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ABBAZIA DI VALLOMBROSA - Prodotti monastici

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La storia della comunità<br />

<strong>ABBAZIA</strong> <strong>DI</strong> <strong>VALLOMBROSA</strong><br />

<strong>ABBAZIA</strong> <strong>DI</strong> <strong>VALLOMBROSA</strong><br />

Via San Benedetto, 2<br />

50066 <strong>VALLOMBROSA</strong> FIRENZE<br />

Telefono (39) 055.86.22.51<br />

Fax (39) 055.86.20.36<br />

http://www.monaci.org/<br />

info@evallombrosa.it<br />

Ospitalità: contattare<br />

La storia della comunità benedettina che è vissuta e continua a vivere in questo monastero<br />

dal 1036 ad oggi può essere suddivisa in 4 grandi periodi:<br />

dalla fondazione (1036) al 1300 circa<br />

dal 1300 al 1500 circa<br />

dal 1500 al 1800<br />

dal 1800 al 1960<br />

Dalla fondazione (1036) al 1300 circa<br />

È l’epoca del fervore degli inizi e dell’impulso dato dal fondatore. L’"unione fraterna" nelle<br />

singole comunità e fra i monasteri - il cosidetto vinculum caritatis et consuetudinis - sotto<br />

la guida dell’abate maggiore trovò espressione soprattutto nell’annuale raduno a<br />

Vallombrosa dei superiori, nello scambio di persone e cose favorendo consuetudini comuni<br />

come segno di affinità e collaborazione. È l’epoca d’oro della storia di Vallombrosa e<br />

dell’espansione della congregazione sia nel centro e nord Italia che in Sardegna. Sappiamo<br />

che nel 1160 i monaci di Vallombrosa erano presenti in 57 monasteri con le loro<br />

dipendenze.<br />

Dal 1300 al 1500 circa<br />

È l’epoca della "commenda", che consisteva nel conferimento del titolo di abate (superiore)<br />

di un monastero ad un estraneo da parte della Sede apostolica. L’abate commendatario<br />

solitamente lontano era comunque interessato non alla vita interna della comunità, ma


all’amministrazione dei suoi beni temporali di cui beneficiava in gran parte. Fu senza<br />

dubbio un periodo di decadenza sia per le comunità che per la congregazione, benchè il<br />

monastero di Vallombrosa non sia stato mai concesso in commenda.<br />

Dal 1500 al 1800<br />

È un periodo meno uniforme, inizialmente si assiste<br />

ad una ripresa spirituale, dovuta all’influsso esercitato<br />

dal Concilio di Trento (1545-1563), Vallombrosa torna<br />

ad essere un centro di spiritualità e di cultura, come<br />

attesta fra gli altri, s. Carlo Borromeo che vi giunse nel<br />

1575. Vi fu pure un grande sviluppo economico che ha<br />

lasciato la sua traccia profonda nella grandiosità<br />

dell’attuale complesso abbaziale.<br />

Con l’illuminismo fu accentuato l’inserimento dei<br />

monaci nelle attività culturali e scientifiche. Fa parte<br />

della tradizione monastica che i monaci non siano<br />

estranei al sociale; così i monaci vallombrosani si<br />

dedicarono ad attività varie a beneficio della società:<br />

agricoltura in pianura, selvicoltura in montagna,<br />

costruzione e gestione di ospedali e di luoghi di<br />

accoglienza per i pellegrini.<br />

Già dal 1300 l’abate Michele Flammini aveva dettato<br />

alcune norme per una selvicoltura razionale. Dalla<br />

metà del secolo XVII fino agli inizi del XIX si andrà<br />

formando una scuola di scienze botaniche e forestali.<br />

Ricordiamo almeno i più noti botanici e selvicoltori:<br />

V. Fallugi (+ 1707), B. Biagi (+1735), B. Tozzi (+ 1743), G.F. Maratti (+1777), F. Vittman<br />

(+1806).<br />

Allo sviluppo culturale della comunità contribuì lo scriptorium dell’abbazia, dove fin dal<br />

secolo XI venivano trascritti i libri liturgici, testi patristici, agiografici e classici. Questo<br />

patrimonio è oggi custodito in varie biblioteche italiane e straniere. Nella seconda metà del<br />

1700 fu pure aperto a Vallombrosa un collegio per l’educazione dei giovani.<br />

Particolare menzione va fatta pure per l’Eremo delle Celle, meglio conosciuto come<br />

"Paradisino", che domina l’abbazia, dove hanno condotto vita eremitica alcuni monaci fino<br />

alla metà del secolo scorso. In quest’eremo, dal 1743 al 1771, portò alla perfezione l’arte<br />

della scagliola il monaco Enrico Hugford, che lasciò un pregevole patrimonio artistico,<br />

iniziando una scuola che ha nel fiorentino Lamberto Gori il più valido rappresentante.<br />

Dal 1800 al 1960<br />

È l’epoca delle soppressioni attuate dalle autorità statali.<br />

Il 10 ottobre 1810 per la prima volta i monaci furono costretti ad abbandonare l’abbazia. Vi<br />

rientrarono il 16 gennaio 1818 con 15 sacerdoti e 16 fratelli.<br />

Nel 1866, anno dell’applicazione in Toscana delle leggi italiane riguardanti la soppressione


degli istituti religiosi, ai monaci fu tolta nuovamente l’abbazia che il 15 agosto 1869<br />

divenne sede del primo Istituto Forestale d’Italia, al quale veniva affidata la prosecuzione<br />

di un lavoro svolto da più secoli dai monaci.<br />

L a comunità monastica tuttavia non si estinse, ma continuò a vivere a Pescia (Pistoia) fino<br />

al suo ritorno a Vallombrosa, avvenuto nel 1949 e reso possibile dalla cessione di una parte<br />

del monastero. Era rimasto comunque in sede un esiguo numero di monaci per il servizio<br />

liturgico della chiesa abbaziale, che il 29 agosto 1906 venne eretta a parrocchia da mons.<br />

David Camilli, vescovo di Fiesole. L’intero edificio dell’abbazia è stato poi concesso in<br />

affitto ai monaci dal marzo 1961.<br />

Nel 1957, ad opera delle autorità competenti ha avuto inizio la complessa opera di restauro<br />

dell’abbazia, dichiarata monumento nazionale nel 1951.<br />

Visita virtuale del Monastero<br />

La chiesa<br />

- Le opere d'arte nella chiesa<br />

- La cappella di s. Paolo<br />

- La cappella Mater Amabilis<br />

- La cappella di s. Giovanni Gualberto<br />

- Il coro<br />

Per brevità e chiarezza distinguiamo quattro periodi della storia di questo edificio: la prima<br />

costruzione risale ai tempi della fondazione.<br />

Si trattava allora di un modesto oratorio in legno con il solo altare in pietra, consacrato nel<br />

1038.<br />

La costruzione in pietra si protrasse per 20 anni, dal 1038 al 9 luglio 1058, data della<br />

consacrazione.<br />

Dato lo sviluppo numerico della comunità, tra il 1224 e il 1230, si procedette ad una nuova<br />

costruzione.<br />

La chiesa, come si presenta oggi, è fondamentalmente quella del 1230. È caratterizzata da<br />

una navata unica molto allungata (m. 47 x 8.60).<br />

La copertura della chiesa romanica fu nascosta da tre volte padiglionate, rette da archi<br />

ribassati, decorate nel 1750 da Giuseppe Fabbrini.<br />

Al centro, la scena biblica del re Assuero e della regina Ester.<br />

Nella navata della chiesa furono collocati, negli anni 1730-1732, due altari in pietra. Quello<br />

di destra è dedicato a s. Atto, vescovo di Pistoia (morto nel 1153), già abate di Vallombrosa;<br />

la tela ivi collocata è di Agostino Veracini e rappresenta s. Atto che riceve le reliquie di s.<br />

Giacomo Apostolo.<br />

L'altare di sinistra è invece dedicato a s. Pietro Igneo, monaco vallombrosano, cardinale<br />

vescovo di Albano (morto nel 1089).<br />

La tela è di Antonio Puglieschi e rappresenta Gregorio VII che gli impone la berretta<br />

cardinalizia.<br />

Ai lati dei due altari, in alto, sono collocate quattro grandi tele: nella parete di destra, la<br />

prima rappresenta il martirio del b. Tesauro Beccaria, abate di Vallombrosa, di Niccolò<br />

Lapi; la seconda, opera di Niccolò Mannelli, raffigura l'incontro tra Enrico IV e Gregorio


VII a Canossa.<br />

Nella parete di sinistra, la prima tela raffigura s. Pietro Igneo nell'atto di scomunicare i<br />

canonici della cattedrale di Lucca, opera di Ignazio Hugford; mentre la seconda ricorda<br />

l'episodio della prova del fuoco sostenuta da s. Pietro Igneo, anch'essa opera del Veracini.<br />

L'elegante cornicione in pietra arenaria (1487) attualmente posto sotto la cantoria<br />

dell'organo, sostenuto da quattro lesene con capitello, ornato nel fregio da serafini e altri<br />

motivi, era collocato originariamente al centro della navata e serviva a separare il coro dei<br />

monaci dal resto dellla chiesa.<br />

Al lato dell'ingresso un'acquasantiera in marmo bianco (1487) reca lo stemma dell'abate<br />

Biagio Milanesi.<br />

L'organo sovrastante è la sintesi di due epoche: la cassa centrale contiene il prezioso<br />

strumento costruito da Benedetto Tronci di Pistoia nel 1819, mentre i due corpi laterali<br />

sono della ditta Tamburini di Crema che nel 1956 elettrificò anche l'antico organo.<br />

Cappella di s. Giovanni Gualberto<br />

Ornata di marmi e stucchi e decorata da Carlo Marcellini, costruita tra il 1695 e il 1707. Il<br />

quadro dietro l'altare raffigura San Giovanni Gualberto in preghiera, opera di Antonio<br />

Franchi.<br />

L'affresco della volta, opera di Alessandro Gherardini, rappresenta La Madonna con s.<br />

Giovanni Gualberto.<br />

Cappella del SS.mo Sacramento o dei Dieci Beati costruita sul sepolcreto dei primi monaci,<br />

la cappella fu iniziata nel 1755. l'altare, consacrato due anni dopo, è in marmo policromo,<br />

ma le colonne, i capitelli corinzi, il fastigio e altre parti sono in scagliola, opera di Enrico<br />

Hugford.<br />

La pala d'altare è opera di R. Soldaini, monaco camaldolense (1846).<br />

La volta a calotta è opera del pittore G. Giani (1819).<br />

Il pavimento presenta una divisione ottagonale a spicchi, ognuno dei quali ha una ricca<br />

decorazione a intarsi marmorei policromi. Dietro l'altare, il coro in noce è opera del<br />

monaco Gregorio Pantraccoli che lo eseguì negli anni 1755-57.<br />

Uscendo dalla cappella, a sinistra, una tela di Lorenzo Lippi: La Trinità e due angeli del<br />

1665. Al lato sinistro dell'altare è posto il monumentale leggìo, in noce intagliato, opera del<br />

1592 di Domenico Atticciati, e che si trovava anticamente nel coro della chiesa.<br />

Sacrestia<br />

La pala d'altare è di Luigi Sabatelli e raffigura s. Bernardo degli Uberti (morto nel 1133),<br />

cardinale e vescovo di Parma, già abate di Vallombrosa, mentre, nell'atto di celebrare la<br />

Messa, viene aggredito da alcuni eretici.<br />

Gli armadi degli arredi sacri vennero fabbricati dal monaco Mauro Boninsegni (1805).<br />

Alle pareti, S.Giovanni Gualberto e i santi Giovanni Battista, Maria Maddalena e Bernardo<br />

degli Uberti, Caterina d'Alessandria, tavola dipinta nel 1508 da Raffaellino del Garbo<br />

(morto nel 1525), discepolo del Ghirlandaio; terracotta di Luca della Robbia (morto nel<br />

1482), ai lati della Vergine, S. Giovanni Gualberto e S. Umiltà (morto nel 1310), in basso,<br />

Biagio Milanesi, abate di Vallombrosa, che commissionò l'opera e suo fratello Riccardo.


Usciti dalla sacrestia, sulla sinistra, l'altare di s. Sebastiano con una tela raffigurante il suo<br />

martirio opera di Alessandro Rosi.<br />

L'Aula Capitolare<br />

L'Aula capitolare è un'ambiente caratteristico del monastero, dove la comunità si radunava<br />

per la lettura della Parola di Dio, per l'accusa delle proprie colpe, per le conferenze<br />

spirituali, per trattare argomenti riguardanti la vita materiale della comunità, per ricordare<br />

i confratelli defunti ivi sepolti.<br />

Oggi è adibita a sala di conferenze per incontri e convegni.<br />

Alle pareti 12 tele di Venturino Venturi raffiguranti episodi della vita di S. Benedetto<br />

(1998).<br />

Sulla porta è da notare un'affresco raffigurante s. Benedetto ritratto con i tradizionali<br />

attributi iconografici: la Regola e un fascio di verghe.<br />

Il Chiostro principale<br />

Dalla porta di fronte alla sacrestia si accede al chiostro principale, detto anche della<br />

Meridiana. Sulla destra è visibile il muro perimetrale della costruzione romanica della<br />

chiesa, messo in luce nel corso degli ultimi restauri. La costruzione del chiostro risale agli<br />

anni 1470 - 1480; l'aspetto attuale è il risultato di posteriori rifacimenti. Nel 1753 vennero<br />

ampliate le finestre e le quattro grandi porte. Il chiostro è coperto da volte a crociera su<br />

peducci variamente decorati fra i quali spiccano quelli recanti figurazioni umane, santi o<br />

monaci, opera di discepoli di Benedetto da Rovezzano.<br />

Refettorio<br />

Si presenta nella trasformazione barocca realizzata negli anni 1740-1745. Sono di questa<br />

epoca i tavoli e gli schienali. Alle pareti quattordici tele di Ignazio Hugford, raffiguranti la<br />

Cena di Emmaus, s. Benedetto, s. Giovanni Gualberto e altri santi e beati vissuti a<br />

Vallombrosa; sulla volta l'Assunzione, sempre di Hugford.<br />

Sulla destra, il pulpito, perché secondo la Regola, a tavola non deve mai mancare la lettura.<br />

Antirefettorio<br />

Il refettorio è collegato alla cucina tramite un vestibolo<br />

ove si osserva il lavabo in pietra (1606) e una robbiana,<br />

opera di Benedetto Buglioni, che rappresenta la<br />

Madonna tra s. Giacomo maggiore e s. Giovanni<br />

Gualberto.<br />

La cucina<br />

Sull'architrave della porta è incisa la frase di S. Paolo:<br />

Regnum Dei non esta esca et potus


(Il Regno di Dio non è questione di cibo e di bevande).<br />

La cucina è uno degli ambienti più caratteristici dell'abbazia, ariosa ed armonica nelle<br />

proporzioni. Il caratteristico<br />

focolare con cappa<br />

esagonale, sorretta da<br />

pilastri, separa la parte<br />

quattrocentesca da quella<br />

seicentesca, restaurato una<br />

prima volta nel 1789.<br />

Accanto al camino, un forno<br />

per il pane e l'acquaio. Sui<br />

tavoli in pietra sono<br />

collocati utensili<br />

appartenenti alla cucina e<br />

all'antica spezieria del<br />

monastero.<br />

L'antica farmacia<br />

Uscendo dal portone<br />

centrale dell'Abbazia, sulla<br />

destra si accede alla farmacia. Vi si possono acquistare prodotti dell'Abbazia.<br />

La Comunità dei Monaci Vallombrosani...<br />

formano un ramo dell'ordine benedettino; il loro nome deriva da Vallombrosa, luogo<br />

montano ad una trentina di chilometri da Firenze, dove il fondatore, san Giovanni<br />

Gualberto, si ritirò intorno al 1036 con alcuni compagni<br />

per vivere con rinnovato ardore l'originario spirito della regola di san Benedetto,<br />

dedicandosi alla preghiera, al lavoro, all'accoglienza dei pellegrini. Alla scelta di un'austera<br />

vita monastica, Giovanni Gualberto fu indotto da un evento miracoloso: raccolto in<br />

preghiera nella chiesa di San Miniato al Monte dinanzi al Crocifisso, dopo che aveva<br />

coraggiosamente perdonato l'uccisore del fratello, egli vide il Cristo piegare la testa in<br />

segno di approvazione.<br />

Presto alla riforma monastica di Vallombrosa si unirono altri monasteri in Toscana e fuori,<br />

sotto la guida carismatica del Gualberto formando la Congregazione Vallombrosana<br />

riconosciuta ufficialmente dal Papa Urbano II nel 1090.<br />

Santa Trinita<br />

Alla Congregazione Vallombrosana, che ebbe subito notevole diffusione in Toscana, si unì<br />

presto il Monastero di Santa Trinita forse già nel corso dell’XI secolo. Qui, appena fuori<br />

dell’antica cerchia muraria, sul sito di un oratorio noto fin dai tempi di Carlo Magno, i<br />

vallombrosani eressero una prima chiesa - in stile romanico - dedicata alla Ss. Trinità. Con<br />

l’espansione della città e la costruzione della seconda cerchia muraria (1172-1173) questa<br />

chiesa risultò inglobata nel tessuto abitativo acquistando l'importanza dei grandi<br />

monasteri urbani, quale la Badia Fiorentina, e ricevette quindi il titolo abbaziale. La


comunità svolge un ruolo di grande importanza nella storia della città e della<br />

Congregazione.<br />

Così, nel clima di un rinnovamento architettonico della Firenze due-trecentesca (che vide<br />

sorgere Palazzo Vecchio, le grandi basiliche degli ordini mendicanti e il nuovo duomo),<br />

anche Santa Trinita fu ampliata con la sovrapposizione - proprio sulle mura della<br />

precedente - di una chiesa più alta e più lunga, in stile gotico. La sua pianta a croce egizia<br />

riprende quella delle chiese degli ordini mendicanti , ma presenta anche - per la prima<br />

volta nel gotico toscano - vere e proprie cappelle lungo le navate laterali. L'interno, a tre<br />

navate con volte a crociera, fu affrescato da famosi artisti del Tre-Quattrocento; nei secoli<br />

seguenti, quando la chiesa fu adattata allo spirito della Controriforma e al gusto della<br />

Firenze granducale, questa decorazione venne quasi totalmente coperta. Solo alla fine<br />

dell'Ottocento si procedette a un ripristino del suo carattere medievale, con interventi<br />

anche di ripittura e integrazioni, che furono poi rimosse nei più recenti restauri degli anni<br />

Sessanta di questo secolo.<br />

Nell'interno sono presenti opere del Vasari, Giovanni della Robbia, Benedetto da<br />

Rovezzano ed opere della scuola dell'Orcagna.<br />

Nella chiesa sono conservati le scaglie di pietra del Santo Sepolcro con le quali si accende il<br />

Fuoco della Pasqua, e il Porta fuoco con il quale viene trasportato alla Cattedrale.<br />

Dopo le soppressioni, Napoleonica prima e dello stato Italiano dopo, il monastero fu<br />

convertito in una scuola pubblica ed oggi vi è una sezione dell'Università di Firenze, più<br />

precisamente la facoltà del Magistero. Ai pochi monaci superstiti è rimasta solo una<br />

minima parte come residenza per esercitare il ministero parrocchiale.<br />

Badia a Passignano<br />

Il monastero di Badia a Passignano già esistente alla fine del secolo X, nel 1050 fu affidato<br />

a S. Giovanni Gualberto (+ 1073) perché vi ripristinasse la vita monastica secondo la<br />

Regola di San Benedetto, sintetizzata nel motto "Ora et labora": preghiera e lavoro.<br />

Parte del complesso monumentale è stato costruito nel secolo XIII in stile romanico:<br />

facciata della Chiesa, Cripta, Campanile; gran parte del monastero, invece, fu ristrutturato<br />

in stile rinascimentale nel secolo XV.<br />

Molto importante e significativo è l’affresco nel Refettorio Monastico che rappresenta<br />

l’Ultima Cena di Domenico Ghirlandaio che realizzò nel 1476, il Chiostro interno nel 1455:<br />

questo è stato il periodo più fulgido del monastero sotto la guida dell’Abate Francesco<br />

Altoviti e Isidoro del Sera.<br />

Per le vicende a tutti note, i monaci furono espulsi dal monastero il 10 ottobre 1810 con la<br />

prima soppressione napoleonica, che però riacquistarono nel 1818, insediandovi una<br />

piccola Comunità.<br />

A pochi anni di distanza, nel 1866, vi fu la soppressione voluta dal Governo Italiano e la<br />

Badia fu venduta all’asta.<br />

Anche in questo periodo di allontanamento dei monaci dal monastero, 2 o 3 monaci sono<br />

rimasti sempre a custodire le spoglie mortali del loro fondatore S. Giovanni Gualberto.<br />

Solo nel 1986, il 10 ottobre, i monaci sono potuti rientrare nel monastero e ripristinare la<br />

vita monastica con una piccola comunità.<br />

In questi ultimi anni, sono stati fatti vari interventi nelle opere murarie: revisione di gran


parte di tetti, risistemazione dell’ex-infermeria, nei locali dell’ex-fattoria è stata aperta una<br />

piccola foresteria, che si spera di ampliare. www.passignano.org<br />

Santuario di Montenero<br />

I monaci Vallombrosani dell'Ordine di San Benedetto, custodi del Santuario, centro di<br />

questo meraviglioso paesello, che gelosamente custodisce la Venerata Immagine della<br />

Madonna di Montenero, datano la loro presenza nel 1790.<br />

Notizie storiche parlano di un eremita vallombrosano della Sambuca già custode<br />

dell'Immagine nel 1400. Tuttavia dal loro ingresso i monaci si sono sempre prodigati per<br />

l'ampliamento e l'abbellimento del Santuario nonché la divulgazione della devozione verso<br />

la Madre di Dio.<br />

Il Santuario di Montenero è sorto nel XIV secolo, con "l' apparizione dell'immagine della<br />

Madonna" (15 maggio 1345) a un pastore, nei pressi dell' Ardenza, dove ora sorge, a<br />

ricordo, la suggestiva Cappella dell'Apparizione.<br />

L'attuale costruzione del Santuario è stata realizzata in periodi diversi: alcune parti sono<br />

del 1500, altre del 1700.<br />

Possiede pregevoli opere d'arte: il dossale fiammingo del sec. XV, la Crocifissione; l'antico<br />

altare di marmo; innumerevoli quadri ex-voto che rivestono le pareti e le Gallerie, tra cui<br />

l'ex-voto di Giovanni Fattori e quello di Renato Natali; il prezioso soffitto d'oro del 1600; il<br />

parato artistico in laminato d'oro; etc. www.santuariomontenero.org<br />

Parrocchia delle Grazie<br />

Nel 1966 viene affidato il Santuario della B.V. delle Grazie alla cura dei Monaci Benedettini<br />

di Vallombrosa.<br />

L’anno 1624, come si legge nelle Aggiunte alla Cronaca di Sebastiano Mantica, apparve la<br />

Madonna delle Grazie che stava dipinta sopra un capitello lungo la via che da Pordenone<br />

correva a San Gregorio. Il fatto miracoloso richiamò i Pordenonesi a visitare l’Immagine<br />

della Beata Vergine e a fare copiose offerte così che si potè pensare alla erezione di una<br />

Chiesa (1626). Da quel dì crebbe sempre più la venerazione per la taumaturga Immagine.<br />

All’interno della chiesa è conservata la tela della Madonna, dipinta da P. Varottari detto il<br />

Padovanino.<br />

Il Tempio conserva la sua classica imponenza. La facciata, sormontata da un armonioso<br />

rosone, si apre solenne sul piazzale antistante; mentre l’interno, a tre navate con transetto,<br />

è particolarmente raccolto e suggestivo. L’attenzione è rivolta all’immagine della Vergine,<br />

al di sopra dell’altare maggiore, maternamente protesa verso i suoi figli.<br />

Pitture e arredi subirono gravi danni per l’inondazione del Noncello del 1966. Negli anni<br />

successivi i Monaci Benedettini di Vallombrosa provvidero al restauro ed alla<br />

ristrutturazione. L’organo, inaugurato nel 1975 con un applauditissimo concerto, era stato<br />

ideato dai Religiosi come omaggio finale al loro fondatore San Giovanni Gualberto, nel IX<br />

Centenario della sua morte.<br />

A lato dell’altare delle celebrazioni si erge maestoso un grande Crocifisso in bronzo, opera<br />

della scultrice fiorentina Amalia Ciardi-Duprè.<br />

Delle antiche tavolette votive ne rimangono una decina, sufficientemente significative per<br />

testimoniare nel tempo la pietà dei fedeli.


La Vergine delle Barche del primitivo Capitello e dell’antica chiesa e quella attuale delle<br />

Grazie, rimane per eccellenza la "Madonna dei pordenonesi", la loro venerata e celeste<br />

Patrona; mentre il Santuario continua ad essere un segno visibile della presenza di Dio, un<br />

luogo privilegiato della sua misericordia.<br />

Orari delle Sante Messe<br />

Estivo (luglio e agosto):<br />

Nei giorni feriali:<br />

07:00 ; 10:00 ; 18:00<br />

Nei giorni festivi:<br />

09:30 ; 11:00 ; 17:00 ; 18:00<br />

Invernale (da settembre a giugno):<br />

Nei giorni feriali:<br />

07:00<br />

Domenica e Festivi<br />

ore 11.oo; 17.oo

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