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DOCUMENTAZIONE ARCHEOLOGICA, STANDARD E ... - Epoch

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CAPITOLO SECONDO<br />

METODI INFORMATICI PER LA RICERCA <strong>ARCHEOLOGICA</strong><br />

«Lo scavo è dunque una procedura lunga e faticosa e solo<br />

la documentazione analitica delle unità stratigrafi che<br />

e la loro ricomposizione nella ricostruzione ideale<br />

possono riparare il danno della distruzione che esso<br />

inevitabilmente comporta. In tal modo lo scavo traduce<br />

forzatamente e irreversibilmente la pesantezza dei<br />

materiali e della terra nella leggerezza delle parole, dei<br />

disegni e delle fotografi e. D’altra parte senza questa<br />

trasformazione la stratifi cazione sarebbe solo silenzio e<br />

oscurità, non esistendo che in potenza per noi».<br />

(CARANDINI 2000, pp. 17-18).<br />

1. IL DATO ARCHEOLOGICO<br />

Lo scavo archeologico trasforma ciò che appartiene alla storia stratifi cata del mondo antico<br />

in fenomeni e concetti per noi visibili e quindi comprensibili. Muovendo da questa naturale<br />

e semplice osservazione, su cui si basa l’archeografi a, risulta evidente come l’osservazione e<br />

la misurazione del dato, come elemento di base del processo interpretativo, infl uenzi tutto il<br />

successivo percorso di ricostruzione storica.<br />

Intorno al problema della strutturazione e della conseguente analisi dei dati è sorto negli<br />

ultimi anni un ampio dibattito in campo archeologico già richiamato nel precedente capitolo<br />

in relazione alla defi nizione del dato archeologico incorporato nel discorso interpretativo.<br />

I. Hodder (1999) ha sostenuto che «…whether an object in the ground has any chance<br />

of becoming an ‘archaeological object’ depends on the perspectives and methods of the<br />

recovery process». Come, qualche anno prima nel campo della fi sica N. Bohr aveva affermato<br />

l’impossibilità di separare l’oggetto osservato dalla strumento di misura «…di modo che non<br />

è possibile attribuire una realtà fi sica indipendente nel signifi cato ordinario di questi termini<br />

né ai fenomeni, né ai mezzi di osservazione…» (su questi temi CINI 1994, p. 72), analogamente<br />

I. Hodder sottolinea il ruolo peculiare che la metodologia riveste nel determinare i criteri di<br />

osservazione e misurazione che saranno utilizzati nella successiva registrazione della natura<br />

e della organizzazione dei dati archeologici raccolti sul terreno. La stessa rifl essione sembra<br />

guidare il processo interpretativo delineato da D. Manacorda (2004) il quale – in relazione ai<br />

diversi metodi per l’archeologia - osserva come il minimo comune denominatore della ricerca<br />

sul terreno sia rappresentato dalla domanda «cosa cerco…ovvero come la trovo?».<br />

Oltre a ciò si può aggiungere che ai metodi ed alle prospettive si deve associare un<br />

ulteriore aspetto, non marginale, da tenere in grande considerazione nel processo di creazione<br />

del dato. È quello della formalizzazione o della codifi ca, un elemento teorico e concettuale<br />

che troppo spesso gli archeologi derubricano a pratica comune e neutrale e in quanto tale non<br />

degna degli opportuni approfondimenti.<br />

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