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Simone Eros Beduschi, Metafisica e filosofia ... - Arbor scientiarum

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Taoismo in generale, propone invece di abbandonare per prima cosa proprio il pensiero speculativo<br />

per potere divenire saggi e così realizzarsi in modo perfetto. Ciò che per Heidegger vuole essere<br />

l’alba di una nuova era, per Lao Tze è soltanto un fastidioso impedimento a cui rinunciare in nome<br />

di qualcosa di molto più alto.<br />

Va inoltre ricordato che Heidegger annuncia la “fine della metafisica”, quando è evidente che<br />

tutto ciò che è metafisico, e dunque al di là delle categorie spazio-temporali, non può iniziare,<br />

evolversi o finire. La <strong>Metafisica</strong> non dipende affatto da una tradizione di pensiero o dagli individui<br />

che pretendono di parlarne. Essa è eterna e sovra-temporale. Nonostante Heidegger sia nel giusto<br />

quando critica le degenerazioni soggettivistiche della metafisica moderna e contemporanea, egli, ci<br />

venga passata l’espressione, butta via il bambino con l’acqua sporca, volendo eliminare la<br />

<strong>Metafisica</strong> tout court dopo aver preso in considerazione solamente il suo snaturamento avvenuto<br />

nella tradizione occidentale.<br />

Il non-agire di Lao Tze è, di fatto, quasi incomprensibile da capire per una mente occidentale<br />

che voglia affrontare il problema dal punto di vista esclusivamente filosofico. Heidegger<br />

definirebbe volentieri l’opera filosofica come qualcosa che, partendo dall’incertezza, cerca di<br />

conoscere qualcosa avventurandosi in una selva, che spesso conduce l’uomo a smarrirsi lungo<br />

sentieri interrotti (holzwege, nel linguaggio heideggeriano). Solo in casi rarissimi è possibile<br />

intravedere la Radura (lichtung). Lao Tze, invece, non agisce perché è sempre stato là, seduto al<br />

Centro della Radura che Heidegger mai raggiunse, pur provandoci con tutte le sue forze.<br />

A questo punto, è possibile tentare ancora l’utilizzo di una prospettiva interculturale sulla<br />

linea di Mall? A mio avviso è possibile, ed è anzi necessario se si vuole effettivamente porre<br />

rimedio alla marcescenza in cui è incorsa la nostra tradizione metafisica. Il monito da aver sempre<br />

presente è di non voler a tutti i costi prendere dal pensiero orientale soltanto ciò che sembra esserci<br />

“più vicino”. Al contrario, l’obiettivo di un’autentica ermeneutica interculturale dovrebbe essere<br />

quello di tentare la ricezione di ciò che è più distante dal nostro modo di vivere e di pensare, di<br />

chiederci soprattutto perché ci appare distante, in modo da mettere in atto una μετάνοια che produca<br />

cambiamenti sostanziali all’interno della stessa tradizione occidentale, senza per questo snaturarla<br />

nella sua essenza. Essa può e deve abbeverarsi all’inesauribile fonte dell’Oriente, senza per questo<br />

dover scadere in facili esotismi ed incomprensioni.

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