza, nel rispetto dei termini decadenziali di cui all’art. 73 c.p.a.<br />

Con la pronuncia in epigrafe <strong>il</strong> Consiglio di Stato ha delineato <strong>il</strong> rapporto intercorrente tra la<br />

disciplina di cui all’art. 120, comma 6, c.p.a. e l’art. 71 c.p.a., disegnando <strong>il</strong> quadro<br />

regolamentare in tema di fissazione della data di udienza di discussione di un ricorso in<br />

materia di appalti.<br />

La disamina di tale prof<strong>il</strong>o deve essere condotta alla luce della ratio giustificatrice sottesa alla<br />

peculiare disciplina del giudizio in materia di appalti, <strong>il</strong> quale si snoda in moda tale da<br />

garantire celerità, concentrazione ed effettività nella definizione della relativa controversia.<br />

La disciplina del rito degli appalti, di matrice comunitaria, ruota intorno all’esigenza di<br />

garantire l’affidamento dell’appalto all’operatore economico più competitivo, in un’ottica di<br />

b<strong>il</strong>anciamento tra concorrenza e perseguimento dell’interesse pubblico. Da qui, la definizione<br />

ad opera del legislatore di meccanismi processuali volti ad evitare che la tutela giurisdizionale<br />

dei candidati interessati possa essere sacrificata da carenza di informazione, dai tempi tecnici<br />

per proporre ricorso e per ottenere una decisione, puntando su un ricorso efficace e, in<br />

particolare, quanto più rapido possib<strong>il</strong>e.<br />

Si tratta di una scelta coerente col disegno complessivo che, al fine di attribuire a chi spetta<br />

l’ut<strong>il</strong>ità contesa, ha apportato sostanziali modifiche al Codice dei contratti pubblici<br />

introducendo due periodi d<strong>il</strong>atori (obbligatori) per la stipula del contratto, oltre a sanzioni in<br />

caso di violazione degli stessi termini.<br />

<strong>Il</strong> nuovo comma 10 dell’art. 11, del Codice dei Contratti Pubblici, così come modificato dalla<br />

direttiva ricorsi, ha, infatti, esteso <strong>il</strong> periodo di sospensione obbligatoria del termine per la<br />

10


www.<strong>il</strong><strong>diritto</strong><strong>amministrativo</strong>.it<br />

stipulazione del contratto, da trenta a trentacinque giorni, decorrenti dalla comunicazione<br />

dell’aggiudicazione definitiva, nel quale <strong>il</strong> contratto non può comunque essere stipulato. Tale<br />

termine d<strong>il</strong>atorio non si applica allorquando, a fronte di una procedura ad evidenza pubblica<br />

regolarmente bandita, sia stata presentata od ammessa la sola offerta risultata poi<br />

aggiudicataria e non siano state proposte impugnazioni avverso <strong>il</strong> bando o la lettera di invito,<br />

ovvero nell’ipotesi in cui le impugnazioni proposte siano già state definitivamente rigettate,<br />

ovvero ancora nel caso di un appalto basato su un accordo quadro di cui all'articolo 59 e in<br />

caso di appalti specifici basati su un sistema dinamico di acquisizione di cui all'articolo 60 del<br />

Codice. È stato inoltre previsto l’obbligo di informare i concorrenti di cui al comma 5, lett. a,<br />

della avvenuta stipulazione del contratto mediante una successiva comunicazione,<br />

preordinata alla verifica da parte degli interessati del rispetto dei periodi di standst<strong>il</strong>l da parte<br />

dell’amministrazione.<br />

L’art. 11, comma 10 ter, ha, altresì, introdotto un secondo periodo di standst<strong>il</strong>l, prevedendo<br />

che “se è proposto ricorso avverso l’aggiudicazione definitiva con contestuale domanda<br />

cautelare, <strong>il</strong> contratto non può essere stipulato, dal momento della notificazione dell’istanza<br />

cautelare alla stazione appaltante e per i successivi venti giorni a condizione che entro tale<br />

termine, intervenga almeno <strong>il</strong> provvedimento cautelare collegiale di primo grado, ovvero fino<br />

alla pubblicazione del dispositivo della sentenza di primo grado in caso di decisione del<br />

merito all'udienza cautelare; ovvero fino alla pronuncia di detti provvedimenti se successiva”.<br />

Ne segue, pertanto, che alla proposizione del ricorso avverso l’aggiudicazione, accompagnata<br />

da domanda cautelare, si riconnette l’effetto sospensivo automatico in ordine alla possib<strong>il</strong>ità<br />

di stipulare <strong>il</strong> contratto, rendendo di fatto inut<strong>il</strong>e per <strong>il</strong> ricorrente la tutela cautelare ante<br />

causam e quella con decreto presidenziale.<br />

La previsione di tale automatico effetto sospensivo ha reso necessario la costruzione di un<br />

iter processuale connotato da una particolare celerità, in modo tale arrivare ad una<br />

definizione del merito <strong>il</strong> prima possib<strong>il</strong>e.<br />

Peraltro, con riguardo a tale prof<strong>il</strong>o, <strong>il</strong> fine di b<strong>il</strong>anciare tale esigenza con quello di garanzia<br />

del contraddittorio, ha indotto <strong>il</strong> legislatore del codice del processo <strong>amministrativo</strong> ad<br />

apportare, un elemento di novità in tema di fissazione di udienza “nel rito appalti” rispetto al<br />

più stringente sistema delineato dal previgente art. 245, comma 2-octies, del d.lgs 163 del<br />

11


www.<strong>il</strong><strong>diritto</strong><strong>amministrativo</strong>.it<br />

2006 (codice degli appalti), come modificato dal D.Lgs n. 53 del 2010, in quanto non impone<br />

più <strong>il</strong> rispetto del limite massimo per la definizione del processo di “sessanta giorni dalla<br />

scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente”, ma statuisce,<br />

all’art. 120, comma 6, c.p.a., che, se non è possib<strong>il</strong>e decidere <strong>il</strong> merito in sede cautelare,<br />

l’udienza di merito, ove non indicata dal collegio, “è immediatamente fissata d’ufficio con assoluta<br />

priorità”.<br />

L’immediatezza viene, dunque, riferita alla fissazione dell’udienza e non alla sua celebrazione,<br />

con la conseguenza che <strong>il</strong> rispetto del limite massimo è stato sostituito con “<strong>il</strong> rispetto, nella<br />

fissazione dell’udienza di merito, dei “termini minimi” d<strong>il</strong>atori, ricavab<strong>il</strong>i dalla lettura sistematica delle<br />

norme del codice del processo <strong>amministrativo</strong> di seguito indicate, e tenendo conto del dimezzamento dei termini<br />

processuali di cui all’art. 119, comma 2, applicab<strong>il</strong>e ex art.120, comma 3, c.p.a.”.<br />

Pertanto, nella definizione del quadro normativo in tema di fissazione dell’udienza per la<br />

discussione del ricorso in materia di appalti, occorre aggiungere <strong>il</strong> tassello normativo dell’art.<br />

71 c.p.a., <strong>il</strong> quale stab<strong>il</strong>isce, al comma 3, che “la fissazione dell’udienza per la discussione del ricorso<br />

può avvenire solo decorso <strong>il</strong> termine per la costituzione delle “altre parti” e, pertanto, solo decorsi trenta giorni<br />

dal perfezionarsi della notifica del ricorso per <strong>il</strong> destinatario, ai fini della costituzione in giudizio (sessanta<br />

giorni essendo <strong>il</strong> termine ordinario ex art 46 c.p.a )”, prevedendo, altresì, al comma 5, che “l’avviso di<br />

udienza va comunicato alle parti costituite, a cura dell’ufficio di segreteria, “almeno sessanta” giorni (in caso<br />

di dimezzamento dei termini, almeno trenta giorni) prima dell’udienza fissata”.<br />

Tale disposizione rappresenta un elemento di novità rispetto all’ordinamento previgente, in<br />

cui l’art. 23 L. TAR prevedeva che <strong>il</strong> decreto di fissazione doveva essere notificato (non<br />

semplicemente comunicato), a cura dell’ufficio di segreteria, almeno quaranta (e non<br />

sessanta) giorni prima dell’udienza fissata, sia al ricorrente che alle parti costituite in giudizio.<br />

Delineato <strong>il</strong> rapporto intercorrente tra l’art. 120, comma 6, c.p.a. e l’art. 71 c.p.a., <strong>il</strong> Collegio<br />

ha sciolto, in ultima analisi, <strong>il</strong> nodo interpretativo in ordine al dies a quo, da cui decorre <strong>il</strong><br />

termine per l’adempimento di segreteria, statuendo <strong>il</strong> principio di <strong>diritto</strong> per cui “tale periodo di<br />

“almeno” trenta giorni precedenti l’udienza, (ai fini dell’adempimento di segreteria), va sommato al precedente<br />

termine di trenta giorni, ut<strong>il</strong>e per la tempestiva costituzione in giudizio, in quanto l’espressione usata dalla<br />

norma, secondo cui l’avviso di udienza va inoltrato “alle parti costituite”, nonché la stessa previsione del<br />

richiamato primo comma dell’art. 71, lasciano chiaramente intendere che soltanto dopo la scadenza del<br />

12


www.<strong>il</strong><strong>diritto</strong><strong>amministrativo</strong>.it<br />

termine per la costituzione delle parti intimate può aver luogo l’adempimento di segreteria, nel termine<br />

indicato, evidentemente finalizzato a consentire alle parti di organizzare le difese, ovvero <strong>il</strong> deposito di<br />

documenti, memorie e repliche in vista dell’udienza, nel rispetto dei termini decadenziali di cui all’art. 73<br />

c.p.a. (anch’essi dimezzati nel rito appalti)”.<br />

La funzione di garanzia di difesa, ha concluso <strong>il</strong> Collegio, rende “irr<strong>il</strong>evante ai fini della fissazione<br />

di udienza la tempestività o meno della costituzione in giudizio della parte appellata, (potendo, comunque,<br />

questa intervenire per pacifico e risalente indirizzo giurisprudenziale, fino all'udienza di discussione, con la<br />

sola conseguenza della preclusione all’ut<strong>il</strong>izzo tardivo delle potestà processuali di produrre documenti e<br />

memorie, e di formulare domande processuali che soggiacciono ai termini perentori / decadenziali previsti dal<br />

codice del processo <strong>amministrativo</strong> – cfr. da ultimo T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 07 apr<strong>il</strong>e 2011 , n.<br />

3108)”.<br />

CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE, SENTENZA 19 gennaio 2012, n.<br />

736<br />

Quando l’ottemperanza sia stata invocata denunciando comportamenti elusivi del<br />

giudicato o manifestamente in contrasto con esso, afferiscono ai limiti interni della<br />

giurisdizione gli eventuali errori imputati al giudice <strong>amministrativo</strong><br />

nell'individuazione degli effetti conformativi del giudicato medesimo, nella<br />

ricostruzione della successiva attività dell'amministrazione e nella valutazione di non<br />

conformità di questa agli obblighi dal giudicato derivanti.<br />

La sentenza in epigrafe consente di fare <strong>il</strong> punto su una delle questioni di primario r<strong>il</strong>ievo<br />

nell’ambito del processo <strong>amministrativo</strong>, consistente nella definizione dei poteri del giudice<br />

<strong>amministrativo</strong> in sede di giudizio di ottemperanza.<br />

La questione si presenta come scandagliab<strong>il</strong>e dalla Suprema Corte di cassazione in<br />

considerazione del fatto che – come opportunamente evidenziato dal Collegio – <strong>il</strong> controllo<br />

di legittimità sulle pronunce giurisdizionali del Consiglio di Stato, sebbene “limitato<br />

all'accertamento dell'eventuale sconfinamento dai limiti esterni della propria giurisdizione da parte del<br />

massimo organo della giustizia amministrativa, cui non è consentito invadere arbitrariamente <strong>il</strong> campo<br />

dell'attività riservata alla pubblica amministrazione attraverso l'esercizio di poteri di cognizione e di decisione<br />

non previsti dalla legge, con conseguente trapasso da una giurisdizione di legittimità a quella di merito (tra le<br />

altre, Sez. un. 15 marzo 1999, n. 137)”, non può ritenersi precluso laddove <strong>il</strong> potere di<br />

13


www.<strong>il</strong><strong>diritto</strong><strong>amministrativo</strong>.it<br />

giurisdizione di merito sia stato espressamente conferito dalla legge al medesimo giudice<br />

<strong>amministrativo</strong>. In siffatte ipotesi, infatti, deve ammettersi un giudizio di legittimità sulle<br />

pronunce del Consiglio di Stato, qualora gli venga addebitato di aver ecceduto <strong>il</strong> limite entro<br />

<strong>il</strong> quale quel potere gli compete: “di avere, cioè, esercitato una giurisdizione di merito in presenza di<br />

situazioni che avrebbero potuto dare adito solo alla normale giurisdizione di legittimità, e quindi all'esercizio<br />

di poteri cognitivi e non anche esecutivi (cfr. Sez. un. 31 ottobre 2008, n. 26302; 19 luglio 2006, n.<br />

16469; e 9 giugno 2006, n. 13431), o che comunque non avrebbero potuto dare ingresso all'anzidetta<br />

giurisdizione di merito”.<br />

Si ripropone, in siffatti casi, ha sottolineato <strong>il</strong> Collegio, “l'identica tematica dell'invasione non<br />

consentita, ad opera del giudice, della sfera di attribuzioni riservata alla pubblica amministrazione”, con la<br />

conseguenza per cui deve ritenersi che la questione circa la possib<strong>il</strong>ità o meno di far ricorso<br />

alla giurisdizione di ottemperanza concerne i limiti esterni della giurisdizione del giudice<br />

<strong>amministrativo</strong>. Qualora, invece, l’ottemperanza sia stata invocata denunciando<br />

comportamenti elusivi del giudicato o manifestamente in contrasto con esso, “afferiscono ai<br />

limiti interni della giurisdizione gli eventuali errori imputati al giudice <strong>amministrativo</strong> nell'individuazione<br />

degli effetti conformativi del giudicato medesimo, nella ricostruzione della successiva attività<br />

dell'amministrazione e nella valutazione di non conformità di questa agli obblighi dal giudicato derivanti”.<br />

Tali considerazioni costituiscono chiara espressione del principio di <strong>diritto</strong> più volte<br />

acclarato dalla Corte di cassazione, secondo cui deve “ormai essere considerata norma sulla<br />

giurisdizione non solo quella che individua i presupposti dell'attribuzione del potere giurisdizionale, ma anche<br />

quella che da contenuto a quel potere, stab<strong>il</strong>endo le forme di tutela attraverso le quali esso si estrinseca; con la<br />

conseguenza che rientra nello schema logico del sindacato per violazione di legge per motivi inerenti alla<br />

giurisdizione, spettante alla Corte di Cassazione, l'operazione consistente nell'interpretare la norma<br />

attributiva di tutela e nel verificare se <strong>il</strong> giudice <strong>amministrativo</strong>, ai sensi dell'ottavo comma dell'art. 111<br />

Cost., la abbia correttamente applicata (Sez. un. 23 dicembre 2008, n. 30254)”. Ciò, peraltro, non<br />

significa che <strong>il</strong> sindacato della Suprema corte possa estendersi a qualsiasi eventuale error in<br />

iudicando o in procedendo imputato al giudice <strong>amministrativo</strong> nell’interpretazione e<br />

nell’applicazione delle norme che disciplinano <strong>il</strong> giudizio di ottemperanza, dovendosi avere<br />

riguardo al cosidetto petitum sostanziale e all’intrinseca natura della posizione giuridica<br />

soggettiva dedotta in giudizio.<br />

14


www.<strong>il</strong><strong>diritto</strong><strong>amministrativo</strong>.it<br />

Pertanto, per scriminare le fattispecie sui limiti entro cui è consentito <strong>il</strong> sindacato di<br />

legittimità sulla giurisdizione di ottemperanza, risulta decisivo stab<strong>il</strong>ire se quel che viene in<br />

questione è “<strong>il</strong> modo in cui <strong>il</strong> potere giurisdizionale di ottemperanza è stato esercitato dal giudice<br />

<strong>amministrativo</strong>, attenendo ciò ai limiti interni della giurisdizione, oppure <strong>il</strong> fatto stesso che, in una situazione<br />

del genere di quella considerata, un tal potere, con la particolare estensione che lo caratterizza, a detto giudice<br />

non spettava”.<br />

Sulla scorta di tali premesse, è adesso possib<strong>il</strong>e intraprendere la disamina della soluzione<br />

interpretativa offerta dalla Sezioni Unite alla questione in esame, la cui esatta comprensione<br />

impone, peraltro, una breve ricostruzione della vicenda processuale.<br />

<strong>Il</strong> caso concerneva, in particolare, l’ottemperanza di una pronuncia del Consiglio di Stato con<br />

la quale era stato annullato <strong>il</strong> provvedimento di nomina all’ufficio di presidente aggiunto<br />

della Corte suprema di cassazione deliberato dal Consiglio superiore della magistratura,<br />

essendo stato ravvisato <strong>il</strong> vizio di eccesso di potere per errore di fatto e travisamento nel<br />

giudizi formulati nei confronti delle esperienze professionali maturate da parte ricorrente, in<br />

quanto era stata documentalmente smentita l’affermazione della esclusiva esperienza nel<br />

settore civ<strong>il</strong>e e non poteva ritenersi comprovato <strong>il</strong> dato riguardante la maggiore varietà e<br />

ampiezza delle esperienze professionali in favore del magistrato controinteressato.<br />

<strong>Il</strong> Consiglio di Stato, accogliendo <strong>il</strong> ricorso per l’ottemperanza, disponeva che, rivalutandosi<br />

le posizioni dei candidati sulla base delle precedenti indicazioni vincolanti, fosse nominato<br />

'ora per allora' lo stesso istante a presidente aggiunto della corte di cassazione con tutte le<br />

conseguenze di legge.<br />

Peraltro, accadeva che <strong>il</strong> Consiglio superiore, disattese le indicazioni del Supremo Consesso,<br />

deliberava sulla comparazione dei candidati, espungendo gli elementi di giudizio censurati dal<br />

giudice <strong>amministrativo</strong>, ma pervenendo alla medesima designazione sulla base di una diversa<br />

motivazione.<br />

<strong>Il</strong> Consiglio di Stato, investito nuovamente della questione in sede di ottemperanza,<br />

annullava detta delibera. Avverso tale decisione veniva, pertanto, proposto ricorso alle<br />

Sezioni Unite della cassazione dal Consiglio superiore della magistratura, denunciando <strong>il</strong><br />

superamento da parte del giudice <strong>amministrativo</strong> dei limiti esterni della propria giurisdizione.<br />

15


www.<strong>il</strong><strong>diritto</strong><strong>amministrativo</strong>.it<br />

Le Sezioni Unite, intervenendo sul punto, hanno richiamato i principi regolatori della<br />

materia, divenuti ormai granitici nella giurisprudenza di legittimità, in forza dei quali “la<br />

speciale giurisdizione di ottemperanza affidata al giudice <strong>amministrativo</strong> presenta caratteri affatto peculiari,<br />

in virtù dei quali l'ingerenza del giudice nel merito dell'agire della pubblica amministrazione è pienamente<br />

ammissib<strong>il</strong>e. Al medesimo giudice <strong>amministrativo</strong> è in tal caso espressamente attribuito un potere di<br />

giurisdizione anche di merito (art. 7 c.p.amm., comma 6 e art. 134 cod. proc. amm.), con possib<strong>il</strong>ità sia di<br />

procedere alla 'determinazione del contenuto del provvedimento <strong>amministrativo</strong>' ed alla 'emanazione dello<br />

stesso in luogo dell'amministrazione' (art. 114 c.p.amm., comma 4, lett. a), sia di 'sostituirsi<br />

all'amministrazione' (art. 7 c.p.amm., comma 6) nominando, ove occorra, un commissario ad acta (art. 114<br />

c.p.amm., comma 4, lett. d). Un eccesso di potere giurisdizionale del giudice <strong>amministrativo</strong>, per invasione<br />

della sfera riservata al potere discrezionale della pubblica amministrazione, non potrebbe perciò essere<br />

certamente ravvisato nel fatto in sé che <strong>il</strong> giudice dell'ottemperanza, r<strong>il</strong>evata la violazione od elusione del<br />

giudicato <strong>amministrativo</strong>, abbia adottato (o ordinato di adottare) quei provvedimenti che l'amministrazione<br />

inadempiente avrebbe dovuto già essa stessa attuare. Proprio in questo sta infatti la funzione del giudizio di<br />

ottemperanza che, in ossequio al principio dell'effettività della tutela giuridica e per soddisfare pienamente<br />

l'interesse sostanziale del soggetto ricorrente, non può arrestarsi di fronte ad adempimenti parziali, incompleti<br />

od elusivi del contenuto della decisione del giudice <strong>amministrativo</strong> (cfr. Sez. un. 19 agosto 2009, n. 18375; e<br />

24 novembre 2009, n. 24673). Né a ciò è di ostacolo la circostanza che l'amministrazione cui viene<br />

imputata la violazione o l'elusione del giudicato sia, come nel caso del Consiglio superiore della Magistratura,<br />

un organo di r<strong>il</strong>evanza costituzionale (si veda Corte cost. 15 settembre 1995, n. 435)”.<br />

Pertanto, afferiscono a limiti interni della giurisdizione di ottemperanza gli errori nei quali<br />

incorra <strong>il</strong> giudice <strong>amministrativo</strong>, dinnanzi al quale sia denunciato un comportamento della<br />

P.A. elusivo del giudicato, nel compimento delle operazioni “a) di interpretazione del giudicato, al<br />

fine di individuare <strong>il</strong> comportamento doveroso per la pubblica amministrazione in sede di ottemperanza; b) di<br />

accertamento del comportamento in effetti tenuto dalla medesima amministrazione; c) di valutazione della<br />

conformità del comportamento tenuto dall'amministrazione a quello che avrebbe dovuto tenere”.<br />

Sulla scorta di tali considerazioni, le Sezioni Unite hanno rigettato <strong>il</strong> ricorso, in quanto le<br />

relative censure si appuntavano sull’interpretazione che <strong>il</strong> Consiglio di Stato aveva fatto del<br />

giudicato, ritenendo che l'annullamento del provvedimento, per eccesso di potere per errore<br />

di fatto e travisamento nell'applicazione al caso concreto dei criteri adottati in sede di<br />

16


www.<strong>il</strong><strong>diritto</strong><strong>amministrativo</strong>.it<br />

valutazione dei candidati, avrebbe comportato un nuovo esame vincolato dei titoli dei<br />

candidati, evitando gli errori già r<strong>il</strong>evati e, se non vi fossero altri elementi, applicando <strong>il</strong><br />

criterio dell’anzianità.<br />

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV, 20 gennaio 2012, n. 257<br />

Non opera la sospensione del giudizio di ottemperanza in pendenza di giudizio di<br />

revocazione ove si tratti di giudizi decisi dal medesimo organo giudicante, con la<br />

conseguenza per cui i dati relativi all’esito del giudizio, che funge da presupposto, e<br />

che rientrano nella legittima cognizione del giudice, ben possono essere ut<strong>il</strong>izzati ai<br />

fini della decisione del giudizio di ottemperanza.<br />

<strong>Il</strong> Consiglio di Stato, con la pronuncia in epigrafe, prende in esame una complessa vicenda<br />

processuale, in cui viene in r<strong>il</strong>ievo <strong>il</strong> problema interpretativo se la pendenza di un ricorso per<br />

revocazione possa costituire sempre motivo di sospensione del giudizio di ottemperanza<br />

ovvero se sussistono delle ipotesi concrete che consentono di escludere detta pregiudizialità.<br />

Le maglie della questione risultano particolarmente intricate ove si consideri la particolarità<br />

della fattispecie in esame, caratterizzata dalla identità del collegio giudicante e della data di<br />

udienza dei due giudizi e, dunque, dal fatto che <strong>il</strong> Collegio del giudizio di ottemperanza era<br />

ben a conoscenza della pronuncia di inammissib<strong>il</strong>ità dell’istanza di revocazione.<br />

La disamina della questione – come precisa lo stesso Collegio – deve essere svolta sotto<br />

l’ombrello del principio di effettività della tutela giurisdizionale, <strong>il</strong> quale risulterebbe<br />

frustrato, ove, addivenendo ad una applicazione rigidamente formale delle norme<br />

processuali, si procedesse “alla sospensione del giudizio, ex artt. 79 cpa e 295 c.p.c., onde formalmente<br />

attendere non già la risoluzione di una controversia “dalla cui definizione dipende la decisione della causa”,<br />

bensì la mera pubblicazione della sentenza relativa ad una causa già decisa (dal medesimo Collegio nella<br />

stessa giornata di udienza) e del quale <strong>il</strong> giudicante conosce l’esito”.<br />

Difatti, chiarisce <strong>il</strong> Collegio nella sua premessa, è innegab<strong>il</strong>e la pregiudizialità, rispetto al<br />

giudizio di ottemperanza, della decisione del ricorso per revocazione, dal momento che, “in<br />

caso di accoglimento del ricorso, non sussisterebbe più la sentenza per la quale nella presente sede si chiede<br />

disporsi l’effettiva ottemperanza”.<br />

17


www.<strong>il</strong><strong>diritto</strong><strong>amministrativo</strong>.it<br />

Peraltro, la necessità di rispettare tale ordine logico nella dinamica processuale non può<br />

andare a detrimento della tutela giurisdizionale della situazione giuridica soggettiva<br />

riconosciuta nella sentenza di cui si chiede l’esecuzione, ove risulti che si tratti di giudizi<br />

decisi dal medesimo organo giudicante, con la conseguenza per cui i dati relativi all’esito del<br />

giudizio, che funge da presupposto, e che rientrano nella legittima cognizione del giudice,<br />

ben possono essere ut<strong>il</strong>izzati ai fini della decisione del giudizio di ottemperanza, senza la<br />

necessità di dover attendere la pubblicazione della relativa sentenza: “è del tutto evidente che <strong>il</strong><br />

principio di effettività della tutela giurisdizionale, in quest’ultima ipotesi, verrebbe seriamente frustrato e solo<br />

in ossequio ad un dato meramente formale, così in pratica obbligando la parte vittoriosa ad ulteriori<br />

lungaggini processuali”.<br />

Tale lettura interpretativa, inoltre, oltre a porsi in ossequio al principio di effettività della<br />

tutela giurisdizionale, desumib<strong>il</strong>e dall’art. 24 Cost. ed affermato anche dagli artt. 1 e 2 c.p.a.,<br />

non collide con l’art. 64, comma 2, c.p.a. e con l’art. 115 c.p.c., a tenore dei quali è dovere del<br />

giudice fondare la propria decisione sulle prove proposte dalle parti e sui fatti non contestati,<br />

“posto che, per un verso, tale dato (inammissib<strong>il</strong>ità del ricorso per revocazione) non costituisce<br />

“elemento di prova”, ma solo notizia dell’esito della controversia pregiudiziale; per altro verso, anche a voler<br />

prescindere da tale risolutiva considerazione, come la giurisprudenza ha già avuto modo di osservare (Cass.<br />

Civ., sez. II, 5 marzo 2010 n. 5440), nel vigente ordinamento processuale, improntato al principio del libero<br />

convincimento del giudice, è ammessa la possib<strong>il</strong>ità che egli ponga a fondamento della decisione prove non<br />

espressamente previste dal codice di rito, purché sia fornita adeguata motivazione della relativa ut<strong>il</strong>izzazione,<br />

rimanendo, in ogni caso, escluso che tali prove "atipiche" possano valere ad aggirare preclusioni o divieti<br />

dettati da disposizioni sostanziali o processuali, così introducendo surrettiziamente elementi di prova che non<br />

sarebbero altrimenti ammessi o la cui ammissione richieda <strong>il</strong> necessario ricorso ad adeguate garanzie formali”.<br />

18

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!