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12 recensioni - Richard & Piggle

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Recensioni<br />

Lugones M., Algini M. L. (a cura di) Paura<br />

del futuro. Quaderni di Psicoterapia<br />

Infantile, n. 50. Pagine 268. Roma:<br />

Borla, 2005, Euro 22,50.<br />

Il libro ha il merito di affrontare gli effetti<br />

che eventi traumatici della nostra società<br />

attuale (guerre, sconvolgimenti politici,<br />

atti terroristici), hanno sull’individuo e in<br />

particolare sui bambini.<br />

Fa un’analisi di come violenze e crisi sociali,<br />

traumi ambientali, abbiano effetti sullo<br />

psichismo dei bambini, ed è perciò un libro<br />

molto importante, che in tempi di continua<br />

esposizione sociale e mediatica al trauma, ne<br />

esplora i vissuti, le trasformazioni interne.<br />

Viene considerato anche come rapide innovazioni<br />

che richiederebbero tempi più lunghi<br />

di elaborazione provochino cambiamenti<br />

sociali e generazionali sul soggetto, anche<br />

adulto od anziano.<br />

Le curatrici del volume, nella loro introduzione,<br />

chiariscono come la psicoanalisi non<br />

possa non incontrarsi con vicende del mondo<br />

che influenzano il soggetto, e come la realtà<br />

attuale modifichi non solo il mondo interno,<br />

ma le stesse pratiche terapeutiche: sembra<br />

che in certe situazioni non ci sia più il tempo<br />

o la capacità per metabolizzare, che le risorse<br />

psichiche vengano meno esse stesse.<br />

Marcelo N. Vinar ricorda, nel saggio che<br />

apre il volume, che anche i pazienti che arrivano<br />

a consultazione “non lo fanno più solo<br />

perché turbati dai frammenti di una sofferenza<br />

portata con sé dalla notte dei tempi (..) ma<br />

anche perché soffocati da qualcosa di attuale,<br />

che li opprime e richiede una soluzione urgente”<br />

(pag. 20-21). Perciò si impone una “clinica<br />

inedita”, dove il soggetto nel suo spazio<br />

privato va unito al soggetto nella sfera pubblica<br />

e a quello nell’era digitale, che vive nello<br />

“spasmo dell’instantaneità”.<br />

Anche Mercedes Lugones riflette su come<br />

nella nostra società “l’accelerazione generalizzata”<br />

toglie il tempo per sostenere le trasformazioni.<br />

Nel suo lavoro “Uno spazio per il<br />

futuro” approfondisce attraverso resoconti clinici<br />

gli effetti della violenza politica e sociale<br />

sui bambini, che riportano continuamente al<br />

terapeuta le immagini o gli eventi da cui si<br />

sentono minacciati. La catastrofe esterna si<br />

fonde con la catastrofe interna, come mostrano<br />

i casi: una famiglia emigrata in Italia dopo<br />

la crisi dell’Argentina, ma in fuga anche dal<br />

proprio passato; un preadolescente con crisi di<br />

panico preoccupato dalla guerra in Jugoslavia;<br />

un bambino adottato ed espatriato che riviveva<br />

il suo crollo nel crollo delle torri di New<br />

York; una dodicenne che aveva avuto alla nascita<br />

lunghe ospedalizzazioni, sconvolta dai<br />

bambini sommersi dalle macerie in Iraq.<br />

La sovraesposizione mediatica ha un effetto<br />

“cumulativo”, poiché sollecita aree indifferenziate<br />

annullando la distinzione tra trauma<br />

esterno e interno; il lavoro dell’analisi invece<br />

deve essere volto a contrastare la fissità<br />

della scena-luogo-fantasmatico, risignificando,<br />

mobilizzando. È perciò importante secondo<br />

l’Autrice che l’analista dia ascolto alle<br />

preoccupazioni sugli eventi reali così come a<br />

quelli interiori, poiché ciò “non significa dare<br />

loro uno statuto di causa nella lettura del materiale<br />

all’interno della seduta” ma “pensare<br />

e articolare - collegare per distinguere - la scena<br />

della Storia dalla scena della fantasia”<br />

(pag. 103).<br />

<strong>Richard</strong> e <strong>Piggle</strong>, 14, 1, 2006


Recensioni 79<br />

Della recente crisi in Argentina del 2001<br />

si occupano altri 2 lavori.<br />

Beatriz Janin mostra come un presente<br />

tragico e la previsione di un futuro catastrofico<br />

tolgano la capacità di sognare, di immaginare,<br />

di fare legami e progetti. Di fronte a violenze<br />

sociali, nei bambini cambiano i sensi di<br />

colpa, si inverte il sistema normativo; soprattutto<br />

si perdono i genitori come “scudo protettivo”,<br />

e il progetto anche identificatorio si<br />

complica. Allontanamenti e abbandoni minano<br />

la continuità interna. Assurge a un nuovo<br />

ruolo il gruppo sociale, che in queste situazioni<br />

può agire da contenitore, ricompattandosi<br />

e permettendo di legare l’angoscia.<br />

Silvia Morici riporta proprio le consultazioni<br />

all’infanzia svolte dagli analisti in<br />

quel periodo di crisi, sconvolti anch’essi, nell’assetto<br />

e nell’ascolto, dall’implosione dei fenomeni<br />

sociali nella stanza d’analisi. I bambini<br />

presentavano disorganizzazioni tipiche<br />

dell’infanzia, ma anche, avendo perso gli<br />

adulti come riferimento solido, patologie<br />

adultomorfiche nate dalla preoccupazione per<br />

la crisi stessa dei loro genitori (e così cefalee,<br />

ipertensione, gastrite).<br />

La caduta della legalità, dell’affidabilità<br />

e degli organizzatori esterni, producevano un<br />

eccesso pulsionale e allo stesso tempo un senso<br />

di impotenza. Nei giochi che facevano i<br />

bambini (“al corruttore, al sequestratore”),<br />

poteva scorgersi una pericolosa perdita del<br />

referente simbolico: non era un gioco che consentiva<br />

elaborazione, bensì mostrava una<br />

inefficacia dei dispositivi interni, essendo caduti<br />

i fondamentali ordinatori esterni.<br />

M. Luisa Algini ci porta a riflettere sul<br />

bisogno dell’individuo di immaginare un futuro,<br />

e di come prenda forma la rappresentazione<br />

del futuro, immaginato soprattutto<br />

come “positivo”. Nella nostra mente la percezione<br />

del presente si lega immediatamente<br />

a un seguito, come fosse un automatismo<br />

del pensiero. Rifacendosi anche a Freud, l’A.<br />

sottolinea il ruolo della rimozione e del diniego<br />

sottostanti: “l’essere continuamente<br />

proiettati in avanti è in funzione di una continua<br />

rimozione del pensiero della morte”, e<br />

anche un desiderio, “una ricerca incessante<br />

di colmare una mancanza originaria, frutto<br />

della cesura che ha permesso la nascita a<br />

prezzo della perdita dell’unità totale con un<br />

Altro” (pag. 64). Pensare a un futuro positivo<br />

è anche un modo per tenere sotto controllo<br />

la paura di un ritorno di esperienze dolorose<br />

passate e dei fantasmi terrifici che lo accompagnano.<br />

Però l’orizzonte del futuro è molto presente<br />

nell’individuo, e orienta anch’esso le nostre<br />

vite. L’Autrice mostra, facendo riferimento<br />

alla clinica, quali fantasmi terrifici si<br />

nascondano nel futuro, quando si è bambini,<br />

adolescenti e anche adulti: come un bambino<br />

possa difendersi tramite regressioni, un adolescente<br />

possa voler “fermare” il futuro (con<br />

l’anoressia, i blocchi nello studio, l’agire tutto<br />

e subito) e come poi un adulto si ritrovi a valutare<br />

il futuro che aveva inseguito e che non<br />

gli è più tutto davanti, e possa desiderare di<br />

cambiare ancora, o cadere nella malinconia, o<br />

nella malattia somatica.<br />

Sophie de Mijolla-Mellor ci parla del potenziale<br />

traumatico di «Terrorismo, barbarie<br />

e disordine». In esso coesistono un forte significato<br />

ideologico e un’assenza di significato<br />

sul piano psichico. La ripetizione visiva del<br />

gesto terroristico, la compulsione a guardare<br />

l’immagine (in TV, sulla stampa), muove<br />

identificazioni complesse, con la vittima e con<br />

chi ne è scampato, esercita una provocazione<br />

a pensare, ma anche una regressione dal pensabile<br />

attraverso la coazione d’immagine. È<br />

in gioco il fantasma dell’indifferenziazione<br />

primordiale, la dinamica vivo/morto, l’inquietante<br />

estraneità del rimosso che ritorna. L’A.<br />

compie un’analisi della crudeltà alla base degli<br />

atti terroristici, in cui essa vede una disidentificazione<br />

alla base che spiega l’indifferenza<br />

verso la vittima, e una particolare pulsione<br />

non a distruggere, ma ad aprire, dilacerare,<br />

il luogo chiuso dell’interno materno.<br />

I potenti cambiamenti sociali attuali (le<br />

modificazioni dei legami generazionali, duali<br />

e familiari) sono esaminati anche nei loro riflessi<br />

sulla vita degli adulti.<br />

Renè Kaes guarda il futuro da una diversa<br />

prospettiva, quella del “futuro dei discendenti”.<br />

Nel suo lavoro analizza i rapporti<br />

tra i nonni e i loro nipotini, e i legami che entrambi<br />

hanno con i figli-genitori. I nonni si<br />

sentono responsabili del futuro dei loro discendenti,<br />

che a loro volta “sono” il loro futuro,<br />

e la prospettiva di futuri “chiusi” crea un<br />

nuovo disagio della civiltà. Attualmente i<br />

nonni, più a lungo attivi, sono più vicini dei<br />

genitori ai loro nipoti, e se le figure dei nonni<br />

offrono normalmente al bambino vie di uscita<br />

dalla conflittualità edipica, possono in questi<br />

casi di vicinanza maggiore crearsi nei genitori<br />

“fantasmi di ratto dei bambini”. Questi te-<br />

<strong>Richard</strong> e <strong>Piggle</strong>, 14, 1, 2006


80 Recensioni<br />

mi danno luogo a una nuova proposizione di<br />

Kaes, di non leggere la storia solo come effetto<br />

dell’apres-coup, ma spesso dell’avant-coup,<br />

nel senso che oggigiorno i rapporti e la trasmissione<br />

tra generazioni richiedono una<br />

nuova dimensione temporale che includa l’avvenire<br />

accanto al passato.<br />

Silvia Amati Sas si sposta dai legami intra<br />

e intersoggettivi a quelli transoggettivi,<br />

analizzando nel suo lavoro quell’aspetto della<br />

soggettività di ognuno attinente all’ambito<br />

sociale condiviso. Quello che è privato diviene<br />

pubblico, e così accade per la sessualità<br />

(”Sessualità di massa e sessualità privata”).<br />

Nella massa mass-mediatica non siamo persone<br />

e oggetti differenziati ma una massa<br />

inerte, e il problema dell’essere una persona o<br />

una cosa si manifesta anche nella sessualità.<br />

Se la fantasia dell’incesto serve al bambino<br />

per pensare di poter crescere e “fare come i<br />

grandi” e deve poi venire abbandonata, nella<br />

società odierna essa viene mantenuta e sovvertita,<br />

dando luogo anche alla pedofilia.<br />

L’ambiguità, l’indifferenziazione, l’oggettocosa<br />

vengono sostenuti dai mass-media.<br />

Rosa Jaitin in “Ritrovare la filiazione”,<br />

si occupa di quando la famiglia è bloccata nella<br />

sua dimensione temporale e immaginaria<br />

del futuro da un passato vissuto come impossibile.<br />

La trasmissione avviene per via somatica,<br />

di un sintomo vuoto. La terapia familiare<br />

si propone di creare un futuro con la famiglia<br />

attraverso movimenti, trasformazioni,<br />

sogni. Anche riacquistare la capacità di<br />

proiettare genera futuro. Nella terapia familiare<br />

il setting riattualizza imago familiari<br />

consentendo una prima figurazione del trauma,<br />

per poi arrivare alla possibilità di pensare<br />

l’assenza, che farà appello alla memoria di<br />

un futuro.<br />

Elena Di Bella in “Se gioventù sapesse,<br />

se vecchiaia potesse”, riflette sulle trasformazioni<br />

di coppia, sulle relazioni “liquide” ormai<br />

esistenti tra uomo e donna, fragili e temporanee.<br />

C’è l’impossibilità di costruire un futuro<br />

insieme. Dall’altra parte il nostro futuro si allunga,<br />

e anche nella vecchiaia il bisogno d’amore<br />

rimane. C’è uno “zapping esistenziale”<br />

(pag. 174), reso difficile dalle richieste sociali,<br />

più rivolte all’Ideale dell’Io che al Super Io (vivere<br />

narcisisticamente). Si creano nuove aree<br />

mentali in corrispondenza di nuovi tempi della<br />

vita.<br />

Concludono il volume alcune riflessioni<br />

dei fondatori (Scotti, Cerletti) su come i cambiamenti<br />

sociali abbiano prodotto un cambiamento<br />

anche ne “I Quaderni”, chiamati a occuparsi<br />

di nuove forme di disagio, e un contributo<br />

di Irene Agnello sulla Voice Therapy,<br />

il lavoro fatto con gruppi di donne palestinesi,<br />

per dare loro la possibilità di dare voce,<br />

esprimere i propri sentimenti. Altri interventi<br />

riguardano i cambiamenti tra genitori e figli<br />

avvenuti dopo il ‘68 (M. Pandolfi), “Il diritto<br />

a vivere senza paura” (N. Morandini), e la<br />

minaccia che riguarda tutti, attualmente, di<br />

vivere quasi condannati a non avere un futuro,<br />

che però (scrive Filippo La Porta in<br />

“Contro l’inganno del futuro”) ci deve far ricordare<br />

l’importanza che riveste il presente.<br />

La sessione degli articoli si chiude con<br />

un coinvolgente contributo di E. Rodriguè che<br />

in “Lettera a un analista del 2100”, si interroga<br />

se la psicoanalisi esisterà ancora, se esisterà<br />

ancora il lettino e l’ora di 50 minuti…Ci<br />

dà però una importante asserzione per il presente,<br />

e forse anche per il futuro: a fronte di<br />

tutte le varie necessarie variazioni di setting,<br />

“La psicoanalisi è presente” laddove “c’è un<br />

analista disposto a sostenere un transfert”<br />

(pag.183).<br />

Questo libro costituisce una lettura importante,<br />

anche per le nostre personali paure,<br />

e onora tutti i bambini e gli individui coinvolti<br />

in complesse e drammatiche vicende personali.<br />

Sandra Maccioni<br />

Lanyado M., Horne A, (a cura di). Manuale<br />

di Psicoterapia dell’infanzia e dell’adolescenza.<br />

Approcci psicoanalitici.<br />

Milano: Franco Angeli, 2003.<br />

Pagine 301. Euro 28,00.<br />

Nel volume a cura di Monica Lanyado e<br />

Ann Horne, è stata raccolta, per l’edizione italiana,<br />

una scelta di scritti tratti dalla versione<br />

inglese, che riflette la varietà di approcci<br />

alle problematiche dei bambini e degli adolescenti.<br />

Il Manuale è stato pubblicato nel 1999,<br />

anno che coincide col cinquantesimo anniversario<br />

della costituzione dell’Association of<br />

Child Psychotherapists.<br />

Questo testo è rivolto a diversi tipi di<br />

lettori, sia a coloro che lavorano come psicoterapeuti<br />

infantili, sia a coloro che sono interessati<br />

al lavoro che viene svolto con i bambini,<br />

gli adolescenti e le loro famiglie.<br />

<strong>Richard</strong> e <strong>Piggle</strong>, 14, 1, 2006


Recensioni 81<br />

Nel Manuale sono presenti autori con<br />

formazioni teoriche diverse: freudiani contemporanei,<br />

indipendenti, kleiniani e junghiani.<br />

La presenza di autori diversi dà una<br />

panoramica sulle varie tecniche terapeutiche<br />

e sul modo di approcciare le difficoltà psicologiche<br />

dei bambini e degli adolescenti.<br />

Il volume si compone di due parti: una<br />

prima parte in cui sono illustrati i diversi trattamenti<br />

offerti dallo psicoterapeuta dell’infanzia<br />

e dell’adolescenza, e una seconda parte in<br />

cui sono trattati argomenti di interesse clinico<br />

come l’abuso sessuale, il trauma, la deprivazione,<br />

l’autismo, la delinquenza, la violenza,<br />

i disturbi dell’alimentazione e l’handicap.<br />

Con l’articolo di Viviane Green sulla psicoterapia<br />

con frequenza plurisettimanale si<br />

apre la prima parte del libro. In esso vengono<br />

esplicitati i motivi per cui si offre al bambino un<br />

rapporto terapeutico costituito da sedute molto<br />

frequenti e quali processi psichici ed affettivi<br />

sono coinvolti nella relazione terapeutica.<br />

Secondo l’autrice, occorre orientarsi verso<br />

la scelta di una terapia con frequenza plurisettimanale<br />

quando, valutando l’“età appropriata<br />

“del bambino o dell’adolescente, lo sviluppo<br />

emotivo attuale e futuro risulta in pericolo.<br />

Per valutare lo sviluppo emotivo del bambino<br />

o dell’adolescente un parametro fondamentale<br />

è la natura e la qualità del suo mondo<br />

oggettuale, esplorando come si relaziona<br />

con gli altri e come percepisce se stesso.<br />

Inoltre, altro parametro importante è come<br />

nel bambino si sviluppano i processi di separazione<br />

ed individuazione. Il bisogno di un lavoro<br />

intensivo è maggiore quanto più numerosi<br />

sono gli ambiti nei quali un bambino manifesta<br />

delle difficoltà che coinvolgono il suo funzionamento<br />

generale. L’Autrice sottolinea come<br />

i benefici effetti di un trattamento intensivo<br />

sono direttamente proporzionali all’età del<br />

bambino: più piccolo è più vi sono possibilità<br />

prognostiche favorevoli. Infine è sottolineata<br />

l’importanza, in una psicoterapia con frequenza<br />

plurisettimanale, di affiancarla con il lavoro<br />

con i genitori del bambino in trattamento,<br />

affinché il lavoro terapeutico possa essere sostenuto<br />

in termini psicologici. I genitori hanno<br />

bisogno di un aiuto per riflettere su come la<br />

loro comprensione e interazione col bambino<br />

possa favorire o bloccare i suoi progressi.<br />

A questo articolo segue quello di<br />

Marianne Parsons, Pat Redford e Ann Horne<br />

sulla psicoterapia con frequenza settimanale.<br />

La psicoterapia settimanale è il tipo di trattamento<br />

più frequentemente offerto nei servizi<br />

pubblici in Gran Bretagna. Ci sono alcuni<br />

psicoterapeuti infantili che la ritengono la<br />

cura più appropriata mentre altri pensano<br />

che una maggior frequenza dia risultati migliori.<br />

Gli Autori fanno riferimento a diverse<br />

ricerche, effettuate nei decenni passati, in cui<br />

è confrontata la frequenza settimanale con<br />

l’interruzione prematura della terapia. Nelle<br />

varie ricerche è emerso che è maggiore la probabilità<br />

che una terapia a frequenza settimanale<br />

venga interrotta prematuramente da<br />

parte del bambino o dei genitori. In ogni caso<br />

gli Autori sottolineano che, per considerare la<br />

frequenza più appropriata per il trattamento,<br />

è fondamentale valutare il grado e la flessibilità<br />

delle difese del bambino. Per la diagnosi,<br />

tuttavia, fanno riferimento al Profilo<br />

Diagnostico e alle Linee di sviluppo individuate<br />

da Anna Freud. Altra differenza tra<br />

una psicoterapia con frequenza settimanale o<br />

plurisettimanale è che la prima è particolarmente<br />

efficace per quei bambini il cui disturbo<br />

non è troppo grave o generale, mentre la<br />

seconda è indicata per i disturbi borderline,<br />

narcisistici, atipici.<br />

Interessante anche l’articolo di Monica<br />

Lanyado dedicato alle psicoterapie brevi e alle<br />

consultazioni. Queste sono rivolte sia ai<br />

bambini sotto i cinque anni e alle loro famiglie,<br />

sia agli adolescenti, che sembrano accettarle<br />

di più perché meno impegnative di una<br />

psicoterapia lunga a tempo indeterminato.<br />

Susan Reid, invece, getta luce su un settore,<br />

come la psicoterapia di gruppo con bambini<br />

e adolescenti, che è poco diffusa rispetto<br />

a quella individuale. Il gruppo può essere o un<br />

gruppo misto in un setting condiviso, o un<br />

gruppo di fratelli, un gruppo omogeneo o un<br />

gruppo eterogeneo. La psicoterapia di gruppo<br />

con bambini e adolescenti fa generalmente riferimento<br />

a due sotto gruppi distinti: quello di<br />

età compresa tra i 4 e gli 11 anni e quello tra<br />

gli 11 e i 15 anni. Nella psicoterapia di gruppo<br />

“divenire un gruppo” rappresenta uno degli<br />

obiettivi della terapia. Quello che inizia come<br />

un insieme di persone, si sposta verso l’esperienza<br />

del GRUPPO come entità psicologica,<br />

comportando delle modifiche di un comportamento<br />

centrato su se stessi, riconoscendo<br />

i bisogni, i desideri e i sentimenti degli altri.<br />

Nell’atmosfera emotivamente fluida del<br />

gruppo, i bambini scoprono nuove dimensioni<br />

della propria personalità. Inoltre molti bambini<br />

che hanno utilizzato il gruppo come pri-<br />

<strong>Richard</strong> e <strong>Piggle</strong>, 14, 1, 2006


82 Recensioni<br />

mo passo in direzione di una terapia individuale<br />

sembrano, secondo l’esperienza<br />

dell’Autrice, più capaci di utilizzare al meglio<br />

il lavoro individuale, ma anche di averne bisogno<br />

per un periodo più breve.<br />

Chiude la prima parte del Manuale l’articolo<br />

di Dilys Daws su “La psicoterapia breve<br />

con i bambini piccoli e i loro genitori”.<br />

L’Autrice parla della sua ventennale esperienza<br />

in un servizio di consulenza per bambini<br />

al di sotto di cinque anni che presentano<br />

problemi legati ai disturbi del sonno, a difficoltà<br />

di separazione, all’alimentazione e alla<br />

depressione post-partum delle madri.<br />

L’attivazione di gruppi di lavoro rivolti a tutto<br />

il personale sanitario che si trova ad occuparsi<br />

di bambini piccoli offre loro l’opportunità<br />

di riflettere sui vissuti emotivi che vengono<br />

messi in moto nell’incontro con i pazienti.<br />

La seconda parte di questo volume parla<br />

più specificamente di casi clinici e, accanto<br />

ad articoli di particolare interesse, come quelli<br />

sui bambini deprivati, delinquenti o violenti,<br />

ce ne sono altri che aprono una finestra su<br />

psicoterapie particolarmente difficili come<br />

quelle sui bambini vittime di un trauma o che<br />

sono stati abusati. Attraverso l’illustrazione<br />

di casi clinici si sottolinea come l’evento traumatico<br />

ha un impatto travolgente sulla mente<br />

e sulle emozioni del bambino.<br />

Un altro ambito che viene illustrato è il<br />

trattamento di bambini e adolescenti delinquenti<br />

e violenti. L’antagonismo, la sfiducia e<br />

l’ambivalenza nei confronti del cambiamento,<br />

uniti ad un profondo disturbo narcisistico sono<br />

al centro di gran parte dei comportamenti<br />

delinquenziali e rendono difficile il lavoro dello<br />

psicoterapeuta infantile, che deve assicurare<br />

una situazione terapeutica nella quale i<br />

delinquenti si sentano contenuti e facilitati a<br />

pensare. Ugualmente per i bambini e per gli<br />

adolescenti violenti bisogna creare un setting<br />

in cui la violenza venga compresa come un<br />

tentativo di soluzione ad un trauma che il paziente<br />

non è stato in grado di elaborare. Il paziente<br />

sarà allo stesso tempo carnefice nel<br />

mondo esterno e nell’immagine idealizzata di<br />

sé e vittima perché è stato lasciato privo di<br />

una membrana protettiva interna. Non colludendo<br />

né col suo Sè ideale né con le richieste<br />

di un SuperIo rigido, lo psicoterapeuta deve<br />

stabilire un contatto emotivo col paziente, cosa<br />

che egli non è in grado di fare da solo.<br />

Altrettanto difficile è anche il lavoro<br />

dello psicoterapeuta con bambini abusati e<br />

con adolescenti abusanti: nell’articolo di Ann<br />

Horne si sottolinea come è d’obbligo per lo<br />

psicoterapeuta che lavora con i bambini abusati<br />

avere un uno spazio per sè dove portare<br />

e condividere con altri i sentimenti suscitati<br />

dal suo lavoro. Da un lato il terapeuta vorrebbe<br />

ascoltare la storia del bambino e dall’altro<br />

lotta contro il desiderio di non farlo. Il<br />

bambino abusato, peraltro, teme nel transfert<br />

che il terapeuta possa essere un altro<br />

adulto abusante e nello stesso tempo desidera<br />

che non lo sia, oscillando tra la speranza e<br />

la fiducia ed improvvisi enactments di terrore<br />

e di inviti all’abuso.<br />

Un’interessante riflessione viene posta,<br />

con illustrazioni cliniche, sull’approccio<br />

psicoanalitico al DIG (disturbo dell’identità<br />

di genere) e, successivamente, ai disturbi<br />

dell’alimentazione. Entrambi i disturbi<br />

necessitano, da parte del terapeuta,<br />

di un’attenta riflessione per trovare le ragioni<br />

nascoste dietro al sintomo, accanto ad<br />

un lavoro terapeutico mai disgiunto dalla<br />

collaborazione delle famiglie dei giovani pazienti.<br />

E ancora, estremamente attuale, in<br />

tempi come questi, flagellati da inutili guerre<br />

e violazioni dei diritti umani, Sheila Melzak,<br />

nel suo articolo, riferisce la sua esperienza al<br />

Medical Foundation for the Care of Victims of<br />

Torture che ha sede a Londra. Il suo lavoro<br />

comprende la diagnosi e il trattamento dei<br />

bambini e degli adolescenti in cerca di asilo,<br />

sopravvissuti alla violenza politica e senza famiglia.<br />

Inoltre l’Autrice conduce la supervisione<br />

degli specialisti che lavorano con loro e<br />

con chi se ne prende cura.<br />

Il Manuale si chiude, infine, con due articoli<br />

che invitano a riflettere il primo su un<br />

tema come l’autismo, che comporta continue<br />

riflessioni tecniche e teoriche, il secondo sui<br />

bambini con handicap e sulla possibilità di<br />

dare loro uno spazio terapeutico. Per entrambe<br />

le patologie è importante, anche in<br />

assenza della comunicazione verbale, accostare<br />

la ricchezza del mondo emotivo di questi<br />

pazienti.<br />

L’articolo, ed anche il libro, si conclude<br />

con un’acuta riflessione circa il lavorare con i<br />

pazienti con handicap: “Imparare a conoscere<br />

le sfumature del silenzio di un bambino<br />

gravemente multi-disabile migliora le proprie<br />

capacità terapeutiche con tutti i pazienti!”<br />

(pag. 296).<br />

Barbara Cupello Castagna<br />

<strong>Richard</strong> e <strong>Piggle</strong>, 14, 1, 2006


Recensioni 83<br />

Günter Münter M. Psychotherapeutische<br />

Erstinterviews mit Kindern.<br />

Winnicotts Squiggle-Technik in der<br />

Praxis. Stuttgart: Klett-Cotta, 2003.<br />

252 pagine.<br />

Come incontrare un bambino o un adolescente<br />

che si sente profondamente minacciato<br />

da sé stesso, dai propri pensieri, dal proprio<br />

corpo e dal mondo che lo circonda? Come<br />

incontrarlo rispettando il suo bisogno vitale<br />

di difendersi dalla minaccia, e al contempo<br />

aprire una breccia nella sua chiusura difensiva<br />

e offrirgli una speranza? Di fronte ad una<br />

malattia psichica o fisica molto grave, che inferisce<br />

gravemente sul narcisismo della persona,<br />

il terapeuta non può che retrocedere con<br />

la sua pretesa di offrire interpretazioni e deve<br />

accompagnare il bambino nel suo percorso<br />

fino a lì dove il bambino vuole e può arrivare.<br />

In questo libro Michael Günter ci invita a seguirlo<br />

attraverso il racconto dettagliato dei<br />

suoi primi incontri con <strong>12</strong> pazienti tra i 7 e i<br />

16 anni, accomunati da un vissuto diffuso e<br />

profondo di minaccia al sé (gravi disturbi di<br />

ansia, disturbi borderline o psicotici, malattie<br />

somatiche con minaccia di morte); incontri in<br />

cui gioca con i suoi pazienti il gioco winnicottiano<br />

degli squiggles.<br />

Michael Günter è Primario del<br />

Dipartimento di Psichiatria e Psicoterapia<br />

dell’Età Evolutiva dell’Università di<br />

Tübingen in Germania. È psichiatra, psicoanalista<br />

e curatore della rivista Kinderanalyse.<br />

I bambini ed adolescenti di cui ci parla li incontra,<br />

per lo più in condizioni di ricovero, all’interno<br />

del reparto psichiatrico del suo ospedale,<br />

oppure in altri reparti (nel caso di gravi<br />

malattie somatiche). A nessuno degli incontri<br />

fa seguito una psicoterapia con lo stesso<br />

Günter, sono piuttosto un tentativo di entrare<br />

in contatto con il paziente per mezzo di un linguaggio<br />

diverso, qual’è quello degli squiggles,<br />

in una situazione di prima accoglienza, oppure<br />

di stallo della terapia oppure, ancora, in un<br />

periodo di chiusura e ritiro del paziente.<br />

“Per il bambino gli squiggles sono meno<br />

minacciosi del colloquio: dietro al simbolismo<br />

del disegno si possono nascondere e lasciare<br />

aperte molte cose”. Riprendendo il gioco winnicottiano<br />

degli squiggles Günter offre ai suoi<br />

pazienti la possibilità di “avvicinarsi e allo<br />

stesso tempo allontanarsi” da quelle paure<br />

profonde che vengono proiettate sulla realtà<br />

esterna del disegno e “magicamente scongiurate”.<br />

Ciò permette un primo distanziamento<br />

dalle angosce; angosce che trovano una forma,<br />

forse per la prima volta, p.e. nella veste di animali<br />

mostruosi o velenosi; e in questa nuova<br />

forma costituiscono una minaccia meno reale<br />

ed immediata al sé. Diventa allora possibile<br />

parlarne, avvicinarvisi con delicatezza.<br />

Il disegno si situa fra interno ed esterno,<br />

permette di esprimere qualcosa e al contempo<br />

allontanarlo da sé in quanto appartiene ora<br />

ad una realtà esterna, condivisa. E nel gioco<br />

degli scarabocchi l’immagine nasce proprio<br />

dall’esperienza della condivisione, perché<br />

ogni disegno è frutto del contributo di due persone.<br />

Per entrambi c’è la “sorpresa” e il confronto<br />

con qualcosa che nessuno dei due ancora<br />

comprende fino in fondo. È proprio questo,<br />

secondo Günter, il senso degli squiggles, quel<br />

che permette una comunicazione profonda,<br />

inconscia. L’autore cita come Leitmotiv del<br />

suo lavoro le parole di Winnicott, secondo cui<br />

la psicoterapia ha luogo lì dove si sovrappongono<br />

due ambiti di gioco. Compito del terapeuta<br />

è quello di offrire al bambino una cornice<br />

contenitiva, perché il gioco sia possibile e<br />

la relativa libertà degli squiggles non spaventi<br />

il paziente né sia fonte di caos.<br />

Grazie al gioco il bambino/adolescente<br />

non si sente passivamente esposto a una condizione<br />

di esame, ma sente di partecipare attivamente<br />

a una esperienza condivisa, in cui<br />

può creativamente scoprire sé stesso e la presenza<br />

di un altro empatico. Infatti, riprendendo<br />

le parole di Winnicott (1968) secondo<br />

cui il bambino stesso scopre quel che già era<br />

presente in lui, Günter sottolinea l’importanza<br />

del contributo attivo del bambino. È anche<br />

per questo motivo che offre sempre al bambino<br />

la possibilità di fare l’ultimo disegno, che<br />

spesso diventa (per il bambino) o l’occasione di<br />

una comunicazione particolarmente significativa,<br />

oppure un mezzo per uscire dal caos e ricostruire<br />

quelle difese necessarie per affrontare<br />

la realtà esterna, che nel corso dell’incontro<br />

si sono temporaneamente allentate.<br />

Ciò non significa che il terapeuta debba<br />

condividere le difese deneganti del bambino o<br />

astenersi da qualunque interpretazione. Ma<br />

Günter riprende l’enfasi winnicottiana sui pari<br />

diritti di bambino e terapeuta, e come il terapeuta<br />

non debba mai passivizzare il bambino<br />

con interpretazioni dogmatiche - al bambino<br />

spetta il diritto di rifiutare una interpretazione<br />

anche corretta, ma fatta nel modo sbagliato<br />

o nel momento sbagliato. Attraverso le<br />

<strong>Richard</strong> e <strong>Piggle</strong>, 14, 1, 2006


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parole e i disegni del terapeuta il paziente deve<br />

poter sperimentare la sensazione di essere<br />

compreso.<br />

Günter riprende quindi ampiamente il<br />

pensiero winnicottiano, ma il suo focus sembra<br />

essere diverso. Lì dove gli squiggles di<br />

Winnicott erano un gioco estremamente creativo,<br />

che conduceva la coppia terapeuta-paziente<br />

ad un incontro intenso ma unico, in cui<br />

comunicare su sogni e fantasie, Günter si trova<br />

ad utilizzare gli squiggles più come una<br />

tecnica poco intrusiva ed estremamente ricca<br />

per esplorare il mondo interno del paziente ed<br />

eventualmente decidere sull’orientamento terapeutico.<br />

Diversi sono anche i pazienti ed il<br />

contesto in cui Günter utilizza il gioco degli<br />

scarabocchi - sono pazienti, per lo più ricoverati,<br />

con disturbi borderline o psicotici, disturbi<br />

psicosomatici (anoressia, encopresi,<br />

enuresi) ed una forte chiusura o radicata diffidenza<br />

verso l’altro; pazienti con cui difficilmente<br />

un solo incontro può avviare un processo<br />

di guarigione spontanea come avviene<br />

in molti dei casi descritti da Winnicott.<br />

Günter tende poi a ripetere il gioco degli<br />

squiggles a distanza di tempo, e ciò a mio avviso<br />

non è privo di rischi per il significato che<br />

tali incontri possono avere per il paziente.<br />

La particolare attenzione alla salvaguardia<br />

delle difese psichiche e la delicatezza con<br />

cui Günter affronta il bisogno del paziente di<br />

mantenere una “distanza di sicurezza” dalle<br />

proprie angosce, e al contempo il bisogno<br />

profondo di poterle comunicare, sono strettamente<br />

intrecciate con la sua lunga esperienza<br />

con pazienti affetti da gravi malattie somatiche<br />

e in pericolo di vita, ricoverati nella unità<br />

di terapia intensiva della sua clinica. Bambini<br />

o adolescenti che vivono con una continua minaccia<br />

di morte ed hanno bisogno della loro difesa<br />

denegante per proteggersi da una ferita<br />

narcisistica troppo profonda. Sono stata molto<br />

colpita dagli incontri di Günter con Klaus, un<br />

bambino affetto da un tumore maligno a cui<br />

non riuscirà a sopravvivere. Al loro ultimo incontro,<br />

per mezzo degli squiggles diventa possibile<br />

comunicare con questo bambino chiuso e<br />

solo sui suoi bisogni regressivi, di contenimento<br />

e di vicinanza di fronte alla consapevolezza<br />

dell’avvicinarsi della morte. E diventa anche<br />

possibile mettere successivamente la madre<br />

spaventata ed evitante in contatto con il bisogno<br />

del figlio di un confronto sincero ed aperto<br />

con lei, il che permetterà poi ai due di vivere insieme<br />

un ultimo periodo molto intenso e ricco.<br />

Gli squiggles possono quindi rappresentare<br />

una preziosa risorsa lì dove non ci sono<br />

più parole, e la minaccia è troppo grande. È<br />

una forma di dialogo diversa, che può anche<br />

essere accettata dal bambino ritirato e costretto<br />

a negare a sé stesso e agli altri le sue<br />

paure e il suo terrore di fronte alla morte.<br />

Günter ammette come anche il terapeuta si<br />

senta più protetto per il solo fatto di poter fare<br />

qualcosa, agire, disegnare, combattendo così<br />

un vissuto profondo di impotenza e disperazione.<br />

Nell’ultimo capitolo del suo libro Günter riporta<br />

i risultati di uno studio longitudinale su<br />

bambini sottoposti a trapianto di midollo osseo<br />

o di cellule staminali (Günter et al., 1997).<br />

Qui l’autore ha tentato di integrare il<br />

gioco degli squiggles con l’utilizzo di questionari<br />

di autovalutazione per indagare i meccanismi<br />

di difesa e di adattamento che si sviluppano<br />

nel corso di questo trattamento medico<br />

estremamente intrusivo, che comunque<br />

in molti casi non riesce ad evitare il decorso<br />

fatale della malattia. Questo tentativo di integrazione<br />

di vari strumenti diagnostici evidenzia<br />

come dietro al funzionamento iperadattato<br />

ed ipernormale dei bambini - quale<br />

emerge dai test e dal comportamento dei pazienti<br />

- si celino una negazione del proprio<br />

vissuto di diversità, di impotenza e di rabbia<br />

ed angosce profonde rispetto al proprio corpo<br />

ed alla propria identità. Infatti, negli squiggles<br />

di questi bambini vengono alla luce<br />

profonde angosce paranoidi (essere divorati,<br />

avvelenati, derubati dell’identità) accanto ad<br />

un progressivo accentuarsi di bisogni regressivi,<br />

desideri di fuga, e di una tendenza alla<br />

de-differenziazione dell’immagine corporea.<br />

Nel disegno l’immagine corporea diventa più<br />

indefinita, indifferenziata e difettosa, là dove<br />

il bambino sperimenta una grave minaccia alla<br />

propria identità fisica e psichica.<br />

Il rischio di questo studio è quello da cui<br />

tante volte ha messo in guardia Winnicott: di<br />

voler trasformare il gioco degli squiggles in un<br />

test vero e proprio, sacrificando il suo valore intrinseco<br />

al rispetto di criteri statistici di validità<br />

ed attendibilità. Ma Günter sembra riuscire<br />

a sfuggire a questa trappola, non perdendo<br />

il contatto con l’esperienza unica ed irripetibile<br />

dell’incontro con il paziente, e con il bisogno<br />

del bambino di essere compreso piuttosto<br />

che testato; dove comprendere significa anche<br />

farsi “sorprendere” e guidare dal bambino lì dove<br />

il bambino ha bisogno di essere incontrato.<br />

Veronika Garms<br />

<strong>Richard</strong> e <strong>Piggle</strong>, 14, 1, 2006

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