DOCUMENTAZIONE ARCHEOLOGICA, STANDARD E ... - Epoch
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A. D’Andrea<br />
computer a partire dalla metà degli anni ’80, in quel fenomeno storico e culturale che ha<br />
attraversato tutti i settori della società occidentale e che con una espressione particolarmente<br />
felice F. Djndjian (1996) ha defi nito “l’informatica senza informatici”.<br />
La disponibilità di macchine in grado di elaborare le informazioni, o più semplicemente di<br />
archiviarle e renderle disponibili prescindendo dalla materialità del tradizionale luogo fi sico<br />
di conservazione (museo, laboratorio, scavo, etc.), ha lentamente modifi cato le abitudini e<br />
le pratiche degli archeologi. Se in un primo tempo l’informatica è stata prevalentemente<br />
indirizzata all’uso di programmi di statistica per l’analisi di particolari contesti archeologici<br />
(è il caso dell’archeologia quantitativa), dalla metà degli anni ’80 sono entrati in gioco<br />
diversi e più accessibili sistemi per l’archiviazione e successiva gestione dei dati. L’ingresso<br />
dei database (dal vecchio DBASE programmabile a linee di comando fi no ai più evoluti<br />
prodotti già con interfacce utenti grafi che, etc.) ha cambiato l’approccio dell’archeologo<br />
verso gli strumenti informatici, visti in una ottica di prodotti neutrali in grado di consentire<br />
una gestione più effi ciente e razionale della documentazione archeologica (schede, report,<br />
disegni, foto, piante, etc.). In quegli anni il calcolatore (grande o piccolo che fosse) era<br />
utilizzato come potente elettrodomestico, come una più progredita macchina da scrivere<br />
per inserire/cancellare note, rimpaginare testi, apportare correzioni e variazioni senza dover<br />
riscrivere l’intero testo.<br />
Il database o come si dovrebbe dire dalla prospettiva dell’archeologo il gestore di schede,<br />
appariva qualcosa di più complesso e legato alle specifi cità della ricerca e non tanto alla<br />
redazione/pubblicazione dei testi. Esso assolveva ad un compito essenziale per ogni indagine:<br />
archiviare dati, ordinarli, renderli disponibili, consultabili e modifi cabili senza consistenti<br />
perdite di tempo. Inoltre una struttura dati poteva agevolmente essere adeguata a un nuovo<br />
contesto, a una nuova ricerca senza ulteriori e consistenti investimenti economici e in termini<br />
di risorse umane.<br />
L’archeologo, progressivamente, è diventato “proprietario” del computer e delle<br />
elaborazioni che la macchina consentiva di produrre a seguito dell’applicazione di procedure<br />
semplici o sofi sticate. Finisce agli inizi degli anni ’90 l’epoca in cui l’informatico usa,<br />
gestisce e manipola le informazioni al calcolatore, mentre all’archeologo viene riservato<br />
esclusivamente il compito di interpretare i grafi ci e le statistiche prodotte dall’elaboratore<br />
elettronico.<br />
Ora l’archeologo usa direttamente e sperimenta le macchine anche se ancora timidamente<br />
e senza comprenderne veramente la struttura fi sica e logica. A questo punto la strada verso<br />
una riconsiderazione teorica e pratica del computer è aperta, ma un grosso e decisivo impulso<br />
verrà dato dalla comparsa e dalla diffusione di strumenti in grado di avviare ricerche in<br />
campo territoriale e spaziale consentendo, in defi nitiva, di superare la logica “archivistica” e<br />
“documentale” dei database.<br />
Alla fi ne degli anni ’80 (o anche prima, almeno negli USA) entra in scena un nuovo<br />
strumento fi nalizzato all’analisi e allo studio delle relazioni di tipo territoriale. Si tratta del<br />
GIS, uno strumento hardware e software concepito per integrare le tradizionali basi di dati<br />
con le informazioni a connotazione spaziale. Gli archeologi ben presto dovranno rapportarsi<br />
a questo nuovo strumento che forse, per la prima volta, avvicina in modo diretto chi fa ricerca<br />
sul campo (scavo, ricognizioni, etc.) a chi assume responsabilità politiche ed urbanistiche<br />
nella gestione dei paesaggi e dei territori.<br />
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