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Daniele L. Viganò - L’invisibile visione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />
Daniele Ludovico Viganò<br />
L’invisibile visione<br />
del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong>:<br />
iconografia e architettura<br />
negli anni Trenta sovietici<br />
© Associazione culturale <strong>Larici</strong>, Milano 2002-2004<br />
Tutti i diritti riservati<br />
1
Introduzione, p. 3<br />
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Daniele L. Viganò - L’invisibile visione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />
1. L’architettura sovietica tra gli anni Venti e Trenta<br />
I nuovi piani urbanistici: la Mosca del futuro, p. 6<br />
Volto e lineamenti di un’utopia e della sua realizzazione, p. 15<br />
Gli anni Trenta: Stalin, dall’utopia al realismo socialista, p. 18<br />
Note, p. 22<br />
2. Il <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />
Nascita di un progetto: genesi storica del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong>, p. 24<br />
Reale e virtuale: il concetto di luogo e nonluogo, p. 30<br />
Arte e Ideologia: il sodalizio degli anni Trenta, p. 33<br />
Note, p. 38<br />
3. Ambiguità artistiche e iconografiche del mondo sovietico<br />
L’icona: tra trascendenza ed immanenza, p. 41<br />
Arte e “<strong>Palazzo</strong>”: Reale e virtuale, immagine e simbolo, visibile e invisibile, p. 49<br />
Note, p. 53<br />
Conclusione, p. 54<br />
Tavole, p. 56<br />
2
Introduzione<br />
Immagine e rappresentazione, visibile e<br />
invisibile, reale e virtuale, utopia e ideologia:<br />
queste sono le parole, i testi e i linguaggi che,<br />
nel modo più adeguato, descrivono, donando<br />
respiro e senso di vivificazione, l’insieme di<br />
vicende che incarnano e strutturano la storia<br />
dell’architettura e dell’agire all’interno della<br />
dimensione urbanistica della città sovietica, tra<br />
l’inizio degli anni Venti e la fine degli anni<br />
Trenta.<br />
Nell’ambito dell’articolazione generale<br />
del presente lavoro, argomenteremo e analizzeremo,<br />
da una parte, diversi aspetti e<br />
momenti della storia dell’Unione <strong>Soviet</strong>ica,<br />
situazioni e frangenti, differenti tra loro per<br />
natura e composizione, ma legati da una<br />
concatenazione di eventi e di pieni significati;<br />
dall’altra parte, offriremo approfondimenti di<br />
origine ideologico-filosofica per scovare, nelle<br />
reali motivazioni e nei continui flash-back di<br />
matrice storiografica, il convincimento di come<br />
l’evento e il prodursi delle vicende relative al<br />
mondo sovietico e all’immagine, che di questo<br />
mondo si voleva consegnare alla Storia,<br />
abbiano, forse inevitabilmente, sorretto e<br />
determinato l’intera struttura di pensiero e<br />
quella sofferente complessità di gestione di un<br />
futuro «radioso», desideroso di appartenere,<br />
ogni giorno, all’istante presente, senza alcuna<br />
possibilità di fuggire da un destino illuminato<br />
ma ineluttabile.<br />
La Prima guerra mondiale è stata un<br />
evento quanto mai disastroso per l’Unione<br />
<strong>Soviet</strong>ica, sia perché ha portato la popolazione<br />
allo stremo a causa di una povertà già<br />
consistente ed estesa nella totalità della terra<br />
russa, sia per l’avvento al potere di Lenin che<br />
ha voluto bruscamente sbarazzarsi del «passato<br />
scomodo, borghese e improduttivo», incarnato<br />
dalla precedente epoca zarista.<br />
Gli anni successivi sono stati denominati<br />
anni del «comunismo di guerra»: difficili,<br />
faticosi e duri, nei quali si acuisce la fisiologica<br />
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Daniele L. Viganò - L’invisibile visione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />
3<br />
mancanza di alloggi e spazi per il popolo,<br />
un’annosa problematica che ha accompagnato<br />
l’intera genesi del progetto socialista,<br />
interpretato da Lenin prima e inscenato da<br />
Stalin poi.<br />
L’arte e l’architettura sono state ideologicamente<br />
funzionali all’assetto sociale, per<br />
il quale, a partire dagli anni Venti e proprio per<br />
voler risolvere quella che sarà chiamata, in<br />
senso lato, la «questione abitativa», si sono<br />
sperimentate diverse soluzioni al fine di trovare<br />
e concretizzare il modello perfetto, in cui<br />
l'«uomo nuovo» sarebbe stato protagonista<br />
assoluto.<br />
La prima tappa di questo progetto è<br />
identificabile nella costruzione delle «cittàgiardino»,<br />
moderne e solari residenze unifamiliari<br />
sorte ai margini delle grandi città. In particolare,<br />
già dai primi anni, è a Mosca che si concentrano,<br />
in questo settore, gli sforzi del regime, tesi a<br />
rendere la capitale immagine e specchio di un<br />
elevato rigore e costante progresso di cui far<br />
mostra anche in Occidente.<br />
Verso la metà degli anni Venti, un ruolo<br />
primario è assunto dal Costruttivismo, che genera<br />
un sensibile cambiamento di orientamento<br />
delineando il progetto di «casa comune». Questa<br />
nuova tipologia viene motivata dal protocollo del<br />
«collettivismo», come condizione indispensabile<br />
per la nascita e la naturalizzazione delle sfumature<br />
dello stile di vita socialista, il quale prevede la<br />
condivisione sia degli spazi abitativi che della<br />
sfera quotidiana, in cui il cittadino sovietico è<br />
chiamato a vivere e operare, secondo una sorta di<br />
cadenzario funzionale alla "regimentazione" <strong>dei</strong><br />
comportamenti individuati entro e non oltre il<br />
cosiddetto bene collettivo.<br />
All’epoca del primo Piano quinquennale<br />
(1928) e all’interno di un forte processo di<br />
radicalizzazione voluto dagli organi dirigenti,<br />
mutano i criteri nella scelta delle forme artistiche.<br />
Ciò porta alla trasformazione della concezione<br />
dell’architettura da una rappresentazione della<br />
proprietà legata a una dinamica “orizzontale” -<br />
che premia la realizzazione di un’utopia in grado<br />
di offrire un’abitazione a ciascuno - a una
concezione “verticale” dell’edificio, che<br />
esprime non tanto un’esigenza del proletariato,<br />
in senso stretto, quanto un servigio alle manie<br />
di grandezza e maestosità del potere centrale.<br />
Soprattutto Mosca, città e capitale, cuore e<br />
ragione del socialismo, subisce la ricostruzione,<br />
pressoché totale, del suo landscape, anche se<br />
realizzato per lo più solo su carta, ma,<br />
nonostante ciò, già trasceso e assolutamente<br />
spacciato come reale.<br />
È in questo contesto che si sviluppa la<br />
progettazione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong>, mastodontico<br />
edificio simbolo della futura<br />
incontrastata e incontrastabile potenza sovietica<br />
su scala mondiale. Il <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong>, oggetto<br />
di due concorsi, rimane irrealizzato, se non<br />
nelle provvisorie fondamenta, smantellate, per<br />
gran parte, allo scoppio della Seconda guerra<br />
mondiale.<br />
Sotto l’aspetto culturale, il fervore degli<br />
anni Trenta costituisce un territorio privilegiato<br />
e dà fiato alla mutazione del concetto di “bello”:<br />
ora i canoni estetici devono richiamare la<br />
classicità e la monumentalità, affinché gli<br />
apparati architettonici maestosi risultino sobri<br />
ma di grande effetto.<br />
Dal punto di vista filosofico, nel “dietro<br />
le quinte” di questa esperienza si possono<br />
rielaborare quei concetti e quelle categorie<br />
appartenuti al periodo staliniano e apportare<br />
una distinzione efficace e probante sulla<br />
possibile visione che si pone automaticamente<br />
in essere tra luogo e non-luogo. Infatti,<br />
entrambe le espressioni, cariche di significato<br />
e di rimandi ulteriori, ci permettono di<br />
dimostrare come Stalin in persona si sia<br />
costruito un ruolo ad hoc e, di ciò, ne abbia<br />
avuto piena facoltà, mettendo in scena la vita<br />
sovietica e persuadendo il popolo che il<br />
«fulgido domani» aveva davvero un significato<br />
totale e sarebbe stato più reale della realtà<br />
stessa. Tuttavia, proprio uno di questi nonluoghi<br />
per eccellenza è rappresentato dal<br />
progetto del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong>, che ha<br />
mantenuto a lungo un indiscusso primato nella<br />
coscienza proletaria, in quanto lo scopo e<br />
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4<br />
l’immaginario collettivo, riversati intorno a<br />
questo luogo d’elezione, hanno comportato un<br />
coinvolgimento visibile di carattere emotivo e<br />
di convinta adesione. Attraverso una forte e<br />
scaltra propaganda, mediante i manifesti e il<br />
continuo parlarne, l’area destinata alla edificazione<br />
ha assunto un’aura di sacralità<br />
sfociata, poi, nell’identificazione del palazzo<br />
in un vero e proprio simulacro.<br />
È qui che subentrano quei tratti significativi<br />
e quelle proprietà appartenenti alla sfera<br />
del mondo dell’immagine, nella sua primaria<br />
distinzione tra eidòs e eìdolon di antica<br />
memoria platonica, che mostra come sia sempre<br />
valsa fin dall’antichità e come si sia trascinata<br />
lungo i secoli attraverso quell’ambiguità tra<br />
idolo e Idea, tra rappresentazione di una<br />
immagine e ciò che riguarda, invece, il suo<br />
statuto ontologico e le sue modalità.<br />
Per questo è utile tornare a indagare il<br />
concetto di icona, paradigma dell’immagine per<br />
antonomasia, per quel suo significato e<br />
significare profondo di cui si rende incarnazione<br />
e che tende, per sua stessa natura, a<br />
rimandare in un “al di là” dell’immagine verso<br />
il mondo dell’invisibile. Proprio il continuo<br />
apparire e scomparire, nel lungo percorso della<br />
storia, di queste caratteristiche dell’icona<br />
nell’immaginario collettivo diventa il leit motiv<br />
di ogni trattazione sul rapporto tra reale e<br />
virtuale. Quando nel Rinascimento nasce<br />
l’illusione prospettica, le raffigurazioni<br />
pittoriche diventano sempre più una pura e<br />
semplice descrizione della realtà, senza<br />
complicazioni e significati ulteriori, cioè<br />
l’immagine è visibile nella sua stessa realtà,<br />
così come appare, priva di ulteriori significati.<br />
Dimostreremo che quest’ambiguità<br />
dell’immagine si innesta nel linguaggio e nel<br />
testo scritto della vicenda del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong><br />
<strong>Soviet</strong>, perché fa capire il valore e il significato<br />
che, al di là della sua qualità, l’opera architettonica<br />
ha immediatamente assunto<br />
nell’immaginario collettivo. Seguire le tracce<br />
di un progetto mai realizzato fa anche cogliere,<br />
proprio per il lungo perpetuarsi della sua
invisibilità al centro della storia dell’architettura<br />
sovietica, quello stretto legame tra<br />
reale e virtuale, visibile e invisibile, immagine<br />
e rappresentazione che è stato il cardine del<br />
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socialismo reale e che prende la configurazione<br />
di un’utopia di incontrollabili dimensioni o,<br />
forse, solo e unicamente, esperienza simulacrale<br />
del vuoto e della libertà insieme.
1. L’architettura sovietica tra gli<br />
anni Venti e gli anni Trenta<br />
I nuovi piani urbanistici: la Mosca del futuro<br />
L’arte e le nuove forme architettoniche, frutto,<br />
prima, di una rincorsa Utopia e, in seguito, vera<br />
e propria trasformazione dell’intera città di<br />
Mosca, sono soggette al mutamento degli ordini<br />
di spazio e di tempo: spazio inteso come<br />
creazione di un nuovo mondo di oggetti che dal<br />
piano bidimensionale e progettuale continua e<br />
ha luogo nella terza dimensione, determinando<br />
ogni oggetto costruito dall’uomo, nel senso di<br />
riconoscimento e identità percettiva nei confronti<br />
della realtà stessa da parte di ogni singolo<br />
individuo; tempo inteso come concreta e<br />
immediata realizzazione di tale visione del<br />
mondo e della realtà, legato indissolubilmente<br />
al tempo della politica del regime e del realismo<br />
senza indugio. Tempo e Spazio erano, quindi,<br />
considerati le sole e uniche forme su cui la vita<br />
doveva essere costruita e su ciò, appunto,<br />
doveva venir edificata l’intera arte. Il dominio<br />
dello spazio, così inteso, introduce nuove<br />
caratteristiche e proprietà nel mondo architettonico<br />
degli anni Venti, nel quale<br />
l’architettura stessa non coincide con l’opera<br />
di ingegneria. Essa non si propone come<br />
soluzione utilitaria, funzionale, ma diviene<br />
allora organizzazione espressiva di elementi al<br />
fine di esercitare, in quanto “creazione” unitaria<br />
e spaziale, un’influenza psicologica. Lo scopo<br />
e la sua messa in atto sono raccontati attraverso<br />
l’esercizio di un effetto artistico autonomo, non<br />
isolato da un contesto o, potremmo chiamarlo,<br />
da un piano regolatore, ma elaborati su una base<br />
oggettiva, che racchiuda nella sua realizzazione<br />
un richiamo suggestivo all’integrità e alla sfera<br />
di un nuovo equilibrio con il tutto che circonda<br />
l’individuo, sempre in funzione di una obiettiva<br />
influenza vivificatrice della architettura<br />
sull’uomo.<br />
Esempio e, forse, potremmo definire<br />
culmine di quest’Idea sarà ben “rappresentato”<br />
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nell’eterna e mai realizzata visione-invisibile<br />
del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong> a Mosca, luogo, o meglio<br />
non-luogo di un progetto che ha visto nascere<br />
intorno a sé un rinnovamento edilizio grandioso,<br />
che avrebbe dovuto tener conto e<br />
presenza di quello che si sarebbe dovuto<br />
esprimere, in modo sacrale, come il cuore e il<br />
centro della futura Mosca staliniana.<br />
La nuova Architettura <strong>Soviet</strong>ica intende,<br />
quindi, esprimere e rivelare il proprio contenuto<br />
socialista cooperando all’ordinamento della<br />
struttura economico-sociale e modellare quindi, in<br />
tal senso, l’ideologia delle masse. Lo sforzo che si<br />
stava attuando si proponeva, di conseguenza, una<br />
mera sintesi di fattori economici, tecnici, ideologici<br />
e, naturalmente, architettonici.<br />
In questi anni, nonostante l’operosità e il<br />
forte richiamo ideologico degli architetti<br />
sovietici chiamati a dare un volto nuovo alla<br />
città di Mosca, alcuni progetti nascono<br />
portando nel proprio DNA già l’implicita<br />
impossibilità di concretizzarsi in costruzioni;<br />
recano in sé il germe dell’Utopia, sfiorando<br />
un’idealizzazione impregnata di metafisica e<br />
andando a costituire le basi di un messaggio<br />
educativo che assumerà, in molte situazioni<br />
architettoniche e non, toni meramente profetici.<br />
Nel clima di ricostruzione iniziata, il tipo di<br />
progettazione predominante si caratterizza nel<br />
creare infrastrutture e nell’inserire, nella<br />
topografia moscovita, edifici definiti nel loro<br />
insieme come elementi guida di una ristrutturazione<br />
urbanistica. 1<br />
A sorreggere e ad alimentare questo<br />
desiderio di modernismo sono chiamati a<br />
partecipare ai concorsi architettonici, istituiti<br />
dal governo, personalità provenienti dal mondo<br />
occidentale, tra cui spicca la figura di Le<br />
Corbusier. 2 Questi si propose di raggiungere,<br />
con il massimo degli apporti tecnici dovuti al<br />
progresso, una costruzione della città di Mosca<br />
che potesse essere una chiara dimostrazione di<br />
architettura contemporanea, basata sulle<br />
acquisizioni della scienza moderna. Ciò<br />
significava per Le Corbusier voler scorgere, al<br />
di là dell’uso puramente terminologico del
«razionale» e del «funzionale», l’energia<br />
dell’anima artistica russa, ossia l’individuazione<br />
delle reali forze estetiche dell’epoca.<br />
Nel corso <strong>dei</strong> primi anni Venti, in virtù<br />
della già legge in materia di municipalità,<br />
deliberata nel 1918, che, preoccupandosi di<br />
trasformare tutta la proprietà privata in<br />
regionale o municipale, asserviva al disegno<br />
di una rapida transizione in senso socialista<br />
della città e della ratifica del conseguente primo<br />
«Piano quinquennale» del 1928, l’attenzione<br />
e l’interesse degli architetti sovietici si spostò<br />
dal singolo edificio alla città come parte<br />
dell’intera Russia e all’urbanistica come<br />
premessa dell’architettura. 3 Nelle idee e nella<br />
mente del nuovo governo, oltre che nel<br />
tentativo di applicazione reale di tale pensiero,<br />
l’approccio alla questione abitativa, definita in<br />
materia legislativa, come sottolineato, dalla<br />
appropriazione pubblica del patrimonio<br />
immobiliare delle classi privilegiate, costituiva<br />
il primo passo di una strategia di trasformazione<br />
della città e pose il problema della<br />
“ricostruzione” socialista della città stessa.<br />
Queste linee di azione, lontane dall’essere<br />
unicamente costrizioni oggettive, si inserirono<br />
esplicitamente e ordinatamente all’interno del<br />
disegno di un passaggio futuro e futuribile, che<br />
implicava nei suoi tratti essenziali un processo<br />
di «naturalizzazione» <strong>dei</strong> rapporti sociali e<br />
dell’economia verso cui il Paese, in maniera<br />
più o meno coercizzata, sembrava essersi<br />
avviato.<br />
Da questo momento in poi, ogni tipo di<br />
azione economica, infatti, non doveva avere<br />
come punti di riferimento il mercato, il valore,<br />
i costi, ma due soli termini inequivocabilmente<br />
chiari: i bisogni umani e i prodotti necessari<br />
per soddisfarli. Questo nuovo fermento<br />
ricostruttivo determinò, nella concretezza,<br />
precise realizzazioni di edifici a uso pubblico<br />
e ad uso privato, stimate in base a un effettivo<br />
piano regolatore, che prevedeva una rete di<br />
arterie e strade che avrebbero ridisegnato<br />
Mosca e l’intero Paese, producendo una serie<br />
pressoché ininterrotta di abitazioni e relativi<br />
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7<br />
servizi che non avessero più il sapore di città<br />
tradizionale, esempio ed emblema di interessi<br />
economici o di classe, contrapposta alla<br />
campagna, ma a creare un’unica regione<br />
completamente e uniformemente industrializzata.<br />
Così, almeno, appariva la situazione nel<br />
desiderio, da parte di Lenin e del regime, di<br />
plasmare la popolazione e formare una visione<br />
stessa della realtà urbana sovietica che passa<br />
però, a livello storico e politico, attraverso<br />
diverse fasi, accompagnate da “visioni profetiche”<br />
di matrice chiaramente utopistica e<br />
momenti di crisi e transizione, non altro che<br />
specchio del difficile momento vissuto<br />
dall’intera nazione, a seguito del già citato<br />
comunismo di guerra.<br />
Non tralasciando le ragioni storiche e<br />
politiche di quegli anni, racchiuse in una<br />
prepotente tensione a forzare l’economia<br />
interna del paese, per raggiungere un avanzato<br />
livello di industrializzazione in ogni campo,<br />
tanto da poter entrare in competizione con il<br />
mondo occidentale e realizzarne un concreto<br />
superamento, si impone una riflessione su<br />
alcuni elementi che costituirono la base della<br />
futura evoluzione della realtà urbana sovietica,<br />
ossia il problema degli alloggi e della nuova<br />
idea di pianificazione e costruzione di essi, e<br />
del relativo inserimento nel tessuto urbano già<br />
presente e modificabile da una parte, ancora<br />
sulla carta dall’altra, legato, indiscutibilmente<br />
e indissolubilmente, alla questione operaia e<br />
all’industrializzazione forzata, che, fin<br />
dall’inizio del primo piano quinquennale,<br />
divenne una realtà tangibile, a prezzo, però, di<br />
innumerevoli sacrifici per la gente.<br />
Una descrizione proveniente dal mondo<br />
letterario, riguardante la penuria delle abitazioni<br />
moscovite e la difficile situazione di<br />
sostentamento <strong>dei</strong> primissimi anni Venti ci<br />
viene offerta da Michail Afanas’evic Bulgakov<br />
in molti <strong>dei</strong> suoi racconti.<br />
Un solo desiderio mi incalzava attraverso tutta la nostra<br />
immensa e strana capitale: trovare di che sopravvivere.<br />
E lo trovavo - un sostentamento, in verità, gramo, incerto,
fluttuante. [...] Intendiamoci una volta per tutte:<br />
l’abitazione è la pietra angolare della vita umana.<br />
Ammettiamolo come un assioma: senza un’abitazione<br />
l’uomo non può vivere. adesso, in aggiunta a questo,<br />
rendo noto a tutti coloro che vivono a Berlino, Parigi,<br />
Londra e in altri luoghi, a Mosca non ci sono appartamenti.<br />
E come vive la gente? Vive e basta. Senza<br />
casa. Ma non é tutto: gli ultimi tre anni a Mosca mi hanno<br />
convinto, e in modo del tutto definitivo, che i moscoviti<br />
hanno perso la nozione stessa di “appartamento” e con<br />
questa parola designano ingenuamente qualsiasi cosa.<br />
[...] Qual è il motivo di una vita così strana e spiacevole?<br />
Uno solo: manca lo spazio. È un fatto: a Mosca manca<br />
spazio. 4<br />
Da questo quadro emergono chiari elementi e<br />
segnali che portano a sostenere che questi erano<br />
gli anni in cui a Mosca si lottava per ottenere<br />
una stanza; erano gli anni in cui centinaia di<br />
persone migravano quotidianamente dalle<br />
campagne e dalle province, cercando una<br />
speranza, con il desiderio di un futuro che<br />
potesse garantire maggior stabilità nella<br />
capitale, in cui anche le strade erano piene di<br />
buchi, le tubature dell’acqua erano saltate e gli<br />
operai cercavano di sgorgare e di ripristinare<br />
le fognature intasate. 5 Tale condizione si<br />
estendeva, naturalmente, oltre i confini di<br />
Mosca a tutti i principali centri industrializzati<br />
sovietici, dove solo una minima parte delle<br />
abitazioni era dotata di acqua corrente, non vi<br />
erano canalizzazioni sotterranee, gran parte<br />
delle strade viabili erano sterrate e la rete di<br />
trasporto era assolutamente inadeguata. 6<br />
Alla vigilia della rivoluzione, malgrado<br />
la situazione di disaccordo politico interno al<br />
Paese fosse palpabile e nonostante le flessioni<br />
provocate dal conflitto al sistema produttivo<br />
intero, il Paese manteneva ancora un discreto<br />
potenziale economico. Ma, a seguito della<br />
complessa e non facile situazione venutasi a<br />
creare a partire dal 1918 con la guerra civile e<br />
il blocco delle potenze occidentali, si determinò<br />
un declino rapido e progressivo in ogni campo<br />
della produzione, declino che investì sia la<br />
situazione degli alloggi, sia la progettata<br />
politica di ricostruzione abitativa. L’idea che<br />
emerge, al fine della ricostruzione, dato che si<br />
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8<br />
stimò che ben venti-trentamila abitazioni<br />
fossero andate distrutte nel corso del conflitto<br />
e della guerra civile, portò inizialmente a<br />
pensare in maniera parallela, ossia inseguendo<br />
un ipotetico modo nuovo di far coincidere forze<br />
produttive e strutture insediative e di conciliare,<br />
per quanto possibile, mondo contadino e<br />
proletariato, posti in stretto e progressivo<br />
contatto dalle continue e consistenti migrazioni<br />
dalle campagne verso le città.<br />
Come vedremo, questa ulteriore sfumatura<br />
continuerà a generare per tutto il corso degli anni<br />
Venti, nonostante il lento e progressivo aumento<br />
dell’importanza conferita alla dimensione<br />
abitativa, 7 problemi di sovraffollamento e di<br />
organizzazione dello spazio residenziale stesso.<br />
Una prima soluzione fu offerta dal<br />
modello di città-giardino che sembra voler<br />
superare il dilemma tra città e campagna in<br />
quanto espressione del nuovo modo di vita che<br />
si sta istituendo, lasciando affiorare una certa<br />
continuità con la tradizione e mostrando una<br />
reale contiguità con il passato agricolo<br />
dell’Unione <strong>Soviet</strong>ica, ma facendo sì che, allo<br />
stesso tempo, questi insediamenti potessero<br />
svilupparsi e costituirsi optando per il concetto<br />
di decentrabilità, parte del più ampio progetto<br />
di pianificazione urbana e territoriale voluto<br />
dallo stesso Lenin, che voleva questi quartieri<br />
immersi nel verde, ordinati, quasi «costruzioni<br />
ideali» sui modelli di tanto romantici quanto<br />
utopistici falansteri che riproducessero un<br />
microcosmo di vita idilliaca e gioiosa ai margini<br />
delle grandi città. 8<br />
Ad esempio, secondo i progetti e gli<br />
intenti urbanistici di questa fase dell’edilizia<br />
sovietica, tutta la città di Mosca doveva essere<br />
circondata da una cintura verde della larghezza<br />
di circa due chilometri, dalla quale, nella<br />
direzione del centro cittadino, si sarebbero<br />
diramate cunei e intere zone destinate a parco<br />
pubblico, per migliorare le condizioni del<br />
territorio; in questo modo, ogni abitante<br />
avrebbe avuto a disposizione ben ventisei metri<br />
quadrati di verde. Questa tipologia urbana,<br />
espressione tipica della casa individuale, aveva
caratteristiche molto simili alla izba contadina.<br />
In effetti, fino a quel momento, risultava che<br />
in tutti i centri urbani del territorio sovietico,<br />
l’89,2 percento delle case fosse edificato su un<br />
solo piano, a caratterizzare questo tipo di<br />
alloggio come esclusivamente a struttura<br />
unifamiliare o al massimo bifamiliare. 9<br />
Il modello delle città-giardino fu interpretato<br />
come strumento per sperimentare,<br />
quindi, le relazioni sociali, oltre che come<br />
terreno di ipotesi funzionale e organizzativa del<br />
problema abitativo e si propose di giocare un<br />
ruolo fondamentale nella ricomposizione di<br />
economia e società. L’aggregato era, così,<br />
costituito da edifici monofamiliari o bifamiliari,<br />
dotati di un piccolo appezzamento di terreno,<br />
circondati dal verde e gravitanti attorno a un<br />
polo sociale e culturale: con questa struttura, il<br />
modello howardiano 10 appariva, infatti, una<br />
soluzione plausibile alla disgregazione e<br />
all’insalubrità <strong>dei</strong> grossi centri urbani e,<br />
contemporaneamente, come già evidenziato,<br />
conforme alle prospettive di decentramento e<br />
di superamento della contrapposizione storica<br />
del rapporto tra città e campagna, affermate e<br />
volute con decisione dal programma politico<br />
del partito bolscevico. In uno sconfinato<br />
continente rurale, quale l’Unione <strong>Soviet</strong>ica era<br />
e sarebbe rimasta fino agli anni Trenta, il<br />
contesto della città-giardino poteva risultare<br />
una logica e quasi naturale evoluzione della già<br />
citata e rappresentativa izba, la secolare<br />
abitazione in legno <strong>dei</strong> contadini, esaltando, al<br />
tempo stesso, ora in chiave sociale superiore,<br />
valori creduti propri dell’insediamento agricolo,<br />
quali il comporsi della comunità stessa<br />
secondo la struttura patriarcale e quel richiamo,<br />
forte e sempre presente, conferito dall’intimità<br />
domestica, la cui stufa, posta al centro dello<br />
spazio abitativo, ne era la sua immediata<br />
percepibile “impersonificazione” e materializzazione.<br />
A seguito di questa fase di ricostruzione,<br />
naturale e necessaria, che caratterizzò il sistema<br />
abitativo sovietico negli anni immediatamente<br />
posteriori alla Prima guerra mondiale, due<br />
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Daniele L. Viganò - L’invisibile visione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />
9<br />
furono i momenti altrettanto significativi che<br />
si configurarono all’orizzonte del panorama<br />
degli anni Venti, che portarono l’intero Paese<br />
verso una nuova svolta e verso un relativo<br />
periodo di transizione, nella più ampia ottica<br />
della creazione di un nuovo modo di vita, di<br />
un rinnovato stile di esistenza e della futura città<br />
«socialista»: la NEP, ossia la Nuova Politica<br />
Economica, e il Costruttivismo, corrente<br />
artistica e architettonica che si impose nella<br />
cultura e nell’ideologia dominante dell’epoca<br />
a partire dalla metà degli anni Venti. Insieme,<br />
questi due fattori si resero responsabili della<br />
transizione, che aveva tratto e ritrovato le<br />
proprie motivazioni nell’istituzione della casa<br />
unifamiliare, nella direzione della collettivizzazione<br />
della quotidianità, largamente<br />
intesa, in ogni suo settore e ambito. Infatti, le<br />
pratiche reali, che caratterizzarono la politica<br />
urbana <strong>dei</strong> primissimi anni Venti, furono in<br />
realtà di gran lunga più articolate e maggiormente<br />
complesse di quanto questo iniziale<br />
e, ora, nuovo scenario normativo potesse<br />
lasciare prevedere e intuire, e di come la<br />
transizione, per altro irreversibile nei propositi<br />
e nelle intenzioni, si verificò in modo tutt’altro<br />
che lineare.<br />
Alla radicalità delle scelte compiute nel<br />
periodo del comunismo di guerra, operate tra<br />
il 1918 e il 1921, fece seguito un atteggiamento<br />
più pragmatico e una profonda revisione dello<br />
Stato nei fatti e nelle Idee, che non solo fece<br />
presagire, ma concretamente mise in atto un<br />
vero e proprio modello di politica abitativa e<br />
di economia urbana mista, strettamente<br />
motivata e legata alle ipotesi che stavano alla<br />
base della NEP.<br />
Se nel tormentato triennio postbellico le<br />
parole d’ordine - o, meglio, l’atteggiamento<br />
imperante degli organi dirigenti - furono la<br />
concentrazione, spinta ai massimi livelli,<br />
dell’autorità e del potere economico, la<br />
centralizzazione della distribuzione, che altro<br />
non stava a significare che il totale controllo<br />
sulle attività produttive e la naturalizzazione<br />
dell’economia e <strong>dei</strong> rapporti sociali, sinonimo
di soppressione formale del commercio privato<br />
e della libera contrattazione, nonché della<br />
abolizione pura e semplice di ogni tipo di<br />
rapporto che fosse basato su merci e denaro,<br />
con lo storico discorso tenuto dallo stesso Lenin<br />
nel marzo 1921 al X Congresso del Partito<br />
venne posta in luce e rilevata l’importanza<br />
fondamentale della libertà di commercio, al fine<br />
di sancire e di stimolare l’impegno produttivo<br />
del singolo contadino. Questa nuova situazione,<br />
che stava ora prendendo forma, fu definita e<br />
resa evidente da una serie di decreti varati tra<br />
marzo e maggio 1921, determinando, di<br />
conseguenza, le condizioni dell’importo in<br />
natura e del libero scambio di merci. A queste<br />
leggi seguirono, in breve tempo, misure<br />
analoghe per il commercio e per l’industria.<br />
«Sistema transitorio misto» fu una delle<br />
definizioni che vennero utilizzate da Lenin per<br />
designare l’organizzazione economica introdotta<br />
con la nuova politica.<br />
Il passaggio a un regime di economia<br />
«decentralizzata» ebbe - e avrà, come vedremo -<br />
significative e notevoli conseguenze anche sul<br />
piano della politica abitativa. In modo naturale e<br />
altrettanto improvviso, questo clima di ripresa,<br />
frutto di una continuo transito e passaggio, dettato<br />
dalle nuove aperture politiche, economiche e<br />
sociali, che abbiamo descritto, trasformò, nel giro<br />
di poco tempo e in maniera relativamente confusa,<br />
la vita quotidiana del cittadino sovietico,<br />
accentuando da un lato quel perenne contrasto<br />
tra povertà diffusa ed elitaria opulenza, dall’altro<br />
generando un fervore multicolore e un effetto di<br />
continua e sorprendente trasformazione nelle<br />
grandi città del Paese: in primis, Mosca,<br />
ricettacolo, motrice e rappresentante sempre<br />
“all'avanguardia” a fronte di ogni cambiamento<br />
e mutazione che avveniva all’interno <strong>dei</strong> confini<br />
teutonici.<br />
Preziosi spunti, contaminazioni dalla<br />
letteratura di Bulgakov sugli anni della NEP<br />
affiorano ancora una volta dai suoi racconti,<br />
dove traspare, nelle parole dello stesso autore,<br />
un anticipato senso di lieve e moderata euforia<br />
e sofferta fiducia nel futuro, poi un leggero<br />
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10<br />
disprezzo verso l’ostentazione e verso quel<br />
“marasma” che si era venuto all’improvviso a<br />
creare.<br />
In questa stagione hanno rinnovato tutto, decorato,<br />
incollato. Nella prossima stagione, ne sono sicuro,<br />
costruiranno. D’autunno, guardando le pentolone con<br />
l’asfalto bollente, che brillano come un fuoco infernale<br />
nelle strade, ho provato un presentimento gioioso.<br />
Costruiranno, nonostante tutto. Forse questa è la fantasia<br />
di un fiducioso moscovita... Ma per me, se lo volete, io<br />
vedo un vero Rinascimento. 11<br />
Il mio cuore era pieno di gioia e di paura. Mosca<br />
incominciava a vivere, era chiaro, ma sarei vissuto io?<br />
Ah, i tempi erano ancora difficili! Non si poteva essere<br />
certi del domani. Ma comunque io e quelli come me<br />
non mangiavamo più granaglie e saccarina. C’era la<br />
carne a pranzo. Per la prima volta in tre anni non avevo<br />
“ricevuto” le scarpe ma le avevo “comprate”; non erano<br />
due volte la mia misura, ma solo un paio di numeri più<br />
grandi. 12<br />
E così Bulgakov descrive le luci e gli svariati<br />
colori della capitale:<br />
Non c’è errore più deleterio che rappresentarsi la grande,<br />
enigmatica Mosca del 1923 come verniciata di un solo<br />
colore. È invece un arcobaleno. Gli effetti di luce sono<br />
stupefacenti. I contrasti sono smisurati. [...] Mosca è un<br />
pentolone, in cui fanno cuocere la nuova vita. [...]<br />
Un’insegna dopo l’altra. Insegne lunghe un metro e<br />
insegne lunghe due metri. La tinta fresca colpisce gli<br />
occhi. E che cosa non c’è, che cosa, su quelle insegne! 13<br />
Infine, affiora un sottile sospetto verso quel<br />
nuovo tipo di società e verso quelle poche<br />
persone che, sotto il sole della NEP, hanno<br />
trovato spazio, affermazione e un’effimera<br />
rinascita.<br />
Ora con le borse <strong>dei</strong> documenti, ora con gli elmi dalla<br />
stella rossa, e ora, a un tratto, sobbalza sui cuscini di<br />
pelle una signora in stola, con un cappellino da cento<br />
milioni comperato sul Kuznetskij Most. E, accanto a lei,<br />
si capisce, un tipo dal berretto sbiadito. Nouveaux riches.<br />
Gente della NEP. 14<br />
Il fervore e il risveglio economico garantito dal<br />
processo di liberalizzazione del mercato e della<br />
parziale privatizzazione degli investimenti,
permise, come anticipato, nel periodo della<br />
NEP, la ripresa dell’edilizia abitativa in Unione<br />
<strong>Soviet</strong>ica.<br />
Ed è a partire da tale contesto e da tali<br />
premesse, nell’ambito di una pratica e di un<br />
programma che riunivano insieme tratti di<br />
socialismo e capitalismo che deve essere<br />
analizzato e colto il difficile e complesso<br />
carattere dello sviluppo urbano in URSS, fino<br />
a quando verrà avviata la fase del primo piano<br />
quinquennale. Mosca, in particolare, divenne<br />
un vero e proprio laboratorio di trasformazione<br />
urbana. L’accelerazione del processo di<br />
industrializzazione, la rinnovata circolazione<br />
del capitale privato, l’emigrazione massiccia<br />
dalle campagne segnarono in maniera caotica<br />
lo spazio abitativo e urbano, che, fino a quel<br />
momento e per secoli, aveva nel complesso<br />
mantenuto una propria precisa identità,<br />
incarnata da un immenso villaggio costituito<br />
da case in legno, accanto a prestigiose e ben<br />
curate palazzine in muratura e ad innumerevoli<br />
chiese con le cupole e campanili dorati.<br />
A mutare l’orizzonte e l’impostazione del<br />
problema insediativo, in quanto nodo sociale ed<br />
economico, non meno che progettuale, problema<br />
che coincise largamente, in questa fase, con la<br />
questione dello spazio abitativo operaio, fu il<br />
movimento artistico e architettonico del<br />
Costruttivismo, secondo fattore e momento, che<br />
fece la sua comparsa sulla scena sovietica e pose<br />
le sue basi a partire dal 1923, affermandosi, poi,<br />
nella seconda metà degli anni Venti. Con esso si<br />
aprivano, allora, connessioni di ordine pratico e<br />
teorico di proporzioni ben più vaste di quelle<br />
che il modello delle città-giardino aveva potuto<br />
abbracciare. Il manifesto del Costruttivismo,<br />
pubblicato nel 1924 nell’almanacco “Il piano<br />
della letteratura” (Gosplan literatury), si faceva<br />
portatore di questo messaggio in modo chiaro e<br />
paradigmatico: «Il costruttivismo è una tappa<br />
verso l’arte del socialismo». 15 In concreto, si<br />
voleva con ciò sottolineare il rifiuto di una<br />
posizione prevalentemente estetica, al fine di<br />
promuovere una ricerca che garantisse uno<br />
stretto connubio tra ideologia e prassi, dove le<br />
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11<br />
capacità creative e costruttive che si stavano<br />
sviluppando risultassero connesse ai contenuti<br />
del nuovo mondo. Gli architetti, in sostanza,<br />
dovevano evitare di essere dominati e corteggiati<br />
dal plausibile impulso della fantasia,<br />
poiché le nuove soluzioni in campo architettonico<br />
dovevano essere unicamente<br />
ispirate a un’architettura che comprendesse e<br />
testimoniasse chiaramente la vita e le condizioni<br />
sociali delle masse. Fondamentale<br />
diveniva, quindi, non soltanto focalizzare e<br />
ricostruire gli oggetti secondo una nuova logica<br />
e un «nuovo costume» sociale, ma riformare<br />
l’intero sistema della vita quotidiana che li<br />
conteneva, in tutte le sue manifestazioni statiche,<br />
che riguardavano le questioni edilizie in sé stesse<br />
e le proprie «forme» di rappresentazione, e<br />
quelle dinamiche, ove il soggetto o l’oggetto<br />
preso in considerazione fosse in qualche modo<br />
l’individuo, inteso, ora, nella sua dimensione<br />
meramente e asetticamente collettiva. Il<br />
Costruttivismo, così, assunse a unica e indiscussa<br />
forma d’espressione riconosciuta dall’arte<br />
industriale in quanto non si limitava a una ricerca<br />
di forme ispirate «all'estetica della macchina»,<br />
ma era e doveva essere il metodo dell’arte nuova,<br />
nata dalle ceneri della rivoluzione e immediatamente<br />
comprensibile alle masse.<br />
La sua seconda peculiarità fu quella di<br />
aspirare all’universalità, metabolizzando in sé<br />
l’obiettivo di estendere la propria ricono-scibilità<br />
tesa a investire, di conseguenza, ogni settore del<br />
quotidiano: a partire dalla pittura, dall’architettura<br />
e dall’arte, fino ad arrivare all’oggettistica e al<br />
mondo della moda. L’arte, secondo i costruttivisti,<br />
doveva avere uno scopo, ossia essere strettamente<br />
finalizzata e correlata a una funzione, incarnare<br />
nei suoi modi espressivi esigenze di ascetica<br />
eleganza, delineati con aspro e particolare rigore<br />
e chiarezza angolare e non esistere più per sé<br />
stessa; vale a dire, rinunciare a ogni sfavillio<br />
estetico a favore di una cruda e seria essenzialità.<br />
Questo modo d'essere non rispecchiava altro che<br />
le paradigmatiche esigenze del discorso politico<br />
sotteso e rispondente nei propri contenuti al gusto<br />
della sobrietà, della linearità e naturalmente
dell’essenzialità.<br />
Le idee e le teorie appartenenti a questa<br />
nuova percezione della realtà e a uno sviluppo<br />
del tessuto urbano, volto, sempre più decisamente,<br />
alla costruzione della «città socialista», si<br />
concretizzarono e vennero incarnate, a partire<br />
dalla metà degli anni Venti, dalle due principali<br />
correnti che svolsero un ruolo fondamentale nel<br />
pensiero architettonico sovietico: l’ASNOVA<br />
(Associazione <strong>dei</strong> nuovi architetti) e l’OSA<br />
(Associazione degli architetti contemporanei).<br />
L’ASNOVA, fondata da Nikolaj Ladovskij,<br />
docente del VCHUTEMAS (Laboratori statali<br />
superiori d’arte e di tecnica ), poneva al primo<br />
posto l’esibizione e la creazione di una struttura<br />
alla cui base si evidenziassero una sorta di<br />
comunione tra «uomo, forma e spazio», ritenendo<br />
indispensabile l’utilizzo delle conquiste più<br />
recenti della scienza, della tecnica e <strong>dei</strong> materiali<br />
dell’architettura. Fece seguito, nel 1925, l’OSA,<br />
nella quale si raggrupparono alcuni architetti<br />
costruttivisti in odore di aperta critica verso le<br />
concezioni dell’ASNOVA, sotto la guida <strong>dei</strong><br />
fratelli Leonid, Viktor e Aleksandr Vesnin e di<br />
Moisej Ginzburg, che ne divenne il leader<br />
ideologico e il teorico più rappre-sentativo.<br />
Secondo i membri dell’associazione, nella<br />
nuova società, l’arte doveva venire a coincidere<br />
con l’organizzazione, il lavoro e la produzione.<br />
Le divergenze interne, nate e sviluppatesi tra<br />
le due correnti architettoniche, vertevano più<br />
che altro sul fatto che i rappresen-tanti<br />
dell’OSA considerassero l’organizzazione del<br />
nuovo stile di vita, che si stava affermando a<br />
livello oggettivo, come la base della concezione<br />
architettonica per antonomasia, mentre per i<br />
caposcuola dell’ASNOVA si trattava di un<br />
semplice incontro tra la forma e il sistema di<br />
percezione e di espressività visiva, garantita<br />
ancora dall’occhio umano. In sintesi, gli uni si<br />
battevano per una maggiore creatività nell’ambito<br />
delle esigenze del metodo funzionale e<br />
applicativo delle proprie teorie, gli altri,<br />
miravano a un serio atteggiamento nei riguardi<br />
della organizzazione funzionale e nella<br />
progettazione della struttura. Nel 1928<br />
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Daniele L. Viganò - L’invisibile visione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />
12<br />
Ladovskij, insieme ad alcuni collaboratori che<br />
con lui avevano lasciato il movimento architettonico,<br />
fondò l’ARU (Associazione degli<br />
architetti urbanisti), seguita a sua volta dalla<br />
nascita della VOPRA (Associazione degli<br />
architetti proletari) diretta da Karo Alabjan, che<br />
troverà fortuna e terreno fertile nei successivi<br />
anni Trenta.<br />
Nonostante il Costruttivismo e il relativo<br />
periodo, che andò dal 1925 al primo Piano<br />
quinquennale, stessero segnando una tappa<br />
fondamentale nell’offrire un volto concreto alla<br />
ricostruzione di un nuovo stile e di un nuovo<br />
sistema di vita in Unione <strong>Soviet</strong>ica, la<br />
situazione degli alloggi e delle abitazioni<br />
rimaneva comunque tra le più spinose e<br />
delicate. Non era più un fatto segreto che la<br />
nuova etica, edificata sulla base dell’ascetismo,<br />
significava il rifiuto di ogni frivolezza,<br />
richiedeva per sé stessa una rigida disciplina,<br />
l’obbligo di rendersi utili per il collettivo e di<br />
occuparsi di attività «sane», null’altro che a<br />
voler dire che il tempo quotidiano, studiato<br />
appositamente per il cittadino-lavoratore<br />
sovietico, fosse integrato da tutta una serie di<br />
momenti che avevano il principale obiettivo di<br />
mantenere occupato l’individuo nella mente e<br />
nel corpo, di modo da ottenere un controllo<br />
pressoché totale e totalizzante sulla vita di<br />
ciascuno.<br />
Se nei primi anni Venti, a fronte del<br />
problema dello spazio e della casa, gli abitanti, in<br />
special modo quelli della capitale, si erano abituati<br />
alla presenza del «tramezzo» - struttura di legno<br />
inchiodata in fretta e furia con lo scopo di sottrarre<br />
identità e ripartire i comodi alloggi del capitalismo<br />
borghese, 16 che fu combattuto con ogni mezzo, a<br />
beneficio di una ridistribuzione e moltiplicazione<br />
dello spazio abitativo, a fronte delle imponenti<br />
campagne migratorie verso le grandi città - ora,<br />
grazie all’apporto decisivo dell’arte costruttivista,<br />
prese piede una nuova concezione dell’ars vivendi<br />
sovietica, che riguardava non solo il problema<br />
della forma e dello stile architettonico esteriore,<br />
ma anche e soprattutto l’organizzazione e la<br />
distribuzione degli spazi interni alla “casa”; spazi
che fossero peraltro identificati e correlati al nuovo<br />
spirito del tempo e alla politica visione dello stretto<br />
intreccio tra lavoro operaio, industria e abitazione,<br />
tesi a unificare, nel linguaggio “previsto”, i luoghi<br />
del lavoro con quelli adibiti al riposo.<br />
Assieme alla proprietà privata, dunque,<br />
dovevano essere eliminati i sentimenti che<br />
l’avevano riguardata: il possesso, il concetto più<br />
ampio di territorialità, dipendenza e gelosia,<br />
categorie e manifestazioni dell’animo umano ora<br />
non più accettate e considerate caratteristiche<br />
prettamente individuali.<br />
Il tutto si realizzò nel progetto della dom<br />
kommuna, la cosiddetta «casa comune»,<br />
falansterio in cui i nuovi uomini avrebbero<br />
dovuto convivere idealmente in un’armonia<br />
basata sull’assoluta parità tra diritti e doveri e<br />
contrassegnata dalla totale mancanza di invidie<br />
e gelosie. A partire dalla ricostruzione delle<br />
abitudini e <strong>dei</strong> comportamenti domestici, il passo<br />
era breve nella direzione di uno stravolgimento,<br />
cercato e voluto, della natura umana: l'«uomo<br />
nuovo» era così pronto per una nuova e<br />
progredita esistenza. I nuovi canoni adottati, ma<br />
soprattutto le dimensioni della progettata<br />
urbanizzazione mutarono notevolmente rispetto<br />
alla prima metà degli anni Venti.<br />
In breve tempo, sotto la spinta del «sogno<br />
socialista», furono varati piani ed emendamenti<br />
che invitavano la realtà sovietica a coniare<br />
terminologie che portassero in sé il germe di<br />
un radioso futuro, parto di quel nuovo mondo<br />
che, a poco a poco, si stava schiudendo innanzi.<br />
Una di queste formulazioni poste in essere fu<br />
senza dubbio quella di «condensatore sociale»,<br />
17 concetto che voleva specificare che<br />
se l’architettura era, o meglio, doveva essere<br />
ora il riflesso della società, era solo vivendo<br />
entro nuove strutture che l’uomo nuovo poteva<br />
uscire dalle spoglie dell’antico. Su questa<br />
espressione - basilare per poter comprendere<br />
la successiva transizione che venne attuata a<br />
beneficio del sistema abitativo collettivo e<br />
l’intimo significato che alla nozione stessa di<br />
condensatore sociale fu attribuita, soprattutto<br />
a livello politico - faremo in seguito ritorno.<br />
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13<br />
Ancora, infatti, urgeva ed era rimasta irrisolta,<br />
nonostante gli sforzi compiuti, la questione della<br />
distribuzione e della costruzione degli alloggi,<br />
intesa come pura ricerca di spazi, atti a soddisfare<br />
le esigenze della politica e della popolazione<br />
insieme. Ciò dipese da due fattori di primissima<br />
importanza: da un lato, parte <strong>dei</strong> progetti<br />
rimasero sulla carta, non vedendo mai la luce, a<br />
prescindere dalla notevole spinta economica<br />
della NEP, dall’altro, il flusso di migrazioni dalle<br />
campagne aveva provocato un aumento, di fatto,<br />
non del tutto previsto, che determinò condizioni<br />
di sovraffollamento, in particolar modo nelle<br />
“capitali” del Paese. Alla scarsità del patrimonio<br />
residenziale seguì una forte riduzione dello<br />
spazio abitativo pro-capite; in parole semplici,<br />
diminuirono la superficie di ogni appartamento<br />
e la superficie destinata a ogni cittadino,<br />
nonostante lo Stato, attraverso un impiego<br />
costantemente crescente di risorse, stesse<br />
cercando di articolare la propria presenza nel<br />
settore edilizio proprio in funzione della<br />
domanda operaia, che costituiva di fatto il futuro<br />
sovietico, legato indissolubilmente al costante<br />
e in parte forzato processo di trasformazione del<br />
Paese in senso industriale, voluto dal socialismo<br />
nascente.<br />
Nella tabella seguente è descritta, in<br />
modo evidente, la situazione della reale<br />
superficie abitativa, ossia lo spazio fisico<br />
destinato, al termine degli anni Venti, a ogni<br />
singolo individuo, classificato come operaio ed<br />
impiegato, prendendo come riferimento la<br />
popolazione di alcune delle più ampie città e<br />
zone industriali dell'Unione <strong>Soviet</strong>ica, dove<br />
maggiore era la concentrazione urbana. 18<br />
mq/ab (metri quadrati per abitanti)<br />
Leningrado Mosca Ucraina Prov.<br />
industriali<br />
del Centro<br />
popolazione<br />
urbana 8,7 5,7 5,8 5,3<br />
di cui<br />
operai 6,8 4,7 4,85 4,3<br />
impiegati 11,0 0,5 7,2 6,25
Il piano quinquennale, approvato nel 1929, fu<br />
superato negli anni successivi da piani e<br />
progetti ancora più ambiziosi che permisero di<br />
conseguire indubbi e quasi inaspettati successi,<br />
ma portarono anche ad alcuni evidenti squilibri,<br />
messi in luce, per quanto riguarda il settore<br />
abitativo, dal netto divario tra i valori di<br />
edificazione pianificati e quelli effettivamente<br />
conseguiti e, soprattutto, dai rapporti tra gli<br />
investimenti globali effettuati e quelli destinati<br />
all’edilizia residenziale. In un certo qual modo,<br />
la questione della ridistribuzione degli spazi fu<br />
messa da parte o comunque passò in secondo<br />
piano a favore di un continuo processo di<br />
industrializzazione, da una parte, e di un mutato<br />
e ridondante «nuovo senso estetico». dall’altra,<br />
desideroso unicamente di premiare l’abbellimento<br />
e l’ostentazione del potere, incarnato da Stalin e<br />
dall’incanalamento di tutte le energie del Paese<br />
nel dare vigore a quella fase della storia sovietica,<br />
che sarà conosciuta come «Realismo socialista».<br />
Nella seconda tabella, questo discorso<br />
appare chiaro se si pongono in relazione quattro<br />
parametri inscindibilmente legati tra loro, quali<br />
il periodo che intercorre tra la fine della parabola<br />
di Lenin e l’ascesa di Stalin, il considerevole<br />
aumento della popolazione urbana con lo spazio<br />
abitativo programmato e concretamente realizzato<br />
e, infine, la risultante estensione stabilita per ogni<br />
persona. Come si nota, la tendenza rivela un<br />
rapporto inversamente proporzionale tra i vari<br />
fattori in termini assoluti, poiché, se è vero che a<br />
un aumento della popolazione corrisponde, negli<br />
anni, un incremento delle opere edilizie effettuate,<br />
altrettanto vero è che la superficie pro-capite<br />
continua a diminuire.<br />
Dinamica della popolazione urbana e del settore<br />
abitativo (1933-1940)<br />
popolazione urbana sup. abitativa tot. mq/ab<br />
(in migliaia di mq)<br />
1923 21,6 139,1 6,45<br />
1926 26,3 153,0 5,85<br />
1928 27,6 163,2 5,91<br />
1932 38,7 191,3 4,94<br />
1937 53,0 220,8 4,17<br />
1940 59,2 242,1 4,09<br />
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Daniele L. Viganò - L’invisibile visione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />
14<br />
(Fonte: T. Sosnovy, The Housing Problem in<br />
<strong>Soviet</strong> Union, New York 1954)<br />
Alla luce di questi dati, resta quindi indubbio che<br />
il settore edilizio, fino al consolidamento della<br />
«pianificazione socialista», risultò, nella pratica,<br />
fermamente subordinato alle linee dominanti della<br />
strategia della industrializzazione e, nonostante<br />
la ragguardevole espansione, non resse il<br />
confronto con gli elevati tassi di incremento<br />
dell’urbanesimo sovietico. 19<br />
Furono quindi i cosiddetti «condensatori<br />
sociali» a rendersi espressione della vagheggiata<br />
ricostruzione socialista della città sovietica,<br />
nonostante gli enormi e difficilmente risolvibili<br />
problemi che abbiamo poco sopra posto in<br />
evidenza. I condensatori, la cui estrinsecazione<br />
più indicativa fu rappresentata «dall'abitazione»,<br />
vero e proprio habitat comunitario, divennero,<br />
da questo momento in poi, matrice e riverbero<br />
della nuova società. Matrice perché è all’interno<br />
di questi edifici che l’uomo antico diventerà<br />
uomo nuovo; riflesso, perché concepiti a<br />
immagine e somiglianza della società futura,<br />
non già esistente, ma di cui si intraprende la<br />
costruzione e la cui realizzazione apporterà alla<br />
vita di tutti i giorni una dimensione mai<br />
conosciuta prima. Da questo disegno scaturirà<br />
necessariamente una concezione della città<br />
dove i luoghi di cultura e di associazione,<br />
nonché la fabbrica e l’abitazione collettiva,<br />
costituiranno i poli privilegiati. E sarà nel cuore<br />
di questo accentramento e concentrazione degli<br />
spazi, che sicuramente meglio permise un<br />
generale controllo politico <strong>dei</strong> singoli cittadini,<br />
che si creeranno le condizioni oggettive per una<br />
trasformazione dell’individuo, preoccupato<br />
unicamente <strong>dei</strong> propri interessi, così come<br />
l’aveva formato il mondo capitalista, in un<br />
individuo completo, un militante cosciente<br />
della società socialista, nella quale l’interesse<br />
di ciascuno si sarebbe confuso con l’interesse<br />
di tutti.<br />
I pochi metri quadrati destinati singolarmente,<br />
la cosiddetta «cabina del sonno»,<br />
unico luogo destinato al riposo personale e
all’intimità in via di progressivo dissolvimento,<br />
lo sviluppo di tutte le attività, lavorative e non,<br />
in ambienti comuni e sotto forme strettamente<br />
collettive, l’utilizzo <strong>dei</strong> servizi igienici e di<br />
cucina in condivisione, gli elementi d’arredo<br />
economicamente concepiti e ridotti al limite del<br />
possibile impiego funzionale; tutto questo,<br />
contraddistinse alla fine degli anni Venti il tema<br />
dell’abitazione, come lo spazio di una pressoché<br />
totale opera di collettivizzazione <strong>dei</strong><br />
comportamenti individuali, come luogo e<br />
strumento di produzione di una nuova umanità<br />
comunista e, parallelamente, fece lentamente<br />
emergere l’illusione di un’immediata e<br />
completa metamorfosi della vita quotidiana<br />
come riferimento progettuale praticabile e<br />
traducibile in soluzioni di più ampio respiro.<br />
In definitiva, proprio agli albori del<br />
nuovo decennio, si manifestò una coscienza<br />
idealista, ma non certamente fatua, che porta a<br />
considerare gli anni Venti, nel loro complesso,<br />
sotto una luce interpretativa che determinò una<br />
logica antitesi e un percepibile scontro tra<br />
utopia e realtà, tra sogno e veglia, tra entusiasmo<br />
e abbattimento, insieme, a tracciare un<br />
percorso sempre ricco di contraddizioni, come<br />
del resto tutta la storia della Russia nella sua<br />
evoluzione.<br />
Volto e lineamenti di un’utopia e della sua<br />
realizzazione<br />
Che volete che vi dica? Mi sembra che tutto a poco a<br />
poco dovrà mutare sulla terra, e che anzi, già muti sotto<br />
i nostri occhi. Tra due o trecento anni - anche fra mille,<br />
il tempo preciso non conta - sorgerà una nuova vita felice.<br />
Noi, come è ovvio, non parteciperemo a una simile vita,<br />
ma è per essa che noi oggi viviamo, lavoriamo,<br />
soffriamo: siamo noi a crearla, e solo in ciò è lo scopo<br />
della nostra esistenza e insieme, se volete, la nostra<br />
felicità. 20<br />
Queste sono le parole usate da Anton Cechov<br />
per significare e ben sintetizzare come a poco<br />
a poco la mentalità e l’intero sistema del byt<br />
sovietico si stessero evolvendo, trasformando,<br />
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Daniele L. Viganò - L’invisibile visione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />
15<br />
e di come l’Unione <strong>Soviet</strong>ica stesse divenendo,<br />
tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni<br />
Trenta, la «nazione migliore del mondo»,<br />
modello unico e inimitabile per l’umanità<br />
intera. In breve tempo il cittadino russo sarebbe<br />
stato il «più felice» del mondo. Si andava infatti<br />
costituendo quel territorio virtuale, miticoideale<br />
che può essere apposto e identificato<br />
come anticamera di una macchina praticamente<br />
perfetta: Stalinland, 21 intesa come terra di un<br />
contraddittorio benessere, nutrito di immagini<br />
e falsificazioni più reali della realtà stessa, terra<br />
della gioia perenne e dell’abbondanza per<br />
antonomasia.<br />
Viene spontaneo ricercare e analizzare le<br />
motivazioni di un tale appellativo “storicista”<br />
di matrice disneyana, intimamente legato a un<br />
mondo, che, trascorsi i burrascosi anni di<br />
passaggio tra il potere di Lenin e la sempre più<br />
pressante affermazione staliniana, di quella<br />
nuova estetica indotta e dominante, ora<br />
massicciamente proposta-imposta, transitava<br />
verso il “sicuro”, ma quanto mai fantomatico,<br />
mondo dell’Utopia, dove la stessa capitale,<br />
Mosca, avrebbe dovuto fungere da esempio per<br />
tutto il resto del Paese e sulla quale, in breve<br />
tempo, a partire dal Piano di ricostruzione<br />
generale del 1935, si sarebbero concentrati tutti<br />
gli sforzi dirigenziali, per imporre quel<br />
principio pedagogico, che voleva, in altisonante<br />
sintonia con la nuova epoca, l’organizzazione<br />
tout court della gioia come stimolo per la<br />
felicità del domani. Tutto ciò, naturalmente,<br />
non tralasciando assolutamente l’importanza<br />
che ora rivestiva il processo forzato di<br />
collettivizzazione sia a livello industriale che<br />
abitativo, obiettivi quanto mai irrinunciabili per<br />
la definitiva ricostruzione auspicata dal<br />
modello socialista.<br />
La situazione degli alloggi e la graduale<br />
edificazione del cosiddetto «uomo nuovo»<br />
possono essere, a buona ragione, considerati<br />
parte di una realizzazione di quell’Utopia che,<br />
attraverso gli anni Venti, ha, in qualche modo,<br />
garantito e assicurato al cittadino sovietico una<br />
casa, il luogo per antonomasia, e il progressivo
inserimento nella società civile, non più come<br />
individuo, borghese e rarefatto nelle sue<br />
aspirazioni latitanti e private, ma correttamente<br />
e politicamente cosciente di quale fosse il bene<br />
a cui tendere e di come operare, al meglio, per<br />
lo sviluppo e per la concretizzazione del grande<br />
progetto socialista, nel quale sembrava sempre<br />
presente che fosse dominante e irrinunciabile<br />
il ruolo svolto e interpretato dalla collettività,<br />
a indiscusso e automatico beneficio di tutti.<br />
Gli anni Venti sono identificati come<br />
terreno di esperimenti e invenzioni esteticoformali.<br />
I progetti sperimentali, quali la<br />
pianificata distribuzione socialista della città e<br />
la rigenerazione del byt, trovano, nel bene e<br />
nel male, la loro comprensione e carburazione<br />
nel rinnovato sistema della casa-comune e nelle<br />
abitazioni di tipo transitorio. Senza dubbio, è<br />
possibile rilevare anche in questo frangente un<br />
carattere, o forse più caratteri strettamente<br />
imparentati con l’Utopia e con gli ostacoli che<br />
si frapposero al fine di una compiuta realizzazione<br />
di quanto si andava progettando tra le<br />
“maglie” del potere, ma non va dimenticato che<br />
in parte lo stesso modello ortodosso di<br />
socialismo, anche se accertato alla fine di<br />
questo secolo, conteneva elementi già utopistici<br />
e che, nel decennio che precedette l’avvento di<br />
Stalin, venne in qualche maniera a mancare una<br />
descrizione precisa e definita, se non definitiva,<br />
della società futura, fino a quel momento, tanto<br />
vagheggiata nella mente di tutti. Sia nell’arte<br />
che nell’architettura si andava forgiando una<br />
nuova etica, dove il lavoro si trasformava,<br />
giorno per giorno, in culto e dove la creazione<br />
della «città ideale» fruiva <strong>dei</strong> dettami della<br />
regolamentazione e del rigido controllo dello<br />
Stato. Primo reale risultato fu che la vita privata<br />
del singolo si sciolse, come già ricordato, nella<br />
dimensione collettiva, determinando, cosa non<br />
irrilevante, la nascita-rinascita di un “tipo”<br />
nuovo e facilmente manovrabile di personalità,<br />
omologata secondo le esigenze e i dettami della<br />
dottrina, nella quale specchiarsi e riconoscersi<br />
al fine di istituire quel rapporto di sazietà e di<br />
provvigione, che deriva da una resa perfetta e<br />
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Daniele L. Viganò - L’invisibile visione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />
16<br />
cosciente identificazione tra domanda e risposta,<br />
formulata, però, da un unico interlocutore.<br />
Prima di considerare quelli che potremmo<br />
definire gli “episodi” architettonici e mitici allo<br />
stesso tempo degli anni Trenta, di che cosa abbia<br />
poi in realtà significato la presa di coscienza verso<br />
un “domani” prossimo e di certa prosperità, vale<br />
la pena porre attenzione sul concetto di Utopia in<br />
stretta relazione al mondo sovietico e ai quei<br />
confini che, inevitabilmente, vengono tracciati o<br />
superati nel momento stesso in cui si pone o si<br />
vuole che quella stessa venga posta in essere.<br />
Bisogna sottolineare, innanzitutto, che<br />
ogni prospettiva di rivolgimento degli stili di vita<br />
e di regolamentazione o auto-regolamentazione<br />
dell’esistenza contiene sempre degli elementi<br />
propri dell’utopia, non scevra dalla sovrastruttura,<br />
in questo caso convintamente fattuale,<br />
dell’ideologia dominante e corrente. E quanto<br />
più il progetto sociale si dimostra dettagliato,<br />
tanto più esso è e diviene utopico, a maggior<br />
ragione in un campo così particolareggiato, dal<br />
punto di vista progettuale, come quello<br />
architettonico. Quindi, la prefigurazione del<br />
futuro, comportando sempre elementi di<br />
regolamentazione della vita quotidiana, propria<br />
e <strong>dei</strong> cittadini, non fa che aumentare questo<br />
carattere utopico del progetto in questione.<br />
Riguardo invece il problema o, meglio, la<br />
visione dell’uomo nuovo emerge il fatto,<br />
nell’ottica presa in esame, che i modelli e lo<br />
stile di vita della società futura erano desunti<br />
non tanto dall’analisi e dalla considerazione<br />
delle esigenze e <strong>dei</strong> bisogni reali dell’individuo,<br />
quanto da una rappresentazione astratta della<br />
società ideale, regno della giustizia sociale e del<br />
radioso avvenire in cui sarebbe vissuto “per<br />
sempre” l’uomo nuovo, così plasmato, nella<br />
logica di produrre e di lavorare, in nome <strong>dei</strong><br />
puri e ascetici interessi sociali, con gioia e<br />
felicità, perché parte irrinunciabile di un<br />
sistema pressoché perfetto, giusto e oliato con<br />
la dovuta intensità.<br />
Il tema dominante dell’Utopia, spalancatosi<br />
e auto-alimentatosi fin dall’inizio del periodo<br />
staliniano, consistente essenzialmente in quello
che può definirsi la rigorosa «costruzione di<br />
un destino», determinato, voluto e perseguito<br />
a tutti i costi, senza probabilmente aver tenuto<br />
conto fino in fondo della tenuta progettuale e<br />
<strong>dei</strong> possibili risultati a lunga gittata, presenta<br />
un futuro in cui l’intero e ogni globale aspetto<br />
del presente sia proiettato, un dominio<br />
“razionale” del futuro stesso, a partire dall’oggi<br />
e, cosa fondamentale, di una eliminazione del<br />
rischio che esso comporta. 22 Naturalmente,<br />
questa utopia razionale conduce a una visione<br />
strutturale della totalità nel suo insieme che è e<br />
diviene continuamente, perché modello calato<br />
nella dinamica del reale <strong>dei</strong> processi politicoeconomici<br />
in atto.<br />
Ruolo determinante, con la continua e<br />
ripetuta tensione verso la realizzazione dell’utopia<br />
stessa e con essa stessa inscindibilmente legata, è<br />
svolto dall’Ideologia che può essere vista e può<br />
essere data dalla forma di una «dialettica» che si<br />
fondi sul negativo, sul dato oggettuale e reale,<br />
oggettivato come un qualcosa da correggere e da<br />
superare, lesivo nei termini di un avanzato radioso<br />
futuro per tutti e di un gioioso progetto mondo ;<br />
ideologia che faccia della contraddizione, quindi,<br />
l’elemento propulsore dello sviluppo e che<br />
riconosca la realtà del sistema a partire dalla<br />
presenza della contraddizione, inteso come stato<br />
di crisi a cui porre rimedio dall’interno e da<br />
risolvere. A questo punto, l’ideologia si assume<br />
il compito di unificare il soggetto e l’oggetto<br />
della produzione, come abbiamo già delineato<br />
nel descrivere il processo di collettivizzazione<br />
e di trasformazione della realtà umana sovietica,<br />
legittimando quel salto che permette di superare<br />
tutti i momenti di contraddizione per presentare,<br />
come già reali nuovi modelli di vita, esistenza e<br />
lavoro che generano intrinsecamente il luogo e/<br />
o il non-luogo dell’utopia. Tali modelli non<br />
faticano a entrare, però, nuovamente in crisi<br />
ogni volta che si proporrà il momento di una<br />
verifica reale <strong>dei</strong> propri obiettivi e ogni volta<br />
che la stessa gestione del consenso, ottenuto<br />
attraverso la “promessa”, prefigurazione<br />
dell’utopia e funzionale al fine di una unanime<br />
estrazione di esso, e attraverso la propaganda<br />
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17<br />
nelle sue più diverse manifestazioni, si rivelerà<br />
poco adeguato ai fini di un concreto sviluppo.<br />
Questo è il motivo per cui possiamo<br />
asserire che, nella prefigurata società sovietica<br />
dagli anni Trenta in poi, l’intreccio tra Ideologia<br />
e Utopia appoggia e poggerà sempre su una<br />
complessa relazione dialettica, dove l’utopia,<br />
una volta affermatasi, si trasforma di nuovo in<br />
ideologia. Terra di conquista del Realismo<br />
socialista sarà la raggiunta consapevolezza del<br />
ruolo della «esperienza» come tratto indelebile<br />
che dominerà e fonderà sempre il soggetto. Il<br />
principale problema affrontato, che risponderà<br />
perfettamente nel voler creare sia un’arte che<br />
un’architettura che si renda immediatamente<br />
comprensibile alle masse, mutando anche i<br />
termini espositivi, progettuali, nonché i canoni<br />
estetici, rimarrà, quindi, quello del pianificare<br />
la definitiva scomparsa del soggetto, annullare<br />
l’angoscia che deriva dal patetico e risibile<br />
resistere dell’individuale di fronte alle strutture<br />
di dominio che lo stringono da ogni lato.<br />
Indicare, attraverso gli strumenti della<br />
persuasione, una o forse “la” terra promessa,<br />
dove il paradiso in terra è realizzato mediante<br />
la scomparsa del «tragico», borghese e<br />
individuale, a beneficio dell’affermazione<br />
dell’eroe collettivo, mutuato attraverso un<br />
vero e proprio rovesciamento di valore e<br />
prospettiva.<br />
Il risultato di tale processo si avvarrà,<br />
infine, di un’umanità che abbia introiettato tutto<br />
ciò come un rigido e profondo dovere morale<br />
e che non consideri quindi il lavoro o la<br />
produzione come altro da sé, ma che si<br />
riconosca come parte integrante di un piano<br />
complessivo e che, come tale, accetti fino in<br />
fondo di funzionare come ingranaggio di una<br />
macchina globale.<br />
Tenendo presente quanto analizzato e<br />
motivato riguardo al mondo dell’Utopia e di<br />
come abbia preso, irreversibilmente, corpo<br />
all’interno del sistema di vita sovietico di<br />
matrice staliniana, è ora possibile prendere in<br />
considerazione e rendere “visibile” l’epopea e<br />
lo sviluppo della dimensione architettonica-
estetica delle vicende degli anni successivi,<br />
incarnati dall’edificazione e dall’eterno progetto,<br />
mai realizzato, di ciò che avrebbe dovuto<br />
cambiare per sempre il landscape di Mosca: il<br />
<strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong>, unico e “atemporale”<br />
emblema dell’Utopia e del non-luogo staliniano.<br />
Numerosi e non sempre chiari sono i caratteri,<br />
polivalenti e molteplici, che alimentarono la svolta<br />
a partire dal 1931 in poi, anno in cui si vuole<br />
immaginare per Mosca, la futura «capitale<br />
dell'utopia», modello indiscusso volto a divenire<br />
qualcosa di incomparabilmente grandioso ed<br />
euforicamente indefinibile, quanto a capacità di<br />
realizzazione e quanto a quel destino immutabile,<br />
assegnatole consapevolmente dal progetto<br />
socialista.<br />
Gli anni Trenta: Stalin, dall’Utopia al<br />
Realismo socialista<br />
Senza dubbio, gli anni Venti hanno rappresentato<br />
per Mosca e per l’intero Paese un momento quasi<br />
magico, irripetibile sotto molteplici e diversificati<br />
punti di vista: la rottura con un passato importante<br />
che incorporava ancora strutture arcaiche,<br />
comunque non più definibili al passo con i tempi<br />
politicamente intesi; un passato che, grazie alla<br />
spinta ideale della rivoluzione, aveva liberato<br />
energie vitali in tutti i campi, da quello della vita<br />
di ogni giorno a quello della più “com-prensiva”<br />
visione del mondo e dell’arte. Le innovazioni<br />
proposte e perdutamente perseguite non<br />
avevano, però, avuto il tempo di concretizzarsi<br />
in molti aspetti dell’esistenza quotidiana,<br />
sociale ed economica, lasciando aperti e irrisolti<br />
molti problemi e mantenendo quel carattere<br />
utopico, strutturalmente e geneticamente al tutto<br />
connesso, in quanto innovazioni che avrebbero<br />
richiesto, decisamente, tempi molto più lunghi di<br />
quelli concessi e determinati dalla storia. Le varie<br />
discipline artistiche e architettoniche avevano,<br />
infatti, durante il roboante rimescolamento del<br />
decennio occorso, forse meglio di ogni altra cosa,<br />
tradotto l’utopia in rinnovamenti e rivolgimenti<br />
concreti e tangibili e avevano, conseguentemente,<br />
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18<br />
alimentato maggiormente i sogni presenti e<br />
futuri, caricati ora di una valenza superiore.<br />
Ma, agli albori degli anni Trenta, illusione<br />
e sogni non potevano non scontrarsi con una<br />
realtà politica che andava radicalizzandosi, assai<br />
differente e ideologicamente rigorosa, dove<br />
entrambi i “mestieri” dell’architettura e dell’arte<br />
erano intimamente segnati e contrassegnati dal<br />
significante procedere politico e dai nuovi canoni<br />
dell’incombente estetica staliniana. Con il già<br />
proclamato appello alla «costruzione del<br />
socialismo» e l’avvio del primo Piano quinquennale<br />
del 1928, il Paese era stato rapidamente<br />
trasformato in un gigantesco cantiere e chiamato,<br />
sopra ogni cosa e con ogni priorità, alla<br />
realizzazione di obiettivi di mutamenti e<br />
trasformazione imponenti ed “eroici”. A questa<br />
fase contribuì in maniera decisa quel terreno<br />
ideologico, culturale e istituzionale che vide<br />
nella persona di Stalin e nella propria indiscussa<br />
e forse indiscutibile affermazione un percorso<br />
che avrebbe traghettato l’Unione <strong>Soviet</strong>ica<br />
verso una compiuta traduzione e codificazione<br />
spaziale <strong>dei</strong> nuovi rapporti attivati con il<br />
definitivo passaggio al «socialismo reale», alla<br />
cui scala e grandezza ideologica dovevano<br />
essere, adesso, ricondotte le ricerche sulle<br />
nuove forme di esistenza e organizzazione della<br />
vita quotidiana. La tensione nei confronti<br />
dell’avvenire era tale da porre in essere nuove<br />
problematiche da sciogliere, ulteriori obiettivi<br />
da condurre a realizzazione, e da prefigurare,<br />
in una prospettiva temporale o forse “atemporale”<br />
non particolarmente dilatata,<br />
cambiamenti radicali negli assetti economici,<br />
sociali e spaziali del Paese.<br />
Primo segno di questa svolta di rinnovamento<br />
e di riammodernamento del<br />
territorio sovietico fu compresa a partire dal<br />
processo di centralizzazione del potere avviato<br />
e voluto dallo stesso Stalin, una volta messo in<br />
atto, nel 1928, l’allontanamento di Lev Trockij,<br />
Gregorij Zinov'ev e di Lev Kamen’ev, allora<br />
rappresentanti <strong>dei</strong> vertici del Partito comunista<br />
russo e la successiva espulsione di Trockij<br />
dall’URSS, determinando così drastici risultati
sul terreno politico, sociale e culturale. 23 Senza<br />
ombre e senza veli, sul piano politico,<br />
scomparve di lì a poco ogni parvenza di<br />
democrazia; sul fronte dell’economia si impose<br />
una collettivizzazione dai ritmi incessanti e<br />
forzati, andando a creare quel substrato<br />
importante e irrinunciabile di manodopera<br />
coatta e lavoro che avrebbero asservito per<br />
lungo tempo e per decenni il desiderio di<br />
“magniloquente” ricostruzione, che caratterizzò<br />
in tutto e per tutto l’epoca staliniana.<br />
Mentre, sul versante proprio del mondo della<br />
cultura fu attuata una serie di rigidi controlli<br />
ratificati, nel 1932, mediante una risoluzione<br />
del Comitato Centrale, che pose fuori legge,<br />
con la conseguente e immediata soppressione,<br />
tutte le associazioni letterarie che non fossero<br />
ispirate al nuovo corso, dettato dall’attuale<br />
evoluzione <strong>dei</strong> tempi. A conferma di quanto era<br />
stato promulgato, solamente due anni dopo, nel<br />
1934, si aprì, sotto la presidenza di Maksim<br />
Gor’kij il Primo congresso degli scrittori<br />
sovietici, che proclamò il Realismo socialista<br />
l’unico modello valido al fine di costruire la<br />
nuova realtà, oramai non più solo mera teoria. 24<br />
La transizione verso un’economia confrontabile<br />
con quella delle nazioni indu-strializzate<br />
occidentali fu, per questo, condotta in modo<br />
prepotente e vigoroso, esercitando un potere che<br />
sarebbe diventato ben presto totalitarismo. Nel<br />
campo dell’architettura questo imperante<br />
atteggiamento di fondo significò e comportò il<br />
ritorno ai vecchi principi accademici e la fine<br />
della sperimentazione, anche in campo urbanistico.<br />
Ciò che appare rilevante sottolineare è<br />
che nei mesi che trascorsero tra la fine del 1929<br />
e l’inizio del 1930 si pensava che ogni cosa, a<br />
partire dai traguardi quantitativi fino a quelli<br />
di natura qualitativa, avrebbero potuto e dovuto<br />
essere realizzati. Obiettivi “straordinari”<br />
avrebbero, dunque, permesso al Paese di<br />
colmare quella storica arretratezza naturale nei<br />
confronti dell’Occidente; obiettivi che, allo<br />
stesso tempo, presupponevano, però, nel<br />
proprio concepimento, la “massima tensione”<br />
delle forze produttive e di tutta la popolazione<br />
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19<br />
nel suo intero, rendendo percepibile, ma forse<br />
ancora poco comprensibile agli sguardi delle<br />
masse, quel legame indissolubile tra società e<br />
spazialità, finalizzato a una precisa riorganizzazione<br />
insediativa, da una parte, e,<br />
dall’altra, orientato al conseguimento <strong>dei</strong><br />
traguardi ultimi posti in essere dal processo di<br />
industrializzazione, dominato e sponsorizzato<br />
dal continuo rimando al socialismo reale. Di<br />
conseguenza, il problema delle città sovietiche<br />
e dell’urbanizzazione socialista non venne più<br />
affrontato nei termini di una parziale e<br />
provvisoria costruzione, limitata a taluni nodi<br />
urbani, o a parti di questi, ma si confermò in<br />
una volontà di trasformazione radicale delle<br />
coordinate insediative del Paese.<br />
E tali prospettive, come già ricordato, tra<br />
il 1929 e il 1930, si mostrarono agli occhi degli<br />
specialisti del settore come del tutto attendibili<br />
e praticabili.<br />
Punto focale della riedificazione socialista<br />
divennero, dapprima, i nuovi stabilimenti<br />
industriali e le decine di cittadelle del lavoro<br />
che stavano sorgendo nell’URSS attorno ai<br />
giganteschi e numerosi complessi metallurgici,<br />
situati in prevalenza ai confini orientali del<br />
Paese, nei quali la retorica del regime riassumeva,<br />
a chiare lettere, la propria immagine.<br />
L’enorme sforzo in cui si produsse l’intero<br />
apparato stalinista, orientato a mantenere una<br />
notevole mobilità del tessuto sociale al servizio<br />
dell’industria e del progresso, diede origine, dal<br />
punto di vista territoriale, a nuovi movimenti<br />
migratori che portarono nell’arco di un<br />
decennio a un incremento della popolazione nei<br />
maggiori capoluoghi del Paese di circa trenta<br />
milioni di unità. 25 In poco tempo, questi flussi,<br />
disordinati e quantitativamente incontrollabili,<br />
trasformarono le già precarie condizioni<br />
abitative sovietiche in un vero e proprio<br />
collasso, causando tutta una serie di situazioni<br />
fatte di carenze e sovraffollamento, con<br />
ripercussioni tangibili anche sul piano lavorativo<br />
e delle più oscillanti relazioni umane. I<br />
susseguenti indirizzi di riqualificazione urbana<br />
che, alla luce di questa situazione, si misero
effettivamente in opera, furono quasi esclusivamente<br />
legati al preciso proposito di<br />
assegnare un esplicito primato a una sequenza<br />
di interventi, spazialmente e temporalmente,<br />
circoscritti e di tutt’altro che tiepido contenuto<br />
simbolico. Tale traiettoria, volutamente<br />
imboccata, significò un progressivo smantellamento<br />
di convinzioni ed elaborazioni<br />
accumulate “cromosomicamente” negli anni<br />
precedenti e fu un discorso che si rivelò di non<br />
facile metabolizzazione, prima di concretizzarsi<br />
nella pagina di storia sovietica dedicata al<br />
«piano di ricostruzione» di Mosca, futuro<br />
modello ideale di capitale e reale scenario fisico<br />
che avrebbe avuto il compito di comunicare al<br />
mondo il senso di un evento unico ed esemplare.<br />
L’attuale convinzione di fare di Mosca il «centro<br />
del Paese», sottintendendo a questa espressione<br />
ogni tipo di considerazione ideologica, politica<br />
e sociale, chiamò in causa anche il parere di<br />
artisti ed architetti stranieri, tra i quali Le<br />
Corbusier che, nel delineare un possibile<br />
progetto di futura pianificazione della città, si<br />
riteneva certo nel sostenere che la trasformazione<br />
di Mosca in una grande metropoli presupponeva<br />
di per sé una completa e totale ricostruzione che<br />
avrebbe tollerato unicamente la conservazione<br />
di pochi monumenti di elevato valore simbolico,<br />
quali il Cremlino e il Mausoleo di Lenin. 26 E ciò<br />
palesava, in poche parole, che l’edificazione<br />
della città socialista per antonomasia, pur<br />
conservando la matrice insediativa originaria<br />
derivante dal nucleo storico, era realizzabile<br />
solamente attraverso l’affermazione di nuovi<br />
elementi, la cui ovvia conseguenza sarebbe stata<br />
la distruzione del vecchio impianto topografico.<br />
Il centro doveva, dunque, estendersi secondo<br />
dimensioni di carattere verticale e orizzontale<br />
insieme, che combinandosi tra loro dovevano<br />
così generare un punto di vista e una linea<br />
dinamica, un vero e proprio asse. La primitiva<br />
struttura statica di forma concentrica avrebbe,<br />
in tal modo, assunto una prospettiva di ordine<br />
«parabolico», trasformando la città in un<br />
organismo attivo e vitale, il cui cuore traeva<br />
energie e valore dal centro della Mosca storica,<br />
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20<br />
per poi arricchirsi continuamente in una<br />
sequenza di evidente significato simbolico e<br />
di rinnovati principi costruttivi e funzionali.<br />
Il passaggio da questo corso di pensiero,<br />
fatto sostanzialmente di idee e ipotesi di lavoro,<br />
a una fase di reale maturazione dialettica e<br />
testuale, si concretizzò con la delibera del 15<br />
Giugno 1931 Sull'economia urbana di Mosca<br />
e sullo sviluppo dell'economia urbana nell'URSS<br />
che segnò una profonda cesura con gli anni<br />
precedenti e produsse le giuste premesse<br />
all’avvio di una definitiva chiarificazione degli<br />
obiettivi perseguibili e i modi in cui la<br />
ricostruzione della capitale veniva irrevocabilmente<br />
sottratta alle illusioni di una eventuale<br />
e quanto mai improbabile riorganizzazione<br />
globale del territorio sovietico. In questo quadro,<br />
a testimonianza di una svolta netta, drastica e<br />
indubbiamente perentoria, evocata fra le maglie<br />
della delibera appena emanata e coincidente<br />
temporalmente con l’ascesa ai vertici della<br />
nomenklatura di Lazar Kaganovich, in qualità<br />
di capo di comitato del partito di Mosca e «fedele<br />
compagno d’armi di Stalin», un ruolo decisivo<br />
veniva oramai assegnato non tanto ai programmi<br />
di matrice insediativa, quanto a quelli infrastrutturali,<br />
riassunti nella risistemazione <strong>dei</strong><br />
principali assi stradali, delle sponde fluviali e,<br />
in special modo, incanalati nella realizzazione<br />
della metropolitana. 27<br />
Mosca venne così chiamata ad essere la<br />
città-laboratorio, la città-simbolo dell’URSS,<br />
destinata a divenire «un esempio, un modello,<br />
una scuola»: questa l’enfasi con cui fu<br />
presentato nel 1935 il nuovo piano “staliniano”,<br />
il piano decennale di ricostruzione di Mosca<br />
che aprì, fuori di ogni metafora, una nuova fase<br />
nella storia dell’architettura e dell’urbanistica<br />
sovietica. Il General'nyi Plan di Mosca, la cui<br />
elaborazione si concluse nei primi mesi del<br />
1935 e la cui approvazione definitiva del 10<br />
Luglio del medesimo anno conferì al documento<br />
il valore di una legge dello Stato, fu<br />
accolto come una sorta di incarnazione di<br />
espressioni concentrate delle pressoché<br />
inesauribili potenzialità e delle immense
proporzioni dell'edificazione socialista. Gli<br />
indirizzi fondamentali, a cui tutto il procedimento<br />
si sarebbe dovuto riferire, furono<br />
quelli conformi al principio di «salubrità,<br />
ammodernamento e bellezza». Cuore operativo<br />
del piano generale era ovviamente l’area<br />
centrale, a cui si riteneva essenziale dover<br />
attribuire la massima rappresentatività. Le<br />
implicazioni di tale proposta erano evidenti:<br />
non solo l’architettura doveva provvedere a una<br />
distribuzione razionale e riprendere le forme<br />
classiche con forti allusioni alla tradizione<br />
russa, ma doveva pure rappresentare il nuovo<br />
Stato che si faceva, comunque garante di<br />
prosperità e benessere, dedito in ogni propria<br />
azione alla costruzione del socialismo reale. Gli<br />
architetti furono chiamati, innanzitutto, a creare<br />
un’identità monumentale in cui trovasse<br />
materializzazione il consolidamento definitivo<br />
e irreversibile della nuova società sovietica,<br />
esaltandone il carattere collettivistico e<br />
progettando, quindi, edifici pubblici eloquenti,<br />
improntati a un monumentalismo classicheggiante.<br />
L’immagine della capitale, secondo<br />
gli intenti del Piano, doveva scaturire non dalla<br />
semplificazione tipologica e funzionale, ma da<br />
una sintesi che muoveva dal riconoscimento<br />
della varietà morfologica e simbolica delle<br />
diverse tipologie edilizie, <strong>dei</strong> diversi contesti,<br />
<strong>dei</strong> diversi spazi delle città, esaltando l’artisticità<br />
e l’espressività delle soluzioni<br />
intraprese.<br />
E sarà a partire dalla consapevole scelta<br />
di concentrare l’attenzione su una realtàsimbolo,<br />
su una realtà circoscritta, che si<br />
sarebbe fatta carico di narrare la validità e<br />
l’eternità di tutte le decisioni perpetrate dal<br />
regime, di realizzare in tempi relativamente<br />
brevi su scala ridotta, ciò che a scala maggiore<br />
non avrebbe mai potuto essere concepito, che<br />
prende corpo, in questi anni, la principale<br />
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Daniele L. Viganò - L’invisibile visione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />
21<br />
emergenza architettonico-monumentale,<br />
espressione ed emblema della nuova Mosca<br />
socialista: il <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong>. Progettato per<br />
essere il più alto edificio del mondo, con i suoi<br />
quattrocentoquindici metri di altezza, sovrastato<br />
alla sommità da una gigantesca statua<br />
di Lenin, il <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong> assunse a<br />
materializzazione del principio della più ampia<br />
democrazia sovietica: simbolo concreto per<br />
tutti i proletari del mondo, accessibile dunque<br />
alle masse popolari e riconoscibile nella sua<br />
funzione primaria di convogliare in esso e verso<br />
di esso tutta la vita della capitale e della<br />
popolazione. Principale punto di riferimento<br />
spaziale per l’intero mondo, incarnò la<br />
quintessenza dell’Utopia, in quanto, come<br />
vedremo, delineandone successivamente la<br />
storia e le fasi dell’evoluzione <strong>dei</strong> progetti di<br />
tentata realizzazione, non fu mai edificato, se<br />
non nei lavori delle fondamenta, interrotti<br />
bruscamente allo scoppio della Seconda guerra<br />
mondiale e mai più ripresi e portati a compimento.<br />
La vicenda del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong> non<br />
trattava e non tratterà, però, di un’utopia<br />
retrospettiva, bensì atemporale: sarà espressione<br />
suprema e altisonante della città ideale “per<br />
sempre”, che voleva abbracciare nella sua<br />
perfezione anche alcune tracce del passato<br />
classico e ridondante, di cui, sempre, è segnato<br />
il cammino verso i supremi ed eterni valori da<br />
perpetuare nel futuro infinito.<br />
Da questo momento in poi, l’intero Paese<br />
si stacca dal mondo della realtà e inizia a vivere<br />
in quello della fantasia, come in un miraggio. I<br />
dati cessano di avere qualsiasi significato e<br />
divengono un mero simbolo del desiderio<br />
irrefrenabile di proiettarsi in avanti, trascinando<br />
ogni aspetto del quotidiano, squisitamente e<br />
sapientemente apposto dal regime, come una<br />
specie di mongolfiera, in un mondo che non<br />
esiste.
Note<br />
1 Cfr. A. Ikonnikov, Gli “edifici alti” di Mosca,<br />
in: URSS anni ‘30-’50. Paesaggi dell’utopia<br />
staliniana, a cura di A. De Magistris,<br />
Mazzotta, Milano 1997.<br />
2 A Mosca, di Le Corbusier (pseudonimo di<br />
Charles-Eduard Jeanneret-Gris,1887-1965)<br />
era in costruzione il <strong>Palazzo</strong> del Centrosojuz<br />
(1928-1933).<br />
3 La delibera, approvata dal nuovo governo il 20<br />
agosto 1918, denominata Sulla soppressione<br />
della proprietà privata sugli immobili della<br />
città, premetteva di fatto il completo controllo<br />
pubblico sul suolo urbano, permettendo come<br />
conseguenza naturale di determinare lo<br />
sviluppo delle città finanziando le attività<br />
statali attraverso la tassazione di quanto ancora<br />
rimaneva nelle mani <strong>dei</strong> privati. A partire da<br />
questo, le prospettive che si aprirono in campo<br />
urbanistico e architettonico poterono apparire<br />
enormi.<br />
4 M. Bulgakov, Mosca degli anni Venti, in<br />
Romanzi e racconti, a cura di M. Cudakova,<br />
Mondadori, Milano 2000, pp. 1177-78,<br />
1183.<br />
5 G.P. Piretto, Da Pietroburgo a Mosca. Le due<br />
capitali in Dostoevskij, Belyj, Bulgakov,<br />
Guerini Studio, Milano 1990, p. 108.<br />
6 A. De Magistris, La costruzione della città<br />
totalitaria. Il piano di Mosca e il dibattito<br />
sulla città sovietica tra gli anni venti e<br />
cinquanta, CittàStudi, Milano 1995, p.19.<br />
7 Significativi aumenti delle aree edificate e<br />
della relativa costruzione di nuovi spazi<br />
verdi si affacceranno solamente a partire<br />
dalla metà degli anni Venti, quando, però, a<br />
una precisa risistemazione del territorio e<br />
alla garanzia di un alloggio per tutti,<br />
seguendo il disegno nel senso di una<br />
trasformazione socialista della città,<br />
corrisponderà una notevole diminuzione<br />
della superficie abitabile pro-capite.<br />
8 In questo immaginare e realizzare in modo<br />
concreto l'idea della città-giardino, i fili di<br />
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contiguità e continuità emergono con<br />
chiarezza: non si trattava di una “scoperta”<br />
nuova e forse vincente, piuttosto del rapido<br />
coagularsi di istanze e caratteristiche già<br />
attive nel Paese fin dai primi anni del secolo<br />
e ampiamente condivise anche dagli ambienti<br />
intellettuali, oltre che dai tecnici, più sensibili<br />
al messaggio socialista.<br />
9 A. De Magistris, La città in transizione.<br />
Politiche urbane e ricerche tipologiche<br />
nell’URSS degli anni Venti, Il Quadrante,<br />
Torino 1988, p. 17.<br />
10 L’aggettivo “howardiano”, sinonimo e<br />
corrispondente al sostantivo di cittàgiardino,<br />
prende il nome dal progetto basato<br />
sull’idea di Ebenezar Howard, la cui opera<br />
era stata pubblicata in Russia nel 1911 con<br />
il titolo Le città del futuro e negli anni Venti<br />
e Trenta sarebbe servita da costante punto<br />
di riferimento. Cfr. G. Spendel, La Mosca<br />
degli anni Venti. Sogni e utopie di una<br />
generazione. Editori Riuniti, Roma 1999, p.<br />
55.<br />
11 M. Bulgakov, Appunti sui polsini, a cura di<br />
E. Bazzarelli, Editori Riuniti, Roma 1993,<br />
p. 20.<br />
12 M. Bulgakov, Mosca dalle cento e cento<br />
cupole, in Romanzi e racconti, a cura di M.<br />
Cudakova, Mondadori, Milano 2000, p.<br />
1105.<br />
13 M. Bulgakov, Appunti sui polsini, a cura di<br />
E. Bazzarelli, Editori Riuniti, Roma 1993,<br />
pp. 36, 37, 41.<br />
14 Ibidem, p. 40.<br />
15 G. Spendel, La Mosca degli anni Venti. Sogni<br />
e utopie di una generazione, Editori Riuniti,<br />
Roma 1999, p. 139.<br />
16 Questo modo di intervenire nell’ambito della<br />
creazione e della ripartizione di ulteriori spazi<br />
all’interno di abitazioni già esistenti, portò alla<br />
nascita dell’appartamento «comunitario», un<br />
ex-appartamento prestigioso decaduto,<br />
modellato e ideato come le utopie <strong>dei</strong> primi<br />
anni post-rivoluzionari avevano formulato. Le<br />
numerose stanze che li componevano erano<br />
state riadattate per accogliere famiglie
proletarie, a ciascuna delle quali era<br />
assegnata una o più stanze, a seconda delle<br />
necessità e delle disponibilità esistenti,<br />
garantendo l’uso comune <strong>dei</strong> generali servizi<br />
quotidiani. L’aspetto principale da sottolineare<br />
fu la repentina e difficile situazione a cui la<br />
popolazione dovette in breve abituarsi: la<br />
coabitazione forzata, che, da questo momento<br />
in poi, assunse a standard della nuova era<br />
sovietica.<br />
17 A. Kopp, Città e rivoluzione. Architettura e<br />
urbanistiche sovietiche degli anni Venti,<br />
Feltrinelli, Milano 1972, p. 118.<br />
18 A. De Magistris, La città in transizione.<br />
Politiche urbane e ricerche tipologiche<br />
nell’URSS degli anni Venti. Il Quadrante,<br />
Torino 1988, p. 50.<br />
19 Ibidem, p. 53.<br />
20 A.P. Cechov, Le tre sorelle: dramma in<br />
quattro atti, trad. it. B. Jakovenko, Vallecchi,<br />
Firenze 1925, p. 75.<br />
21 G.P. Piretto, Il radioso avvenire. Mitologie<br />
culturali sovietiche, Einaudi, Torino 2001,<br />
p. 130.<br />
22 M. Tafuri, Progetto e Utopia. Architettura e<br />
sviluppo capitalistico, Laterza, Bari 1973,<br />
p. 51.<br />
23 A. Latour, Guida all’architettura moderna.<br />
Mosca 1890–1991, Zanichelli, Bologna<br />
1992, p. 61.<br />
24 Il congresso si concluse con un giuramento di<br />
fedeltà al partito da parte di tutti gli scrittori<br />
e i poeti che vi parteciparono e, nel gennaio<br />
successivo, furono i cineasti a prestare tale<br />
giuramento. Questo costituì uno degli ultimi<br />
atti che suggellarono la statalizzazione<br />
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completa delle arti in genere, ossia il loro<br />
totale e più completo asservimento al potere.<br />
Cfr. G. Spendel, La Mosca degli anni Venti.<br />
Sogni e utopie di una generazione, Editori<br />
Riuniti, Roma 1999, p. 217.<br />
25 A. De Magistris, La costruzione della città<br />
totalitaria: il piano di Mosca e il dibattito<br />
sulla città sovietica tra gli anni venti e<br />
cinquanta, CittàStudi, Milano 1995, p. 48<br />
26 Ibidem, p. 56.<br />
27 Il 15 maggio 1935 fu inaugurata la prima<br />
linea della metropolitana moscovita, la<br />
«migliore del mondo», come recitavano<br />
instancabilmente tutti i documenti dell’epoca.<br />
Un’opera senza dubbio paradigmatica del<br />
Realismo socialista, il cui intento ideologico<br />
e simbolico era qui scandito e rappresentato<br />
dalla costante monumentalità: una vera e<br />
propria città sotterranea, una città nella città,<br />
nella quale ciascun componente, fino al<br />
minimo dettaglio, doveva auto-riconoscersi<br />
dal punto di vista formale, in modo da<br />
ribadire quella prassi progettuale che<br />
presiedeva alla realizzazione <strong>dei</strong> complessi<br />
architettonici della Mosca staliniana. Una<br />
sorta di «traslazione» o di «ribaltamento» di<br />
riferimenti architettonici e iconografici<br />
religiosi veniva offerto, come pane quotidiano,<br />
alle masse e, da queste, attraverso lo scorrere<br />
delle singole stazioni, immediatamente<br />
percepito e compreso suscitando interiormente<br />
un continuo ricorso a immagini trinitarie<br />
laicizzate, incorniciate da un incessante<br />
dialogo tra le diverse manifestazioni artistiche<br />
e “cultuali”, a creare una specie di ambiente<br />
espressivo totale.