Cartesio René des Cartes Magia Naturale
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03/07/2012 - 21.12 <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> <strong>René</strong> <strong>des</strong> <strong>Cartes</strong> <strong>Magia</strong> <strong>Naturale</strong><br />
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http://www.cartomante-bantan.com/1/storia_della_cartomanzia_5848028.html<br />
http://www.cartomante-bantan.com/1/storia_dei_pentacoli_a_cosa_servono_5848021.html<br />
http://www.cartomante-bantan.com/1/oroscopo_tema_natale_ti_permette_di_vedere_dalla_nascita_le_tue_potenzialita_1350093.html<br />
http://www.cartomante-bantan.com/1/felicita_si_puo_raggiungere_si_puo_trovare_5841380.html<br />
http://www.cartomante-bantan.com/1/storia_dell_esoterismo_5837682.html<br />
http://www.cartomante-bantan.com/1/biotensor_o_bio_tensore_valore_dello_strumento_antico_per_ricerche_energetiche_5884786.html<br />
http://www.bantan-sensitivo.com/1/storia_della_cartomanzia_5836497.html<br />
http://www.bantan-sensitivo.com/1/storia_dei_pentacoli_a_cosa_servono_5840997.html<br />
http://www.bantan-sensitivo.com/1/oroscopo_tema_natale_ti_permette_di_vedere_dalla_nascita_le_tue_potenzialita_518348.html<br />
http://www.bantan-sensitivo.com/1/felicita_si_puo_raggiungere_si_puo_trovare_5847931.html<br />
http://www.bantan-sensitivo.com/1/storia_dell_esoterismo_5847972.html<br />
http://www.bantan-sensitivo.com/1/biotensor_o_bio_tensore_valore_dello_strumento_antico_per_ricerche_energetiche_5884561.html<br />
<strong><strong>Cartes</strong>io</strong> <strong>René</strong> <strong>des</strong> <strong>Cartes</strong> <strong>Magia</strong> <strong>Naturale</strong> http://goo.gl/u1RFL http://goo.gl/viIBX<br />
Del resto, <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> era noto per i suoi interessi ermetici: dopo l’apparizione dei Rosa+Croce in<br />
Germania verso il 1613, egli si recò a cercarli tornando in Francia solo nel 1623, quando anche a<br />
Parigi apparvero i manifesti del movimento di cui lui portava il monogramma, R.C., <strong>René</strong>e Des<br />
<strong>Cartes</strong>. Egli dichiarò sempre di aver sviluppato i fondamenti della sua filosofia e matematica<br />
(basati sulla Croce Infinita degli assi cartesiani) durante un’illuminazione onirica avuta in<br />
Germania: l’idea di un contatto con la setta non è quindi così peregrina, e contribuisce anch’essa<br />
a spiegare la leggenda meccanica.<br />
<strong>René</strong> Descartes<br />
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<strong>René</strong> Descartes (1596-1650), che tanta parte ha avuto nel porre le fondamenta a tutto il<br />
meccanicismo si interessò di ottica, metereologia, medicina, anatomia ed embriologia; ai fini del<br />
nostro discorso, il grande merito di <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> sta non soltanto nell'aver dato per primo una<br />
spiegazione generale dei fenomeni ottici, ma anche di aver compreso la natura della percezione,<br />
eliminado tutti quei riferimenti magici ed esoterici presenti sino a quel momento, come si vede<br />
da questo brano, in cui a proposito di un pezzo di cera afferma:<br />
...Ora, qual è questa cera, che non può essere concepita se non dall’intelletto o dallo spirito?<br />
Certo è la stessa che io vedo, tocco, immagino, e la stessa che conoscevo fin da principio.<br />
Ma, e questo è da notare, la percezione, o l’azione per mezzo della quale la si percepisce, non è una<br />
visione, né un contatto, né un’immaginazione, e non è mai stata tale, benché per lo innanzi così<br />
sembrasse, ma solamente una visione della mente, la quale può esser imperfetta e confusa, come<br />
era prima, oppure chiara e distinta, com’è a<strong>des</strong>so, secondo che la mia attenzione si porti più o<br />
meno verso le cose che sono in essa, e di cui essa è composta...<br />
<strong><strong>Cartes</strong>io</strong> opera una netta distinzione fra sensazioni e gli oggetti che la provocano: la durezza, il<br />
calore, i sapori, la luce e i colori sono qualità soggettive, la luce non è una sostanza e i colori non<br />
sono caratteristiche delle particelle in movimento.<br />
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Secondo il filosofo francese la sensazione del colore si origina dalla diversa rotazione conferita<br />
alle particelle dal fenomeno<br />
della rifrazione, per cui<br />
l’occhio subisce una<br />
pressione diversificata: una<br />
maggiore rotazione provoca<br />
la sensazione del rosso,<br />
mentre la sensazione d el blu<br />
è data da una pressione<br />
minore.<br />
A proposito della luce,<br />
<strong><strong>Cartes</strong>io</strong> nella Dioptrique<br />
(1637) fa l'esempio del cieco o<br />
di una persona nella più assoluta oscurità che, con un bastone, cerca di farsi un'idea<br />
dell'ambiente circostante:<br />
...Quindi la luce non è altro, nei corpi che si chiamano luminosi, che un certo movimento o<br />
un'azione molto pronta e viva, che passa verso i nostri occhi per il tramite dell'aria e degli altri<br />
corpi trasparenti, allo stesso modo che il movimento o la resistenza dei corpi che incontra il cieco,<br />
passa verso la sua mano, per il tramite del suo bastone...<br />
L'altro modello utilizzato da <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> per spiegare la natura della luce è rappresentato dal vino<br />
che in un tino, pieno di uva semipigiata, nel cui fondo siano presenti due piccoli fori, tende ad<br />
uscire in linea retta:<br />
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...Così tutte le parti della materia che tocca il lato del Sole volto verso di noi, tendono in linea<br />
retta verso i nostri occhi nel me<strong>des</strong>imo istante che sono aperti, senza impedirsi le une con le altre<br />
e anche senza essere impedite dalle parti grossolane dei corpi trasparenti, che sono tra i due ...<br />
I chicchi dell'uva nel tino rappresentano nel suo modello le parti più grossolane dell'aria.<br />
La riflessione e la rifrazione sono spiegate attraverso il modello di una palla che, scagliata da<br />
una racchetta, colpisce un ostacolo e rimbalza e i colori con le diverse velocità di rotazione e di<br />
traslazione delle particelle d'etere:<br />
ci sono corpi<br />
...che riflettono i raggi senza portare alcun mutamento alla loro azione, i bianche, mentre altri vi<br />
apportano un mutamento simile a quello che subisce una palla quando viene frisata, quelli cioé<br />
che sono rossi o gialli o azzurri o di simili colori...<br />
I colori, pertanto, sono dovuti al diverso modo con cui i corpi ricevono la luce e la riflettono agli<br />
occhi di chi vede.<br />
<strong><strong>Cartes</strong>io</strong>, in questo modo, contribuisce, insieme a molti suoi contemporanei, a ridurre la<br />
percezione che l'uomo ha del mondo a semplici immagini, segni di cui gli scienziati devono aver<br />
consapevolezza, in modo da poterne comprendere i meccanismi di funzionamento; tutte le<br />
percezioni sono dovute a "corpuscoli" che colpiscono i sensi che a loro volta inviano informazioni<br />
all'epifisi.<br />
Si tratta di una semplificazione estrema del meccanismo della percezione, rispetto a quella che<br />
attualmente conosciamo, ma per la prima volta viene operata una distinzione chiara fra gli<br />
oggetti e la percezione che se ne ha.<br />
Le teoria corpuscolare della luce e la spiegazione da lui data della visione dei colori, però, non fu<br />
considerata soddisfacente, dalla maggior parte dei suoi contemporanei; fu infatti criticata da<br />
Hooke, Huygens, Boyle e da Newton.<br />
La visione secondo <strong><strong>Cartes</strong>io</strong>; i nervi ottici non decussano, ma inviano le loro informazioni alla<br />
ghiandola pineale, centro di controllo<br />
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Formazione dell'immagine; nel disegno è rappresentato l'esperimento di Scheiner<br />
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<strong>René</strong> Descartes<br />
Discorso sul metodo<br />
Il Discorso fu pubblicato nel 1637 come<br />
prefazione a una raccolta di scritti di scienze<br />
naturali comprendente La diottrica, Le<br />
meteore, La geometria. Questo breve scritto<br />
conobbe una fortuna immensa e rimase noto<br />
come manifesto della filosofia cartesiana, se<br />
non del pensiero moderno nel suo complesso.<br />
Come per tutte le opere che hanno avuto<br />
troppa fortuna, la lettura richiede un restauro<br />
che scrosti il peso eccessivo dato alle formule<br />
riassuntive del pensiero cartesiano e ridia il<br />
peso dovuto ai suoi diversi elementi. È ciò che<br />
fanno da un lato le ormai classiche note di<br />
Gilson, che mettono in rilievo soprattutto<br />
l’eredità del linguaggio e dell’apparato<br />
concettuale della scolastica nel pensiero di<br />
Descartes, e dall’altro l’apparato curato da<br />
Mori che vuole mettere lo studente in grado di<br />
collocare l’opera nei confronti di due elementi:<br />
a) la sfida del neopirronismo, o dello<br />
scetticismo umanistico, al quale la nozione di<br />
metodo vuole fornire una risposta capace di tracciare una terza via fra lo scetticismo e<br />
l’aristotelismo ormai indifendibile nei confronti delle critiche scettiche grazie alla possibilità di<br />
stabilire alcune ben delimitate certezze, nonostante l’inaffidabilità del mondo sensibile su cui<br />
poggiava la scienza aristotelica; b) la nuova scienza della natura che sembrava avere indicato la<br />
nuova via per uscire dalla inaffidabilità delle apparenze; che il Discorso fosse concepito come<br />
prefazione a un’opera scientifica è elemento non marginale, anche se trascurato nelle letture<br />
idealistiche della storia del pensiero moderno.<br />
PRIMA DEL TESTO<br />
1 La rivoluzione cartesiana<br />
Leggere oggi il Discorso sul metodo significa soprattutto interrogarsi sul senso della rivoluzione<br />
concettuale che in esso è <strong>des</strong>critta e con cui nasce – per opinione pressoché unanime degli<br />
interpreti – la filosofia moderna. Il Discorso sul metodo è difatti un’opera rivoluzionaria. Nella<br />
forma: non un trattato in stile accademico ma un “discorso”, appunto, con la <strong>des</strong>crizione di un<br />
itinerario conoscitivo personale ed individuale che ogni essere umano dovrebbe essere in grado di<br />
ripercorrere in proprio. Nel contenuto: non una mera discussione critica di tesi antagoniste ma<br />
un sapere che si presenta come opposto in blocco a tutta la tradizione precedente, e soprattutto<br />
alla scolastica aristotelica, allora dominante nei collegi e nelle università. Nella sua stessa<br />
espressione linguistica: in francese, lingua del popolo, anziché nel latino scolastico<br />
prevalentemente utilizzato, all’epoca, dai filosofi di tutta Europa (e dallo stesso Descartes nelle<br />
sue opere sistematiche successive, come le Meditazioni metafisiche e i Principi della filosofia).<br />
La portata rivoluzionaria del Discorso sul metodo va ricercata nelle pieghe di un testo che<br />
alterna, a momenti di grande limpidezza espressiva e concettuale, non pochi luoghi d’ombra, in<br />
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parte del tutto voluti, in parte dovuti alla distanza temporale e culturale che ci separa da esso.<br />
D’altronde, il Discorso sul metodo come lo leggiamo oggi (a partire dal XIX secolo) differisce<br />
dall’originale su un punto non irrilevante. Lo scritto, infatti, non fu pubblicato da Descartes<br />
come un trattato autonomo, ma come l’introduzione a un volume di saggi scientifici, in cui il<br />
metodo da lui teorizzato avrebbe dovuto trovare una prima e già decisiva traduzione pratica: la<br />
Diottrica, le Meteore e la Geometria. Il Discorso sul metodo contiene a sua volta del materiale<br />
eterogeneo, raccolto in maniera organica soltanto poco prima della pubblicazione. Nonostante<br />
ciò, l’opera mantiene un’eccezionale unità stilistica e concettuale, che le deriva soprattutto<br />
dall’essere quella “storia della sua mente” che Descartes si era ripromesso di scrivere già alcuni<br />
anni prima. Il Discorso sul metodo ripercorre infatti nei suoi momenti salienti la biografia<br />
intellettuale del suo autore e ne riflette le esitazioni, le prime certezze, gli attimi di grande<br />
entusiasmo conoscitivo.<br />
2 Il metodo e la filosofia<br />
Il Discorso sul metodo è molto meno – e molto più – di una raccolta di precetti per il buon uso<br />
della facoltà conoscitiva umana. Al “metodo”, in senso stretto, sono dedicate solo pochissime<br />
pagine della seconda parte, mentre in tutto il resto Descartes espone quelli che considera i frutti<br />
più importanti del suo nuovo modo di far filosofia. Il progetto di scrivere un’opera interamente<br />
dedicata al metodo, Descartes lo aveva accarezzato in precedenza e poi abbandonato, lasciandolo<br />
incompiuto sotto il titolo di Regole per la guida dell’intelligenza. Redatta attorno al 1628,<br />
quest’opera rappresenta l’archeologia del metodo cartesiano: un metodo largamente ispirato ai<br />
procedimenti della matematica e della geometria, ma non ancora garantito nella sua<br />
applicazione da alcun principio superiore, analizzato filosoficamente e indubitabile.<br />
Al contrario, per il Descartes maturo, sarà impossibile separare il metodo dalla filosofia che con<br />
esso sorge e che ne fonda nel contempo la validità. Il metodo, allora, non è soltanto propedeutico<br />
alla filosofia: il metodo si identifica con la filosofia stessa, che scaturisce da esso senza soluzione<br />
di continuità. Il metodo è una “scienza universale” – come recita il titolo cui Descartes aveva<br />
pensato inizialmente per il suo scritto: Progetto di una scienza universale che possa innalzare la<br />
nostra natura al suo massimo grado di perfezione – che<br />
contiene la chiave di tutte le conoscenze, inglobandole al<br />
suo interno. Il Discorso sul metodo è dunque, in primo<br />
luogo, un discorso sulla filosofia, sul suo senso, sui suoi<br />
limiti, ma anche e soprattutto sui suoi contenuti. Per<br />
questo il metodo non si può insegnare, ma solo praticare:<br />
filosofando.<br />
3 L’albero della conoscenza<br />
La filosofia di Descartes si presenta essenzialmente<br />
come una fisica, strettamente legata alle nuove scoperte<br />
dell’era della rivoluzione scientifica (Copernico, Galileo,<br />
Keplero, Harvey), e come una metafisica, da cui la fisica<br />
stessa dipende per i suoi principi fondamentali. Questa<br />
articolazione interna – consacrata da Descartes con la<br />
celebre immagine di un albero di cui la metafisica<br />
costituisce le radici e la fisica il tronco – rovescia la<br />
tradizionale impalcatura del sapere scolastico, erede<br />
dell’organizzazione degli studi di origine aristotelica, in<br />
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cui la metafisica seguiva la logica e la fisica.<br />
Invece, secondo Descartes, la metafisica non costituisce l’approdo finale della conoscenza e non è,<br />
né può essere, preparata o introdotta dallo studio dei sillogismi o da quello dei fenomeni<br />
naturali. La logica, infatti, viene considerata da Descartes solo come un modo per ordinare<br />
meglio delle conoscenze già acquisite, non certo per arricchire il sapere. Quanto alla fisica, essa<br />
sarebbe priva di ogni fondamento razionale se non fosse direttamente garantita dalla metafisica.<br />
Descartes può quindi mantenere la definizione aristotelica della metafisica come “filosofia<br />
prima”, ma modificando radicalmente il senso di questa espressione: “prima”, non perché tratta<br />
dei principi primi della realtà dal punto di vista ontologico (la sostanza, secondo Aristotele), ma<br />
perché tratta di quelle nozioni che, per la loro semplicità, cioè per la loro indipendenza da altre,<br />
sono le “prime” dal punto di vista della conoscenza. Questo rovesciamento di prospettiva, che<br />
pone la centralità della questione della conoscenza umana e del suo fondamento ancor prima<br />
d’interrogarsi sulla struttura o sulla realtà stessa di ciò che esiste fuori dalla mente, influenzerà<br />
in maniera decisiva la tradizione filosofica occidentale dei secoli seguenti.<br />
4 Il dubbio<br />
La metafisica cartesiana si esprime<br />
caratteristicamente, anche nel<br />
Discorso sul metodo, nella forma<br />
letteraria della “meditazione”; nella<br />
forma, cioè, di un itinerario di<br />
pensiero individuale, in cui biografia<br />
e filosofia si sovrappon gono fino a<br />
non distinguersi più: l’isolamento di<br />
Descartes nel suo alloggio te<strong>des</strong>co<br />
nell’inverno del 1619 (II. 1) e il suo<br />
ritiro in Olanda nove anni dopo (III.<br />
7) simboleggiano quella vera e<br />
propria ascesi teoretica che è<br />
richiesta per giungere al fondamento<br />
del sapere. La ricerca di verità<br />
indubitabili inizia infatti<br />
necessariamente con una rinuncia:<br />
rinuncia ad ogni pregiudizio, ad ogni<br />
luogo comune, ad ogni certezza<br />
acquisita ma non indagata<br />
criticamente. È questa la strada del<br />
dubbio, che Descartes percorre nella<br />
maniera più decisa, alla maniera degli scettici antichi e moderni, negando a tutto ciò sia soggetto<br />
al benché minimo sospetto di infondatezza. La critica cartesiana colpisce in primo luogo le<br />
conoscenze provenienti dai sensi, giudicate del tutto inaffidabili: la possibilità di credere vere, in<br />
sogno, delle cose puramente immaginarie può infatti farci pensare che tutta la nostra vita sia in<br />
realtà un susseguirsi di illusioni percettive, e che nulla – neppure il nostro corpo – esista nella<br />
realtà oltre ai nostri pensieri.<br />
Astrarre dai sensi diventa dunque la prima massima di Descartes, che rivolge poi la sua<br />
attenzione a quelle nozioni puramente intellettuali, come i teoremi matematici, che sembrano<br />
dotate del massimo di certezza razionale. Ma anche le certezze intellettuali non sono esenti da<br />
ogni dubbio. Infatti, osserva Descartes, spesso consideriamo valide e del tutto evidenti<br />
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dimostrazioni matematiche che si rivelano poi fallaci, come dimostra l’esempio degli errori in cui<br />
incorrono tanti scienziati: non potrebbero esser false, dunque, tutte le proposizioni la cui verità ci<br />
appare evidente? Certo, si tratta di un dubbio artificiale e forzato: nessuno, in realtà, può negare<br />
la validità dei teoremi matematici, così come nessuno negherà mai seriamente l’esistenza del<br />
mondo esterno e del proprio corpo. Ma si tratta di un dubbio necessario da un punto di vista<br />
filosofico per trovare ciò che è assolutamente certo. Solo ciò che resisterà a questa “macchina del<br />
dubbio” potrà infatti essere considerato come una verità realmente evidente.<br />
5 L’io e Dio<br />
Di fronte all’instabilità delle nozioni sottoposte al dubbio scettico si staglia l’evidenza<br />
dell’esistenza dell’io. Un’evidenza immediata e intuitiva: penso, dunque sono (francese: je pense,<br />
donc je suis; latino: cogito ergo sum, da cui la forma abbreviata: cogito) non è, secondo Descartes,<br />
una verità cui si giunga con un ragionamento deduttivo; si tratta, piuttosto, di una conoscenza<br />
immediata, di un dato coscienziale evidente per chiunque vi rifletta. E la verità di un tale asserto<br />
è assolutamente indubitabile: anche se ne dubitassimo, il fatto stesso di dubitarne dimostrerà la<br />
sua verità, perché per dubitare occorre pur sempre pensare, e dunque esistere.<br />
Se l’argomento del Cogito non era di per<br />
sé nuovo, la scelta di partire dall’esistenza<br />
dell’io pensante, unico dato<br />
incontrovertibile e capace di superare il<br />
test dell’indubitabilità, rappresenta<br />
certamente il momento più innovativo del<br />
pensiero cartesiano.<br />
Nell’ordine cartesiano delle ragioni, l’io è<br />
la prima conoscenza evidente e il modello<br />
di tutte le conoscenze evidenti. Ma l’io<br />
scoprirà ben presto la sua finitezza, e da<br />
questa giungerà a dimostrare l’esistenza<br />
di Dio, fondamento e garanzia di tutto il<br />
sapere.<br />
Infatti, secondo Descartes, solo<br />
supponendo l’esistenza di un Dio<br />
infinitamente perfetto si può concedere<br />
l’assenso a tutte quelle evidenze che, a<br />
differenza del cogito, non sono<br />
incontrovertibili in quanto tali. È il caso<br />
di tutti i teoremi matematici e, in<br />
generale, di ogni proposizione chiara e distinta, come quelle concernenti la definizione del<br />
pensiero e della materia. Se ignorassimo la nostra origine non potremmo esser certi della<br />
corrispondenza al vero di tali conoscenze. Invece, sapendo di essere le creature di un Dio<br />
infinitamente perfetto, che non può darci facoltà fallaci, possiamo esser certi che l’evidenza (per<br />
noi) di un’idea implica la sua verità (cioè la sua corrispondenza con le cose come sono<br />
indipendentemente da noi).<br />
6 L’unità del sapere<br />
La complessa dinamica della metafisica cartesiana permette dunque di giungere<br />
progressivamente, con una serie di delicati passaggi, alla fondazione dell’evidenza razionale, e<br />
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dunque del metodo stesso, che trova<br />
nella perfezione divina la sua fonte e<br />
la sua garanzia. Con ciò si coglie il<br />
senso della “scienza universale”<br />
vagheggiata da Descartes, che<br />
riprende qui, a suo modo, un luogo<br />
comune della cultura antica e poi di<br />
quella rinascimentale. In effetti,<br />
quando Descartes parla di “scienza<br />
universale”, egli non intende in alcun<br />
modo riferirsi ad arcani principi della<br />
natura, e ancor meno ad una capacità<br />
straordinaria, da parte del filosofo, di<br />
penetrarne i misteri. Descartes,<br />
soprattutto nella fase matura del suo<br />
pensiero, respinge con sdegno l’ideale del saggio del Rinasci mento dotato di poteri intellettuali<br />
superiori, quando non magici, sostituendovi l’idea di un pensiero razionale univoco e presente,<br />
almeno potenzialmente, in tutti gli individui della specie umana.<br />
Lo stesso modello privilegiato delle scienze esatte, e in particolar modo quello della geometria,<br />
non è utilizzato da Descartes per ridurre ad esso tutti i tipi di conoscenza umana. Le scienze<br />
esatte sono solo l’espressione più riuscita, grazie all’astrattezza del loro contenuto, di una facoltà<br />
conoscitiva che è unica.<br />
L’unità del sapere e la possibilità di un metodo valido per tutte le scienze non dipendono dunque<br />
dall’oggetto della conoscenza, né consistono in un corpus di verità nascosto ai più; esse dipendono<br />
piuttosto dal soggetto pensante, che, nella sua massima accessibilità a se stesso, si vede posto al<br />
centro dell’intero itinerario conoscitivo come suo punto d’inizio imprescindibile e indubitabile.<br />
7 Materia e movimento<br />
Lo sforzo cartesiano di individuare i<br />
principi primi del sapere e di ricondurre<br />
ogni scienza a pochi principi generali è<br />
particolarmente evidente anche in fisica.<br />
La fisica cartesiana si caratterizza infatti<br />
par un radicale riduzionismo, cioè, nella<br />
fattispecie, per il tentativo di spiegare<br />
tutti i fenomeni osservabili solo in termini<br />
di movimento regolare delle particelle di<br />
materia, considerando nel contempo la<br />
materia stessa come pura estensione<br />
geometrica, priva di ogni misteriosa<br />
energia interna e di ogni altr a<br />
caratteristica non strettamente<br />
quantitativa. Sono messe al bando, in<br />
particolare, tutte quelle “facoltà” e “virtù”<br />
che pullulavano nella fisica scolastica di<br />
origine aristotelica. Descartes le<br />
considera come pure etichette prive di valore esplicativo e buone soltanto a ripetere,<br />
tautologicamente, ciò che già si sa: l’oppio, farà dire Molière al suo malato immaginario, possiede<br />
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una “virtù dormitiva”, ovvero ha un effetto sonnifero, senza che con ciò si spieghi in alcun modo<br />
come un tale effetto venga provocato<br />
dall’oppio stesso...<br />
La fisica del Discorso sul metodo, malgrado qualche attenuazione prudenziale, lascia trapelare i<br />
punti salienti del programma cartesiano: 1) matematizzazione della fisica: se la materia si<br />
identifica con l’estensione, cioè con lo spazio, ogni evento può essere <strong>des</strong>critto in termini<br />
geometrici; 2) infinità dell’universo e divisibilità infinita della materia, con conseguente<br />
negazione dell’esistenza del vuoto; 3) negazione del finalismo e concezione evoluzionistica della<br />
cosmologia: il mondo com’è oggi è il risultat<br />
o di un lungo processo in cui, a partire dal<br />
caos iniziale, si è progressivamente giunti,<br />
attraverso aggregazioni sempre diverse di<br />
materia, alla natura quale ci appare<br />
attualmente. Tutte tesi, queste,<br />
radicalmente opposte alla fisica aristotelica e<br />
potenzialmente in contrasto con l’ortodossia<br />
teologica dell’epoca – il che spiega<br />
ampiamente la prudenza di Descartes. Non<br />
meno audace, peraltro, era la tesi degli<br />
“animali-macchina”, ampiamente<br />
argomentata nella quinta parte del Discorso.<br />
Contro una tradizione millenaria (ma anche in risposta alla recente polemica di Montaigne sulla<br />
superiorità degli animali sull’uomo), Descartes attribuisce tutte le funzioni vitali degli animali<br />
non ad una qualche forma di “anima”, bensì alla materia organizzata in modo puramente<br />
meccanico, estendendo questa spiegazione anche al corpo dell’uomo. La differenza fondamentale<br />
tra l’uomo e gli animali risiede nel pensiero, di cui gli animali sono privi nel modo più assoluto<br />
(mancano infatti, secondo Descartes, di ogni forma di sensibilità e di coscienza: non soffrono, non<br />
hanno passioni, non hanno idee). L’uomo, al contrario, è un “composto” di mente e corpo, di<br />
pensiero ed estensione, di contenuti coscienziali e di materia in movimento – senza che tale<br />
unione, peraltro, sia spiegabile razionalmente, dato che pensiero ed estensione sono per<br />
Descartes radicalmente eterogenei.<br />
8 I rami dell’albero<br />
La ricerca dei principi primi della natura e della conoscenza non esaurisce tuttavia il compito<br />
della filosofia. Infatti, secondo Descartes, la filosofia ha una funzione eminentemente pratica. Il<br />
tema ricorre di frequente nel Discorso sul metodo, intrecciandosi al richiamo, di sapore<br />
baconiano, al dominio sulla natura da parte dell’umanità. In Descartes, dominare la natura<br />
significa soprattutto combattere la morte, opporsi efficacemente alle malattie, migliorare le<br />
condizioni di vita degli esseri umani: “la conservazione della salute è stata da sempre lo scopo<br />
principale dei miei studi”. La cura del corpo non può tuttavia essere disgiunta da quella<br />
dell’anima: in questo senso, la medicina e la tecnica sono equiparate alla morale e considerate<br />
come i “rami” dell’albero della scienza. Rami, tuttavia, che sono ancora incapaci di dare frutti<br />
pienamente maturi, e ciò a causa dell’insufficienza delle nostre conoscenze. In particolare, per<br />
quanto riguarda la morale, Descartes ne propone nella III parte del Discorso una versione<br />
“provvisoria”, da far propria in attesa di giungere a conoscenze scientifiche anche in questo<br />
ambito.<br />
Malgrado l’incompiutezza del sistema di conoscenze a cui prelude, il “metodo” resta comunque<br />
secondo Descartes il primo passo verso la saggezza, secondo un itinerario che parte dal dubbio<br />
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scettico per poi stabilire l’esistenza dell’io e di Dio, ma che da queste verità fondate sulla pura<br />
meditazione razionale si allontana subito, per coltivare ciò che può più contribuire alla felicità<br />
umana, e che dipende necessariamente anche dal corpo: “se io credo che sia necessario aver<br />
compreso almeno una volta nella vita i<br />
principi della metafisica, poiché sono essi<br />
che ci danno la conoscenza di Dio e<br />
dell’anima nostra, io penso anche c he<br />
sarebbe molto dannoso occupar troppo a<br />
lungo il proprio intelletto in tali<br />
meditazioni, poiché esso non potrebbe<br />
badare altrettanto bene alle funzioni<br />
dell’immaginazione e dei sensi”22. Si<br />
rivela, in queste parole così come in tutta<br />
la parte finale del Discorso, la vocazione<br />
essenzialmente eudemonistica e terrena<br />
del cartesianismo: il ripudio delle facoltà<br />
sensibili è necessario in metafisica, ma al<br />
solo scopo di recuperarle poi con maggior consapevolezza per metterle al servizio della felicità<br />
degli esseri umani in questo mondo<br />
<strong><strong>Cartes</strong>io</strong> Rosacroce<br />
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Prima di morire Paracelso http://goo.gl/yrvNb http://goo.gl/5UKGg aveva profetizzato che nel<br />
1572 sarebbe passata sopra la terra una cometa, annunciatrice di profondi cambiamenti nel<br />
mondo.<br />
La nuova "riforma magica" sarebbe stata apportatrice di pace e tutti gli uomini saggi avrebbero<br />
lavorato insieme per il bene dell'umanità.<br />
Sull'onda di questa idea nacquero alcune società iniziatiche, come i "Fratelli della Croce d'Oro",<br />
fondata da Agrippa, e la "Milizia evangelica" di Luneburg.<br />
Ma fu solo nel 1614 che apparve un libretto, la Fama fraternitatis, cui seguì la Confessio<br />
fraternitatis, che erano il manifesto, comprendente tutti i principi dell'Ordine, della società<br />
iniziatica dei Rosacroce.<br />
Nell'immagine a lato, Paracelso<br />
I Rosacroce sono la setta segreta che ha <strong>des</strong>tato il più grande<br />
interesse popolare, perché la più misteriosa; il nome<br />
deriverebbe dal fondatore dell'ordine, Christian Rosenkreuze,<br />
figura mitica che ha fatto discutere a lungo gli storici sulla<br />
realtà della sua esistenza.<br />
I Rosacroce si manifestarono al mondo nel 1614, quando nelle<br />
città di Kassel e di Strasburgo fu pubblicata la Fama<br />
fraternitatis, che riportava il messaggio di un anonimo<br />
adepto di questa fratellanza iniziatica, che cercava il<br />
rinnovamento morale per arrivare alla perfezione, ottenibile in<br />
concomitanza con una serie di riforme.<br />
Vi si narrava la storia di Chistian Rosenkreutze, nato nel<br />
1378 da una povera famiglia te<strong>des</strong>ca ed educato in un<br />
convento, che aveva lasciato per viaggiare per il mondo ed in<br />
particolare in Oriente; a Damasco aveva ricevuto conoscenze segrete da un gruppo iniziatico che<br />
aveva la sede principale nella inaccessibile città di Damcar, in Arabia.<br />
Tornato in Germania, Christian aveva fondato un'associazione con quattro amici, legati da un<br />
giuramento di fedeltà e di silenzio, allo scopo di dedicarsi alla cura dei malati.<br />
Col tempo i membri erano diventati otto; abitavano in varie parti del mondo e si riunivano una<br />
volta l'anno in una casa chiamata "Dimora dello Spirito Santo", per parlare delle proprie<br />
esperienze e fare insieme progetti per il futuro. Christian era morto nel 1484, alla bella età di<br />
centosei anni, ma la sua tomba era stata scoperta solo nel 1604: coloro che vi erano entrati<br />
l'avevano vista illuminata di una luce sovrannaturale e piena di libri di magia, alcuni di autori<br />
che non erano ancora nati ai tempi della morte di Christian.<br />
Nel frattempo i Rosacroce si erano moltiplicati, costituendo una vera e propria confraternita; essi<br />
non vestivano in modo particolare, adattandosi agli usi del paese che li ospitava; avevano in odio<br />
la lussuria, erano buoni cittadini, riconoscevano la supremazia dell'Impero Germanico e facevano<br />
voto di aiutare tutti coloro che erano degni, servendo<br />
Dio e sostenendo il progresso della conoscenza; per loro religione e scienza non erano agli<br />
antipodi, ma si completavano a vicenda.<br />
Nel 1615 uscì la Confessio fraternitatis rosae crucis, indirizzata ai sapienti europei, che<br />
spiegava i gradi iniziatici e scopriva i suoi netti caratteri protestanti; l'anno seguente uscì<br />
l'ultima parte del libello, Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutze, forse il più<br />
interessante dei tre, un romanzo iniziatico che <strong>des</strong>criveva l'illuminazione di Christian.<br />
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Rosenkreutze e illustrava le basi della spiritualità rosacrociana.<br />
Un così straordinario programma di vita creò un incredibile fermento fra gli intellettuali europei,<br />
che si divisero in due gruppi, uno di critica ed uno a sostegno delle teorie enunciate.<br />
L'ideale dei Rosacroce incarnava benissimo l'inquietudine, le speranze di miglioramento, la<br />
voglia di cambiamento e di riforme che agitavano non solo la Germania, ma tutta l'Europa.<br />
Affascinò talmente gli ingegni dell'epoca che <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> cercò invano degli adepti per farsi iniziare<br />
alla setta.<br />
Le polemiche sulla confraternita si sprecarono; alcuni affermavano che i Rosacroce non<br />
esistevano, altri che esistevano ed erano seguaci di Paracelso; per alcuni era tutta un'invenzione<br />
del pastore luterano Giovanni Valentino Andrea; per altri erano falsi Rosacroce, perché quelli<br />
veri erano nati a Lunenburg nel 1598, sotto il nome di "Milizia Crucifera Evangelica".<br />
Il massimo della fantasia fu la versione che i Rosacroce, stanchi della incredulità degli Europei,<br />
erano emigrati in India ed erano divenuti fondatori di una setta di buddhismo esoterico.<br />
Da allora molti affermarono di essere iniziati Rosacroce.<br />
Nel 1629 il curato di Gisors, in Normandia, Robert Deyau, scrisse una storia della cittadina e<br />
della famiglia de Gisors, affermando categoricamente che la società dei Rosacroce era apparsa al<br />
mondo profano da pochi anni, ma in realtà era stata fondata nel 1188 da Jean de Gisors e che<br />
era collegata con l'Ordine di Sion, un misterioso ordine iniziatico segreto che avrebbe dato vita<br />
anche ai Templari. Se ne è parlato di recente, perché sembrava essere collegato con la notissima<br />
vicenda di Rennes-le-Chateau, prima che si scoprisse che quello di Rennes (il Priorato di Sion)<br />
era pura invenzione.<br />
L'Ordine di Sion sarebbe stato fondato attorno al 1090 da Goffredo di Buglione, il conquistatore<br />
della Terrasanta.<br />
Gli adepti avrebbero poi preso il nome dall'abbazia di Nostra Signora di Sion, costruita dopo la<br />
conquista di Gerusalemme sul monte Sion, a sud della città, sulle rovine di una chiesa bizantina<br />
precedente del IV secolo, chiamata "Madre di tutte le chiese".<br />
Un cronista la <strong>des</strong>crisse nel 1172 come un luogo molto ben fortificato, organizzato e<br />
autosufficiente.<br />
A Goffredo fu offerto il titolo di re di Gerusalemme, ma egli lo rifiutò umilmente, preferendo<br />
accettare quello di "Difensore del Santo Sepolcro"; quando morì, nel 1100, lo stesso titolo fu<br />
offerto a Baldovino, suo fratello minore, che divenne re col nome di Baldovino I.<br />
Due dei membri dell'Ordine di Sion, de Payen e de Montbard, fondarono l'Ordine dei Templari,<br />
che lavorò in parallelo con l'altro ordine fino al 1187, quando Gerusalemme cadde ed i due ordini<br />
si divisero.<br />
L'Ordine di Sion lasciò la Terrasanta e si trasferì in Francia; prese allora il nome definitivo di<br />
Priorato di Sion, assumendo come sottotitolo "Ormus-Ordre de la Rose-Croix"; da qui la<br />
teoria che essi fossero i precursori dei Rosacroce.<br />
Per quel che riguarda invece l'altro nome, un’antica tradizione parla di un saggio di fede<br />
gnostica, Ormus, nato ad Alessandria d'Egitto, che nel 46 d. C. aveva fondato, con altri sei<br />
seguaci, una piccola confraternita di iniziati, che aveva come simbolo una croce rossa ed una<br />
rosa.<br />
Convertitisi al Cristianesimo ad opera di san Marco, questi iniziati avevano poi diffuso idee che<br />
erano una mescolanza di gnosticismo e Cristianesimo, oltre che di dottrine iniziatiche ermetiche<br />
e pitagoriche, che in quel periodo erano diffusissime ad Alessandria.<br />
Il nome Ormus figura anche nella religione di Zoroastro, dove indica il principio della luce e del<br />
bene, quindi non era strano che qualcuno lo pren<strong>des</strong>se come pseudonimo.<br />
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Al momento della divisione dai Templari, il Gran Maestro del Priorato era Jean de Gisors,<br />
pronipote di Hugues de Payen.<br />
1 - INTRODUZIONE<br />
METODO, FISICA E<br />
METAFISICA<br />
IN<br />
RENÉ DESCARTES<br />
PARTE PRIMA<br />
Con il progressivo smantellamento dell'aristotelismo, soprattutto a seguito delle importanti<br />
scoperte nel campo dell'astronomia, della matematica, dell'anatomia e della meccanica, si<br />
sentiva l'esigenza di ricostruire un substrato concettuale, di riferimento, a tutto quanto di nuovo<br />
si veniva affermando.<br />
Il programma cartesiano per molti versi cercò di rispondere a questa esigenza.<br />
La concezione cartesiana del mondo cerca di dare una ragione più compiuta al sistema<br />
copernicano per inserirlo in una visione più generale di cui esso stesso risultasse conseguenza.<br />
Nel lavoro che segue intendo presentare la vita, il pensiero e l'opera di uno dei più grandi e noti<br />
pensatori del Seicento, <strong>René</strong> Descartes.<br />
E' del tutto evidente che su tale personaggio sia stato scritto praticamente tutto e quindi è<br />
davvero complicato poter scrivere qualcosa di originale.<br />
Osservo però che andando a leggere le numerose opere che trattano il personaggio si trova quasi<br />
sempre il suo contributo alla filosofia mentre viene trascurato abbastanza il contributo di<br />
Descartes alla scienza, se si esclude quello alla matematica.<br />
Inoltre, soprattutto in autori francesi ci si scontra spesso con posizioni scioviniste che lungi dal<br />
far chiarezza complicano molto la comprensione del pensatore francese.<br />
Intendo quindi riprendere, in linea generale, il pensiero di Descartes ed andare quindi a cogliere,<br />
in particolare, i suoi contributi alla scienza della natura ed alla matematica.<br />
2 - LA VITA E LA CRONOLOGIA DELLE OPERE<br />
<strong>René</strong> Descartes è noto come <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> per il costume che ancora si aveva nel Seicento di<br />
latinizzare il proprio nome e Descartes usava firmarsi <strong>Cartes</strong>ius.<br />
Egli nacque nel 1596 a La Haye, villaggio francese nella regione della Touraine sulla Loira, da<br />
famiglia che per le terre che aveva è definibile di petite noblesse (suo padre era consigliere al<br />
parlamento bretone di Rennes). Ad appena un anno restò orfano della madre e della sua<br />
educazione si occupò la nonna. Malfermo di salute, si mostrò subito precoce nel chiedere e<br />
indagare su tutto e per questo suo padre lo chiamava "il filosofo". Studiò a La Fleche nel Collegio<br />
Reale Henri-le-Grand gestito dai gesuiti tra il 1604 ed il 1612, Gli insegnamenti che aveva<br />
seguito erano: grammatica, retorica, latino, greco, ebraico, filosofia (all'interno della quale si<br />
studiava la scolastica e la fisica), matematiche e teologia. Descartes ebbe a dire in seguito:<br />
«J’étais dans l’une <strong>des</strong> plus célèbres écoles de l’Europe» ma, ciò<br />
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Registro in cui è annotata la graduazione di Descartes<br />
nonostante, giudicò i suoi studi incoerenti, sterili, dogmatici e poco adatti ad orientare lo spirito<br />
verso una ricerca seria sul mondo che ci circonda e quindi non in grado di sviluppare le capacità<br />
razionali (Discours de la Méthode). Dopo aver preso il diploma di scuola superiore, passò<br />
all'università di Poitiers dove nel 1616 conseguì il titolo di baccalaureato in legge (anche se, tra il<br />
1615 ed il 1616, si era occupato prevalentemente di medicina). Non esercitò però la professione di<br />
avvocato e, dopo due anni di soggiorno in voluto isolamento a Parigi, anni nei quali iniziò a<br />
studiare il grande libro del mondo, preferì (1618) recarsi in Olanda (all'epoca alleata della<br />
Francia contro la Spagna) ed arruolarsi alla scuola di guerra di Maurizio di Nassau, principe<br />
d'Orange. Qui conobbe un medico, Isaac Beeckman, con il quale rimase in contatto per tutta la<br />
vita e condivise approfonditi interessi scientifici dei quali restano i primi scritti di Descartes in<br />
una corrispondenza con Beeckman e nei diari del me<strong>des</strong>imo Beeckman che forniscono un<br />
resoconto delle idee di Descartes su questioni scientifiche (matematica, fisica, logica). E' da<br />
notare che Beckman, studioso di fisica e matematica, era rettore di una delle più prestigiose<br />
scuole d'Olanda ed uno scienziato all'avanguardia nelle conoscenze del suo tempo: era<br />
copernicano in cosmologia, sostenitore delle idee di Harvey sulla circolazione del sangue in<br />
fisiologia e atomista in fisica (dove fin dal 1916 mostrò di aver capito il principio d'inerzia e la<br />
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caduta dei gravi con uguale velocità). Oltre a Beeckman frequentò anche il matematico<br />
Faulhauer, conosciuto ad Ulm nel 1620, che lo erudì nei più recenti sviluppi dell'algebra,<br />
particolarmente nei lavori di Viète. Nel 1619 Descartes lasciò l'Olanda per recarsi in Danimarca,<br />
quindi si recò la Germania dove si arruolò nell'esercito del duca Massimiliano di Baviera allo<br />
scoppio della Guerra dei 30 anni. Tra il 1619 ed il 1620 egli iniziò a sviluppare i principi del suo<br />
sistema: i semplici ragionamenti che un uomo di buon senso può fare spontaneamente riguardo<br />
alle cose che si offrono alla sua attenzione sono di gran lunga più evoluti e vicini al vero delle<br />
cose che uno apprende nelle scuole. Si convinse che era necessario cancellare tutte le conoscenze<br />
acquisite per ripart ire da zero e rimetterle insieme dopo averle controllate e ordinate secondo le<br />
esigenze della ragione. Racconta Descartes che questa ispirazione gli venne da tre sogni fatti a<br />
Neuburg, alla frontiere nord della<br />
Baviera, dove era di stanza<br />
l'esercito, la notte del 10 novembre<br />
1619. In uno di essi, un violento<br />
uragano lo faceva volare lontano<br />
da Flèche e, mentre era in volo,<br />
egli guardava la tempesta<br />
osservandola, libero da<br />
superstizione, con gli occhi della<br />
scienza. Si svegliò e per giorni<br />
interi restò rinchiuso nella sua<br />
stanza molto riscaldata da una<br />
grande stufa in ceramica. Meditò lì<br />
dentro e, alla fine, uscì pieno di<br />
entusiasmo per aver intravisto il<br />
fondamento di una scienza<br />
meravigliosa. Anche se non ci disse<br />
qual era il fondamento e quale la<br />
scienza, sembra che si trattasse<br />
dell'applicazione dell'algebra alla<br />
geometria e quindi all'invenzione (che sarà anche di Fermat) della geometria analitica e, più in<br />
generale, all'applicazione della matematica allo studio dei fenomeni naturali. Fu qui dunque che<br />
nacque il primo abbozzo del Discours de la Méthode. L'entusiasmo per l'illuminazione era tale<br />
che la fede ingenua di Descartes, come sostiene Mesnard, gli fece far voto di un pellegrinaggio a<br />
Loreto (tal cosa si realizzò nel 1623). Ed a seguito di tale illuminazione Descartes si convinse a<br />
lasciare definitivamente l'esercito (fine 1619).<br />
Tra il 1620 ed il 1622 viaggiò in Germania ed Olanda. Nel 1622 tornò in Francia e, dopo una<br />
permanenza a Parigi, si rimise in viaggio verso l'Italia. Di questo periodo abbiamo uno dei suoi<br />
primi scritti, De solidorum elementis, che si aggiunge ad altre brevi note (Olympiques), ad un suo<br />
vecchio scritto di musica, Abrégé de musique (del 1618 dedicato a Beeckman), un trattatello di<br />
scherma (Traité d'escrime del 1613, perduto) e ad altre brevi opere alcune prima perdute e<br />
quindi ritrovate nel 1859 (Cogitationes Privatae) ed altre perdute definitivamente.<br />
Tra l'autunno del 1623 ed il maggio del 1625, Descartes si recò a Venezia (per la cerimonia delle<br />
nozze del Doge con il mar Adriatico), a Roma (per l'apertura dell'Anno Santo il 24 dicembre<br />
1624), a Firenze e, probabilmente - visto che alcuni lo negano - proprio a fare il pellegrinaggio a<br />
Loreto (nel qual caso, visto che il suo pellegrinaggio era frutto di un voto, esso sarebbe dovuto<br />
avvenire, come da costume dell'epoca, a piedi). In Italia non incontrò Galileo, che in quegli anni<br />
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aveva grandissima fama ed era ancora lungi dalla condanna (1633) per il Dialogo sui due<br />
Massimi Sistemi del mondo, e non si sa neppure se lo avesse voluto incontrare. Dice Descartes<br />
che per quanto riguarda Galilei, vi dirò che non l'ho mai visto, né ho comunicato con lui in alcun<br />
modo. Eppure Galileo era ben conosciuto da Descartes perché nel 1610 egli era alunno dai<br />
gesuiti di Flèche, gesuiti che erano stati informati dai colleghi del Collegio Romano di Roma delle<br />
scoperte annunciate da Galileo nel Nuncius Sidereus. Ma risulta che Descartes nutrisse una<br />
certa invidia, mostrata in più occasioni, verso lo scienziato pisano. Descartes sosteneva, in<br />
definitiva, che non aveva quasi nulla da apprendere da Galileo.<br />
Dal 1625 al 1628 è di nuovo prevalentemente in Francia dove, avendo già conquistato fama di<br />
matematico, viene richiesto da circoli intellettuali con suo particolare gradimento. In questo<br />
periodo strinse importanti relazioni tra l'altro con il dottissimo frate dell'ordine dei Minimi<br />
(fondato da San Francesco di Paola nel 1436), Marin Mersenne, teologo appassionato di filosofia<br />
e problemi scientifici, il quale fu suo corrispondente per molti anni ed anche tramite con il mondo<br />
dotto dell'epoca che annoverava personalità del calibro di Hobbes, Galileo,<br />
Marin Mersenne<br />
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Gassendi, Pascal, Fermat, Torricelli. Nell'estate del 1628 Descartes, tramite Marsenne fu<br />
invitato ad un incontro con il nunzio apostolico. Qui sostenne una disputa per demolire alcune<br />
concezioni di un ciarlatano (Chandoux) che impressionò molto il cardinale Pierre de Berulle<br />
tanto che quest'ultimo volle conoscerlo.. In questi anni egli redige gran parte delle Regulae ad<br />
directionem ingenii, opera che resterà incompiuta e sarà edita postuma nel 1701.<br />
Nel 1628 viaggia in Olanda e vi si trasferisce definitivamente nel 1629 prendendo dimora in<br />
diverse città e facendo conoscenza con le persone più colte e dotte del Paese. Descartes era<br />
convinto di poter vivere tranquillo in Olanda e di poter elaborare le sue idee ed i suoi scritti in<br />
quiete e libertà. Le cose non andarono così perché, a fianco dei molti amici ed estimatori, ebbe<br />
fieri nemici che arrivarono ad accusarlo di ateismo e di eresia ( pelagianismo ) per aver sostenuto<br />
in particolare che l'anima è una entità separata dal corpo. Il fatto non era banale perché una tale<br />
accusa riportava al clima della controriforma caratterizzato da prese di posizione fortemente<br />
critiche nei confronti degli eccessi dell'inquisizione e del rigido controllo sulle opinioni religiose e<br />
sui comportamenti pratici dei singoli esercitato dal potere ecclesiastico. Si diffuse, infatti, come<br />
reazione a questo stato di cose, uno spirito di indipendenza e di diffusa irreligiosità che, specie<br />
dopo le terribili guerre di religione che avevano insanguinato la Francia, assunse caratteri<br />
decisamente anticattolici. In tale clima aveva avuto una grandissima eco la condanna per eresia<br />
di Cesare Vanini, un pensatore pugliese aderente al libertinismo ( come Descartes in Francia ),<br />
che alla critica della fede tradizionale saldava atteggiamenti pratici e prospettive teoriche<br />
fortemente legati all'esaltazione della natura. Il filosofo fu denunciato e condannato, come ateo,<br />
ad avere tagliata la lingua, bruciato il corpo a fuoco lento e le ceneri sparse ai quattro venti. Egli<br />
venne bruciato a Toulouse il 9 febbraio del 1619. Le accuse che si riversavano su Descartes<br />
proprio in quegli anni erano molto pericolose.<br />
La firma di Descartes<br />
Nei primi nove mesi del 1629 Descartes redige il Trattato di metafisica o Della divinità che però<br />
non ci è pervenuto, anche se si può immaginare che il suo contenuto sia stato almeno in parte<br />
riversato nel Discours de la méthode. Venuto a conoscenza di un fenomeno di ottica (i pareli, quei<br />
dischi luminosi situati a <strong>des</strong>tra e sinistra del Sole e dovuti a rifrazione dei raggi solari attraverso<br />
le nuvole composte da cristalli esagonali di ghiaccio) osservato a Frascati dal gesuita Scheiner,<br />
sospese la redazione del Trattato per dare la spiegazione del fenomeno (che poi ritroveremo nelle<br />
Météore).<br />
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In questo periodo Descartes si occupa ancora di matematica cercando di riformare le notazioni<br />
che ancora non erano agili.<br />
Egli introduce le lettere dell'alfabeto latino, prendendo le mosse dai lavori di Viète. Nel 1631<br />
inizia ad elaborare la sua geometria analitica e a scrivere le Météores. A tal fine studia ottica<br />
scoprendo le leggi della rifrazione ed inizia a scrivere la Dioptrique. Durante l'inverno 1631-1632<br />
si trovò ad Amsterdam dove, abitando nel quartiere dei macellai, ebbe modo di assistere a molte<br />
dissezioni che gli permisero di approfondire i suoi studi sulla fisiologia dei viventi. Dall'insieme<br />
di tali studi, tra il 1630 ed il 1633 verrà redatto il suo Traité du Monde o Traité de Lumière (che<br />
ha come ultimo capitolo il Traité de l'Homme). Ma qui si inserisce di nuovo Galileo perché, come<br />
già accennato, proprio nel 1633 si ha la sua brutale condanna dal Tribunale della Chiesa. Questa<br />
notizia convince Descartes a non pubblicare il suo Traité du Monde, che poi è l'insieme delle sue<br />
teorie fisiche ed astronomiche basate sul copernicanesimo (il Traité du Monde sarà pubblicato<br />
postumo nel 1664). Nel 1634 riceverà da Beeckman il Dialogo di Galileo, e, dopo averlo letto dirà<br />
che manca maggiormente laddove segue le opinioni tradizionali che quando se ne allontana.<br />
Comunque il Dialogo gli servirà per chiarire ed indirizzare meglio il suo pensiero. Inizia allora a<br />
pensare al Discours il luogo dove vuole mostrare la potenza del suo metodo. E' da notare che in<br />
questa epoca conosce ed inizia a frequentare ad Utrecht il diplomatico olan<strong>des</strong>e Costantin<br />
Huygens, padre di Christian (1629-1695), colui che sarà un grande scienziato che subirà le<br />
influenze certamente della matematica di Descartes.<br />
Descartes<br />
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Gli anni successivi vedono la successiva pubblicazione del corpo principale delle opere di<br />
Descartes. La prima vera pubblicazione di Descartes è del 1637 e riguarda una delle sue<br />
massime opere, il Discours de la méthode pour bien conduire sa raison et chercher la verité dans<br />
les sciences (dove il metodo è quello matematico) che ha come "appendici" tre importanti lavori<br />
che sono dei<br />
prudenti estratti del suo Traité du Monde: la Dioptrique, le Météores e la Géométrie (l'opera uscì<br />
anonima a Leida per i tipi di Jan Marie). Osservo solo che rispetto al suo sogno di Neuburg sono<br />
passati circa 20 anni. Nel 1641 vengono pubblicate a Parigi le sue Méditations métaphysiques<br />
che contengono anche le sette Obiezioni che si erano avute alle me<strong>des</strong>ime Méditations (nel 1640<br />
si era<br />
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avuta una prima edizione dell'opera e ne aveva inviate varie copie a numerosi intellettuali) e le<br />
sue Risposte a tali critiche.<br />
Oltre alle obiezioni che derivavano da una normale dialettica, vi erano degli accaniti avversari<br />
della nuova filosofia di Descartes tanto che, ad esempio, nel 1642 l'Università di Utrecht ne vietò<br />
l'insegnamento, accusando Descartes di ateismo e pubblicando la condanna nella Piazza della<br />
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città (più tardi anche l'Università di Leida condannerà sul piano teologico Descartes, considerato<br />
"più che pelagiano e blasfemo").<br />
Più in generale gli avversari di Descartes erano i gesuiti (che lo accusavano di essere papista e<br />
cattolico) ed i protestanti più rigorosi (che lo accusavano di avere simpatie protestanti, di<br />
ateismo ed eresia) in quanto per ambedue le categorie la filosofia scolastica era un baluardo della<br />
fede anche negli insegnamenti universitari.<br />
Nel 1644 pubblicò ad Amsterdam in latino i Principia Philosophiae (tradotti nel 1647 in francese<br />
come Les principes de la philosophie), dedicati ad una sua cara amica<br />
conosciuta nel 1642, la principessa Elisabetta di Boemia in esilio in Olanda dal 1620, con la<br />
quale avrà una fittissima corrispondenza di grande valore filosofico. Nel 1649 pubblicò le Traité<br />
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<strong>des</strong> passions de l'âme, libro che aveva iniziato a scrivere nel 1645 su sollecitazione della stessa<br />
amica principessa e che si occupava<br />
di trovare corrispondenze e relazioni tra passioni e morale. Durante questo periodo si recherà tre<br />
volte in Francia (1644, 1647, 1648) per dei brevi soggiorni ed in uno di questi, nel 1647,<br />
conoscerà Pascal al quale consigliò l'esperienza del Puy de Dôme (variazione della pressione con<br />
l'altezza). A questo proposito circolano notizie non corrette secondo le quali Descartes avrebbe<br />
ispirato Pascal nelle sue esperienze sulla pressione. Devo ricordare che Pascal venne a<br />
conoscenza dei lavori sulla pressione di Torricelli da padre Mersenne nel 1644, proprio al<br />
momento della realizzazione della celebre esperienza di Torricelli (solo Rodis-Lewis accenna alla<br />
cosa). Della cosa Marsenne informò anche Descartes ma sia nei lavori di quest'ultimo che in<br />
quelli di Pascal, non si fa mai cenno a Torricelli. Nel settembre 1649 la Regina Cristina di<br />
Svezia, tramite l'ambasciatore di Francia in Svezia, Chanut, lo invita alla sua corte a Stoccolma.<br />
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Egli deve conversare con la Regina. Ma la Regina ha abitudini mattiniere e Descartes conversa<br />
con lei per<br />
Descartes e la regina Cristina, particolare del ritratto di Pierre Dumesnil<br />
cinque ore ogni mattina alle cinque. Il palazzo reale è gelido, si devono attraversare lunghi<br />
corridoi non riscaldati e ampi cortili, e Descartes non sopportava il freddo. Si ammalò di<br />
polmonite che, ahimé, gli venne curata con salassi. Morì a febbraio (qualcuno, recentemente, ha<br />
parlato di avvelenamento da arsenico al quale avrebbe collaborato proprio Chanut). La notizia<br />
della sua morte venne data ad Anversa da un anonimo cronista nel modo seguente: E' morto in<br />
Svezia un folle che credeva di poter vivere quanto voleva. E, per buon peso, le sue opere furono<br />
messe all'Indice dalla S. Congregazione, donec corrigatur, nel 1663.<br />
Nel 1667 le spoglie di Descartes furono restituite alla Francia per essere sepolte, dopo aver<br />
vagato per vari siti, a Saint Germain <strong>des</strong> Prés.<br />
Qualcuno ha osservato che i grandi sono ben accetti in patria solo quando sono morti.<br />
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La tomba di Descartes nella Cappella di<br />
San Benedetto a Sain Germain <strong>des</strong> Prés,<br />
Parigi<br />
MEMORIAE RENATI DESCARTES<br />
RECONDITIORIS DOCTRINAS<br />
LAVDE<br />
ET INGENII SVBTILITAT<br />
PRAECELLENTISSIMI<br />
QVI PRIMVS<br />
A RENOVATIS IN EVROPA<br />
BONARVM LITTERARVM STVDIIS<br />
RATIONIS HVMANAE<br />
IVRA<br />
SALVA FIDEI CHRISTIANAE<br />
AVTORITATE<br />
VINDICAVIT ET ASSERVIT<br />
NVNC<br />
VERITATIS<br />
QVAM VNICE COLVIT<br />
CONSPECTV<br />
FRVITVR<br />
L'epitaffio sulla tomba di Descartes<br />
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3 - IL METODO DI DESCARTES<br />
Diavoletto di <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> o ludione. Vi è un generale<br />
accordo nel ritenere che Descartes rappresenti un<br />
cambiamento radicale della visione filosofica del<br />
mondo in opposizione all'aristotelismo ed alla<br />
scolastica. Si tratta di primi passi fondamentali per<br />
sradicare la mala pianta dell'autorità dei testi. Di<br />
fronte alla grande confusione che sul piano filosofico<br />
si era andata creando tra le persone colte sul finire<br />
del Cinquecento, ciascuno tra i più avveduti cerca<br />
un'uscita sul come affrontare il problema della<br />
ricerca della verità. Per iniziare a conoscere<br />
liberandosi dagli errori e confusioni del passato è<br />
partire da un qualche principio certo che sia la base<br />
da cui partire per le nuove elaborazioni. Questa base<br />
è trovata da Descartes nella razionalità dell'uomo<br />
(cogito ergo sum) che sa di esistere solo quando si<br />
accorge di essere in grado di pensare se stesso ed il<br />
mondo circostante. I dubbi devono venir meno ed<br />
essere superati con un approccio al mondo esterno<br />
che preveda che sono vere le cose che concepiamo in<br />
modo chiarissimo e distinto. Si tratta quindi di<br />
mettere in relazione la razionalità dell'uomo con il<br />
mondo esterno ed i suoi fenomeni per spiegarli. Nel<br />
far questo, mano a mano che la conoscenza avanza,<br />
ci si rende conto che non basta la sola razionalità ma<br />
serve anche l'esperienza. Si tratta di una specie di<br />
ritorno al buon senso (Mesnard) che si accompagna<br />
ad un modo nuovo di interrogare e non solo di<br />
osservare, la natura. E' un programma che<br />
Descartes enuncia chiaramente nella Parte Sesta<br />
del Discours che prevede, come dice egli stesso, di sostituire alla Filosofia speculativa che si<br />
insegna nelle scuole, una Filosofia pratica. E' quindi un programma che ribalta il mondo della<br />
filosofia scolastica che credeva di conoscere mediante la manipolazione del linguaggio attraverso<br />
i sillogismi, con una realtà che si sarebbe dovuta adeguare alle conclusioni di contorti<br />
ragionamenti. E' l'insieme di ragione ed esperienza (questa è la novità: l'esperienza non<br />
concepibile per se stessa e la ragione che non può prescindere da essa) che permette la<br />
conoscenza.<br />
Non appena acquistai alcune generali nozioni di Fisica e, utilizzatele per la soluzione di alcuni<br />
problemi particolari, ebbi modo di notare fino a che punto posson condurre e quanto differiscono<br />
dai principi di cui fino ad ora ci si è serviti, stimai che non avrei potuto tenerle nascoste senza<br />
peccare gravemente contro quella legge che ci impone, per quanto è in noi, di procurare il bene<br />
generale di tutta l'umanità. Esse mi hanno infatti mostrato che è possibile giungere a conoscenze<br />
molto utili per la vita e che, al posto di quella Filosofia speculativa che si insegna nelle scuole, se<br />
ne può trovar una pratica, mediante la quale, conoscendo il potere e gli effetti del fuoco, dell'<br />
acqua, dell' aria, degli astri, dei cieli e di tutti gli altri corpi che ci circondano, così distintamente<br />
come conosciamo le tecniche di cui si servono i nostri artigiani, potremmo utilizzare nello stesso<br />
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modo quei corpi a tutti gli usi cui sono adatti e divenir così quasi padroni e possessori della<br />
Natura. Ciò non è soltanto da <strong>des</strong>iderare per inventare una infinità di strumenti che ci farebbero<br />
godere senza fatica dei frutti della terra e di tutte le comodità che vi si trovano, ma anche,<br />
soprattutto, per conservare la salute, che è senza dubbio il primo e fondamentale bene della nostra<br />
vita. Perfino la mente, infatti, dipende così strettamente dal temperamento e dalla disposizione<br />
degli organi del corpo che, se è possibile trovare qualche mezzo capace di rendere gli uomini più<br />
saggi e più abili di quanto lo sian stati fino ad oggi, penso che sia nella Medicina che debba<br />
cercarsi ... Con tutte le conoscenze che ci restano ancora da acquisire, sarebbe possibile evitare<br />
molte malattie, tanto del corpo quanto dello spirito, e forse perfino l'indebolimento della vecchiaia<br />
se avessimo una sufficiente conoscenza delle loro cause e di tutti i rimedi di cui la Natura ci ha<br />
provveduti [Discours; 2; 542]<br />
E' un programma estremamente ampio<br />
che, si faccia attenzione, ha come fine<br />
principale l'uomo, nella sua natura<br />
esclusivamente terrena. Non è stata, credo,<br />
sottolineata a sufficienza questa<br />
preoccupazione di Descartes per alleviare<br />
le sofferenze dell'uomo. Egli si occupa, in<br />
definitiva, della morte che sarà argomento<br />
grave che occuperà anche i pensieri di<br />
Leibniz. Ma una vita non basta e per fare<br />
esperienze e per mettere insieme tutto ciò<br />
che ci occorre per i fini che egli si propone<br />
(alleviare la sofferenza dell'uomo) e quindi<br />
Descartes mette giù le sue conoscenze al<br />
fine che altri seguano sulla strada della<br />
conoscenza che è somma dei lavori di molte<br />
vite di studiosi. Così gli ultimi potranno<br />
partire dai risultati dei primi e l'umanità<br />
potrà progredire molto più di quanto non lo<br />
possa un singolo individuo. Ma qui nasce<br />
l'esigenza di passare dall'osservazione empirica ed ingenua di ciò che ci circonda a quella più<br />
raffinata che si acquisisce con l'esperienza:<br />
le esperienze sono tanto più necessarie quanto più si è progrediti nella conoscenza. Infatti, agli<br />
inizi è meglio servirsi di quelle che si presentano da sé ai nostri sensi e che non si possono<br />
ignorare, sol che vi si presti un po' d'attenzione, invece di cercarne altre più rare e studiate: queste<br />
infatti, quando non si conoscono ancora le cause delle più comuni e quando le circostanze da cui<br />
dipendono - come quasi sempre accade - sono così particolari e minute che riesce assai difficile<br />
notarle, spesso ingannano [Discours; 2; 543]<br />
E ciò rappresenta un radicale cambiamento di rotta rispetto ad Aristotele e, soprattutto, agli<br />
aristotelici eh vengono qui bistrattati da Descartes.<br />
Essi sono come l'edera, che non tende per nulla a salire oltre gli alberi che la sostengono e che<br />
spesso, anzi, giunta alla cime ridiscende [Discours; 2; 547]<br />
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Non ha infatti senso cercare risposte negli scritti di Aristotele a problemi nuovi o a questioni alle<br />
quali non ha mai pensato. Certamente ciò conviene alle menti deboli e non in grado di essere<br />
autonome. Conviene loro perché sono usi nascondersi dietro discorsi oscuri ed argomentazioni<br />
contorte pretendendo con ciò di contrastare menti sottili ed abili che utilizzano invece la ragione<br />
come strumento di continua analisi del mondo circostante. Sono come ciechi che, per battersi con<br />
un vedente, lo costringono in una cella sotterranea a lottare al buio. Per parte sua Descartes non<br />
ha intenzione di perdere tempo con tali personaggi:<br />
dirò soltanto che ho deciso di impiegare il tempo che mi resta da vivere cercando d'acquistare una<br />
conoscenza della Natura che sia tale da poterne trarre per la Medicina norme più sicure di quelle<br />
seguite fino ad oggi; dirò pure che la mia inclinazione mi allontana tanto da qualsiasi altro<br />
progetto, soprattutto da quelli che non possono essere utili agli uni che nuocendo ad altri che, se<br />
qualche circostanza mi costringesse a dedicarmici, in nessun modo - credo - sarei capace di<br />
riuscirvi [Discours; 2; 553]<br />
Fin qui per ciò che riguarda aspetti<br />
fondamentali del metodo per conoscere il<br />
mondo naturale. Ma manca un altro<br />
aspetto che pure è ritenuto fondamentale<br />
da Descartes e del quale discute nella<br />
Parte Seconda, cioè prima di quanto ho<br />
discusso, dei Discours. Mi riferisco alla<br />
Matematica che viene introdotta con un<br />
discorso articolato che inizia nella Prima<br />
Parte e che vale la pena raccontare. Egli<br />
inizia con il passare in rassegna tutte le<br />
cose che ha studiato fin dalla gioventù.<br />
Dice di aver studiato in una delle più<br />
celebri scuole d'Europa, dove pensava<br />
dovessero trovarsi uomini dotti. Le lingue<br />
le ritiene importanti perché permettono di<br />
studiare libri antichi; le favole hanno<br />
invece il pregio di risvegliare l'ingegno che<br />
viene poi innalzato dallo studio delle gesta<br />
memorabili; la lettura dei buoni libri è<br />
come una conversazione con i saggi. Egli<br />
ha apprezzato anche l'Eloquenza e la<br />
Poesia ma ha considerato queste discipline<br />
più come doni naturali che non come un<br />
qualcosa che si acquisisce con lo studio.<br />
Con la Teologia il rapporto era diverso ed<br />
in qualche modo la ritenevo cosa utile per<br />
guadagnarsi il cielo. Ma la lasciò da parte<br />
perché in cielo vanno sia gli ignoranti che i dotti e perché le verità rivelate, superando di molto<br />
l'intelligenza umana, non avrebbe mai avuto il coraggio di sottoporle al vaglio della ragione. La<br />
Filosofia, poi, aveva visto cimentarsi i più illustri ingegni che continuavano a disquisire senza<br />
tirare fuori un qualcosa che abbia un senso definitivo e comunque egli non si sente capace di<br />
aggiungere qualcosa. Riguardo poi alle scienze che discendevano dalla filosofia le ha lasciate da<br />
parte perché non si costruisce nulla di buono con basi così incerte. Infine, dice, quanto alle false<br />
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scienze, pensavo di conoscere già abbastanza bene il loro valore per non lasciarmi ingannare né<br />
dalle promesse di un Alchimista, né dalle predizioni di un Astrologo, né dalle imposture di un<br />
Mago, né dagli artifizi o dalle vanterie di quelli che vogliono far credere di sapere più di ciò che<br />
realmente sanno. ... Per tutte queste ragioni appena l'età mi permise di uscire dalla tutela dei<br />
miei Precettori, abbandonai interamente lo studio delle lettere[Discours; 2; 503].<br />
Nel cercare il vero Metodo per giungere alla conoscenza di tutte le cose di cui la sua mente era<br />
capace Descartes affronta il problema della Matematica che non è però così entusiasmante per<br />
lui come potrebbe sembrare da una semplice vulgata perché anche questa scienza non lo soddisfa<br />
per come è formulata.<br />
Con <strong><strong>Cartes</strong>io</strong>, la geometria delle coordinate ebbe un utilizzo nella costruzione di lenti per<br />
telescopi, strumenti che appassionarono molto lo scienziato francese.<br />
Il suo fu uno studio molto utile, in quanto sino ad allora non si riusciva a focalizzare in un unico<br />
punto raggi luminosi paralleli mediante il passaggio attraverso una lente. <strong><strong>Cartes</strong>io</strong>, che in<br />
precedenza aveva <strong>des</strong>critto le operazioni dell’occhio nel libro La Diotrique, si dedicò a questo<br />
studio.<br />
Fin dall'antichità era noto che la superficie sferica non focalizzava i raggi paralleli in un unico<br />
punto, Keplero aveva suggerito che potesse trattarsi di una sezione conica, ma fu <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> che<br />
scoprì la curva che genera la superficie di rotazione richiesta essa è nota oggi con il nome "ovale<br />
di <strong><strong>Cartes</strong>io</strong>".<br />
Le caratteristiche rifrangenti vennero da lui analizzate nella Dioptrique e completate nella<br />
Geometrie. La curva corrisponde alla seguente definizione :< essa è il luogo dei punti M che<br />
soddisfano la condizione FM +- nF 1 M = 2a, dove F ed F 1 sono due punti fissi, 2a è un qualunque<br />
numero reale maggiore della distanza FF 1 e n è un numero reale qualsiasi >. Da qui si può<br />
constatare che per n = 1 si ottiene un’ellisse, per n= -1 un'iperbole, per n diverso da ± 1<br />
un’equazione di una curva di quarto grado.<br />
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Quando ero più giovane avevo un po' studiato, tra le parti della Filosofia, la Logica e, tra le<br />
Scienze Matematiche, l'Algebra e l'Analisi dei Geometri: tre arti o scienze che mi pareva dovessero<br />
contribuire in qualche modo al mio progetto.<br />
Quando però le esaminai mi avvidi che, quanto alla Logica, i suoi sillogismi e la maggior parte<br />
dei suoi precetti servono più a spiegare, agli altri quanto già si conosce o, addirittura – come l'arte<br />
di Lullo, a parlare senza discernimento delle cose che si ignorano anziché insegnarle.<br />
Per quanto questa scienza contenga realmente molti precetti ottimi e verissimi, tuttavia ve ne sono<br />
mescolati insieme tanti altri dannosi e superflui che separarli sarebbe quasi tanto arduo quanto<br />
trarre una Diana o una Minerva da un blocco di marmo non ancora sbozzato.<br />
Quanto poi all'Analisi degli antichi e all'Algebra dei moderni, oltre a riferirsi esclusivamente a<br />
materie astrattissime e che sembrano inutili, la prima è sempre talmente vincolata alla<br />
considerazione delle figure da non poter esercitare l'intelletto senza affaticare molto<br />
l'immaginazione, e la seconda è talmente assoggettata a certe regole e a certe cifre da divenire<br />
un'arte confusa e oscura, che confonde la mente invece di coltivarla. Per tutto questo stimai<br />
necessario cercare qualche altro Metodo che, comprendendo i vantaggi di queste tre scienze, fosse<br />
esente dai loro difetti.<br />
E poiché il gran numero delle leggi fornisce spesso scuse per i vizi, tanto che uno Stato è assai<br />
meglio ordinato quando, avendone solo pochissime, vi vengono strettamente osservate, così, in<br />
luogo di quel gran numero di precetti che conta la Logica, pensai che mi sarebbero stati sufficienti<br />
questi quattro che sto per enumerare, purché deci<strong>des</strong>si fermamente di non cessare mai, neppure<br />
una sola volta, di osservarli [Discours; 2; 510].<br />
E siamo arrivati ai famosi quattro precetti che Descartes ritiene fondamentali per sviluppare il<br />
suo Metodo: 1 - non si deve mai ammettere per vera alcuna cosa che non sia del tutto evidente<br />
come tale per far ciò occorre bandire il Pregiudizio; 2 - ogni problema che si presenti al nostro<br />
studio va suddiviso in tanti piccoli problemi che si prestano ad essere indagati meglio<br />
separatamente, alla fine di tale processo sarà possibile ricomporre e studiare meglio il problema<br />
complessivo; 3 - per conoscere la natura occorre muoversi in modo induttivo partendo dallo<br />
studio delle cose più semplici e più facili per salire via via ai più complessi; 4 - in tale studio<br />
occorre considerare classi di fenomeni molto ampie in modo da non omettere nulla. Riporto di<br />
seguito i quattro precetti che, occorre dire, Descartes aveva già enunciato nelle sue Regulae ad<br />
directionem ingenii scritto nel 1629 e pubblicato postumo nel 1701, come vedremo nel prossimo<br />
paragrafo.<br />
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Il primo prescriveva di non accettare mai per vera nessuna cosa che non conoscessi con evidenza<br />
esser tale: evitare cioè accuratamente la Precipitazione e la Prevenzione e non comprendere nei<br />
miei giudizi se non ciò che si fosse presentato alla mia mente con tale chiarezza e distinzione da<br />
non aver nessun motivo di metterlo in dubbio.<br />
Il secondo consisteva nel dividere ciascuna difficoltà che stessi esaminando in tante piccole parti<br />
quanto fosse possibile e necessario per giungere alla miglior soluzione di essa.<br />
Il terzo nel condurre con ordine i miei pensieri, cominciando dagli oggetti più semplici e più facili<br />
da conoscere, per salire a poco a poco, come per gradi, fino alla conoscenza dei più complessi, e<br />
supponendo poi un ordine anche tra quelli di cui gli uni non precedono naturalmente gli altri.<br />
L'ultimo, infine, era di procedere in ogni caso ad enumerazioni così complete e a rassegne tanto<br />
generali da esser certo di non aver omesso assolutamente nulla [Discours; 2; 510-511].<br />
A parte il primo precetto, gli altri tre sono molto generici tanto che Leibniz dirà che era come<br />
consigliare ad un chimico di prendere quello che devi prendere, fare come devi fare, per ottenere<br />
ciò che <strong>des</strong>ideri.<br />
Subito dopo aver enunciato i precetti, Descartes ritorna al ruolo della matematica, questa volta<br />
più convinto perché è proprio il suo Metodo che gli ha permesso di modificarla in modo da<br />
rispondere ai suoi fini di conoscenza del mondo.<br />
tra tutti quelli che hanno cercato finora la verità nelle scienze, solo i Matematici sono riusciti a<br />
trovare alcune dimostrazioni, cioè alcune ragioni certe ed evidenti, non ebbi alcun dubbio che<br />
bisognava prendere le mosse da quelle da loro esaminate, quantunque non sperassi di trame altra<br />
utilità, se non quella di abituare il mio ingegno a nutrirsi di verità e a non contentarsi in nessun<br />
caso di false ragioni.<br />
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Non per questo mi proposi di cercare di apprendere tutte quelle scienze particolari che di solito si<br />
dicono Matematiche, ma, osservando che, malgrado la diversità dei loro oggetti, tuttavia si<br />
accordano tutte nel limitarsi a considerare i diversi rapporti o proporzioni che vi si trovano,<br />
stimai che sarebbe stato meglio esaminare solo queste proporzioni in generale, supponendole<br />
esclusivamente in oggetti che servissero a rendermene più facile la conoscenza; anzi, senza<br />
limitarle in nessun modo a questi, per poterle poi applicare a tutti gli altri cui convenissero.<br />
Avendo poi osservato che, per conoscerle, avrei dovuto in certi casi considerarle ciascuna<br />
singolarmente, mentre in altri casi mi sarebbe stato sufficiente ricordarle e comprenderne molte<br />
insieme, pensai che, per meglio considerarle in particolare, avrei dovuto immaginarle come linee,<br />
giacché nulla intravedevo di più semplice e di più distintamente rappresentabile alla mia<br />
immaginazione e ai miei sensi; ma che, per ricordarle e comprenderne insieme molte, avrei dovuto<br />
esprimerle con alcune cifre, le più brevi che fosse possibile: in tale modo avrei preso quanto di<br />
meglio offrivano 1'Analisi dei Geometri e l'Algebra e avrei corretto i difetti dell'una per mezzo<br />
dell' altra.<br />
Oso infatti affermare che 1'esatta osservanza di quei pochi precetti che avevo scelto mi permise di<br />
risolvere tutti i problemi di queste due scienze con tale facilità che nei due o tre mesi che impiegai<br />
ad esaminarli, avendo iniziato dai più semplici e generali - ogni verità trovata costituendo per me<br />
una regola utile per trovarne poi altre -, non solo venni a capo di molti che in altro tempo avevo<br />
giudicato difficilissimi, ma, verso la fine, mi sembrò anche di poter determinare, negli stessi<br />
problemi che ignoravo, con quali mezzi e fino a qual punto avrei potuto risolverli [Discours; 2;<br />
511-512].<br />
Siamo quindi al quadro completo del Metodo di Descartes. Per il nostro occorre indagare la<br />
realtà servendosi della ragione, abbandonando l'autorità dei testi.<br />
Più avanzano le conoscenze meno bastano le osservazioni empiriche.<br />
Occorre allora sollecitare la realtà con le esperienze.<br />
Sullo sfondo, come tessuto connettivo, occorre trattare matematicamente ogni problema perché<br />
la matematica è la certa fonte della conoscenza e con essa si identifica la scienza della natura.<br />
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E' un'identificazione ampia perché la matematica serve sì a conoscere la natura ma essa stessa è<br />
prodotta allo stesso modo con cui si conosce la natura, dalla mente umana.<br />
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4 - LE REGULAE<br />
Ho già accennato al fatto che Descartes aveva scritto le Regulae ad directionem ingenii, prima<br />
dei Discours, nel 1629. Molte delle cose che sono nelle Regulae si ritrovano nella prefazione dei<br />
Dioscours ma nelle Regulae si può approfondire qualche aspetto del pensiero di Descartes, ad<br />
esempio quello che egli ha sulla matematica e che ho riportato nel paragrafo precedente.<br />
Tralasciando le Regole che non aggiungono nulla di nuovo a quanto detto, vediamo la Regola IV<br />
in cui Descartes spiega meglio la sua concezione della matematica.<br />
Ormai fiorisce un certo genere di Aritmetica che è chiamato Algebra, per operare con i numeri ciò<br />
che gli antichi facevano con le figure. Queste due (scienze) non sono niente altro che frutti<br />
spontanei, nati dai principi di questo metodo che sono naturalmente in noi; non mi meraviglio che<br />
(tali frutti) fino ad oggi siano maturati intorno agli oggetti semplicissimi di queste arti più<br />
felicemente che nelle altre, nelle quali maggiori ostacoli di solito li soffocano, dove però, tuttavia,<br />
se coltivati con grandissima cura, potranno senza dubbio giungere a maturazione perfetta<br />
[Regulae; 2; 245].<br />
Descartes osserva che ormai è nata l'algebra che ha sostituito la geometria, si lavora con numeri<br />
e si è soppiantato l'uso delle figure che era degli antichi. Egli intende costruire un'altra<br />
matematica come annuncia subito dopo.<br />
È ciò che ho incominciato a fare specialmente in questo trattato; infatti non terrei in gran conto<br />
queste regole, se fossero sufficienti a risolvere soltanto quei problemi di scarso valore coi quali i<br />
Calcolatori e i Geometri sono soliti giocare in modo ozioso; infatti in tal modo crederei di non aver<br />
fatto che occuparmi di cose futili, forse con maggior sottigliezza degli altri. Sebbene mi appresti<br />
qui a dire molte cose intorno alle figure e ai numeri, non potendosi richiedere esempi così evidenti<br />
né così certi da alcun'altra scienza, tuttavia chiunque avrà considerato attentamente il mio<br />
intendimento comprenderà facilmente che qui non penso affatto alla Matematica comune, ma<br />
espongo un'altra disciplina, di cui essi sono l'involucro più che le parti. Questa disciplina infatti<br />
deve contenere i primi rudimenti della ragione umana e deve estendersi per ricavare la verità da<br />
qualsivoglia oggetto; e, per parlare francamente, sono persuaso che questa sia più importante di<br />
ogni altra cognizione tramandataci dai nostri simili, in quanto è 1'origine di tutte le altre. Ho<br />
detto involucro, non perché voglia mascherare e confondere questa dottrina per sottrarla all'uomo<br />
comune, ma piuttosto perché voglio vestirla e adornarla in modo che possa essere più atta<br />
all'ingegno umano [Regulae; 2; 245].<br />
Le argomentazioni di Descartes seguono nella Regola XII nella quale si inizia con<br />
un'affermazione di interesse: per la conoscenza delle cose si devono considerare solo due aspetti,<br />
ossia noi che conosciamo e le cose stessa da conoscere ed a tal fine noi disponiamo di quattro<br />
facoltà: l'intelletto, l'immaginazione, il senso e la memoria. Nella Regola XVI poi si passa a<br />
definire l'algebra che Descartes ha in mente, nella quale (come aveva fatto Viète) entrano le<br />
lettere in luogo dei numeri e la cosa non è per nulla banale in quanto, così operando l'algebra, da<br />
semplice strumento di calcolo, diventa algebra universale perché le sue operazioni si possono<br />
eseguire senza sapere cosa rappresentino le lettere e quindi ricavando dei risultati che poi sono<br />
applicabili a qualunque grandezza (astratta o fisica) quei numeri rappresentassero. In tal modo è<br />
possibile prevedere una generalizzazione dell'algebra proprio perché vi è una trattazione<br />
generale successivamente applicabile ad ogni trattazione quantitativa che preveda una misura.<br />
La trattazione matematica prevede poi che sia possibile disporre i risultati di operazioni in<br />
catene deduttive che, in quanto tali, possono essere assiomatizzate. Ed allora questo metodo<br />
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diventa il me<strong>des</strong>imo di quello che si utilizza per conoscere la natura. Di conseguenza la<br />
conoscenza scientifica non può che procedere allo stesso modo della conoscenza matematica. Si<br />
tratta di partire da assiomi e deduzioni servendosi del calcolo algebrico. Leggiamo un brano di<br />
Descartes:<br />
Per facilità ci serviremo dei caratteri a, b, c, ecc., per esprimere le grandezze già note, e A, B, C,<br />
ecc., per <strong>des</strong>ignare quelle ignote; spesso premetteremo ai caratteri le cifre dei numeri 2, 3, 4, ecc.,<br />
allo scopo di rendere esplicita la molteplicità di quelle e di nuovo (altre ne) aggiungeremo per il<br />
numero dei rapporti che in esse si dovranno intendere: così se scriverò 2a3, sarà come se dicessi il<br />
doppio della grandezza indicata con la lettera a contenente tre rapporti. Con tale accorgimento<br />
non solo compendieremo poi molte parole, ma - ciò che soprattutto importa - mostreremo i termini<br />
della difficoltà così puri e nudi che, anche senza omettere nulla di utile, non vi si troverà mai<br />
nulla di superfluo e che occupi invano la capacità dell'ingegno, quando la mente dovrà<br />
abbracciare molte cose in una volta [Regulae; 2; 303].<br />
Ma se, nonostante questo programma così impegnativo, qualcuno andasse a cercare la<br />
matematica all'interno dell'opera scientifica di Descartes, rimarrebbe deluso e non per demerito<br />
di Descartes ma perché i problemi richiedevano una matematica che non era stata ancora<br />
sviluppata e che lo sarà a partire dal me<strong>des</strong>imo Descartes, da Fermat e quindi da Newton e<br />
Leibniz con la sublime invenzione del calcolo infinitesimale. Solo la meccanica permetteva<br />
qualche applicazione che già doveva fermarsi di fronte al semplice problema di calcolare una<br />
velocità istantanea.<br />
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Fatto straordinario è che Descartes riuscì ad applicare il suo ideale di matematica con la<br />
matematica stessa introducendo l'algebra simbolica che si stava affermando nella geometria con<br />
l'armonica fusione delle due nella geometria analitica. Si tratta del definitivo sganciamento dalla<br />
geometria degli antichi e della creazione di un ramo d'indagine che avrebbe previsto strade<br />
evolutive proprie.<br />
E' evidente che il pensiero filosofico, in questo caso l'epistemologia, di Descartes meriterebbe e<br />
merita molto maggiore spazio ma io mi sono proposto di ricercare quelle parti delle elaborazioni<br />
del nostro filosofo funzionali allo studio della natura fisica che egli affronta, oltre che ai supporti<br />
matematici da lui introdotti. Ma prima di fare ciò una osservazione deve essere fatta a modo di<br />
denuncia a proposito dei Discours. Quest'opera è costituita da una prefazione (quella che ho<br />
riassunto enucleando ciò che ritenevo d'interesse per i miei fini), nella quale si <strong>des</strong>crive il metodo<br />
che Descartes ha elaborato. Ma, subito dopo, in modo indissolubile, vi è l'esemplificazione del<br />
come applicare il suo metodo in tre monografie: La Dioptrique, Les Météores, La Géométrie.<br />
Purtroppo, invece, vi è l'insano costume di presentare quasi sempre i Discours (a meno di non<br />
andare ad edizioni elaborate e costose) come se consistessero nella sola prefazione. E' un modo<br />
scorretto di presentare le cose che ricrea ciò che Descartes combatteva: un mondo letterario in<br />
cui si discute sulle parole tralasciando l'esperienza che in questo caso sono le esemplificazioni di<br />
Descartes. E perché si saltano tali esemplificazioni ? Perché si tratta di scienza, di cose<br />
complesse che occorre studiare per capire di che si tratta e con le due culture rigidamente<br />
separate neppure ne vale la pena con ogni alibi idealistico.<br />
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Dopo <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> in occidente si è imposta la visione dualistica della persona come componente<br />
materiale divisa da quella spirituale. Con il tempo la divisione si è sempre più accentuata fino<br />
agli estremi da parte della scienza moderna, che è andata oltre la separazione fino a ignorare, se<br />
non negare esplicitamente, l' esistenza di una componente psico-spirituale. Di pari passo la<br />
medicina occidentale si è sempre più specializzata sulla materia ponderale fino a trattare<br />
chimicamente anche problematiche psico-emotive, facendole risalire a semplici squilibri di<br />
sostanze chimiche quali sono in definitiva i neurotrasmettitori cerebrali.<br />
La visione della medicina tradizionale cinese da millenni, e in occidente della omeopatia da<br />
alcuni secoli, si è sempre caratterizzata nel considerare l' individuo come un complesso, dove la<br />
componente somatica, mentale ed emotivo-spirituale fossero livelli comunicanti e dipendenti<br />
della stessa unità.<br />
Da qui deriva un approccio di tipo terapeutico che tende più a ripristinare un equilibrio psicosomatico<br />
della persona che a sopprimere nel minor tempo possibile sintomi che invece sono<br />
segnali ed indicatori del disagio che ha permesso loro di manifestarsi.<br />
Tutto ciò non va naturalmente contro gli indubbi meriti della medicina moderna sulle malattie<br />
potenzialmente mortali dove resta secondo noi di primaria scelta terapeutica.<br />
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Risulta abbastanza evidente però che in molti malesseri e disturbi cronici le risposte della<br />
chimica si sono rivelate nel tempo insoddisfacenti se non portatrici di effetti collaterali<br />
importanti anche maggiori del sintomo che si voleva curare.<br />
E' in questo contesto che si inserisce la medicina energetica quale strumento di conoscenza e<br />
cura della persona nella sua totalità, nell' intento di ripristinare quell' equilibrio che fattori fisici,<br />
psico-emotivi o ambientali hanno compromesso.<br />
L'intento è di presentare un diverso modo di vedere la persona e il suo ambiente nella speranza<br />
di dare consigli o aiuti che vengono da una millenaria conoscenza, e certificata da milioni di<br />
persone che ne hanno beneficiato.<br />
5 - LA GÉOMÉTRIE<br />
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La Géométrie rappresenta il primo esempio del Metodo di Descartes, anche se non troviamo qui<br />
applicate le quattro regole che egli si era dato nei Discours. E' da notare che questa nuova<br />
geometria appare simultaneamente nello stesso anno ad opera di due grandi matematici come<br />
Descartes e Fermat e la cosa non è casuale e si dà spesso nella scienza quando i tempi sono<br />
maturi per una determinata scoperta. Inoltre vi erano stati vari momenti preparatori nell'opera<br />
di svariati matematici a partire dal francese Nicola Oresme. L'essenza di questo nuovo ramo<br />
della matematica consiste nella correlazione che viene trovata tra un luogo geometrico, sia esso<br />
curva o superficie, ed una equazione algebrica (o funzione, nome introdotto nel 1694 da Leibniz).<br />
Con la geometria analitica è possibile passare dall'algebra alla geometria e viceversa con<br />
operazioni di grande potenza esplicativa che permettono una illuminazione reciproca delle due<br />
scienze. E' un notevole avanzamento rispetto alla geometria euclidea, che resta con tutta la sua<br />
validità, perché lì si richiedevano grandi sforzi di immaginazione, per di più validi caso per caso,<br />
e lunghe e complesse dimostrazioni per trovare delle proprietà, come quella di tangenza o<br />
perpendicolarità, che invece con la geometria analitica risultano banali e codificabili in modo del<br />
tutto generale. Descartes si stupisce che queste cose siano sfuggite agli antichi che, se avessero<br />
supposto questi metodi si sarebbero risparmiati di scrivere tanti volumi per scrivere i teoremi<br />
con i quali si imbattevano casualmente quando con il metodo analitico si ricavano tutti i teoremi<br />
e non solo qualcuno. Ma Descartes probabilmente non conosceva le enormi difficoltà simboliche<br />
che erano state incontrate dagli antichi e che non avevano permesso lo sviluppo di un'algebra. In<br />
ogni caso, se un merito va assegnato a Descartes rispetto a Fermat, è quello di aver compreso la<br />
rottura rispetto al passato con l'interpretazione culturale e filosofica di questo nuovo strumento<br />
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che avvicina i fondamenti della matematica alla logica pura, separandoli dalla dipendenza dalle<br />
figure che esistono esternamente a noi e sono quindi oggetti propri dell'esperienza. Dice<br />
Descartes che la geometria euclidea è addirittura contraddittoria con i suoi principi fondanti:<br />
Quale Geometria non altera l'evidenza del suo oggetto con principi contraddittori, quando ritiene<br />
che le linee siano prive di larghezza e le superfici di profondità, che poi compone tuttavia le une<br />
dalle altre ... ? La geometria perde per Descartes il suo primato sull'aritmetica e l'algebra. Ora le<br />
cose risultano invertite con in più il fatto che l'algebra comprende in sé la geometria e costituisce<br />
una scienza generale delle grandezze, quella che Descartes chiama mathesis universalis, di cui la<br />
geometria è un aspetto importante che riguarda qualità sensibili che devono invece essere<br />
riportate a qualcosa di più astratto come le equazioni algebriche.<br />
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La Géométrie non è un trattato costruito in modo ordinato, completo e sistematico. Su di essa<br />
pesa la premessa e quindi la volontà di far risaltare il Metodo più che i contenuti che vengono<br />
trattati. E' una raccolta di risultati acquisiti come esemplificativi del suo Metodo che punta a<br />
farne risaltare la sua fecondità. L'opera è divisa in tre libri.<br />
Egli inizia la trattazione del Primo Libro (Problemi di costruzione che richiedono solo cerchi e<br />
linee rette) assumendo, come aveva fatto Bombelli, un segmento come unità di misura per tutte<br />
le lunghezze e quindi gettando le basi del metodo delle coordinate. Successivamente, sul<br />
cammino aperto da Viète, mostra che è possibile riportare le operazioni aritmetiche ad<br />
altrettante costruzioni e fornisce soluzioni grafiche per le equazioni di secondo grado. Ma non<br />
fissa, come siamo usi fare oggi, un sistema di coordinate perpendicolari (usa spesso coordinate<br />
oblique), non fa uso di ascisse ed ordinate negative e non fa alcun esempio di una qualche curva<br />
tracciata a partire dalla sua equazione.<br />
Alla fine di questo Libro Descartes enuncia il Problema di Pappo:<br />
Date tre, quattro o più linee rette in un piano, trovare la posizione dei punti (luogo) da cui si<br />
possono costruire un ugual numero di segmenti, uno per ciascuna retta data, che formino un<br />
angolo noto con ciascuna delle rette date e tali che il rettangolo formato da due dei segmenti così<br />
costruiti stia in un rapporto dato con il quadrato del terzo segmento costruito se le rette sono tre;<br />
invece se vi sono quattro rette, che stia in un rapporto dato con il rettangolo formato dagli altri<br />
due. Oppure, se le rette sono cinque o sei, che il parallelepipedo costruito con tre di esse stia in un<br />
rapporto dato con il parallelepipedo costruito con le altre. In tal modo il problema può estendersi<br />
a un qualsiasi numero di linee.<br />
Problema di Pappo come illustrato da La Géométrie, Libro I [Géométrie; 44; 302]<br />
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Tale problema non era stato ancora risolto compiutamente (Apollonio lo aveva risolto nel caso di<br />
tre rette e Pappo lo aveva posto 500 anni dopo nella sua forma più generale) e Descartes inizia<br />
qui a risolverlo nel caso di quattro rette per poi, dopo molti calcoli, terminare di farlo nel Secondo<br />
Libro nel caso di 5 rette in due casi particolari (4 rette parallele a me<strong>des</strong>ima distanza tra loro e<br />
la quinta perpendicolare ad esse, come mostrato nella figura seguente).<br />
[Géométrie; 44; 315]<br />
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Nel caso delle tre o quattro rette il punto P <strong>des</strong>crive una conica mentre per 5 o 6 rette è una<br />
curva di terzo grado. Il grado della curva sale all’aumentare del numero delle rette. Descartes<br />
derivò l’equazione generica della conica e specificò le condizioni cui dovevano soddisfare i<br />
coefficienti perché la conica fosse una retta, una parabola, un’ellisse o un’iperbole. Per risolvere il<br />
problema (caso di 4 rette sviluppato nel Libro Primo) Descartes parte dal segmento di retta AB<br />
prendendolo come riferimento e chiamandolo x. Il segmento di retta CB è chiamato y ed è il<br />
segmento che si disegna a partire da una possibile posizione di C che taglia AB con un angolo<br />
dato. Il problema richiede di trovare il luogo di C al variare della posizione delle rette e quindi<br />
degli angoli che esse formano tra loro. Descartes mostra con considerazioni geometriche semplici<br />
come possono essere espresse le lunghezze delle altre linee che partono da C (e cioè CR, CQ e CS)<br />
in funzione di x ed y. Imponendo la condizione CP.CR = CS.CQ ottenne l’equazione di una conica<br />
generica nella forma di un’equazione algebrica di secondo grado in x e y del tipo:<br />
y2 = Ay + Bxy + Cx + Dx2<br />
dove A, B, C e D sono semplici espressioni algebriche che discendono dalle quantità note. A<br />
questo punto Descartes osserva che se scegliamo un valore qualunque di x, otteniamo<br />
un'espressione quadratica che ci fornisce y e quindi con riga e compasso possiamo costruirla.<br />
Prendendo infiniti valori di x si ottengono infiniti valori di y e, di conseguenza un numero<br />
infinito di punti C. Il luogo di tutti<br />
Costruzione con riga e compasso (l'insieme dei due<br />
strumenti costituisce il compasso di Descartes) del luogo<br />
che discende dal Problema di Pappo nel caso di 4 rette.<br />
Inizio del Libro Secondo [Géométrie; 44; 305].<br />
questi punti è rappresentato dall'equazione precedentemente riportata.<br />
Ma, dopo 22 pagine di conti (siamo al Libro Secondo), Descartes non ci fornisce il modo di<br />
tracciare il luogo ottenuto affermando:<br />
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Non pretendo dire tutto. Ho spiegato come si trovano gli infiniti punti per i quali passa la retta, e<br />
con questo credo di aver detto abbastanza per <strong>des</strong>criverlo.<br />
Ed inoltre lascia in sospeso almeno un problema.<br />
Egli aveva infatti assunto solo valori positivi per la x e la y ma i valori che si ottengono<br />
dall'equazione trovata prevedono valori negativi.<br />
Ciò vuol dire che la curva trovata esiste anche, come diremmo oggi, in quadranti diversi dal<br />
primo.<br />
Descartes suppone però che il luogo si trovi nel primo quadrante accennando appena ad<br />
eventualità differenti.<br />
Il Secondo Libro della Géométrie ha per titolo "Sulla natura delle linee curve".<br />
In esso, oltre alla parte relativa al Problema di Pappo del quale ho già detto, vengono distinte le<br />
curve in geometriche e meccaniche (il corrispettivo di quelle che a partire da Leibniz saranno<br />
chiamate rispettivamente algebriche e trascendenti).<br />
Era stata la risoluzione del caso semplice del Problema di Pappo che aveva indotto Descartes a a<br />
sospendere una soluzione più generale per passare a discutere della natura delle curve.<br />
Infatti egli si era accorto che all'aumentare del numero delle rette, il luogo diventa una curva più<br />
complessa di una conica, cioè da una curva di grado superiore a due.<br />
Dopo aver assolto questa incombenza egli ritornerà sul problema di Pappo nel caso già discusso<br />
delle 5 rette.<br />
Il problema è qui l'ammissione dell'esistenza di curve anche se non è possibile disegnarle con<br />
riga e compasso, curve che nascono non tanto da mezzi meccanici ma dal ragionamento.<br />
Questo argomento viene concluso con l'affermazione che le curve geometriche sono quelle che<br />
possono essere scritte mediante un'unica equazione algebrica di grado finito in x ed y e che<br />
quindi possono essere costruite in modo continuo ottenendo un'infinità di punti (risulta qui<br />
implicitamente il concetto di funzione) ed in tale categoria vengono riconosciute curve come le<br />
coniche, la concoide di Nicomede e la cissoide di Diocle; sono invece curve meccaniche tutte le<br />
altre, come la spirale e la quadratrice di Ippia(11). Descartes si sofferma poi a catalogare le curve<br />
geometriche.<br />
La prima classe, quella più semplice, è formata da curve in x ed y di primo e secondo grado.<br />
Vi è qui l'affermazione, non dimostrata, che le sezioni coniche sono curve di secondo grado.<br />
La seconda classe di curve è quella costituita da equazioni di terzo e quarto grado; la terza classe<br />
è costituita da curve con equazioni di quinto e sesto grado; ... Il raggruppare due gradi per ogni<br />
classe partiva dalla convinzione, sbagliata, che fosse sempre possibile ridurre di un grado una<br />
data equazione (quando sia nota una radice x = a, mediante la divisione per x - a) come accadeva<br />
per quelle di quarto grado riducibili al terzo (queste elaborazioni si trovano discusse nel Terzo<br />
Libro).<br />
Nelle sue elaborazioni, Descartes introduce nuove curve come la parabola cubica (o cartesiana<br />
che è il luogo del Problema di Pappo nel caso particolare delle 5 rette delle quali quattro<br />
parallele ed una perpendicolare come da ultima figura) e gli ovali (di Descartes, molto utili in<br />
ottica dal punto di vista delle forme che devono assumere i corpi trasparenti per essere utili al<br />
miglioramento della vista; tali ovali sono ottenibili con il metodo che utilizzano i giardinieri per<br />
disegnare le aiuole - vedi figura seguente); si indica il procedimento generale per la costruzione<br />
dei più diversi problemi: intersezione di una circonferenza e una retta, di una circonferenza e<br />
una parabola, di una circonferenza e di una curva di grado maggiore e così di seguito; si studiano<br />
infine<br />
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[Géométrie; 44; 325]<br />
i problemi di perpendicolarità e tangenza alle curve in un modo per la verità farraginoso. Per<br />
trovare la perpendicolare ad una data curva algebrica in un suo punto fisso P, egli considerava<br />
sulla curva un punto variabile Q e considerava poi l'equazione del cerchio avente il proprio<br />
centro variabile sull'asse delle ascisse (il solo che Descartes utilizzava ed osservo in proposito che<br />
i termini ascissa, ordinata, coordinate furono introdotti da Leibniz) e passante per P e Q.<br />
Uguagliando poi a zero il discriminante dell'equazione che determina l'intersezione del cerchio<br />
con la curva data, viene trovato il centro del cerchio quando Q coincide con P. Trovato il centro si<br />
trovano facilmente tangente (il cerchio deve avere due intersezioni coincidenti con la curva nel<br />
punto di tangenza e la tangente sarà la perpendicolare al raggio in quel punto) e perpendicolare<br />
alla curva nel punto P. Riguardo alla determinazione della tangente, Descartes illustra prima il<br />
suo metodo con due esempi (ellisse e parabola) quindi lo generalizza. Al di là di quello che ho<br />
detto c'è una idea davvero fondamentale nel suo procedimento: l'ammissione che nel punto di<br />
tangenza vi sia una doppia intersezione tra retta tangente e curva.<br />
Si può in conclusione dire che questo Secondo Libro è quello che contiene i risultati più<br />
importanti e più vicini alla moderna concezione di geometria analitica.<br />
Il Terzo Libro della Géométrie ha per titolo "Sulla costruzione di problemi solidi e supersolidi"<br />
(implicanti cioè problemi di grado maggiore o uguale al terzo). Il titolo è deviante perché questo<br />
libro ha carattere eminentemente algebrico e si occupa della teoria generale delle equazioni<br />
integrando in un quadro sintetico tutti i progressi accumulati dalla matematica negli ultimi due<br />
o tre secoli. In pratica è trattata la soluzione delle equazioni di grado superiore al secondo<br />
mediante intersezioni di curve. Si tratta però della riproposizione dei lavori dei grandi algebristi<br />
italiani del Cinquecento con svariati contributi originali tanto che pare esagerato il giudizio di<br />
Leibniz sull'intera opera: «Descartes non ha scoperto nulla nel campo dell'algebra, giacché la<br />
speciosa appartiene a Viète; la risoluzione delle equazioni del terzo e del quarto grado, a Scipione<br />
Dal Ferro e a Luigi da Ferrara [Lodovico Ferrari, ndr]; la riduzione di una equazione ad un<br />
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polinomio uguagliato a zero, ad Harriot l'inglese; il metodo delle tangenti, o dei massimi e<br />
minimi a Fermat».<br />
Più in dettaglio in quest'ultimo libro, Descartes: definisce una equazione e mostra come, facendo<br />
passare tutti i membri al primo termine ed uguagliando a zero, si riesca a lavorare meglio;<br />
discute su cosa è una radice e quante radici reali (chiamando vere le positive e false le negative)<br />
e quante immaginarie deve avere un'equazione; mostra come sia possibile scrivere un'equazione<br />
sotto forma di prodotto di radici; enuncia quella che è nota come la "regola dei segni di<br />
Descartes" (che era già nota e nemmeno importante e che Descartes enuncia così: "in ogni<br />
equazione algebrica vi possono essere tante radici vere quante sono le variazioni dei segni + e -<br />
che si incontrano; e tante false quante volte due segni + o due segni – si susseguono); fornisce il<br />
metodo per la risoluzione grafica di equazioni complete di terzo e quarto grado e per risolvere<br />
equazioni di sesto grado con l'ausilio di una parabola e della sua cubica; ... Tutte le trattazioni<br />
sono molto concise perché, come egli dice, ha voluto solo esemplificare dicendo molto in poco<br />
senza scrivere un grosso libro. E conclude quindi, al suo solito: E spero che i posteri mi saranno<br />
grati non soltanto di quanto ho loro spiegato, ma anche delle cose che ho volutamente omesso per<br />
lasciar loro il piacere di inventarle.<br />
<strong><strong>Cartes</strong>io</strong> e L’Alchimia<br />
Quindi l'alchimia oltre che arte per trasformare e i metalli era anche un'arte per trasformare se<br />
stessi ed il mondo attorno.<br />
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La definizione filosofica data dall'Enciclopedia Garzanti di Filosofia è la seguente:<br />
Alchimia, disciplina teorica e applicata che, attraverso lo studio di presunte corrispondenze,<br />
affinità, influssi fra ogni componente visibile e invisibile del cosmo, si proponeva di giungere alla<br />
trasmutazione di metalli vili (per esempio il piombo) in metalli nobili (innanzi tutto l'oro) e,<br />
simultaneamente, alla trasmutazione fisica e psichica dello studioso-operatore<br />
"L'Alchimia riproduce un mondo spirituale estremamente lontano dalla nostra mentalità<br />
moderna e occidentale. E la differenza fondamentale sta in questo: mentre l'Uomo d'oggi si pone<br />
come spettatore esterno alle cose e le valuta attraverso una serie di rapporti logici, il Filosofo<br />
Ermetico si pone 'all'interno' della realtà, se ne sente parte integrante, e la conosce attraverso<br />
l'analogìa" [...] "concepisce la realtà come essa è: non ne è estraniato, separato da essa, è<br />
IDENTICO a essa" [3]<br />
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ERMETISMO (Ermete Trismegisto) http://goo.gl/k1qB1 http://goo.gl/dIQWT ED ALCHIMIA<br />
NEL RINASCIMENTO: PARACELSO<br />
Nel grande calderone delle idee che ribollivano non potevano restare assenti le scienze<br />
ermetiche.<br />
Tuttavia, quando parliamo di scienza nel "Rinascimento" dobbiamo stare molto attenti all'uso dei<br />
termini e non dobbiamo mai pensare di riferirci ad una disciplina di tipo galilleiano.<br />
Di fatto la sperimentazione compie i primi incerti passi cercando, innanzi tutto, di definire se<br />
stessa: solo alcuni secoli dopo Copernico, con Galilei e Newton sarà introdotto il "metodo<br />
scientifico" e lo studio sistematico delle leggi dei fenomeni fisici.<br />
Prima di loro la scienza si muove in un mondo - tutto sommato abbastanza equivoco - dove<br />
domina l'ermetismo al posto della scientificità, la improvvisazione al posto della legge provata e<br />
riprovata dalla sperimentazione.<br />
Per convincerci basterà guardare l'elenco delle strane materie delle quali fu specialista lo<br />
svizzero di Etzel, dal nome altisonante:<br />
Philippus Aurelius Teophrastus Bombastus von Hohenheim, detto il "divino" (probabilmente la<br />
parola stava per "il divinatore", vale a dire il profeta).<br />
Come tutti i dotti della sua epoca fu uno studioso di ermetismo, di medicina ermetica, di filosofia,<br />
di magia, ma non fu mai nelle buone grazie della società del suo tempo.<br />
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Era nato in Germania, ad Einsiedeln, il 14 novembre 1493 e morì a Salisburgo, 24 settembre<br />
1541.<br />
Il nostro Paracelso conseguì la laurea all'Università di Ferrara, più o meno negli stessi anni in<br />
cui si era laureato Copernico.<br />
Per spiegare il "fenomeno Paracelso" bisogna pensare che nel pieno del "Rinascimento"<br />
all'Università di Praga formavano oggetto di studio materie come "negromantia" e "carmina"<br />
(vale a dire "formule magiche"), "veneficia" (ossia "stregoneria"), "Vaticinia" ("profezie"),<br />
"incantationes" ("Incantesimi").<br />
Di una siffatta "cultura" furono rappresentanti sia Heinrich Cornelius Agrippa<br />
http://goo.gl/pDVKx http://goo.gl/zFl6W di Nettesheim che Paracelso.<br />
Questo, che fu il soprannome che si attribuì, la dice tutta sul personaggio pieno di sé: Paracelso<br />
infatti significa "più grande di Celso".<br />
Indubbiamente esercitò grande influenza sullo sviluppo successivo della chimica coniando, tra<br />
l'altro, termini tuttora utilizzati: tra gli altri "alcool" (dall'arabo al kohol = sostanza per tingere<br />
gli occhi; una sorta di bistro) e alka (dal te<strong>des</strong>co all-Geist = fantomatico) per indicare un solvente<br />
universale.<br />
Secondo la leggenda sarebbe riuscito a produrre la vita in provetta: il cosidetto "homunculus" del<br />
quale parlerò a parte.<br />
Detta estremamente in breve, Paracelso fu uno studioso di alchimia e di medicina nonché un<br />
"esperto" di astrologia.<br />
Da molti disprezzato e da altrettanti ritenuto una "figura originale e gigantesca" (è il caso di<br />
Francesco Lamendola nel suo " Paracelso, ovvero al bivio della scienza moderna"), fu senza<br />
dubbio un soggetto capace di dominare l'immaginario collettivo pur a distanza di cinque secoli<br />
con "una forza non minore di quella con cui dominò su quello dei suoi contemporanei".<br />
Al di là delle sottigliezze e dei distinguo, è fuori discussione che Paracelso sia stato un tipico<br />
rappresentante delle cultura e del pensiero medico-scientifico del "Rinascimento".<br />
Tuttavia non è dei suoi meriti o demeriti scientifici che intendo discutere. Quello che qui mi<br />
interessa sono i suoi interessi relativi all'alchimia ed alla magia.<br />
Questi interessi affondavano le proprie radici nella notte dei tempi attraversando verticalmente<br />
una strada che, come dice Lamendola, "...percorre, come un filo rosso", tutta la storia del<br />
pensiero occidentale non solo pre-moderno.<br />
Indipendentemente da certe estremizzazioni non possiamo certo dimenticare, tuttavia, che solo<br />
qualche decennio dopo la scomparsa di Paracelso, appena nel XVI secolo, Roger Francis Bacon<br />
(Ruggero Bacone), http://goo.gl/QSvu4 http://goo.gl/Nbzy5 Galileo Galilei e <strong>René</strong><br />
Descartes faranno imboccare alla scienza una strada del tutto nuova sconosciuta a Paracelso.<br />
6 - LA DIOPTRIQUE<br />
E' questa esemplificazione del Metodo che lo stesso Descartes considera come la più importante.<br />
Alla Dioptrique egli dedica ogni cura e tutto il suo tempo tanto che l'opera può essere considerata<br />
un vero e proprio Trattato di Ottica, più sistematico e meno frammentario della Géométrie.<br />
Inoltre, contrariamente che la Géométrie, Descartes si pronone qui di fare opera divulgativa tale<br />
che possa essere usata anche dagli artigiani senza preparazione specifica ma che hanno avuto un<br />
ruolo fondamentale nella realizzazione del telescopio.<br />
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E' probabilmente quest'ultimo aspetto che gli impedisce una corretta applicazione del Metodo<br />
che ha illustrato nella premessa dei Discours.<br />
Ci si sarebbe aspettati prima una discussione sulla natura della luce e solo dopo la necessità<br />
della sua rifrazione.<br />
Egli invece ricorre a paragoni ed esempi di vita quotidiana, utili didatticamente ma lontani dal<br />
Metodo.<br />
Poiché la realizzazione delle cose che dirò dipende dal lavoro degli artigiani che normalmente non<br />
hanno studiato, io m'imporrò di rendere comprensibile a tutti e di non omettere nulla né supporre<br />
come noto, ciò che uno dovrebbe aver appreso da altre scienze.<br />
E perciò io inizierò dalla spiegazione della luce e dei suoi raggi; quindi, dopo aver <strong>des</strong>critto<br />
brevemente le parti dell'occhio, mi soffermerò in cosa consiste la visione; ed infine, dopo aver fatto<br />
una rassegna di tutte le cose che possono perfezionarla, spiegherò come esse possono essere<br />
realizzate nelle invenzioni che illustrerò [Dioptrique; 12; 100]<br />
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E Descartes passa a dare le analogie che gli occorrono per illustrare la natura della luce, tutte le<br />
sue proprietà che l'esperienza ci ha fatto conoscere e per dedurne tutte le altre.<br />
La prima analogia che Descartes fa è quella della persona che si aggiri di notte senza alcuna<br />
illuminazione o di un cieco (l'analogia risale a 2000 anni prima).<br />
La luce è come un bastone nelle mani di un cieco: l'azione vivace che passa attraverso l'aria ed<br />
arriva ai nostri occhi agisce nello stesso modo che la resistenza fatta da un bastone di un cieco<br />
quando incontra dei corpi.<br />
In questa visione i colori non sono propri dei corpi ma del diverso modo in cui i corpi riflettono il<br />
movimento della luce per rinviarcelo agli occhi.<br />
E ciò, ancora con l'analogia del bastone, corrisponde al fatto che il bastone si accorge di toccare<br />
un albero, una pietra, dell'acqua, ...<br />
Per poter fare un paragone vi invito a riflettere come la luce, nei corpi così detti luminosi, è<br />
soltanto un certo movimento o una azione molto rapida o molto viva che passa davanti ai nostri<br />
occhi per mezzo dell'aria o di altri corpi trasparenti, come il movimento o la resistenza dei corpi<br />
incontrati dal cieco passano verso la sua mano grazie al bastone.<br />
E ciò vi impedirà di considerare strano che la luce possa estendere i suoi raggi, in un solo attimo,<br />
dal sole fine a noi: sapete infatti che l'azione con cui si muove una delle estremità del bastone<br />
passa istantaneamente all'altra estremità, e la stessa cosa dovrebbe accadere anche se tra la terra<br />
e il cielo esistesse maggiore distanza di quanta ne esiste.<br />
E neppure vi stupirete vedendo, per mezzo suo, ogni specie di colore; potreste anche credere che nei<br />
corpi, così detti colorati, questi colori non sono che il diverso modo in cui i corpi ricevono e<br />
rinviano la luce verso gli occhi, pensando che per il cieco le differenze notate, mediante il bastone,<br />
tra alberi, pietre, acqua e altre simili cose, non sono molto rilevanti dalle differenze esistenti tra il<br />
rosso, il giallo, il verde e tutti gli altri colori.<br />
Ma le differenze in tutti questi corpi sono soltanto i diversi modi di muoversi o di resistere ai<br />
movimenti di quel bastone.<br />
E da ciò potrete dedurre che non è necessario supporre il passaggio di qualche cosa di materiale<br />
dagli oggetti agli occhi, per permetterci di vedere i colori e la luce: non è neppure necessario che in<br />
tali oggetti si dia qualche cosa di simile all'idea o ai sentimenti che ce ne facciamo, o per lo meno<br />
che nulla dei corpi sentiti dal cieco debba passare lungo il bastone fino alla mano, e che la<br />
resistenza o il movimento di quei corpi, unica causa dei sentimenti che prova, non abbiano alcuna<br />
somiglianza con le idee che se ne fa.<br />
Così il vostro spirito sarà liberato da tutte quelle immagini svolazzanti nell'aria, chiamate specie<br />
intenzionali, che tanto tormentano la immaginazione dei filosofi.<br />
E potrete anzi facilmente decidere, relativamente al luogo da dove l'azione proviene, quale sia la<br />
causa del sentimento della vista.<br />
Come il cieco può sentire i corpi che lo circondano, non soltanto per l'azione di quei corpi che si<br />
muovono contro il bastone, ma anche per l'azione della mano, quando questi corpi gli resistono,<br />
cosi anche gli oggetti della vista si possono sentire non soltanto per l'azione che, esistente negli<br />
occhi, tende verso essi.<br />
Tuttavia poiché questa azione non è altro che la luce, dobbiamo rilevare che può trovarsi soltanto<br />
negli occhi di quelli che vedono nelle tenebre della notte, come i gatti; quanto agli uomini, vedono<br />
generalmente soltanto per l'azione che viene dagli oggetti: infatti l'esperienza ci mostra che sono<br />
gli oggetti che devono essere luminosi o illuminati per essere visti, e non gli occhi per vederli...<br />
[Dioptrique; 12; 101-102]<br />
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Con la stessa analogia Descartes ci fornisce anche la sua concezione sul modo di propagazione<br />
della luce dalla sorgente all'osservatore che viene considerato istantaneo:<br />
Per poter fare un paragone vi invito a riflettere come la luce, nei corpi cosiddetti luminosi, è<br />
soltanto un certo movimento o una azione molto rapida o molto viva che passa davanti ai nostri<br />
occhi per mezzo dell'aria o di altri corpi trasparenti, come il movimento o la resistenza dei corpi<br />
incontrati dal cieco passano verso la sua mano grazie al bastone. E ciò vi impedirà di considerare<br />
strano che la luce possa estendere i suoi raggi, in un solo attimo, dal sole fine a noi: sapete infatti<br />
che l'azione con cui si muove una delle estremità del bastone passa istantaneamente all'altra<br />
estremità, e la stessa cosa dovrebbe accadere anche se tra la terra e il cielo esistesse maggiore<br />
distanza di quanta ne esiste [Dioptrique; 12; 101]<br />
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Subito dopo questa viene una seconda analogia che serve a Descartes per spiegare la<br />
trasparenza dei corpi e la propagazione della luce nella materia. Si serve di un tino, con due fori<br />
A e B come in figura, pieno di grappoli ed acini<br />
[Dioptrique; 12; 103]<br />
d'uva. Quando si pigia il tutto dai fori esce del liquido. Egli dice che,<br />
poiché non esiste vuoto in Natura, come quasi tutti i filosofi ritengono, e poiché non vi sono pori<br />
che si possano apprezzare negli oggetti che ci circondano, l'esperienza può mostrarci chiaramente<br />
che questi pori devono risultare riempiti di qualche materia sottilissima e fluidissima,<br />
estendentesi senza soluzione di continuità dagli Astri fino a noi [Dioptrique; 12; 103]<br />
Prima di proseguire qui è d'obbligo fermarsi per fare alcune osservazioni(13). Descartes fa delle<br />
assunzioni molto importanti che avranno notevoli ricadute nella storia del pensiero non solo<br />
scientifico. Ciò che egli dice non è certo una novità: si inserisce nella lunga tradizione<br />
aristotelica. La prima è la questione della luce che, in quanto propagatesi istantaneamente, è<br />
ritenuta avere una velocità infinita. E questa ammissione va di pari passo con l'altra, con<br />
l'azione a contatto tra acino ed acino (tra corpuscolo e corpuscolo, come vedremo) e con il rifiuto<br />
della possibile esistenza del vuoto. Non si capisce bene, se non come un'acritica accettazione<br />
della tradizione, questa posizione di Descartes. Queste affermazioni di principio da dove gli<br />
provengono ? Quale parte del suo Metodo le ammette ? Egli dice esplicitamente nelle regole che<br />
si era dato nel Metodo, addirittura al primo posto: Non accettare ami nulla per vero che io non<br />
sapessi chiaramente come vero. Aveva aggiunto poi che occorreva sperimentare ma ecco che,<br />
come capita qualcosa davvero complesso e sul quale vi era solo l'affermata tradizione, Descartes<br />
va tranquillamente sulla via della tradizione e quindi di un pregiudizio dannoso per ogni<br />
sviluppo futuro.<br />
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Descartes continua con la sua analogia portandola oltre.<br />
Egli dice che (si veda la figura precedente) come le parti del vino che sono in C tendono a scendere<br />
in linea retta verso A nel me<strong>des</strong>imo istante in cui questo foro è aperto e nello stesso tempo per il<br />
foro B, e che le parti di vino che sono in D ed in E tendono anch'esse, nello stesso istante ad uscire<br />
attraverso questi due fori, senza che nessuna di queste azioni sia impedita dalle altre né dalla<br />
resistenza dei grappoli che sono nel recipiente.<br />
Anzi, questi grappoli, nonostante siano pressati, non scendono come il vino verso i fori e gli acini<br />
dell'uva nel tino rappresentano nel suo modello le parti più grossolane dell'aria.<br />
Così tutte le parti della materia che tocca il lato del Sole volto verso di noi, tendono in linea retta<br />
verso i nostri occhi nel me<strong>des</strong>imo istante che sono aperti, senza impedirsi le une con le altre e<br />
anche senza essere impedite dalle parti grossolane dei corpi trasparenti, che sono tra i due.<br />
Descartes passa poi a definire i raggi luminosi come quelle infinite linee rette, che nell'analogia<br />
sono i segmenti di retta - EB, CB, DB ed EA, CA, DA - disegnati in figura, che si dipartono dai<br />
corpi luminosi verso i corpi illuminati. I raggi luminosi sono le rette lungo le quali si esercita<br />
l'azione della luce.<br />
Tali raggi sono poi deviati o smorzati quando incontrano un ostacolo, come fa una pietra o una<br />
palla.<br />
Egli, dopo aver detto che i raggi vanno trattati come si trattano i movimenti di pietre e palle,<br />
inizia ad introdurre la sua terza analogia che gli serve appunto per la spiegazione di riflessione e<br />
rifrazione. Secondo questa terza analogia, la luce è assimilata ad una palla da tennis (in ogni<br />
figura della Dioptrique vi è un omino con una racchetta che scaglia una palla in modo che la sua<br />
traiettoria sostituisca quella<br />
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della luce) quindi ad un corpuscolo e, contemporaneamente, non è corpuscolare (senza essere<br />
ondulatoria).<br />
Da una parte, cioè, la sua vorrebbe essere una teoria emissionistica, dall'altra il modello<br />
esplicativo della luce di Descartes implicava che la luce si propagasse tramite il mezzo.<br />
Data la sua teoria dell'universo tutto pieno, sarebbe stata impensabile una eventuale<br />
propagazione di corpuscoli nel vuoto.<br />
Vedremo subito a quale contraddizione porterà la sua teoria a proposito di velocità di<br />
propagazione della luce in differenti mezzi, <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> afferma che la luce viaggia più velocemente<br />
nell'acqua e nel vetro che non nell'aria, viaggia cioè più velocemente nei mezzi più densi.<br />
Ma prima di discutere questa vicenda, <strong>des</strong>crivo meglio le teorie di <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> sulla luce.<br />
Ogni qualcosa che si trova sulla Terra è permeata da questo etere che entra nei meandri più<br />
reconditi, nei suoi pori, come dice <strong><strong>Cartes</strong>io</strong>.<br />
All'interno di questi pori le particelle di etere non stanno ferme ma ruotano e deviano, con alcune<br />
regole.<br />
Quando si muovono di moto rettilineo, la loro velocità propria di rotazione è all'incirca uguale a<br />
quella di rotazione.<br />
Ma quando ci si trova sulla superficie di separazione tra i corpi in considerazione ed il loro<br />
esterno allora le particelle di etere, che si trovano nella condizione di non avere loro simili nelle<br />
vicinanze, a seconda del verso di rotazione che si trovano ad avere, avranno una velocità di<br />
traslazione che diventerà più o meno grande di quella di traslazione.<br />
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Da queste variazioni di velocità vengono fuori i differenti colori che sono appunto spiegati con le<br />
diverse velocità di rotazione e di traslazione delle particelle d'etere (e questo è il modo con cui<br />
vengono spiegati i colori con la seconda analogia).<br />
Il colore è quindi una conseguenza della condizione del moto.<br />
Con un disegno di D'Agostino è possibile avvicinarsi a comprendere l'argomento: le situazioni del<br />
primo e del secondo disegno sono<br />
identiche, cambia solo il verso di rotazione della particella ma, a questo cambiamento di verso,<br />
corrisponde un cambiamento sostanziale nel moto finale della particella me<strong>des</strong>ima.<br />
Egli dice che ci sono corpi ...che riflettono i raggi senza portare alcun mutamento alla loro azione,<br />
i bianchi, mentre altri vi apportano un mutamento simile a quello che subisce una palla quando<br />
viene frisata, quelli cioè che sono rossi o gialli o azzurri o di simili colori...<br />
I colori, pertanto, sono dovuti al diverso modo con cui i corpi ricevono la luce e la riflettono agli<br />
occhi di chi vede di modo che le percezioni visive sono dovute a "corpuscoli" che colpiscono i sensi<br />
che a loro volta inviano informazioni all'epifisi.<br />
Il mondo circostante viene quindi semplificato e ridotto a semplici immagini con una prima<br />
chiara distinzione tra l'oggetto del conoscere ed il soggetto che lo fa.<br />
La cosa risulterà insoddisfacente a quasi tutti i contemporanei (Hooke, Huygens, Boyle, Newton)<br />
ma questo è altro discorso.<br />
Il discorso della Dioptrique prosegue ma le cose si fanno confuse (Huygens confesserà di non aver<br />
capito quale sia l'idea di Descartes sulla natura della luce, se essa sia materiale o se consista in<br />
solo movimento.<br />
Certamente in molti furono d'accordo nel ritenere che la Dioptrique piuttosto che essere<br />
un'esemplificazione del Metodo è stato un affossamento del me<strong>des</strong>imo).<br />
In un primo tempo<br />
<strong><strong>Cartes</strong>io</strong> sembra aderire alle concezioni dei pitagorici: qualcosa fuoriesce dai nostri occhi, colpisce<br />
gli oggetti e, tornando indietro, ci annuncia gli oggetti me<strong>des</strong>imi.<br />
Più oltre però egli sembra virare verso le concezioni platoniche, quando dice:<br />
gli oggetti della vista possono essere sentiti non soltanto per mezzo dell'azione che, essendo in essi,<br />
tende verso gli occhi, ma anche per mezzo di quella che, essendo negli occhi, tende verso essi.<br />
Tuttavia, poiché quest'azione non è altro che la luce, bisogna notare che si trova soltanto negli<br />
occhi di coloro che possono vedere nelle tenebre della notte, come i gatti; e che gli uomini ordinari<br />
non vedono che per l'azione che viene dagli oggetti<br />
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Passiamo ora alla trattazione che Descartes fa della riflessione, della rifrazione e della<br />
riflessione totale (14) (ma, come osserva Ronchi, non della luce ma delle palle da tennis che, alla<br />
fine del discorso, ritornano luce senza tener conto di quella sciocchezza che è la gravità).<br />
Per la riflessione la cosa era semplice ed era stata trovata e confermata più volte in passato.<br />
Egli ci offre la figura già vista del tennista ed una breve discussione in cui si<br />
afferma che gli angoli di incidenza e di riflessione risultano uguali.<br />
Per la rifrazione abbiamo la solita figura del tennista con la seguente ipotesi: supponiamo che<br />
una palla, spinta da A verso B, incontri nel punto B non più la superficie della terra, ma una tela<br />
CBE, così debole e sottile che la palla abbia la forza di romperla e di attraversarla, perdendo solo<br />
una parte della sua velocità.<br />
Questa analogia prevede che la palla, entrando nella<br />
sostanza che è al di là della tela perda velocità e, a seguito di tale perdita, dice Descartes, la<br />
palla andrà a finire in I e la cosa è manifestamente sbagliata oltre ché contraddittoria come, con<br />
estrema chiarezza, osserverà Fermat in una lettera a Mersenne.<br />
L'argomento di Fermat è il seguente: entrando in una sostanza nella quale la velocità della palla<br />
diminuisce, essa dovrebbe andare a finire in un punto compreso tra D e G; l'andare in I prevede<br />
che la palla, entrando nella tela, aumenti la sua velocità.<br />
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La supposizione che fa Descartes della luce che viaggi a minore velocità nell'aria che in una<br />
sostanza più densa, come l'aria è esattamente il contrario di ciò che accade.<br />
Ma vediamo in dettaglio ciò che dice Descartes in riferimento alla figura seguente che ricalca la<br />
precedente ma è più chiara.<br />
Supponiamo che la palla, scagliata da A, colpisca la tela (o passi da aria ad acqua) in B e perda<br />
qui metà della sua velocità.<br />
Supponiamo poi, con linguaggio moderno, di seguire le componenti orizzontali e verticali della<br />
velocità separatamente (supponiamo che il suo movimento differisca completamente dalla sua<br />
determinazione a muoversi da un lato piuttosto che dall'altro, con la conseguenza che le loro<br />
quantità devono essere esaminate separatamente [Dioptrique; 12; 113]).<br />
A questo punto Descartes afferma che la componente orizzontale del moto della palla (la<br />
determinazione della palla a muoversi da sinistra a <strong>des</strong>tra) non cambia a seguito dell'urto contro<br />
la tela, mentre sarà l'altra componente, quella verticale (che fa tendere la palla dall'alto in<br />
basso) che cambierà in qualche modo a seguito dell'urto con la tela.<br />
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Poiché la palla perde metà velocità nell'urto, necessiterà il doppio del tempo per raggiungere<br />
qualunque punto della circonferenza (come D o I) di quello che impiega per andare da A a B<br />
Nel doppio del tempo percorrerà due volte la distanza da sinistra a <strong>des</strong>tra (la componente<br />
orizzontale, dopo l'urto, sarà il doppio di quella prima dell'urto, cioè BE = 2 CB e ciò comporta<br />
che la palla deve andare a finire in I.<br />
Descartes a questo punto apre una parentesi relativa alla palla lanciata in direzione HB che non<br />
subisce deviazione, andando a finire in G e sulla palla lanciata con un angolo î maggiore di<br />
quello di figura tanto da aversi la riflessione totale, con la palla che viene riflessa anziché<br />
rifratta.<br />
E continua:<br />
Ma facciamo qui ancora un'altra ipotesi e pensiamo che la palla, essendo stata in primo luogo<br />
spinta da A verso B, sia spinta di nuovo, trovandosi nel punto B dalla racchetta CBE [dalla<br />
superficie della tela o dell'acqua verso il basso, ndr], in modo da aumentare la forza del suo<br />
movimento per esempio di un terzo [sarebbe stato corretto dire della metà perché, come mostra<br />
Dijksterhuis (pag. 227), dire un terzo è un errore, ndr], di modo che essa possa fare il cammino,<br />
che prima faceva in tre momenti , in due momenti.<br />
Ciò vuol dire, come prosegue Descartes, che la palla può camminare, ad esempio, dentro l'acqua,<br />
più veloce che nell'aria. E, in analogia con quanto visto prima, poiché ora la velocità aumenta e<br />
non diminuisce, la palla andrà a finire in I che questa volta è situato nell'arco DG (vedi figura<br />
seguente).<br />
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Dice <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> (quasi letteralmente) che, poiché la palla va da A a B ed arrivata in B prende la<br />
direzione I, vuol dire che la forza con cui entra nel mezzo più denso (quello che si trova al di sotto<br />
della linea CBE), sta a quella con cui la palla esce dal corpo meno denso (quello che è al di sopra<br />
della suddetta linea), come la distanza che c'è tra AC ed HB sta a quella che c'è tra HB ed FI,<br />
cioè come la linea CB sta a BE.<br />
Ora, poiché AH = CB ed EB = IG, il rapporto CB/BE equivale, in linguaggio moderno, al rapporto<br />
tra i seni rispettivamente degli angoli di incidenza ABH e di rifrazione GBI. E la legge della<br />
rifrazione esprime proprio, come già detto, la costanza di questo rapporto per una data coppia di<br />
mezzi.<br />
Il fatto che Descartes non parli di seni ma si limiti a rapporti geometrici può essere in linea con il<br />
suo proposito di voler spiegare agli artigiani ai quali indica la misura di lunghezze piuttosto che<br />
grandezze un poco complesse come seni di angoli.<br />
Dopo questa discussione Descartes fa tutta una serie di costruzioni geometriche fino ad arrivare<br />
a disegnare due circonferenze affiancate e con raggi diversi.<br />
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Per ciò che a noi occorre è più utile il disegno che prevede due semicirconferenze con raggi<br />
diversi e che corrisponde esattamente al ragionamento di Descartes. Attenzione che, come<br />
mostra Shea, questo è esattamente il ragionamento che aveva fatto Claude Mydorge tra il 1626<br />
ed il 1631 a Parigi e del quale aveva messo al corrente Mersenne con una lettera datata tra il<br />
febbraio e marzo 1630; come suo solito Mersenne aveva informato della cosa Descartes e<br />
Descartes ne fa buon uso, come al solito anche qui, non citando mai la fonte.<br />
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Come si può apprezzare, la semicirconferenza in basso ha raggio maggiorato rispetto a quella in<br />
alto. E la cosa risponde ad un preciso ragionamento, al solito, tutto a priori. Consideriamo un<br />
tempo molto breve, tempo nel quale avviene il fenomeno (e qui sarebbe d'interesse capire<br />
l'istantaneo come si coniuga con un tempo piccolo ma finito anche perché non abbiamo ancora a<br />
disposizione gli infinitesimi e comunque Descartes non ne fa cenno). Dividiamo questo tempo in<br />
due parti uguali. Nella prima parte di tempo la luce si propaga da A a B. Nella seconda parte di<br />
tempo, da B a C. E perché accade questo ? Perché cioè il tragitto BC è maggiore di quello AB ?<br />
Perché c'è l'ammissione a priori che la luce cammini a velocità maggiore nei mezzi più densi (più<br />
veloce nel vetro o acqua che non nell'aria) . E quanto più veloce ? Proprio la quantità necessaria<br />
per fare sì che il segmento AP sia uguale a PQ ! E perché ? Ma perché la componente orizzontale<br />
di tale velocità (vocabolario di oggi), cioè AP e QC , si è conservata (infatti AP = QC). Girando il<br />
discorso per far sì che AP sia uguale a PC è necessario che risulti BC > AB. E quella costante<br />
n1,2 che c'era nella legge di Snell, che cosa vuol dire ora ? Essa misura la maggiore velocità della<br />
luce nei mezzi più densi. La cosa non è da poco perché permette di avere la possibilità di<br />
sottoporre ad esperienza l'intera legge ed i presupposti teorici che erano dietro di essa (un vero e<br />
proprio experimentum crucis, come avrebbe detto Newton). Si tratterà di capire la correttezza<br />
dell'ipotesi di luce più veloce nei mezzi più densi.<br />
In una opera finita di scrivere posteriormente alla Dioptrique, e cioè Il mondo o Trattato sulla<br />
luce (composta tra il 1629 ed una data non precisata ma posteriore al 1637 in quanto si fa qui<br />
riferimento alla Dioptrique che è del 1637, e non pubblicata in vita), <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> non aggiunge<br />
praticamente nulla a ciò che aveva scritto nella Dioptrique(18).<br />
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Il lavoro di Descartes prosegue con argomenti dei quali non mi occupo. Si parla di fisiologia<br />
dell'occhio, dei sensi, fino a suggestive figure che ci raccontano<br />
come si formano le immagini nella retina, per poi passare al cervello.<br />
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Arrivati a questo punto si è chiusa la parte didascalica che Descartes ha dedicato agli artigiani e<br />
si può passare alla tecnica che permette di costruire gli strumenti ottici, fine dal quale era<br />
partito ed al quale aveva già dato un contributo nella Géométrie, quando aveva trattato degli<br />
ovali. Egli dice<br />
Tutto il nostro modo di comportarci nella vita dipende dai vostri sensi, e fra questi quello della<br />
vista è il più universale ed il più nobile, e non vi è dubbio che le invenzioni che possono servire a<br />
migliorarlo siano della più alta importanza.<br />
E nulla può potenziarlo più di quanto possa farlo quel meraviglioso cannocchiale, in uso da<br />
pochissimo tempo, ma che ci ha già permesso di scoprire nuovi astri nel cielo e nuovi oggetti al di<br />
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sopra della terra, molto più numerosi di quanti se ne siano visti fino ad ora: in modo di dare una<br />
più ampia e più perfetta conoscenza della Natura<br />
Sul modo di costruzione degli strumenti, anche secondo lo storico francese Pierre Mesnard, egli<br />
si rifece agli studi del napoletano Giovanbattista Della Porta (<strong>Magia</strong> <strong>Naturale</strong> 1558) e,<br />
soprattutto, a quelli del milanese Gerolamo Sirturi (Telescopium 1618) che sono identici a quelli<br />
riportati da Descartes.<br />
Di suo vi sono i tentativi di ottenere un cannocchiale mediante riempimento del tubo, al quale è<br />
applicata una pseudocornea, di acqua e, in una prova successiva, mediante un blocco di<br />
vetro(19).<br />
Ciò al fine di rendere lo strumento simile agli umori che sono nell'occhio con una visione stoica<br />
dei problemi secondo cui dobbiamo estendere le facoltà dei sensi.<br />
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7 - LES MÉTÉORES<br />
L'ultima esemplificazione del Metodo che troviamo nei Discours è lo scritto le Météores che si<br />
occupa di fenomeni meteorologici. Si ritrovano qui alcune cose che Descartes aveva scritto nel<br />
suo Traité du Monde o Traité de Lumière scritto tra il 1631 e 1633 ma pubblicato postumo nel<br />
1664 per l'intervenuta condanna a Galileo che spaventò Descartes. Ricordo che nei primi nove<br />
mesi del 1629 Descartes aveva redatto il Trattato di metafisica o Della divinità che però non ci è<br />
pervenuto, anche se si può immaginare che il suo contenuto sia stato almeno in parte riversato<br />
nel Discours de la méthode. Venuto a conoscenza di un fenomeno di ottica (i pareli, quei dischi<br />
luminosi situati a <strong>des</strong>tra e sinistra del Sole e dovuti a rifrazione dei raggi solari attraverso le<br />
nuvole) osservato a Frascati dal gesuita Scheiner, sospese la redazione del Trattato per dare la<br />
spiegazione del fenomeno (che poi ritroveremo nelle Météore). Discuterò nei paragrafi seguenti il<br />
Traité du Monde ma ora mi serve dire che in questo lavoro viene presentata la concezione della<br />
materia di Descartes. Si sente nelle Météores da un lato la ripresa dei temi metafisici e dall'altro<br />
dei temi propri della sua teoria della materia. Egli tenta qui di dare un fondamento metafisico<br />
alla teoria della materia e, per farlo, come nella Dioptrique, non sviluppa completamente il tema<br />
(come aveva fatto nel Traité du Monde) dà delle indicazioni d'insieme sulla struttura dei corpi<br />
terrestri, sui vapori e sulle esalazioni che essi provocano nell'atmosfera e che sono la causa dei<br />
fenomeni meteorologici. Come dice Dijksterhuis, "l'essenziale della teoria può essere ridotto al<br />
seguente assioma: tutte le differenze d'ordine fisico o chimico che i corpi presentano tra loro<br />
possono essere ricondotte a caratteristiche di forma e di grandezza delle loro parti costituenti<br />
(che si distinguono solo per forma e grandezza) e al modo in cui esse subiscono l'azione della<br />
materia sottile che riempie i loro intervalli e che differisce soltanto quantitativamente dalle<br />
specie più grosse. Un tale assioma deriva in maniera necessaria dalla tesi che l'essenza della<br />
materia è l'estensione, che materia e spazio sono identici e che il vuoto è inconcepibile. E questa<br />
dottrina poggia a sua volta su una concezione che nega carattere di oggettività a tutte le qualità<br />
che siano diverse da quelle geometriche e cinematiche.<br />
E' chiaro che l'autore vede nei processi materiali l'ordre che ne rende possibile la trattazione<br />
deduttiva; quanto ai processi meteorologici, essi, come mostra il saggio, sembrano per loro<br />
natura prestarsi difficilmente alla misura.<br />
Quest'ultima interviene in un solo momento, nel quale è rilevabile un'applicazione più diretta dei<br />
principi del metodo: a proposito della famosa teoria dell'arcobaleno, che Descartes giunge a<br />
formulare combinando le teorie meteorologiche con quelle ottiche della Dioptrique, e che<br />
costituisce uno dei suoi contributi più importanti alla fisica.<br />
Come è naturale attendersi, essa ha più valore dal punto di vista geometrico che dal punto di<br />
vista dell'ottica fisica: la teoria del cromatismo, infatti, che serve a spiegare i colori<br />
dell'arcobaleno, è insufficiente.<br />
Tuttavia il saggio riveste, malgrado le spiegazioni a volte insufficienti, una grande importanza<br />
storica: infatti fa rientrare, in modo coerente e sistematico, nell'àmbito del pensiero scientifico<br />
tutti i fatti meteorologici nei quali assai spesso non si vedevano che fenomeni di carattere<br />
soprannaturale, inspiegabili dal punto di vista fisico".<br />
Ma torniamo al fenomeno (osservazione di quattro paraeli scoperto da Christoph Scheiner a<br />
Frascati la sera del 20 marzo 1629, fenomeno che venne fatto conoscere in Francia ed Olanda da<br />
Nicolas Claude Fabri de Peirsec con varie lettere che contenevano la figura seguente, che<br />
<strong>des</strong>criveva il fenomeno.<br />
La visione dell'arco intorno al Sole, che gli somigliava ad un arcobaleno, eccitò Descartes al<br />
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punto da indurlo a lasciare un lavoro che stava scrivendo per dedicarsi a tale fenomeno.<br />
Egli era mosso dall'idea che se fosse riuscito a capire la natura dell'arcobaleno, avrebbe potuto<br />
non solo spiegare i paraeli ma praticamente tutta l'ottica.<br />
Si mise subito al lavoro ma dovette aspettare proprio le Météores (1637) per dar conto dei suoi<br />
studi. Infatti troviamo lo studio dell'arcobaleno nel discorso ottavo, De l'arc-en-ciel, delle<br />
Météores e vi è subito da osservare che sarebbe stato forse d'interesse legare questo argomento<br />
alla Dioptrique ma probabilmente ciò non è avvenuto perché Descares non ha riletto l'insieme<br />
dei suoi lavori prima della pubblicazione.<br />
In ogni caso questo questo lavoro di Descartes è importante solo per questo discorso ottavo.<br />
Il resto, come già accennato, è un'utile mettere insieme i vari fenomeni meteorologici ma senza<br />
alcuna trascendenza.<br />
Occupiamoci quindi di questo arcobaleno che viene così introdotto da Descartes:<br />
L'arco iris è una meraviglia della natura molto intrigante, ed è da tanto tempo che che si sono<br />
avuti ingegni che hanno tentato di dargli una spiegazione, senza successo, che non ho potuto<br />
scegliere tema migliore per mostrare che con il mio metodo possiamo arrivare a conoscere ciò che è<br />
sfuggito a tutti gli autori le cui opere sono giunte fino a noi.<br />
Come molti studiosi, fin da tempi remoti, avevano fatto, Descartes fa riferimento all'arcobaleno<br />
che si origina in particolare condizioni quando si beve ad una fontana con l'osservazione empirica<br />
del fenomeno che si costruisce sulle goccioline d'acqua diffuse nell'aria. Descartes dice che, per<br />
studiare il fenomeno, ha allora pensato di costruirsi una grande goccia d'acqua riempiendo con<br />
acqua un vaso di cristallo di grande dimensioni.<br />
Anche qui la cosa era stata già fatta da vari studiosi precedenti, tra cui Witelio (1230 - ?) ed il<br />
siciliano Francesco Maurolico (1494-1575). Il polacco Witelio era autore di un trattato di<br />
prospettiva (Vitellionis perspectivae libri decem, Norimberga 1533) ispirato a quello dell'arabo<br />
Alhazén. Maurolico aveva invece portato avanti studi molto approfonditi sull'arcobaleno,<br />
particolarmente nei Problemata ad perspectivam et iridem pertinentia (1568, ma editi in Francia<br />
proprio nel 1611).<br />
In ogni caso Descartes sosteneva il vaso-goccia con la mano distanziata al massimo dal volto ed<br />
osservava che quando la muoveva girandola, gli appariva sempre una macchia brillante in un<br />
punto (nella parte bassa del recipiente) tale che la linea che univa tale punto all'occhio formava<br />
un angolo di 42° con la linea che univa l'occhio al Sole.<br />
Il risultato di Maurolico (45° ed anche la scoperta dei sette colori in luogo dei tre che fino ad<br />
allora erano dati) era migliorato, anche se Maurolico non è citato, ma il fatto rilevante non è<br />
questo caso particolare ma la generalizzazione che Descartes fa: tutte le gocce sospese nell'aria<br />
devono comportarsi in tal modo.<br />
Come osserva Shea, l'audacia di tale ipotesi nasce dal fatto che non si tiene conto degli effetti<br />
d'insieme e quindi della deformazione delle gocce quando sono in grande quantità e premono tra<br />
loro.<br />
A questo punto arriviamo alla nota figura che Descartes ci offre.<br />
Il cerchio che si osserva in alto di un arcobaleno è il suo recipiente (sferico e di cristallo) pieno<br />
d'acqua.<br />
Come una grande goccia situata materialmente lì per spiegare le riflessioni e le rifrazioni della<br />
luce che presiedono il fenomeno.<br />
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L'arcobaleno di Descartes [Météores; 12; 186]<br />
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Riferendoci alla figura ed in particolare al cerchio-goccia, la macchia che Descartes aveva visto<br />
nel recipiente-goccia è, nel disegno, situata nel punto D del cerchio quando l'angolo DEM (che è<br />
uguale all'angolo FDE) è di 42°. Dice Shea:<br />
Se quest'angolo aumentava di poco, la macchia spariva, ma se diminuiva un poco, non si<br />
cancellava immediatamente ma si divideva in due bande meno brillanti nelle quali si percepisce<br />
il giallo, l'azzurro ed altri colori. Descartes osservava anche una macchia rossa più tenue quando<br />
l'angolo KEM era di circa 52°. Quando tale angolo aumentava o diminuiva, accadeva la stessa<br />
cosa che avveniva in D, solo che all'inverso., cioè un leggero aumento produceva più tenuamente<br />
altri colori ed una leggera diminuzione cancellava tutti i colori. Descartes concludeva che,<br />
quando l'atmosfera è satura di gocce d'acqua, debbono apparire macchie rosse in tutte le gocce<br />
che si trovano in punti tali che la linea che le unisce con l'occhio formi un angolo di 42° o 52° con<br />
la linea EM, di modo che si produrrà un arcobaleno primario che passerà per D (con il colore<br />
rosso nella sua parte superire ed il violetto in quella inferiore), ed un arcobaleno secondario più<br />
in alto, con i colori invertiti (il rosso nella parte inferiore ed il violetto nella superiore). [Shea; 6;<br />
285-286]<br />
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A questo passaggio, Descartes ne fa seguire un altro, di grande interesse, il seguire la traiettoria<br />
del raggio di luce che entra nel cerchiogoccia in B, prima di uscire in D. Nel far questo suppose, e<br />
la cosa è audace, che il vetro del recipiente con gli effetti rifrattivi che comporta non c'entrasse<br />
nel fenomeno che si poteva discutere come se si avesse solo acqua. Anche se il tutto è implicito e<br />
non abbiamo una qualche discussione della cosa. Interponendo successivamente dei corpi opachi<br />
nelle varie traiettorie della luce, capì che il raggio incidente AB si rifrangeva entrando nel<br />
recipiente in B, avanzava poi verso C, dove si rifletteva completamente fino ad arrivare a D dove<br />
si rifrangeva di nuovo quando usciva. Il fenomeno dell'arcobaleno primario era dunque dovuto ad<br />
una riflessione e due rifrazioni nelle gocce sospese nell'aria. Descartes passò poi a spiegare<br />
l'arcobaleno secondario trovando che esso era dovuto a due riflessioni e due rifrazioni nelle gocce.<br />
L'insieme di queste elaborazioni potrebbe essere conclusivo di un lavoro brillante ma Descartes<br />
ce lo presenta solo come una discussione preliminare di una domanda che viene subito posta:<br />
perché appare una macchia rossa solo in quelle parti delle gocce che rispondono alla condizione<br />
già detta dei 42° ? oppure, che è lo stesso, perché le linee che formano quell'angolo si mantengono<br />
per ogni goccia sempre in modo da dare proprio quell'angolo per arrivare infine colorate all'occhio<br />
dell'osservatore mediante archi che rappresentano altrettante sezioni del cono visuale che ha il<br />
vertice nell'occhio ?<br />
Qui interviene ancora il modo contorto di operare di Descartes. Egli aveva in mano gli strumenti<br />
per risolvere il problema che erano le leggi della riflessione e della rifrazione (qui Snell avrebbe<br />
potuto risolvere il problema se solo avesse pensato ad applicare la sua legge della rifrazione alla<br />
spiegazione dell'arcobaleno). Ma non dice apertamente che utilizza queste leggi. Fa invece una<br />
esposizione tortuosa del suo modo di pensare per arrivare a dire che per risolvere la questione<br />
occorre passare attraverso lo studio della luce con il prisma, facendo finta di dimenticare che<br />
quest'opera viene dopo la Dioptrique in cui si è parlato diffusamente di rifrazione e di colori:<br />
allora, al ricordare che un prisma o un triangolo di cristallo operano in modo che si vedano colori<br />
simili, centrai la mia attenzione in uno che avesse la forma MNP, le due facce MN ed NP del<br />
quale sono<br />
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piane ed inclinate l'una rispetto all'altra di un angolo di circa 30 o 40 gradi di modo che, se i<br />
raggi del sole ABC attraversano MN secondo angoli retti o quasi retti, in modo da non subire<br />
alcuna sensibile rifrazione, essi ne devono subire una assai grande nell'uscire attraverso NP<br />
[Météores; 12; 188-189]<br />
Probabilmente, in accordo con quanto ipotizza Shea, anche qui Descartes vuole fare un percorso<br />
completo di dimostrazione del suo Metodo (ottava regola) e quindi dice che si è ricordato del<br />
prisma ... per introdurlo qui come qualcosa di nuovo in un percorso di pensiero che non deve mai<br />
far ricorso ad altri pensieri o risultati. Ed il prisma gli serve proprio per ricreare un fenomeno<br />
analogo a quello che offre la natura al fine di poter studiare la natura attraverso lo studio di<br />
fenomeni anloghi.<br />
L'esperienza di figura mostra uno spettro ottenuto dalla rifrazione della luce solare dopo il<br />
passaggio nel prisma e nella fenditura DE. Lo spettro ha il rosso in F e l'azzurro in H. Da qui<br />
Descartes ricava varie conclusioni che estende automaticamente alle gocce d'acqua. D'interesse<br />
per il seguito de le Météores è il tentativo di capire perché il rosso è in F e l'azzurro in H. Qui<br />
non vi sono esperienze analoghe, non vi sono altri fenomeni da seguire ed interpretare, ogni<br />
spettro ha sempre un rosso da una parte ed un azzurro da parte opposta. Ed allora Descartes<br />
inizia a costruire teorie che però si rifanno a quel suo Traité du Monde o Traité de Lumière che,<br />
come accennato, tratterò nel prossimo paragrafo. Per ora mi serve solo dire che Descartes<br />
considera le particelle d'aria come sferiche e che la pressione si trasferisce, in un universo<br />
totalmente pieno, con azione a contatto da particella a particella per trasmettere anche le azioni<br />
della luce (l'azione o il moto di una certa materia sottilissima, della quale bisogna immaginare le<br />
parti come piccole palline che ruotano nei pori dei corpi terrestri e queste palline possono ruotare<br />
in in diversi modi secondo le diverse cause che determinano tale rotazione; e questo l'ho già<br />
discusso nel paragrafo precedente). Ciò che accade, nella teorizzazione di Descartes, è che le<br />
palline alterano il loro moto rotatorio quando entrano in contatto con i punti D ed E della<br />
fenditura mostrata nella figura precedente. Tale modificazione del moto rotatorio delle palline di<br />
luce è all'origine dei colori che osserviamo. Poiché nella concezione della materia di Descartes le<br />
particelle di una me<strong>des</strong>ima sostanza (in questo caso l'aria) devono avere tutte le me<strong>des</strong>ime<br />
caratteristiche di forma e dimensione, l'unica cosa che è ammessa variare è la loro velocità e<br />
questa è la causa che viene trovata dal nostro autore. Egli fa il ragionamento che illustra con a<br />
figura seguente:<br />
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Supponiamo che YY sia la superficie di separazione tra aria ed acqua e si consideri la pallina di<br />
luce in alto a sinistra (si noti che dentro di essa vi sono, in un certo ordine, i numeri 1, 2, 3, 4),<br />
che indichiamo con 1234, spinta obliquamente da V ad X.<br />
Essa, quando colpisce YY, si mette a girare poiché la parte 3 della pallina frena entrando<br />
nell'acqua mentre la parte 1 segue per ancora un istante con la stessa velocità.<br />
Conseguenza è, come detto, che la pallina girerà in verso orario e cioè nell'ordine 1234.<br />
Immaginiamo ora che questa pallina sia circondata da quattro palline Q, R, S, Y delle quali Q ed<br />
R si muovono ancora alla velocità iniziale ed S e T sono già frenate.<br />
Allora Q, che preme con la sua parte 1 (non riportata in figura ma situata come nella pallina che<br />
partiva da V) sulla parte 4 di 1234 che sta entrando in YY, ed S che sostiene da sotto la parte 2,<br />
fanno aumentare la rotazione della pallina 1234, e le palline R e T non disturbano tale rotazione,<br />
infatti R è nella disposizione di andare verso X più velocemente che la pallina 1234, e T più<br />
lentamente. Queste sono le cose che dice Descartes e Shea osserva che qui vi è un lapsus perché<br />
sono Q ed R a far aumentare la rotazione di 1234 e non Q ed S. Si può aggiungere<br />
un'osservazione che ci riporta ad una concezione della luce che Descartes ci aveva fornito nella<br />
prima parte della Dioptrique.<br />
Lì Descartes ci aveva parlato di propagazione istantanea della luce ed anche se qui le parole che<br />
utilizza sono ambigue (egli non usa mai caratteristiche definite per le palline del tipo più veloce,<br />
più lenta ... ma parla di tendono a muoversi, sono nella disposizione ...<br />
Che vorrebbe dire infatti pallina di luce che va più piano o che va più lenta ?<br />
Tutto questo sembra in contraddizione con la precedente affermazione di propagazione<br />
istantanea della luce e sembra quasi si introducano elementi potenziali che originano da<br />
Parmenide.<br />
In ogni caso, dopo questa discussione Descartes conclude sui colori e, riferendosi alla figura con il<br />
prisma e la fenditura vista più su, dice:<br />
Tutto ciò mostra con sufficiente chiarezza, mi sembra, che la natura dei colori che compaiono in F<br />
consiste solo nel fatto che le particelle della materia sottile che trasmette le azioni della luce<br />
tendono a ruotare con più forza di quanto non si muovano in linea retta, di modo che quelle che<br />
hanno una tendenza più forte a ruotare originano il colore rosso e quelle che solo hanno una<br />
tendenza solo leggermente più forte alla rotazione originano il giallo [Météores; 12; 192]<br />
Resta il problema del capire come mai l'arcobaleno è originato da raggi che fanno quegli angoli di<br />
42°. Descartes capì che occorreva determinare le traiettorie dei raggi che andavano a cadere in<br />
punti differenti della goccia per poi stabilire con quale angolo entravano nei nostri occhi.<br />
Egli aveva osservato che dopo una riflessione e due rifrazioni (arcobaleno primario), si vedono<br />
molti più raggi che formano angoli intorno ai 42° che raggi che formano angoli minori e nessuno<br />
che formi un angolo maggiore.<br />
Nel caso invece di due riflessioni e due rifrazioni (arcobaleno secondario) aveva osservato lo<br />
stesso che nel caso precedente, con l'unica differenza che qui l'angolo era all'incirca di 52°.<br />
Tali calcoli erano stati fatti con la legge della rifrazione ed in particolare dopo aver stabilito che<br />
il rapporto tra il seno dell'angolo d'incidenza e quello di rifrazione, nel passaggio aria acqua, è di<br />
circa 4/3 (più precisamente risultava dalle esperienze 250/187).<br />
Per mostrare i ragionamenti ed i conti fatti egli si serve della figura seguente:<br />
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che, al solito, rappresenta una grande goccia di acqua, con il Sole, non rappresentato, che si trova<br />
in basso rispetto alla figura e del quale sono rappresentati due raggi paralleli, EF ed AC. Con<br />
una serie di calcoli, geometrici e trigonometrici, e misure Descartes stabilisce proprio ciò che si<br />
era proposto: molti raggi si concentrano intorno al valore di 41°30'. Dando poi un valore di 17' al<br />
raggio apparente del Sole, egli può stabilire che l'angolo massimo dell'arcobaleno primario è<br />
41°47' e l'angolo minimo del secondario è 51°37'.<br />
Ed a questo punto, dopo che lo ha trascurato non citandolo per tutto l'armamentario<br />
sperimentale che gli ha messo a disposizione, Descartes cita Maurolico per criticarlo aspramente<br />
(sic!). Egli afferma che le sue misure (45° e 56°) dimostrano la poca fede che possiamo avere nelle<br />
osservazioni che non sono accompagnate dalla spiegazione corretta. Anche qui vi sarebbe molto<br />
da discutere, ad esempio, nella possibilità di sostenere l'affermazione contraria. Galileo ad<br />
esempio pensava che occorresse una teoria ma se poi l'esperimento non si accordava con essa, la<br />
teoria era da scartare. Ma Descartes mantiene Aristotele nel cuore, come vedremo ancora,<br />
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perché di esperimenti di oggetti in caduta se ne erano fatti a migliaia e la teoria aristotelica che<br />
sorreggeva questi esperimenti affermava che a maggiore peso maggiore velocità di caduta. Per<br />
2000 anni ! E poi ? Cosa cambia, l'esperimento più raffinato o la teoria ? o tutti e due ?<br />
Naturalmente il discorso si farebbe lunghissimo tanto quanto un trattato di epistemologia.<br />
Prima di mettere fine al suo lavoro, Descartes accenna alla spiegazione di alcune osservazioni<br />
che qualcuno affermava di aver fatto: l'arcobaleno invertito.<br />
Egli sostiene che la spiegazione di tale fenomeno si deve ai raggi del sole che, riflessi dalla<br />
superficie di un lago, si dirigono verso le gocce di pioggia quando i raggi diretti non possono<br />
arrivare a tali gocce a seguito di qualche nuvola interposta.<br />
Non c'è dubbio che il tutto è un successo di Descartes. Restano comunque molte ombre relative a<br />
ciò che dicevo; al fatto cioè che la luce pur trattata meccanicamente resta nel limbo aristotelico<br />
delle qualità per i suoi cambiamenti nel passaggio da un mezzo ad un altro. Ma Descartes è nella<br />
zona di transizione tra tradizione e cambiamento. A fronte di indubbi successi sul piano<br />
esplicativo che di fatto rappresentano un superamento dell'aristotelismo, egli resta ancora<br />
impantanato in molte spiegazioni che fanno riferimento all'autorità dei testi più che alla ragione.<br />
Nella Seconda Parte di questo lavoro mi occuperò della discussione di altre opere di Descartes,<br />
con particolare riferimento al Traité du Monde o Traité de Lumière in cui Descartes ci presenta<br />
le sue concezioni meccaniche.<br />
Anche la medicina ebbe in Harvey il suo Lutero e Copernico.<br />
Naturalmente non si può pretendere un distacco completo dalle concezioni antiche che fanno<br />
capo da un lato ad Aristotele e dall'altro a Galeno (138 - 201). Consideriamo quest'ultimo per<br />
avere un riferimento affidato alla sperimentazione ed alla dissezione di animali ritenuti più<br />
simili all'uomo (scimmie ?). Non intraprese mai (che si sappia) dissezioni umane e quindi la sua<br />
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medicina è costruita in gran parte per analogia con quella degli organi interni degli animali.<br />
Galeno è un aristotelico che assegna funzioni teleologiche agli organi. Ma non accetta Aristotele<br />
quando questi assegna al cuore una parte importante nella fisiologia umana. Galeno sposta nel<br />
fegato il suo centro d'interesse, fegato che produrrebbe il sangue e lo purificherebbe. Il sangue ha<br />
una sorta di circolazione che lo porta al cuore, dove si riscalda e quindi ai polmoni che invece<br />
tendono a raffreddarlo. L'uomo è dotato di tre spiriti: quello animale che partendo dal cervello<br />
raggiunge i vari organi attraverso i nervi; quello vitale che si dirama dal cuore attraverso le<br />
arterie; quello naturale che parte dal fegato ed è propagato dalle vene. Ognuno dei tre spiriti è<br />
separato dall'altro. Tutto questo (succintissimamente raccontato) era basato su le suddette<br />
osservazioni sperimentali di Galeno. Ma dal II secolo fino al XV, la sua opera, quando fu<br />
riscoperta, tradotta e commentata divenne argomento di dispute aristoteliche basate sul<br />
sillogismo (questo era generalmente il modo di procedere nelle Università). Il ritorno alla<br />
"sperimentazione", questa volta con certe dissezioni su cadaveri di uomini, fu innanzitutto opera<br />
degli "artisti-artigiani" a partire dal Trecento (che spesso lavoravano per il sistema giudiziario).<br />
Durante il Rinascimento (1531) si dispose dell'intero corpo delle opere di Galeno tradotto e ciò<br />
accese un vivo interesse intorno al corpo ed alla funzione dei suoi organi. Ma già Leonardo aveva<br />
lavorato su questioni anatomiche ed a lui seguì l'opera più nota del Rinascimento, la "Fabrica"<br />
(1543) di Vesalio (1514-1574), il padre dell'anatomia moderna. Uno tra i problemi che Vesalio<br />
sollevò, fuori dalla tradizione galenica, era il capire il passaggio del sangue dal sistema arterioso<br />
al venoso, attraverso il cuore. Egli sezionò vari cuori ma non trovò i pori di cui parlava Galeno.<br />
Tuttavia il passaggio da un sistema all'altro avveniva. Altra questione sollevata da Vesalio fu<br />
sullo spirito animale che si irradiava dal cervello. Molte traduzioni dal greco riportavano<br />
"anima" introducendo elementi metafisici nel corpo. Vesalio ebbe il coraggio di sbarazzarsi di<br />
tale cosa evitando ogni controversia teologica. Nella cattedra di Padova si successero a Vesalio<br />
prima Fallopio (1523 - 1563), quindi Fabrizi d'Acquapendente (1537 - 1619) e fu proprio allievo di<br />
quest'ultimo William Harvey (1578 - 1657).<br />
Harvey (1628) prende le mosse dal pregiudizio aristotelico del cuore come centro dell'organismo e<br />
dalla visione platonica del movimento in circolo. Riuscì, attraverso osservazioni in autopsie, a<br />
scoprire la circolazione del sangue riuscendo a ridare al cuore ("il sole del microcosmo" come egli<br />
lo chiama) quella dignità che gli era stata tolta da Galeno: è il battito del cuore che permette la<br />
circolazione del sangue ! La cosa la suffragò con variate esperienze che lo convinsero che il cuore<br />
può operare non certo come pompa (questo lo avrebbe messo nel novero dei meccanicisti) ma<br />
come sovrano del corpo e come luogo dove il sangue recupera le sue qualità. Falsificò poi la teoria<br />
del sangue prodotto dal fegato con un semplice conto che confrontò quanto sangue passava dal<br />
cuore con quanto ne avrebbe dovuto produrre il fegato: quest'ultima quantità risultava enorme<br />
per un organo così piccolo. Insomma, a parte alcuni dettagli (relazione tra vene ed arterie che<br />
avrebbero avuto bisogno dei lavori con il microscopio di Malpighi - 1628/1694 - per stabilire<br />
l'esistenza di capillari), si erano gettate le basi della rivoluzione harveyana. (che però, per il<br />
disinteresse dello stesso Harvey nel farla conoscere, dovette aspettare ancora circa 100 anni<br />
prima che fosse conosciuta dal gran pubblico. La pratica medica, anche la sua, seguì con i salassi<br />
anche se si cominciò a comprendere il meccanismo dell'avvelenamento: seguì anche con strane<br />
cure, di derivazione paracelsiana, che prevedevano l'imposizione della mano di un morto per una<br />
malattia cronica su di un malato di tumore).<br />
Si può certamente dire che i lavori di Harvey partono da concezioni aristoteliche, concezioni nelle<br />
quali il moto circolare assume un valore fondamentale proprio perché è l'intero mondo<br />
organizzato in quel modo. La circolazione del sangue rende il microcosmo assimilabile al<br />
macrocosmo e la funzione vivificante e rigenerativa del Sole viene nel microcosmo sostituita dal<br />
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cuore che , come detto, è "il sole del microcosmo" in accordo con le tesi ficiniane. Tra l'altro è nel<br />
cuore che troviamo la localizzazione dell'anima<br />
In definitiva, un convinto aristotelico, con le premesse di Aristotele e con strane assonanze<br />
ermetiche (per un aristotelico), è uno che inizia una delle più importanti rivoluzioni scientifiche<br />
dell'età barocca.<br />
="4">(2) Sono esistite ed esistono tuttora dei sospetti relativi a contatti o addirittura<br />
all'affiliazione di Descaronfraternita. Descartes ha sempre negato ma la cosa era comunque<br />
d'obbligo, anche per motivi di prudenza. I Rosa- Croce erano un ordine segreto, nato<br />
probabilmente nel XV secolo ma fattosi conoscere nel 1614 con la pubblicazione clan<strong>des</strong>tina di<br />
due libelli, Fama Fraternitatis e Confessio Fraternitatis. Il nome dell'ordine definisce anche il<br />
simbolo che è appunto una rosa ed una croce con la croce che<br />
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Uno dei tanti possibili simboli dei Rosa-Croce<br />
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Altro simbolo dei Rosa-<br />
Croce. E' d'interesse notare<br />
che qui, alla rosa ed alla<br />
croce, sono sovrapposti<br />
simboli massonici (il<br />
compasso) ed alchemici (il<br />
gabbiano che per alimentare<br />
i suoi piccoli con il suo<br />
sangue si becca il corpo).<br />
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rappresentava il sapere, la scienza e la rosa l’amore. La Società dei Rosa- Croce, almeno nel<br />
secolo XVII, era costituita (pare) da un piccolo numero di aderenti che condividevano stesse idee<br />
di modernità. Erano probabilmente riformatori religiosi e morali, che utilizzavano la<br />
comunicazione che ritenevano più evoluta ed addirittura di carattere scientifico per far conoscere<br />
le proprie idee. I loro scritti, spesso di carattere alchemico, sono impregnati di esoterismo, di<br />
misticismo ed occultismo. Quando i messaggi diventavano ermetici implicavano significati<br />
reconditi che sarebbero stati compresi solo dagli iniziati (e questa sembra una contraddizione<br />
rispetto al proposito di far conoscere le proprie idee, ma non lo è se lo spirito è quello di ricercare<br />
gli eletti).<br />
Secondo Pelagio Britannico (circa 360-427), gli uomini non erano pre<strong>des</strong>tinati (come sostenuto da<br />
Sant'Agostino), ma potevano, invece, solamente con la propria volontà (liberum arbitrium) e per<br />
mezzo di preghiere ed opere buone, evitare il peccato e giungere alla salvezza eterna: non era<br />
necessario l'intervento della Grazia divina (una cosa analoga era stata sostenuta anche da<br />
Origene all'inizio del III secolo con la conseguente condanna dell'origenismo da parte del vescovo<br />
di Alessandria, Teofilo, nel 401). Il pelagianismo inoltre negava la trasmissione del peccato<br />
originale, che aveva danneggiato solo Adamo e non tutto il genere umano. Poiché non sussisteva<br />
il peccato originale, il battesimo era visto da Pelagio come un momento di accoglimento nella<br />
Chiesa: tuttavia, se il bambino moriva senza battesimo, era ugualmente accolto in paradiso.<br />
Descartes non deve essere confuso con un misogino e/o bigotto. Egli ebbe una vita movimentata,<br />
ebbe varie donne e risultano vari figli lasciati senza essere riconosciuti in giro per l'Europa. Non<br />
prese moglie perché, come disse ad una signora che lo interrogava in proposito, preferiva la<br />
verità alla bellezza. Una sola figlia, Francine, che ebbe con la sua domestica Elena Jans, fu<br />
riconosciuta. Essa nacque nel 1635 e fu battezzata in una chiesa protestante. Gli procurò il più<br />
grande dolore della sua vita, quando morì a soli 5 anni.<br />
Sotto altri aspetti Descartes, che usava portare il cappello a larghe falde con piuma di struzzo e<br />
la spada, non disdegnava i duelli. Più volte fu aggredito da briganti e più volte seppe difendersi<br />
con successo.<br />
Si è molto discusso sulla credenza religiosa di Descartes. Sembra si possa dire che fosse cattolico<br />
che tentava di suggerire alle gerarchie una maggiore apertura filosofica e comprensione verso la<br />
scienza.<br />
E' importante osservare che tutti i cambiamenti di notazione introdotte fino al cinquecento erano<br />
fondamentalmente delle abbreviazioni di parole comuni. In questo periodo le richieste sempre<br />
crescenti della scienza stimolavano i matematici a utilizzare una notazione simbolica, ma il<br />
miglioramento era progressivo ed in alcuni casi intermittente. Molte variazioni furono effettuate<br />
accidentalmente ed è chiaro che gli studiosi di questa epoca non erano in grado di apprezzare<br />
quello che il simbolismo poteva significare per l'algebra. Spesso i nuovi simboli introdotti non<br />
venivano adottati in modo immediato dai matematici contemporanei (Kline, pag. 303). Cioè<br />
l'algebra simbolica non ha soppiantato di colpo quella sincopata. Le prime abbreviazioni<br />
utilizzate nel XV secolo sono p (per più), m (per meno) e ae (per uguale). Alcuni autori (Kline,<br />
pag. 303; Loria, pag. 468) ritengono che i segni + e – vennero introdotti dai te<strong>des</strong>chi per denotare<br />
i pesi in eccesso o in difetto delle cassette e furono poi adottati dai matematici Widman (XV sec.)<br />
e Stifel (1486? - 1567); altri, invece, attribuiscono l'invenzione di questi segni a Leonardo da<br />
Vinci (1452 - 1519) http://goo.gl/0sEPr http://goo.gl/k5A8x http://goo.gl/B5w8S<br />
http://goo.gl/wFGF5 . Il segno = fu introdotto nel 1557 da Recorde (1510 - 1558) che scrisse il<br />
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primo trattato inglese di algebra; Viète (1540 - 1603), che all'inizio utilizzava la parola aequalis,<br />
poi adottò il simbolo ~ per indicare l'uguaglianza; Descartes usava a . Il segno x del prodotto è<br />
dovuto a Oughtred (1574 - 1660) e i segni > e < per denotare le disuguaglianze furono introdotti<br />
da Harriot (1560 - 1621). Le parentesi tonde compaiono nel 1544, le parentesi quadre e graffe,<br />
utilizzate da Viète risalgono al 1593 circa. La radice quadrata Ö e radice cubica 3Öc appaiono<br />
nel XVII secolo con Descartes (Cfr. Kline, pag. 304). I simboli per le incognite e le sue potenze<br />
ebbero un'evoluzione molto lenta. Gli algebristi del cinquecento utilizzavano le parole radix, res,<br />
cosa o tanto per denotare l'incognita e i simboli generalmente derivavano da abbreviazioni: R (da<br />
res) indicava x, Z (da census) x2 e C (da cubus) x3. Gli esponenti vennero introdotti<br />
gradualmente. Chuquet (1445? - 1500?) nella sua opera Triparty scriveva 83 , 105 , 120 e 71m<br />
per indicare 8 x3 , 10 x5 , 12 e 7 x-1. Bombelli usava un piccolo semicerchio dentro il quale<br />
veniva scritto l'esponente della potenza. Stevin (1548 - 1620) utilizzava anche gli esponenti<br />
frazionari: 1/2 per la radice quadrata ed 1/3 per la radice cubica e così via. Nella costruzione del<br />
linguaggio algebrico il cambiamento più significativo fu introdotto con il simbolismo da Viète.<br />
Egli fu il primo ad usare deliberatamente e sistematicamente le lettere, non soltanto per<br />
rappresentare l'incognita e le sue potenze ma anche per i coefficienti generici. Di solito utilizzava<br />
le consonanti per i termini noti e le vocali per le incognite. Il linguaggio simbolico veniva<br />
utilizzato non solo per risolvere equazioni ma anche per provare regole generali. Questo autore<br />
chiamava la sua algebra simbolica logistica speciosa in contrasto con la logistica numerosa:<br />
considerava che l'algebra è un metodo per operare sulle specie o le forme delle cose, l'aritmetica,<br />
la numerosa, si occupa invece dei numeri. In questo modo l'algebra diventò lo studio dei tipi<br />
generali di forme e di equazioni, perché quello che si applica al caso generale è valido in tutti gli<br />
infiniti casi particolari (Kline, pag. 305).<br />
Descartes ha modo di riferirsi a Galileo ed al suo Dialogo all'inizio della Parte sesta del Discours<br />
quando dice:<br />
Tre anni or sono, quando avevo già ultimato il trattato relativo a tutti questi argomenti e<br />
cominciavo a rivederlo per consegnarlo ad un editore, appresi che certe persone, per le quali ho<br />
deferenza e la cui autorità può sulle mie azioni quasi quanto la ragione sui miei pensieri, avevano<br />
disapprovato un'opinione di Fisica pubblicata poco tempo prima da un altro studioso [non lo cita<br />
ma si tratta di Galileo, ndr] ora non dico di condividere tale opinione, ma soltanto che prima di<br />
questa censura non vi avevo notato nulla che potessi immaginare come pregiudizievole alla<br />
Religione e allo Stato e, conseguentemente, nulla che mi avrebbe impedito di adottarla, se la<br />
ragione me ne avesse persuaso. Ciò mi fece temere che tra le mie opinioni se ne trovasse pure<br />
qualcuna su cui mi fossi ingannato, nonostante la gran cura che ho sempre avuto di non<br />
accettarne mai di nuove che non fossero dimostrabili con somma certezza e di non metterne in<br />
iscritto nessuna che potesse nuocere a qualcuno. Ciò è stato sufficiente a farmi mutare la decisione<br />
già presa di pubblicarle. Infatti, pur essendo assai forti le ragioni che mi avevano spinto a quella<br />
risoluzione, la mia naturale tendenza, che mi ha sempre fatto odiare il mestiere di scrivere libri,<br />
me ne fece subito trovar altre che mi scusavano nella mia rinuncia. Queste ragioni, sia in favore<br />
della pubblicazione sia contrarie, sono tali che non solo io ho qualche interesse a esporle qui, ma<br />
anche il pubblico ha forse interesse a conoscerle [Discours; 2; 540-541(9)]<br />
La prima obiezione era di un prete cattolico di Alkmaar in Olanda; la seconda obiezione era la<br />
sintesi di varie obiezioni di filosofi e teologi raccolte da padre Mersenne; la terza obiezione è di<br />
Thomas Hobbes (1588- 1679); la quarta obiezione era del filosofo e teologo Arnauld; la quinta<br />
obiezione è di Pierre Gassendi (1592-1655), filosofo e fisico atomista; la sesta obiezione è di<br />
diversi filosofi e teologi; la settima obiezione è del gesuita Pierre Bourdin (il quale criticava la<br />
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filosofia di Descartes in dibattiti pubblici a Parigi e a questi attacchi Descartes aveva risposto<br />
appellandosi alla massima autorità dei gesuiti di Francia, P. Dinet che diventerà confessore di<br />
Luigi XIII restando sempre protettore di Descartes. Infatti, dopo la settima obiezione, nelle<br />
Méditations, viene l'estratto di una lettera di Descartes a padre Dinet proprio sulla vicenda della<br />
settima obiezione. La posizione di Descartes è altera, di uno che non ha bisogno di nessuno, ma<br />
che, avendo già fornito prove della sua capacità, vorrebbe sapere se si vuole o no che egli spieghi<br />
la sua filosofia e se i gesuiti sono disponibili a difenderla al suo fianco).<br />
Si trattava di una piccola cassa di rame lunga 80 cm in cui vi erano i resti di Descartes privi del<br />
cranio. Questo, successivamente ritrovato, è esposto nel Musée de l'Homme (che fu realizzato da<br />
Cuvier) con tutte le firme dei suoi successivi possessori.<br />
Il cranio di Descartes al Musée de l'Homme<br />
Le opere di Descartes furono raccolte e pubblicate in 12 volumi a Parigi, per le edizioni Leopold<br />
Cerf, tra il 1897 ed il 1913 (<strong>René</strong> Descartes, Oeuvres a cura di Charles Adam e Paul Tannery).<br />
Per citare le opere di Descartes si utilizza questa edizione di riferimento che viene indicata, dal<br />
cognome dei due curatori, con AT, seguita da un numero romano che indica il volume e da un<br />
numero arabo che indica la pagina a cui ci si riferisce. Io scriverò invece: il nome dell'opera, un<br />
numero che rappresenta il testo di bibliografia dal quale ho tratto il brano seguito dalla pagina<br />
di tale testo. Se il riferimento è ad opere in lingua straniera, la traduzione è mia.<br />
Il riferimento esplicito è al pensatore di Maiorca Raimond Lull (1223- 1315) che fu alchimista ed<br />
iniziatore della Cabala cristiana. E' famoso per aver sviluppato l'arte della memoria alla quale si<br />
rifece Giordano Bruno. http://goo.gl/XjvUn http://goo.gl/W4m7G Scrisse tra l'altro, un Trattato<br />
della Quinta Essenza e il Liber de segretis naturae seu de quinta essentia tentando di far<br />
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accettare l'alchimia mediante una disquisizione sul "libero arbitrio" dell'uomo: "Perciò la<br />
Alchimia, che è la vera arte nel promuovere il sapere, non può essere condannata dalla Chiesa, in<br />
quanto la scelta tra il bene ed il male appartiene al libero arbitrio dell'uomo; quest’ultimo è frutto<br />
della sua ignoranza, ma l’ignoranza umana stessa è stata voluta dalla giustizia di Dio e quindi è<br />
un bene dal punto di vista del Dio Padre Onnipotente".<br />
Mi sono soffermato un poco su Lull per tornare alla vicenda dell'affiliazione di Descartes alla<br />
Confraternita di Rosa-Croce (vedi nota 2). Infatti Lull era tenuto in massimo conto da tale<br />
associazione e Descartes raccomandò al suo amico Beeckman di leggere proprio alcune opere di<br />
Lull. Ma anche l'altro amico di Descartes, il matematico Johannes Faulhaber, era un estimatore<br />
di Lull e confessò in una lettera a Descartes del 1618 che non vedeva l'ora di mettersi in contatto<br />
con membri della Società dei Rosa-Croce e se ciò non accadeva voleva dire che così vuole Dio<br />
(sic!).<br />
La cissoide di Diocle (2° secolo a.C.) e la concoide di Nicomede (2° secolo a.C.) sono due curve che<br />
si presentano nella soluzione del problema di Delo della duplicazione del cubo.<br />
Anticamenteerano considerate meccaniche ma la cosa non è corretta.<br />
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La spirale di Archimede (3° secolo a.C.) e la quadratrice di Ippia (5° secolo a.C.) sono due curve<br />
trascendenti e furono introdotte per lo studio dei classici problemi di quadratura del cerchio,<br />
trisezione dell'angolo e duplicazione del cubo<br />
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Anche se questa posizione può sembrare ingenua, rappresenta una qualche novità. Infatti fino<br />
ad allora la luce era stata pensata bianca o incolore ed i colori erano caratteristiche dei corpi che<br />
non riguardavano la luce stessa. Si era all'epoca verificata una frattura nell'ambito della filosofia<br />
in senso lato: la luce era stata lasciata da studiare ai filosofi naturali (ai fisici) mentre i colori<br />
erano restati prerogativa dei filosofi in senso stretto. Uno degli ultimi filosofi che riprenderà la<br />
luce in modo estraneo alla fisica sarà Goethe.<br />
Ma non insisto troppo su queste cose perché poco chiare soprattutto in quanto manca ogni<br />
raccordo tra una analogia ed un'altra, cosicché non sappiamo bene, alla fine, come considerare la<br />
teoria della luce di <strong><strong>Cartes</strong>io</strong>. Provo a spiegarmi. La pressione di una pallina sulla successiva (ad<br />
esempio nel tino) è una concezione che potremmo definire a contatto e comunque si tratta di<br />
trasferimenti di energia e non di materia. Il bastone e le palline scagliate (delle quali parlerò tra<br />
un istante) sono azioni materiali. La seconda è addirittura corpuscolare. Tra l'altro come si<br />
raccorda una propagazione istantanea con una pallina di luce scagliata dal Sole ? Park dice le<br />
cose seguenti (pag. 186):<br />
«Si capisce il motivo per cui <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> si serve di analogie per spiegare i due modi così diversi che<br />
abbiamo di sperimentare la luce. Il primo è come un'illuminazione, originata da qualche<br />
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sorgente, che riempie la stanza di luce. È possibile immaginare questo tipo di luce come una<br />
pressione o tendenza a muoversi. Il secondo è come un raggio attraverso il foro di un infisso,<br />
oppure il tipo di raggio che avevano usato i filosofi per spiegare la visione sin dai tempi di<br />
Alkindi. È difficile pensare in termini di pressione per un elemento così direzionato, è molto più<br />
semplice immaginarlo come un lancio di palline da tennis. <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> afferma nella sua<br />
comparazione che i modelli non sono inconciliabili e inventa una fisica della tendenza: si<br />
presume che le tendenze (qualsiasi cosa possano essere) si espandono nello spazio secondo<br />
percorsi simili a quelli che seguirebbero le palline da tennis. La discussione è in termini<br />
aristotelici: la tendenza a muoversi è la potenzialità, il moto è la realtà, ma la realtà è contenuta<br />
nella potenzialità e non vi è differenza nelle leggi che governano entrambe. E la nozione di luce<br />
come tendenza che si propaga nello spazio senza alcun moto ricorda la moltiplicazione delle<br />
species di Ruggero Bacone. Se ricordate, secondo Bacone si muovono come l'ombra si muove<br />
dietro all'uomo mentre cammina. Dentro l'armatura di un tale ragionamento c'era poco che<br />
<strong><strong>Cartes</strong>io</strong> non potesse spiegare. Difatti l'analogia della pallina da tennis gli offre subito un felice<br />
appiglio. Colpite la pallina in modo da imprimerle un moto rotatorio.<br />
Nella luce, dichiara, la combinazione di moto lineare e rotatorio determina i colori, un concetto<br />
mai sostenuto da alcuna dimostrazione.<br />
Nello spiegare la luce con tre paragoni che non hanno tra loro niente in comune e lasciano il<br />
lettore all'oscuro, <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> fa trapelare la sua educazione giovanile. ... Il mondo medioevale<br />
concepiva l'intero creato come un sistema di analogie intese a insegnare all'umanità come vivere<br />
e conoscere Dio.<br />
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Un argomento basato sull'analogia era considerato più che un semplice modo di esprimersi per<br />
immagini vivide, ma si correlava piuttosto in modo tacito o esplicito a un cosmo che era fondato<br />
sull'analogia. Non intendo affermare che <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> volesse giustificare in tal modo le sue teorie<br />
sulla luce, ma l'analogia permea tutto il suo pensiero. Eppure avrebbe potuto approfittare di<br />
un'osservazione semplice e saggia fatta da Aristotele: "Nell'inventare un modello possiamo<br />
presumere quello che vogliamo, ma dovremmo evitare l'impossibile"».<br />
Per <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> la luce, ormai divenuta oggetto fisico, ha quindi una velocità infinita (siamo nel<br />
1637), la sua propagazione doveva essere istantanea (questa è la parola usata da <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> nella<br />
Dioptrique) e ciò vuol dire che non si ha propagazione. La cosa veniva ricavata da <strong><strong>Cartes</strong>io</strong><br />
dall'ombra della Terra, immaginata nella situazione astronomica aristotelica, proiettata sulla<br />
Luna in una eclisse. Se la luce del Sole che ci viene riflessa dalla Luna durante la durata di una<br />
eclisse marciasse con una velocità infinita noi vedremmo, come vediamo, l'eclisse quando Sole,<br />
Terra e Luna sono allineati. Se invece la luce avesse una velocità finita (e qui <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> ha il<br />
pregiudizio di una velocità relativamente piccola), essa, quando dal Sole ha superato la Terra per<br />
raggiungere la Luna, impiegherà del tempo per percorrere il tragitto fino alla Luna e del tempo<br />
per tornare sulla Terra di modo che noi possiamo vedere il fenomeno. <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> fa l'ipotesi che il<br />
tempo necessario alla luce per fare il tragitto Terra-Luna-Terra sia di una ora. Ciò vuol dire che<br />
noi vedremmo l'eclissi un'ora dopo che la luce ha lasciato la Terra per andare sulla Luna ed<br />
allora <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> si chiede cosa accade nel frattempo del Sole. L'astro avrebbe percorso un'ora della<br />
sua traiettoria, tempo che farebbe si che non vi sarebbe più allineamento tra i tre corpi celesti.<br />
Poiché da sempre quei tre corpi risultano allineati, <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> conclude che la la luce ha velocità<br />
infinita.<br />
Vi è qui da osservare che il pregiudizio è sempre stato di grave ostacolo alla ricerca. E <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> si<br />
chiude una strada che poteva essere fertile, a seguito del suo metodo che prevedeva delle regole<br />
per fare filosofia che non andavano d'accordo con il metodo sperimentale. Vi era anche il fatto<br />
che <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> aveva in odio il solo nome di Galileo. Egli probabilmente seppe da Marsenne che<br />
Galileo sperimentava sulla velocità della luce e questo fatto gli fece affermare qualcosa che<br />
contrastava con le ipotesi del pisano. In ogni caso il ragionamento di <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> che ho riportato<br />
verrà confutato da Huygens nel suo Trattato sulla luce (scritto nel 1678 e pubblicato nel 1690)<br />
proprio sul terreno che <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> amava poco, quello sperimentale con misure di distanze e di<br />
velocità. La luce è conseguenza della teoria del mondo considerato come un tutto pieno<br />
eternamente in moto a vortici (una specie di maionese). La materia è estensione e l'estensione<br />
deve essere materia. Conseguenza di queste assunzioni a priori è che la luce diventa un oggetto<br />
materiale, fisico e quindi studiabile. La trasmissione istantanea della luce, di cui ho detto, è<br />
pensata come una pressione esercitata dalle particelle di una materia sottile che riempie<br />
l'universo, l'etere (ecco che questa entità metafisica entra nella fisica e la tormenterà per oltre<br />
250 anni). E l'etere è inteso come un corpo rigido ideale. La prima particella preme sulla seconda<br />
che preme sulla successiva e così via (resta aperto il problema dell'origine del moto). L'intero<br />
discorso di <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> sembra voler non considerare la luce come entità a sé ma solo in quanto gli<br />
permetterà poi di studiare gli strumenti ottici. Così egli ci dice le cose sulla luce servendosi di<br />
analogie.<br />
Più in generale vi è da dire che in Italia, in genere, vi è molto savoir faire che spesso è<br />
addirittura controproducente. Gli storici della scienza francesi (da Duhem a Koyré, ad esempio)<br />
hanno un tale intollerabile sciovinismo che avrebbero bisogno di essere riportati alla ragione con<br />
documenti. Una esemplificazione delle sciocchezze che sono in grado di mettere su l'ho data in<br />
Alcuni elementi di giudizio su Galileo e in Torricelli, il peso dell'aria ed il vuoto. Voglio ora<br />
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aggiungere due considerazioni. La prima, come già ho accennato nel testo, è relativa alla infinita<br />
gelosia che <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> aveva nei riguardi di Galileo e la cosa è documentata da una lettera di<br />
<strong><strong>Cartes</strong>io</strong> a Marsenne del 1638 (E.N. Vol. 16, pagg. 124-125), nella quale, ad un anno della<br />
condanna di Galileo, <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> dice: che non ha preso nulla<br />
da lui, che non trova nulla nei suoi libri che gli faccia invidia, che non c'è nessuna cosa fatta da<br />
lui che vorrebbe confessare come sua, che le maree sono tirate per i capelli, molte cose che dice<br />
egli l'aveva già detto nel suo Il mondo, anche quella dimostrazione sulla caduta dei gravi ... e la<br />
ripete dicendo delle clamorose sciocchezze e cioè che se in tre tempi un grave percorre un certo<br />
spazio, nel quarto percorre uno spazio uguale al già percorso.<br />
Ma a parte questi pettegolezzi vi sono aspetti molto più importanti da sottolineare. <strong><strong>Cartes</strong>io</strong>, che<br />
resta un grandissimo matematico, nelle spiegazioni della filosofia naturale fa rientrare dalla<br />
finestra ciò che Galileo con estrema fatica aveva cacciato dalla porta: la metafisica. L'universo<br />
diventa una deduzione dalle sue elaborazioni teoriche. E le leggi particolari sono quelle perché<br />
Dio lo vuole. Una sorta di Aristotele aggiornato a duemila anni dopo che, naturalmente, trova<br />
inutile l'esperienza. In proposito Pitoni scrive (pagg. 147-150):<br />
"107. Le conseguenze del sistema cartesiano non potevano essere che quelle stesse del metodo<br />
aristotelico ; per quanto il Descartes si voglia vantare come il « grande liberatore dell'intelligenza<br />
europea » (Buckle), come « colui che vide, per il primo, nell'intero universo, anche nei fenomeni<br />
vitali, soltanto materia e movimento » (Huxley). E valga il vero: nella 35° lettera al Mersenne, il<br />
Descartes sa che l'alcole e l'essenza di trementina sono più rifrangenti dell'acqua, per quanto più<br />
leggieri; ma non per questo volle modificare la sua teoria, secondo la quale la rifrazione cresce<br />
colla densità. Il Mersenne vuol pubblicare la notizia del telescopio a specchio, immaginato dallo<br />
Zucchi ; ma la cosa, secondo il Descartes, non è pratica, dunque non se ne farà di nulla. Una<br />
vescica chiusa si gonfiava quando veniva portata a grande altezza, perché, secondo i seguaci<br />
della scuola sperimentale, l'aria esterna era rarefatta; ma il Descartes aveva abbandonata la<br />
rarefazione, dunque, diceva il P. Mersenne, la spiegazione è falsa. Il Torricelli aveva dato la<br />
spiegazione esatta dei venti; questa par troppo semplice al Descartes, ed allora immagina che<br />
essi siano generati dalla dilatazione, agitazione, rotazione delle particelle di vapor acqueo.<br />
L'Alberti assegna la vera origine delle fonti ? Sono invece le acque del mare che s'infiltrano<br />
sotterra, evaporano fin sotto le cupole dei monti, si condensano e zampillano. Mersenne e Petit<br />
lanciano una palla con un cannone verticale, e non la vedono ricadere ? Il Descartes afferma che<br />
la palla è divenuta più leggiera ed ha fatto « come le cicogne, che volano più facilmente nelle alte<br />
regioni, che nelle basse ». Egli attraversa le Alpi ; ode lo strepito delle valanghe e lo assomiglia al<br />
fragore del tuono ? Il tuono è dunque prodotto dal cadere, rotolare, rimbalzare delle nubi, le une<br />
sulle altre. E si porrebbe continuare la raccolta, a dimostrare quale concetto avesse il Descartes<br />
delle prove di fatto, e come si giurasse in lui mentre prima si giurava in Aristotile. Cosa c'è<br />
dunque di comune fra il Galilei, per il quale il fatto è tutto e la teoria lo segue, sia pure che la<br />
ragione talvolta, cogli elementi sicuri già posseduti, intuisca e prevenga, e il Descartes?<br />
Se il Galilei avesse metodicamente raccolto tutte quelle sue preziose osservazioni, indicazioni,<br />
regole del modo di giungere alla verità, che sono sparse nei suoi molti scritti, pochi parlerebbero<br />
di Francesco Bacone. Se il Galilei avesse costituito un sistema, sia pur fantasioso, <strong>des</strong>tinato a<br />
render ragione di tutto, a spiegare ogni cosa, in modo che gli sfaccendati avessero potuto con<br />
quattro premesse azzardarsi a trinciar sentenze sopra qualunque argomento, Renato Descartes<br />
avrebbe perduto molto della sua importanza. Galileo precede il Locke ed afferma che ogni idea ci<br />
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viene dai sensi. Il Descartes (Méditation), scrive invece, che le idee di molte cose (numeri, figura,<br />
movimento, ecc.) non si sono affatto sviluppate in noi per l'intermediario dei sensi e sono perciò<br />
necessariamente vere. Galileo in una lettera rimasta famosa, separa la ricerca del mondo<br />
sensibile dalla fede nell'ultra sensibile. Il Descartes non si sente mai perfettamente libero nei<br />
suoi pensieri, e se parla di cose scientifiche si premunisce contro le obiezioni di eresia ; e se parla<br />
di ricerche metafisiche, si colloca sotto la protezione dei decani della Sacra Facoltà di Teologia<br />
della Sorbona, quella stessa che per ordine del cardinale Richelieu aveva dichiarato falsa la<br />
dottrina del moto della Terra. Il Galilei ha un primo processo coll'Inquisizione, e poi viene colpito<br />
dal secondo e terribile ; e pure non si piega ma riesce di mandare alle stampe, con fatiche<br />
incredibili, l'ultima e più gloriosa opera sua. Il Descartes voleva trattare del sistema copernicano<br />
nel suo trattato De Mundi; ma dopo la condanna del Galilei stimò bene di non farne di niente. I<br />
teologi protestanti lo attaccarono e poco mancò che non facessero bruciare a Leida le opere sue<br />
per mano del boia; il fatto in Italia non era raro, ma i nostri non temevano, né cedevano : il<br />
Descartes invece, si rifugia a Stockolm. Né come indagatore, né come uomo si può il Descartes<br />
neppur lontanamente paragonare al Galilei. E qual'è il suo valore nella meccanica?<br />
Basti, a giudicarne, ciò che il Descartes scrive in una sua lettera del 1640: se a sostenere un<br />
corpo posato su di un piano inclinato ci vogliono 40 libbre ed il corpo ne pesa 100, la pressione da<br />
esso esercitata sul piano sarà di 60 lb. Nei Principia phiosophica (1644), mentre ormai le idee<br />
esatte avevano pacifico dominio in Italia, sostiene, che se un piccolo corpo ne urta un altro<br />
grande ed in riposo torna poi indietro colla stessa velocità, mentre il corpo urtato rimane in<br />
equilibrio.<br />
L'esperienza, nei limiti stessi posti dal Descartes, era contraria ; nia il Descartes partiva dai suoi<br />
principii filosofici per arrivare a tanto, dunque non volle ricredersi. Il Duhem vuol fargli onore<br />
d'avere indicato chiaramente, che il principio delle velocità virtuali vale soltanto per tratti<br />
infinitesimi: ma questo concetto si trova affermato in molti punti dell'opere del Galilei. Ma<br />
l'Italia, oramai divisa ed asservita, declinava politicamente e il suo popolo decadeva; la Francia<br />
invece sorgeva a dettare il gusto all'Europa, a imporle la sua lingua e i suoi autori; perciò il<br />
Descartes sarà il filosofo futuro e il Galilei, se non sarà dimenticato, passerà in seconda linea".<br />
La riflessione totale è discussa sperimentalmente nel modo seguente:<br />
Cosa che è stata sperimentata con disappunto, quando facendo sparare dei pezzi d'artiglieria, per<br />
giuoco, verso il fondo di un fiume, sono stati feriti coloro che erano dall'altra parte sulla riva.<br />
Shea afferma che questi ragionamenti di <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> furono copiati ad un tal Claude Mydorge che li<br />
aveva fatti tra il 1626 ed il 1631. <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> ne era venuto a conoscenza tramite il solito Padre<br />
Mersenne come risulta dalla corrispondenza di quest'ultimo.<br />
<strong><strong>Cartes</strong>io</strong> non ne parla, perché aveva l'abitudine di utilizzare tutto ciò che gli serviva preso da<br />
chiunque senza mai citarlo, ma questa ammissione di velocità della luce maggiore in mezzi più<br />
densi nasceva da un'analogia che all'epoca era quasi generale: quella di suono e luce. Era ben<br />
noto che più il mezzo è denso più il suono si propaga velocemente. Questa analogia fu molto<br />
travagliata perché ad un certo punto, quando si iniziò a lavorare con le macchine da vuoto, ci si<br />
accorse che il suono non si propaga più in assenza di aria contrariamente alla luce. Ricordo in<br />
proposito l'invenzione del 1654 della prima macchina pneumatica, o pompa da vuoto, ad opera di<br />
Otto von Guericke (a seguito dell'esperienza di Torricelli del 1644). Perfezionata nel giro di poco<br />
tempo da personaggi come Boyle, Hooke, e Huyghens, la pompa permise di svolgere importanti<br />
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esperimenti sulle proprietà dell'aria e del vuoto. Il primo che dimostrò che il suono non si<br />
propaga nel vuoto fu un discepolo ed amico di Galileo, Gianfrancesco Sagredo (l571-1620). Egli si<br />
serviva di una specie di campanello che era situato all'interno di una campana di vetro dalla<br />
quale l'aria veniva quasi completamente tirata via per mezzo di un forte riscaldamento. Fu<br />
proprio Torricelli a far notare che un raggio di luce, contrariamente al suono passa attraverso il<br />
vuoto.<br />
Le parole usate da <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> per giustificare la cosa sono:<br />
Come una palla perde più del suo moto urtando contro un corpo molle che contro uno duro, e che<br />
essa ruzzola meno facilmente sopra un tappeto che sopra una tavola tutta nuda, così l'azione di<br />
questa materia sottile può essere impedita più dalle parti dell'aria, che, essendo come molli e<br />
sconnesse, non le oppongono molta resistenza, che non da quelle dell'acqua che gliene oppongono<br />
di più; e ancor più da quelle dell'acqua che da quelle del vetro o del cristallo... .<br />
Descartes non scoprì la rifrazione ma fece conoscere, per primo, la legge che aveva ricavato il<br />
matematico ed astronomo olan<strong>des</strong>e Willebrord van Royen Snell (1580-1626), pubblicandola nella<br />
Dioptrique e senza entrare in dettagli matematici. Egli la scrisse come oggi la conosciamo,<br />
introducendo il rapporto tra i seni degli angoli di incidenza e rifrazione.<br />
Riferendoci alla figura, si ha:<br />
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e con Descartes l'indice di rifrazione n acquista un significato più pregnante. E' sempre l'indice<br />
di rifrazione ma risulta legato alla velocità della luce nei differenti mezzi in cui si propaga. Più<br />
precisamente è il rapporto tra la velocità della luce nel mezzo più denso e la stessa velocità<br />
nell'aria (come vedremo tra un poco, rapporto tra una velocità maggiore ed una velocità minore).<br />
Quelle che seguono sono le cose che <strong><strong>Cartes</strong>io</strong> aggiunge:<br />
Quanto alla riflessione e alla rifrazione ne ho già trattato a sufficienza altrove [nella Dioptrique].<br />
Tuttavia, dato che per rendere il mio discorso più comprensibile, invece di parlare dei raggi<br />
luminosi, mi sono servito allora come esempio del movimento di una palla, mi resta ora da<br />
richiamare la vostra attenzione sul fatto che l'azione o inclinazione a muoversi, trasmessa da un<br />
luogo a un altro mediante diversi corpi in contatto fra loro, che si trovano senza interruzione in<br />
tutto lo spazio posto fra i due luoghi, segue esattamente la stessa via attraverso la quale la<br />
me<strong>des</strong>ima azione potrebbe far muovere il primo di questi corpi se gli altri non fossero sulla sua<br />
strada; con la sola differenza che al corpo, per muoversi, occorrerebbe del tempo, mentre l'azione<br />
che ha in sé può, per mezzo dei corpi che lo toccano, diffondersi istantaneamente a qualunque<br />
distanza. Ne segue che, come una palla, giocando a pallacorda, rimbalza se batte contro il muro, e<br />
subisce rifrazione se obliquamente entra nell'acqua o ne esce, così, anche i raggi della luce<br />
incontrando un corpo che non li lascia passare oltre devono subir riflessione, e quando entrano<br />
obliquamente in un luogo dove trovano maggiori o minori possibilità di diffusione rispetto a<br />
quello da cui escono, devono, nel punto dove il mutamento si verifica, deviare e subire rifrazione.<br />
Lo sciovinista francese Pierre Mesnard non è esente da sciocchezze e, a questo proposito, riesce a<br />
dire:<br />
Ma Galileo non era un gran conoscitore della geometria e non si è reso conto che le lenti<br />
emisferiche del suo cannocchiale erano ben lungi dal corrispondere alle migliori condizioni<br />
geometriche necessarie per l'allestimento di un telescopio.<br />
Cosa dire ? Niente ...<br />
Il fenomeno ottico paraelio (sundog in inglese, parhelio in spagnolo, parhélies in francese) ha<br />
luogo quando il Sole, verso sera, filtra i suoi raggi attraverso nubi sottili costituite da cristalli<br />
esagonali di ghiaccio con i loro assi principali disposti verticalmente ed il raggio di luce entra<br />
perpendicolarmente a tale asse:<br />
Cristallino di ghiaccio attraversato dalla<br />
luce perpendicolarmente al suo asse<br />
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Ogni cristallino di ghiaccio si<br />
comporta come un prisma di<br />
60° e separa i colori della<br />
luce del Sole<br />
Si deve tener conto che i cristallini di ghiaccio possono essere di forme diverse:<br />
ed il fenomeno ha luogo solo quando i cristallini sono del tipo piano (quello in basso di figura)<br />
anche se gli angoli diedri dei vari tipi si mantengono a 120°.<br />
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Questi cristallini non sono in posizioni stabili ma continuamente mossi dalle correnti d'aria.<br />
Quando una maggioranza di essi è disposta rispetto ai raggi solari come nelle figure precedenti,<br />
allora si ha il fenomeno che è comunque raro e difficilmente persistente nel tempo.<br />
Tutti quei raggi che all'incidere in un cristallo piatto, lo fanno attraverso una delle sue facce<br />
laterali ed escano rifratti per la faccia laterale seguente a quella contigua, arriveranno all'occhio<br />
dell'osservatore in forma di macchia luminosa colorata o paraelio.<br />
In queste condizioni si ha luogo alla circostanza che il tragitto del raggio luminoso continua<br />
all'interno del cristallo parallelamente alla faccia intermedia.<br />
La deviazione che il raggio rifratto subisce rispetto alla sua traiettoria d'incidenza è di 21°7'. In<br />
definitiva, in ogni cristallino, ha luogo una rifrazione come se si avesse a che fare con un prisma<br />
di 60° con conseguente separazione dei colori dello spettro solare (si hanno immagini alla stessa<br />
altezza angolare del Sole, rossicce al loro interno).<br />
La somma degli effetti su tutti i cristallini origina un cerchio che contorna il Sole<br />
(nell'osservazione di Scheiner erano tre) accompagnato da quattro macchie nelle vicinanze del<br />
Sole di luce tremolante, i paraeli, che sono immagini rifratte dello stesso Sole.<br />
Sommando l'effetto di più cristallini di<br />
ghiaccio si formano le immagini del Sole<br />
alle sue <strong>des</strong>tra e sinistra<br />
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Due foto che mostrano un<br />
cerchio che contorna il Sole<br />
(alone) e due paraeli, uno a<br />
<strong>des</strong>tra e l'altro a sinistra del<br />
Sole<br />
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I fenomeni che si possono avere a seguito della rifrazione sui cristalli di ghiaccio sono diversi,<br />
alcuni dei quali mostrati in figura<br />
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Gli antichi Grimori<br />
Il Libro delle ombre<br />
Incanti e Sortilegi<br />
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Grimori Magici<br />
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I libri Chiusi<br />
Due grossi cani neri proteggono l’accesso all’Alta <strong>Magia</strong> e non tutti vi possono accedere, … chi ha<br />
orecchi per intendere, intenda<br />
Claudio<br />
Mi auguro che questo documento vi piaccia, nel caso vogliate leggere altri<br />
documenti che trattano questi particolari argomenti e conoscere altri studiosi del<br />
passato, consultate i miei siti Web<br />
http://www.bantan-sensitivo.com/<br />
http://www.cartomante-bantan.com/<br />
Buon lavoro a tutti<br />
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