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ABBAZIA DI SAN MARTINO DELLE SCALE - Prodotti monastici

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La storia<br />

<strong>ABBAZIA</strong> <strong>DI</strong> <strong>SAN</strong> <strong>MARTINO</strong> <strong>DELLE</strong> <strong>SCALE</strong><br />

<strong>ABBAZIA</strong> <strong>DI</strong> S. <strong>MARTINO</strong> <strong>DELLE</strong><br />

<strong>SCALE</strong><br />

P.zza Platani, 11<br />

90046 San Martino delle Scale<br />

Palermo Italia<br />

Telefono 091.418104<br />

Fax 091.418022<br />

http://www.abbaziadisanmartino.org<br />

Un'antica tradizione vuole l'abbazia<br />

di San Martino fondata da papa<br />

Gregorio Magno († 604). In verità<br />

san Gregorio avrebbe fondato ben 6<br />

monasteri in Sicilia su altrettanti<br />

territori di proprietà della famiglia<br />

materna.<br />

Di molti di questi monasteri ne<br />

parla lo stesso pontefice nelle sue<br />

lettere, e in ben due fa riferimento<br />

ad un monastero che porta il nome<br />

di San Martino e che sicuramente si<br />

trovava nel territorio<br />

immediatamente vicino alla città di<br />

Palermo. L'inesistenza di fonti<br />

attendibili ha fatto dubitare molti<br />

studiosi sulla fondazione<br />

"gregoriana" dell'abbazia di San<br />

Martino delle Scale, la quale<br />

sarebbe stata in seguito distrutta<br />

dai Saraceni nel IX secolo.<br />

Al contrario, esistono moltissimi<br />

documenti che legano l'abbazia alla


prima metà del XIV secolo, a partire dall'anno 1346. Di quell'anno, infatti, si conserva<br />

ancora l'atto di fondazione, redatto dalla cancelleria dell'arcivescovo di Monreale Don<br />

Emanuele Spinola.<br />

Nel documento vengono fatti i nomi di sei monaci benedettini del monastero di San Nicola,<br />

sito alle falde dell'Etna, i quali furono cooptati dall'arcivescovo per dar vita ad un<br />

monastero nel feudo già allora detto di San Martino, di pertinenza del vescovado<br />

monrealese.<br />

Tra questi monaci spicca il nome del fondatore, il beato Angelo Sinisio, un uomo dalle<br />

spiccate qualità spirituali e organizzative che, in breve tempo, costruì il primo monastero,<br />

accolse altri uomini desiderosi di condividere con lui l'ideale monastico e impiantò nello<br />

stesso cenobio quelle attività tipiche dei monasteri benedettini, tra cui la coltivazione dei<br />

campi e delle erbe semplici per la cura delle malattie e uno scriptorium per la riproduzione<br />

dei codici.<br />

In questo periodo si forma anche il patrimonio dell'abbazia, consistente anzitutto in case e<br />

terreni: basti pensare alle tante donazioni ricevute dal Sinisio, come i feudi di Cinisi,<br />

Borgetto, Sagana e Milocca (attuale Milena) in cui l'abate di San Martino delle Scale<br />

esercitava anche la potestà baronale. Tutto questo contribuiva all'ingrandimento sia della<br />

fabbrica che della comunità monastica.<br />

Angelo Sinisio fu il primo abate di San Martino, eletto il 26 luglio 1352, l'abate Angelo morì<br />

il 27 novembre del 1386, e il suo ricordo rimase sempre vivo sia tra i monaci che tra i fedeli<br />

dei vicini centri di Palermo e Monreale, soprattutto per le tante opere di beneficenza che lo<br />

stesso abate e i suoi monaci avevano impiantato. Il suo corpo riposa sotto l'altare della<br />

Sacrestia, e da tempo immemorabile gli viene attribuito (pur senza una regolare<br />

proclamazione canonica) il titolo di beato.<br />

Nei secoli successivi l'abbazia di<br />

San Martino si trovò a condurre<br />

un ruolo di notevole importanza<br />

nel territorio circostante. I suoi<br />

influssi sono ricordati dagli<br />

storiografi sia in campo civile che<br />

ecclesiastico. Non può essere<br />

taciuto il nome di Giuliano Mayali<br />

(† 1470), il monaco che fu anche<br />

ambasciatore del Re Alfonso<br />

presso il Bey di Tunisi e che<br />

guadagnò al tesoro dell'abbazia il<br />

ricco manto regale del sovrano mussulmano, oltre le preziose reliquie della Santa Croce e<br />

della Sacra Spina, oggi conservate in altrettanti reliquiari, entrambi opera dell'argentiere<br />

Pietro di Spagna, realizzati nella seconda metà del XV secolo.


A partire dalla fine del Cinquecento vennero rielaborate le antiche strutture<br />

architettoniche, coincidendo in quel periodo l'ingresso del cenobio nella congregazione<br />

cassinese, una unione di monasteri benedettini che aveva come primo intento quello di<br />

favorire la collaborazione tra le abbazie presenti nella penisola italiana, permettendo cosi<br />

una rifioritura dell'osservanza monastica per certi versi decaduta, soprattutto a causa delle<br />

ingerenze di nobili laici o ecclesiastici che dall'esterno miravano a privare delle cospicue<br />

rendite i singoli monasteri.<br />

La vita culturale dell'abbazia durante questi secoli si presenta vivace<br />

e originale: produzioni e committenze artistiche, attività editoriali,<br />

insegnamento. Il centro propulsore degli studi è indubbiamente la<br />

biblioteca che, in strutture rinnovate e ingrandite durante il XVIII<br />

secolo, diventa un polmone inesauribile che attira studiosi e<br />

ricercatori da ogni parte. Inoltre, il gusto per l'arte e per il<br />

collezionismo rendono possibile l'allestimento di un museo,<br />

composto da opere artistiche dall'età ellenistico-romana al<br />

medioevo, e di una quadreria. A questo periodo sono legati alcuni<br />

nomi di monaci noti nell'ambiente culturale dell'epoca: Don<br />

Pierantonio Tornamira, Don Stefano D'Amico, i fratelli Don<br />

Salvatore Maria e Don Giovanni Evangelista Di Blasi, Don Michele<br />

del Giudice e altri.<br />

Venne anche ingrandito il complesso architettonico, la cui<br />

progettazione fu affidata all'architetto Venanzio Marvuglia che nel 1775 realizzò il nuovo<br />

dormitorio. La facciata di questa nuova struttura è lunga circa 137 metri, si innalza su tre<br />

ordini ed è rivolta verso Palermo, a significare l'ideale collegamento che intercorreva tra il<br />

monastero e la città dalla quale provenivano la gran parte dei monaci di San Martino.<br />

Il secolo XIX rappresenta per l'abbazia di San Martino l'inizio di una crisi interna che,<br />

necessariamente, ridurrà il suo ruolo spirituale per la comunità ecclesiale circostante, e<br />

porrà fine a tutte le iniziative culturali. La stessa confisca dei<br />

beni del 1866 e soprattutto la susseguente spoliazione del<br />

patrimonio storico-artistico giungono trovando la comunità<br />

monastica decimata e indebolita. Il servizio abbaziale era svolto<br />

in quegli anni da Don Luigi Castelli († 1888).<br />

Non mancarono, comunque, in questo secolo personaggi di<br />

spicco, come il beato Giuseppe Benedetto Dusmet, monaco di<br />

San Martino e in seguito abate di San Nicola di Catania, poi<br />

arcivescovo della stessa città e cardinale, morto il 4 aprile del<br />

1894 e proclamato beato da Giovanni Paolo II nel 1988, così<br />

pure l'arcivescovo di Palermo il cardinale Michelangelo Celesia,<br />

già professo di questo cenobio.


La lenta ripresa avviene grazie all'opera del benedettino Don Ercole Tedeschi († 1919) il<br />

quale svolse il suo impegno monastico e pastorale (assunse anche la guida della parrocchia<br />

annessa in quegli anni al monastero) nonostante le difficoltà del periodo. Alla sua morte<br />

lasciò un piccolo gruppo di monaci, eredi della spiritualità benedettina tramandata dal loro<br />

maestro, ai quali la storia affiderà il compito di continuare a San Martino la vita monastica;<br />

tra questi ricordiamo Don Giovanni Messina († 1948). Si succederanno alcune date<br />

significative: nel 1932, nello spirito del concordato tra lo Stato italiano e la Santa Sede (i<br />

cosiddetti Patti Lateranensi dell'I 1 febbraio 1929), la comunità monastica otterrà il<br />

riconoscimento come "ente morale"; nel 1946, raggiunto il numero di monaci previsto<br />

dalle Costituzioni cassinesi, sarà nominato primo priore conventuale Don Guglielmo<br />

Piacenti († 1977); nel 1969 l'elezione del primo abate dopo circa un secolo di vacanza della<br />

sede, nella persona di Don Angelo Mifsud (1969 - 1976), a cui succederanno Don Benedetto<br />

Chianetta (1977 - 1995), Don Ildebrando Scicolone (1995 - 2000) e Don Salvatore<br />

Leonarda (dal 14 novembre 2000).<br />

La ripresa della vita monastica durante tutto il Novecento segna anche il ripristino di<br />

alcune attività proprie della comunità monastica, la quale prenderà sede in una parte<br />

dell'antico complesso monumentale: l'insegnamento nel collegio e nell'alunnato<br />

monastico, l'allestimento di un laboratorio di restauro del libro, l'apertura al pubblico della<br />

ricostituita biblioteca e la rivendita di alcuni prodotti tipici del monastero.<br />

Il monastero<br />

Delle strutture realizzate nel 1347 dal Beato Angelo Sinisio non rimane molto, sono ancora<br />

visibili alcune vestigia lungo il muro ovest esterno della chiesa e sotto il chiostro di San<br />

Benedetto nella zona più a nord del monastero. Oggi il monastero di San Martino è<br />

strutturato come un quadrilatero diviso in quattro settori da due corridoi, tale struttura è<br />

frutto di una serie di rimaneggiamenti talvolta molto invasivi sulle strutture preesistenti<br />

realizzati nel XVI sec. E poi nel XVIII secolo.<br />

Interessanti sono gli interventi realizzati da Giulio Lasso nel 1612 che inserisce il chiostro<br />

di San Benedetto a ridosso della parte più antica del monastero raccogliendovi intorno i<br />

locali di vita comune e quello di Venezio Marvuglia, purtroppo incompleto, che ampliò la<br />

struttura ri-orientandola verso Palermo appunto alla fine del XVIII sec.<br />

La chiesa<br />

La Basilica abbaziale sorge dove, fino alla metà del<br />

secolo XVI, esisteva una chiesa molto più piccola,<br />

della quale non resta alcuna testimonianza<br />

architettonica. A seguito della deliberazione dei<br />

superiori della congregazione cassinese di sistemare<br />

le strutture del monastero, nel 1564 venne intrapresa<br />

l'edificazione dell'attuale chiesa abbaziale, e<br />

sappiamo che tali lavori terminarono nel 1595.<br />

Entrambe le date, oltre che dalla ricca


documentazione che si conserva nell'Archivio Storico dell'Abbazia, le apprendiamo dalle<br />

due iscrizioni marmoree che troviamo sulla facciata esterna della stessa chiesa. La<br />

dedicazione (consacrazione al culto) della chiesa, invece, avvenne il 20 maggio 1602,<br />

durante un solenne rito presieduto dall'arcivescovo di Palermo Diego Aedo. Di<br />

quest'evento un'altra iscrizione, questa volta posta sull'acquasantiera sinistra della<br />

controfacciata, ci offre dettagliata notizia.<br />

Al suo interno la chiesa abbaziale si presenta in tutta la sua sobrietà, e per certi versi<br />

incompleta. Se guardiamo, infatti, agli interventi posteriori di abbellimento sia del vano<br />

absidale che di alcune cappelle, comprendiamo che l'intento dei monaci era quella di far<br />

rivestire le pareti della chiesa con marmi e altre decorazioni. Ma il progetto tanto<br />

grandioso non venne mai del tutto eseguito, per mancanza dei fondi necessari: la comunità<br />

monastica, del resto, proprio dalla prima metà del XVII secolo fino a tutto il XVIII<br />

intraprenderà tanti lavori anche nel resto del monastero, sostenendo ingenti spese.<br />

Della chiesa precedente a quella attuale non rimane, come già abbiamo detto, nulla.<br />

Soltanto alcune opere marmoree della fine del Quattrocento possono essere ricondotte alla<br />

struttura precedente, riadattate nella nuova. Tra queste una statua della Madonna della<br />

Consolazione, un portale e un'acquasantiera di cui parleremo più avanti.<br />

Il coro<br />

Il coro ligneo, fu commissionato a Nunzio Ferrara e<br />

Giovan Battista Vigliarne e realizzato tra il 1591 e il<br />

1597. Al centro dello stesso troviamo un grande<br />

leggio nel quale venivano posti i libri detti corali per<br />

la preghiera comune e il canto durante le liturgie,<br />

che costituiscono un esempio dell'antica scuola di<br />

miniatori ed amanuensi presente in questa abbazia<br />

fin dal XIV secolo.<br />

Il coro, composto da 68 stalli disposti su due piani,<br />

e ampliato tra la fine del XVII e l'inizio del XVIII<br />

secolo, venne lavorato a Napoli e trasportato a più<br />

riprese a San Martino a partire dal 1594. Tra l'aprile<br />

del 1596 e il luglio dell'anno seguente uno degli<br />

autori, il Ferrara, si occuperà in loco della sua sistemazione, permettendone così<br />

l'inaugurazione l'8 settembre di quello stesso anno, come testimonia la Cronaca del<br />

monastero. Frutto del lavoro di più mani evidentemente riscontrabili, il coro di San<br />

Martino è un prezioso esempio della fioritura manierista della fine del XVI secolo, cara alla<br />

cultura artistica del meridione d'Italia.<br />

Sulle due pareti laterali del coro hanno la loro collocazione sei grandi tele, opera del<br />

pittore Paolo De Matteis. Esse raffigurano: La cena di San Gregorio ai poveri, il Martìrio dì<br />

San Placido, San Benedetto e il re Totila (parete di sinistra); San Benedetto e i Santi Mauro<br />

e Placido, San Mauro e il re Teodoberto, San Martino e il mendicante (parete di destra),<br />

tutte datate tra il 1726 e il 1727. Allo stesso autore si deve l'immagine della Madonna col<br />

Bambino posta sulla porta del coro.


Il De Matteis, attivo in non pochi monasteri benedettini, elaborò per San Martino il ciclo<br />

pittorico del coro, oltre che altre tele per la chiesa abbaziale. Nei sei quadroni, grazie alla<br />

luminosità e alla compostezza tipiche del pennello del pittore napoletano, ammiriamo<br />

come le scene accoppiate relative alla vita di san Benedetto, a quella dei primi discepoli<br />

Mauro e Placido, nonché ai due personaggi legati alla storia e al culto dell'abbazia<br />

martiniana, consentono di raffigurare nel bell'ambiente del coro quello che possiamo<br />

chiamare il programma di vita della comunità monastica. Da sempre, infatti, essa ha<br />

vissuto l'ideale monastico di san Benedetto, lo slancio missionario, e la carità verso il<br />

prossimo.<br />

Sulla parete centrale del coro si vede l'Organo monumentale. E opera di Francesco La<br />

Grassa che nel secolo XIX lo portò a compimento, utilizzando in parte il preesistente<br />

strumento di Raffaele La Valle (1594). Dopo il restauro del 1981, l'Organo è stato<br />

interamente elettrificato: è composto da circa 4.000 canne, 37 registri.<br />

Il pavimento policromo del coro è datato al 1608 (come si legge in uno dei mattoni posto in<br />

prossimità dell'aitar maggiore), e insieme a quello delle cappelle laterali della navata e<br />

della Sacrestia, è l'unica testimonianza dell'antica pavimentazione della Basilica, pet lo più<br />

rifatta all'inizio del XX secolo.<br />

Il Chiostro di San Benedetto<br />

Comunemente chiamato<br />

"Chiostro di san<br />

Benedetto" per via<br />

della statua del santo che<br />

si erge al centro della<br />

struttura, esso venne<br />

realizzato a partire dal<br />

1612 in più riprese<br />

nell'area dove sorgeva<br />

precedentemente un<br />

altro Chiostro, di<br />

modeste dimensioni.<br />

Il Chiostro è una<br />

struttura tipica dei<br />

monasteri: con o senza<br />

giardino, esso è sempre il<br />

cuore del cenobio,<br />

ambito prediletto per la<br />

meditazione, e luogo di<br />

collegamento tra i vari<br />

ambienti. Il nostro Chiostro delle colonne collega, infatti, tra loro dormitorio, refettorio,<br />

aula capitolare, dispensa, officine.<br />

La parte più antica è il deambulatorio realizzato dall'architetto Giulio Lasso nel 1612, con<br />

l'utilizzo di 36 colonne di marmo bianco. Fino al 1954 non era presente quella struttura che


oggi sovrasta il colonnato, seppure un portico superiore fosse già stato progettato dal<br />

Lasso, ma mai realizzato.<br />

Al centro del Chiostro si può ammirare una fontana con la statua di San Benedetto<br />

(1728), opera dello scultore Giuseppe Benedetto Pampillonia, di cui abbiamo altre opere in<br />

Basilica.<br />

Presso il lato sud-est del Chiostro si apre la Sala del Capitolo, luogo designato alle riunioni<br />

della comunità presiedute dall'abate dove, oltre a trattare i casi di maggiore importanza,<br />

vengono tenute anche le conferenze spirituali. Sulla parete di fondo si può ammirare un<br />

grande crocifìsso ligneo inserito in un affresco che raffigura la Vergine con i santi<br />

Maddalena e Giovanni, opera risalente al XVII secolo di mano ignota.<br />

Il Lavoro<br />

Accademia di Belle Arti.<br />

La comunità monastica di San Martino<br />

delle Scale, nel solco della plurisecolare<br />

tradizione benedettina, ha maturato<br />

l’esigenza di intervenire incisivamente<br />

nel campo del restauro e della<br />

conservazione del patrimonio artistico<br />

della Sicilia, con l’istituzione di una<br />

“Abadir” rappresenta la volontà di<br />

salvare dal tempo le opere d’arte,<br />

attraverso l’attività dell’Accademia di<br />

belle arti, dei corsi di arte e restauro<br />

e dei laboratori di restauro e<br />

progettazione.<br />

Recupero e conservazione del<br />

patrimonio artistico, unitamente<br />

all’interesse verso il multiforme<br />

spazio della ricerca, costituiscono il<br />

binario su cui muove il progetto<br />

culturale dell’Accademia,<br />

coniugando l’attività didattica con la<br />

ricerca e la programmazione, lo<br />

studio e le conoscenze con<br />

l’operatività.<br />

L’Accademia di Belle Arti Abadir è membro dell’ELIA (European League of Institutes of<br />

the Arts), organizzazione che comprende tra i suoi associati Facoltà di Belle Arti europee,<br />

Accademie di Belle Arti italiane pubbliche e private, Scuole e Istituti specializzati d’Arte<br />

italiani ed europei.<br />

L’Accademia Abadir si è fatta inoltre promotrice, già da alcuni anni, di numerosi scambi<br />

internazionali, prendendo parte ai progetti LLP/ERASMUS.


sito dell'Accademia: http://www.abbaziadisanmartino.it/Accademia/<br />

Come ogni comunità monastica, anche la comunità di<br />

San Martino delle Scale produce per il proprio<br />

consumo, ma anche per la vendita diretta, ottimi<br />

prodotti agroalimentari, quali vino, olio, miele, e da<br />

ultimo anche prodotti dolciari da forno.<br />

Attività queste che oggi costituiscono un potente<br />

mezzo per sovvenire alle numerose opere di carità cui<br />

la comunità monastica provvede.

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