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L'adunata in Fontamara

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Di seguito riportati, dai primi romanzi di Ignazio Silone, due stralci che saranno utilizzati a titolo<br />

esemplificativo nel sem<strong>in</strong>ario per evidenziare, testi alla mano, le differenze fra <strong>Fontamara</strong> e V<strong>in</strong>o e pane, e<br />

per tentare di fornirvi una spiegazione teorica complessiva. Buona lettura!<br />

L’adunata <strong>in</strong> <strong>Fontamara</strong><br />

Verso la f<strong>in</strong>e di giugno si sparse la voce che i rappresentanti dei cafoni della Marsica stavano per essere<br />

convocati a una grande riunione ad Avezzano per ascoltare le decisioni del nuovo governo di Roma sulla<br />

questione del Fuc<strong>in</strong>o.<br />

La notizia ce la portò Berardo, e dai suoi occhi si poteva capire la sua speranza. Se ne parlò a lungo: la<br />

notizia ci impressionò perché i passati governi non avevano mai voluto ammettere che esistesse una<br />

questione del Fuc<strong>in</strong>o e, da quando erano state sospese le elezioni, lo stesso don Circostanza aveva<br />

dimenticato che esistesse una tale questione, di cui prima assai parlava. Che a Roma, però, vi fosse un<br />

nuovo governo, non era da mettere <strong>in</strong> dubbio,perché da vario tempo se ne sentiva discorrere. Questo<br />

poteva anche essere una conferma che doveva esserci stata e doveva esserci ancora una guerra; perché<br />

solo una guerra scaccia i vecchi governanti e ne impone dei nuovi; così, dalle nostre parti, come<br />

raccontavano i vecchi, i Borboni avevano preso il posto degli spagnoli e i piemontesi il posto dei Borboni.<br />

Ma donde provenissero e di che nazione fossero i nuovi governanti, a <strong>Fontamara</strong> non si sapeva ancora con<br />

certezza.<br />

Di fronte a ogni nuovo governo, un povero cafone non può dire altro che: «Dio ce la mandi buona»; come<br />

quando l’estate grossi nuvolone appaiono all’orizzonte, e non dipende dal cafone decidere se porteranno<br />

acqua o grand<strong>in</strong>e, ma dal Padre Eterno. Però era strano che un rappresentante del nuovo governo volesse<br />

parlare a tu per tu coi cafoni.<br />

[...] «Ogni Governo è sempre composto da ladri» [Berardo] ragionava. «Per i cafoni è meglio, naturalmente,<br />

che il Governo sia composto da un ladro solo che di c<strong>in</strong>quecento. Perché un gran ladro, per quanto grande<br />

sia, mangia sempre meno di c<strong>in</strong>quecento ladri, piccoli e affamati. Se poi divideranno nuovamente le terre<br />

del fuc<strong>in</strong>o, <strong>Fontamara</strong> farà valere i suoi diritti.»<br />

[...] F<strong>in</strong>ché una domenica matt<strong>in</strong>a, con un rumore d’<strong>in</strong>ferno, arrivò un camion a <strong>Fontamara</strong> e si fermò <strong>in</strong><br />

mezzo alla piazza. Ne discese un conducente vestito come un militare e si mise a gridare a quelli che si<br />

avvic<strong>in</strong>avano richiamati dal rumore.<br />

«Ad Avezzano, vi porto ad Avezzano, salite», ed <strong>in</strong>dicava il camion.<br />

«Quanto costa?» gli domandò prudentemente il vecchio Zompa.<br />

«E’ gratis» spiegò il conducente. «Andata e ritorno gratis. Salite, salite, fate presto, se non volete arrivare<br />

troppo tardi.»<br />

«Gratis?» Zompa arricciò il naso e scosse la testa.<br />

«Perché?» gli chiese il conducente. «Tu preferisci forse pagare?»<br />

«Ah, no» si affrettò a chiarire Zompa. «Che Dio me ne liberi. Ma se è gratis, c’è l’<strong>in</strong>ganno.»<br />

Il conducente non gli fece più caso e riprese a gridare:<br />

«Presto, presto; chi tardi arriva, male alloggia.»<br />

Accorse Berardo e senza tante spiegazioni, anzi, con un’allegria che nessuno gli conosceva, saltò sul camion.<br />

Quel gesto ruppe gli <strong>in</strong>dugi anche degli altri. Ma chi doveva andare? Era un caso che a <strong>Fontamara</strong> ci<br />

trovassimo ancora <strong>in</strong> una dec<strong>in</strong>a di cafoni, mentre gli altri erano già partiti <strong>in</strong> campagna, perché anche la<br />

domenica, d’estate, quando c’è molto da fare, la stessa Chiesa ha sempre permesso di lavorare.<br />

Ma nessuno di noi poteva far colpa al nuovo Governo d’ignorare che alla f<strong>in</strong>e di giugno com<strong>in</strong>cia la<br />

mietitura. Come può sapere un governo <strong>in</strong> quale stagione si miete?


[...] I pochi cafoni presenti a <strong>Fontamara</strong> saltammo dunque sul camion, senza chiedere altre spiegazioni, ed<br />

eravamo: Berardo viola, Antonio La Zappa, Della Croce, Baldov<strong>in</strong>o, Simplicio, Giacobbe, Pilato e suo figlio,<br />

Caporale, Scamorza e io. Ci dispiaceva di non aver avuto tempo di cambiarci almeno la camicia, ma il<br />

conducente gridava perché ci sbrigassimo. Prima di partire però, proprio all’ultimo momento, ci chiese:<br />

«E il gagliardetto?»<br />

«Quale gagliardetto?» domandammo noi.<br />

«”Ogni gruppo di contad<strong>in</strong>i deve assolutamente portare il gagliardetto”, dicono le istruzioni da me<br />

ricevute» aggiunse il conducente.<br />

«Ma, scusate, cos’è il gagliardetto?» domandammo noi imbarazzati.<br />

«Il gagliardetto è la bandiera» spiegò ridendo il conducente.<br />

Noi non volevamo far brutta figura di fronte al nuovo Governo, proprio nella cerimonia <strong>in</strong> cui si doveva<br />

risolvere la questione del Fuc<strong>in</strong>o. Perciò acconsentimmo alla proposta di Teofilo, che custodiva le chiavi<br />

della chiesa ed ebbe l’idea di portare con noi lo stendardo di San Rocco. Con l’aiuto di Scamorza egli andò <strong>in</strong><br />

chiesa a prendere lo stendardo, ma quando il conducente lo vide tornare, reggendo a fatica un albero di<br />

dieci metri, al quale era attaccato un immenso drappo color bianco e celeste, con l’immag<strong>in</strong>e dip<strong>in</strong>ta si<br />

Sano Rocco e del cane che gli lecca la piaga, voleva opporsi a lasciarlo caricare sul camion. Ma a <strong>Fontamara</strong><br />

noi non avevamo altra bandiera e su <strong>in</strong>sistenza di Berardo il conducente f<strong>in</strong>ì col consentire a lasciarci<br />

portare lo stendardo.<br />

«Sarà un divertimento <strong>in</strong> più» disse.<br />

Per tenerlo ben dritto sul camion <strong>in</strong> corsa, noi fummo costretti a darci il cambio, tre per volta, ed era una<br />

grande fatica. Più che una bandiera, il nostro stendardo pareva l’albero di un bastimento agitato dalla<br />

tempesta. Esso doveva essere visibile a grande distanza, perché vedevamo i cafoni che lavoravano sparsi<br />

per i campi, compiere grandi gesti trasecolati, mentre le donne si <strong>in</strong>g<strong>in</strong>occhiavano e facevano il segno della<br />

croce.<br />

Il camion correva pazzamente <strong>in</strong> discesa con scarso riguardo per le cont<strong>in</strong>ue svolte, e noi eravamo<br />

violentemente sballottati l’uno contro l’altro, come un branco di vitelli, ma ne ridevamo. Anche<br />

quell’<strong>in</strong>solita rapidità dava alla nostra gita il carattere di un’avventura straord<strong>in</strong>aria; ma quando, all’ultima<br />

svolta, all’improvviso, davanti a noi, ci trovammo la pianura dal Fuc<strong>in</strong>o, vastissima e dorata di messi<br />

mature, spartite da filari di pioppi giganteschi, l’emozione ci tagliò il respiro. Fuc<strong>in</strong>o aveva un aspetto<br />

nuovo: l’aspetto della terra promessa. A quel punto Berardo afferrò da solo lo stendardo e con la forza <strong>in</strong><br />

più che gli veniva dall’entusiasmo, l’<strong>in</strong>nalzò e agitò nell’aria l’immag<strong>in</strong>e del santo pellegr<strong>in</strong>o e del pio cane.<br />

«Terra, terra» si mise a gridare come se non l’avesse mai vista.<br />

[...] La vista del nostro immenso stendardo bianco-celeste con la immag<strong>in</strong>e del santo suscitava <strong>in</strong> tutti<br />

dapprima stupore e poi <strong>in</strong>term<strong>in</strong>abili risate <strong>in</strong>sulse. Le bandiere che traevano gli altri erano nere e non più<br />

grandi di un fazzoletto e avevano nel centro l’immag<strong>in</strong>e di un teschio tra quattro ossi, come quello che si<br />

vede sui pali del telegrafo con la scritta Pericolo di morte; <strong>in</strong>somma niente affatto più bella della nostra.<br />

«Sono i morti vivi?» domandò Baldov<strong>in</strong>o <strong>in</strong>dicando gli uom<strong>in</strong>i neri con le bandiere mortuarie. «Sono le<br />

anime comprate da don Circostanza?»<br />

«Sono le anime comprate dal governo» spiegò Berardo.<br />

A causa dello stendardo, avemmo un violento tafferuglio all’entrata di Avezzano. In mezzo alla strada<br />

trovammo un gruppo di giovanotti con la camicia nera che aspettavano proprio noi e subito ci <strong>in</strong>timarono di<br />

consegnare lo stendardo. Noi rifiutammo perché non avevamo altra bandiera. Il nostro conducente<br />

ricevette ord<strong>in</strong>e di fermare il camion e i giovanotto cercarono di sequestrarci lo stendardo con la forza. Ma<br />

noi, che eravamo assai irritati per gli scherni precedenti, reagimmo con energia e parecchie camicie nere<br />

<strong>in</strong>dossate da quei giovanotti divennero grigie sul polverone della strada.


Attorno al camion si radunò molta gente urlante. Vi erano molti giovanotti con la camicia nera, ma anche<br />

molti dei cafoni dei villaggi conf<strong>in</strong>anti con <strong>Fontamara</strong>, i quali ci riconobbero e ci salutarono a gran voce. Noi<br />

stavamo zitti e <strong>in</strong> piedi sul camion, attorno allo stendardo, decisi a non ammettere più <strong>in</strong>sulti. D’un tratto,<br />

vedemmo apparire <strong>in</strong> mezzo alla folla la figura grassa, sudante e sbuffante di don Abbacchio assieme ad<br />

alcuni carab<strong>in</strong>ieri, e nessuno di noi dubitò che, come prete, egli avrebbe preso le difese di San rocco. Invece<br />

fu il contrario.<br />

«Credete che sia carnevale?» egli si mise a <strong>in</strong>veire contro di noi. «E’ questo il modo di compromettere<br />

l’accordo fra il Clero e l’Autorità? Quando la f<strong>in</strong>irete, voialtri Fontamaresi, con le provocazioni e le<br />

chiassate?»<br />

Senza più fiatare, noi lasciammo che i carab<strong>in</strong>ieri si impadronissero dello stendardo. Berardo fu il primo a<br />

cedere. Se un canonico r<strong>in</strong>negava San Rocco, perché proprio noi dovevamo restargli fedeli con il rischio di<br />

compromettere i nostri diritti sul Fuc<strong>in</strong>o?<br />

Fummo condotti su una grande piazza dove ci venne assegnato un buon posto, dietro al palazzo del<br />

tribunale, all’ombra. Altri mucchi di cafoni erano stati addossati ai vari edifizi attorno alla piazza. Tra un<br />

mucchio e l’altro vi erano pattuglie di carab<strong>in</strong>ieri. Staffette di carab<strong>in</strong>ieri <strong>in</strong> bicicletta attraversavano la<br />

piazza <strong>in</strong> tutti i sensi. Appena arrivava un nuovo camion i cafoni venivano fatti scendere e accompagnati<br />

dai carab<strong>in</strong>ieri <strong>in</strong> un punto convenuto della piazza. Sembravano i preparativi di una grande festa. A un certo<br />

momento attraversò la piazza un ufficiale dei carab<strong>in</strong>ieri a cavallo. Berardo trovò il cavallo bellissimo. Noi<br />

ammiravamo tutto, estasiati.<br />

Subito dopo, arrivò una staffetta che consegno un ord<strong>in</strong>e alle pattuglie. Berardo ci faceva ammirare la<br />

rapidità dei movimenti.<br />

Da una pattuglia si staccò un carab<strong>in</strong>iere che comunicò l’ord<strong>in</strong>e ai cafoni. Diceva l’ord<strong>in</strong>e:<br />

«E’ permesso di sedersi per terra.»<br />

Noi ci sedemmo per terra. Eravamo ubbidienti come scolari. Seduti per terra rimanemmo circa un’ora.<br />

Dopo un’ora di attesa, una staffetta provocò una viva agitazione. All’angolo della piazza apparve un folto<br />

gruppo d’autorità. I carab<strong>in</strong>ieri ci ord<strong>in</strong>arono:<br />

«In piedi, <strong>in</strong> piedi. Gridate forte: Viva i podestà. Viva gli amm<strong>in</strong>istratori onesti, viva gli amm<strong>in</strong>istratori che<br />

non rubano.»<br />

Noi balzammo <strong>in</strong> piedi e gridammo come loro volevano:«Viva i podestà, viva gli amm<strong>in</strong>istratori onesti, viva<br />

gli amm<strong>in</strong>istratori che non rubano.»<br />

Tra gli amm<strong>in</strong>istratori-che-non-rubano il solo che noi riconoscessimo fu l’impresario. Dopo che gli<br />

amm<strong>in</strong>istratori-che-non-rubano si furono allontanati, col consenso dei carab<strong>in</strong>ieri, potemmo nuovamente<br />

sederci per terra. Berardo com<strong>in</strong>ciò a trovare la cerimonia troppo lenta.<br />

«E la terra?» chiese ad alta voce ad alcuni carab<strong>in</strong>ieri. «Quando se ne parla?»<br />

Dopo alcuni m<strong>in</strong>uti, una staffetta diffuse nella piazza un’emozione più viva.<br />

«In piedi, <strong>in</strong> piedi» c’<strong>in</strong>timarono i carab<strong>in</strong>ieri. «Gridate più forte: Viva il prefetto.»<br />

Il prefetto, <strong>in</strong> una lucente automobile, passò e noi potemmo nuovamente sederci per terra, col consenso<br />

dei carab<strong>in</strong>ieri.<br />

Ma, appena seduti, i carab<strong>in</strong>ieri ci fecero rialzare.<br />

«Gridate il più forte che potete:Viva il m<strong>in</strong>istro!» ci dissero.<br />

Nello stesso momento apparve una grande automobile seguita da quattro uom<strong>in</strong>i <strong>in</strong> bicicletta e attraversò<br />

la strada <strong>in</strong> un lampo, mentre noi gridavamo, il più forte che potessimo:<br />

«Viva il m<strong>in</strong>istro, viva!»<br />

Poi, col consenso dei carab<strong>in</strong>ieri, ci risedemmo per terra. Le pattuglie si diedero il cambio per il rancio. Noi<br />

aprimmo le bisacce e ci mettemmo a mangiare il pane portato da casa.


«Adesso ci chiamerà il m<strong>in</strong>istro» ci assicurava Berardo ogni tanto. «Vedrete, adesso sta studiando il nostro<br />

caso e subito ci farà chiamare. Mangiamo <strong>in</strong> fretta.»<br />

Verso le due <strong>in</strong>vece si ripeté la pantomima. Prima ripassò il m<strong>in</strong>istro, poi ripassò il prefetto, poi ripassarono<br />

gli amm<strong>in</strong>istratori-che-non-rubano. Ogni volta noi dovevamo alzarci <strong>in</strong> piedi e dare segni e grida di<br />

entusiasmo.<br />

Alla f<strong>in</strong>e i carab<strong>in</strong>ieri ci dissero:<br />

«Adesso siete liberi. Potete andarvene.»<br />

I carab<strong>in</strong>ieri ce lo dovettero spiegare con altre parole.<br />

«La festa è f<strong>in</strong>ita. Potete andarvene oppure visitare Avezzano. Ma avete solo un’ora di tempo. Fra un’ora<br />

dovrete essere partiti.»<br />

«E il m<strong>in</strong>istro? E la questione del Fuc<strong>in</strong>o?» domandammo noi trasecolati. «Che scherzo è questo?»<br />

Però nessuno ci diede ascolto. Però noi non potevamo ripartire senza aver nulla concluso e senza aver nulla<br />

capito di quello ch’era successo.<br />

«Venite dietro a me» disse Berardo che era alquanto pratico di Avezzano per esservi stato un paio di volte<br />

<strong>in</strong> carcere.<br />

Egli aveva cambiato viso e voce.<br />

«Magari torno <strong>in</strong> carcere» ci disse «ma la curiosità devo levarmela. Venite dietro di me.»<br />

Arrivammo a un portone d’un palazzo tutto imbandierato.<br />

«Vogliamo parlare col m<strong>in</strong>istro» disse bruscamente Berardo ai carab<strong>in</strong>ieri che guardavano il portone.<br />

Come se Berardo avesse proferito una bestemmia, i carab<strong>in</strong>ieri gli si buttarono addosso e cercarono di<br />

trarlo dentro il portone. Ma noi ci aggrappammo a lui e successe un parapiglia. Dall’<strong>in</strong>terno del palazzo<br />

accorse molta gente, tra cui don Circostanza, <strong>in</strong> stato di evidente ubriachezza, con i pantaloni ad armonica<br />

già nel terzo stadio.<br />

«Nessuno manchi di rispetto ai miei Fontamaresi. Trattate bene i miei Fontamaresi» egli si mise a gridare.<br />

I carab<strong>in</strong>ieri ci lasciarono e don Circostanza venne fra noi e volle abbracciarci e baciarci uno a uno;<br />

particolarmente affettuoso egli fu con Berardo.<br />

«Vorremmo parlare col m<strong>in</strong>istro» domandammo all’Amico del popolo<br />

«Il m<strong>in</strong>istro purtroppo è già ripartito» egli ci rispose. «Per un impegno urgente, voi mi capite, per un affare<br />

di Stato.»<br />

«Vorremmo sapere com’è risolta la questione del Fuc<strong>in</strong>o» <strong>in</strong>terruppe Berardo seccamente.<br />

Don Circostanza ci fece accompagnare da un carab<strong>in</strong>iere negli uffici dell’amm<strong>in</strong>istrazione del feudo e là<br />

trovammo un impiegato che ci spiegò assai pazientemente com’era stata risolta la questione del Fuc<strong>in</strong>o.<br />

«Il nuovo Governo ha esam<strong>in</strong>ato la questione del Fuc<strong>in</strong>o?» domandò Berardo.<br />

«Sì, e <strong>in</strong> un modo soddisfacente per tutti» rispose l’impiegato con un falso sorriso.<br />

«Perché non siamo stati chiamati a discutere? Perché siamo stati lasciati sulla piazza?» protestò Pilato.<br />

«Non siamo cristiani anche noi?»<br />

«Il m<strong>in</strong>istro non poteva parlare con diecimila persone. Ma egli ha parlato con i vostri rappresentanti»<br />

rispose l’impiegato. «Siate ragionevoli.»<br />

«Chi era il nostro rappresentante?» domandai io.<br />

«Il cav. Pel<strong>in</strong>o, graduato della milizia» fu la risposta.<br />

«In che modo sono state divise le terre? Quanta parte ne sarà data ai Fontamaresi? Quando avverrà la<br />

spartizione?» tornò a <strong>in</strong>sistere Berardo con impazienza.<br />

«Le terre non saranno divise» rispose l’impiegato. «Il m<strong>in</strong>istro e il rappresentante dei cafoni hanno anzi<br />

deciso che i piccoli fittavoli devono essere, se possibile, elim<strong>in</strong>ati. Molti di essi hanno ricevuto la terra<br />

perché ex-combattenti, ma questo non è giusto.»


«Infatti» <strong>in</strong>terruppe Berardo sgarbatamente «essere stato <strong>in</strong> guerra non significa saper lavorare la terra.<br />

L’importante è lavorare la terra. Fuc<strong>in</strong>o a chi lo coltiva, è il pr<strong>in</strong>cipio di don Circostanza. I Fontamaresi...»<br />

«E’ anche il pr<strong>in</strong>cipio accettato dal signor m<strong>in</strong>istro» riprese a dire l’impiegato col suo sorriso <strong>in</strong>gannatore.<br />

«Fuc<strong>in</strong>o a chi lo coltiva. Fuc<strong>in</strong>o a chi ha i mezzi per coltivarlo o farlo coltivare. In altre parole, fuc<strong>in</strong>o a chi ha<br />

capitali sufficienti. Fuc<strong>in</strong>o deve essere liberato dai piccoli fittavoli miserabili e concesso ai contad<strong>in</strong>i ricchi.<br />

Avete altri schiarimenti da chiedere?»<br />

Egli ci diede quella spiegazione con la stessa <strong>in</strong>differenza come se gli avessimo chiesto l’ora. Il suo viso<br />

mostrava l’impassibilità di una barbabietola.<br />

«Tutto è chiaro» rispondemmo noi.<br />

Tutto era chiaro. Le strade erano piene di luci. Si era fatto tardi, ma le vie erano illum<strong>in</strong>ate a giorno. (Tutto<br />

era chiaro.) Ma perché tutto questo?<br />

da I. Silone, <strong>Fontamara</strong>, Mondadori, Milano, 1988, pp. 96-107.<br />

L’adunata <strong>in</strong> V<strong>in</strong>o e pane<br />

Nella carrozza stipata di giovani richiamati alle armi, due signori col dist<strong>in</strong>tivo del partito parlavano della<br />

guerra. Gli altri viaggiatori tacevano e ascoltavano.<br />

«Con l’<strong>in</strong>venzione di cui dispone il nostro esercito, vedrai che la nuova guerra d’Africa f<strong>in</strong>irà <strong>in</strong> pochi giorni»<br />

diceva uno. «Il “raggio della morte” carbonizzerà il nemico.»<br />

Egli si soffiò a piene gote sulla palma di una mano come per disperdere la polvere, <strong>in</strong>tendendo: sarà<br />

disperso così.<br />

«Hai letto che i richiamati di Avezzano saranno oggi benedetti dal vescovo?» disse l’altro. «Capirai, il<br />

“raggio della morte” aprirà la via anche ai missionari.»<br />

Tra i giovani richiamati viaggiava un vecchio contad<strong>in</strong>o con l’organetto. Suo figlio teneva appoggiata la testa<br />

sulla sua spalla e dormiva. [...] Il vecchio con l’organetto fece passare un fiasco di v<strong>in</strong>o. “Suona qualche<br />

cosa” gli ripetevano i vic<strong>in</strong>i. Ma egli scuoteva la testa, faceva cenno di no, non ne aveva voglia.<br />

Don Paolo se ne stava rannicchiato <strong>in</strong> un angolo. Il suo cappello spelato e sformato, la sua zimarra vecchia,<br />

sdrucita, stropicciata, gli davano l’aspetto di un povero parroco di montagna. Egli riconosceva da molti<br />

piccoli segni gli abitanti dei villaggi, quelli dlle valli, quelli della montagna, quelli che scendevano dagli stazzi<br />

dei pastori; povera gente la cui capacità di sofferenza e di rassegnazione non aveva veramente limiti,<br />

abituati a vivere isolatamente, nell’ignoranza, nella diffidenza, nell’odio sterile delle famiglie.<br />

Ogni volta che don Paolo credeva di riconoscere tra i viaggiatori qualcuno di Orta, si copriva la faccia col<br />

breviario e abbassava il cappello sugli occhi. Anche il paesaggio aveva messo l’uniforme. Sul treno, nelle<br />

stazioni, sui pali del telegrafo, sui muri, sugli alberi, sulle latr<strong>in</strong>e, sui campanili, lungo le cancellate dei<br />

giard<strong>in</strong>i, lungo i parapetti dei ponti, si leggevano iscrizioni <strong>in</strong>neggianti alla guerra.<br />

Egli arrivò a Fossa senza alcun <strong>in</strong>cidente. Il borgo pareva irriconoscibile sotto una decorazione multicolore<br />

di ord<strong>in</strong>i di adunata, di festoni, di bandiere, di iscrizioni sui muri con la biacca, la vernice, il gesso, il bitume,<br />

il carbone. L’albergo Girasole pareva diventato un centro di mobilitazione.<br />

[...] A mano a mano che si avvic<strong>in</strong>ava l’ora <strong>in</strong> cui sarebbe stato trasmesso dalla radio il proclama di guerra,<br />

la folla che già gremiva le strade, si faceva più fitta. Da tutte le parti arrivavano motociclette automobili<br />

autocarri carichi di poliziotti, di carab<strong>in</strong>ieri, di militi, di funzionari del partito e delle corporazioni. Dalla<br />

strada delle valli arrivavano gli as<strong>in</strong>i i tra<strong>in</strong>i le biciclette gli autocarri che trasportavano i cafoni. Due bande<br />

musicali compivano per le vie del borgo volteggi, suonando e risuonando lo stesso <strong>in</strong>no f<strong>in</strong>o alla noia,<br />

all’ossessione. I bandisti traevano monture da domatori di circo e da portieri di grandi alberghi, con alamari


sontuosi e bottoni metallici <strong>in</strong> doppia fila sul petto. Di fronte alla bottega d’un barbiere era stato esposto un<br />

cartellone che rappresentava alcune donne abiss<strong>in</strong>e con lunghe mammelle, pendenti f<strong>in</strong> quasi alle<br />

g<strong>in</strong>occhia. Un folto gruppo di giovanotti si era fermato davanti al cartellone, ridevano e guardavano con<br />

occhi avidi.<br />

In fondo alla piazzetta, tra la sede del partito e la loggia municipale, era stato issato un apparecchio radio,<br />

<strong>in</strong>coronato da un trofeo di bandiere. Da lì sarebbe uscita la voce di guerra. Sotto quel piccolo oggetto, dal<br />

quale dipendeva il dest<strong>in</strong>o collettivo, veniva ammucchiata la povera gente a mano a mano che affluiva. Le<br />

donne si accoccolavano per terra, come <strong>in</strong> chiesa e al mercato, gli uom<strong>in</strong>i si sedevano sulle bisacce o sui<br />

basti degli as<strong>in</strong>i. Essi sapevano solo vagamente perché si trovassero li raccolti e guardavano di sbieco la<br />

cassetta metallica della radio. A trovarsi li tutti <strong>in</strong>sieme, restavano disorientati, tristi, diffidenti.<br />

La piazzetta e le vie adiacenti erano già gremite di gente, tuttavia l’afflusso dei d<strong>in</strong>torni cont<strong>in</strong>uava<br />

<strong>in</strong><strong>in</strong>terrotto. Arrivavano gli sciancati dalle cave di pietra, gli orbi dalle fornaci, gli zappaterra sfiancati e curvi,<br />

i vignaroli dalle coll<strong>in</strong>e, con le mani rose dallo zolfo e dalla calce, gli abitanti della montagna con le gambe<br />

arcuate dall’opera del falciare. Poiché il vic<strong>in</strong>o era disposto a venire, ognuno aveva voluto venire. Se la<br />

guerra porterà sventura, sarà una sventura per tutti, cioè mezza sventura; ma se porterà fortuna, bisognerà<br />

cercare di averne una parte. Così tutti si erano mossi. Avevano lasciato la pigiatura dell’uva, la ripulitura<br />

delle botti, la preparazione della sem<strong>in</strong>a, ed erano accorsi al capoluogo di mandamento. Arrivarono <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e<br />

anche gli abitanti di Pietrasecca e vennero ammucchiati a fianco dell’albergo Girasole. “Non muovetevi di<br />

qui” raccomandava ai nuovi venuti la guardia comunale.<br />

La maestr<strong>in</strong>a Patrignani di Pietrasecca spiegava e ripeteva al suo gruppo come bisognava comportarsi,<br />

quando gridare e quando cantare; ma la sua voce si perdeva nel trambusto generale. Grascia s’<strong>in</strong>collerì.<br />

«Lasciateci <strong>in</strong> pace» gridò. «Non siamo dei bamb<strong>in</strong>i.»<br />

Don Paolo confabulava con Magascià e col vecchio Gerametta, sui fatti successi a Pietrasecca dopo la sua<br />

partenza.<br />

[...]I cafoni di Pietrasecca aspettavano <strong>in</strong> silenzio che la cerimonia com<strong>in</strong>ciasse, mentre le donne erano più<br />

curiose e impazienti. La Cesira propose alle donne di andare <strong>in</strong> chiesa “prima che la macch<strong>in</strong>a si metta a<br />

parlare”, mentre Filomena e Teresa erano contro, “per non perdere il posto”. Ma, siccome le altre<br />

andarono, anch’esse si mossero. Gli uom<strong>in</strong>i si passavano <strong>in</strong>tanto un fiasco di v<strong>in</strong>o e bevevano a garganella.<br />

«A che ora parlerà?» domandò Giac<strong>in</strong>to a don Paolo accennando all’apparecchio magico.<br />

«Credo da un momento all’altro» disse il prete.<br />

Quella notizia passò da uomo a uomo e ravvivò l’ansia.<br />

“Può parlare da un momento all’altro” la gente si ripeteva.<br />

Solo Cassarola la fattucchiera non aveva voluto scendere dal tra<strong>in</strong>o di Magascià. Tornarono le donne dalla<br />

chiesa e tentarono di tirarla giù.<br />

[...] Un fragore di motocicletta dom<strong>in</strong>ò il brusio generale; era don Concett<strong>in</strong>o Ragù, <strong>in</strong> uniforme di ufficiale<br />

della milizia.<br />

Per evitare di <strong>in</strong>contrarlo, don Paolo si rifugiò nella sua camera. Egli si appostò alle persiane della sua<br />

f<strong>in</strong>estra, al secondo piano dell’albergo. Dal suo posto di osservazione, l’assembramento di folla attorno<br />

all’apparecchio radio sembrava una raccolta di pellegr<strong>in</strong>i nella prossimità di un idolo. Al di sopra dei tetti<br />

delle case, egli poteva vedere anche due o tre campanili, pieni, nelle loro sommità, di ragazzi, come<br />

piccionaie gremite di colombi. D’un tratto le campane com<strong>in</strong>ciarono a suonare a distesa. La folla fu solcata<br />

dai notabili di partito i quali andavano a porre, attorno al fatale apparecchio, i feticci patriottici, le bandiere<br />

tricolori, i gagliardetti e un’immag<strong>in</strong>e del capo, con l’esagerata sporgenza della mascella <strong>in</strong>feriore. Grida di<br />

“Eja, Eja”, altre grida <strong>in</strong>comprensibili erano lanciate dal gruppo dei notabili, mentre la massa faceva ala<br />

silenziosa.


Al posto d’onore, sotto l’apparecchio, vennero accompagnate le “madri dei caduti”. Esse non potevano<br />

mancare. Erano delle povere donnette, da una qu<strong>in</strong>dic<strong>in</strong>a d’anni vestite a lutto, da una qu<strong>in</strong>dic<strong>in</strong>a d’anni<br />

decorate di medaglie e condannate, <strong>in</strong> cambio di un piccolo sussidio, a tenersi a disposizione del<br />

maresciallo dei carab<strong>in</strong>ieri tutte le volte che le cerimonie pubbliche lo richiedessero. Vic<strong>in</strong>o alle”madri” e<br />

attorno al curato di Fossa, don Angelo Girasole, si raggrupparono i parroci dei paesi vic<strong>in</strong>i: vecchi preti<br />

bonari e timidi, preti cupi, preti atletici e imponenti e un canonico bianco e roseo come una balia ben<br />

nutrita.<br />

«Che bella festa» diceva il canonico «com’è ben riuscita questa festa.»<br />

Sotto la loggia del municipio stavano schierati alcuni grassi proprietari, barboni selvosi, trucemente<br />

sopraciliati, vestiti di velluto da cacciatori. Le campane cont<strong>in</strong>uavano a suonare a distesa, con i ragazzi che<br />

si davano il cambio alle corde. A un certo momento dal gruppo dei notabili, <strong>in</strong> piazza, vennero fatti dei<br />

cenni ai ragazzi perché <strong>in</strong>terrompessero lo scampanare, essendo imm<strong>in</strong>ente la trasmissione della radio; ma<br />

quelli non capivano o f<strong>in</strong>gevano di non capire. Erano <strong>in</strong> tutto una diec<strong>in</strong>a di campane, suonate a distesa che<br />

rovesciavano sulle strade un frastuono assordante. Dei militi apparvero <strong>in</strong> cima al campanile più vic<strong>in</strong>o e<br />

imposero ai ragazzi di abbandonare le corde delle campane. Ma il suono delle altre cont<strong>in</strong>uò, per cui i primi<br />

borbottii rauchi dell’apparecchio passarono <strong>in</strong>avvertiti. Un grido altissimo si levò dai gruppi dei notabili e<br />

dei militi, un grido ritmico, un’<strong>in</strong>vocazione appassionata al capo: “CE DU, CE DU, CE DU, CE DU, CE DU”.<br />

L’<strong>in</strong>vocazione si propagò lentamente, fu ripresa dalle donne, dai ragazzi, accolta e ripetuta da tutta la<br />

massa, anche dai più lontani, anche dalle persone alle f<strong>in</strong>estre, <strong>in</strong> un ritmo accorato e religioso.”CE DU, CE<br />

DU, CE DU, CE DU, CE DU, CE DU, CE DU, CE DU.” Dai pressi della radio si faceva cenno alla folla di tacere<br />

perché si potesse ascoltare il discorso, ma la folla ammassata nelle vie adiacenti cont<strong>in</strong>uava a scandire<br />

l’<strong>in</strong>vocazione salvatrice, cont<strong>in</strong>uava a chiamare il capo, il mago, lo stregone, che disponeva del sangue e<br />

dell’avvenire comune. Il grido della folla, confuso al persistente scampanio, rese <strong>in</strong>comprensibile ai più il<br />

discorso della radio. Le due stesse sillabe f<strong>in</strong>irono col perdere ogni significato, erano scandite come una<br />

formula di esorcismo, confondendosi nell’aria col suono sacro delle campane.<br />

A un certo momento i più vic<strong>in</strong>i alla radio fecero segno che la trasmissione era term<strong>in</strong>ata.<br />

«La guerra è dichiarata» gridò Zabaglione.<br />

Egli fece cenno di voler parlare, ma anche la sua voce naufragò nel clamore della folla che cont<strong>in</strong>uava a<br />

<strong>in</strong>vocare la salvezza, la grazia. Solo un nutrito rumore di motori <strong>in</strong>terruppe l’<strong>in</strong>canto. Le automobili e le<br />

motociclette delle autorità si fecero largo nella ressa e ripartirono <strong>in</strong> tutte le direzioni. Appena don Paolo<br />

vide scomparire don Concett<strong>in</strong>o, abbandonò il suo rifugio e scese per strada. Zabaglione l’accolse a braccia<br />

aperte.<br />

«Ha visto le mie figlie?» disse con orgoglio. «Le ha viste nella distribuzione di coccarde? Il sentimento della<br />

patria le aveva completamente trasfigurate.»<br />

«Erano belle come angeli» disse don Paolo.<br />

Da I. Silone, V<strong>in</strong>o e pane, Mondadori, Milano, 1996, pp. 202-210.

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