Paracelso - Arbor scientiarum
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<strong>Paracelso</strong><br />
Medico o mago?<br />
Francesca Bruzzo<br />
I. Un incubo nella storia della scienza<br />
Philipp Theophrastus Bombast von Hoheneim, meglio noto come <strong>Paracelso</strong>, visse dal 1493 al<br />
1541, in un momento cruciale nella storia dell’occidente, quello del passaggio all’evo moderno. Era<br />
un mondo dove convivevano la magia e la volontà di Dio; tuttavia, in seguito alle nuove scoperte<br />
geografiche, si cominciavano in quegli anni a delineare i codici della natura e a tracciare le mappe<br />
del cielo e della terra. <strong>Paracelso</strong> nacque in Svizzera, errò per tutta la vita nell’Europa rinascimentale<br />
e sperimentò in prima persona guerre e lotte per il potere, orrori e sofferenze. Medico e alchimista,<br />
fu l’incubo peggiore del positivismo scientifico: infatti, la sua opera inizia e finisce nella magia;<br />
tutto è permeato dalle credenze religiose; queste creano un universo pieno di segni e simboli occulti.<br />
Per <strong>Paracelso</strong> la scienza non rappresentava il risultato degli sforzi fatti per allontanarsi da questi<br />
codici, ma l’insieme dei tentativi per dare loro un senso. Egli inserì all’interno di una visione del<br />
mondo che attribuiva alla natura riflessi esoterici una coerente philosophia naturalis. Fu uomo di<br />
scienza e di magia, dove per magia si intende quella magia naturalis che si poneva l’obiettivo di<br />
unire sotto un unico sforzo conoscitivo la terra ed il cielo, non riscontrando alcuna incompatibilità<br />
tra questi due ambiti conoscitivi. Sebbene nel pensiero paracelsiano si trovino delle incongruenze,<br />
dovute alla complessa personalità più che a reali tensioni fra l’approccio umanistico e quello<br />
scientifico alla medicina, al suo interno si intravede un nuovo metodo d’indagine, in cui la chimica<br />
costituisce uno degli elementi essenziali della ricerca medica. Se ne accorsero i puritani inglesi del<br />
Seicento.<br />
Nel XVI secolo esistevano già i medici e la medicina, ma le probabilità di guarire erano pari a<br />
quelle di morire. Si usavano pozioni che spesso risultavano nocive e niente era orribile come le<br />
tecniche chirurgiche dell’epoca: il chirurgo e l’inquisitore differivano soltanto per le motivazioni.<br />
Senza anestetici, come usava al tempo, un intervento era terribile quanto le pene dell’inferno.<br />
Paracelo, agli occhi dei suoi contemporanei sembrava capace di operare miracoli, in realtà egli<br />
riteneva che la sua arte medica e il suo successo derivassero direttamente dalle forze della natura e<br />
dall’esperienza pratica. Dice a questo proposito che<br />
[…] l’arte della guarigione proviene dalla natura, non dal medico. Ogni medico deve essere<br />
ricco di conoscenza, e non solo di quanto è scritto sui libri; il suo libro deve essere i suoi<br />
pazienti: non lo indurranno mai in errore. Neppure chi uccide i cani può imparare il mestiere sui<br />
libri, ma solo dall’esperienza.<br />
Agli inizi del Rinascimento la medicina aveva fatto ben pochi passi avanti dai tempi dell’impero<br />
romano. Le traduzioni di Avicenna (980-1037) delle opere di Ippocrate (460-370 a.C.) e di Galeno<br />
(129-200 d.C.) erano, per i medici accademici del Rinascimento, l’ultima parola in questione; per<br />
praticare la professione bastava studiare questi maestri del passato, l’habitat naturale del medico era<br />
la biblioteca, non l’ambulatorio.<br />
Quello di <strong>Paracelso</strong> fu un drastico tentativo di rifiuto del passato, della medicina galenica, e delle<br />
altre comunemente accettate auctoritates. Alla base della medicina paracelsiana vi è una visione<br />
ermetica e neoplatonica, che si configura in rapporto continuamente dialettico con la filosofia. La<br />
farmacologia è vista da Paracelo come un semplice accessorio di questa base teorica.<br />
1
II. Brevi accenni alla medicina ippocratica e galenica: il giuramento di Ippocrate e gli umori<br />
di Galeno<br />
Secondo Ippocrate la malattia poteva essere causata da quattro fluidi corporei detti “umori”:<br />
sangue, flemma, bile e atrabile. Per una salute ottimale questi fluidi dovevano essere in equilibrio;<br />
la malattia insorgeva a causa di eccesso di uno di essi. Scopo del medico era di ripristinare<br />
l’equilibrio umorale del paziente. I rimedi consistevano prevalentemente in pozioni di erbe e altre<br />
sostanze vegetali o minerali considerate, non sempre a torto, medicamentose. La pratica più diffusa<br />
era il salasso, che avrebbe dovuto mitigare l’eccesso del sangue e contestualmente far sfogare gli<br />
umori superflui presenti in esso.<br />
Gli umori del sistema ippocratico sono stati adottati successivamente da Galeno, che li identificò<br />
con i quattro tipi fondamentali di temperamento umano: sanguigno (speranzoso, coraggioso,<br />
amoroso, espansivo); flemmatico (calmo); bilioso (collerico e irascibile); astrabiliare (malinconico,<br />
depresso, tendente all’inganno e alla codardia).<br />
Tutti i malanni che procuravano febbre alta, brividi, infiammazione e rossore, pallore e tremori<br />
potevano essere imputati a uno squilibrio degli umori. Nelle persone sane questi squilibri venivano<br />
corretti dall’espulsione dei rifiuti corporei: sudore, lacrime, urina, feci, pus; quando ciò non<br />
avveniva era compito del medico provocare tali escrezioni e secrezioni. La teoria di Galeno non<br />
escludeva affatto l’uso dei farmaci, ne prescriveva anzi molti, tanto che nel tardo Medioevo<br />
l’aggettivo “galenici” divenne un vero e proprio sinonimo per “farmaci”.<br />
Nel periodo in cui visse <strong>Paracelso</strong> i medici distinguevano nettamente fra sé e i chirurghi, poiché<br />
era mentalità diffusa che fosse ignobile e suicida toccare davvero il corpo di un malato o eseguire<br />
un’operazione. Era un compito umile e relegato al rango più basso della medicina: la chirurgia. Tale<br />
riluttanza a entrare in contatto con la carne e il sangue era per di più giustificata da Ippocrate: il<br />
giuramento ippocratico che i medici pronunciavano al momento della laurea, vietava di usare il<br />
coltello e di praticare la cauterizzazione (curare ferite, medicare). <strong>Paracelso</strong>, al contrario dei suoi<br />
colleghi, riteneva questa divisione della medicina in teoria e pratica assurda.<br />
III. <strong>Paracelso</strong> in Italia<br />
Intorno al 1512 Paracelo si diresse verso la culla del Rinascimento: l’Italia. Secondo Francesco<br />
Guicciardini, per l’Italia la fine dell’Quattrocento fu l’inizio di anni di infelicità, che aprirono la<br />
strada a orribili calamità. Il quadro politico italiano vedeva, a Venezia, la Serenissima repubblica<br />
lagunare, retta da un doge, il quale era eletto dalle principali famiglie delle città-stato; il Regno di<br />
Napoli, che occupava tutta l’Italia meridionale; lo Stato della Chiesa, che dominava grosso modo<br />
tutta l’Italia centrale. Nel 1492, salì al pontificio Rodrigo Borgia, Alessandro VI. Firenze era<br />
dominata dalla famiglia de’ Medici, però fra il 1494 e il 1513 fu soppiantata da una repubblica, in<br />
seguito a una rivolta istigata dal frate domenicano Gerolamo Savonarola. Quinto protagonista del<br />
potere politico italiano era il Ducato di Milano, che comprendeva anche la città di Pavia, nota per la<br />
sua Facoltà universitaria di Medicina.<br />
A quei tempi la guerra sembrava il passatempo dei re. L’Italia era in continua lotta per offese<br />
provocate ai propri governati, intrighi ed imbrogli per estorcere privilegi; l’uomo comune era<br />
trascinato in guerra per la follia dei re. <strong>Paracelso</strong> fu a Pavia, poi Mantova, Venezia, Padova. In una<br />
data imprecisata del 1513 raggiunse Ferrara. La città era governata dal duca Alfonso I d’Este,<br />
sposato con Lucrezia Borgia. Alla Facoltà di Medicina insegnava il famoso Niccolò Leoniceno,<br />
gran conoscitore della Cabala e delle dottrine neoplatoniche, specialista nella sifilide.<br />
Quando <strong>Paracelso</strong> arrivò a Ferrara, Leoniceno era già molto vecchio; morì infatti nel 1524,<br />
all’età di novantasei anni. Un altro insegnate che probabilmente <strong>Paracelso</strong> incontrò fu Giovanni<br />
Manardo, che fece un accurato studio sulla preparazione dei farmaci e mise in dubbio l’uso<br />
dell’astrologia in medicina. È probabile che abbia anche incontrato, subendone la fascinazione e<br />
l’influsso, Michele Savonarola.<br />
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Il viaggio: un ingrediente “segreto” per l’alchimia<br />
Fra il 1517 e il 1523, <strong>Paracelso</strong> intraprese una serie di viaggi straordinari, che diventarono famosi<br />
e leggendari. Si narrano molte storie sulla sua vita risalenti a questo periodo, non si sa con sicurezza<br />
quante di queste siano vere o frutto di fantasia, ma una cosa è certa: in quegli anni <strong>Paracelso</strong> è a<br />
caccia di conoscenza e ritiene che la si possa trovare in ogni angolo del mondo.<br />
Per <strong>Paracelso</strong> viaggiare era un obbligo del medico. Egli sosteneva infatti come le specifiche<br />
caratteristiche di ogni regione dessero forma a una medicina ogni volta differente. Alcuni rimedi<br />
sono utili e validi per il luogo in cui nascono, ma inutili altrove. Ogni territorio è una pagina diversa<br />
del Codice della Natura. Oggi è risaputo che la medicina popolare tradizionale, conformata da<br />
secoli di esperienza, ha individuato numerose cure di provata efficacia, come l’uso della corteccia di<br />
salice a scopo analgesico. È probabile che durante i suoi viaggi <strong>Paracelso</strong> abbia espunto preziose<br />
cognizioni dalla magia popolare.<br />
Durante i suoi viaggi egli elabora una concezione della farmacopea prevalentemente basata su<br />
soluzioni di sostanze minerali e vegetali, variamente combinate tra loro a seconda del disturbo da<br />
curare. Ciò contribuì ad arricchire un altro grande tema della filosofia paracelsiana: l’alchimia. Il<br />
suo contributo in materia fu di grande impatto per lo sviluppo della scienza chimica. La sua<br />
intenzione era, però, differente; <strong>Paracelso</strong> nell’alchimia vedeva qualcosa che andava oltre la<br />
successiva nascita della chimica; per lui tutta la natura era una forma di alchimia. L’uomo era lo<br />
specchio dell’universo: il cielo è l’uomo, e l’uomo è il cielo.<br />
Il microcosmo e il macrocosmo sono riflessi l’uno dell’altro. Per fare un esempio, un “seme”<br />
doveva in qualche modo morire prima di poter crescere e fiorire (principio metamorfosi: principio<br />
sub specie dissimilitudinis), così l’alchimista doveva “uccidere” i suoi materiali per dare inizio al<br />
processo per mezzo del quale crescevano fino alla perfezione dell’oro. La filosofia chimica di<br />
<strong>Paracelso</strong>, in cui l’alchimia possedeva la chiave per comprendere l’uomo e la natura, fornì a molti<br />
naturalisti del XVII secolo i punti cardinali in base ai quali orientarsi.<br />
Con l’avvento dell’Umanesimo, ci fu un rinnovato interesse per l’alchimia; nel 1460, Cosimo dè<br />
Medici, incaricò lo studioso Marsilio Ficino di tradurre in latino la famosa raccolta apocrifa<br />
sull’occulto greco, nota come Corpus Hermeticum. Questo testo diventò il principale nella scuola di<br />
filosofia mistica, nota come neoplatonismo. L’elaborazione dei principi del neoplatonismo sono<br />
comunemente attribuiti a Plotino (204-70 d.C.). Plotino, identifica un essere supremo onnipotente,<br />
articolandolo in una sorta di trinità: l’Uno, lo Spirito, l’Anima. Alla base della sua filosofia è che si<br />
può conoscere Dio attraverso la conoscenza di se stessi, cercando la propria anima. Per conoscere il<br />
macro bisogna prima conoscere il micro.<br />
Nel triennio 1526-1528, che fa seguito ai viaggi europei, benché la tradizione leggendaria ami<br />
presentare poco probabili itinerari in Africa e Asia, <strong>Paracelso</strong> sembra si fermò a Basilea, insegnando<br />
presso la locale Università; qui estese le sue conoscenze sulle pratiche della medicina.<br />
IV. Una medicina chimica<br />
Le nozioni elaborate durante i corsi di Basilea sono in gran parte contenute negli Archidoxa e nei<br />
libri di medicina: il Paragrano e l’Opus Paramirum. Nel primo testo - pubblicato a Cracovia nel<br />
1569, dopo la morte di <strong>Paracelso</strong> – si presuppone un’alternativa alla medicina degli antichi,<br />
attraverso la liberazione delle virtù. Questo si otterrebbe attraverso il processo alchemico della<br />
separazione: l’eliminazione dei detriti e delle scorie della terra dalle forze della natura. Tale<br />
separazione darebbe come risultato la “quintessenza”. L’Archidoxa è un testo esoterico, ovvero non<br />
per lettori comuni. <strong>Paracelso</strong> si guardava bene dal rivelare con termini imprudenti pensieri che<br />
potevano essere riferiti solo agli adepti, cioè agli esperti dell’arte e della disciplina in oggetto, per<br />
impedire la diffusione di idee presso chi non era direttamente chiamato a far parte di quel sapere. I<br />
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termini criptici erano lo specchio di un atteggiamento, comune tanto nei libri di scienza quanto in<br />
quelli di ricette, che derivava dal Medioevo e che caratterizzava indistintamente tutti quei testi che<br />
godevano dell’etichetta di “segreti”. Questi scritti sono una sorta di ricettario medico, in cui<br />
ingredienti e prescrizioni sono elencati in maniera piuttosto chiara. Il pragmatismo che è alla base<br />
del libro è anche la sua forza. Considerato un manifesto delle droghe medicinali, non reca<br />
particolari contributi al pensiero scientifico di allora.<br />
Forse <strong>Paracelso</strong> scrisse questa opera spinto a creare maggiore attenzione e controllo nel lavoro<br />
degli speziali; come lui, anche il suo maestro Cornelio Agrippa (1486-1535), nel XV secolo,<br />
sosteneva questa richiesta; egli accusò gli speziali di somministrare una cosa per un’altra,<br />
mescolando medicine marce, mal conservate nelle botteghe, magari scadute da anni. Il tutto a prezzi<br />
esorbitanti. I farmacisti conservavano tra i loro scaffali vasi che contenevano rimedi per tutti i tipi di<br />
mali. Tra i più noti vi era la triaca (dal greco therion: serpente), rimedio contro tutti i veleni, un<br />
composto formato inizialmente da cinquantaquattro ingredienti, a cui Andromaco, medico di<br />
Nerone, ne aggiunse altri. La sua triaca, usata poi da Galeno, era un composto di sessantaquattro<br />
ingredienti. Questo farmaco veniva preparato in quaranta giorni, e per poterlo utilizzare bisognava<br />
aspettare dodici anni. Un farmaco del genere aveva bisogno di licenze speciali e di un accurato<br />
controllo sulle botteghe degli speziali, sempre meno onesti, soprattutto in periodi di crisi e di guerra.<br />
L’Archidoxa è diviso in vari libri, la maggior parte dei quali descrive varie categorie di rimedi<br />
chimici e i loro metodi di preparazione, partendo da minerali, erbe, foglie e molte altre sostanze. La<br />
ricerca della “quintessenza” è per <strong>Paracelso</strong>, l’essenza che possiede le proprie virtù particolari,<br />
adatta di conseguenza a curare le malattie specifiche. Queste medicine, a differenza di quelle<br />
galeniche, devono essere mirati a precise patologie.<br />
<strong>Paracelso</strong> stabilisce che esistono varie procedure alchemiche per preparare una quintessenza: per<br />
sublimazione, per calore, grazie ad acque forti, a corrosivi, a sostanze dolci oppure acide. La<br />
maggior parte delle sue ricette prevede nel procedimento un punto chiave: la distillazione: cioè il<br />
procedimento di separazione dei componenti volatili di una sostanza tramite calore e<br />
condensazione. Questo dimostra la sua conoscenza delle opere arabe di chimica applicata alla<br />
medicina.<br />
Le virtù delle medicine come le quintessenze sono, gli arcana, i magisteria e gli elisir, tutti e tre<br />
in grado di trasformare la malattia in salute. La distinzione tra queste tre non è però chiara e spesso<br />
possono essere, data la loro somiglianza, scambiate l’una con l’altra. Con gli arcana il medico deve<br />
curare il simile col simile, la somiglianza è applicata solo agli arcana. I magisteria sono estratti da<br />
qualsiasi materiale e si identificano per il metodo di preparazione più che per la loro natura. Sono in<br />
grado di diffondere la propria influenza a un’altra sostanza. Un elisir, invece, può conservare in<br />
eterno un corpo vivente, questo può corrompere la natura della materia, eliminando le malattie.<br />
L’elisir occupa un posto analogo alla Pietra Filosofale.<br />
L’associazione dell’elisir con la longevità ha origine dalla tradizione alchemica cinese. L’idea<br />
orientale, fondata su basi più nobili, era sostenuta solo dal Vero Uomo che fabbrica oro perché<br />
desidera divenire immortale. Il suo obiettivo non è quello di arricchirsi. <strong>Paracelso</strong> fu determinato<br />
nell’introdurre questo diverso atteggiamento invitando ad abbandonare la fabbricazione dell’oro per<br />
scopi economici, a favore della ricerca medica. Gli elisir sono per i saggi cinesi comparabili alla<br />
Pietra Filosofale metallurgica, identificata col tempo da una pozione capace di donare la vita e<br />
trasformare i metalli in oro: il sogno di ogni alchimista. In quegli anni, nelle corti più lussuose, si<br />
potevano trovare ricettari di cucina che inserivano l’oro come ingrediente. Vi era la convinzione che<br />
se si mangiava e beveva in piatti e bicchieri d’oro, o addirittura si ingeriva l’oro con le pietanze, si<br />
sarebbe potuto aspirare all’immortalità.<br />
Separare la medicina dal veleno: il tartaro<br />
Per curare il simile con il simile si doveva riconoscere la causa della malattia. Uno tra i più<br />
diffusi mali e rimedi di questo tipo fu il tartaro (acido di potassio che si depositava all’interno delle<br />
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otti di vino sotto forma di crosta biancastra). Questo è composto dai sali degli acidi organici<br />
presenti nell’uva, combinati con alcuni metalli, il più frequente dei quali era il potassio. Come nelle<br />
botti di vino, <strong>Paracelso</strong> notò che il tartaro era presente anche all’interno del corpo umano; nei denti,<br />
in vescica e nella cistifellea, dove potevano formarsi delle pietrine, causa di atroci dolori. Nel suo<br />
Libro sulle malattie tartariche (1537-1538) stabilì un importante punto fermo per la bio-chimica:<br />
nella digestione, a livello dello stomaco, può essere coinvolta l’azione di un acido che può produrre<br />
tartaro cocendo troppo il cibo. Per liberare lo stomaco dal tartaro, usava il tartaro di potassio (cura<br />
del simile con il simile), oppure oli e resine posti vicino a pietre tartariche (tartaro di potassio e<br />
antimonio), dette ermetiche. La loro somministrazione provoca sudorazione e vomito.<br />
Inoltre per <strong>Paracelso</strong>, il tartaro era causa di malattie come la gotta; il punto sta proprio qui, per<br />
curare le somiglianze, il tartaro era presente anche nella sua farmacopea. Nel 1575 venne pubblicata<br />
per la prima volta l’edizione completa dell’Opus Paramirum di <strong>Paracelso</strong>. Qui raccoglie le proprie<br />
idee sulla costituzione chimica dell’uomo e del modo, rappresenta il primo libro di biochimica,<br />
definendo i presupposti in base ai quali <strong>Paracelso</strong> tenta di unire l’alchimia con la medicina. Alla<br />
domanda: ‘di che cosa è fatta la materia?’ <strong>Paracelso</strong>, per rispondere, unificò l’alchimia metallurgica<br />
con la medicina organica, aggiungendo un nuovo principio alchemico: il sale, che genera la solidità<br />
di un corpo. Senza il sale, afferma <strong>Paracelso</strong>, nessuna parte del corpo umano potrebbe essere<br />
percepita. In particolare, l’uomo sarebbe un composto di tre sostanze: zolfo, mercurio e sale. Questi<br />
si combinano insieme per costruire un corpo; essi sono all’interno dei quattro elementi classici. La<br />
materia paracelsiana è vitale, una sostanza attiva, un’entità piena di potenziale. Le sostanze terrene,<br />
per lui, non sono composte dalla mescolanza di materiali più semplici, ma sono svelate attraverso<br />
procedimenti chimici, come in particolare dal processo di separazione. Questa idea, per <strong>Paracelso</strong>,<br />
non è scientifica, ma teologica, infatti è la credenza nell’unica madre di tutte le cose, il Mysterium<br />
Magnum, da cui proviene tutto il creato in una straordinaria separazione alchemica; dentro alla<br />
matrice madre (mysterium), emergono i mysteria secondari (legati ai quattro elementi classici), per<br />
tutto quanto esiste al mondo.<br />
<strong>Paracelso</strong> respinse l’idea aristotelica in base alla quale gli elementi possiedono una sola natura;<br />
la terra fredda, il fuoco caldo, l’acqua umida e l’aria secca. Per lui questi elementi apparivano sotto<br />
diverse sembianze, tanti quanti sono gli oggetti del mondo. Non è tuttavia chiaro nel spiegare questa<br />
teoria e lascia ai posteri molti interrogativi nell’interpretazione di queste opere. Una cosa però è<br />
certa: al contrario degli scienziati del XVII secolo, <strong>Paracelso</strong> stava cercando di spiegare il mondo<br />
non tramite teorie quantitative, ma sulla base dell’analogia tra micro e macrocosmo.<br />
La medicina, all’interno della sua visione, deve essere consapevole del principio del simile (“il<br />
simile cerca il simile”); solo all’interno della chimica della malattia si trova la terapia. Il medico e le<br />
sue medicine: non sono loro a provocare la guarigione, ma creano solo le condizioni affinché il<br />
corpo guarisca da solo. La cura in questo senso è già dentro di noi. <strong>Paracelso</strong> sosteneva la necessità<br />
pratica di interventi minimi, tenere le ferite pulite, di nutrire bene il paziente, e lasciare che la natura<br />
seguisse il suo corso. Questo potere guaritore della natura, fu chiamato, da <strong>Paracelso</strong>, mumia, anche<br />
se il nome coniato presenta strane associazioni; non era comunque insolito all’epoca di <strong>Paracelso</strong><br />
che un pezzo di corpo mummificato o dei bendaggi che lo avvolgevano venissero aggiunti a un<br />
rimedio medico, probabilmente per conferire maggiori proprietà di conservazione. La mumia di<br />
<strong>Paracelso</strong> era altro, astratta, ma finì lui stesso a inserire questo termine nelle sue ricette, dove faceva<br />
riferimento a polvere di mummia. Ciò era dovuto a causa della diffusa idea che la mummia<br />
acquistasse le sue virtù medicinali dalla forza vitale rimasta nel corpo di chi è morto all’improvviso<br />
e in modo innaturale. Queste polveri erano efficaci se il cadavere a cui erano state sottratte fosse<br />
stato ucciso e non morto per cause naturali; solo così si poteva capire la qualità e il potenziale<br />
curativo della mumia. Sostenuto dall’idea che l’uomo è un microcosmo, allora nel mondo nulla gli è<br />
“alieno”: un rimedio chimico, se adeguatamente preparato, è anch’esso un rimedio naturale; quando<br />
si somministrava una medicina, per lui, si somministrava il mondo intero: cioè tutte le virtù di cielo,<br />
terra, aria e acqua (ciò potrebbe spigare i numerosi ingredienti per comporre la triaca).<br />
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Malattie femminili<br />
Sempre nell’Opus Paramirum, <strong>Paracelso</strong> trattò un argomento che la maggior parte dei suoi<br />
colleghi preferiva evitare. Fu tra i primi a osare scrivere sulle malattie delle donne. Le donne erano<br />
considerate deboli, poco intelligenti per natura. Erano abitualmente accusate, dal pensiero comune,<br />
di essere le responsabili di gravi malattie, come per esempio la sifilide. In questo testo <strong>Paracelso</strong><br />
ricorre all’antica associazione tra la donna, l’acqua e il mare: per lui l’uomo e la donna rivestono lo<br />
stesso ruolo nel concepimento. Infatti, cerca di dare una notevole e abbastanza veritiera descrizione<br />
della crescita fetale.<br />
Il mal francese<br />
<strong>Paracelso</strong>, fin dall’inizi della sua carriera medica, aveva nutrito un profondo interesse per la<br />
patologia più temuta del suo tempo: la sifilide. Chiamato mal francese poiché inizialmente si diffuse<br />
in Francia, solo nel 1530 gli fu coniato il nome da un medico italiano Girolamo Fra castoro, il quale<br />
inventò per il morbus gallicus un’origine leggendaria, secondo cui un pastore si lagnò con il dio<br />
Sole per il suo calore, e come protesta diede vita a un re mortale; la vendetta del dio Sole fu<br />
affliggere il pastore con bubboni orribili. Il nome del pastore era Syphilus. Nel 1517 si scoprì un<br />
nuovo rimedio, grazie alle numerose mobilità delle navigazioni: alcuni marinai tornarono da Haiti<br />
con un legno compatto, noto come guaiaco, da cui si poteva ricavare un rimedio contro la sifilide.<br />
Facendo bollire schegge di questo legno si otteneva un decotto, la cui schiuma veniva applicata<br />
sulle piaghe, mentre il liquido veniva bevuto dal paziente, che doveva rimanere confinato per trenta<br />
giorni in una camera chiusa senza aria. <strong>Paracelso</strong> metteva in dubbio l’efficacia della cura con il<br />
guaico; i suoi studi approfonditi sulla malattia lo convinsero che questa cura era inefficace; egli non<br />
riponeva fiducia neanche nella somministrazione di mercurio (molto di moda nelle prescrizioni<br />
mediche, consigliato in dosi elevatissime) per la cura della sifilide, considerato molto più dannoso<br />
che utile.<br />
Nel 1538, suggeriva però di utilizzare piccolissime dosi di mercurio, in quanto la sua efficacia<br />
non è proporzionale al dosaggio; si trattava secondo lui di individuarne la dose corretta; veleno se<br />
usato con eccesso, medicina se assunto con moderazione. In effetti aveva ragione, il mercurio in<br />
pratica fu l’unico rimedio conosciuto fino al 1909, quando fu scoperta l’asfenammina, un<br />
medicinale a base di arsenico. Dietro l’uso del legno guaiaco, vi era un fiorente e corrotto mercato<br />
commerciale, denunciata da <strong>Paracelso</strong> sempre nel 1538, in un passo di un libro, dal sottotitolo Sugli<br />
impostori.<br />
Una biologia ermetica: l’alchimista interiore<br />
Nel Paragrano, <strong>Paracelso</strong> presenta i quattro pilastri della medicina: filosofia, astronomia,<br />
alchimia e virtù. Questo schema è legato ai quattro elementi classici. Questi pilastri egli ordina in un<br />
elenco, fornisce una sorta di gerarchia, una sequenza di passi per mezzo di quali il medico trasforma<br />
la conoscenza in medicina; “filosofia” s’intende una teoria complessiva sul funzionamento del<br />
mondo (terra e acqua): fornisce le fondamenta “scientifiche “ delle arti curative. Come accennato<br />
prima, <strong>Paracelso</strong> era molto influenzato dalle teorie di Plotino e questo schema ne è un esempio.<br />
L’astronomia, che nel Rinascimento si riusciva a malapena a distinguere dalla astrologia, era la<br />
conoscenza dei corpi celesti e dei loro movimenti, mentre l’astrologia si occupava di interpretare<br />
l’influenza da essi esercitata sulle vicende umane. <strong>Paracelso</strong> la mette al secondo posto dei suoi<br />
pilastri, identificandole un ruolo importante per comprendere e scoprire le virtù curative delle piante<br />
e dei minerali. L’alchimia era vista come un processo di separazione per eliminare l’impuro dal<br />
puro, usando tecniche come la distillazione per concentrare il potere dei materiali naturali. Era una<br />
forma primitiva di chemioterapia, che non si limitava a scegliere il farmaco più adatto; il medico,<br />
con la sua abilità, oltre a implicare conoscenza della materia, doveva possedere virtù: una qualità<br />
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spirituale innata, l’amore. Dio, per <strong>Paracelso</strong>, rende speciale il medico, perché gli fornisce<br />
un’intuizione privilegiata del modo in cui l’universo viene governato.<br />
Nel libro Astronomia magna (1537-1538) chiarisce la corrispondenza e l’influenza dei corpi<br />
celesti, e la sua arte curativa. <strong>Paracelso</strong> vedeva i sette organi del corpo umano come i sette corpi<br />
celesti all’epoca conosciuti: questi sono autonomi e formano una sorta di sistema solare<br />
caratterizzato da circuiti simili alle orbite planetarie. Questi circuiti, propri degli organi, danno<br />
luogo a varie congiunzioni, opposizioni e così via, ognuna delle quali denota un particolare stato di<br />
salute buono o cattivo. Queste traiettorie sono determinate dalla nascita e codificano la storia della<br />
vita di una persona, compreso il giorno della sua morte, quando l’intero meccanismo si ferma e la<br />
vita finisce. L’astrologia disegnava, con lo studio delle stelle, perfino i dettagli più minuscoli del<br />
mondo. Era di opinione comune che si potesse sapere il destino degli individui dal loro “tema<br />
natale”, cioè lo studio della posizione dei corpi celesti al momento della nascita; questo oroscopo<br />
personale influiva sul carattere e sulla costituzione di una persona, e poteva essere usate per<br />
formulare predizioni di futuri avvenimenti nella sua vita.<br />
Nell’Astronomia Magna, <strong>Paracelso</strong> presenta la tesi secondo cui l’astronomia sia una pratica<br />
cristiana; qui elenca una sorta di “tassonomia delle scienze dell’astrologia”, che divide in quattro<br />
categorie: l’astronomia naturalis, viene dal Cielo e fu creata da Dio; la seconda categoria, chiamata<br />
supera, ha sede in Cielo ed è data a tutti coloro che risorgeranno dai morti, ha origine in Cristo,<br />
originata e esercitata da Lui. Terza categoria, olimpi novi, deriva dalla fede, usata dai fedeli. Il<br />
quarto tipo di astronomia è usato da spiriti demoniaci, denominata inferorum.<br />
Ovviamente non si tratta di una suddivisione dell’astrologia in quanto tale: suggerisce semmai<br />
dei modi in cui la magia naturale permette di dirigere e manipolare gli influssi delle stelle. Inoltre, è<br />
evidente la preoccupazione paracelsiana di fondo: il medico e alchimista svizzero non vuole affatto<br />
passare per stregone e negromante, cosa pericolosissima all’epoca. Perciò, si sforza in ogni modo di<br />
far rientrare la propria proposta entro i canoni dell’ortodossia religiosa. Almeno di facciata.<br />
Nel testo comunque, <strong>Paracelso</strong> sembra credere che si possa sfuggire o dominare l’influsso astrale<br />
e assumere il controllo del proprio destino: atteggiamento spiccatamente umanistico (si pensi a Pico<br />
della Mirandola). Qui si intravede quello che sarà poi la Rivoluzione Scientifica: sia Copernico sia<br />
Galileo, infatti, non erano estranei ai testi di <strong>Paracelso</strong>, come a quelli di Ermete Trimegisto.<br />
V. Dèmoni della mente, malattie invisibili<br />
L’epilessia e la caccia alle streghe<br />
Nel Medio Evo, la malattia mentale era una questione morale, se si ricercava una spiegazione<br />
naturale della pazzia era indice di asservimento a uno dei peccati mortali, il che provocava squilibri<br />
umorali tali da sconvolgere il cervello. Più comunemente, il folle e l’idiota erano considerati<br />
posseduti dai dèmoni: ciò era abbastanza per alienarli e deriderli, nonché temerli.<br />
L’epilessia era un disturbo mentale tipico, le cui manifestazioni recavano segni di una<br />
possessione demoniaca. Nel Malleus maleficarum (Il martello delle streghe, Venezia 1486), trattato<br />
scritto dagli inquisitori domenicani Henricus Kràmer e Jakob Sprenger, vi è una sorta di manuale di<br />
istruzioni per la persecuzione di supposti adulatori del diavolo: questa teoria era descritta in termini<br />
pseudo-medici, che spiegano come i dèmoni possano creare allucinazioni. Si sosteneva che le<br />
streghe esercitassero i loro poteri attraverso la mediazione con i dèmoni, anzi molti sostenevano che<br />
l’intera magia fosse demoniaca, suggerivano che tutta la magia naturale e quella nera, fossero senza<br />
distinzione stregonerie. Per gli autori la magia bianca di fatto non esisteva.<br />
Secondo <strong>Paracelso</strong>, i dèmoni esistevano davvero, anche se non li riteneva tutti malvagi. È<br />
interessante capire in che modo questi dèmoni secondo lui portino alla malattia mentale; in questo<br />
senso la fantasia ricopre un ruolo fondamentale. Per <strong>Paracelso</strong> la fantasia è un potere mentale dotato<br />
di una forza motrice in grado di agire sulla materia e sulla natura, proprio come le forze magnetiche<br />
ed elettriche. Come sosteneva anche Kramer nel Malleus, si riteneva che il cervello fosse composto<br />
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da camere ben distinte, nelle quali sono installate determinate funzioni mentali: memoria, fantasia,<br />
ragione. <strong>Paracelso</strong> credeva che l’immaginazione di una persona potesse avere un effetto diretto su<br />
quella di un’altra. Il potere dell’immaginazione godeva della fiducia di <strong>Paracelso</strong>, il che lo porta a<br />
concludere che alcune malattie sono prodotti della mente; in tale caso, la cura deve venire dalla<br />
stessa fonte. Dice a proposito: >.<br />
Follia o dannazione?<br />
Al culmine della caccia alle streghe, tra il 1580 ed il 1650, in Europa si tennero dai cento ai<br />
duecentomila procedimenti. Quelle di Agrippa e <strong>Paracelso</strong> furono voci solitarie del neoplatonismo e<br />
della magia naturale. Nel XVI secolo tocco a Johann Weyer, discepolo di Agrippa, a lanciare la<br />
sfida più convincente e ammirevole all’ossessione per le streghe. Divenne medico del duca<br />
Guglielmo V, e nel 1553 pubblicò De praestigis daemonum, che secondo il giudizio di Sigmund<br />
Freud era uno dei dieci testi più importanti di medicina mai scritti. Il Weyer fu riconosciuto un<br />
precursore della psicologia e della psicoanalisi. Per lui le streghe non erano possedute dal diavolo,<br />
erano semplicemente pazze, afflitte da disturbi psichici, o soffrivano da allucinazioni provocate da<br />
droghe, vittime innocenti di false accuse. Considerava assurdo supporre che esistono esseri umani<br />
emissari del diavolo, in grado di fare cadere in possessione o di evocare dèmoni obbedienti ai loro<br />
comandi. Sostiene che le streghe non sono davvero pericolose e che la stregoneria è una falsità;<br />
perseguitare le streghe significava, per lui, opprimere persone che per quanto un po’ squilibrate, non<br />
sono più malvagie di chiunque altro. Diagnosticò in molti casi un eccesso di malinconia, che<br />
affliggeva le donne in particolari mesi dell’anno. Il libro di Weyer fu lettissimo nell’Europa del<br />
Nord, Inghilterra soprattutto, dove ispirò analoghi testi di Sir Reginald Scott.<br />
Per <strong>Paracelso</strong> l’interesse per i disturbi psichici e le malattie della mente era evidente fin<br />
dall’inizio della sua carriera. Scrisse un libro sulle malattie che causano la pazzia nei primi anni<br />
Venti del XVI secolo, presentando una visione nuova, secondo cui questi disturbi “si sviluppano<br />
sulla predisposizione dell’uomo”: l’unica origine della malattia è la natura. Per natura si deve<br />
intendere la cosmologia chimica da lui elaborata; le patologie mentali possono essere motivate<br />
razionalmente, come quelle corporee, in termini di processi alchemici. Secondo <strong>Paracelso</strong> ci sono<br />
quattro manifestazioni di pazzia: i lunatici, spinti dalla perdita della ragione dall’influsso della luna,<br />
la quale esercita una specie di magnetismo sugli umori corporei e “strappa la ragione dalla testa<br />
dell’uomo”. Questo tipo di pazzia può essere curata con medicine. Secondo tipo di pazzia: gli insani<br />
che hanno ereditato la follia o l’hanno acquisita nell’utero; difficili da curare. Poi ci sono i vesani, la<br />
cui demenza deriva da veleni contenuti in cibi e bevande. La quarta categoria di matti sono i<br />
malinconici, che sono pazzi per costituzione a causa dell’eccessivo spiritus vitae nel cervello. Nati<br />
sotto Saturno, i malinconici sono però i più originali e creativi, secondo credenze diffuse almeno dal<br />
secolo di Elisabetta I Tudor.<br />
Il ballo di san Vito<br />
<strong>Paracelso</strong> accenna anche agli ossessi umani posseduti dal diavolo; per lui perfino la possessione<br />
diabolica poteva essere operata tramite la manipolazione meccanica, anche se illecita, di forze<br />
occulte: allora la magia naturale poteva trovare un rimedio. <strong>Paracelso</strong> studiò molto la malattia del<br />
ballo di san Vito, patologia causata da infezioni encefaliche, che provocano involontari movimenti<br />
del corpo scomposti delle membra. Per curare questa malattia, secondo <strong>Paracelso</strong>, bisognava<br />
chiudere i pazienti in un luogo buio e sgradevole, lasciare il paziente a pane e acqua, per il tempo<br />
necessario affinché questo ultimo non cominciasse ad adottare una nuova e più semplice opinione e<br />
idea del mondo. <strong>Paracelso</strong> chiama questa malattia corea lasciva, e in effetti ancora oggi è nota come<br />
corea. Un altro rimedio suggerito per il ballo di san Vito era far plasmare al paziente un’immagine<br />
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in cera della propria persona, per poi dirigere contro di essa tutto il proprio veleno e le maledizioni,<br />
gettandola infine nel fuoco. Secondo lui, l’ira è diretta contro se stessi.<br />
Conclusioni<br />
La medicina di <strong>Paracelso</strong> viene a configurarsi come una vivente alchimia del corpo e dello<br />
spirito, armonicamente correlazionati. In altre parole, <strong>Paracelso</strong> non era uno scienziato, termine del<br />
resto ancora inappropriato per la sua epoca; la sua filosofia si sforzava di essere omnicomprensiva<br />
ma era profondamente personale. È nella iatrochimica, disciplina di transizione, che va individuato<br />
il contributo più consistente di <strong>Paracelso</strong> allo sviluppo della scienza, grazie alle sue intuizioni sulla<br />
biologia alchemica si intravede il lento sviluppo verso la moderna biochimica, il suo interesse per la<br />
fermentazione, che produce calore e avviene senz’aria, nel tardo XIX secolo portò infine alla<br />
scoperta degli enzimi.<br />
Bibliografia<br />
� D. ARECCO, <strong>Paracelso</strong> medico e mago, Antropos & Iatria, II-III, 1999, pp. 60-63.<br />
� P. BALL, <strong>Paracelso</strong>, l’ultimo alchimista, Milano 2008.<br />
� F. GUICCIARDINI, Storia d’Italia (1567), I-III, Milano 2006.<br />
� P. ROSSI, La nascita della scienza moderna in Europa, Roma-Bari 1997.<br />
� P.A. ROSSI, Metamorfosi dell’idea di natura, Genova 2002.<br />
� P.A. ROSSI-I. LI VIGNI, L’eclisse della ragione all’alba della scienza moderna. La strega, il medico<br />
e l’inquisitore, Milano 2008.<br />
� P.A. ROSSI-I. LI VIGNI, Gola mater amatissima. Alimentazione e atre culinaria dall’età tardo-<br />
classica alla fine del medioevo, Genova 2006.<br />
� D.P. WALKER, Possessione ed esorcismo, Torino 1984.<br />
Sitografia<br />
www.medicinealtre.com<br />
www.airesis.net<br />
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