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RUBRICHE<br />
sapeva esprimere qualche<br />
buona idea sulla vita in modo<br />
più libero e originale che non<br />
gli altri membri della famiglia,<br />
più condizionati dai rispettivi<br />
legami ed impegni; la barba<br />
poteva rappresentare appunto<br />
quella grande libertà e quella<br />
piccola sapienza, una barba un<br />
po’ da barboso e un po’ da<br />
barbone, un po’ da barbuto e<br />
un po’ da barbino, che lo<br />
scapolo si permetteva di far<br />
crescere senza le obiezioni<br />
estetiche o amatorie di<br />
fidanzate e di mogli invadenti.<br />
Con questa motivazione<br />
– provare a diventare ‘ol sio<br />
barba’ della famiglia di<br />
<strong>Tagliuno</strong> – nell’apr ile del<br />
1991 mi presentai davanti alla<br />
scrivania di don Antonio<br />
Guarnieri, il curato dell’epoca,<br />
oggi parroco a Ghisalba, che<br />
mi aveva invitato a collaborare<br />
stabilmente al giornalino<br />
parrocchiale, nel quale, il mese<br />
precedente, era comparsa una<br />
mia poesia, ‘Di Pasqua e di<br />
primavera, che iniziava così:<br />
Di Pasqua e di primavera<br />
come puoi sfiorire<br />
proprio tu solo,<br />
fratello in ginocchio?<br />
Fratello riverso<br />
no non è questo<br />
il giorno di morire,<br />
anche se non ci vedi<br />
ormai più<br />
e le dita sono rotte di terra<br />
troppo tardi tese<br />
alle primule vicine<br />
e le narici abbattute carezzano<br />
il profumo dell’erba nuova<br />
e ti sogni ancora<br />
mendicante di poco.<br />
No non è oggi il giorno<br />
fratello raccolto<br />
con tutte le mie braccia:<br />
di Pasqua è il giorno<br />
e di primavera…’ .<br />
Una poesia ogni tanto, sì, ma<br />
un articolo tutti i mesi, per un<br />
tipo incostante come me…<br />
Cominciai comunque. ‘Zio<br />
Barba’ esordì con un titolo<br />
sentimentale: ‘Ah, <strong>Tagliuno</strong>’,<br />
un’intonazione di amore e<br />
delusione al tempo stesso: Ci<br />
voleva la Madonna – scrivevo<br />
– per rompere l’assedio,<br />
ridonarci un pezzo di strada,<br />
farci reincontrare, farci camminare<br />
insieme. Tutte cose normalissime,<br />
ma non per noi. E ora lo<br />
hai visto finalmente anche tu, il<br />
tuo paese. Finora eri riuscito a<br />
vederlo soltanto salendo qualche<br />
volta in collina, su per il<br />
Coren fino al Piglièto, e ti era<br />
apparso raccolto in armonia<br />
attorno alla compatta nave<br />
della sua chiesa. Ma ridisceso in<br />
centro, pàf, il tuo paese si<br />
era puntualmente sbrindellato<br />
come un palloncino alla focosa<br />
carezza di un mozzicone di<br />
sigaretta, e tale era stato il tuo<br />
dispiacere, che gli automobilisti<br />
incolonnati su via dei Mille, al<br />
vederti ingobbito lungo il marciapiede,<br />
ti avevano chiesto dai<br />
finestrini ‘scusi, si sente male?’,<br />
e tu:’Ah, <strong>Tagliuno</strong>!’… .<br />
Diciannove anni dopo, il<br />
nostro ‘Ah, <strong>Tagliuno</strong>!’ come lo<br />
intoniamo? Qualcuno pensa<br />
forse che sia migliorato il<br />
bell’ambientino in cui ci tocca<br />
di vivere? Per non ingannarmi,<br />
non salgo più in collina.<br />
Stamattina, piuttosto, ho<br />
vagato sulla brina che i pochi<br />
imprigionati campi tra <strong>Tagliuno</strong><br />
e Grumello ancora donavano<br />
all’incanto , mentre invano<br />
cercavo il mio paese.<br />
Intanto la barba, inverno dopo<br />
inverno, si è fatta come quella<br />
brina, ormai sempre più<br />
bianca. Ho continuato a<br />
raccontare storie, e i miei<br />
superiori si sono sempre fidati<br />
di me: da don Antonio a don<br />
Matteo, passando per don<br />
Giacomo e don Paolo, per don<br />
Pietro e don Rosino, per don<br />
Massimo e don Tarcisio e don<br />
Pietro ancora, nessuno mi ha<br />
mai tolto una riga di libertà. In<br />
famiglia anche lo scapolone ha<br />
fatto la sua piccola parte.<br />
Indialogo n. 200<br />
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