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11 maccioni - Richard & Piggle

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Alcuni vissuti di bambino, famiglia,<br />

operatori coinvolti nell’Affidamento familiare<br />

SANDRA MACCIONI<br />

Nel percorso dell’Affido, è molto importante salvaguardare per il bambino<br />

la dimensione della “Continuità”: egli non vive solo il distacco improvviso<br />

dal suo ambiente familiare, ma già prima dell’affidamento, quando la<br />

sua famiglia ha attraversato difficoltà, egli ha iniziato a non sentirsi<br />

“tenuto”. Occorre perciò curare con gradualità il distacco, dare i tempi necessari<br />

a bambino e contesti per adattarsi; evitare poi contrapposizioni, silenzi,<br />

mancanza di informazioni, perché anche contrasti tra dati, operatori, famiglie<br />

continueranno a farlo sentire diviso e segnarlo nella continuità dei suoi<br />

rapporti, dell’oggetto e del Sé.<br />

Allo stesso tempo nell’Affido a mio parere è molto importante rispettare<br />

un’altra dimensione molto importante per lo sviluppo, quella della<br />

“Transizionalità”: il bambino in affidamento, prima ancora di ricevere<br />

oggetti ausiliari o “sostitutivi” di quelli originari (la famiglia d’origine) ha<br />

bisogno di uno spazio “transizionale” 1 entro cui decantare la ferita del<br />

trauma e creare innanzitutto lo spazio per accogliere altre figure di riferimento<br />

affettivo. Egli non può riconoscere subito una netta separatezza dal<br />

genitore, non capisce ancora, non sa se lo rivedrà; vive un’area di confusione<br />

ma insieme di illusione che a mio parere va rispettata. Questo vissuto intermedio<br />

tra realtà esterna e realtà interna, se non assume la veste di isolamento<br />

difensivo, può costituire la base per un passaggio, per una evoluzione:<br />

forse durante l’affidamento si può creare per la prima volta uno<br />

“spazio transizionale” per il bambino, che prima di questo momento era<br />

troppo immerso nelle problematiche familiari per potersene distaccare.<br />

Prima ancora di pensarlo come ripristino quasi magico di una stabilità del<br />

1 Lo spazio transizionale è quell’area postulata da Winnicott (1951) tra il bambino e la<br />

madre, che si crea a partire dalle prime esperienze di separatezza e insieme fusionalità: è un’area<br />

intermedia tra “me” e “non me”, tra individuazione e separazione, illusione e disillusione,<br />

entro cui il bambino non sente ancora la distinzione netta tra sé e la madre e può continuare a<br />

immaginarla, illudersi della sua presenza, crearla.<br />

<strong>Richard</strong> e <strong>Piggle</strong>, 15, 1, 2007


S. Maccioni: Alcuni vissuti di bambino, famiglia, operatori coinvolti nell’Affidamento familiare 53<br />

Sé del bambino (la frase “È stato dato in affidamento” spesso sottende questa<br />

attesa di soluzione rapida del problema), può essere intanto pensato<br />

come uno spazio transizionale, un’area neutra entro cui recuperare in una<br />

certa quiete una giusta distanza dagli eventi, e poter passare dal “troppo<br />

pieno” della separazione o del trauma vissuto, a elaborare col tempo, senza<br />

pressioni.<br />

Perciò prima di proporre al bambino il nuovo contesto affidatario come<br />

investimento, occorre tollerare che egli viva in questa dimensione transizionale<br />

l’esperienza: che possa continuare a sentire la mancanza della madre<br />

come non assoluta, che possa fantasticarla presente, che possa sentire fluttuanti<br />

i sentimenti versi i nuovi adulti affidatari. Infatti “Quale lutto vive il<br />

bambino in affidamento?…”.Non è propriamente un lutto dalle figure genitoriali,<br />

a mio parere, quello che il bambino in affidamento vive: ha molto a<br />

che vedere con l’animazione sospesa, quella in cui gli oggetti assenti continuano<br />

a essere fantasticati presenti. Ecco perché il bambino appare spesso<br />

attonito, in quello stato di “stordimento protettivo” come lo definisce la<br />

Lanyado (2000, p.290), in cui in qualche modo si isola a fantasticare presente<br />

ciò che è assente. Ciò a volte assurge a dimensione patologica, ma<br />

spesso ha la funzione di scudo protettivo, e dà luogo però a numerosi fraintendimenti<br />

tra bambino e affidatari: “Non ascolta...non vuole aderire alla<br />

sua nuova realtà”, ci dicono spesso gli adulti. Non è detto che il bambino “non<br />

voglia”, deve innanzitutto fare spazio per altri, negare l’eccessiva sofferenza,<br />

fare un percorso per capire prima ancora che poter accettare.<br />

La preparazione necessaria all’affido<br />

Il minore che è avviato a un progetto di Affidamento ha molta confusione,<br />

paure. Occorre curare la transizione dalla famiglia d’origine al contesto<br />

affidatario: non basta informarlo del Provvedimento preso, o affiancarlo<br />

nella fase successiva all’ingresso nel nuovo ambiente.<br />

C’è la necessità, secondo me, di preparare il bambino all’esperienza dell’Affidamento,<br />

lavorando molto nella fase preliminare ad esso così come si fa<br />

con la selezione e il sostegno delle coppie affidatarie. Non basta preparare la<br />

coppia, occorre preparare e supportare anche il bambino, e prima che l’affidamento<br />

abbia inizio, proprio quando si trova in uno stato di marasma emotivo,<br />

la condizione dell’affido gli è estranea, non sa con chi e per quanto tempo<br />

dovrà stare e la sua mente si carica di fantasmi. Non può già essere possibile<br />

per lui in questa fase “elaborare”, “accettare”: questi termini sono riferibili<br />

a contenuti già precisi, individuabili. In questa fase invece il bambino<br />

vive percezioni e timori “senza nome”, si avvia a un’esperienza ignota: offrire<br />

al bambino anche solo la possibilità di “fare cenno” a ciò che di vago lui attraversa,<br />

a come la situazione gli appare, a come si sente, lo può intanto avviare<br />

a una iniziale comprensione di sé e degli eventi così difficili da tollerare.<br />

<strong>Richard</strong> e <strong>Piggle</strong>, 15, 1, 2007


54 S. Maccioni: Alcuni vissuti di bambino, famiglia, operatori coinvolti nell’Affidamento familiare<br />

Sia che si abbia a disposizione un giorno o settimane o mesi, è importante<br />

– come dice la legge – sostenerlo sul piano psicologico. Ma per far ciò<br />

è necessario un ascolto che non sia solo giudiziario, ma psicologico e<br />

profondo, che dia spazio e riconoscimento alle sue ansie.<br />

Mentre il minore è in attesa dell’inserimento, sarebbe auspicabile che le<br />

figure professionali preposte effettuassero alcuni incontri con lui: non necessariamente<br />

colloqui psicoterapeutici in senso stretto, ma nemmeno incontri<br />

puramente informativi. Dovrebbero rappresentare incontri significativi, in<br />

cui spiegargli la situazione che lo aspetta ma poi raccogliere le sue parole, i<br />

suoi stati d’animo, accompagnarlo all’incontro con gli affidatari, evitando di<br />

depositarlo in essi senza averlo attrezzato per farlo. Come gli affidatari,<br />

anche il bambino deve prepararsi ad accogliere “l’altro”, capirne lo status,<br />

esprimere i suoi dubbi o le sue perplessità.<br />

L’adolescente, più restìo al rapporto duale troppo stretto con l’operatore<br />

e più fragile nella sua individualità, dopo alcuni incontri con un singolo operatore,<br />

potrebbe giovarsi di partecipare a un gruppo di adolescenti anch’essi<br />

con progetto di Affido, dove condividere le ansie senza sentirsi troppo individualmente<br />

colpevole per le sue difficoltà. Occorrerebbe poi valutare se un<br />

adolescente è veramente adatto a un affidamento, se a volte possa essere più<br />

adatto l’inserimento in una casa-famiglia anziché in una vera e propria<br />

famiglia, dai cui vincoli, proprio per la sua età oltre che per le eventuali difficoltà<br />

già vissute, egli cerca fisiologicamente di staccarsi, e quindi potrebbero<br />

rendere più difficile un legame.<br />

Questa attenzione al minore come soggetto, e quindi ai suoi vissuti,<br />

dovrebbe permanere anche nelle famiglie e nelle strutture affidatarie: anziché<br />

considerarlo “oggetto” passivo di un provvedimento e di cure stabilite per<br />

lui dagli adulti, considerarlo anche “soggetto”. Prima di proporgli il nuovo<br />

insieme come qualcosa a cui lui deve aderire, occorrerebbe creare lo spazio per<br />

lui prima che ci possa entrare, in cui senta di poter portare le sue vicissitudini<br />

prima di adattarsi a quelle esterne. Questi bambini provengono da vicende<br />

traumatiche che hanno sacrificato la soggettività del bambino: non c’è stato<br />

spazio per loro di “essere”, ma si sono trovati a dover vivere la storia degli altri.<br />

È importante che il minore attraverso l’affidamento, prima ancora di poter<br />

stabilire una fiducia verso l’altro possa cominciare a esprimere sé stesso, portare<br />

i propri vissuti, essere ascoltato e valorizzato, poter cominciare a trovare<br />

uno spazio per il suo Sé, sicuramente sacrificato dalle vicende traumatiche iniziali.<br />

Se all’affido si può pensare almeno come uno “spazio transizionale”, esso<br />

dovrebbe poi funzionare almeno come “uno spazio per il Sé” per ogni bambino.<br />

Il decorso dell’affido<br />

Nel corso dell’Affido avvengono confronti, confusioni. C’è un forte cambiamento<br />

(Grimaldi, 1986). Il bambino vive nel profondo il senso di poter<br />

<strong>Richard</strong> e <strong>Piggle</strong>, 15, 1, 2007


S. Maccioni: Alcuni vissuti di bambino, famiglia, operatori coinvolti nell’Affidamento familiare 55<br />

essere dimenticato, di non esistere. Può manifestare chiusura o eccessi comportamentali,<br />

essere inizialmente compiacente, ma poi reattivo. Il “conflitto<br />

di lealtà” tra i due contesti può portare a idealizzazione difensiva di uno di<br />

essi (la famiglia d’origine così come il contesto affidatario).<br />

I vissuti dipendono anche dall’età del minore: se è più piccolo, il legame<br />

con i genitori sarà più forte, per cui l’angoscia legata alla perdita degli<br />

oggetti si unirà al senso di perdita per parti del suo stesso Sé, con vissuti<br />

dalla qualità catastrofica (angoscia di andare in pezzi, di scomparire, di perdersi).<br />

Potrebbero essere più forti gli aspetti depressivi (autodiretti: isolamento,<br />

tristezza..).<br />

Se è più grande, il disagio potrà più essere espresso con rivalità, ostilità;<br />

potrebbero prevalere aspetti aggressivi eterodiretti (verso gli altri e verso<br />

l’esterno).<br />

Ma qualunque età essi abbiano, il contenimento e il legame sono fortemente<br />

indeboliti in tutti, a causa della crisi del proprio ambiente primario,<br />

e quindi la possibilità di tenere insieme affetti, pensieri, viene minata. Il<br />

minore si trova ad affrontare nella realtà una separazione traumatica, deve<br />

attingere a forze dell’Io di cui ancora non dispone: a volte si attesta su comportamenti<br />

adultomorfi, a volte cade in comportamenti regressivi, nel tentativo<br />

di rimanere agganciato all’oggetto (non evolvere equivale a permanere<br />

nell’area interrotta dell’infantile).<br />

Può presentare:<br />

– difficoltà scolastiche (date le preoccupazioni che occupano la sua<br />

mente);<br />

– difficoltà a legarsi, accettare regole (visto che teme di essere nuovamente<br />

abbandonato).<br />

Può manifestare:<br />

– aggressività o depressione collegate alle vicende dell’affidamento, ma<br />

anche:<br />

– comportamenti legati all’età ma non derivati necessariamente dall’affido:<br />

ad es. oppositività naturale intorno ai 3 anni o in pre/adolescenza<br />

(allora si dovrà fare molta attenzione a non stigmatizzare il bambino<br />

come aggressivo, senza considerare che ciò è tipico di queste fasi evolutive<br />

oltre che di un processo di adattamento faticoso).<br />

Può anche sviluppare comportamenti più estremi, espressione di un disagio<br />

psichico legato a vicende arcaiche relative alla famiglia d’origine, oppure<br />

messi in atto per misurare quanto le persone affidatarie tengano a lui o lo<br />

possano a loro volta allontanare. Ad esempio:<br />

– acting (fughe, agiti, come modo di mettere a rischio il rapporto con gli<br />

affidatari per vedere se “tiene”);<br />

– sfide, ambivalenze, liti (che a volte sono una ripetizione di quelle che<br />

hanno vissuto nella famiglia d’origine);<br />

– regressioni, non sempre patologiche (es: enuresi non come sintomo ma come<br />

tentativo di recuperare e rivivere antichi bisogni e accudimenti corporei).<br />

<strong>Richard</strong> e <strong>Piggle</strong>, 15, 1, 2007


56 S. Maccioni: Alcuni vissuti di bambino, famiglia, operatori coinvolti nell’Affidamento familiare<br />

In tutti i casi non si potrà colpevolizzare il minore per emozioni o reazioni<br />

pesanti, ma piuttosto individuarne le radici ed aiutarlo risolverle. Può<br />

essere d’aiuto una eventuale psicoterapia, ma vista come aiuto allo sviluppo<br />

e risoluzione di forti angosce, e non come “normalizzazione” del bambino o<br />

del ragazzo.<br />

È importante da parte degli affidatari e degli operatori che lo seguono<br />

nel corso dell’Affidamento:<br />

– far parlare il bambino della propria famiglia e del proprio ambiente d’origine<br />

(evitare la negazione), ma insieme, specie se è un’adolescente,<br />

consentire la rimozione (concedere uno spazio privato entro cui il minore<br />

possa sentirsi sicuro, senza dover parlare, senza sentire di dover affrontare<br />

e risolvere rapidamente e ad ogni costo – per la gioia degli adulti –<br />

le sue complesse vicende emotive);<br />

– fungere da schermo per il trauma: accettare un tempo necessario per lo<br />

stabilirsi del legame, accettare di essere attaccati perché il bambino<br />

possa sentire che le nuove figure affidatarie “resistono”, non scompaiono<br />

se lui le attacca come sono scomparse – per lo meno temporaneamente<br />

– le figure genitoriali. 2 Col tempo introietterà queste nuove figure che<br />

ridurrano il suo sentimento di mancanza e potranno lenire la sua ferita.<br />

Col tempo ciò lo aiuterà a sviluppare una relazione e a tollerare la perdita.<br />

Il nuovo contesto in cui è accolto il bambino, in questo modo, può offrirgli<br />

una possibilità di riparare le immagini genitoriali, di integrare la propria<br />

storia, senza rimanere con troppi pezzi mancanti.<br />

Rapporti con le famiglie<br />

All’inizio naturalmente il bambino tenderà a comportarsi secondo<br />

quanto faceva a casa, solo dopo potrà assimilare le nuove regole e i modi di<br />

vivere del nuovo contesto.<br />

– I rapporti con la famiglia naturale saranno complessi: avrà desiderio<br />

ma anche rifiuto di incontrarla, ambivalenze, ansie nei giorni precedenti<br />

o successivi all’incontro con i genitori (disturbi del sonno, nell’alimentazione,<br />

irritabilità, chiusura). Potrà pensare “Mi hanno lasciato”,<br />

o “Sono stato cattivo io con loro..”; gli operatori non devono lasciare solo<br />

il minore con le sue preoccupazioni.<br />

2 Per il bambino il distacco della famiglia può essere frutto – nella sua fantasia – delle sue<br />

aggressioni ai genitori, reali o fantasticate quando viveva il disagio e provava sia amore che<br />

rabbia verso di loro. Se l’adulto comprende e accoglie queste fantasie, il bambino non avvertirà<br />

ritorsione e si ridurrà la sua angoscia e il senso di colpa per essere stato lui l’artefice della perdita<br />

dell’amore genitoriale.<br />

<strong>Richard</strong> e <strong>Piggle</strong>, 15, 1, 2007


S. Maccioni: Alcuni vissuti di bambino, famiglia, operatori coinvolti nell’Affidamento familiare 57<br />

– I rapporti con le figure affidatarie saranno accompagnati da timori e<br />

difese: paura del bambino o dell’adolescente di essere accettati o rifiutati,<br />

inglobati o espulsi. Potrà esserci idealizzazione o svalutazione<br />

del nuovo contesto, la relazione col quale potrà essere conflittuale, sia<br />

per ragioni presenti (atteggiamenti disfunzionali da parte degli affidatari)<br />

sia per ragioni passate (il minore potrà ripetere con le figure<br />

affidatarie le difficili dinamiche che intercorrevano con i genitori<br />

naturali).<br />

– I rapporti tra la famiglia affidataria 3 e la famiglia naturale sono regolati<br />

anche dalle fantasie reciproche dell’una sull’altra. Tra le due spesso<br />

circolano invidia, vissuti di persecuzione.<br />

La famiglia d’origine potrà vivere come inquietanti gli affidatari:<br />

“Sono più buoni di noi perché sanno tenere e curare meglio il bambino?<br />

O più cattivi di noi perché ce l’hanno portato via?”. Invidie<br />

potranno essere vissute anche rispetto al loro stesso bambino: “Perché<br />

hanno accolto e curato lui e noi no?”, sommando vissuti abbandonici<br />

propri con quelli del figlio.<br />

Viceversa avviene spesso da parte degli affidatari una ipersvalutazione<br />

della famiglia d’origine; anche questo a volte appare difensivo<br />

rispetto al conflitto su chi può essere un “bravo genitore”.<br />

– Trovo interessanti le fantasie transgenerazionali tra le due famiglie:<br />

l’una può vivere l’altra come immagine della propria famiglia d’origine,<br />

proiettandovi gli stessi atteggiamenti e conflitti vissuti nella propria<br />

infanzia.<br />

I genitori biologici del bambino possono vivere gli affidatari come immagine<br />

dei propri genitori, percependoli deprivanti o onnipotenti, a seconda di<br />

quella che è stata la loro esperienza come figli. Anche per gli affidatari i genitori<br />

naturali del bambino possono evocare la figura dei propri genitori, e loro<br />

stessi identificarsi con il bambino trascurato.<br />

Ma possono essere adombrate anche generazioni precedenti: una<br />

madre affidataria disse amaramente durante un incontro di gruppo, parlando<br />

della madre naturale che spesso il bambino incontrava: “Tutto sommato,<br />

in fondo, preferirà sempre la sua mamma a me”. In questo caso la<br />

madre naturale, aiutata a trovare un lavoro, si recava a visitare il bambino<br />

sempre felice e curata, mentre la madre affidataria si sentiva stanca e non<br />

risarcita per questa esperienza in cui si era prodigata per il minore. Que-<br />

3 Uso qui il termine “famiglia” sapendo che la legge riconosce come affidatari anche comunità<br />

e singles. Credo però che sul piano affettivo tra adulti e minore, soprattutto in una relazione<br />

d’aiuto, entrino sempre in gioco sentimenti profondi facenti capo alle origini. Sono questi<br />

stessi sentimenti che da un lato possono fondare una relazione, dall’altro possono disarticolarla.<br />

Noi pensiamo che proprio questi vadano seguiti e modulati con molta attenzione.<br />

<strong>Richard</strong> e <strong>Piggle</strong>, 15, 1, 2007


58 S. Maccioni: Alcuni vissuti di bambino, famiglia, operatori coinvolti nell’Affidamento familiare<br />

sto vissuto compare spesso negli affidatari, ma in questo caso la tristezza<br />

di questa frase sembrava rimandare anche ad antichi vissuti personali di<br />

figlia trascurata, “non preferita” da una madre coinvolta più con la propria<br />

madre che con lei. 4<br />

Rapporti dopo la conclusione<br />

Lasciar andare è un compito evolutivo di ogni genitore – anche di ogni<br />

terapeuta – forse il più difficile ma necessario.<br />

Occorre quindi, verso la fine del periodo dell’Affidamento:<br />

– preparare il bambino al distacco, anticipargli quando verrà il momento<br />

di iniziare a pensare di separarsi;<br />

– evitare brusche rotture che possono essere dolorose sia per il bambino<br />

che per gli affidatari. Sia essi che il bambino vivranno dispiacere e sensi<br />

di abbandono, ma se le cose sono andate bene sarà possibile lasciarsi con<br />

un senso di pienezza maggiore. Il bambino sperimenterà con queste<br />

nuove figure una separazione possibile, se ben guidata e ben gestita,<br />

manterrà il senso del legame e della sua continuità. Sarà importante<br />

poter mantenere il rapporto dopo la conclusione almeno per un po’, per<br />

mantenere la continuità del sé nel bambino, il sentimento che le cose<br />

non vanno perdute per sempre.<br />

Se il bambino è seguito in psicoterapia è importante che almeno lo<br />

psicoterapeuta – o l’assistente sociale – mantenga quel filo di continuità,<br />

un legame, almeno con alcuni contatti successivi, senza far sentire solo il<br />

bambino anche al momento di questo difficile distacco e ricongiungimento.<br />

I vissuti al termine dell’affidamento potranno essere reali o fantasmatici:<br />

ci potrà essere differenza da cosa il bambino vive realmente e cosa si<br />

aspetta o teme di vivere. Potrà essere aiutato nel migliore dei modi e ciononostante<br />

temere che alla fine di tutto capiterà qualcosa di brutto o molto<br />

doloroso, che la sua famiglia naturale non lo riaccoglierà, che gli affidatari<br />

lo allontanano perché non lo vogliono e non perché è arrivato il termine dell’Affido.<br />

Oppure potrebbe ragionevolmente temere di rientrare in un<br />

ambiente che lui ha lasciato conflittuato e in difficoltà, temere di non ritrovarcisi<br />

o di trovare cambiamenti a cui non è preparato …Può avere difficoltà<br />

a lasciare i nuovi legami, timore di ritorsioni da parte dei genitori biologici,<br />

del tipo “ci hai lasciato tu e non noi”…<br />

4 Il materiale è emerso nel corso di incontri di gruppo per genitori affidatari che ho tenuto<br />

entro la SIPsIA. Attualmente sono molto studiate le dinamiche intrafamiliari come appartenenti<br />

a più generazioni.<br />

<strong>Richard</strong> e <strong>Piggle</strong>, 15, 1, 2007


S. Maccioni: Alcuni vissuti di bambino, famiglia, operatori coinvolti nell’Affidamento familiare 59<br />

Anche per la famiglia d’origine la conclusione è un momento molto delicato:<br />

potrà temere il ritorno del figlio “cattivo” – perché identificato con le<br />

proprie angosce – o del figlio “espulso” e insieme a lui la colpa per averlo<br />

allontanato. Così il minore potrà temere di poter essere nuovamente allontanato<br />

dalla sua famiglia d’origine, potrà confrontare criticamente l’ambiente<br />

naturale con quello affidatario, dovrà comunque ripetere un nuovo<br />

adattamento che richiederà tempo e energie. La separazione dal nuovo<br />

ambiente affidatario è poi essa stessa difficile, sia che il periodo trascorso al<br />

suo interno sia stato facile che conflittuato. Questo perché separarsi per un<br />

bambino è un compito grave e questi bambini hanno una somma di separazioni<br />

da compiere.<br />

Se l’affidamento è necessariamente collegato a una separazione, può<br />

però coincidere anche con una individuazione. Nel suo sviluppo naturale il<br />

bambino attraversa già nei primi 3 anni tutti quei movimenti di separazione-individuazione<br />

dalla madre, per cui impara a distinguersi da lei e<br />

conoscere sé stesso. La separazione nel bambino in affidamento è molto difficile<br />

anche perché spesso le stesse vicende separative dei suoi primi anni<br />

sono state perturbate. Vorrei però sottolineare qui il polo della Individuazione<br />

connessa ad ogni Separazione 5 : se nel corso dell’affidamento forse non<br />

sarà facile accettare presto la Separazione, tollerare il dolore cocente ad essa<br />

connessa (forse la si può imparare a tollerare durante l’affidamento, ma non<br />

a “elaborare” in senso risolutivo), può però essere importante per il bambino<br />

trovare nell’Affidamento almeno la possibilità di avere uno spazio in cui<br />

emergere, essere ascoltato, aiutato a individuarsi nel senso di non trovarsi<br />

immerso e schiacciato dalle vicissitudini dell’oggetto (come possono essere<br />

state quelle della sua famiglia in difficoltà), ma poter trovare uno spazio per<br />

il Sé: esprimere e sentire capiti i suoi bisogni, le sue preoccupazioni, sentimenti,<br />

vedersi riconosciuto.<br />

Infine occorre porsi la domanda ”Quando finisce un affidamento? Perché?”…<br />

Finisce magari per la famiglia d’origine che ha risolto parte delle sue<br />

difficoltà, ma non sappiamo se è terminabile per il bambino, che anche nel<br />

rientro a casa avrebbe bisogno di essere seguito con tante cure da parte degli<br />

operatori.<br />

5 Spesso giungono in Affidamento (specie se giudiziale), bambini di famiglie mlto disturbate,<br />

o di genitori dipendenti da sostanze, da cui perciò hanno già subito precoci abbandoni fisici<br />

o mentali. In questi casi può essere stata troppo precoce la Separazione per il bambino, ma<br />

anche troppo carente la Individuazione, nel senso della possibilità per il bambino di essere riconosciuto<br />

nei suoi bisogni, percepito come individuo che ha necessità di cure personalizzate, e<br />

non come prolungamento dell’ambiente, che può e deve adattarsi a qualunque esso sia.<br />

<strong>Richard</strong> e <strong>Piggle</strong>, 15, 1, 2007


60 S. Maccioni: Alcuni vissuti di bambino, famiglia, operatori coinvolti nell’Affidamento familiare<br />

A volte ci sono interruzioni dell’affido da parte dei genitori affidatari (a<br />

mio parere spesso legate a cadute della genitorialità per eventi interni alla<br />

coppia e non imputabili al bambino), 6 ed anche in questi casi il bambino<br />

andrebbe molto tutelato dalla nuova rottura, così come occorrerebbe dare<br />

molto supporto alla coppia.<br />

Anche se non ci fosse stato il tempo per il bambino di riuscire a ristabilire<br />

una vera fiducia verso gli oggetti attraverso il nuovo legame con gli affidatari,<br />

sarebbe già molto importante e “curativo” che essi possano aver<br />

avuto una qualità trasformativa (Bollas, 1980), aperta all’ascolto, al riconoscimento,<br />

al cambiamento e alla crescita, e quindi possa avere aiutato in<br />

ogni caso il bambino a evolvere, a maturare.<br />

Il mantenimento del rapporto col bambino dipenderà molto dal rapporto<br />

che si stabilisce tra le due famiglie, se potrà essersi creata collaborazione<br />

invece che competizione. Per il bambino sarà importante anche osservare<br />

come le due famiglie si rapportano perché non diventino due parti contrapposte,<br />

ma unite nel suo Sé. Ciò lo aiuterà a sentirsi tutt’uno, a diventare una<br />

persona intera e non divisa tra momenti di vita staccati e lontani.<br />

Gli operatori<br />

Sempre gli operatori vengono deprivati quando si occupano di deprivazione:<br />

deprivati del riconoscimento anche professionale da parte di altri<br />

colleghi o di alcune famiglie in carico, deprivati di oggetti (spesso i bambini<br />

occultano i giocattoli degli altri ospiti di una casa famiglia, ad esempio, o<br />

degli stessi operatori che li seguono). Il paziente ci fa sentire tramite una<br />

identificazione proiettiva o meglio “estrattiva” (Bollas, 1987), quanto gli è<br />

stato tolto e quanto vorrebbe riavere. Non è facile per il personale impegnato<br />

con questi casi attraversare tutto questo senza una ritorsione, senza<br />

risentirne.<br />

Frequenti incontri tra le figure impegnate su un caso non sono facili,<br />

eppure sarebbero molto utili (tra responsabile e educatori della casa famiglia,<br />

operatori sociali, psicoterapeuta e figure affidatarie). Occorrerebbe<br />

ricostruire intorno a questi bambini un tessuto omogeneo e concorde, non<br />

troppo adesivo, perché segnerebbe anche troppa differenza con l’ambiente<br />

originario spesso disgregato o distante, ma un ambiente che – pur non<br />

vedendosi assiduamente e pur incorrendo in inevitabili errori – condivida un<br />

6 Una coppia riconsegnò bruscamente una bambina ai Servizi alla morte della madre di<br />

uno di loro, che minò il loro senso di genitorialità più di quanto facessero le difficoltà dell’Affidamento<br />

e le loro difficoltà di coppia.<br />

<strong>Richard</strong> e <strong>Piggle</strong>, 15, 1, 2007


S. Maccioni: Alcuni vissuti di bambino, famiglia, operatori coinvolti nell’Affidamento familiare 61<br />

pensiero comune sul bambino, che poi è ciò che lo aiuterà a formarsi un’immagine<br />

intera di sé, coerente e meno frammentata.<br />

Siamo poi soggetti come terapeuti – e con noi tutte le figure coinvolte<br />

nella gestione del caso – a controtransfert individuali e istituzionali, in cui i<br />

nostri vissuti sono analoghi a quelli del bambino. Contrapposizioni e sensi<br />

di incomprensione e di abbandono si diffondono tra tutti gli operatori come<br />

per induzione psichica dal mondo interno del bambino e della sua famiglia,<br />

come se ritornassero i conflitti, le discussioni, che caratterizzavano l’ambiente<br />

originario, e ora si mettono in scena tra le figure attuali: tipica è la<br />

difficoltà di rapporti tra la famiglia affidataria e quella d’origine, come se<br />

ripetesse la difficoltà di unione che c’è stata tra madre e bambino, tra genitori<br />

naturali e figlio.<br />

In questi casi occorre una grande capacità di differenziazione da parte<br />

delle figure che si occupano del bambino, per capire quello che appartiene al<br />

minore o a sé stessi, quelle che sono differenze di opinioni oggettive, oppure<br />

scissioni, dinamiche inconsce di rifiuto e di esclusione che si riattualizzano.<br />

Per questi aspetti occorre molta riflessione, supervisione, analisi, discussione<br />

di gruppo. Ci si sente spesso incompresi, un po’ isolati, in un lavoro che<br />

dovrebbe essere d’equipe; un po’ soli, come il bambino che seguiamo noi.<br />

Condividere le difficoltà sembra l’unica via possibile, perché la nostra<br />

“tenuta” sosterrà il bambino in questo tempo.<br />

Riassunto<br />

L’articolo riporta alcuni vissuti di bambino, famiglia e operatori coinvolti nel<br />

processo dell’Affidamento Familiare. Propone una lettura dell’Affidamento come<br />

possibile “area transizionale”, prima ancora di pensarlo come esperienza sostitutivariparativa.<br />

Riflette sui vissuti fantasmatici (anche transgenerazionali) delle famiglie<br />

d’origine e affidatari. Considera alcune emozioni e difficoltà degli operatori coinvolti<br />

nella gestione dei casi in affido.<br />

Parole chiave: Affidamento Familiare – Vissuti connessi all’Affidamento – Deprivazione<br />

– Affidamento come area transizionale – Dinamiche operatori-bambinofamiglie<br />

nell’Affidamento familiare.<br />

Bibliografia<br />

Bollas C (1980). L’oggetto trasformativo. In: L’ombra dell’oggetto. (1987). Trad. it., Roma: Borla,<br />

1989.<br />

Bollas C (1987). Introiezione estrattiva. In: L’ombra dell’oggetto. Op. cit.<br />

Grimaldi S, Mineo G (1986). L’affidamento familiare. I servizi e l’ente locale nell’affidamento<br />

familiare. Comune di Roma, Assessorato Sicurezza Sociale.<br />

Grimaldi S (2002). La continuità. <strong>Richard</strong> e <strong>Piggle</strong>, 3: 255-64.<br />

<strong>Richard</strong> e <strong>Piggle</strong>, 15, 1, 2007


62 S. Maccioni: Alcuni vissuti di bambino, famiglia, operatori coinvolti nell’Affidamento familiare<br />

Lanjado M (2000). Fenomeni transizionali e cambiamento psichico: il ruolo del transfert e della<br />

relazione “attuale” nel passaggio dall’affidamento all’adozione. <strong>Richard</strong> e <strong>Piggle</strong>, 3: 283-<br />

293.<br />

Winnicott DW (1951). Oggetti transizionali e fenomeni transizionali. In: Dalla pediatria alla<br />

psicoanalisi (1958). Trad. it., Firenze: Martinelli, 1975.<br />

Winnicott DW (1984). Il bambino deprivato. Trad. it., Milano: Cortina, 1986.<br />

Questo articolo costituisce una rielaborazione e una sintesi dei lavori presentati dalla<br />

Dr.ssa Maccioni nelle Giornate SIPsIA sull’Affidamento Familiare: “Prospettive e problematiche<br />

dell’affido familiare: riferimenti teorici e modelli di intervento”, Roma 16/2/2002; “Pensare<br />

l’Affidamento attraverso difficoltà, limiti e ipotetici orizzonti”, Roma, 3- 4/10/2003. Data l’ampiezza<br />

dei temi trattati ed essendo diretto a vari tipi di operatori, non sono approfonditi numerosi<br />

aspetti psicodinamici, per lasciare più spazio alla considerazione dei vari temi emergenti.<br />

Sandra Maccioni, psicologa, psicoterapeuta, Membro Ordinario SIPsIA (Società Italiana di Psicoterapia<br />

Psicoanalitica dell’Infanzia, dell’Adolescenza e della Coppia).<br />

Indirizzo per la corrispondenza/Address for correspondence:<br />

Via Taro, 9<br />

00199 Roma<br />

email: s.<strong>maccioni</strong>@tiscalinet.it<br />

<strong>Richard</strong> e <strong>Piggle</strong>, 15, 1, 2007

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