29.05.2013 Views

Palazzo dei Soviet 1 - Larici

Palazzo dei Soviet 1 - Larici

Palazzo dei Soviet 1 - Larici

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

www.larici.it<br />

Daniele L. Viganò - L’invisibile visione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />

Daniele Ludovico Viganò<br />

L’invisibile visione<br />

del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong>:<br />

iconografia e architettura<br />

negli anni Trenta sovietici<br />

© Associazione culturale <strong>Larici</strong>, Milano 2002-2004<br />

Tutti i diritti riservati<br />

1


Introduzione, p. 3<br />

www.larici.it<br />

Daniele L. Viganò - L’invisibile visione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />

1. L’architettura sovietica tra gli anni Venti e Trenta<br />

I nuovi piani urbanistici: la Mosca del futuro, p. 6<br />

Volto e lineamenti di un’utopia e della sua realizzazione, p. 15<br />

Gli anni Trenta: Stalin, dall’utopia al realismo socialista, p. 18<br />

Note, p. 22<br />

2. Il <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />

Nascita di un progetto: genesi storica del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong>, p. 24<br />

Reale e virtuale: il concetto di luogo e nonluogo, p. 30<br />

Arte e Ideologia: il sodalizio degli anni Trenta, p. 33<br />

Note, p. 38<br />

3. Ambiguità artistiche e iconografiche del mondo sovietico<br />

L’icona: tra trascendenza ed immanenza, p. 41<br />

Arte e “<strong>Palazzo</strong>”: Reale e virtuale, immagine e simbolo, visibile e invisibile, p. 49<br />

Note, p. 53<br />

Conclusione, p. 54<br />

Tavole, p. 56<br />

2


Introduzione<br />

Immagine e rappresentazione, visibile e<br />

invisibile, reale e virtuale, utopia e ideologia:<br />

queste sono le parole, i testi e i linguaggi che,<br />

nel modo più adeguato, descrivono, donando<br />

respiro e senso di vivificazione, l’insieme di<br />

vicende che incarnano e strutturano la storia<br />

dell’architettura e dell’agire all’interno della<br />

dimensione urbanistica della città sovietica, tra<br />

l’inizio degli anni Venti e la fine degli anni<br />

Trenta.<br />

Nell’ambito dell’articolazione generale<br />

del presente lavoro, argomenteremo e analizzeremo,<br />

da una parte, diversi aspetti e<br />

momenti della storia dell’Unione <strong>Soviet</strong>ica,<br />

situazioni e frangenti, differenti tra loro per<br />

natura e composizione, ma legati da una<br />

concatenazione di eventi e di pieni significati;<br />

dall’altra parte, offriremo approfondimenti di<br />

origine ideologico-filosofica per scovare, nelle<br />

reali motivazioni e nei continui flash-back di<br />

matrice storiografica, il convincimento di come<br />

l’evento e il prodursi delle vicende relative al<br />

mondo sovietico e all’immagine, che di questo<br />

mondo si voleva consegnare alla Storia,<br />

abbiano, forse inevitabilmente, sorretto e<br />

determinato l’intera struttura di pensiero e<br />

quella sofferente complessità di gestione di un<br />

futuro «radioso», desideroso di appartenere,<br />

ogni giorno, all’istante presente, senza alcuna<br />

possibilità di fuggire da un destino illuminato<br />

ma ineluttabile.<br />

La Prima guerra mondiale è stata un<br />

evento quanto mai disastroso per l’Unione<br />

<strong>Soviet</strong>ica, sia perché ha portato la popolazione<br />

allo stremo a causa di una povertà già<br />

consistente ed estesa nella totalità della terra<br />

russa, sia per l’avvento al potere di Lenin che<br />

ha voluto bruscamente sbarazzarsi del «passato<br />

scomodo, borghese e improduttivo», incarnato<br />

dalla precedente epoca zarista.<br />

Gli anni successivi sono stati denominati<br />

anni del «comunismo di guerra»: difficili,<br />

faticosi e duri, nei quali si acuisce la fisiologica<br />

www.larici.it<br />

Daniele L. Viganò - L’invisibile visione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />

3<br />

mancanza di alloggi e spazi per il popolo,<br />

un’annosa problematica che ha accompagnato<br />

l’intera genesi del progetto socialista,<br />

interpretato da Lenin prima e inscenato da<br />

Stalin poi.<br />

L’arte e l’architettura sono state ideologicamente<br />

funzionali all’assetto sociale, per<br />

il quale, a partire dagli anni Venti e proprio per<br />

voler risolvere quella che sarà chiamata, in<br />

senso lato, la «questione abitativa», si sono<br />

sperimentate diverse soluzioni al fine di trovare<br />

e concretizzare il modello perfetto, in cui<br />

l'«uomo nuovo» sarebbe stato protagonista<br />

assoluto.<br />

La prima tappa di questo progetto è<br />

identificabile nella costruzione delle «cittàgiardino»,<br />

moderne e solari residenze unifamiliari<br />

sorte ai margini delle grandi città. In particolare,<br />

già dai primi anni, è a Mosca che si concentrano,<br />

in questo settore, gli sforzi del regime, tesi a<br />

rendere la capitale immagine e specchio di un<br />

elevato rigore e costante progresso di cui far<br />

mostra anche in Occidente.<br />

Verso la metà degli anni Venti, un ruolo<br />

primario è assunto dal Costruttivismo, che genera<br />

un sensibile cambiamento di orientamento<br />

delineando il progetto di «casa comune». Questa<br />

nuova tipologia viene motivata dal protocollo del<br />

«collettivismo», come condizione indispensabile<br />

per la nascita e la naturalizzazione delle sfumature<br />

dello stile di vita socialista, il quale prevede la<br />

condivisione sia degli spazi abitativi che della<br />

sfera quotidiana, in cui il cittadino sovietico è<br />

chiamato a vivere e operare, secondo una sorta di<br />

cadenzario funzionale alla "regimentazione" <strong>dei</strong><br />

comportamenti individuati entro e non oltre il<br />

cosiddetto bene collettivo.<br />

All’epoca del primo Piano quinquennale<br />

(1928) e all’interno di un forte processo di<br />

radicalizzazione voluto dagli organi dirigenti,<br />

mutano i criteri nella scelta delle forme artistiche.<br />

Ciò porta alla trasformazione della concezione<br />

dell’architettura da una rappresentazione della<br />

proprietà legata a una dinamica “orizzontale” -<br />

che premia la realizzazione di un’utopia in grado<br />

di offrire un’abitazione a ciascuno - a una


concezione “verticale” dell’edificio, che<br />

esprime non tanto un’esigenza del proletariato,<br />

in senso stretto, quanto un servigio alle manie<br />

di grandezza e maestosità del potere centrale.<br />

Soprattutto Mosca, città e capitale, cuore e<br />

ragione del socialismo, subisce la ricostruzione,<br />

pressoché totale, del suo landscape, anche se<br />

realizzato per lo più solo su carta, ma,<br />

nonostante ciò, già trasceso e assolutamente<br />

spacciato come reale.<br />

È in questo contesto che si sviluppa la<br />

progettazione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong>, mastodontico<br />

edificio simbolo della futura<br />

incontrastata e incontrastabile potenza sovietica<br />

su scala mondiale. Il <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong>, oggetto<br />

di due concorsi, rimane irrealizzato, se non<br />

nelle provvisorie fondamenta, smantellate, per<br />

gran parte, allo scoppio della Seconda guerra<br />

mondiale.<br />

Sotto l’aspetto culturale, il fervore degli<br />

anni Trenta costituisce un territorio privilegiato<br />

e dà fiato alla mutazione del concetto di “bello”:<br />

ora i canoni estetici devono richiamare la<br />

classicità e la monumentalità, affinché gli<br />

apparati architettonici maestosi risultino sobri<br />

ma di grande effetto.<br />

Dal punto di vista filosofico, nel “dietro<br />

le quinte” di questa esperienza si possono<br />

rielaborare quei concetti e quelle categorie<br />

appartenuti al periodo staliniano e apportare<br />

una distinzione efficace e probante sulla<br />

possibile visione che si pone automaticamente<br />

in essere tra luogo e non-luogo. Infatti,<br />

entrambe le espressioni, cariche di significato<br />

e di rimandi ulteriori, ci permettono di<br />

dimostrare come Stalin in persona si sia<br />

costruito un ruolo ad hoc e, di ciò, ne abbia<br />

avuto piena facoltà, mettendo in scena la vita<br />

sovietica e persuadendo il popolo che il<br />

«fulgido domani» aveva davvero un significato<br />

totale e sarebbe stato più reale della realtà<br />

stessa. Tuttavia, proprio uno di questi nonluoghi<br />

per eccellenza è rappresentato dal<br />

progetto del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong>, che ha<br />

mantenuto a lungo un indiscusso primato nella<br />

coscienza proletaria, in quanto lo scopo e<br />

www.larici.it<br />

Daniele L. Viganò - L’invisibile visione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />

4<br />

l’immaginario collettivo, riversati intorno a<br />

questo luogo d’elezione, hanno comportato un<br />

coinvolgimento visibile di carattere emotivo e<br />

di convinta adesione. Attraverso una forte e<br />

scaltra propaganda, mediante i manifesti e il<br />

continuo parlarne, l’area destinata alla edificazione<br />

ha assunto un’aura di sacralità<br />

sfociata, poi, nell’identificazione del palazzo<br />

in un vero e proprio simulacro.<br />

È qui che subentrano quei tratti significativi<br />

e quelle proprietà appartenenti alla sfera<br />

del mondo dell’immagine, nella sua primaria<br />

distinzione tra eidòs e eìdolon di antica<br />

memoria platonica, che mostra come sia sempre<br />

valsa fin dall’antichità e come si sia trascinata<br />

lungo i secoli attraverso quell’ambiguità tra<br />

idolo e Idea, tra rappresentazione di una<br />

immagine e ciò che riguarda, invece, il suo<br />

statuto ontologico e le sue modalità.<br />

Per questo è utile tornare a indagare il<br />

concetto di icona, paradigma dell’immagine per<br />

antonomasia, per quel suo significato e<br />

significare profondo di cui si rende incarnazione<br />

e che tende, per sua stessa natura, a<br />

rimandare in un “al di là” dell’immagine verso<br />

il mondo dell’invisibile. Proprio il continuo<br />

apparire e scomparire, nel lungo percorso della<br />

storia, di queste caratteristiche dell’icona<br />

nell’immaginario collettivo diventa il leit motiv<br />

di ogni trattazione sul rapporto tra reale e<br />

virtuale. Quando nel Rinascimento nasce<br />

l’illusione prospettica, le raffigurazioni<br />

pittoriche diventano sempre più una pura e<br />

semplice descrizione della realtà, senza<br />

complicazioni e significati ulteriori, cioè<br />

l’immagine è visibile nella sua stessa realtà,<br />

così come appare, priva di ulteriori significati.<br />

Dimostreremo che quest’ambiguità<br />

dell’immagine si innesta nel linguaggio e nel<br />

testo scritto della vicenda del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong><br />

<strong>Soviet</strong>, perché fa capire il valore e il significato<br />

che, al di là della sua qualità, l’opera architettonica<br />

ha immediatamente assunto<br />

nell’immaginario collettivo. Seguire le tracce<br />

di un progetto mai realizzato fa anche cogliere,<br />

proprio per il lungo perpetuarsi della sua


invisibilità al centro della storia dell’architettura<br />

sovietica, quello stretto legame tra<br />

reale e virtuale, visibile e invisibile, immagine<br />

e rappresentazione che è stato il cardine del<br />

www.larici.it<br />

Daniele L. Viganò - L’invisibile visione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />

5<br />

socialismo reale e che prende la configurazione<br />

di un’utopia di incontrollabili dimensioni o,<br />

forse, solo e unicamente, esperienza simulacrale<br />

del vuoto e della libertà insieme.


1. L’architettura sovietica tra gli<br />

anni Venti e gli anni Trenta<br />

I nuovi piani urbanistici: la Mosca del futuro<br />

L’arte e le nuove forme architettoniche, frutto,<br />

prima, di una rincorsa Utopia e, in seguito, vera<br />

e propria trasformazione dell’intera città di<br />

Mosca, sono soggette al mutamento degli ordini<br />

di spazio e di tempo: spazio inteso come<br />

creazione di un nuovo mondo di oggetti che dal<br />

piano bidimensionale e progettuale continua e<br />

ha luogo nella terza dimensione, determinando<br />

ogni oggetto costruito dall’uomo, nel senso di<br />

riconoscimento e identità percettiva nei confronti<br />

della realtà stessa da parte di ogni singolo<br />

individuo; tempo inteso come concreta e<br />

immediata realizzazione di tale visione del<br />

mondo e della realtà, legato indissolubilmente<br />

al tempo della politica del regime e del realismo<br />

senza indugio. Tempo e Spazio erano, quindi,<br />

considerati le sole e uniche forme su cui la vita<br />

doveva essere costruita e su ciò, appunto,<br />

doveva venir edificata l’intera arte. Il dominio<br />

dello spazio, così inteso, introduce nuove<br />

caratteristiche e proprietà nel mondo architettonico<br />

degli anni Venti, nel quale<br />

l’architettura stessa non coincide con l’opera<br />

di ingegneria. Essa non si propone come<br />

soluzione utilitaria, funzionale, ma diviene<br />

allora organizzazione espressiva di elementi al<br />

fine di esercitare, in quanto “creazione” unitaria<br />

e spaziale, un’influenza psicologica. Lo scopo<br />

e la sua messa in atto sono raccontati attraverso<br />

l’esercizio di un effetto artistico autonomo, non<br />

isolato da un contesto o, potremmo chiamarlo,<br />

da un piano regolatore, ma elaborati su una base<br />

oggettiva, che racchiuda nella sua realizzazione<br />

un richiamo suggestivo all’integrità e alla sfera<br />

di un nuovo equilibrio con il tutto che circonda<br />

l’individuo, sempre in funzione di una obiettiva<br />

influenza vivificatrice della architettura<br />

sull’uomo.<br />

Esempio e, forse, potremmo definire<br />

culmine di quest’Idea sarà ben “rappresentato”<br />

www.larici.it<br />

Daniele L. Viganò - L’invisibile visione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />

6<br />

nell’eterna e mai realizzata visione-invisibile<br />

del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong> a Mosca, luogo, o meglio<br />

non-luogo di un progetto che ha visto nascere<br />

intorno a sé un rinnovamento edilizio grandioso,<br />

che avrebbe dovuto tener conto e<br />

presenza di quello che si sarebbe dovuto<br />

esprimere, in modo sacrale, come il cuore e il<br />

centro della futura Mosca staliniana.<br />

La nuova Architettura <strong>Soviet</strong>ica intende,<br />

quindi, esprimere e rivelare il proprio contenuto<br />

socialista cooperando all’ordinamento della<br />

struttura economico-sociale e modellare quindi, in<br />

tal senso, l’ideologia delle masse. Lo sforzo che si<br />

stava attuando si proponeva, di conseguenza, una<br />

mera sintesi di fattori economici, tecnici, ideologici<br />

e, naturalmente, architettonici.<br />

In questi anni, nonostante l’operosità e il<br />

forte richiamo ideologico degli architetti<br />

sovietici chiamati a dare un volto nuovo alla<br />

città di Mosca, alcuni progetti nascono<br />

portando nel proprio DNA già l’implicita<br />

impossibilità di concretizzarsi in costruzioni;<br />

recano in sé il germe dell’Utopia, sfiorando<br />

un’idealizzazione impregnata di metafisica e<br />

andando a costituire le basi di un messaggio<br />

educativo che assumerà, in molte situazioni<br />

architettoniche e non, toni meramente profetici.<br />

Nel clima di ricostruzione iniziata, il tipo di<br />

progettazione predominante si caratterizza nel<br />

creare infrastrutture e nell’inserire, nella<br />

topografia moscovita, edifici definiti nel loro<br />

insieme come elementi guida di una ristrutturazione<br />

urbanistica. 1<br />

A sorreggere e ad alimentare questo<br />

desiderio di modernismo sono chiamati a<br />

partecipare ai concorsi architettonici, istituiti<br />

dal governo, personalità provenienti dal mondo<br />

occidentale, tra cui spicca la figura di Le<br />

Corbusier. 2 Questi si propose di raggiungere,<br />

con il massimo degli apporti tecnici dovuti al<br />

progresso, una costruzione della città di Mosca<br />

che potesse essere una chiara dimostrazione di<br />

architettura contemporanea, basata sulle<br />

acquisizioni della scienza moderna. Ciò<br />

significava per Le Corbusier voler scorgere, al<br />

di là dell’uso puramente terminologico del


«razionale» e del «funzionale», l’energia<br />

dell’anima artistica russa, ossia l’individuazione<br />

delle reali forze estetiche dell’epoca.<br />

Nel corso <strong>dei</strong> primi anni Venti, in virtù<br />

della già legge in materia di municipalità,<br />

deliberata nel 1918, che, preoccupandosi di<br />

trasformare tutta la proprietà privata in<br />

regionale o municipale, asserviva al disegno<br />

di una rapida transizione in senso socialista<br />

della città e della ratifica del conseguente primo<br />

«Piano quinquennale» del 1928, l’attenzione<br />

e l’interesse degli architetti sovietici si spostò<br />

dal singolo edificio alla città come parte<br />

dell’intera Russia e all’urbanistica come<br />

premessa dell’architettura. 3 Nelle idee e nella<br />

mente del nuovo governo, oltre che nel<br />

tentativo di applicazione reale di tale pensiero,<br />

l’approccio alla questione abitativa, definita in<br />

materia legislativa, come sottolineato, dalla<br />

appropriazione pubblica del patrimonio<br />

immobiliare delle classi privilegiate, costituiva<br />

il primo passo di una strategia di trasformazione<br />

della città e pose il problema della<br />

“ricostruzione” socialista della città stessa.<br />

Queste linee di azione, lontane dall’essere<br />

unicamente costrizioni oggettive, si inserirono<br />

esplicitamente e ordinatamente all’interno del<br />

disegno di un passaggio futuro e futuribile, che<br />

implicava nei suoi tratti essenziali un processo<br />

di «naturalizzazione» <strong>dei</strong> rapporti sociali e<br />

dell’economia verso cui il Paese, in maniera<br />

più o meno coercizzata, sembrava essersi<br />

avviato.<br />

Da questo momento in poi, ogni tipo di<br />

azione economica, infatti, non doveva avere<br />

come punti di riferimento il mercato, il valore,<br />

i costi, ma due soli termini inequivocabilmente<br />

chiari: i bisogni umani e i prodotti necessari<br />

per soddisfarli. Questo nuovo fermento<br />

ricostruttivo determinò, nella concretezza,<br />

precise realizzazioni di edifici a uso pubblico<br />

e ad uso privato, stimate in base a un effettivo<br />

piano regolatore, che prevedeva una rete di<br />

arterie e strade che avrebbero ridisegnato<br />

Mosca e l’intero Paese, producendo una serie<br />

pressoché ininterrotta di abitazioni e relativi<br />

www.larici.it<br />

Daniele L. Viganò - L’invisibile visione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />

7<br />

servizi che non avessero più il sapore di città<br />

tradizionale, esempio ed emblema di interessi<br />

economici o di classe, contrapposta alla<br />

campagna, ma a creare un’unica regione<br />

completamente e uniformemente industrializzata.<br />

Così, almeno, appariva la situazione nel<br />

desiderio, da parte di Lenin e del regime, di<br />

plasmare la popolazione e formare una visione<br />

stessa della realtà urbana sovietica che passa<br />

però, a livello storico e politico, attraverso<br />

diverse fasi, accompagnate da “visioni profetiche”<br />

di matrice chiaramente utopistica e<br />

momenti di crisi e transizione, non altro che<br />

specchio del difficile momento vissuto<br />

dall’intera nazione, a seguito del già citato<br />

comunismo di guerra.<br />

Non tralasciando le ragioni storiche e<br />

politiche di quegli anni, racchiuse in una<br />

prepotente tensione a forzare l’economia<br />

interna del paese, per raggiungere un avanzato<br />

livello di industrializzazione in ogni campo,<br />

tanto da poter entrare in competizione con il<br />

mondo occidentale e realizzarne un concreto<br />

superamento, si impone una riflessione su<br />

alcuni elementi che costituirono la base della<br />

futura evoluzione della realtà urbana sovietica,<br />

ossia il problema degli alloggi e della nuova<br />

idea di pianificazione e costruzione di essi, e<br />

del relativo inserimento nel tessuto urbano già<br />

presente e modificabile da una parte, ancora<br />

sulla carta dall’altra, legato, indiscutibilmente<br />

e indissolubilmente, alla questione operaia e<br />

all’industrializzazione forzata, che, fin<br />

dall’inizio del primo piano quinquennale,<br />

divenne una realtà tangibile, a prezzo, però, di<br />

innumerevoli sacrifici per la gente.<br />

Una descrizione proveniente dal mondo<br />

letterario, riguardante la penuria delle abitazioni<br />

moscovite e la difficile situazione di<br />

sostentamento <strong>dei</strong> primissimi anni Venti ci<br />

viene offerta da Michail Afanas’evic Bulgakov<br />

in molti <strong>dei</strong> suoi racconti.<br />

Un solo desiderio mi incalzava attraverso tutta la nostra<br />

immensa e strana capitale: trovare di che sopravvivere.<br />

E lo trovavo - un sostentamento, in verità, gramo, incerto,


fluttuante. [...] Intendiamoci una volta per tutte:<br />

l’abitazione è la pietra angolare della vita umana.<br />

Ammettiamolo come un assioma: senza un’abitazione<br />

l’uomo non può vivere. adesso, in aggiunta a questo,<br />

rendo noto a tutti coloro che vivono a Berlino, Parigi,<br />

Londra e in altri luoghi, a Mosca non ci sono appartamenti.<br />

E come vive la gente? Vive e basta. Senza<br />

casa. Ma non é tutto: gli ultimi tre anni a Mosca mi hanno<br />

convinto, e in modo del tutto definitivo, che i moscoviti<br />

hanno perso la nozione stessa di “appartamento” e con<br />

questa parola designano ingenuamente qualsiasi cosa.<br />

[...] Qual è il motivo di una vita così strana e spiacevole?<br />

Uno solo: manca lo spazio. È un fatto: a Mosca manca<br />

spazio. 4<br />

Da questo quadro emergono chiari elementi e<br />

segnali che portano a sostenere che questi erano<br />

gli anni in cui a Mosca si lottava per ottenere<br />

una stanza; erano gli anni in cui centinaia di<br />

persone migravano quotidianamente dalle<br />

campagne e dalle province, cercando una<br />

speranza, con il desiderio di un futuro che<br />

potesse garantire maggior stabilità nella<br />

capitale, in cui anche le strade erano piene di<br />

buchi, le tubature dell’acqua erano saltate e gli<br />

operai cercavano di sgorgare e di ripristinare<br />

le fognature intasate. 5 Tale condizione si<br />

estendeva, naturalmente, oltre i confini di<br />

Mosca a tutti i principali centri industrializzati<br />

sovietici, dove solo una minima parte delle<br />

abitazioni era dotata di acqua corrente, non vi<br />

erano canalizzazioni sotterranee, gran parte<br />

delle strade viabili erano sterrate e la rete di<br />

trasporto era assolutamente inadeguata. 6<br />

Alla vigilia della rivoluzione, malgrado<br />

la situazione di disaccordo politico interno al<br />

Paese fosse palpabile e nonostante le flessioni<br />

provocate dal conflitto al sistema produttivo<br />

intero, il Paese manteneva ancora un discreto<br />

potenziale economico. Ma, a seguito della<br />

complessa e non facile situazione venutasi a<br />

creare a partire dal 1918 con la guerra civile e<br />

il blocco delle potenze occidentali, si determinò<br />

un declino rapido e progressivo in ogni campo<br />

della produzione, declino che investì sia la<br />

situazione degli alloggi, sia la progettata<br />

politica di ricostruzione abitativa. L’idea che<br />

emerge, al fine della ricostruzione, dato che si<br />

www.larici.it<br />

Daniele L. Viganò - L’invisibile visione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />

8<br />

stimò che ben venti-trentamila abitazioni<br />

fossero andate distrutte nel corso del conflitto<br />

e della guerra civile, portò inizialmente a<br />

pensare in maniera parallela, ossia inseguendo<br />

un ipotetico modo nuovo di far coincidere forze<br />

produttive e strutture insediative e di conciliare,<br />

per quanto possibile, mondo contadino e<br />

proletariato, posti in stretto e progressivo<br />

contatto dalle continue e consistenti migrazioni<br />

dalle campagne verso le città.<br />

Come vedremo, questa ulteriore sfumatura<br />

continuerà a generare per tutto il corso degli anni<br />

Venti, nonostante il lento e progressivo aumento<br />

dell’importanza conferita alla dimensione<br />

abitativa, 7 problemi di sovraffollamento e di<br />

organizzazione dello spazio residenziale stesso.<br />

Una prima soluzione fu offerta dal<br />

modello di città-giardino che sembra voler<br />

superare il dilemma tra città e campagna in<br />

quanto espressione del nuovo modo di vita che<br />

si sta istituendo, lasciando affiorare una certa<br />

continuità con la tradizione e mostrando una<br />

reale contiguità con il passato agricolo<br />

dell’Unione <strong>Soviet</strong>ica, ma facendo sì che, allo<br />

stesso tempo, questi insediamenti potessero<br />

svilupparsi e costituirsi optando per il concetto<br />

di decentrabilità, parte del più ampio progetto<br />

di pianificazione urbana e territoriale voluto<br />

dallo stesso Lenin, che voleva questi quartieri<br />

immersi nel verde, ordinati, quasi «costruzioni<br />

ideali» sui modelli di tanto romantici quanto<br />

utopistici falansteri che riproducessero un<br />

microcosmo di vita idilliaca e gioiosa ai margini<br />

delle grandi città. 8<br />

Ad esempio, secondo i progetti e gli<br />

intenti urbanistici di questa fase dell’edilizia<br />

sovietica, tutta la città di Mosca doveva essere<br />

circondata da una cintura verde della larghezza<br />

di circa due chilometri, dalla quale, nella<br />

direzione del centro cittadino, si sarebbero<br />

diramate cunei e intere zone destinate a parco<br />

pubblico, per migliorare le condizioni del<br />

territorio; in questo modo, ogni abitante<br />

avrebbe avuto a disposizione ben ventisei metri<br />

quadrati di verde. Questa tipologia urbana,<br />

espressione tipica della casa individuale, aveva


caratteristiche molto simili alla izba contadina.<br />

In effetti, fino a quel momento, risultava che<br />

in tutti i centri urbani del territorio sovietico,<br />

l’89,2 percento delle case fosse edificato su un<br />

solo piano, a caratterizzare questo tipo di<br />

alloggio come esclusivamente a struttura<br />

unifamiliare o al massimo bifamiliare. 9<br />

Il modello delle città-giardino fu interpretato<br />

come strumento per sperimentare,<br />

quindi, le relazioni sociali, oltre che come<br />

terreno di ipotesi funzionale e organizzativa del<br />

problema abitativo e si propose di giocare un<br />

ruolo fondamentale nella ricomposizione di<br />

economia e società. L’aggregato era, così,<br />

costituito da edifici monofamiliari o bifamiliari,<br />

dotati di un piccolo appezzamento di terreno,<br />

circondati dal verde e gravitanti attorno a un<br />

polo sociale e culturale: con questa struttura, il<br />

modello howardiano 10 appariva, infatti, una<br />

soluzione plausibile alla disgregazione e<br />

all’insalubrità <strong>dei</strong> grossi centri urbani e,<br />

contemporaneamente, come già evidenziato,<br />

conforme alle prospettive di decentramento e<br />

di superamento della contrapposizione storica<br />

del rapporto tra città e campagna, affermate e<br />

volute con decisione dal programma politico<br />

del partito bolscevico. In uno sconfinato<br />

continente rurale, quale l’Unione <strong>Soviet</strong>ica era<br />

e sarebbe rimasta fino agli anni Trenta, il<br />

contesto della città-giardino poteva risultare<br />

una logica e quasi naturale evoluzione della già<br />

citata e rappresentativa izba, la secolare<br />

abitazione in legno <strong>dei</strong> contadini, esaltando, al<br />

tempo stesso, ora in chiave sociale superiore,<br />

valori creduti propri dell’insediamento agricolo,<br />

quali il comporsi della comunità stessa<br />

secondo la struttura patriarcale e quel richiamo,<br />

forte e sempre presente, conferito dall’intimità<br />

domestica, la cui stufa, posta al centro dello<br />

spazio abitativo, ne era la sua immediata<br />

percepibile “impersonificazione” e materializzazione.<br />

A seguito di questa fase di ricostruzione,<br />

naturale e necessaria, che caratterizzò il sistema<br />

abitativo sovietico negli anni immediatamente<br />

posteriori alla Prima guerra mondiale, due<br />

www.larici.it<br />

Daniele L. Viganò - L’invisibile visione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />

9<br />

furono i momenti altrettanto significativi che<br />

si configurarono all’orizzonte del panorama<br />

degli anni Venti, che portarono l’intero Paese<br />

verso una nuova svolta e verso un relativo<br />

periodo di transizione, nella più ampia ottica<br />

della creazione di un nuovo modo di vita, di<br />

un rinnovato stile di esistenza e della futura città<br />

«socialista»: la NEP, ossia la Nuova Politica<br />

Economica, e il Costruttivismo, corrente<br />

artistica e architettonica che si impose nella<br />

cultura e nell’ideologia dominante dell’epoca<br />

a partire dalla metà degli anni Venti. Insieme,<br />

questi due fattori si resero responsabili della<br />

transizione, che aveva tratto e ritrovato le<br />

proprie motivazioni nell’istituzione della casa<br />

unifamiliare, nella direzione della collettivizzazione<br />

della quotidianità, largamente<br />

intesa, in ogni suo settore e ambito. Infatti, le<br />

pratiche reali, che caratterizzarono la politica<br />

urbana <strong>dei</strong> primissimi anni Venti, furono in<br />

realtà di gran lunga più articolate e maggiormente<br />

complesse di quanto questo iniziale<br />

e, ora, nuovo scenario normativo potesse<br />

lasciare prevedere e intuire, e di come la<br />

transizione, per altro irreversibile nei propositi<br />

e nelle intenzioni, si verificò in modo tutt’altro<br />

che lineare.<br />

Alla radicalità delle scelte compiute nel<br />

periodo del comunismo di guerra, operate tra<br />

il 1918 e il 1921, fece seguito un atteggiamento<br />

più pragmatico e una profonda revisione dello<br />

Stato nei fatti e nelle Idee, che non solo fece<br />

presagire, ma concretamente mise in atto un<br />

vero e proprio modello di politica abitativa e<br />

di economia urbana mista, strettamente<br />

motivata e legata alle ipotesi che stavano alla<br />

base della NEP.<br />

Se nel tormentato triennio postbellico le<br />

parole d’ordine - o, meglio, l’atteggiamento<br />

imperante degli organi dirigenti - furono la<br />

concentrazione, spinta ai massimi livelli,<br />

dell’autorità e del potere economico, la<br />

centralizzazione della distribuzione, che altro<br />

non stava a significare che il totale controllo<br />

sulle attività produttive e la naturalizzazione<br />

dell’economia e <strong>dei</strong> rapporti sociali, sinonimo


di soppressione formale del commercio privato<br />

e della libera contrattazione, nonché della<br />

abolizione pura e semplice di ogni tipo di<br />

rapporto che fosse basato su merci e denaro,<br />

con lo storico discorso tenuto dallo stesso Lenin<br />

nel marzo 1921 al X Congresso del Partito<br />

venne posta in luce e rilevata l’importanza<br />

fondamentale della libertà di commercio, al fine<br />

di sancire e di stimolare l’impegno produttivo<br />

del singolo contadino. Questa nuova situazione,<br />

che stava ora prendendo forma, fu definita e<br />

resa evidente da una serie di decreti varati tra<br />

marzo e maggio 1921, determinando, di<br />

conseguenza, le condizioni dell’importo in<br />

natura e del libero scambio di merci. A queste<br />

leggi seguirono, in breve tempo, misure<br />

analoghe per il commercio e per l’industria.<br />

«Sistema transitorio misto» fu una delle<br />

definizioni che vennero utilizzate da Lenin per<br />

designare l’organizzazione economica introdotta<br />

con la nuova politica.<br />

Il passaggio a un regime di economia<br />

«decentralizzata» ebbe - e avrà, come vedremo -<br />

significative e notevoli conseguenze anche sul<br />

piano della politica abitativa. In modo naturale e<br />

altrettanto improvviso, questo clima di ripresa,<br />

frutto di una continuo transito e passaggio, dettato<br />

dalle nuove aperture politiche, economiche e<br />

sociali, che abbiamo descritto, trasformò, nel giro<br />

di poco tempo e in maniera relativamente confusa,<br />

la vita quotidiana del cittadino sovietico,<br />

accentuando da un lato quel perenne contrasto<br />

tra povertà diffusa ed elitaria opulenza, dall’altro<br />

generando un fervore multicolore e un effetto di<br />

continua e sorprendente trasformazione nelle<br />

grandi città del Paese: in primis, Mosca,<br />

ricettacolo, motrice e rappresentante sempre<br />

“all'avanguardia” a fronte di ogni cambiamento<br />

e mutazione che avveniva all’interno <strong>dei</strong> confini<br />

teutonici.<br />

Preziosi spunti, contaminazioni dalla<br />

letteratura di Bulgakov sugli anni della NEP<br />

affiorano ancora una volta dai suoi racconti,<br />

dove traspare, nelle parole dello stesso autore,<br />

un anticipato senso di lieve e moderata euforia<br />

e sofferta fiducia nel futuro, poi un leggero<br />

www.larici.it<br />

Daniele L. Viganò - L’invisibile visione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />

10<br />

disprezzo verso l’ostentazione e verso quel<br />

“marasma” che si era venuto all’improvviso a<br />

creare.<br />

In questa stagione hanno rinnovato tutto, decorato,<br />

incollato. Nella prossima stagione, ne sono sicuro,<br />

costruiranno. D’autunno, guardando le pentolone con<br />

l’asfalto bollente, che brillano come un fuoco infernale<br />

nelle strade, ho provato un presentimento gioioso.<br />

Costruiranno, nonostante tutto. Forse questa è la fantasia<br />

di un fiducioso moscovita... Ma per me, se lo volete, io<br />

vedo un vero Rinascimento. 11<br />

Il mio cuore era pieno di gioia e di paura. Mosca<br />

incominciava a vivere, era chiaro, ma sarei vissuto io?<br />

Ah, i tempi erano ancora difficili! Non si poteva essere<br />

certi del domani. Ma comunque io e quelli come me<br />

non mangiavamo più granaglie e saccarina. C’era la<br />

carne a pranzo. Per la prima volta in tre anni non avevo<br />

“ricevuto” le scarpe ma le avevo “comprate”; non erano<br />

due volte la mia misura, ma solo un paio di numeri più<br />

grandi. 12<br />

E così Bulgakov descrive le luci e gli svariati<br />

colori della capitale:<br />

Non c’è errore più deleterio che rappresentarsi la grande,<br />

enigmatica Mosca del 1923 come verniciata di un solo<br />

colore. È invece un arcobaleno. Gli effetti di luce sono<br />

stupefacenti. I contrasti sono smisurati. [...] Mosca è un<br />

pentolone, in cui fanno cuocere la nuova vita. [...]<br />

Un’insegna dopo l’altra. Insegne lunghe un metro e<br />

insegne lunghe due metri. La tinta fresca colpisce gli<br />

occhi. E che cosa non c’è, che cosa, su quelle insegne! 13<br />

Infine, affiora un sottile sospetto verso quel<br />

nuovo tipo di società e verso quelle poche<br />

persone che, sotto il sole della NEP, hanno<br />

trovato spazio, affermazione e un’effimera<br />

rinascita.<br />

Ora con le borse <strong>dei</strong> documenti, ora con gli elmi dalla<br />

stella rossa, e ora, a un tratto, sobbalza sui cuscini di<br />

pelle una signora in stola, con un cappellino da cento<br />

milioni comperato sul Kuznetskij Most. E, accanto a lei,<br />

si capisce, un tipo dal berretto sbiadito. Nouveaux riches.<br />

Gente della NEP. 14<br />

Il fervore e il risveglio economico garantito dal<br />

processo di liberalizzazione del mercato e della<br />

parziale privatizzazione degli investimenti,


permise, come anticipato, nel periodo della<br />

NEP, la ripresa dell’edilizia abitativa in Unione<br />

<strong>Soviet</strong>ica.<br />

Ed è a partire da tale contesto e da tali<br />

premesse, nell’ambito di una pratica e di un<br />

programma che riunivano insieme tratti di<br />

socialismo e capitalismo che deve essere<br />

analizzato e colto il difficile e complesso<br />

carattere dello sviluppo urbano in URSS, fino<br />

a quando verrà avviata la fase del primo piano<br />

quinquennale. Mosca, in particolare, divenne<br />

un vero e proprio laboratorio di trasformazione<br />

urbana. L’accelerazione del processo di<br />

industrializzazione, la rinnovata circolazione<br />

del capitale privato, l’emigrazione massiccia<br />

dalle campagne segnarono in maniera caotica<br />

lo spazio abitativo e urbano, che, fino a quel<br />

momento e per secoli, aveva nel complesso<br />

mantenuto una propria precisa identità,<br />

incarnata da un immenso villaggio costituito<br />

da case in legno, accanto a prestigiose e ben<br />

curate palazzine in muratura e ad innumerevoli<br />

chiese con le cupole e campanili dorati.<br />

A mutare l’orizzonte e l’impostazione del<br />

problema insediativo, in quanto nodo sociale ed<br />

economico, non meno che progettuale, problema<br />

che coincise largamente, in questa fase, con la<br />

questione dello spazio abitativo operaio, fu il<br />

movimento artistico e architettonico del<br />

Costruttivismo, secondo fattore e momento, che<br />

fece la sua comparsa sulla scena sovietica e pose<br />

le sue basi a partire dal 1923, affermandosi, poi,<br />

nella seconda metà degli anni Venti. Con esso si<br />

aprivano, allora, connessioni di ordine pratico e<br />

teorico di proporzioni ben più vaste di quelle<br />

che il modello delle città-giardino aveva potuto<br />

abbracciare. Il manifesto del Costruttivismo,<br />

pubblicato nel 1924 nell’almanacco “Il piano<br />

della letteratura” (Gosplan literatury), si faceva<br />

portatore di questo messaggio in modo chiaro e<br />

paradigmatico: «Il costruttivismo è una tappa<br />

verso l’arte del socialismo». 15 In concreto, si<br />

voleva con ciò sottolineare il rifiuto di una<br />

posizione prevalentemente estetica, al fine di<br />

promuovere una ricerca che garantisse uno<br />

stretto connubio tra ideologia e prassi, dove le<br />

www.larici.it<br />

Daniele L. Viganò - L’invisibile visione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />

11<br />

capacità creative e costruttive che si stavano<br />

sviluppando risultassero connesse ai contenuti<br />

del nuovo mondo. Gli architetti, in sostanza,<br />

dovevano evitare di essere dominati e corteggiati<br />

dal plausibile impulso della fantasia,<br />

poiché le nuove soluzioni in campo architettonico<br />

dovevano essere unicamente<br />

ispirate a un’architettura che comprendesse e<br />

testimoniasse chiaramente la vita e le condizioni<br />

sociali delle masse. Fondamentale<br />

diveniva, quindi, non soltanto focalizzare e<br />

ricostruire gli oggetti secondo una nuova logica<br />

e un «nuovo costume» sociale, ma riformare<br />

l’intero sistema della vita quotidiana che li<br />

conteneva, in tutte le sue manifestazioni statiche,<br />

che riguardavano le questioni edilizie in sé stesse<br />

e le proprie «forme» di rappresentazione, e<br />

quelle dinamiche, ove il soggetto o l’oggetto<br />

preso in considerazione fosse in qualche modo<br />

l’individuo, inteso, ora, nella sua dimensione<br />

meramente e asetticamente collettiva. Il<br />

Costruttivismo, così, assunse a unica e indiscussa<br />

forma d’espressione riconosciuta dall’arte<br />

industriale in quanto non si limitava a una ricerca<br />

di forme ispirate «all'estetica della macchina»,<br />

ma era e doveva essere il metodo dell’arte nuova,<br />

nata dalle ceneri della rivoluzione e immediatamente<br />

comprensibile alle masse.<br />

La sua seconda peculiarità fu quella di<br />

aspirare all’universalità, metabolizzando in sé<br />

l’obiettivo di estendere la propria ricono-scibilità<br />

tesa a investire, di conseguenza, ogni settore del<br />

quotidiano: a partire dalla pittura, dall’architettura<br />

e dall’arte, fino ad arrivare all’oggettistica e al<br />

mondo della moda. L’arte, secondo i costruttivisti,<br />

doveva avere uno scopo, ossia essere strettamente<br />

finalizzata e correlata a una funzione, incarnare<br />

nei suoi modi espressivi esigenze di ascetica<br />

eleganza, delineati con aspro e particolare rigore<br />

e chiarezza angolare e non esistere più per sé<br />

stessa; vale a dire, rinunciare a ogni sfavillio<br />

estetico a favore di una cruda e seria essenzialità.<br />

Questo modo d'essere non rispecchiava altro che<br />

le paradigmatiche esigenze del discorso politico<br />

sotteso e rispondente nei propri contenuti al gusto<br />

della sobrietà, della linearità e naturalmente


dell’essenzialità.<br />

Le idee e le teorie appartenenti a questa<br />

nuova percezione della realtà e a uno sviluppo<br />

del tessuto urbano, volto, sempre più decisamente,<br />

alla costruzione della «città socialista», si<br />

concretizzarono e vennero incarnate, a partire<br />

dalla metà degli anni Venti, dalle due principali<br />

correnti che svolsero un ruolo fondamentale nel<br />

pensiero architettonico sovietico: l’ASNOVA<br />

(Associazione <strong>dei</strong> nuovi architetti) e l’OSA<br />

(Associazione degli architetti contemporanei).<br />

L’ASNOVA, fondata da Nikolaj Ladovskij,<br />

docente del VCHUTEMAS (Laboratori statali<br />

superiori d’arte e di tecnica ), poneva al primo<br />

posto l’esibizione e la creazione di una struttura<br />

alla cui base si evidenziassero una sorta di<br />

comunione tra «uomo, forma e spazio», ritenendo<br />

indispensabile l’utilizzo delle conquiste più<br />

recenti della scienza, della tecnica e <strong>dei</strong> materiali<br />

dell’architettura. Fece seguito, nel 1925, l’OSA,<br />

nella quale si raggrupparono alcuni architetti<br />

costruttivisti in odore di aperta critica verso le<br />

concezioni dell’ASNOVA, sotto la guida <strong>dei</strong><br />

fratelli Leonid, Viktor e Aleksandr Vesnin e di<br />

Moisej Ginzburg, che ne divenne il leader<br />

ideologico e il teorico più rappre-sentativo.<br />

Secondo i membri dell’associazione, nella<br />

nuova società, l’arte doveva venire a coincidere<br />

con l’organizzazione, il lavoro e la produzione.<br />

Le divergenze interne, nate e sviluppatesi tra<br />

le due correnti architettoniche, vertevano più<br />

che altro sul fatto che i rappresen-tanti<br />

dell’OSA considerassero l’organizzazione del<br />

nuovo stile di vita, che si stava affermando a<br />

livello oggettivo, come la base della concezione<br />

architettonica per antonomasia, mentre per i<br />

caposcuola dell’ASNOVA si trattava di un<br />

semplice incontro tra la forma e il sistema di<br />

percezione e di espressività visiva, garantita<br />

ancora dall’occhio umano. In sintesi, gli uni si<br />

battevano per una maggiore creatività nell’ambito<br />

delle esigenze del metodo funzionale e<br />

applicativo delle proprie teorie, gli altri,<br />

miravano a un serio atteggiamento nei riguardi<br />

della organizzazione funzionale e nella<br />

progettazione della struttura. Nel 1928<br />

www.larici.it<br />

Daniele L. Viganò - L’invisibile visione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />

12<br />

Ladovskij, insieme ad alcuni collaboratori che<br />

con lui avevano lasciato il movimento architettonico,<br />

fondò l’ARU (Associazione degli<br />

architetti urbanisti), seguita a sua volta dalla<br />

nascita della VOPRA (Associazione degli<br />

architetti proletari) diretta da Karo Alabjan, che<br />

troverà fortuna e terreno fertile nei successivi<br />

anni Trenta.<br />

Nonostante il Costruttivismo e il relativo<br />

periodo, che andò dal 1925 al primo Piano<br />

quinquennale, stessero segnando una tappa<br />

fondamentale nell’offrire un volto concreto alla<br />

ricostruzione di un nuovo stile e di un nuovo<br />

sistema di vita in Unione <strong>Soviet</strong>ica, la<br />

situazione degli alloggi e delle abitazioni<br />

rimaneva comunque tra le più spinose e<br />

delicate. Non era più un fatto segreto che la<br />

nuova etica, edificata sulla base dell’ascetismo,<br />

significava il rifiuto di ogni frivolezza,<br />

richiedeva per sé stessa una rigida disciplina,<br />

l’obbligo di rendersi utili per il collettivo e di<br />

occuparsi di attività «sane», null’altro che a<br />

voler dire che il tempo quotidiano, studiato<br />

appositamente per il cittadino-lavoratore<br />

sovietico, fosse integrato da tutta una serie di<br />

momenti che avevano il principale obiettivo di<br />

mantenere occupato l’individuo nella mente e<br />

nel corpo, di modo da ottenere un controllo<br />

pressoché totale e totalizzante sulla vita di<br />

ciascuno.<br />

Se nei primi anni Venti, a fronte del<br />

problema dello spazio e della casa, gli abitanti, in<br />

special modo quelli della capitale, si erano abituati<br />

alla presenza del «tramezzo» - struttura di legno<br />

inchiodata in fretta e furia con lo scopo di sottrarre<br />

identità e ripartire i comodi alloggi del capitalismo<br />

borghese, 16 che fu combattuto con ogni mezzo, a<br />

beneficio di una ridistribuzione e moltiplicazione<br />

dello spazio abitativo, a fronte delle imponenti<br />

campagne migratorie verso le grandi città - ora,<br />

grazie all’apporto decisivo dell’arte costruttivista,<br />

prese piede una nuova concezione dell’ars vivendi<br />

sovietica, che riguardava non solo il problema<br />

della forma e dello stile architettonico esteriore,<br />

ma anche e soprattutto l’organizzazione e la<br />

distribuzione degli spazi interni alla “casa”; spazi


che fossero peraltro identificati e correlati al nuovo<br />

spirito del tempo e alla politica visione dello stretto<br />

intreccio tra lavoro operaio, industria e abitazione,<br />

tesi a unificare, nel linguaggio “previsto”, i luoghi<br />

del lavoro con quelli adibiti al riposo.<br />

Assieme alla proprietà privata, dunque,<br />

dovevano essere eliminati i sentimenti che<br />

l’avevano riguardata: il possesso, il concetto più<br />

ampio di territorialità, dipendenza e gelosia,<br />

categorie e manifestazioni dell’animo umano ora<br />

non più accettate e considerate caratteristiche<br />

prettamente individuali.<br />

Il tutto si realizzò nel progetto della dom<br />

kommuna, la cosiddetta «casa comune»,<br />

falansterio in cui i nuovi uomini avrebbero<br />

dovuto convivere idealmente in un’armonia<br />

basata sull’assoluta parità tra diritti e doveri e<br />

contrassegnata dalla totale mancanza di invidie<br />

e gelosie. A partire dalla ricostruzione delle<br />

abitudini e <strong>dei</strong> comportamenti domestici, il passo<br />

era breve nella direzione di uno stravolgimento,<br />

cercato e voluto, della natura umana: l'«uomo<br />

nuovo» era così pronto per una nuova e<br />

progredita esistenza. I nuovi canoni adottati, ma<br />

soprattutto le dimensioni della progettata<br />

urbanizzazione mutarono notevolmente rispetto<br />

alla prima metà degli anni Venti.<br />

In breve tempo, sotto la spinta del «sogno<br />

socialista», furono varati piani ed emendamenti<br />

che invitavano la realtà sovietica a coniare<br />

terminologie che portassero in sé il germe di<br />

un radioso futuro, parto di quel nuovo mondo<br />

che, a poco a poco, si stava schiudendo innanzi.<br />

Una di queste formulazioni poste in essere fu<br />

senza dubbio quella di «condensatore sociale»,<br />

17 concetto che voleva specificare che<br />

se l’architettura era, o meglio, doveva essere<br />

ora il riflesso della società, era solo vivendo<br />

entro nuove strutture che l’uomo nuovo poteva<br />

uscire dalle spoglie dell’antico. Su questa<br />

espressione - basilare per poter comprendere<br />

la successiva transizione che venne attuata a<br />

beneficio del sistema abitativo collettivo e<br />

l’intimo significato che alla nozione stessa di<br />

condensatore sociale fu attribuita, soprattutto<br />

a livello politico - faremo in seguito ritorno.<br />

www.larici.it<br />

Daniele L. Viganò - L’invisibile visione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />

13<br />

Ancora, infatti, urgeva ed era rimasta irrisolta,<br />

nonostante gli sforzi compiuti, la questione della<br />

distribuzione e della costruzione degli alloggi,<br />

intesa come pura ricerca di spazi, atti a soddisfare<br />

le esigenze della politica e della popolazione<br />

insieme. Ciò dipese da due fattori di primissima<br />

importanza: da un lato, parte <strong>dei</strong> progetti<br />

rimasero sulla carta, non vedendo mai la luce, a<br />

prescindere dalla notevole spinta economica<br />

della NEP, dall’altro, il flusso di migrazioni dalle<br />

campagne aveva provocato un aumento, di fatto,<br />

non del tutto previsto, che determinò condizioni<br />

di sovraffollamento, in particolar modo nelle<br />

“capitali” del Paese. Alla scarsità del patrimonio<br />

residenziale seguì una forte riduzione dello<br />

spazio abitativo pro-capite; in parole semplici,<br />

diminuirono la superficie di ogni appartamento<br />

e la superficie destinata a ogni cittadino,<br />

nonostante lo Stato, attraverso un impiego<br />

costantemente crescente di risorse, stesse<br />

cercando di articolare la propria presenza nel<br />

settore edilizio proprio in funzione della<br />

domanda operaia, che costituiva di fatto il futuro<br />

sovietico, legato indissolubilmente al costante<br />

e in parte forzato processo di trasformazione del<br />

Paese in senso industriale, voluto dal socialismo<br />

nascente.<br />

Nella tabella seguente è descritta, in<br />

modo evidente, la situazione della reale<br />

superficie abitativa, ossia lo spazio fisico<br />

destinato, al termine degli anni Venti, a ogni<br />

singolo individuo, classificato come operaio ed<br />

impiegato, prendendo come riferimento la<br />

popolazione di alcune delle più ampie città e<br />

zone industriali dell'Unione <strong>Soviet</strong>ica, dove<br />

maggiore era la concentrazione urbana. 18<br />

mq/ab (metri quadrati per abitanti)<br />

Leningrado Mosca Ucraina Prov.<br />

industriali<br />

del Centro<br />

popolazione<br />

urbana 8,7 5,7 5,8 5,3<br />

di cui<br />

operai 6,8 4,7 4,85 4,3<br />

impiegati 11,0 0,5 7,2 6,25


Il piano quinquennale, approvato nel 1929, fu<br />

superato negli anni successivi da piani e<br />

progetti ancora più ambiziosi che permisero di<br />

conseguire indubbi e quasi inaspettati successi,<br />

ma portarono anche ad alcuni evidenti squilibri,<br />

messi in luce, per quanto riguarda il settore<br />

abitativo, dal netto divario tra i valori di<br />

edificazione pianificati e quelli effettivamente<br />

conseguiti e, soprattutto, dai rapporti tra gli<br />

investimenti globali effettuati e quelli destinati<br />

all’edilizia residenziale. In un certo qual modo,<br />

la questione della ridistribuzione degli spazi fu<br />

messa da parte o comunque passò in secondo<br />

piano a favore di un continuo processo di<br />

industrializzazione, da una parte, e di un mutato<br />

e ridondante «nuovo senso estetico». dall’altra,<br />

desideroso unicamente di premiare l’abbellimento<br />

e l’ostentazione del potere, incarnato da Stalin e<br />

dall’incanalamento di tutte le energie del Paese<br />

nel dare vigore a quella fase della storia sovietica,<br />

che sarà conosciuta come «Realismo socialista».<br />

Nella seconda tabella, questo discorso<br />

appare chiaro se si pongono in relazione quattro<br />

parametri inscindibilmente legati tra loro, quali<br />

il periodo che intercorre tra la fine della parabola<br />

di Lenin e l’ascesa di Stalin, il considerevole<br />

aumento della popolazione urbana con lo spazio<br />

abitativo programmato e concretamente realizzato<br />

e, infine, la risultante estensione stabilita per ogni<br />

persona. Come si nota, la tendenza rivela un<br />

rapporto inversamente proporzionale tra i vari<br />

fattori in termini assoluti, poiché, se è vero che a<br />

un aumento della popolazione corrisponde, negli<br />

anni, un incremento delle opere edilizie effettuate,<br />

altrettanto vero è che la superficie pro-capite<br />

continua a diminuire.<br />

Dinamica della popolazione urbana e del settore<br />

abitativo (1933-1940)<br />

popolazione urbana sup. abitativa tot. mq/ab<br />

(in migliaia di mq)<br />

1923 21,6 139,1 6,45<br />

1926 26,3 153,0 5,85<br />

1928 27,6 163,2 5,91<br />

1932 38,7 191,3 4,94<br />

1937 53,0 220,8 4,17<br />

1940 59,2 242,1 4,09<br />

www.larici.it<br />

Daniele L. Viganò - L’invisibile visione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />

14<br />

(Fonte: T. Sosnovy, The Housing Problem in<br />

<strong>Soviet</strong> Union, New York 1954)<br />

Alla luce di questi dati, resta quindi indubbio che<br />

il settore edilizio, fino al consolidamento della<br />

«pianificazione socialista», risultò, nella pratica,<br />

fermamente subordinato alle linee dominanti della<br />

strategia della industrializzazione e, nonostante<br />

la ragguardevole espansione, non resse il<br />

confronto con gli elevati tassi di incremento<br />

dell’urbanesimo sovietico. 19<br />

Furono quindi i cosiddetti «condensatori<br />

sociali» a rendersi espressione della vagheggiata<br />

ricostruzione socialista della città sovietica,<br />

nonostante gli enormi e difficilmente risolvibili<br />

problemi che abbiamo poco sopra posto in<br />

evidenza. I condensatori, la cui estrinsecazione<br />

più indicativa fu rappresentata «dall'abitazione»,<br />

vero e proprio habitat comunitario, divennero,<br />

da questo momento in poi, matrice e riverbero<br />

della nuova società. Matrice perché è all’interno<br />

di questi edifici che l’uomo antico diventerà<br />

uomo nuovo; riflesso, perché concepiti a<br />

immagine e somiglianza della società futura,<br />

non già esistente, ma di cui si intraprende la<br />

costruzione e la cui realizzazione apporterà alla<br />

vita di tutti i giorni una dimensione mai<br />

conosciuta prima. Da questo disegno scaturirà<br />

necessariamente una concezione della città<br />

dove i luoghi di cultura e di associazione,<br />

nonché la fabbrica e l’abitazione collettiva,<br />

costituiranno i poli privilegiati. E sarà nel cuore<br />

di questo accentramento e concentrazione degli<br />

spazi, che sicuramente meglio permise un<br />

generale controllo politico <strong>dei</strong> singoli cittadini,<br />

che si creeranno le condizioni oggettive per una<br />

trasformazione dell’individuo, preoccupato<br />

unicamente <strong>dei</strong> propri interessi, così come<br />

l’aveva formato il mondo capitalista, in un<br />

individuo completo, un militante cosciente<br />

della società socialista, nella quale l’interesse<br />

di ciascuno si sarebbe confuso con l’interesse<br />

di tutti.<br />

I pochi metri quadrati destinati singolarmente,<br />

la cosiddetta «cabina del sonno»,<br />

unico luogo destinato al riposo personale e


all’intimità in via di progressivo dissolvimento,<br />

lo sviluppo di tutte le attività, lavorative e non,<br />

in ambienti comuni e sotto forme strettamente<br />

collettive, l’utilizzo <strong>dei</strong> servizi igienici e di<br />

cucina in condivisione, gli elementi d’arredo<br />

economicamente concepiti e ridotti al limite del<br />

possibile impiego funzionale; tutto questo,<br />

contraddistinse alla fine degli anni Venti il tema<br />

dell’abitazione, come lo spazio di una pressoché<br />

totale opera di collettivizzazione <strong>dei</strong><br />

comportamenti individuali, come luogo e<br />

strumento di produzione di una nuova umanità<br />

comunista e, parallelamente, fece lentamente<br />

emergere l’illusione di un’immediata e<br />

completa metamorfosi della vita quotidiana<br />

come riferimento progettuale praticabile e<br />

traducibile in soluzioni di più ampio respiro.<br />

In definitiva, proprio agli albori del<br />

nuovo decennio, si manifestò una coscienza<br />

idealista, ma non certamente fatua, che porta a<br />

considerare gli anni Venti, nel loro complesso,<br />

sotto una luce interpretativa che determinò una<br />

logica antitesi e un percepibile scontro tra<br />

utopia e realtà, tra sogno e veglia, tra entusiasmo<br />

e abbattimento, insieme, a tracciare un<br />

percorso sempre ricco di contraddizioni, come<br />

del resto tutta la storia della Russia nella sua<br />

evoluzione.<br />

Volto e lineamenti di un’utopia e della sua<br />

realizzazione<br />

Che volete che vi dica? Mi sembra che tutto a poco a<br />

poco dovrà mutare sulla terra, e che anzi, già muti sotto<br />

i nostri occhi. Tra due o trecento anni - anche fra mille,<br />

il tempo preciso non conta - sorgerà una nuova vita felice.<br />

Noi, come è ovvio, non parteciperemo a una simile vita,<br />

ma è per essa che noi oggi viviamo, lavoriamo,<br />

soffriamo: siamo noi a crearla, e solo in ciò è lo scopo<br />

della nostra esistenza e insieme, se volete, la nostra<br />

felicità. 20<br />

Queste sono le parole usate da Anton Cechov<br />

per significare e ben sintetizzare come a poco<br />

a poco la mentalità e l’intero sistema del byt<br />

sovietico si stessero evolvendo, trasformando,<br />

www.larici.it<br />

Daniele L. Viganò - L’invisibile visione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />

15<br />

e di come l’Unione <strong>Soviet</strong>ica stesse divenendo,<br />

tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni<br />

Trenta, la «nazione migliore del mondo»,<br />

modello unico e inimitabile per l’umanità<br />

intera. In breve tempo il cittadino russo sarebbe<br />

stato il «più felice» del mondo. Si andava infatti<br />

costituendo quel territorio virtuale, miticoideale<br />

che può essere apposto e identificato<br />

come anticamera di una macchina praticamente<br />

perfetta: Stalinland, 21 intesa come terra di un<br />

contraddittorio benessere, nutrito di immagini<br />

e falsificazioni più reali della realtà stessa, terra<br />

della gioia perenne e dell’abbondanza per<br />

antonomasia.<br />

Viene spontaneo ricercare e analizzare le<br />

motivazioni di un tale appellativo “storicista”<br />

di matrice disneyana, intimamente legato a un<br />

mondo, che, trascorsi i burrascosi anni di<br />

passaggio tra il potere di Lenin e la sempre più<br />

pressante affermazione staliniana, di quella<br />

nuova estetica indotta e dominante, ora<br />

massicciamente proposta-imposta, transitava<br />

verso il “sicuro”, ma quanto mai fantomatico,<br />

mondo dell’Utopia, dove la stessa capitale,<br />

Mosca, avrebbe dovuto fungere da esempio per<br />

tutto il resto del Paese e sulla quale, in breve<br />

tempo, a partire dal Piano di ricostruzione<br />

generale del 1935, si sarebbero concentrati tutti<br />

gli sforzi dirigenziali, per imporre quel<br />

principio pedagogico, che voleva, in altisonante<br />

sintonia con la nuova epoca, l’organizzazione<br />

tout court della gioia come stimolo per la<br />

felicità del domani. Tutto ciò, naturalmente,<br />

non tralasciando assolutamente l’importanza<br />

che ora rivestiva il processo forzato di<br />

collettivizzazione sia a livello industriale che<br />

abitativo, obiettivi quanto mai irrinunciabili per<br />

la definitiva ricostruzione auspicata dal<br />

modello socialista.<br />

La situazione degli alloggi e la graduale<br />

edificazione del cosiddetto «uomo nuovo»<br />

possono essere, a buona ragione, considerati<br />

parte di una realizzazione di quell’Utopia che,<br />

attraverso gli anni Venti, ha, in qualche modo,<br />

garantito e assicurato al cittadino sovietico una<br />

casa, il luogo per antonomasia, e il progressivo


inserimento nella società civile, non più come<br />

individuo, borghese e rarefatto nelle sue<br />

aspirazioni latitanti e private, ma correttamente<br />

e politicamente cosciente di quale fosse il bene<br />

a cui tendere e di come operare, al meglio, per<br />

lo sviluppo e per la concretizzazione del grande<br />

progetto socialista, nel quale sembrava sempre<br />

presente che fosse dominante e irrinunciabile<br />

il ruolo svolto e interpretato dalla collettività,<br />

a indiscusso e automatico beneficio di tutti.<br />

Gli anni Venti sono identificati come<br />

terreno di esperimenti e invenzioni esteticoformali.<br />

I progetti sperimentali, quali la<br />

pianificata distribuzione socialista della città e<br />

la rigenerazione del byt, trovano, nel bene e<br />

nel male, la loro comprensione e carburazione<br />

nel rinnovato sistema della casa-comune e nelle<br />

abitazioni di tipo transitorio. Senza dubbio, è<br />

possibile rilevare anche in questo frangente un<br />

carattere, o forse più caratteri strettamente<br />

imparentati con l’Utopia e con gli ostacoli che<br />

si frapposero al fine di una compiuta realizzazione<br />

di quanto si andava progettando tra le<br />

“maglie” del potere, ma non va dimenticato che<br />

in parte lo stesso modello ortodosso di<br />

socialismo, anche se accertato alla fine di<br />

questo secolo, conteneva elementi già utopistici<br />

e che, nel decennio che precedette l’avvento di<br />

Stalin, venne in qualche maniera a mancare una<br />

descrizione precisa e definita, se non definitiva,<br />

della società futura, fino a quel momento, tanto<br />

vagheggiata nella mente di tutti. Sia nell’arte<br />

che nell’architettura si andava forgiando una<br />

nuova etica, dove il lavoro si trasformava,<br />

giorno per giorno, in culto e dove la creazione<br />

della «città ideale» fruiva <strong>dei</strong> dettami della<br />

regolamentazione e del rigido controllo dello<br />

Stato. Primo reale risultato fu che la vita privata<br />

del singolo si sciolse, come già ricordato, nella<br />

dimensione collettiva, determinando, cosa non<br />

irrilevante, la nascita-rinascita di un “tipo”<br />

nuovo e facilmente manovrabile di personalità,<br />

omologata secondo le esigenze e i dettami della<br />

dottrina, nella quale specchiarsi e riconoscersi<br />

al fine di istituire quel rapporto di sazietà e di<br />

provvigione, che deriva da una resa perfetta e<br />

www.larici.it<br />

Daniele L. Viganò - L’invisibile visione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />

16<br />

cosciente identificazione tra domanda e risposta,<br />

formulata, però, da un unico interlocutore.<br />

Prima di considerare quelli che potremmo<br />

definire gli “episodi” architettonici e mitici allo<br />

stesso tempo degli anni Trenta, di che cosa abbia<br />

poi in realtà significato la presa di coscienza verso<br />

un “domani” prossimo e di certa prosperità, vale<br />

la pena porre attenzione sul concetto di Utopia in<br />

stretta relazione al mondo sovietico e ai quei<br />

confini che, inevitabilmente, vengono tracciati o<br />

superati nel momento stesso in cui si pone o si<br />

vuole che quella stessa venga posta in essere.<br />

Bisogna sottolineare, innanzitutto, che<br />

ogni prospettiva di rivolgimento degli stili di vita<br />

e di regolamentazione o auto-regolamentazione<br />

dell’esistenza contiene sempre degli elementi<br />

propri dell’utopia, non scevra dalla sovrastruttura,<br />

in questo caso convintamente fattuale,<br />

dell’ideologia dominante e corrente. E quanto<br />

più il progetto sociale si dimostra dettagliato,<br />

tanto più esso è e diviene utopico, a maggior<br />

ragione in un campo così particolareggiato, dal<br />

punto di vista progettuale, come quello<br />

architettonico. Quindi, la prefigurazione del<br />

futuro, comportando sempre elementi di<br />

regolamentazione della vita quotidiana, propria<br />

e <strong>dei</strong> cittadini, non fa che aumentare questo<br />

carattere utopico del progetto in questione.<br />

Riguardo invece il problema o, meglio, la<br />

visione dell’uomo nuovo emerge il fatto,<br />

nell’ottica presa in esame, che i modelli e lo<br />

stile di vita della società futura erano desunti<br />

non tanto dall’analisi e dalla considerazione<br />

delle esigenze e <strong>dei</strong> bisogni reali dell’individuo,<br />

quanto da una rappresentazione astratta della<br />

società ideale, regno della giustizia sociale e del<br />

radioso avvenire in cui sarebbe vissuto “per<br />

sempre” l’uomo nuovo, così plasmato, nella<br />

logica di produrre e di lavorare, in nome <strong>dei</strong><br />

puri e ascetici interessi sociali, con gioia e<br />

felicità, perché parte irrinunciabile di un<br />

sistema pressoché perfetto, giusto e oliato con<br />

la dovuta intensità.<br />

Il tema dominante dell’Utopia, spalancatosi<br />

e auto-alimentatosi fin dall’inizio del periodo<br />

staliniano, consistente essenzialmente in quello


che può definirsi la rigorosa «costruzione di<br />

un destino», determinato, voluto e perseguito<br />

a tutti i costi, senza probabilmente aver tenuto<br />

conto fino in fondo della tenuta progettuale e<br />

<strong>dei</strong> possibili risultati a lunga gittata, presenta<br />

un futuro in cui l’intero e ogni globale aspetto<br />

del presente sia proiettato, un dominio<br />

“razionale” del futuro stesso, a partire dall’oggi<br />

e, cosa fondamentale, di una eliminazione del<br />

rischio che esso comporta. 22 Naturalmente,<br />

questa utopia razionale conduce a una visione<br />

strutturale della totalità nel suo insieme che è e<br />

diviene continuamente, perché modello calato<br />

nella dinamica del reale <strong>dei</strong> processi politicoeconomici<br />

in atto.<br />

Ruolo determinante, con la continua e<br />

ripetuta tensione verso la realizzazione dell’utopia<br />

stessa e con essa stessa inscindibilmente legata, è<br />

svolto dall’Ideologia che può essere vista e può<br />

essere data dalla forma di una «dialettica» che si<br />

fondi sul negativo, sul dato oggettuale e reale,<br />

oggettivato come un qualcosa da correggere e da<br />

superare, lesivo nei termini di un avanzato radioso<br />

futuro per tutti e di un gioioso progetto mondo ;<br />

ideologia che faccia della contraddizione, quindi,<br />

l’elemento propulsore dello sviluppo e che<br />

riconosca la realtà del sistema a partire dalla<br />

presenza della contraddizione, inteso come stato<br />

di crisi a cui porre rimedio dall’interno e da<br />

risolvere. A questo punto, l’ideologia si assume<br />

il compito di unificare il soggetto e l’oggetto<br />

della produzione, come abbiamo già delineato<br />

nel descrivere il processo di collettivizzazione<br />

e di trasformazione della realtà umana sovietica,<br />

legittimando quel salto che permette di superare<br />

tutti i momenti di contraddizione per presentare,<br />

come già reali nuovi modelli di vita, esistenza e<br />

lavoro che generano intrinsecamente il luogo e/<br />

o il non-luogo dell’utopia. Tali modelli non<br />

faticano a entrare, però, nuovamente in crisi<br />

ogni volta che si proporrà il momento di una<br />

verifica reale <strong>dei</strong> propri obiettivi e ogni volta<br />

che la stessa gestione del consenso, ottenuto<br />

attraverso la “promessa”, prefigurazione<br />

dell’utopia e funzionale al fine di una unanime<br />

estrazione di esso, e attraverso la propaganda<br />

www.larici.it<br />

Daniele L. Viganò - L’invisibile visione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />

17<br />

nelle sue più diverse manifestazioni, si rivelerà<br />

poco adeguato ai fini di un concreto sviluppo.<br />

Questo è il motivo per cui possiamo<br />

asserire che, nella prefigurata società sovietica<br />

dagli anni Trenta in poi, l’intreccio tra Ideologia<br />

e Utopia appoggia e poggerà sempre su una<br />

complessa relazione dialettica, dove l’utopia,<br />

una volta affermatasi, si trasforma di nuovo in<br />

ideologia. Terra di conquista del Realismo<br />

socialista sarà la raggiunta consapevolezza del<br />

ruolo della «esperienza» come tratto indelebile<br />

che dominerà e fonderà sempre il soggetto. Il<br />

principale problema affrontato, che risponderà<br />

perfettamente nel voler creare sia un’arte che<br />

un’architettura che si renda immediatamente<br />

comprensibile alle masse, mutando anche i<br />

termini espositivi, progettuali, nonché i canoni<br />

estetici, rimarrà, quindi, quello del pianificare<br />

la definitiva scomparsa del soggetto, annullare<br />

l’angoscia che deriva dal patetico e risibile<br />

resistere dell’individuale di fronte alle strutture<br />

di dominio che lo stringono da ogni lato.<br />

Indicare, attraverso gli strumenti della<br />

persuasione, una o forse “la” terra promessa,<br />

dove il paradiso in terra è realizzato mediante<br />

la scomparsa del «tragico», borghese e<br />

individuale, a beneficio dell’affermazione<br />

dell’eroe collettivo, mutuato attraverso un<br />

vero e proprio rovesciamento di valore e<br />

prospettiva.<br />

Il risultato di tale processo si avvarrà,<br />

infine, di un’umanità che abbia introiettato tutto<br />

ciò come un rigido e profondo dovere morale<br />

e che non consideri quindi il lavoro o la<br />

produzione come altro da sé, ma che si<br />

riconosca come parte integrante di un piano<br />

complessivo e che, come tale, accetti fino in<br />

fondo di funzionare come ingranaggio di una<br />

macchina globale.<br />

Tenendo presente quanto analizzato e<br />

motivato riguardo al mondo dell’Utopia e di<br />

come abbia preso, irreversibilmente, corpo<br />

all’interno del sistema di vita sovietico di<br />

matrice staliniana, è ora possibile prendere in<br />

considerazione e rendere “visibile” l’epopea e<br />

lo sviluppo della dimensione architettonica-


estetica delle vicende degli anni successivi,<br />

incarnati dall’edificazione e dall’eterno progetto,<br />

mai realizzato, di ciò che avrebbe dovuto<br />

cambiare per sempre il landscape di Mosca: il<br />

<strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong>, unico e “atemporale”<br />

emblema dell’Utopia e del non-luogo staliniano.<br />

Numerosi e non sempre chiari sono i caratteri,<br />

polivalenti e molteplici, che alimentarono la svolta<br />

a partire dal 1931 in poi, anno in cui si vuole<br />

immaginare per Mosca, la futura «capitale<br />

dell'utopia», modello indiscusso volto a divenire<br />

qualcosa di incomparabilmente grandioso ed<br />

euforicamente indefinibile, quanto a capacità di<br />

realizzazione e quanto a quel destino immutabile,<br />

assegnatole consapevolmente dal progetto<br />

socialista.<br />

Gli anni Trenta: Stalin, dall’Utopia al<br />

Realismo socialista<br />

Senza dubbio, gli anni Venti hanno rappresentato<br />

per Mosca e per l’intero Paese un momento quasi<br />

magico, irripetibile sotto molteplici e diversificati<br />

punti di vista: la rottura con un passato importante<br />

che incorporava ancora strutture arcaiche,<br />

comunque non più definibili al passo con i tempi<br />

politicamente intesi; un passato che, grazie alla<br />

spinta ideale della rivoluzione, aveva liberato<br />

energie vitali in tutti i campi, da quello della vita<br />

di ogni giorno a quello della più “com-prensiva”<br />

visione del mondo e dell’arte. Le innovazioni<br />

proposte e perdutamente perseguite non<br />

avevano, però, avuto il tempo di concretizzarsi<br />

in molti aspetti dell’esistenza quotidiana,<br />

sociale ed economica, lasciando aperti e irrisolti<br />

molti problemi e mantenendo quel carattere<br />

utopico, strutturalmente e geneticamente al tutto<br />

connesso, in quanto innovazioni che avrebbero<br />

richiesto, decisamente, tempi molto più lunghi di<br />

quelli concessi e determinati dalla storia. Le varie<br />

discipline artistiche e architettoniche avevano,<br />

infatti, durante il roboante rimescolamento del<br />

decennio occorso, forse meglio di ogni altra cosa,<br />

tradotto l’utopia in rinnovamenti e rivolgimenti<br />

concreti e tangibili e avevano, conseguentemente,<br />

www.larici.it<br />

Daniele L. Viganò - L’invisibile visione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />

18<br />

alimentato maggiormente i sogni presenti e<br />

futuri, caricati ora di una valenza superiore.<br />

Ma, agli albori degli anni Trenta, illusione<br />

e sogni non potevano non scontrarsi con una<br />

realtà politica che andava radicalizzandosi, assai<br />

differente e ideologicamente rigorosa, dove<br />

entrambi i “mestieri” dell’architettura e dell’arte<br />

erano intimamente segnati e contrassegnati dal<br />

significante procedere politico e dai nuovi canoni<br />

dell’incombente estetica staliniana. Con il già<br />

proclamato appello alla «costruzione del<br />

socialismo» e l’avvio del primo Piano quinquennale<br />

del 1928, il Paese era stato rapidamente<br />

trasformato in un gigantesco cantiere e chiamato,<br />

sopra ogni cosa e con ogni priorità, alla<br />

realizzazione di obiettivi di mutamenti e<br />

trasformazione imponenti ed “eroici”. A questa<br />

fase contribuì in maniera decisa quel terreno<br />

ideologico, culturale e istituzionale che vide<br />

nella persona di Stalin e nella propria indiscussa<br />

e forse indiscutibile affermazione un percorso<br />

che avrebbe traghettato l’Unione <strong>Soviet</strong>ica<br />

verso una compiuta traduzione e codificazione<br />

spaziale <strong>dei</strong> nuovi rapporti attivati con il<br />

definitivo passaggio al «socialismo reale», alla<br />

cui scala e grandezza ideologica dovevano<br />

essere, adesso, ricondotte le ricerche sulle<br />

nuove forme di esistenza e organizzazione della<br />

vita quotidiana. La tensione nei confronti<br />

dell’avvenire era tale da porre in essere nuove<br />

problematiche da sciogliere, ulteriori obiettivi<br />

da condurre a realizzazione, e da prefigurare,<br />

in una prospettiva temporale o forse “atemporale”<br />

non particolarmente dilatata,<br />

cambiamenti radicali negli assetti economici,<br />

sociali e spaziali del Paese.<br />

Primo segno di questa svolta di rinnovamento<br />

e di riammodernamento del<br />

territorio sovietico fu compresa a partire dal<br />

processo di centralizzazione del potere avviato<br />

e voluto dallo stesso Stalin, una volta messo in<br />

atto, nel 1928, l’allontanamento di Lev Trockij,<br />

Gregorij Zinov'ev e di Lev Kamen’ev, allora<br />

rappresentanti <strong>dei</strong> vertici del Partito comunista<br />

russo e la successiva espulsione di Trockij<br />

dall’URSS, determinando così drastici risultati


sul terreno politico, sociale e culturale. 23 Senza<br />

ombre e senza veli, sul piano politico,<br />

scomparve di lì a poco ogni parvenza di<br />

democrazia; sul fronte dell’economia si impose<br />

una collettivizzazione dai ritmi incessanti e<br />

forzati, andando a creare quel substrato<br />

importante e irrinunciabile di manodopera<br />

coatta e lavoro che avrebbero asservito per<br />

lungo tempo e per decenni il desiderio di<br />

“magniloquente” ricostruzione, che caratterizzò<br />

in tutto e per tutto l’epoca staliniana.<br />

Mentre, sul versante proprio del mondo della<br />

cultura fu attuata una serie di rigidi controlli<br />

ratificati, nel 1932, mediante una risoluzione<br />

del Comitato Centrale, che pose fuori legge,<br />

con la conseguente e immediata soppressione,<br />

tutte le associazioni letterarie che non fossero<br />

ispirate al nuovo corso, dettato dall’attuale<br />

evoluzione <strong>dei</strong> tempi. A conferma di quanto era<br />

stato promulgato, solamente due anni dopo, nel<br />

1934, si aprì, sotto la presidenza di Maksim<br />

Gor’kij il Primo congresso degli scrittori<br />

sovietici, che proclamò il Realismo socialista<br />

l’unico modello valido al fine di costruire la<br />

nuova realtà, oramai non più solo mera teoria. 24<br />

La transizione verso un’economia confrontabile<br />

con quella delle nazioni indu-strializzate<br />

occidentali fu, per questo, condotta in modo<br />

prepotente e vigoroso, esercitando un potere che<br />

sarebbe diventato ben presto totalitarismo. Nel<br />

campo dell’architettura questo imperante<br />

atteggiamento di fondo significò e comportò il<br />

ritorno ai vecchi principi accademici e la fine<br />

della sperimentazione, anche in campo urbanistico.<br />

Ciò che appare rilevante sottolineare è<br />

che nei mesi che trascorsero tra la fine del 1929<br />

e l’inizio del 1930 si pensava che ogni cosa, a<br />

partire dai traguardi quantitativi fino a quelli<br />

di natura qualitativa, avrebbero potuto e dovuto<br />

essere realizzati. Obiettivi “straordinari”<br />

avrebbero, dunque, permesso al Paese di<br />

colmare quella storica arretratezza naturale nei<br />

confronti dell’Occidente; obiettivi che, allo<br />

stesso tempo, presupponevano, però, nel<br />

proprio concepimento, la “massima tensione”<br />

delle forze produttive e di tutta la popolazione<br />

www.larici.it<br />

Daniele L. Viganò - L’invisibile visione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />

19<br />

nel suo intero, rendendo percepibile, ma forse<br />

ancora poco comprensibile agli sguardi delle<br />

masse, quel legame indissolubile tra società e<br />

spazialità, finalizzato a una precisa riorganizzazione<br />

insediativa, da una parte, e,<br />

dall’altra, orientato al conseguimento <strong>dei</strong><br />

traguardi ultimi posti in essere dal processo di<br />

industrializzazione, dominato e sponsorizzato<br />

dal continuo rimando al socialismo reale. Di<br />

conseguenza, il problema delle città sovietiche<br />

e dell’urbanizzazione socialista non venne più<br />

affrontato nei termini di una parziale e<br />

provvisoria costruzione, limitata a taluni nodi<br />

urbani, o a parti di questi, ma si confermò in<br />

una volontà di trasformazione radicale delle<br />

coordinate insediative del Paese.<br />

E tali prospettive, come già ricordato, tra<br />

il 1929 e il 1930, si mostrarono agli occhi degli<br />

specialisti del settore come del tutto attendibili<br />

e praticabili.<br />

Punto focale della riedificazione socialista<br />

divennero, dapprima, i nuovi stabilimenti<br />

industriali e le decine di cittadelle del lavoro<br />

che stavano sorgendo nell’URSS attorno ai<br />

giganteschi e numerosi complessi metallurgici,<br />

situati in prevalenza ai confini orientali del<br />

Paese, nei quali la retorica del regime riassumeva,<br />

a chiare lettere, la propria immagine.<br />

L’enorme sforzo in cui si produsse l’intero<br />

apparato stalinista, orientato a mantenere una<br />

notevole mobilità del tessuto sociale al servizio<br />

dell’industria e del progresso, diede origine, dal<br />

punto di vista territoriale, a nuovi movimenti<br />

migratori che portarono nell’arco di un<br />

decennio a un incremento della popolazione nei<br />

maggiori capoluoghi del Paese di circa trenta<br />

milioni di unità. 25 In poco tempo, questi flussi,<br />

disordinati e quantitativamente incontrollabili,<br />

trasformarono le già precarie condizioni<br />

abitative sovietiche in un vero e proprio<br />

collasso, causando tutta una serie di situazioni<br />

fatte di carenze e sovraffollamento, con<br />

ripercussioni tangibili anche sul piano lavorativo<br />

e delle più oscillanti relazioni umane. I<br />

susseguenti indirizzi di riqualificazione urbana<br />

che, alla luce di questa situazione, si misero


effettivamente in opera, furono quasi esclusivamente<br />

legati al preciso proposito di<br />

assegnare un esplicito primato a una sequenza<br />

di interventi, spazialmente e temporalmente,<br />

circoscritti e di tutt’altro che tiepido contenuto<br />

simbolico. Tale traiettoria, volutamente<br />

imboccata, significò un progressivo smantellamento<br />

di convinzioni ed elaborazioni<br />

accumulate “cromosomicamente” negli anni<br />

precedenti e fu un discorso che si rivelò di non<br />

facile metabolizzazione, prima di concretizzarsi<br />

nella pagina di storia sovietica dedicata al<br />

«piano di ricostruzione» di Mosca, futuro<br />

modello ideale di capitale e reale scenario fisico<br />

che avrebbe avuto il compito di comunicare al<br />

mondo il senso di un evento unico ed esemplare.<br />

L’attuale convinzione di fare di Mosca il «centro<br />

del Paese», sottintendendo a questa espressione<br />

ogni tipo di considerazione ideologica, politica<br />

e sociale, chiamò in causa anche il parere di<br />

artisti ed architetti stranieri, tra i quali Le<br />

Corbusier che, nel delineare un possibile<br />

progetto di futura pianificazione della città, si<br />

riteneva certo nel sostenere che la trasformazione<br />

di Mosca in una grande metropoli presupponeva<br />

di per sé una completa e totale ricostruzione che<br />

avrebbe tollerato unicamente la conservazione<br />

di pochi monumenti di elevato valore simbolico,<br />

quali il Cremlino e il Mausoleo di Lenin. 26 E ciò<br />

palesava, in poche parole, che l’edificazione<br />

della città socialista per antonomasia, pur<br />

conservando la matrice insediativa originaria<br />

derivante dal nucleo storico, era realizzabile<br />

solamente attraverso l’affermazione di nuovi<br />

elementi, la cui ovvia conseguenza sarebbe stata<br />

la distruzione del vecchio impianto topografico.<br />

Il centro doveva, dunque, estendersi secondo<br />

dimensioni di carattere verticale e orizzontale<br />

insieme, che combinandosi tra loro dovevano<br />

così generare un punto di vista e una linea<br />

dinamica, un vero e proprio asse. La primitiva<br />

struttura statica di forma concentrica avrebbe,<br />

in tal modo, assunto una prospettiva di ordine<br />

«parabolico», trasformando la città in un<br />

organismo attivo e vitale, il cui cuore traeva<br />

energie e valore dal centro della Mosca storica,<br />

www.larici.it<br />

Daniele L. Viganò - L’invisibile visione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />

20<br />

per poi arricchirsi continuamente in una<br />

sequenza di evidente significato simbolico e<br />

di rinnovati principi costruttivi e funzionali.<br />

Il passaggio da questo corso di pensiero,<br />

fatto sostanzialmente di idee e ipotesi di lavoro,<br />

a una fase di reale maturazione dialettica e<br />

testuale, si concretizzò con la delibera del 15<br />

Giugno 1931 Sull'economia urbana di Mosca<br />

e sullo sviluppo dell'economia urbana nell'URSS<br />

che segnò una profonda cesura con gli anni<br />

precedenti e produsse le giuste premesse<br />

all’avvio di una definitiva chiarificazione degli<br />

obiettivi perseguibili e i modi in cui la<br />

ricostruzione della capitale veniva irrevocabilmente<br />

sottratta alle illusioni di una eventuale<br />

e quanto mai improbabile riorganizzazione<br />

globale del territorio sovietico. In questo quadro,<br />

a testimonianza di una svolta netta, drastica e<br />

indubbiamente perentoria, evocata fra le maglie<br />

della delibera appena emanata e coincidente<br />

temporalmente con l’ascesa ai vertici della<br />

nomenklatura di Lazar Kaganovich, in qualità<br />

di capo di comitato del partito di Mosca e «fedele<br />

compagno d’armi di Stalin», un ruolo decisivo<br />

veniva oramai assegnato non tanto ai programmi<br />

di matrice insediativa, quanto a quelli infrastrutturali,<br />

riassunti nella risistemazione <strong>dei</strong><br />

principali assi stradali, delle sponde fluviali e,<br />

in special modo, incanalati nella realizzazione<br />

della metropolitana. 27<br />

Mosca venne così chiamata ad essere la<br />

città-laboratorio, la città-simbolo dell’URSS,<br />

destinata a divenire «un esempio, un modello,<br />

una scuola»: questa l’enfasi con cui fu<br />

presentato nel 1935 il nuovo piano “staliniano”,<br />

il piano decennale di ricostruzione di Mosca<br />

che aprì, fuori di ogni metafora, una nuova fase<br />

nella storia dell’architettura e dell’urbanistica<br />

sovietica. Il General'nyi Plan di Mosca, la cui<br />

elaborazione si concluse nei primi mesi del<br />

1935 e la cui approvazione definitiva del 10<br />

Luglio del medesimo anno conferì al documento<br />

il valore di una legge dello Stato, fu<br />

accolto come una sorta di incarnazione di<br />

espressioni concentrate delle pressoché<br />

inesauribili potenzialità e delle immense


proporzioni dell'edificazione socialista. Gli<br />

indirizzi fondamentali, a cui tutto il procedimento<br />

si sarebbe dovuto riferire, furono<br />

quelli conformi al principio di «salubrità,<br />

ammodernamento e bellezza». Cuore operativo<br />

del piano generale era ovviamente l’area<br />

centrale, a cui si riteneva essenziale dover<br />

attribuire la massima rappresentatività. Le<br />

implicazioni di tale proposta erano evidenti:<br />

non solo l’architettura doveva provvedere a una<br />

distribuzione razionale e riprendere le forme<br />

classiche con forti allusioni alla tradizione<br />

russa, ma doveva pure rappresentare il nuovo<br />

Stato che si faceva, comunque garante di<br />

prosperità e benessere, dedito in ogni propria<br />

azione alla costruzione del socialismo reale. Gli<br />

architetti furono chiamati, innanzitutto, a creare<br />

un’identità monumentale in cui trovasse<br />

materializzazione il consolidamento definitivo<br />

e irreversibile della nuova società sovietica,<br />

esaltandone il carattere collettivistico e<br />

progettando, quindi, edifici pubblici eloquenti,<br />

improntati a un monumentalismo classicheggiante.<br />

L’immagine della capitale, secondo<br />

gli intenti del Piano, doveva scaturire non dalla<br />

semplificazione tipologica e funzionale, ma da<br />

una sintesi che muoveva dal riconoscimento<br />

della varietà morfologica e simbolica delle<br />

diverse tipologie edilizie, <strong>dei</strong> diversi contesti,<br />

<strong>dei</strong> diversi spazi delle città, esaltando l’artisticità<br />

e l’espressività delle soluzioni<br />

intraprese.<br />

E sarà a partire dalla consapevole scelta<br />

di concentrare l’attenzione su una realtàsimbolo,<br />

su una realtà circoscritta, che si<br />

sarebbe fatta carico di narrare la validità e<br />

l’eternità di tutte le decisioni perpetrate dal<br />

regime, di realizzare in tempi relativamente<br />

brevi su scala ridotta, ciò che a scala maggiore<br />

non avrebbe mai potuto essere concepito, che<br />

prende corpo, in questi anni, la principale<br />

www.larici.it<br />

Daniele L. Viganò - L’invisibile visione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />

21<br />

emergenza architettonico-monumentale,<br />

espressione ed emblema della nuova Mosca<br />

socialista: il <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong>. Progettato per<br />

essere il più alto edificio del mondo, con i suoi<br />

quattrocentoquindici metri di altezza, sovrastato<br />

alla sommità da una gigantesca statua<br />

di Lenin, il <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong> assunse a<br />

materializzazione del principio della più ampia<br />

democrazia sovietica: simbolo concreto per<br />

tutti i proletari del mondo, accessibile dunque<br />

alle masse popolari e riconoscibile nella sua<br />

funzione primaria di convogliare in esso e verso<br />

di esso tutta la vita della capitale e della<br />

popolazione. Principale punto di riferimento<br />

spaziale per l’intero mondo, incarnò la<br />

quintessenza dell’Utopia, in quanto, come<br />

vedremo, delineandone successivamente la<br />

storia e le fasi dell’evoluzione <strong>dei</strong> progetti di<br />

tentata realizzazione, non fu mai edificato, se<br />

non nei lavori delle fondamenta, interrotti<br />

bruscamente allo scoppio della Seconda guerra<br />

mondiale e mai più ripresi e portati a compimento.<br />

La vicenda del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong> non<br />

trattava e non tratterà, però, di un’utopia<br />

retrospettiva, bensì atemporale: sarà espressione<br />

suprema e altisonante della città ideale “per<br />

sempre”, che voleva abbracciare nella sua<br />

perfezione anche alcune tracce del passato<br />

classico e ridondante, di cui, sempre, è segnato<br />

il cammino verso i supremi ed eterni valori da<br />

perpetuare nel futuro infinito.<br />

Da questo momento in poi, l’intero Paese<br />

si stacca dal mondo della realtà e inizia a vivere<br />

in quello della fantasia, come in un miraggio. I<br />

dati cessano di avere qualsiasi significato e<br />

divengono un mero simbolo del desiderio<br />

irrefrenabile di proiettarsi in avanti, trascinando<br />

ogni aspetto del quotidiano, squisitamente e<br />

sapientemente apposto dal regime, come una<br />

specie di mongolfiera, in un mondo che non<br />

esiste.


Note<br />

1 Cfr. A. Ikonnikov, Gli “edifici alti” di Mosca,<br />

in: URSS anni ‘30-’50. Paesaggi dell’utopia<br />

staliniana, a cura di A. De Magistris,<br />

Mazzotta, Milano 1997.<br />

2 A Mosca, di Le Corbusier (pseudonimo di<br />

Charles-Eduard Jeanneret-Gris,1887-1965)<br />

era in costruzione il <strong>Palazzo</strong> del Centrosojuz<br />

(1928-1933).<br />

3 La delibera, approvata dal nuovo governo il 20<br />

agosto 1918, denominata Sulla soppressione<br />

della proprietà privata sugli immobili della<br />

città, premetteva di fatto il completo controllo<br />

pubblico sul suolo urbano, permettendo come<br />

conseguenza naturale di determinare lo<br />

sviluppo delle città finanziando le attività<br />

statali attraverso la tassazione di quanto ancora<br />

rimaneva nelle mani <strong>dei</strong> privati. A partire da<br />

questo, le prospettive che si aprirono in campo<br />

urbanistico e architettonico poterono apparire<br />

enormi.<br />

4 M. Bulgakov, Mosca degli anni Venti, in<br />

Romanzi e racconti, a cura di M. Cudakova,<br />

Mondadori, Milano 2000, pp. 1177-78,<br />

1183.<br />

5 G.P. Piretto, Da Pietroburgo a Mosca. Le due<br />

capitali in Dostoevskij, Belyj, Bulgakov,<br />

Guerini Studio, Milano 1990, p. 108.<br />

6 A. De Magistris, La costruzione della città<br />

totalitaria. Il piano di Mosca e il dibattito<br />

sulla città sovietica tra gli anni venti e<br />

cinquanta, CittàStudi, Milano 1995, p.19.<br />

7 Significativi aumenti delle aree edificate e<br />

della relativa costruzione di nuovi spazi<br />

verdi si affacceranno solamente a partire<br />

dalla metà degli anni Venti, quando, però, a<br />

una precisa risistemazione del territorio e<br />

alla garanzia di un alloggio per tutti,<br />

seguendo il disegno nel senso di una<br />

trasformazione socialista della città,<br />

corrisponderà una notevole diminuzione<br />

della superficie abitabile pro-capite.<br />

8 In questo immaginare e realizzare in modo<br />

concreto l'idea della città-giardino, i fili di<br />

www.larici.it<br />

Daniele L. Viganò - L’invisibile visione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />

22<br />

contiguità e continuità emergono con<br />

chiarezza: non si trattava di una “scoperta”<br />

nuova e forse vincente, piuttosto del rapido<br />

coagularsi di istanze e caratteristiche già<br />

attive nel Paese fin dai primi anni del secolo<br />

e ampiamente condivise anche dagli ambienti<br />

intellettuali, oltre che dai tecnici, più sensibili<br />

al messaggio socialista.<br />

9 A. De Magistris, La città in transizione.<br />

Politiche urbane e ricerche tipologiche<br />

nell’URSS degli anni Venti, Il Quadrante,<br />

Torino 1988, p. 17.<br />

10 L’aggettivo “howardiano”, sinonimo e<br />

corrispondente al sostantivo di cittàgiardino,<br />

prende il nome dal progetto basato<br />

sull’idea di Ebenezar Howard, la cui opera<br />

era stata pubblicata in Russia nel 1911 con<br />

il titolo Le città del futuro e negli anni Venti<br />

e Trenta sarebbe servita da costante punto<br />

di riferimento. Cfr. G. Spendel, La Mosca<br />

degli anni Venti. Sogni e utopie di una<br />

generazione. Editori Riuniti, Roma 1999, p.<br />

55.<br />

11 M. Bulgakov, Appunti sui polsini, a cura di<br />

E. Bazzarelli, Editori Riuniti, Roma 1993,<br />

p. 20.<br />

12 M. Bulgakov, Mosca dalle cento e cento<br />

cupole, in Romanzi e racconti, a cura di M.<br />

Cudakova, Mondadori, Milano 2000, p.<br />

1105.<br />

13 M. Bulgakov, Appunti sui polsini, a cura di<br />

E. Bazzarelli, Editori Riuniti, Roma 1993,<br />

pp. 36, 37, 41.<br />

14 Ibidem, p. 40.<br />

15 G. Spendel, La Mosca degli anni Venti. Sogni<br />

e utopie di una generazione, Editori Riuniti,<br />

Roma 1999, p. 139.<br />

16 Questo modo di intervenire nell’ambito della<br />

creazione e della ripartizione di ulteriori spazi<br />

all’interno di abitazioni già esistenti, portò alla<br />

nascita dell’appartamento «comunitario», un<br />

ex-appartamento prestigioso decaduto,<br />

modellato e ideato come le utopie <strong>dei</strong> primi<br />

anni post-rivoluzionari avevano formulato. Le<br />

numerose stanze che li componevano erano<br />

state riadattate per accogliere famiglie


proletarie, a ciascuna delle quali era<br />

assegnata una o più stanze, a seconda delle<br />

necessità e delle disponibilità esistenti,<br />

garantendo l’uso comune <strong>dei</strong> generali servizi<br />

quotidiani. L’aspetto principale da sottolineare<br />

fu la repentina e difficile situazione a cui la<br />

popolazione dovette in breve abituarsi: la<br />

coabitazione forzata, che, da questo momento<br />

in poi, assunse a standard della nuova era<br />

sovietica.<br />

17 A. Kopp, Città e rivoluzione. Architettura e<br />

urbanistiche sovietiche degli anni Venti,<br />

Feltrinelli, Milano 1972, p. 118.<br />

18 A. De Magistris, La città in transizione.<br />

Politiche urbane e ricerche tipologiche<br />

nell’URSS degli anni Venti. Il Quadrante,<br />

Torino 1988, p. 50.<br />

19 Ibidem, p. 53.<br />

20 A.P. Cechov, Le tre sorelle: dramma in<br />

quattro atti, trad. it. B. Jakovenko, Vallecchi,<br />

Firenze 1925, p. 75.<br />

21 G.P. Piretto, Il radioso avvenire. Mitologie<br />

culturali sovietiche, Einaudi, Torino 2001,<br />

p. 130.<br />

22 M. Tafuri, Progetto e Utopia. Architettura e<br />

sviluppo capitalistico, Laterza, Bari 1973,<br />

p. 51.<br />

23 A. Latour, Guida all’architettura moderna.<br />

Mosca 1890–1991, Zanichelli, Bologna<br />

1992, p. 61.<br />

24 Il congresso si concluse con un giuramento di<br />

fedeltà al partito da parte di tutti gli scrittori<br />

e i poeti che vi parteciparono e, nel gennaio<br />

successivo, furono i cineasti a prestare tale<br />

giuramento. Questo costituì uno degli ultimi<br />

atti che suggellarono la statalizzazione<br />

www.larici.it<br />

Daniele L. Viganò - L’invisibile visione del <strong>Palazzo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Soviet</strong><br />

23<br />

completa delle arti in genere, ossia il loro<br />

totale e più completo asservimento al potere.<br />

Cfr. G. Spendel, La Mosca degli anni Venti.<br />

Sogni e utopie di una generazione, Editori<br />

Riuniti, Roma 1999, p. 217.<br />

25 A. De Magistris, La costruzione della città<br />

totalitaria: il piano di Mosca e il dibattito<br />

sulla città sovietica tra gli anni venti e<br />

cinquanta, CittàStudi, Milano 1995, p. 48<br />

26 Ibidem, p. 56.<br />

27 Il 15 maggio 1935 fu inaugurata la prima<br />

linea della metropolitana moscovita, la<br />

«migliore del mondo», come recitavano<br />

instancabilmente tutti i documenti dell’epoca.<br />

Un’opera senza dubbio paradigmatica del<br />

Realismo socialista, il cui intento ideologico<br />

e simbolico era qui scandito e rappresentato<br />

dalla costante monumentalità: una vera e<br />

propria città sotterranea, una città nella città,<br />

nella quale ciascun componente, fino al<br />

minimo dettaglio, doveva auto-riconoscersi<br />

dal punto di vista formale, in modo da<br />

ribadire quella prassi progettuale che<br />

presiedeva alla realizzazione <strong>dei</strong> complessi<br />

architettonici della Mosca staliniana. Una<br />

sorta di «traslazione» o di «ribaltamento» di<br />

riferimenti architettonici e iconografici<br />

religiosi veniva offerto, come pane quotidiano,<br />

alle masse e, da queste, attraverso lo scorrere<br />

delle singole stazioni, immediatamente<br />

percepito e compreso suscitando interiormente<br />

un continuo ricorso a immagini trinitarie<br />

laicizzate, incorniciate da un incessante<br />

dialogo tra le diverse manifestazioni artistiche<br />

e “cultuali”, a creare una specie di ambiente<br />

espressivo totale.

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!