vita aprile 2004 - Giuseppini del Murialdo

Buona 

Pasqua 

“Fedeli al carisma che lo Spirito ha donato al Murialdo, i 

Giuseppini vivono la propria vocazione con la certezza che 

Dio li ama per primo, in modo infinito, attuale, personale 

e misericordioso, e che tutta la loro esistenza è guidata 

da Lui.” 

(LA REGOLA art. 4) 

Anno CX - N. 4 Aprile 2004 - SPED. IN ABB. POSTALE ART. 2 COMMA 20/C LEGGE 662/96 – FILIALE DI ROMA 

Mensile dei Giuseppini del Murialdo 

Aprile 2004 

Tra culto e vita quotidiana 

Dalla parte 

dei piccoli 

Il punto sull’accoglienza

Mensile dei Giuseppini del Murialdo 

Direttore responsabile: Giovanni Boggio 

Redattore: Angelo Catapano 

Redazione: Modesto De Summa 

Grafica: Claudio Brescia 

Amministrazione Segreteria: Luigi Simeoni 

117 TRA CULTO E VITA QUOTIDIANA... 

LO SPIRITO 

118 MISSIONARI DI SAN GIUSEPPE 

120 “SCUSI? MA CHI SONO I RELIGIOSI?” 

122 L’APOSTOLATO NEGLI ORATORI 

124 “SE CI VEDESSI DIREI CHE NON HO CREDUTO AI 

MIEI OCCHI 

L’ATTUALITÀ 

126 QUESTA STRANA SOCIETÀ 

128 DALLA PARTE DEI PICCOLI 

130 NON È FACILE PARLARE DI FEDE 

132 LA FAMIGLIA E LA LEGGE 

134 I VOLTI DELLA POVERTÀ IN EUROPA 

136 LEGGE 180: DI NUOVO IN PISTA LA RIFORMA 

137 TRA CATTEDRA, STUDIO E COMUNITÀ 

139 I GIOVANI PREGANO DI PIÙ 

140 CHIAMA ANCHE I LONTANI... 

142 MULTI MEDIA 

LA CRONACA 

Aprile 2004 

Anno CX 

Numero 4 

L 1,55 

In copertina: 

Catechesi con i bimbi a Medellin 

(Colombia) 

144 IL PUNTO SULL’ACCOGLIENZA 

147 L’ORATORIO: BUONO COME UNA MACEDONIA 

148 EVVIVA!!! UN GRANDE E ANTICO SOGNO SI STA 

REALIZZANDO 

149 COMUNITÀ MURIALDO 

151 LETTERA DI UN MISSIONARIO 

153 QUALE FAMIGLIA? 

154 VOLONTARI IN SERVIZIO CIVILE. UN’ESPERIENZA 

DA FARE 

155 ROMA 

156 VITERBO-IST. S. PIETRO - TORINO-N.S. SALUTE 

157 PINEROLO – SPAGNA 

158 INDIA – ARGENTINA – ECUADOR 

COP.C SOLIDARIETÀ 

COMITATO DI REDAZIONE 

T. Locatelli – M. Peserico – S. Agazzi – E. 

Ariolfo – M. Angeli – E. Bellotto – M. Lomunno 

– N. Martelletto – S. Palumbo – G. D’Oria 

Direzione - Redazione - Segreteria 

Via Belvedere Montello, 77 - 00166 Roma 

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amicizia, anche a quanti ne fanno richiesta. 

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e la Famiglia del Murialdo. Testi e materiale 

inviato non vengono restituiti. 

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esclusiva degli autori. 

VITA GIUSEPPINA 

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prossimo numero collegarsi a: 

www.murialdo.org 

Impaginazione fotocomposizione e stampa: 

Scuola Tipografica S. Pio X 

Via degli Etruschi, 7 - 00185 Roma 

Editoriale 

di Agostino Cornale 

segretario.gen@murialdo.org 

Tra culto e vita quotidiana... 

Considero la missionarietà come “estroversione” di una parrocchia, di una comunità religiosa, di 

un carisma: 

Chiamati, alimentati ed inviati: tutti e tutti insieme, pur con diversità di origini e di destinazioni. 

La logica del sale, della luce, del lievito definiscono la missione della Chiesa: quella appunto di 

salare, illuminare, far fermentare…e poi sparire. 

“La Chiesa non è il fine della storia, non siamo posti da Dio solo per costruire il nostro mondo, 

lasciando perdere il mondo degli altri…”(cfr.Piano Pastorale anni 80). 

Al contrario “missione significa preoccuparsi del mondo, far perno sul mondo. Comporta dunque 

la volontà di assumere nel nome di Gesù anche le preoccupazioni umane nella loro terrestrità, non 

meno di come Gesù si preoccupava di guarire, interpretare e rispondere alla domanda di misericordia. 

Prima di essere un’azione la missionarietà è la coscienza di una destinazione a… 

La parrocchia è missionaria quando sa accogliere il convertito…senza imporgli da subito di uscire 

fuori dal suo mondo, perché in quel mondo dovremmo entrarci noi, con maggiore passione, per 

portarvi una novità che quel mondo si aspetta… 

È chiarissimo che sfide così richiedono dei pastori, dei religiosi, dei laici ben attrezzati: spessore 

umano, preparazione culturale, aggiornamento pastorale, ma soprattutto una solida spiritualità. 

Qualcuno forse ricorda “L’anima di ogni apostolato” dello Chautard; che forse può sembrare un 

po’ datato, sorpassato, almeno nell’impianto culturale che esprime. 

Eppure vi troviamo questa pagina: “L’apostolato, che è dono di sé e dono di Dio, è un grande mezzo 

di santificazione. È Cristo che associa una persona alla sua opera di evangelizzazione. Sia che 

si insegni, o si curino i malati, o si amministrino i sacramenti, si porta sempre Cristo al mondo. Ogni 

contatto con Cristo è sempre santificante. Dio s’impegna a dare l’aiuto necessario ai suoi inviati, 

non solo perché il ministero porti frutto, ma anche perché essi si avvicinino a Lui mentre si donano 

agli altri…Purché lo voglia, colui o colei che si dedica alla vita attiva può elevarsi ogni giorno nell’unione 

con Dio mediante la carità, e arrivare così alla santità. Può essere elevato anche ad un 

grado molto alto di contemplazione…Tutte le occupazioni al servizio di Dio e del prossimo possono 

però diventare anche un ostacolo. Ciò che diceva un individuo è valido anche per tanti altri: “un 

falso zelo mi ha rovinato”. Aveva dato prova di un’attività febbrile per l’azione cattolica, lasciando 

raffreddare il suo amore per Dio. Tutto andava a meraviglia e non mancavano i consensi esterni. 

Il bisogno di mettersi in mostra e il desiderio del successo personale l’avevano trascinato in una 

china pericolosa, quando un passo falso gli aprì gli occhi. Comprese allora l’espressione del salmo 

“Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori (Sal 127,1)”. Anche i sacerdoti, 

i religiosi, le religiose e i laici che si dedicano alle attività apostoliche più sante possono 

diventare spiritualmente denutriti”. 

La stessa cosa dice in fondo, anche un teologo moderno, laico e ortodosso Oliver Clemet, in termini 

più moderni e un po’ spiritosi, verso la fine del suo bel libro: “Dio è simpatia: bussola spirituale 

in un tempo complicato” : “È radicandosi in Dio che si può comprendere l’altro. Non si è per 

forza immediatamente commestibili nella vita. Molti si donano agli altri, ma rischiano di avvelenarli, 

se non sono al punto giusto di cottura, o di purificazione, di macerazione”. 

Vita Giuseppina 4 - 2004 117

LO SPIRITO 

San Giuseppe 

di Guglielmo Toral 

Missionari 

di san Giuseppe 

Notizie in breve su una congregazione giuseppina omonima particolarmente attiva in America e 

nella devozione a san Giuseppe 

A chi si deve la fondazione? 

Al P. Giuseppe Maria Vilaseca, nato a Igualada, 

Catalogna, Spagna, il 19 gennaio 1831; morto 

a Città del Messico il 3 aprile 1910. 

Come risposta alla sua vocazione missionaria, 

arrivò nel Messico il 20/03/1853; fece la professione 

religiosa nella Congregazione della Missione 

il 3/04/1855 e fu ordinato sacerdote il 

20/12/1856. 

Nei primi anni da sacerdote predicò Missioni 

Popolari in diverse parti del Messico, fu direttore 

delle Figlie della Carità, formatore in due seminari 

e scrisse parecchie opere mariane, giuseppine 

e catechetiche. 

Come parte del suo lavoro missionario, dal 

1871 iniziò la Biblioteca Religiosa, la rivista 

mensile “El Propagador de la Devoción al Señor San José”, l’Arciconfraternita di San Giuseppe, 

il “Colegio Clerical” (un seminario con due sezioni: per sacerdoti diocesani e per missionari), e le 

due Congregazioni religiose, le Suore Giuseppine e i Missionari Giuseppini. 

Quali sono le attività apostoliche che svolgete? 

Educazione della gioventù, missioni tra indigeni (nel Messico, nel Nicaragua) e “ad gentes” in 

Angola; e servizio pastorale in chiese e parrocchie. 

Dove siete presenti nel mondo con le vostre opere giuseppine? 

In diverse località del Messico, Guatemala, El Salvador, Nicaragua, Costa Rica, Venezuela, Cile, 

Stati Uniti, Angola e Roma. 

118 Vita Giuseppina 4 - 2004 

Perché avete scelto San Giuseppe come patrono e titolare? 

Veramente il nostro Fondatore aveva scelto il nome di “Figli (e Figlie) di Maria e Giuseppe”, e 

con questo nome ha scritto le prime regole, ma a Roma, quando cercava l’approvazione pontificia 

non è stato accettato il nome. Essendo però lui un fervente devoto di Maria, da Lei ricevette il dono 

di conoscere e amare San Giuseppe, e quindi fu verso il Santo Patriarca che diresse anche l’affetto 

del cuore e pose sotto il suo patrocinio tutto il lavoro, le attività, opere e Congregazioni. 

LA NOSTRA VOCAZIONE 

Sacerdoti e fratelli religiosi che vivono in comunità sull’esempio 

della Famiglia di Nazaret, in semplicità, umiltà e 

carità nel servizio dei poveri. 

IL NOSTRO FONDATORE 

Apostolo di san Giuseppe, ha posto le proprie opere 

sotto il suo patrocinio, gli scritti sono pieni di amore al 

santo Patriarca, il carisma vuol essere una sua irradiazione. 

IL NOSTRO PROGRAMMA 

“Onoriamo e glorifichiamo san Giuseppe con ogni sorta di 

buone opere e facciamo conoscere tra i fedeli, secondo le luci che 

ci dà la Sacra Scrittura, le opere dei Santi Padri, gli scritti dei dottori 

che parlano di san Giuseppe e la dottrina della vera tradizione” (J. M. Vilaseca). 

MISSIONARI DI SAN GIUSEPPE 

Nome popolare: Giuseppini del Messico 

Fondatore: P. José Maria Vilaseca (1831-1910) 

Fondazione: 1872 

Scopo/Finalità: Evangelizzare i poveri e gli indigeni, educare la gioventù e promuovere 

la conoscenza, il culto e la devozione a san Giuseppe. 

Indirizzo: Via S. Alessio 23 – 00153 Roma 

Studenti (seminaristi) 

in magistero (tirocinio) 

in riunione a 

Quito per riflettere 

sulla propria esperienza 

alla luce del 

carisma giuseppino. 

Qui da sin. a destra: 

Manuel Tuàrez, Renato 

Paredes, Edwin 

Velasco e Italo Chicaiza. 


Anno della Regola 

di Tullio Locatelli 

vicario.gen@murialdo.org 

“Scusi? Ma chi sono 

i religiosi?” 

Ogni tanto mi sorge una domanda: chissà cosa la gente sa e pensa della vita di noi religiosi? Alcuni 

laici sanno qualcosa della nostra vita perché passano nelle comunità, collaborano nelle opere, 

hanno a che fare in qualche modo con qualche religioso. Ma forse molta conoscenza è solo di 

superficie, legata all’amicizia con un religioso Giuseppino, o poco più. 

Che qualche cristiano non sappia bene la distinzione tra “frate, monaco, religioso, suora, consacrato, 

prete diocesano, prete religioso, fratello laico”, sta anche nel fatto che c’è un vocabolario 

ecclesiastico lontano dal farsi capire bene e subito. C’è anche un poco di ignoranza nonostante il 

parlare della chiesa comunione, della chiesa famiglia, che presume un conoscersi almeno per sapersi 

chiamare con il proprio nome. Senza contare poi che di religiosi e di suore ce ne sono di tanti 

tipi, ed è difficile spiegare che per un verso sono tutti “consacrati” ma che vivono ed operano in 

tanti modi diversi. 

E il religioso Giuseppino come si definisce? 

Recita la Regola: “I confratelli della congregazione di San Giuseppe rispondono all’amore di 

Dio donandosi totalmente a Lui, con l’impegno a vivere in modo radicale il Vangelo. Animati dalla 

carità che lo Spirito Santo infonde nel loro cuore, intendono seguire più da vicino Cristo povero, 

casto e obbediente, in una comunità di fratelli. Essi si consacrano a Dio dedicandosi ai giovani 

poveri, abbandonati e maggiormente bisognosi di aiuto e di cristiana educazione” (Costituzioni 

1). 

In questo primo articolo della Regola dei Giuseppini del Murialdo ci sono gli elementi fondamentali 

per definire il religioso Giuseppino, non qualsiasi tipo di religioso, ma una espressione 

particolare di vita consacrata che si rifà alla esperienza spirituale ed apostolica di San Leonardo 

Murialdo. Proviamo a semplificare. Quando un giovane fa la professione religiosa si dice che fa i 

voti (povertà-castità-obbedienza), che sceglie di far parte di una congregazione vivendo in una comunità 

con altri confratelli, che si dedicherà alla educazione dei giovani. E che tutto questo, se vissuto 

con fedeltà, è la sua risposta a Dio-Amore che l’ha chiamato a vivere ed offrire la sua vita da 

religioso Giuseppino. 

Con altro vocabolario quel giovane sta promettendo: di non sposarsi, di non cercare il successo 

personale, di non avere di mira il fare tanti soldi, di ubbidire ad un confratello perché suo superiore, 

di andare ad abitare in convento con altri come lui, di essere a servizio dei giovani. 

Si potrebbe dire anche in altro modo. Tutti siamo chiamati ad amare Dio e il prossimo, e la vocazione 

di ciascuno indica il proprio modo di farlo. Ma quel giovane, che sente di avere ricevuto 

la vocazione ad essere un religioso Giuseppino, vuol testimoniare che si può amare Dio rinunciando 

a tante cose belle e buone, rendendo la sua vita totalmente libera perché possa essere a servizio, 

tutta per Dio e tutta per i giovani poveri. Non è un superman e nemmeno un extraterrestre, 


lo fa perché, spinto dalla carità che lo Spirito Santo ha infuso nel suo cuore, gli piacerebbe che 

quello che ha fatto e vissuto san Leonardo Murialdo sia ripresentato oggi, per i giovani poveri del 

suo tempo. 

Il religioso giuseppino si impegna così a condurre, sulla scia della Regola, una “vita povera, casta, 

obbediente, in comunione con altri fratelli”; questo è ciò che si può constatare (almeno speriamo!), 

ma questo soprattutto è espressione di un cuore donato totalmente a Dio, riconoscendo il 

suo volto nel volto di ogni giovane. 

A questo giovane che dice di volere vivere da religioso, viene consegnata la Regola, quella dei 

Giuseppini del Murialdo. Essa viene accolta come aiuto alla fedeltà perché specifica alcune modalità 

della vita di un religioso, presenta le motivazioni fondamentali, rinnova le mete e i propositi. 

In questo senso la Regola è considerata come misura del tipo di vita che si è scelto, riferimento 

fondamentale, via per vivere il Vangelo. Per questo il Murialdo ricordava spesso che osservare la 

Regola è la strada sicura per diventare santi. 

Non so se ho risposto alla domanda su chi è il religioso Giuseppino, grazie alla Regola. Al di là 

delle parole mi auguro che la risposta sia nella vita che sa testimoniare la promessa fatta e rende 

in qualche modo trasparente il mistero di una vocazione non completamente definibile con parametri 

umani. Non perché sia una vocazione più speciale delle altre, ma perché alla fine si tratta di 

una scelta che tocca le corde fondamentali di ciascuno (l’amare, il possedere, il volere), là dove il 

cuore prende una decisione di fronte a Dio e in favore degli uomini, mettendo in gioco il mistero 

della sua esistenza. E si sa che il mistero è quella parte di noi stessi che non si riesce mai a dire fino 

in fondo. 

Religiosi Giuseppini del Murialdo: ci sono sacerdoti, fratelli laici e anche un vescovo. Qui i partecipanti alla Consulta 

provinciale equatoriano-colombiana a Quito dal 29 al 30 dicembre scorso. 


Vita del Murialdo 

L’apostolato 

negli oratori 

Tra le baracche dei poveri della periferia, nelle viuzze umide e malsane, in cortili senza sole, lungo 

le rive del Po, passa il giovane prete Leonardo Murialdo con la sua tonaca nera e un campanello 

in mano: a quel suono accorrono torme di bambini e ragazzi che lo seguono fino all’oratorio dell’Angelo 

Custode, lontani per qualche ora dalla miseria quotidiana. Recupera così piccoli fuorilegge, 

vagabondi, giovani dediti alle truffe, ai ricatti, alle violenze, candidati al carcere minorile. 

All’oratorio si gioca ma non solo, naturalmente. Il Murialdo s’improvvisa “sindacalista” per quei 

piccoli quasi sempre sfruttati. Molti sono operai, garzoni, apprendisti, commessi. Ogni primavera 

arrivano dal biellese gruppi di manovali e garzoni muratori di otto-dodici anni. Sono in balìa di 

padroni senza scrupoli, lavorano in condizioni di totale insicurezza, per stipendi da fame. Lui li 

porta all’oratorio, li fa giocare e riposare, li istruisce nelle cose di Dio. Si preoccupa di trovare per 

loro un lavoro da padroni onesti, tenendosi informato delle condizioni morali, fisiche, economiche. 

I poveri e i giovani gli vogliono bene. 

Nel 1856 muoiono i due più grandi amici, entrambi neppure ventottenni, compagni inseparabili 

di studio e di ministero. Giovanni Francesco Revelli scompare il 24 maggio. L’elogio funebre è 

dello stesso Murialdo. Il 5 novembre tocca a Francesco Paolo Rossi, direttore dell’Oratorio di San 

Luigi. Leonardo Murialdo si sente più solo. Ma la morte di Rossi mette nei guai anche don Bosco. 

Proporrà al Murialdo la direzione del San Luigi. Forse casualmente o forse no il prete dei Becchi 

incontra, un mattino del 1857, Leonardo Murialdo in 

via Doragrossa: sta uscendo dalla chiesa di San Dalmazzo 

dove ogni mattina va a dir messa. Gli chiede: 

«Signor teologo, me lo offre un bicerin?» (caffè, latte 

e cioccolato, bevanda tipica torinese). Entrano nel 

Caffè delle Alpi, all’angolo con via Consolata. E lì, 

seduti ad un tavolino, davanti al bicerin, don Bosco 

lancia la sua proposta: non potrebbe il signor teologo 

prendere la direzione del San Luigi? Ci sono tanti 

giovani da salvare e poi sarebbe bello continuare il 

lavoro del povero teologo Rossi. Il Murialdo ha già 

tanto da fare e non ama le cariche ufficiali. Forse tentenna. 

Teme di non farcela. Ma don Bosco usa le parole 

giuste. Come si fa a dire di no a don Bosco? «Se 

sono capace a qualcosa, faccia pure conto su di me», 

risponde alla fine. Gli tocca pagare i due bicerin, ma, 

quando esce dal Caffè, Leonardo Murialdo è il nuovo 

direttore dell’Oratorio di San Luigi. 

Comincia il suo servizio la domenica 26 luglio 

1857, non ancora ventinovenne. Nel primo discorso 


Leonardo Murialdo spiega perché ha accettato l’incarico. C’è una ragione generale: tutti dobbiamo 

salvarci l’anima, il prete deve salvare la sua e aiutare gli altri a salvare la propria e l’Oratorio 

è un modo per farlo. Cita poi altre due ragioni: «Perché succedo in questa carica a uno dei più cari 

amici che abbia avuto», e «perché trovo catechisti, assistenti, cooperatori così ecclesiastici come 

secolari, zelanti e generosi, che si prestano con tanto impegno ed esemplarità». Conclude: «La 

nostra speranza è nella benedizione di Dio: senza di essa nulla possiamo; la nostra speranza è nella 

Vergine Immacolata, in San Luigi, e anche in voi. Io farò quanto potrò: nelle istruzioni, nei catechismi, 

nel prepararvi ai sacramenti e nei leciti divertimenti: musica, teatro, ginnastica, giochi. 

E lo farò non da superiore, ma da amico”. È una gran fatica portare i ragazzi al San Luigi, trattenerveli, 

istruirli, avvicinarli a Dio. Bisogna inventare sempre qualcosa di nuovo. E Leonardo Murialdo 

fa proprio così. Nascono scuole serali e festive, la scuola elementare diurna, iniziative di patronato 

per i giovani operai e gli apprendisti, la scuola di canto e la banda musicale. Gli tocca pure 

metter mano al portafoglio, com’era previsto. Ci sono il tabernacolo e i gradini dell’altare da rifare 

in marmo, per esempio. Oppure qualche ragazzo ha bisogno di soldi, o ancora si vuol premiarne 

uno meritevole… 

6 aprile 1858. Leonardo Murialdo va dal papa. Una doppia udienza: pubblica con un gruppo di 

piemontesi; poi privata. Lasciamo sia lui stesso a raccontare: «Alle 9 di sera dello stesso giorno, 

fui introdotto ad udienza particolare per opera di don Bosco alla presenza di quest’ultimo e in 

compagnia del chierico Rua». Chiede una benedizione per i suoi ragazzi dell’oratorio e il papa risponde: 

«Vi sono degli apostoli che vorrebbero allontanare i ragazzi: ‘lasciate che i piccoli vengano 

a me’, diceva Gesù Cristo e così dobbiamo fare noi. Iddio dà molte benedizioni a chi si occupa 

dei fanciulli ed è grande consolazione il salvarsi in compagnia di altri salvati da noi: mentre 

è poltroneria il volersi salvare solo noi». Il Murialdo azzarda: «Il bisogno è grande, specialmente 

nel nostro paese». Pio IX ribatte che dappertutto c’è bisogno, ma è amareggiato per l’ostilità del 

governo piemontese e per la cattiva stampa che da Torino si diffonde ovunque. Benedette alcune 

medaglie, il papa dona al Murialdo due immagini, della Madonna e di san Luigi Gonzaga, protettore 

della gioventù: «Io non seppi rispondere altro, se non che li avrei conservati come reliquie». 

Poi la benedizione e i saluti, ma il Murialdo annota ancora: «Fui testimone in quella udienza della 

familiarità con cui don Bosco veniva benignamente trattato dal papa. In essa dopo aver concesso 

un gran numero di grazie chiestegli da lui, lasciò a tutti un ricordo in medaglie e poi diede a don 

Bosco un bel gruzzolo di 

monete d’oro, affinché con 

esse si potesse fare una festicciola, 

nei tre oratori di 

Torino da lui diretti». La 

festa sarà il 24 giugno, solennità 

di san Giovanni 

Battista, patrono della città 

di Torino. È la «festa dei 

tre oratori»: don Bosco la 

organizza a Valdocco, Michele 

Rua all’Angelo Custode, 

Leonardo Murialdo 

al San Luigi. Confessione 

e comunione, indulgenza 

plenaria di Pio IX, distribuzione 

delle medagliette 

benedette dal pontefice. E 

una gran merenda. Con i 

soldi del papa. 


Eugenio Reffo 

a cura della postulazione 

“Se ci vedessi 

direi che non ho 

creduto ai miei occhi” 

Sfogliando le lettere che don Reffo scrisse nei tre anni 1916-1918 si scopre un uomo sempre attento 

a chiunque gli sta vicino e che ha per tutti una parola di conforto e di sostegno. Non tralascia 

mai di aprire il cuore del suo interlocutore alla fiducia in Dio che accompagna e guida la nostra vita 

con amore di Padre. 

Tra i tanti temi che queste lettere ci offrono ne rileviamo solo due: la malattia dell’unico occhio 

che gli resta ancora sano e che lo porterà alla totale cecità, e le lettere ai confratelli militari o prigionieri 

ricche di affettuoso interesse per tutto ciò che può riguardare la loro salute, la loro vita spirituale 

e anche l’apostolato. 

Nel 1916 si riacutizza la sua oftalmia, che prelude il declino definitivo della sua vista. In una 

lettera del giugno scrive a un confratello:”. . . devi sapere che da 50 giorni non dico più messa e 

tengo il letto quasi tutto il giorno per una grave malattia di occhi...”. A settembre ritorna sull’argomento 

sia pure con un po’ di speranza e scrive:”... La mia oftalmia pare che prenda una 

buona piega...”. A ottobre è a Volvera “sperando qualche beneficio dall’aria campestre...” scrive. 

Ma la situazione resta molto incerta. A giugno del 1917 le cose peggiorano ed egli scrive: 

”La mia infermità peggiora di giorno in giorno e temo vicina la catastrofe finale...”. A ottobre 

in forma telegrafica: “la mia vista più indietro che avanti...” e subito aggiunge “di preghiere un 

grandissimo bisogno”, uno spiraglio questo che fa capire quale fosse la sua sofferenza intima 

per questo peggioramento. Nel febbraio del 1918 comincia così una lettera: “Se io ci vedessi direi 

che non ho creduto ai miei occhi quando...”, da questo si deduce che a quella data egli è completamente 

cieco. Da sempre don Reffo aveva dovuto portare gli occhiali a causa di una elevata 

miopia. Nel 1895 poi perse l’occhio destro, dal 1898, anno in cui fu in pericolo di perdere anche 

il sinistro, fino alla fine del 1917 fu un susseguirsi di cure e di ricoveri per salvarlo, ma tutto 

senza esito. Ora don Reffo è cieco. Soffre molto e confida il suo dolore al direttore spirituale, 

don Allamano, oggi Beato Allamano, ma agli altri non ne parla se non per dire che il Signore 

gli ridarà la vista per vederlo e contemplarlo in cielo. Il buio che lo avvolge e lo separa dalle 

cose e dagli altri è un problema suo, gli altri non devono sentirne il peso. Un confratello lo accompagnerà 

ovunque e lo seguirà sempre e all’accompagnatore di turno detterà le note del suo 

diario e la corrispondenza. 

Mentre l’oftalmia lo portava alla cecità creandogli una grande sofferenza, sul suo cuore di Padre 

e di superiore pesava, ancor più forse, il numero di confratelli chiamati alle armi e le conseguenze 

che ne derivavano per la vita della Congregazione. Nelle lettere parla dapprima di novan- 


ta confratelli sotto le armi, poi di un centinaio nel febbraio 1918 scrive:”. . . centoquattro confratelli 

sotto le armi...”. 

Sembra che in quegli anni non avesse altro interesse che loro. Aspetta sempre con ansia le loro 

notizie e ricorda nelle sue lettere che è un diritto-dovere del superiore essere informato delle loro 

condizioni fisiche e morali. L’espressione può dare l’impressione di norma giuridica, in realtà tradisce 

la sua preoccupazione e la sua attenzione per i figli lontani, che sono nella sofferenza e possono 

sentirsi soli. Scrive: “Sono dolentissimo delle notizie ricevute sulla tua salute... Spero che il 

Signore ti avrà concesso di superare come le tante altre anche questa crisi...”. 

A dicembre del 1917 scrive ancora: “Prendo viva parte alle tue tribolazioni; in questi giorni il 

mio pensiero è sempre rivolto ai nostri carissimi confratelli e ai patimenti che soffrono in stagione 

così rigida e in mezzo a tanti pericoli: l’unico conforto che prova il mio cuore afflittissimo è il 

pensiero della vostra rassegnazione... mi conforta ancora il pensiero che i vostri patimenti tollerati 

con tanta pazienza tornano a vantaggio spirituale della nostra cara Congregazione...”. “Siamo 

lontani di corpo ma uniti di mente e di cuore; - scrive a gennaio del 1918 - vi è tra noi la vera comunione 

dei santi e questo pensiero ci conforta e ci consola nella dolorosa tribolazione. . . “. “Ti 

ringrazio - scrive a un altro confratello -. . . è sempre un grande conforto sapere notizie dei propri 

figliuoli e saperle da loro stessi...”. Per assicurare ai confratelli prigionieri un trattamento meno 

duro e un luogo “più confacente al loro stato” scrive al Nunzio di Vienna perché ottenga che siano 

“ricoverati in qualche convento” dove potrebbero prestare qualsiasi servizio per mantenersi e 

non pesare sulla comunità che li ospiterebbe. Questa “squisita carità... - dice nella lettera al Nunzio 

- solleverebbe codesti poveri giovani da uno stato angoscioso e forse fatale e consolerebbe 

grandemente questa piccola Congregazione...” il che equivale dire “me stesso”. 

Don Reffo però sa stare vicino ai suoi figli soprattutto con la concretezza dei pacchi di pane, di 

vestiario, modeste somme di denaro. “. . . abbiamo fatto qualche spedizione che purtroppo arriverà 

quando arriverà. Quanto mi rincresce non potere con più prontezza e abbondanza alleviare le tue 

pene...-scrive in una lettera al confratello prigioniero-. Nel post scriptum riporta a conferma delle 

sue parole le date della spedizione del pane e l’elenco del vestiario contenuto nel pacco spedito. 

Questo breve e scarno saggio delle lettere ai confratelli sotto le armi o prigionieri vuole solo dire 

che gli anni di guerra hanno fatto soffrire molto don Reffo, che fu vicino ai suoi figli lontani, 

pregò e fece pregare molto per loro, fu per loro un autentico padre che assicura pane, vestito e affetto 

senza risparmio di tempo e di energie. Le lettere ci rivelano la grande umanità, la profonda 

sensibilità e il tenerissimo affetto di don Reffo. 

Don Reffo è attento alle preghiere e ottiene grazie e favori 

a chi lo invoca. Preghiamo con la sua intercessione: 

Signore, Padre buono, 

con fede ti preghiamo per intercessione 

di don Eugenio Reffo. 

Egli, per tuo amore, 

si fece padre dei giovani poveri, 

fu sostenitore 

della missione della Chiesa 

e guida dei chiamati 

alla vita consacrata 

nella congregazione di san Giuseppe. 

Fa’che possiamo testimoniare anche noi 

il tuo amore 

nel servizio dei fratelli bisognosi 

e concedi le grazie che ti domandiamo. Amen. 


Q ualche 

L’ATTUALITÀ 

di Giovanni Boggio 

gboggio@murialdo.org 

QUESTA STRANA 

SOCIETÀ 

lettore mi ha chiesto quale rapporto 

ci sia tra gli argomenti vari e diversi affrontati 

in questa mia rubrica e le finalità educative 

che Vita Giuseppina si propone. La domanda 

mi ha un po’ sorpreso. Essa presuppone 

una visione abbastanza ristretta del fatto educativo, 

quasi che l’educazione non debba riguardare 

le relazioni che il giovane deve intessere 

con l’ambiente in cui vive e con la società di cui 

fa parte. Da questa riceve continuamente impulsi 

e stimoli a comportarsi in un certo modo 

piuttosto che in un altro, in essa vede modelli di 

vita suggestivi e invitanti. Nella stessa società 

il giovane è destinato ad inserirsi, per diventarne, 

almeno nelle sue aspirazioni, un protagonista. 

Sarebbe per lo meno strano che un educatore 

non si preoccupasse di fornire al giovane elementi 

di valutazione della società in cui si trova 

e della vita alla quale deve prepararsi. Di 

fronte al bombardamento continuo di messaggi 

di ogni tipo ai quali il giovane (e tutti noi) è sottoposto, 

l’educatore ha l’obbligo morale e professionale 

di proporre modelli e stili di vita alternativi 

a quelli diffusi così largamente dai 

mass media. 

Oggi si parla spesso e volentieri di libertà di 

impostare la propria esistenza. Ma in pratica si 

impongono comportamenti e atteggiamenti 

che condizionano una scelta veramente libera 

Osservatorio 

perché non accettano alternative. La cultura 

massmediale non impone certo leggi scritte fatte 

osservare dalla polizia o sanzionate da misure 

coercitive. Però ha un codice di leggi ferreo, 

capace di distruggere chi non vi si adegua fino 

in fondo. La pena più grave con la quale la società 

punisce chi non segue le indicazioni che 

offre, si chiama emarginazione. 

È una logica diabolica che costruisce un ingranaggio 

dal quale si deve stare lontani il più 

possibile per non rimanerne vittime. L’immagine 

del film Tempi moderni, con l’omino incastrato 

tra gli ingranaggi di una macchina mostruosa, 

è diventata l’icona della nostra società 

che crea i suoi miti, le sue divinità e poi stritola 

chi se ne serve, illudendosi di aver raggiunto la 

felicità. E dopo piange le proprie vittime, e le 

trasforma in eroi che diventano a loro volta 

esche per catturare nuovi ingenui, destinati a 

fare la stessa fine. 

La vicenda dolorosa e drammatica del “Pirata” 

ha rivelato la perversione di questa società. 

Prima si esalta il campione quando giunge vittorioso 

ai traguardi, senza chiedersi a quale 

prezzo li abbia raggiunti. O meglio, sapendo 

quanto sono costati, ma fingendo di non sapere 

nulla. Poi, quando si vede che “il re è nudo”, 

quando non ci si può aspettare più nulla da lui, 

lo si abbandona al suo destino. I pianti e gli elogi 

postumi trasudano ipocrisia, sono le classi- 


che “lacrime di coccodrillo”, e ne abbiamo avuto 

abbondante dimostrazione dopo la morte di 

un campione che non riusciremo mai a sapere 

quanto fosse genuino o invece “taroccato”. 

Ma l’esaltazione del campione è stata tale da 

far passare in secondo piano tutto il sottobosco 

che lo aveva prodotto. Il messaggio che probabilmente 

molta gente ha colto, temo sia stato 

che “è morto un grande campione amato e pianto 

da tutti. Vale la pena diventare campioni 

quando si diventa così popolari”. E il dramma 

di una vita stroncata dalla droga? della solitudine 

spaventosa di chi era abituato all’applauso e 

al successo? del denaro che non basta mai? Tutto 

questo scompare annegato nei fiumi di lacrime 

che, conclusi i riti funebri, hanno smesso di 

scorrere. E la corsa continua sulle stesse strade 

di prima, come se niente fosse accaduto. 

Ma prima e dopo la vicenda Pantani quanti altri 

giovani hanno percorso e stanno percorrendo 

la stessa strada? chi si interessa di loro? o lo 

si fa solo quando scoppia anche per loro la tragedia? 

In questi ultimi tempi sono riemersi gli stessi 

problemi anche negli ambienti di un altro sport 

popolare, il calcio. Tutti sapevano, tutti sanno 

come si vincono certe partite, come si fanno 

certi gol, come i campioni di un giorno passano 

poi lunghi periodi grigi e anonimi. Tutti sanno 

(ed ora si incomincia anche a scriverlo) come 

vengono sostenuti fisicamente gli atleti “per 

migliorare le loro prestazioni”, si continua però 

a ripetere con sfacciata ipocrisia. E intanto i 

giovani, attratti dal miraggio di diventare anch’essi 

campioni strapagati, si “taroccano” per 

apparire quello che non sono con la speranza 

che si aprano anche per loro le porte del successo. 

Ma a quale prezzo? 

E i soldi che si promettono, sono veri o anche 

quelli sono “taroccati”? Le indagini delle varie 

Procure sulle società calcistiche, stanno portando 

alla luce imbrogli a non finire per creare 

un mondo artificiale, con successi inventati, 

stipendi da favola, valutazione dei giocatori alle 

stelle per riempire i buchi di bilanci fallimentari. 

Fino ad arrivare a vendere una squadra 

prestigiosa ad una finanziaria straniera 

spuntata dalle ceneri dorate della patria del 

proletariato. 

Ma i ragazzi continuano a sognare il pallone 

d’oro e sono disposti a tutto pur di vivere la loro 

adolescenza e giovinezza all’inseguimento 

di un traguardo che nessuno raggiungerà mai. 

Sognare è una cosa bellissima, aiuta a superare 

momenti difficili e dà comunque sempre una 

spinta nella vita. Ma quando il sogno è ottenuto 

a certi prezzi abbiamo il diritto e il dovere di 

chiederci: ne vale la pena? 

Anche al di fuori degli ambienti sportivi si 

propone un modo di vivere esasperato, dove 

tutti devono rendere al massimo, dove il successo 

ad ogni costo è il traguardo massimo da 

raggiungere. Questa aspirazione sarebbe positiva 

se si avesse di mira il raggiungimento di 

una professionalità seria, di una riuscita nello 

studio, di una affermazione nella propria attività 

lavorativa, di una vita familiare senza il fallimento 

del divorzio. Ma tutto questo è irriso 

dalla società artificiale che costituisce l’ideale 

proposto dai media e vissuto da gran parte dei 

nostri contemporanei, non solo giovani. 

Credo che interessarsi di questi problemi e 

farne oggetto di riflessione non sia tempo perso 

e rientri in una finalità educativa ben precisa. 

Forse anche un articolo stampato può aiutare 

qualcuno dei lettori, anche giovani, a confrontare 

un altro stile di vita con quelli proposti 

dai grandi media. Forse è un’illusione. Ma io ci 

provo, con serenità e convinzione, senza ricorrere 

a “tarocchi” di nessun genere. 


1. Il tema di quest’anno – “Chi accoglie anche 

uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie 

me” (Mt 18,5) – offre l’opportunità di riflettere 

sulla condizione dei bambini, che anche 

oggi Gesù chiama a sé e addita come esempio 

a coloro che vogliono diventare suoi discepoli. 

Le parole di Gesù costituiscono un’esortazione 

a esaminare come sono trattati i bambini 

nelle nostre famiglie, nella società civile e nella 

Chiesa. E sono anche uno stimolo a riscoprire 

la semplicità e la fiducia che il credente deve 

coltivare, imitando il Figlio di Dio, il quale ha 

condiviso la sorte dei piccoli e dei poveri. In 

proposito, santa Chiara d’Assisi amava dire 

che Egli, “posto in una greppia, povero visse 

sulla terra e nudo rimase sulla croce” (Testamento, 

Fonti Francescane n. 2841). 

Gesù amò i bambini e li predilesse “per la loro 

semplicità e gioia di vivere, per la loro spontaneità, 

e la loro fede piena di stupore”. Egli, 

Vita Ecclesiale 

Dalla parte dei piccoli 

Accogliere i piccoli, essere attenti all infanzia pi bisognosa, il messaggio del Papa 

per la scorsa Quaresima: un invito che ci sta particolarmente a cuore. 

pertanto, vuole che la comunità apra loro le 

braccia e il cuore come a Lui stesso: “Chi accoglie 

anche uno solo di questi bambini in nome 

mio, accoglie me” (Mt 18,5). Ai bambini Gesù 

affianca i “fratelli più piccoli”, cioè i miseri, i 

bisognosi, gli affamati e assetati, i forestieri, i 

nudi, i malati, i carcerati. Accoglierli e amarli, 

o invece trattarli con indifferenza e rifiutarli, è 

riservare a Lui lo stesso atteggiamento, perché 

in loro Egli si rende particolarmente presente. 

2. Il Vangelo racconta l’infanzia di Gesù nella 

povera casa di Nazareth dove, sottomesso ai 

suoi genitori, “cresceva in sapienza, età e grazia 

davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2, 52). Facendosi 

bambino, Egli volle condividere l’esperienza 

umana. “Spogliò se stesso, - scrive 

l’apostolo Paolo - assumendo la condizione di 

servo e divenendo simile agli uomini; apparso 

in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente 

fino alla morte e alla morte di croce” 


(Fil 2, 7-8). Quando dodicenne restò nel tempio 

di Gerusalemme, ai genitori che lo cercavano 

angosciati disse: “Perché mi cercavate? Non 

sapevate che io devo occuparmi delle cose del 

Padre mio?” (Lc 2, 49). In verità, tutta la sua 

esistenza fu contrassegnata da una fiduciosa e 

filiale sottomissione al Padre celeste. “Mio cibo 

– Egli diceva – è fare la volontà di Colui che 

mi ha mandato e compiere la sua opera” (Gv 4, 

34). 

Negli anni della sua vita pubblica, ripeté più 

volte che solo quanti avessero saputo farsi come 

i bambini sarebbero entrati nel Regno dei 

Cieli (cfr Mt 18,3; Mc 10,15; Lc 18,17; Gv 3,3). 

Nelle sue parole il bambino diventa immagine 

eloquente del discepolo chiamato a seguire il 

divino Maestro con la docilità di un fanciullo: 

“Chiunque diventerà piccolo come questo 

bambino sarà il più grande nel regno dei cieli” 

(Mt 18,4). 

“Diventare” piccoli e “accogliere” i piccoli: 

sono questi due aspetti di un unico insegnamento 

che il Signore rinnova ai suoi discepoli 

in questo nostro tempo. Solo chi si fa “piccolo” 

è in grado di accogliere con amore i fratelli più 

“piccoli”. 

3. Sono molti i credenti che cercano di seguire 

fedelmente questi insegnamenti del Signore. 

Vorrei qui ricordare i genitori che non esitano a 

farsi carico di una famiglia numerosa, le madri 

e i padri che, invece di additare come prioritaria 

la ricerca del successo professionale e della 

carriera, si preoccupano di trasmettere ai figli 

quei valori umani e religiosi che danno senso 

vero all’esistenza. 

Penso con grata ammirazione a coloro 

che si prendono cura della formazione 

dell’infanzia in difficoltà e alleviano le 

sofferenze dei bambini e dei loro familiari 

causate dai conflitti e dalla violenza, 

dalla mancanza di cibo e di acqua, 

dall’emigrazione forzata e da tante forme 

di ingiustizia esistenti nel mondo. 

Accanto a tanta generosità si deve 

però registrare anche l’egoismo di quanti 

non “accolgono” i bambini. Ci sono 

minori che sono feriti profondamente 

dalla violenza degli adulti: abusi sessuali, 

avviamento alla prostituzione, coinvolgimento 

nello spaccio e nell’uso del- 

la droga; bambini obbligati a lavorare o arruolati 

per combattere; innocenti segnati per sempre 

dalla disgregazione familiare; piccoli travolti 

dal turpe traffico di organi e di persone. E 

che dire della tragedia dell’AIDS con conseguenze 

devastanti in Africa? Si parla ormai di 

milioni di persone colpite da questo flagello, e 

di queste tantissime sono state contagiate sin 

dalla nascita. L’umanità non può chiudere gli 

occhi di fronte a un dramma così preoccupante! 

4. Che male hanno fatto questi bambini per 

meritare tanta sofferenza? Da un punto di vista 

umano non è facile, anzi forse è impossibile rispondere 

a quest’interrogativo inquietante. Solo 

la fede ci aiuta a penetrare in un così profondo 

abisso di dolore. Facendosi “obbediente fino 

alla morte e alla morte di croce” (Fil 2,8), Gesù 

ha assunto su di sé la sofferenza umana e l’ha 

illuminata con la luce sfolgorante della risurrezione. 

Con la sua morte ha vinto per sempre la 

morte. 

5. Con la semplicità tipica dei bambini noi ci 

rivolgiamo a Dio chiamandolo, come Gesù ci 

ha insegnato, “Abba”, Padre, nella preghiera 

del “Padre nostro”. 

Padre nostro! Ripetiamo frequentemente 

questa preghiera, ripetiamola con intimo trasporto. 

Chiamando Dio “Padre nostro”, avvertiremo 

di essere suoi figli e ci sentiremo fratelli 

tra di noi. Ci sarà in tal modo più facile aprire 

il cuore ai piccoli, secondo l’invito di Gesù: 

“Chi accoglie anche solo uno di questi bambini 

in nome mio, accoglie me” (Mt 18,5). 

GIOVANNI PAOLO II 


Il mondo di oggi, la società odierna e l’uomo 

in particolare, affrontano ogni giorno 

problemi e situazioni che sembrano condizionare 

quotidianamente il modo di pensare 

e di agire; si ascoltano tante parole, più o 

meno capaci di costruire e si mettono da parte 

il più delle volte discorsi che riguardano la 

propria coscienza, il proprio essere e soprattutto 

la fede. 

Si parla spesso di religiosità cercando di far 

confluire in questa parola tutto quanto, dimenticando 

talvolta di parlare di fede. 

II tema religioso oggi è di moda; è trattato da 

tutti i media, ma questa informazione di massa 

dà poco nutrimento alla fede personale; 

non passa attraverso il dialogo vivo e il confronto 

interpersonale. 

Cosa significa avere fede ? 

È un interrogativo a cui non è semplice trovare 

una risposta. Eppure l’individuo fin dalla 

nascita dimostra di aver bisogno di credere, di 

avere fiducia in qualcosa o in qualcuno. 

Non occorre andare indietro nel tempo e 

nella storia per ricordare le usanze e le tradizioni 

di antiche civiltà e popolazioni che credevano 

e manifestavano la propria fede adorando 

oggetti o idoli; e nel loro agire, giusto o 

sbagliato che fosse, costruivano tutta l’esistenza 

e il modo di vivere e di conseguenza di 

comportarsi. 

Non dobbiamo stupirci di farci delle domande 

sulla fede. Non abbiamo categorie 

mentali adeguate per esprimere l’infinito di 

Dio. Un guscio di noce non può contenere l’oceano; 

tuttavia l’intelligenza della fede è necessaria 

e dobbiamo farcela sull’esempio di S. 

Agostino. che amava ripetere: “Credere per 

capire e capire per credere. Voglio capire al 

massimo quello in cui credo”. 

La fede è pertanto un’esigenza interiore dell’uomo. 

In ciascuno di noi c’è la componente 

religiosa. che può essere sviata o soffocata, 

ma c’è sempre. 

Essa è il risultato di una riflessione umana, 

ma è soprattutto dono di Dio: dono di Dio e 

scelta dell’ uomo. 

Lo stesso Giovanni Paolo II ha scritto: “La fede 

non è un insegnamento che ognuno può 

adattare ai propri bisogni e secondo il momento. 

Non è una nostra invenzione o una nostra 

creazione: La fede è il grande dono divino 

che Gesù Cristo ha fatto alla Chiesa “. 

Molte volte quando dai media arrivano notizie 

di avvenimenti (catastrofi, guerre, carestie, 

uccisioni, ecc.) che scuotono la nostra vi- 

allora che tutte le sollecitazioni e le voci che 

ci circondano si armonizzano in un coro che 

parla di Lui. 

La fede in Dio è una realtà che pervade il 

cuore, la mente e lo spirito dell’uomo credente. 

Egli avverte in sé questa luce, questa certezza 

e ne ha conforto. 

Chi ha bisogno di fede ha necessariamente 

bisogno di amore: soltanto chi ama è capace 

di credere a tutto; anche a ciò che può sembrare 

impossibile. L’itinerario da seguire è 

quello scolpito dal Concilio Vaticano II: al 

Non è facile parlare di fede 

ta quotidiana, ci domandiamo se ha ancora 

senso avere fede. 

Ma la fede di oggi, e specialmente la vera fede, 

deve saper anche sopravvivere ai grandi 

traumi sociali, ai problemi del male e della 

sofferenza umana, al tremendo “silenzio di 

Dio” che sembra disinteressarsi degli eventi 

terreni. 

Il nostro credere è pieno di dubbi. Ciò che 

manca spesso a noi è la sicurezza della fede. 

La fede incontra il dubbio, perché manca 

l’evidenza e quando manca l’evidenza, scrive 

il grande Dottore della Chiesa S. Tommaso 

d’Aquino, l’intelletto è inquieto. Perciò il dubbio 

accompagna la fede, ma non la minaccia, 

la stimola e spesso diviene la via per raggiungerla. 

La fede non si nutre di evidenza bensì di 

dubbi superati e di dubbi approfonditi. 

A tal proposito vale la pena ricordare quel 

che disse un sacerdote africano rivolgendosi 

ai fedeli riuniti nella parrocchia: «Siete venuti 

oggi in chiesa a pregare perché il Signore ci 

mandi la pioggia; ma dove avete l’ombrello? 

Se aveste veramente fede, se foste sicuri del 

vostro Dio, avreste preso l’ombrello prima di 

chiedere la pioggia !». 

Quando si crede in Dio, la nostra vita diventa 

gioiosa e leggera, perché solo Dio può colmare 

il nostro bisogno di fede e soddisfare 

un’esigenza della nostra natura; ci si accorge 


mondo intero viene annunciata la salvezza 

perché “ascoltando creda - credendo speri - 

sperando ami” . 

La fede è vita e perciò come ogni organismo 

vivente deve crescere sempre, il cristiano vive 

di fede giorno per giorno non nell’astratto 

delle sue meditazioni, ma nel concreto dei 

rapporti col mondo delle cose e degli uomini. 

Una tale fede dev’essere perciò continuamente 

revisionata, aggiornata e approfondita 

perché possa essere al passo con i tempi, capace 

di illuminare le situazioni del mondo di 

oggi. 

È opportuno un cammino più continuativo 

di fede, affinché l’individuo e l’adulto in particolare 

possa progettare seriamente e responsabilmente 

la propria esistenza cristiana. 

I tempi, le situazioni e gli avvenimenti ci 

spingono ad uno sforzo impegnativo per incontrarci 

per verificare la fede e ridare la capacità 

e la forza di incidere negli eventi del 

mondo, per evangelizzarli e trasformarli. 

S.Giovanni María Vianney, più conosciuto 

come il Curato d’Ars, soleva dire: “ Siamo in 

questo mondo come in una nebbia, ma la fede 

è il vento che la dissipa e fa splendere nell’anima 

un bel sole”. Ci piace concludere queste 

brevi riflessioni sulla fede con un paradosso: 

“ Che cos’è la fede? Chiudi gli occhi e vedrai! “. 

Gualtiero Sabatini 


Costume e diritto a volte si inseguono, 

talora si scontrano, spesso si integrano. 

Certo è che il legislatore non può 

ignorare i cambiamenti del costume nel dettare 

le norme del vivere civile e nel regolare i 

rapporti interpersonali. Non sfugge a questa 

logica la famiglia che è una realtà in mutamento, 

fondata sulla stabilità degli affetti. Il 

mutamento, in epoche remote, è stato lentissimo 

e quasi impercettibile. Nell’ultimo secolo, 

invece, rapido al punto da rendere difficile 

un’analisi esaustiva. Limiterò queste brevi 

note agli ultimi settant’anni che hanno segnato 

il passaggio dalla famiglia-persona alla persona 

nella famiglia. 

La famiglia-persona 

Il codice civile del 1942, in pieno declino dell’era 

fascista, si prefiggeva di riproporre all’interno 

della famiglia la struttura piramidale dello 

Stato, mediata dalla filosofia del diritto di 

Hegel. Lo studioso, per esplicitare il suo pensiero, 

parte da una definizione del matrimonio: 

il consenso libero di due persone a costituire 

una sola persona, ad abbandonare la propria 

personalità naturale e singola in quell’unità, 

che, da questo aspetto, è un’autolimitazione. 

Da tanto fa discendere che la famiglia è una 

persona o che i suoi membri non sono che puri 

accidenti. Sicché la funzione giuridica dell’individuo 

nella famiglia non può essere che quella 

di soggezione a un fine che, superiore ai fini 

individuali, lega organicamente i soggetti fra di 

loro. La conseguenza più evidente di tale filosofia 

è che la farmiglia-persona, individuata 

nella figura del padre, finisce con l’imporre il 

sacrificio del singolo per il conseguiniento del 

bene comune. È il marito che sa qual è il bene 

Vita in famiglia 

di Sandro Palumbo 

La famiglia e la legge 

della moglíe; è il padre che sa qual è il bene dei 

figli. 

Attingendo a tale cultura, largamente condivisa 

dal costume dell’epoca, il legislatore sancisce 

che “il marito è il capo della famiglia; la 

moglie segue la condizione civile di lui, ne assume 

il cognome ed è obbligata ad accompagnarlo 

ovunque egli crede opportuno di fissare 

la propria residenza”. 

È ancora il legislatore a sancire la indissolubilità 

del matrimonio, sempre nell’ottica della 

tutela del bene comune. È di tutta evidenza che 

la concezione autoritaria della famiglia soffocava 

le libertà individuali e che, con l’avvento 

della democrazia, le insofferenze erano destinate 

ad aumentare per quindi esplodere, come 

per l’appunto avvenne nel 1968. 

La persona nella famiglia 

In quell’anno, i giovani sorretti da un’ansia 

di libertà, abbandonarono numerosi la famiglia-prigione 

e scoprirono lo star bene tra di 

loro insieme, in assoluta precarietà, mettendo 

al bando il “per sempre” ritenuto incrostato 

dall’abitudine e dalla mortificazione. Non è 

difficile ravvisare nelle scelte dei giovani una 

componente egoistica. Essi si mettono insieme 

nell’aspettativa di ricevere dall’altro o dall’altra 

più di quanto sono disposti ad offrire. 

La loro filosofia si traduce nel “sto con te fino 

a quando sei in grado di offrirmi ciò che mi 

aspetto. Sto con te per un incantesimo che si 

può rompere all’improvviso. E se ciò accade, 

ognuno prende la sua strada. Senza drammi e 

senza rancore. È questo nuovo sentire che induce 

il legislatore a introdurre nel 1970 la normativa 

della cessazione degli effetti civili del 

matrimonio concordatario o dello scioglimen- 


to del matrimonio civile e nel 1975 la riforma 

del diritto di famiglia. Con tale riforma viene 

affermata la assoluta parità fra i coniugi. La 

moglie non prende più il cognome del marito, 

ma lo aggiunge al suo, per perderlo definitivamente 

in caso di passaggio a nuove nozze. I 

coniugi concordano tra di loro l’indirizzo della 

vita familiare e fissano la residenza della famiglia 

secondo le esigenze di entrambi e quelle 

preminenti della famiglia stessa. Nei confronti 

dei figli hanno i medesimi diritti e i medesimi 

doveri, sono tenuti a mantenere, istruire 

ed educare 1a prole tenendo conto delle capacità, 

delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni 

dei figli. Anche il concetto di famiglia 

legata dai vincoli di sangue è stato rivisitato 

dal legislatore che ha posto l’accento sulla famiglia 

come luogo di comunione stabile dì affetti. 

Con il vecchio codice, ad esempio, i coniugi 

restavano tra di loro estranei, perché 

avevano sangue diverso. La non chiamata all’eredità. 

del coniuge superstite sottintendeva 

questa concezione. Ora invece il coniuge superstite 

eredita insieme ai figli e ha diritto vitalizio 

di abitazione della casa familiare e di 

uso dei mobili che la corredano, se di proprietà 

del defunto o comuni. In materia di aborto, 

piaga di ogni tempo, il legislatore ha ritenuto 

opportuno che si passasse dalla clandestinità 

alla regolamentazione. Certamente, con più 

propensione a capire le ragioni dell’altro e, in 

primis, del concepito, il parlamento avrebbe 

potuto darci una legge diversa, senza incorrere 

nelle contraddizioni che si avvertono a partire 

dalla sua intitolazione: norme per la tutela 

sociale della maternità e sull’interruzione della 

gravidanza. 

La famiglia in prospettiva. 

Il ‘68, intanto, accusa gli anni. Sono cadute le 

illusioni di libertà senza limiti ed è fortemente 

in crisi la concezione di un’affettività precaria. 

I giovani vanno recuperando il concetto di stabilità 

degli affetti. Restano in famiglia anche 

troppo, forse perché spaventati dai mille problemi 

irrisolti del nostro tempo. 

I coniugi che pure sono consapevoli di poter 

accedere al divorzio, cominciano a dare un valore 

positivo al “per ora” che ha sostituito il 

“per sempre”. 

Essi avvertono che il per ora abbisogna di un 

amore che di giorno in giorno si rinnova a differenza 

di un’unione inchiodata dalla legge e 

spesso sentita come limite, E, messa da parte la 

cultura dei ruoli fissi, si aiutano reciprocamente, 

sperimentando l’arricchimento che rinviene 

dal dare. 

Il valore “sacramento” abbisogna di essere 

recuperato dalla comunità ecclesiale che per 

troppo tempo, protetta dalla legge, non ha proposto 

adeguatamente ai giovani gli opportuni 

richiami formativi fondati sul Vangelo e sull’insegnamento 

Paolino. 

Non c’è norma che non possa essere migliorata. 

In materia di diritto di famiglia, con particolare 

riguardo a1 mondo minorile e alle tematiche 

della devianza, si avverte la necessità che il 

legislatore dia ancora il suo contributo. Ma occorre 

che la famiglia cristiana prepari il nuovo 

humus, recuperando la Parola, il valore della 

comunione, della condivisione, della testimonianza 

e del volersi bene. 


Vita sociale 

di Marina Lomunno 

I volti della povertà 

in Europa 

Il bisogno di politiche familiari adeguate per far fronte alle difficoltà 

Povertà non significa solo bidonville africane o latino americane 

ma anche le periferie delle capitali del vecchio continente. A 

lanciare l’allarme è Caritas Europa, che ha presentato il 16 febbraio 

scorso all’europarlamento di Bruxelles il rapporto: «I volti della 

povertà in Europa. Il bisogno di politiche familiari». L’indagine, 

che fa seguito ad una prima edizione pubblicata nel 2001, è basata sulle 

esperienze vissute quotidianamente dagli operatori di Caritas Europa, 

realtà che raggruppa 48 organizzazioni attive in 44 paesi del continente. 

Ad esempio il tasso dei bambini che vivono in situazione di 

povertà nell’Unione europea è del 12,5%, in Gran Bretagna addirittura 

del 32% ed è in crescita il fenomeno dei ragazzi di strada nei Paesi 

dell’Est. C’è infatti una grande eterogeneità tra i Paesi, dalla Norvegia 

che è al primo posto nel mondo in quanto a sviluppo umano (seguita 

da Islanda e Svezia) all’Albania che è al 95° posto, insieme alla 

Turchia (96°) e alla Moldavia (108°). La povertà delle famiglie è diffusa 

ovunque, in Paesi ricchi e poveri, e “a parte la Francia e la Germania 

- precisa Hubert Cornudet, responsabile delle politiche sociali 

di Caritas Europa - c’è una generale carenza di politiche familiari e 

una assoluta assenza di studi incentrati sulla famiglia e sulle politiche 

familiari”. Il Rapporto segnala anche lo stretto legame tra disoccupazione 

e povertà, essendo questa “la causa primaria di povertà in Europa”. 

A metà degli anni ‘90, infatti, il 51,5% delle persone disoccupate 


in Francia, il 64,7% nel Regno Unito, il 72,4% 

in Italia e il 51,5% in Polonia vivevano al di sotto 

della soglia della povertà. 

Il 15% degli abitanti dell’Unione Europea 

dunque è a rischio di povertà e sono i bambini 

(uno su 5 è povero) e le donne a vivere nelle 

condizioni peggiori. Tra i vari problemi messi 

in evidenza dal rapporto, emerge soprattutto 

una diffusa carenza nelle politiche familiari che 

ha come conseguenze principali l’aumento di 

«madri single» che non riescono più a mantenere 

i propri figli o a sostenere il costo di un’abitazione, 

e l’abbandono dei bambini, soprattutto 

nei Paesi dell’Est, in particolare in Moldavia. 

Secondo i dati raccolti, ad esempio, la spesa 

media per l’affitto di una casa occupa il 50% 

delle entrate di una famiglia sia in Russia sia in 

Austria, ma il reddito medio mensile è di 88 euro 

nel primo paese e di 1.420 nel secondo e non 

c’è una differenza altrettanto proporzionale nel 

costo dell’abitazione nei due stati. Inoltre «nei 

Paesi dell’Europa centrale e dell’est – sottolinea 

il rapporto – troppo spesso la gravidanza significa 

per una donna correre il rischio di perdere 

il lavoro». 

Laddove la povertà è «cronica», il rapporto 

mette in evidenza il conseguente dilagare di numerose 

problematiche che necessitano interventi 

urgenti da parte dei governi. «Cattivi alloggi 

– scrivono i responsabili di Caritas Europa 

– e povera alimentazione influenzano la salute 

dei bambini e il loro apprendimento educativo. 

La disoccupazione permanente porta ad 

una bassa stima di se stessi, alla disperazione e 

spesso al suicidio. La povertà inoltre diventa 

terreno fertile per droga e alcolismo, che a loro 

volta conducono ad una maggiore miseria». Alcolismo 

e droga sono rilevati dal rapporto come 

fenomeni dilaganti anche nei paesi più ricchi 

dell’Europa, in ogni strato sociale: «ad essi – 

prosegue il rapporto - si uniscono violenza domestica 

e l’abuso matrimoniale esacerbati dalla 

povertà e dallo stress che essa porta nelle relazioni 

all’interno della famiglia». Povertà implica 

anche scarso accesso alle cure: secondo i dati 

raccolti il tasso di mortalità degli uomini in 

età lavorativa delle classi povere è tre volte più 

alto di quello dei benestanti. 

Il dossier a fronte di un quadro preoccupante 

propone anche possibili linee di sviluppo: «È 

urgente prendere in considerazione – ribadisce 

la Caritas - la situazione dei genitori soli nelle 

famiglie monoparentali. Tra le numerose e necessarie 

misure c’è bisogno di migliorare i servizi 

prescolastici per i bambini e la qualità e la 

quantità delle strutture per la loro assistenza. Le 

politiche tributarie devono essere in accordo 

con la situazione familiare e passi concreti devono 

essere presi per ridurre la disoccupazione 

permanente attraverso l’implementazione di 

immediati programmi di reinserimento e di riqualificazione 

professionale». Caritas Europa 

raccomanda infine all’Unione europea di rinnovare 

l’impegno rispetto agli obiettivi della strategia 

di Lisbona e di «sostenere i Piani di azione 

nazionali». «In tempi difficili - conclude il 

Rapporto - la famiglia può essere un luogo per 

escludere o per proteggere le persone più vulnerabili 

della nostra società. È per questo che le 

politiche devono essere indirizzate alla situazione 

delle famiglie, assistendole con adeguate 

risorse ed efficienti mezzi di sostegno». 


Ètriste ascoltare ancora una volta 

le solite diatribe tra chi è favorevole 

ad una riforma della legge 

180, meglio conosciuta come legge 

Basaglia, e chi, invece, considera quella 

legge un “monumento” intoccabile. Dal 

1978, anno di approvazione della legge 

che metteva un punto alla storia dei 

manicomi (almeno in maniera teorica), 

sono state avanzate oltre 30 proposte di 

modifica, ed ogni volta abbiamo assistito 

alle stesse stucchevoli discussioni. 

Occasione per aprire di nuovo il dibattito 

è stata la presentazione, al Comitato 

ristretto della XII Commissione Affari 

sociali della Camera, della nuova versione 

della proposta di legge denominata 

“Prevenzione e cura delle malattie mentali”, 

un testo unico che proprio in questi 

giorni dovrebbe andare in discussione 

in aula. Ebbene, ancora prima di 

conoscere la proposta di legge –ne sono 

stati anticipati solo alcuni stralci-, si è 

alzato subito il muro di coloro che vedono 

come il fumo negli occhi qualunque 

ritocco alla 180, cui sono seguite immediatamente 

le accuse di “ideologismo” 

da parte degli altri. Ma dico, e i malati? 

Interessano a qualcuno la vita e i problemi 

dei malati di mente e delle loro famiglie? 

Il dubbio è legittimo se pensiamo 

che tali penose discussioni sono state 

fatte sulla loro pelle. Che per anni, gli 

appelli e le denunce dei familiari, sulle 

cui spalle si è scaricato tutto il peso dell’assistenza 

di questi pazienti, non sono 

stati ascoltati. 

Vita e disagio 

di Massimo Angeli 

Legge 180: di nuovo in pista la riforma 

Interessano a qualcuno la vita e i problemi dei malati di mente e delle loro famiglie? 


Nessuno mette in discussione che la legge 

180 abbia avuto il merito di aver chiuso i 

manicomi e di avere riportato l’attenzione 

sulla persona del malato, ma non si può negare 

che abbia lasciato aperti numerosi problemi. 

Primi fra tutti la situazione dei malati 

mentali cronici (la cui esistenza veniva quasi 

rifiutata, o meglio ritenuta il frutto della lunga 

degenza nei manicomi), e i trattamenti sanitari 

obbligatori. Nelle prime anticipazioni della 

riforma si parla della riorganizzazione dei servizi 

territoriali, di una rete di pronto soccorso 

con la presenza di specialisti psichiatri, di un 

garante per i malati psichiatrici che hanno 

avuto un ricovero obbligatorio. Si sa poi che 

attribuisce grande importanza ad interventi 

precoci (l’otto per cento dei bambini sotto i 10 

anni presenta problemi psichiatrici), che articola 

in modo efficiente gli interventi obbligatori, 

che promuove risposte per la depressione, 

di Gino Giansante 

l’anoressia e altre patologie attualmente trascurate. 

600 mila famiglie italiane, costrette ogni 

giorno a misurarsi con il dramma della salute 

mentale, aspettano da anni risposte concrete. 

Tutti - medici, associazioni, familiari - sono 

convinti che una riforma sia utile solo se 

rispetta il principio del non internamento 

manicomiale. Ma è necessario correggere i 

limiti della legge 180, rendendo compatibili le 

intenzioni di chi si batté per quella legge, con 

la triste realtà della malattia mentale. È necessario 

provvedere di congrui finanziamenti i 

dipartimenti, uscire dagli schematismi, avere a 

cuore la vita dei malati. Loro, ultimi fra gli 

ultimi, non battono i pugni sul tavolo per far 

sentire la propria voce, non ne sono capaci. 

Tocca alla società civile trovare la soluzione ai 

loro problemi. 

ggiansante@murialdo.org 

Tra cattedra, studio e comunità 

CONTENUTI E PROTAGONISTI della PASTORALE UNIVERSITARIA 

Vita Giuseppina ha già dedicato alla pastorale 

universitaria un articolo in cui 

ne venivano delineati gli orientamenti e 

le sfide. Vogliamo ora riprendere quel tema per 

svilupparlo ed approfondirlo nei suoi contenuti 

e nei suoi protagonisti. 

La pastorale in generale è la presenza della 

Chiesa nella storia, la continuazione della missione 

di Gesù. In particolare, la pastorale univesitaria 

è l’interesse e l’impegno per l’uomo 

dispiegato in questo specifico ambiente secondo 

scopi, dimensioni e modalità peculiari. Al 

cuore della pastorale della scuola, dell’università, 

della cultura sta sempre il medesimo fine: 

Vita giovanile 

educare la persona, e di conseguenza contribuire 

alla costruzione della storia e di una civiltà 

degne dell’uomo. 

I CONTENUTI 

Contemplare Cristo e respirare la Chiesa: nasce 

di qui ogni slancio apostolico. È il Signore 

la sorgente, il sostegno e la meta della nostra 

presenza e della nostra missione. La Chiesa deve 

offrire all’umanità la “diaconia della verità”, 

della verità tutta intera, che è la persona di Cristo, 

il deposito della fede, e le conseguenze etiche 

che ne derivano. 


I contenuti di fondo si possono così riassumere: 

Gesù Cristo,cuore della fede cristiana e 

Sposo della Chiesa, e la dimensione etica della 

persona e della civiltà. Questi contenuti rimandano, 

a loro volta, agli strumenti peculiari che 

sono la fede e la ragione. Riascoltiamo, al riguardo, 

le parole del Papa: “La fede e la ragione 

sono come due ali con le quali lo spirito 

umano s’innalza verso la contemplazione della 

verità” (Fides et Ratio,1). 

I PROTAGONISTI 

I docenti, il personale tecnico-amministrativo, 

gli studenti, le associazioni e i movimenti 

ecclesiali, le cappellanie e le parrocchie, le consulte 

e gli uffici diocesani, i singoli sacerdoti 

addetti sono i protagonisti della pastorale universitaria. 

Essa si esprime in alcune “forme” 

caratteristiche. 

LA PASTORALE DELLA CATTEDRA. 

I docenti sono protagonisti innanzitutto dalle 

cattedre delle loro discipline e delle loro ricerche. 

Non si tratta di fare catechesi, ma di insegnare 

le rispettive materie con serietà e competenza 

professionale. Si tratta di far emergere 

l’humus che sta alla radice dei corsi stessi: l’humus 

dell’inquietudine propria dell’intelligenza 

umana di fronte al mistero dell’essere, della ricerca 

di confini ulteriori che tradiscono una nostalgia 

ontologica, che indicano un principio e 

una meta. Si tratta, in fondo, di far emergere le 

domande di sempre che, anche nell’epoca del 

consumismo edonistico, non sono affatto 

soffocate o morte. 

Nella sua tradizione migliore l’Università nasce 

come comunità di persone che vivono insieme 

per condividere con il maestro non solo 

la scienza e i suoi contenuti, ma anche un cammino 

di crescita umana. 

LA PASTORALE DELLO STUDIO. 

Si intende il diritto e il dovere di studiare con 

serietà e metodo. Si intende il sostegno e l’aiuto 

che gli studenti possono organizzare e offrirsi 

reciprocamente. Si intende infine la motivazione 

ideale dello studio, che deve essere salvato 

da una mentalità puramente strumentale 

ed economistica. La tensione verso la professione 

e l’autonomia economica è legittima e 

doverosa; ma ciò non dovrebbe assorbire l’intelligenza 

e l’anima dello studente al punto da 

impedirgli di vivere l’esperienza universitaria 

in chiave formativa. 

LA PASTORALE DELLA COMUNITÀ 

CRISTIANA. 

Per “comunità cristiana” qui bisogna intendere 

ogni “forma stabile di gruppo” che ha nel sacerdote 

incaricato il punto di riferimento ecclesiale 

e negli studenti e docenti il suo corpo vivo 

e dinamico. In questi gruppi deve pulsare il cuore 

della Chiesa, cioè l’ascolto della Parola, la celebrazione 

dei sacramenti e la testimonianza e il 

servizio della carità. Nell’ambiente universitario 

si deve rendere presente, visibile e operativa 

una “cellula” di vita cristiana secondo una propria 

modalità e propri dinamismi. 

In questa prospettiva, un ruolo particolare 

viene svolto dai collegi universitari, luoghi particolarmente 

favorevoli per coniugare le dimensioni 

formative nel periodo univesitario. 

Scrivono i Vescovi: “I collegi universitari promuovono 

l’ospitalità e l’accompagnamento 

educativo e spirituale degli studenti e si propongono 

come ambienti di maturazione umana 

e cristiana, di formazione culturale e civile” 

(Commissione Episcopale per l’educazione 

cattolica, la cultura, la scuola e l’università). 


“I giovani pregano di più.” L’ho sentito affermare 

un giorno dell’ultima settimana di gennaio 

durante il programma di “ uno mattina “. 

Intervistato dal giornalista che conduce il programma, 

lo affermava uno psicologo, conosciuto 

studioso, di cui ora non ricordo il nome, 

e la presidente nazionale dell’Azione Cattolica. 

Vita giovanile 

di Mario Rebellato 

I giovani pregano di più 

Mi ha fatto piacere sentire questa 

affermazione. Noi siamo abituati 

ancora dalla contestazione giovanile 

del 1968, a constatare che con 

1’adolescenza viene di conseguenza 

1’ abbandono dei sacramenti. 

L’affermazione, “i giovani pregano 

di più di un tempo”, fa pensare 

che questa tendenza di abbandonare 

la fede, vada invertendosi… 

Non posso constatarlo perché vivo, 

per malattia, in una struttura in cui 

i giovani non hanno niente a che fare, 

se non alcune ore di volontariato. 

È anche vero che nei giovani 

d’oggi, si trovano sentimenti di valori 

umani, degni di rispetto e di stima, 

come la solidarietà, la condivisione, 

che vissuti nella fede, sono 

valori cristiani. Mi auguro in cuor 

mio, che questi valori orizzontali 

non lascino da parte quelli verticali. 

Un noto pedagogo scrisse in 

questi giorni che l’età dell’adolescenza 

non deve considerarsi come 

1’età del disagio , ma come primavera 

della vita. Vista in chiave positiva, 

questa età potrà portare risultati 

anche nella ricerca di Dio. 

Intanto, finché siamo in una fase 

pluralistica, è doveroso dare ai ragazzi 

e giovani la possibilità di far 

esperienza di fede, vale a dire di una presenza 

esistenziale di Cristo. Le nostre parrocchie, i 

patronati, le scuole cattoliche, l’ora di religione 

possono essere o diventare “laboratori della fede” 

come si augurava il papa Giovanni Paolo II 

più volte durante l’anno santo 2000. 


Siccome abito a Roma, spesso mi vengono 

a trovare degli amici che avevo conosciuto 

prima di venire in questa bella 

città. L’arte non manca qui, e così li porto a visitare 

ora questa, ora quell’opera d’arte. 

Quando riusciamo ad essere in orario (infatti 

chiude presto), li porto a s.Luigi dei Francesi, 

una bella chiesa dove c’è un dipinto che colpisce 

sempre tutti: Gesù chiama Matteo mentre 

sta al banco delle imposte, dipinto dal Caravaggio. 

La luce del quadro è come se provenisse da 

Gesù e si posasse sul peccatore Matteo, lo 

sguardo coglie una specie di dialogo luminoso 

tra loro due. 

Ho pensato, e non solo una volta: come fa Gesù 

a chiamare tra i suoi discepoli un peccatore? 

Francamente, io ci starei alla larga e andrei alla 

ricerca di “brave” persone. 

Ma Lui no. Lui è diverso. Sì, perché non 

guarda al passato delle persone, come facciamo 

noi. Ma guarda… al futuro! Sì, lui ha fiducia in 

noi, e sa che con la sua Grazia ce la possiamo 

fare! 

Forse anche oggi, di fatto la vocazione è considerata 

una cosa per i “buoni”: è logico (lo diremmo 

anche noi…!) che se uno deve essere 

sacerdote o consacrato, bisogna che sia una 

brava persona. Così, il ragionamento è più o 

meno: come fare a garantire che si comporti bene, 

questo futuro sacerdote/religioso/religiosa? 

Semplice: bisogna che in qualche modo già si 

comporti bene. Dunque, si sceglie tra chi dà 

maggiori garanzie attuali di buon comportamento 

(retti costumi, si diceva). 

Ma Gesù no. Lui ha scelto gli apostoli e anche 

i discepoli, ma non con questo criterio. 

Orientamento di Vita 

di Alessandro Agazzi 

agal@murialdo.it 

Chiama anche i lontani... 

Li ha scelti guardando… sto per dire: il loro 

cuore, ma invece no, è più esatto dire: li ha scelti 

guardando il Suo cuore. Cioè li ha scelti con 

uno sguardo d’amore, amandoli come Lui solo 

sa fare. Già perché Lui ci ha creati, e ama teneramente 

tutte le creature uscite dalle sue mani; 

lui conosce tutto il bene di cui la nostra vita è 

portatrice (siamo vita, che è un dono immenso; 

siamo libertà, e non è un grande dono?; siamo 

corporeità, ed è un altro dono; ecc.). Come dice 

la Bibbia: fece l’uomo e vide che era cosa mol- 


to buona! Gesù chiamò dunque Pietro e Giovanni, 

Giuda e il giovane ricco, e non si premunì, 

verso ciascuno di loro, per evitare un no 

o un tradimento. 

Gesù sa di poter contare prima di tutto sulla 

sua Grazia, di cui siamo tutti intrisi. E poi conta 

— più che su quello che abbiamo combinato 

— su quanto liberamente decidiamo di fare della 

sua proposta. Lui cioè chiama, e poi sta ad 

aspettare il nostro sì. Magari non arriverà mai, 

ma Lui aspetta; forse sarà un sì impacciato o 

parziale, ma lui ha fiducia. 

Che dire? È “concreto” agire anche noi così? 

La discussione sull’opportunità di criteri come 

questo lasciamola a chi vuole; a noi sta solamente 

davanti una cosa: Gesù ha fatto in quel 

modo (e continua a farlo lungo tutta la storia, a 

partire da s.Paolo in poi…), a noi sta di decidere 

se adoperare il suo metro o il nostro. Incominciamo 

ad esempio a capire che, se siamo 

scoraggiati per come va il mondo, Dio non lo è 

affatto; anzi proprio in un mondo peccatore, 

lontano da Lui, egli chiama oggi anche più di 

ieri. Oppure, magari, i più lontani da Lui siamo 

noi che ci riteniamo i più vicini, visto che più ci 

si sente la coscienza a posto, più si è lontani nel 

cammino di santità; e dunque i primi che Egli 

sta chiamando e da cui si aspetta una conversione 

siamo noi. O ancora, come dice il documento 

dei vescovi Nuova evangelizzazione per 

una nuova Europa: « se ai suoi inizi la pastorale 

vocazionale provvedeva a circoscrivere il 

suo campo d’intervento ad alcune categorie di 

persone (“i nostri”, quelli più vicini agli ambienti 

di chiesa o coloro che sembravano mostrare 

subito un certo interesse, i più buoni e 

meritevoli, quelli che avevano già fatto un’opzione 

di fede, e così via), adesso s’avverte sempre 

più la necessità d’estendere con coraggio a 

tutti, l’annuncio e la proposta vocazionale, in 

nome di quel Dio che non fa preferenza di persone, 

che sceglie peccatori in un popolo di peccatori». 

Sì, Dio chiama proprio tutti, anche i più lontani. 

Per tutti ha un posto nella sua vigna. 

A noi chiede di farci suo megafono, per dirlo 

e incoraggiare tutti: “Venite al lavoro in questa 

vigna, c’è un posto per tutti!”. Se problemi ci 

sono, non sono di disoccupazione, ma di speranza! 


Vincitore alla mostra 

cinematografica di Venezia 

lo scorso anno, 

opera prima del regista 

russo Zvyagintsev, è 

un film originale che 

provoca domande e fa 

riflettere. Ambientato 

in un tempo e in un luogo 

imprecisato, è “glaciale” 

nella storia e nei 

paesaggi che ci presenta. 

Si apre con una prova 

di coraggio dei ragazzi, 

in cui devono tuffarsi nell’acqua da un alto 

trampolino, che rimane forse emblematica di 

tutta una ricerca che ci si trova davanti per affrontare 

la vita. Una ricerca non facile, in un percorso 

fatto di eventi spesso incomprensibili e inspiegabili. 

A cominciare da quello strano “ritorno” 

del padre dopo 12 anni, che i figli non avevano 

mai visto se non in una vecchia foto sbiadita. 

Un padre che ora se li porta dietro, in un viaggio 

che pare senza una meta e senza un perché. 

Un rapporto certo da recuperare: ma sarà mai 

È un servizio 

che, secondo 

la presentazione, 

ha due 

intenzioni: dare 

a chiunque 

la possibilità di mettersi a contatto con un prete. 

Forse molti hanno il desiderio di parlare con un 

sacerdote, per i motivi più diversi, ma non sempre 

ne hanno la possibilità: qui ne trovano a disposizione 

ben 755! Non mancano vescovi, diaconi, 

seminaristi, e anche qualche giuseppino… 

Il secondo obiettivo è favorire lo scambio tra 

Multimedia 

a cura di Angelo Catapano 

acatapano@murialdo.it 

Un film: IL RITORNO 

possibile colmare il vuoto di tanti anni in pochi 

giorni? In effetti non pare recuperabile, in particolare 

per la severità autoritaria del genitore e 

per l’opposizione crescente del figlio minore. 

Mancano poi le parole e tante cose non si capiscono, 

rimangono nel mistero. Lasciare la casa e 

le poche sicurezze, avventurarsi in luoghi deserti 

e sconosciuti, lasciare la terra ferma e la macchina, 

imbarcarsi in un lago freddo e pericoloso, 

arrivare in un’isola senza nessuno, correre in 

sentieri bui di bosco fitto, procurarsi da mangiare 

e ripararsi dal freddo e dalle intemperie, sono 

esperienze che i due ragazzi, Andrey e Ivan, si 

trovano a fare, finché la presenza del padre, diventata 

ingombrante e ossessiva, scompare nel 

nulla da cui era venuta, per un tragico incidente, 

in parte voluto, nel lago a cui aveva condotto. 

Ora c’è “il ritorno” dei figli a casa, o meglio alla 

vita adulta. Non hanno più paura, si arrangiano 

da soli, sanno dove devono andare e quello che 

devono fare. Ivan può guidare la macchina e ritrovare 

la strada. Andrey non deve combattere 

contro il suo fantasma. È la parabola del viaggio 

della vita, dove non tutto è chiaro, ma ogni cosa 

va affrontata, anche l’ignoto. 

Un sito: WWW.PRETIONLINE.IT 

tutti i preti “internettari”: c’è l’esperto di Sacra 

Scrittura, quello di Teologia Dogmatica, quello 

che si occupa di oratorio, il vice-parroco alla 

prima esperienza,... perché non dialogare ed 

aiutarsi nello svolgimento del ministero? La 

suddivisione per regione, per tipologia e per alfabeto, 

come pure il motore di ricerca, facilitano 

il lavoro. Basta cercare un nome, un incarico, 

una diocesi, una congregazione… ed ecco 

che trovi chi ti risponde. C’è pure la possibilità 

di leggere e inviare messaggi a tutta la mailing 

list. Una sezione raccoglie infine esperienze pastorali, 

offerte e ricerche di collaborazione. 


Un libro: PER UNA PASTORALE GIOVANILE 

Spesso le pubblicazioni 

di pastorale giovanile 

sono grossi studi 

per addetti al lavoro, di 

non facile accostamento 

per chi direttamente è 

presente nella attività 

con i giovani: famiglie, 

insegnanti ed animatori. 

Li allontanano da questi 

studi la complessità ed il 

linguaggio. Sul versante 

opposto vi sono una 

quantità di sussidi, interventi 

già “confezionati”, 

formule pronte all’uso nella (disperata?) 

speranza che uno schema fatto bene possa risolvere 

un problema, affrontare adeguatamente una 

situazione. In realtà non è mai così perché l’educazione 

non è solo problema teorico legato a contenuti 

né solo tecnica ma è anzitutto incontro fra 

l’interiorità di un adulto e quella di un giovane. E 

il punto di incontro è la testimonianza della ric- 

È alla natura che è dedicato 

questo album, ai suoi 

colori e ai suoi profumi, 

all’intimità che trasmette e 

al suo tendere alle origini 

della vita. Elisa più che 

cantare preferisce descrivere, 

dipingere con le note 

tutto quello che la natura rappresenta, tutto ciò 

che è nascosto intimamente in essa e sfugge ad 

un occhio distratto. Lotus è l’essenza della vita, 

una forma antica di poesia, la vera pace dei sensi, 

narrata con equilibrio e passione. 

È lei la miglior sintesi di perfezione e capacità 

musicali. 

In questo album, che non è una compilation, 

Elisa ha voluto regalare un qualcosa che va al di 

là di una semplice e già confezionata raccolta di 

hits. Lotus è una riedizione completa, 16 tracks 

di genuina bellezza rispolverate dal baule dei ricordi, 

ripulite e vestite con il miglior abito da sera. 

Lotus è un album interamente acustico, dai 

Un album: LOTUS-ELISA 

chezza di vita. Il breve studio di Tonelli ha al centro 

la “invocazione” come preziosa esperienza di 

incontro fra la spiritualità dell’adulto e quella del 

giovane. Una invocazione che va riconosciuta e 

valorizzata come strada personale di incontro con 

gli aspetti più significativi della vita. L’incontro 

adulto - giovane è un rapporto che non si basa sulla 

“trasmissione” di contenuti, ma sul reciproco 

riconoscimento che si è “compagni di viaggio” 

mossi da comuni attese e orientati verso gli stessi 

orizzonti anche quando i cammini sembrano divergere. 

Il libro propone una riflessione sulla pastorale 

giovanile: leggibile dagli animatori della 

pastorale impegnati sul campo, orientata ad offrire 

un quadro complessivo della questione e degli 

orientamenti educativi con cui affrontarla, ricca 

di suggerimenti pratici. L’obiettivo è quello di 

aiutare gli educatori, siano essi genitori, insegnanti, 

animatori giovanili a scoprire nel loro tragitto 

di vita, e attraverso lo scambio educativo, ragioni 

per la loro vita e speranza. Per affrontare il 

compito educativo come strada di cammino interiore, 

di arricchimento di spiritualità. 

suoni rilassanti, delicati, quasi fragili, è un sunto 

di tutto ciò che di naturale c’è nelle note e negli 

spartiti, è un richiamo alle origini della musica, 

attraverso i suoi strumenti più immediati come 

il piano, la chitarra e, ovviamente, la voce. 

E quella di Elisa la fa da padrona con i suoi ricami, 

con le sue armoniche rassicuranti, con le 

sue tonalità sempre in perfetta armonia con tutto 

ciò che le sta intorno. Ci sono dei brani come 

“Yashal”, “Electricity” o “Sleeping in your 

hand” che lasciano vagare il pensiero tra i ricordi, 

mano nella mano con una musica suadente, 

accattivante dalla quale non riesci a staccarti e 

che non ti lascia mai, proiettandoti in un mondo 

di fiori, profumi e colori. Ci sono anche brani 

più “terrestri”, splendenti anch’essi di luce propria 

ma sicuramente più immediati e riconoscibili 

come “Broken”, “Luce”, “Hallelujah” e 

“Labyrinth”, il suo primo, grande successo. 

Lotus è un viaggio tra le cose semplici della 

vita, dunque, un viaggio attraverso la natura fino 

alla pace dei sensi. Preparate le valigie, la voglia 

di ripartire sarà irresistibile. 


LA CRONACA 

La tua famiglia è anche una “casa famiglia”. 

Che cosa significa? 

Rispondo riprendendo alcuni degli elementi 

caratterizzanti del nostro modello di casa-famiglia: 

1. io con Silvia e con i nostri figli abitiamo stabilmente 

la casa, siamo affettivamente disponibili 

alla relazione con i ragazzi accolti; 

2. la condivisione del proprio tempo e del proprio 

spazio come elemento caratterizzante e 

prevalente del servizio offerto; 

3. uno stile di vita e di impegno che sia percepito 

come possibile per altre famiglie e non 

eccezionale ed eroico; 

4. una possibilità di crescita e di benessere per 

la coppia e i figli in una situazione che per- 

Intervista di vita 

Il punto sull’accoglienza 

a colloquio con Mario Pellegrini, coordinatore nazionale del CNAM 

metta di reggere nel tempo il servizio offerto 

ai minori accolti; 

5. la disponibilità a mantenere le relazioni con 

i ragazzi oltre i tempi di accoglienza e i ruoli 

svolti; 

6. la disponibilità a vivere l’esperienza di accoglienza 

non in dimensione individualistica 

ma comunitaria; 

7. la disponibilità ad unire una scelta di condivisione 

con delle capacità professionali che 

vanno coltivate in percorsi di formazione e 

di confronto. La professionalità non viene 

sottovalutata ma il nostro “fare famiglia” 

mette al primo posto “l’essere amico, fratello, 

padre”; 

8. la professionalità degli operatori della casafamiglia 

viene considerata a partire da alcuni 

parametri; 

9. io personalmente ho un rapporto di dipendenza 

lavorativa nella Comunità Murialdo e 

all’interno della casa-famiglia; 

10.una scelta di volontariato che coinvolge tutta 

la famiglia, anche il coniuge non stipendiato, 

i figli e possibilmente gli amici, la rete 

parentale che sostiene l’esperienza; 

11.la presenza e il radicamento nel territorio di 

appartenenza in un’ottica di stimolo, di lievito 

nei confronti di tutte le persone e di tutte 

le agenzie e le istituzioni presenti (scuole, 

associazioni, comuni, ecc.); 

12.un punto di riferimento e una risorsa nel territorio 

di appartenenza per le altre realtà dell’accoglienza 

familiare; 

13.la condivisione della pedagogia giuseppina/murialdina 

e di forti motivazioni non solo 

filantropiche ma anche spirituali. 


Sei coordinatore del CNAM: su quali piste 

vi state muovendo? 

In questi anni il CNAM (Coordinamento 

Nazionale Accoglienza Murialdo) ha fatto 

quello che ha potuto fare tenendo presente le 

poche risorse (economiche e umane) a sua disposizione. 

Da qualcuno (la maggioranza mi 

auguro) è stato apprezzato, da altri è stato criticato 

o peggio ancora snobbato. L’assemblea 

2002 ha chiarito come il ruolo del CNAM non 

fosse quello di verificare o programmare l’andamento 

dell’esperienza dell’accoglienza 

murialdina in Italia. Nell’ultimo triennio sono 

state fatte proposte quasi solamente di carattere 

formativo (e non mi sembra comunque poca 

cosa)…. si è approfondita la conoscenza tra 

le varie realtà aderenti alla federazione (e la 

scuola di S. Giuseppe Vesuviano di settembre 

2003 l’ha testimoniato ancora una volta)… 

abbiamo imparato a guardarci in faccia senza 

paura di essere attaccati da chi vive un’esperienza 

diversa dalla nostra (questo in passato 

non sarebbe successo). 

Certamente il Cnam non ha “governato” e 

anzi su determinate scelte fatte dalla congregazione 

ha avanzato anche delle perplessità… 

sempre comunque in uno spirito fraterno. 

In questi mesi si sta riflettendo sul “GOVER- 

NO DELL’ACCOGLIENZA” in Italia. 

Questi gli orientamenti che a questo punto 

dovrebbero essere ufficiali. Si è cercato di valorizzare 

tutti i punti di vista. Sinteticamente 

potrebbero essere così riassunti: 

* La congregazione riconosce e valorizza 

ulteriormente il CNAM e farà richiesta formale 

affinché tutte le realtà dell’accoglienza murialdina 

in Italia si riconoscano e aderiscano 

ad esso. 

* Individuerà tra gli aderenti al CNAM i 

membri del Tavolo di Governo dell’Accoglienza 

(TGA) che avrà il compito di “governare” 

le realtà di accoglienza che fanno capo 

alla congregazione. 

* Il Cnam continuerà nella sua funzione di 

animazione, coordinamento, sostegno e formazione 

per tutte le realtà della federazione 

(siano esse di congregazione che terze rispetto 

ad essa) 

ATrento portate avanti l’ACFA: in che 

consiste la sua attività? 

L’Associazione Comunità Famiglie Accoglienti 

(ACFA) è un frutto del lavoro di insieme 

svolto dalla Caritas Diocesana, dal Centro Pastorale 

della Famiglia e dalla Comunità Murialdo, 

all’interno del Piano Pastorale Diocesano, 

allo scopo di sensibilizzare, promuovere, 

formare e sostenere le famiglie all’accoglienza 

ed alla solidarietà. 

Tre gli aspetti più significativi del nostro operare: 

● la sensibilizzzazione che da sempre ha per 

la nostra associazione l’obiettivo della diffusione 

di una cultura della solidarietà e dell’ac- 


coglienza nel territorio. Anche quest’anno sono 

stati programmati diversi momenti di sensibilizzazione 

a Trento e in altri territori della Provincia. 

La caratteristica della vicinanza ai luoghi 

di vita delle persone, che da sempre ha contraddistinto 

il nostro operare, indica l’importanza 

di cercare il contatto con la gente là dove 

questa vive. Si tratta di offrire un’occasione di 

conoscenza e di possibilità che venga percepita 

vicina e “abbordabile”, facendo superare la 

paura di trovarsi di fronte ad una proposta che 

porti al sovraccarico in una quotidianità già difficile 

e impegnativa. 

● la formazione di gruppo per un sostegno 

alle motivazioni e alle scelte educative approfondendo 

la comprensione delle dinamiche 

relazionali e dei vissuti emotivi rinforzando 

l’efficacia e la positività di quello che si sta vivendo, 

potenziando la consapevolezza e capacità 

di uso efficace delle proprie risorse in tutte 

le fasi del progetto di accoglienza. 

● L’accompagnamento individuale per capire 

e cercare di risolvere le difficoltà legate ai 

problemi di minori con disagi familiari; per rispondere 

a bisogni “quotidiani”, per i quali non 

è giustificato il rivolgersi a figure professionali 

terapeutiche; per agire preventivamente sui 

bisogni, evitando che piccoli problemi si acutizzino 

e diventino ingestibili o rappresentino 

un peso troppo faticoso per la famiglia. 

Tra due anni si chiudono gli istituti per minori. 

Non bisogna puntare maggiormente 

sulle famiglie con reti di sostegno? 

Sono perfettamente d’accordo. La realtà degli 

istituti per minori ci coinvolge (almeno qui 

a Trento) solo marginalmente perché già da anni 

si è fatta una politica di deistituzionalizzazione. 

Eventualmente ci potrà essere il rischio 

di una neo-istituzionalizzazione (strutture di tipo 

familiare che di familiare hanno solo i muri 

e il numero degli accolti !!!). 

Un interrogativo: Perché l’accoglienza e l’affido 

familiare dei bambini in difficoltà sono 

esperienze che non decollano e non hanno avuto 

quello sviluppo che si era ipotizzato? 

Eppure la legge n°149 del 2001, che stabilisce 

quali sono le condizioni in cui un bambino 

o un adolescente deve crescere ed essere edu- 

cato, ha ribadito con forza la validità della risorsa 

famiglia. 

La complessità delle situazioni di bambini e 

bambine che in questi anni vivono un’esperienza 

di accoglienza in un’altra famiglia, le fatiche 

quotidiane che gravano sulla gestione familiare 

in genere, fanno emergere la necessità di 

esplorare anche per questa forma di accoglienza 

nuove strade, di offrire alle famiglie accoglienti 

altri supporti che le mettano in condizione 

di svolgere con serenità il loro “servizio 

alla comunità”. 

Anche noi come associazione abbiamo maturato 

tali convinzioni. La famiglia accogliente 

sempre più richiede di essere inserita all’interno 

di un contesto di reti familiari dove trovare 

sostegno e vicinanza. 

Stiamo riflettendo su una nuova modalità di 

accoglienza familiare da porre accanto all’esperienza 

della casa-famiglia: un “affido congiunto” 

tra famiglia e Comunità Murialdo. Potranno 

accedere a questa nuova modalità di accoglienza 

quelle coppie o famiglie che, avendo 

già sperimentato accoglienze familiari di minori, 

hanno valorizzato al meglio i luoghi di confronto 

con altre famiglie, i bisogni di formazione, 

di consulenza e di supervisione. 

Con questo progetto si vuole sviluppare l’idea 

che un ente del privato sociale possa porsi 

come “mediatore” tra le esigenze della famiglia, 

quelle del servizio e quelle del territorio. 

Non si tratta di sostituirsi alla famiglia e al servizio 

nella gestione delle situazioni problematiche, 

come non si tratta di porsi alla stregua di 

un sindacato delle famiglie, ma di aiutare la famiglia 

a sostenere il peso della scelta che la porta 

a dover interagire con un insieme di realtà 

che rendono l’accoglienza un’esperienza complessa. 

Questo nuovo tipo di affido familiare consentirebbe 

alla famiglia di passare dalla scelta 

personale e di coppia ad una scelta condivisa 

con altri e richiede quindi un’adesione e una 

appartenenza formale alla Comunità Murialdo 

che diviene la sede ove trova espressione la 

scelta di condivisione e di solidarietà, la strada 

attraverso cui ottenere il riconoscimento che 

l’attività svolta acquisisce caratteristiche di 

servizio pubblico e non più sola espressione 

volontaristica. 

146Vita Giuseppina 4 - 2004 

Milano 

L’oratorio: buono come 

una macedonia 

Pensando a questi 4 

mesi di full immersion 

nella realtà del 

nostro oratorio condivido 

pienamente l’immagine presentata 

all’assemblea degli 

Oratori di Milano da d. Massimiliano 

Sabbadini, Direttore 

della Federazione Oratori 

Milanesi e Responsabile 

del Servizio Ragazzi e Oratorio. 

È l’immagine e il sapore 

di una buona macedonia. 

Nella macedonia, al 

contrario di ciò che avviene 

nel frullato, dove tutto è 

omologato e si amalgama in 

una realtà indistinta è proprio 

il mantenimento delle 

diversità a farne un piatto ricco e gustoso. Nella 

macedonia, l’insieme sapientemente dosato 

fa sì che un frutto esalti il gusto dell’altro. 

Così può essere l’Oratorio: una sinfonia della 

diversità. 

Ogni attività e ciascuna persona possono sviluppare 

e accrescere il valore dell’altro. Per 

preparare una bella macedonia, però, la frutta 

va tagliata e fatta a pezzi: c’è da sacrificarsi 

perché ci sia comunione in oratorio! C’è da 

“spezzettarsi” a immagine di quel “farsi a pezzi” 

che è la sorgente e il compimento di ogni comunione: 

l’Eucaristia, pane spezzato per tutti. 

Un’ultima suggestione: nella macedonia i 

piccoli frutti non si tagliano. Un Oratorio perchè 

sia sinfonia delle diversità, deve saper accogliere 

e dare importanza anche alla presenza 

dei più piccoli, anche a quelli che altrove non 

contano, anche a quelli che non hanno ancora 

tutti gli argomenti per far vedere chi sono. Sono 

i piccoli, in tutti i sensi, che danno ancora più 

gusto a quell’insieme-comunità-comunione 

che è l’Oratorio. 

Questo è il sogno, non l’utopia, che vogliamo 

realizzare. Con gli educatori dei gruppi ci stiamo 

incontrando, stiamo pensando e progettando 

per dare vita a una comunità giovanile “Murialdoggiovani” 

che sia protagonista della vita 

dell’oratorio. Qualcosa già si sta muovendo: 

nell’ultimo Happy Hour - serata di incontro, relazione 

e festa insieme- i giovani “storici” hanno 

invitato i loro amici a scendere, hanno suonato 

dal vivo, si sono lanciati nel preparare una 

scenografia hawaiana, hanno cercato di dire 

che “Oratorio è bello”. 

Abbiamo in cantiere tre progetti per coinvolgere 

sempre più ragazzi e per far abitare in modo 

positivo gli spazi dell’oratorio: Murialdo- 

Sound, uno spazio musica, luogo di espressione 

e di incontro; MuriaIdoWeb, il sito internet 

della nostra parrocchia, un progetto di testimonianza 

interattiva e vitale che coinvolge più 

gruppi parrocchiali possibili, genitori e bambini; 

AngoloPc, uno spazio computer in sala giochi. 

Certo sono progetti ambiziosi e per ora solo 

sulla carta. Sarebbe bello se in questo mese 

Vita Giuseppina 4 - 2004147

almeno cinque persone, di qualsiasi età, bussassero 

alla porta per offrire la loro disponibilità 

o la loro simpatia per dare futuro a uno di 

questi progetti, o a qualsiasi altra attività o 

esperienza di vita d’oratorio. 

Anche la catechesi è coinvolta in questo sogno 

di abitabilità dell’oratorio. Abbiamo programmato 

le domeniche comunitarie per i diversi 

gruppi, una giornata intera vissuta insieme 

tra Messa, giochi, pranzo, proiezioni, riflessioni 

per aggregare genitori e ragazzi, rendere 

anche loro protagonisti di oratorio. 

Cosa stiamo facendo 

Dal 14 gennaio una squadra di solerti operai 

della ditta Edilgen sta alzando il muro di un metro 

di altezza, lungo il perimetro del terreno attiguo 

al nostro oratorio. Sopra il muro verrà collocato 

un grigliato alto due metri. L’intera area 

quindi, sarà acquisita alla nostra opera. 

Un po’ di storia 

Nel lontano 1927 i Giuseppini vennero a Napoli 

nel nuovo rione Luzzatti, su invito del Cardinale 

Ascalesi, per dare inizio ad una nuova Opera 

giuseppina. 

Questa doveva nascere su un’area di 10.000 

metri quadrati e doveva comprendere oltre la 

chiesa e l’abitazione dei padri, campi sportivi, 

sale per attività, sala teatro-cinema. 

Purtroppo i padri che arrivarono non trovarono 

né casa, né chiesa e tanto meno oratorio al punto 

che nel 1930 i superiori decisero di ritirare la comunità 

giuseppina. 

Fu allora che il cardinale Ascalesi ottenne che al 

rione Luzzatti, venisse costruita una nuova chiesa 

per poter accogliere le stupende opere d’arte 

della Chiesa di San Giuseppe Maggiore che a via 

Abbiamo “osato” proporre una uscita di due 

giorni ai ragazzi che si preparano alla Cresima 

per raccontare la prima comunità cristiana, far 

percepire le modalità di relazione tra i cristiani, 

vivere alla presenza di Dio non tanto a parole, 

ma attraverso l’esperienza concreta, il gioco e 

lo stare insieme. La speranza è di non aver osato 

invano. Che la realizzazione di queste proposte 

sia la panna montata sulla macedonia? 

Samuele Cortinovis 

Napoli 

Evviva!!! 

Un grande e antico sogno 

si sta realizzando 

Medina (nell’antico centro storico) veniva abbattuta. 

La nuova opera si sviluppò su circa 4.500 metri, 

neanche la metà di quanti promessi all’inizio... 

ma già gran cosa. 

Da allora i tentativi per allargare gli spazi, sempre 

troppo angusti per i numerosissimi ragazzi 

che frequentavano l’oratorio, furono tantissimi. 

Si tentò con la “Gaslini”, proprietaria di tutta l’area 

attigua, si tentò con la Mededil che doveva realizzare 

tutto il Centro Direzionale… tutto inutile. 

Finalmente in questi ultimi anni il comune di 

Napoli, grazie all’impegno dell’allora assessore 

Di Costanzo e del suo segretario Alfonso Principe, 

ci ha concesso in comodato d’uso lo spazio attiguo 

all’oratorio (delimitato dalla strada e dal 

parcheggio asfaltato). 

L’anno scorso ancora un dono. Lo stesso presidente 

della provincia Amato Lamberti e un consigliere 

provinciale Ciro Cacciola hanno preso a 

cuore la nostra situazione. È grazie a un sostanziale 

contributo della Amministrazione Provinciale 

che stiamo costruendo il muro di cinta. 

Una grossa mano ce la sta dando anche la ditta 

Edilgen. 

148Vita Giuseppina 4 - 2004 

Cosa incredibile!!! con il nuovo pezzo di terreno 

che viene annesso al nostro oratorio raggiungiamo 

i 10.000 metri promessi dal Cardinal Ascalesi 

nel lontano 1927. 

Disegni della Provvidenza Divina. 

E poi?… 

È la domanda che molti si fanno, noi compresi. 

Poi 

● Spianeremo il terreno e cominceremo ad 

usarlo per le nostre attività con i ragazzi. 

● Creeremo un passaggio tra il vecchio e il 

nuovo oratorio 

● Poi ancora…sogniamo di realizzare una tensostruttura, 

un campetto polivalente, un parco 

giochi. 

La prima parte del sogno si sta avverando. 

Sempre la Provincia Amministrativa di Napoli, 

grazie anche al parere favorevole della circoscrizione, 

ha deliberato di assegnare al nostro 

oratorio un parco giochi (villaggio del fanciullo) 

costituito da strutture in legno, pavimentazione 

antitrauma, 2 gazebo. Il parco si estenderà su un’ 

area di circa 750 metri. I tempi per il montaggio 

di questo parco giochi non dovrebbero essere 

lunghi. 

E ora noi? 

Il Signore per intercessione di San Leonardo 

Murialdo e di p. Eugenio Reffo sicuramente ci è 

venuto incontro. Potremo disporre per il futuro di 

uno spazio molto più esteso per i nostri figli e per 

Nicotera 

noi stessi.Ora però tocca a noi farlo nostro e 

portarlo avanti: Il tutto viene offerto alla gestione 

della nostra comunità parrocchiale. In modo 

particolare dobbiamo accogliere con gioia il nuovo 

parco giochi, spazio vitale e necessario per i 

più piccoli. Dobbiamo gestirlo al meglio, renderlo 

luogo di “famiglia” dove, a partire dai più piccoli 

e dalla loro gioia di vivere, tutta la comunità 

si compatta. 

Gino Savino e comunità 

Comunità Murialdo 

Come ogni anno, oramai da nove anni, la 

Comunità Laici del Murialdo di Nicotera 

(Vibo Valentia), ha rinnovato la propria 

promessa durante la celebrazione eucaristica di 

domenica 28 dicembre. Alla presenza di P. Mauro 

Peserico, Giuseppino del Murialdo e “accompagnatore” 

delle Comunità dei Laici del Murialdo 

d’Italia, di P. Gerardo Capuozzo, Giuseppino 

che condivide l’esperienza di “Comunità Integrata” 

(Religiosi e Laici) a Nicotera e del parroco 

don Francesco Vardè, otto membri della nostra 

Comunità parrocchiale hanno rinnovato la pro- 

pria adesione al carisma murialdino (Accoglienza 

dell’Amore di Dio e dei giovani poveri e abbandonati) 

e al servizio dei giovani nell’oratorio. 

Il Santuario-Concattedrale, ricco di presenze per 

la S. Messa domenicale, ha visto così un momento 

semplice ma di intensa preghiera. Ma chi sono 

i Laici del Murialdo e cosa fanno? 

Anche se qualcuno conosce tale realtà è sempre 

opportuno dare ulteriori chiarimenti. I Laici del 

Murialdo sono un gruppo di persone (coppie per 

lo più) che hanno ricevuto la chiamata (vocazione) 

a seguire un particolare carisma (murialdino) 


dato da Dio alla Chiesa. San Leonardo Murialdo 

è un santo torinese del secolo scorso che comprese 

che Dio lo amava di un Amore tenero, misericordioso, 

attuale… e volle dedicare la propria vita 

al servizio dei giovani (tanto più poveri e abbandonati, 

tanto più sono dei nostri…” diceva). 

La Comunità di Nicotera, sulla scia del Murialdo, 

riconosce questo grande Amore di Dio, si impegna 

(con uno stile di vita) all’accoglienza, alla 

condivisione, alla sobrietà…cercando di mettere 

i doni ricevuti (talenti) a disposizione dei giovani. 

Niente di trascendente, poiché questo dovrebbe 

essere di ogni cristiano, ma che naturalmente rilancia 

a delle responsabilità. La Comunità prega 

ogni giorno, si forma con un incontro settimanale, 

progetta e opera, assieme ai sacerdoti della 

parrocchia, per l’animazione dei ragazzi e dei 

giovani. 

LA SPIRITUALITA’ DI COPPIA 

Approfittando della presenza di P. Mauro, ricco 

di esperienza nella Pastorale Familiare, il 28 dicembre 

in Cattedrale, la Comunità Murialdo ha 

pensato bene di fargli tenere una conferenza sul 

tema: “La spiritualità di coppia”. Molte le coppie 

presenti, giovani e non, che hanno gradito tutti indistintamente 

le parole del relatore al punto da richiedere 

i testi scritti del suo dire. P. Mauro ha 

parlato, entusiasmando, dello “sposarsi in Chiesa” 

come scelta di fede, come chiamata ma anche 

come risposta. “Sposarsi in Chiesa significa riconoscere 

che il proprio amore nasce da Dio… 

ma significa anche (udite,udite?!) sposare la 

chiesa, la comunità” (=aprirsi e sentirsi corresponsabili 

dei problemi della comunità…). Che 

bello?! Ma che responsabilità?! “È compito specifico 

degli sposi cristiani essere amore di Dio 

nella fedeltà (Dio è fedele sempre), nella reciprocità 

(Con la pienezza del vostro amore rendete 

l’altro capace di restituzione), nella gratuità e nel 

perdono (Se io do la mia vita, non ho più possibilità 

di ricevere contraccambio…; quando perdono 

consegno una ulteriore possibilità di vita)…” 

È compito specifico degli sposi cristiani vivere il 

sacramento del matrimonio, aiutandosi vicendevolmente 

a santificarsi e a santificare le realtà 

terrene”. In questa luce “tutte le manifestazioni 

dell’amore coniugale che realizzano il sacramento 

dell’amore sono spiritualità-preghiera specifica 

della coppia sposata”. Veramente toccante il 

suo discorso ma estremamente forte e sicuramente 

esigente. Particolarmente efficaci alcuni esempi 

per intuire che ogni gesto di tenerezza, forse 

scontato, all’interno della coppia, ha un valore 

profondissimo…religioso…divino: tenersi per 

mano = progetto comune…; tenersi sottobraccio 

= mutuo sostegno, conferma…; baciarsi = consegnarsi 

la giornata, la vita…e così via… 

CONCORSO DI DISEGNO 

La Parrocchia, con la collaborazione della Comunità 

Murialdo, ha indetto un mini concorso di 

disegno per la Scuola Elementare sul tema: “Il 

Natale”. Tanti i disegni dei nostri ragazzi, sensibilizzati 

su un tema che è certamente di festa ma 

che sta rischiando, per molti versi, di perdere la 

natura per cui è (la nascita di Gesù) dando sempre 

più spazio, vertiginosamente, alla moda del consumo. 

I ragazzi, i cui disegni hanno potuto essere 

ammirati nei giorni natalizi, esposti in Cattedrale, 

hanno ricevuto tutti l’attestato di partecipazione e 

un piccolo dono l’11 gennaio, durante la celebrazione 

dell’Infanzia Missionaria. Questo uno dei 

tanti tasselli per la costruzione di una comunità 

viva. 

SCUOLA PER ANIMATORI 

Dal 23gennaio nei locali dell’oratorio è iniziata 

la Scuola per Animatori. Ha lo scopo di formare 

giovani che hanno anzitutto voglia di imparare 

“l’arte dell’animatore” per poi donarsi agli altri. 

Le tematiche variano dalla conoscenza di sé, alle 

dinamiche di gruppo, dalla spiritualità all’animazione 

vera e propria. Il corso, già iniziato con un 

discreta frequenza, è tenuto dai sacerdoti nicoteresi 

e dalla Comunità Murialdo. 


Che posso dirvi della mia esperienza missionaria 

in Ecuador? 

Prima di tutto, che sono molto contento di essere 

in terra di missione. L’Ecuador attraversa 

un momento molto delicato in tutti sensi: politicamente 

è instabile, socialmente ci troviamo 

ancora con “la legge della jungla” in tante situazioni 

e soprattutto c’è molta povertà, nonostante 

che possieda tanto petrolio. Ma il debito 

estero, le multinazionali e la corruzione stano 

rovinando il paese. Senza andare troppo lontano, 

adesso ci imbattiamo in uno sciopero inde- 

Ecuador 

Lettera di un missionario 

terminato degli insegnanti delle scuole. I 

bambini e giovani non hanno scuola e ogni 

anno si perdono circa due mesi per questi motivi. 

Il salario dell’educatore è indegno, ma 

non c’è un altro mezzo che lo sciopero per 

cercare una soluzione. Lo stesso succede 

con gli altri dipendenti del governo, soprattutto 

dei servizi pubblici: scioperi dei medici, 

sollevamento degli indigeni, che sono 

capaci di bloccare le strade tagliando alberi, 

bruciando copertoni, ecc. 

Che fare? Armarsi di molta pazienza. I primi 

giorni mi sembrava che mi cadeva il mondo 

addosso, ma dopo ti rendi conto che puoi 

solo portare un granello di sabbia. Niente di 

più. E ti fa male che muoiano i bambini, che 

non riesci ad aiutare tutti quelli che ti chiedono 

aiuto, cambiano di religione o si mettono 

in qualsiasi setta. Alla fine devi accettare 

la tua debolezza, la tua povertà, la tua impotenza, 

e lasciare tante cose nelle mani del Signore. 

Nonostante che spesso sia così, io non 

mi arrendo, e mi mancano ore del giorno per 

visitare le comunità, per formare professori 

degli istituti, delle scuole, per fare incontri 

con i giovani, per parlare con chi ha problemi, 

per preparare i canti per i diversi concorsi 

che si fanno. 

Nella mia scuola sono insegnante di religione 

per i giovani più grandi. Il tempo passa 

velocemente. Aiuto in quello che posso anche il 

vescovo, il mio antico Padre Generale: sono incaricato 

di due commissioni, della vita consacrata 

della quale sono il presidente, e quella dei 

mezzi di comunicazioni sociale (Radio “La voz 

del Napo” e notiziario del Vicariato Apostolico 

“Iglesia en Napo”). Ogni due mesi si deve pubblicare. 

Nella radio ancora non ho potuto fare 

molto, ma abbiamo urgente bisogno di personale 

qualificato nella materia, nuova tecnologia, 

FM…. In caso contrario nessuno ci ascolta 


come un tempo ci ascoltava. La nostra gente 

“quichua” se ne va ad ascoltare altre emittenti. 

Collaboro in altre due commissioni come posso: 

la pastorale familiare e quella dei giovani. 

Ma con due parrocchie, Puerto Napo e Puerto 

Misahuallí, e con le loro 25 e 27 comunità indigene 

ognuna, devo concentrare il tempo e le 

mie energie al servizio di queste due parrocchie 

per visitare le case e comunità, celebrare Messe 

almeno una volta al mese, funerali, battesimi, 

matrimoni, anche se sono pochi. 

Ho sentito che per essere missionario si deve 

entrare pian piano nella cultura del popolo. 

Dopo, poco a poco, inzupparsi di questa cultura 

di Cristo, condividendo la vita e la stessa povertà. 

E alla fine puoi sentire tutti come veri 

fratelli. Se vuoi bene, li ami, li perdoni, comprendi 

i loro problemi. In una parola: ti incarni. 

E torni a nascere. E sei capace di sapere relativizzare 

tutto il nostro mondo consumista, 

di apparenza e di progresso materiale, per dare 

più importanza all’umanità delle persone e al 

mondo spirituale. 

Vi invito a fare questa bella esperienza. Solo 

bisogna decidersi. Vi dò un esempio: la mia cugina 

Elisa ha fatto le sue vacanze d’estate qua 

con me nella missione di Napo – Ecuador, e 

penso che si è portata nel suo cuore tutta la mia 

gente. Sono convinto che tornerà un’altra volta, 

perché questo attira più della droga. Per co- 

minciare già sta collaborando dal suo Istituto a 

Madrid per organizzare le “adozioni a distanza” 

per i bambini della mia parrocchia. 

Anche voi potete essere missionari: ognuno 

nel suo ambiente, dando testimonianza di fede, 

onestà, generosità e solidarietà, con una vita 

semplice ed austera, sentendo tutto il mondo 

come veri fratelli. Non è questo quello che ci ha 

insegnato Gesù? Signore, non permettere che 

solo noi siamo felici… O tutti o nessuno. E moriremo 

nell’intento: anche questa gente della 

foresta dell’Ecuador sono figli di Dio e hanno 

lo stesso diritto nostro ad essere felici. Tutti siamo 

stati battezzati e per appartenere alla stessa 

Chiesa dobbiamo annunciare il Vangelo, la 

Buona Notizia dell’Amore di Dio per gli uomini 

e le donne, e spargere il dono che portiamo 

dentro di noi perché tutti vedano e si incontrino 

con Gesù Cristo, Nostro Signore. 

San Leonardo Murialdo nel suo tempo sapeva 

rispondere con generosità, con creatività. E 

noi saremo capaci? Chiediamo aiuto al Signore 

per intercessione della Vergine Maria, Mediatrice 

di tutte le grazie e Madre di misericordia, 

di San Giuseppe, nostro santo protettore, e dei 

numerosi santi missionari. Vi benedico e vi auguro 

una buona avventura cristiana. Vi porto 

tutti nel mio cuore e vi ringrazio per la vostra 

collaborazione e le preghiere. 

P. Juan José Gasanz 


Parlare della famiglia è diventato oggi di moda 

anche nelle nostre chiese locali. Essa sembra 

la grande malata che attira al proprio capezzale 

medici, psicologi, esperti di ogni genere per vedere 

di salvarla. Molti dibattiti e rappresentazioni 

televisive vedono come protagonista la 

famiglia e l’angolo visuale non è sempre quello 

cristiano, ovvero quello che esce da una lettura 

corretta della Bibbia. 

E a proposito della famiglia mi piace qui ricordare 

quello che scrisse il card. Biffi: 

“Dio non ha due progetti sull’uomo, uno naturale 

e uno soprannaturale: ne ha sempre avuto 

uno solo, che ha come suo traguardo la nostra 

misteriosa, ma reale partecipazione in 

Cristo alla vita di conoscenza, di amore, di 

gioia che è propria della Trinità. Poiché il 

Creatore ha un solo progetto, anche ciò che è 

naturale nell’uomo - qual è la distinzione dei 

sessi, la vocazione dell’uomo e della donna all’unione 

feconda nel matrimonio, la famiglia 

con tutte le sue relazioni interpersonali - è stato 

pensato e voluto perché costituisse una iniziale 

epifania del nostro destino trascendente. 

Tutte queste realtà sono già in se stesse una manifestazione 

di una ricchezza soprannaturale” 

(Matrimonio e famiglia). 

A volte mi fermo a riflettere sul progetto che 

il Creatore ha sull’uomo e sulla donna che nel- 

Suore Murialdine 

di Emma Bellotto 

murialdine@murialdo.org 

Quale 

famiglia? 

la loro unione diventano il sacramento di 

Dio, luogo della manifestazione dell’Amore 

e mi sembra molto grande il compito che 

ha affidato agli sposi cristiani, cioè a coloro 

che si sono sposati nel Signore. 

La realtà del matrimonio poi richiama fortemente 

anche il mistero pasquale perché è 

in esso che Cristo offre se stesso al Padre per 

tutti noi. È solo lì infatti che due sposi possono 

trovare la forza, la luce, il coraggio per superare, 

amandosi, le difficoltà che incontrano. 

Giovanni Paolo II scriveva nella Mulieris Dignitatem: 

“Il mistero pasquale rivela fino in 

fondo l’amore sponsale di Dio. Cristo è lo sposo 

perché ha dato se stesso: il suo corpo è stato 

dato, il suo sangue è stato versato. In questo 

modo amò sino alla fine. Il dono sincero, contenuto 

nel sacrificio della croce fa risaltare in 

modo definitivo il senso sponsale dell’amore di 

Dio. Cristo è lo sposo della Chiesa, come redentore 

del mondo” (n. 26). 

In una casa dove due sposi vivono l’Amore 

cercando di imitare l’Autore dell’Amore, anche 

i figli crescono respirando la serenità e la 

gioia dell’essere amati. Si rafforzano così in loro 

la positività e la sicurezza indispensabili per 

affrontare i compiti che il cammino di crescita 

richiede. Questa è la visione cristiana della famiglia 

che purtroppo non sempre si riscontra 

neppure nelle nostre realtà di chiese locali e i 

mass media, da parte loro, ci bombardano con 

modelli molto diversi e contraddittori. 

Si inserisce qui la validità del nostro compito 

di donne consacrate ed educatrici chiamate a 

testimoniare che è possibile amare con gratuità 

e che l’ideale evangelico non è un’utopia! 


VOLONTARI IN SERVIZIO CIVILE 

UN’ESPERIENZA DA FARE 

Con la fine della leva obbligatoria 

nel 2005 l’obiezione 

di coscienza, come rifiuto del 

militare, sarà un ricordo. Al 

suo posto, il nuovo Servizio 

Civile Nazionale, che già 

coinvolge quindicimila giovani, 

trasformando il panorama 

del volontariato non solo 

italiano. Solidarietà e formazione 

personale sono alla base 

di questa scelta volontaria, 

una possibile strada anche per 

lavorare con Ong, associazioni, 

cooperative. Il nuovo Servizio 

Civile Nazionale, permette 

ai giovani riformati dalla 

leva e alle ragazze fino a 26 

anni, di avvicinarsi ai settori 

più marginali, all’assistenza 

dei più deboli, anziani, disabili, 

immigrati o alla tutela di 

ambiente e patrimonio artistico, 

ad impegnarsi nella cooperazione 

internazionale. 

Anche i Giuseppini del Murialdo 

e l’ENGIM hanno dato 

avvio a progetti di servizio civile 

riguardanti sia l’animazione 

giovanile che il commercio 

equo e solidale, la voglia 

di impegnarsi con una 

forma di solidarietà attiva, sia 

in Italia, sia nei Paesi in via di sviluppo, riconosciuta 

dalle nostre università grazie a crediti 

formativi e retribuita in modo più che 

simbolico. 

I giovani, al centro di una progettualità per 

la creazione di una cittadinanza attiva, un 

aiuto concreto che sia capace di futuro e di 

opportunità. 

Per info: 

Arianna Mazzeo, Ufficio Servizio Civile 

Engim, via degli Etruschi 18, 00185 Roma 

E-mail: 

ufficio.ong@engim.it; 

ariannamazz@tiscali.it 


“flash” di vita 

ROMA 

Coordinamento FdM 

Presso la Casa generalizia delle Suore Murialdine a Roma il 31 gennaio si è tenuto 

l’incontro del Coordinamento della Famiglia del Murialdo per l’Italia. Si sono 

approfonditi gli aspetti legati alla vocazionalità nell’ambito delle diverse componenti 

della “Famiglia carismatica”. Si sono individuati i temi della formazione comune per 

il prossimo anno, con la predisposizione di un numero monografico di “Vita giuseppina”, 

imperniato sulla “Novo millennio ineunte” e la spiritualità di comunione. Si è 

proposto un incontro di spiritualità della FdM a livello nazionale da attuare a fine 

ottobre del 2005. Si è approntato un sussidio per gli incontri locali della FdM in 

occasione della festa di san Leonardo. 

ROMA 

Presidenza Amici ed ex allievi 

Il 30 gennaio si è incontrato in casa generalizia a Roma l’ufficio di presidenza della 

Federazione italiana degli Amici ed ex allievi del Murialdo. Erano presenti Vincenzo 

Negrin (presidente nazionale), p. Angelo Catapano (assistente nazionale), p. Mario 

Meneghini (assistente regionale), Francesco Cuniberti e Piero Petrioli (vicepresidenti 

nazionali). Si è definita la data per il prossimo Consiglio nazionale, prevedendola 

dall’8 al 10 ottobre a S. Giuseppe Vesuviano. Si è fatto il punto sulla sottoscrizione 

in memoria di p. Vittorio Garuti per l’acquisto di pompe per i pozzi in Guinea 

Bissau: sono stati raccolti finora circa 7.500 euro. Si è deciso di avviare un notiziario 

a livello nazionale, che esca almeno qualche volta all’anno, per favorire la comunicazione 

e il collegamento sia della Presidenza nazionale che delle associazioni locali. 

ROMA 

Centro Murialdo 

Rassegna di teatro 

Le compagnie “Ripa Grande” e Murialdo il 

17-18 gennaio hanno presentato una rassegna 

di atti unici. Hanno accontentato così un po’ 

tutti i palati, soprattutto quelli più esigenti, 

dato che tra gli autori scelti troviamo un 

Pirandello, un E. De Filippo, una F. Rame, un 

H. Pinter e qualche moderno. 


TORINO N.S. Salute - Organo settecentesco 

VITERBO 

Ist. S. Pietro 

Bibbia ed ecumenismo 

Si è svolta, il 19 gennaio, nell’ambito 

dell’Ottavario di Preghiera 

per l’Unità dei Cristiani, 

la Conferenza dal titolo: “La 

Bibbia, nel movimento ecumenico”, 

tenuta dal Pastore Valdese, 

Dott. Valdo Bertalot (nella 

foto tra il vescovo di Viterbo 

mons. Lorenzo Chiarinelli e p. Giovanni Boggio), segretario della Società Biblica, impegnata 

nella diffusione della Bibbia, presso la Sala Conferenze dell’Istituto S. Pietro. `La Bibbia è 

essenzialmente un messaggio di pace - ha esordito il Dott. Bertalot - sebbene nei secoli, specie 

a partire dal XVI secolo, sia divenuto elemento di tensione tra le Chiese. Il ventesimo secolo 

è stato il secolo dell’ecumenismo - ha aggiunto il Pastore - solo perché il secolo precedente, 

il diciannovesimo, è stato il secolo della Bibbia’. Proprio a partire dal XIX secolo vi è 

stato un rinnovamento dello studio della Bibbia, grazie anche alle numerose scoperte archeologiche, 

avvenute in quell’epoca. 

Il 23 gennaio, con un solenne 

concerto, è stato inaugurato il 

settecentesco organo del Santuario 

dopo il lungo lavoro di 

restauro, finanziato dalle offerte 

dei parrocchiani e dai contributi 

della Conferenza Episcopale 

Italiana, della Cassa di 

Risparmio di Torino e della 

Regione Piemonte. Circa 400 

le persone presenti, che hanno 

potuto apprezzare i registri dello 

strumento e delle sue 650 

canne, ascoltando musiche di 

Bach, Mendelssohn, Frescobaldi 

e altri, suonate dal Maestro 

Agostino Baj e con la partecipazione 

della Corale parrocchiale 

diretta da Gilberto Drandi. La regia e la presentazione della serata sono state curate 

da d. Enrico Roncoli. 


PINEROLO 

Tre artisti di fede 

Due dei tre pittori presentati in 

un Quaderno sull’arte e il mistero 

cristiano da Marchiando 

Pacchiola - direttore del Museo 

diocesano d’Arte Sacra e autore 

di uno dei più noti ritratti 

del Murialdo -, sono ben conosciuti 

dai Giuseppini. Di Michele 

Baretta si riprende sette 

volte la figura di Cristo crocifisso 

con opere a olio dall’accento espressionista. Del pittore Pietro Favaro, allievo del Guglielmino 

della scuola Reffo, si raffigurano Vergini con Bambino dagli occhi d’intenso azzurro, 

le conseguenze della guerra in una simbolica Deposizione, trepidi incontri di donne permeate 

di santità. Ugo Nespolo si cimenta invece in due sezioni per la catechesi del terzo millennio, 

L’Apocalisse e la Didaché, con 22 opere. 

SPAGNA 

ORDUÑA 

325° anniversario 

Solenne inaugurazione, il 31 gennaio, 

del 325° anniversario del Collegio 

“Ntra. Sra. de la Antigua”, con lo scoprimento 

di una targa commemorativa, 

la celebrazione eucaristica presieduta 

dal vescovo di Vitoria, mons. Miguel 

Azurmendi, e animata dalla corale 

diretta dall’ex allievo Felipe Ainz. 

L’atto ufficiale si è tenuto in teatro, con 

la partecipazione del Presidente della 

Regione Basca D. Juan José Ibarreche, 

che ha avuto parole di elogio per l’opera svolta dai Giuseppini. Si è concluso con uno splendido 

momento conviviale con 300 commensali: ex alunni dei Gesuiti e dei Giuseppini, autorità 

civili e religiose, amici, benefattori. 


INDIA 

AROOR 

Festa grande 

L’8 febbraio si sono conclusi i festeggiamenti 

in onore di Sant’Antonio di 

Padova, titolare della cappella che 

sorge davanti al Seminario giuseppino. 

Si fanno in questa data perché a 

giugno, di solito, c’è già il monsone, 

con vento e pioggia. La festa è iniziata 

con un triduo di preghiera animato 

da un religioso locale, da martedì a 

giovedì, dalle 17,30 alle 21,30. 

Venerdì ci si è trovati davanti alla casa di un parrocchiano, impegnato nel consiglio pastorale, 

per benedire e accompagnare solennemente in processione fino alla chiesa la nuova statua 

di San Giuseppe, che ora sta a fianco della sua Sposa, alla destra dell’altare. Dopo la recita 

del Rosario una solenne concelebrazione chiudeva la giornata. Sabato, altra Messa concelebrata, 

e dopo cena un’esibizione di giovani artisti della comunità, cui hanno partecipato 

anche alcuni seminaristi: canzoni, balletti, barzellette … Infine domenica Messa solenne e 

breve processione. Il tutto, naturalmente, sempre accompagnato da gran spari di petardi e 

mortaretti. Per l’occasione la chiesa è stata ridipinta e addobbata a festa, così come il cortile 

circostante. Martedì 10 invece, nella chiesa parrocchiale di Aroor, è giunta la statua della 

Madonna Pellegrina. Anche noi, assieme a tantissimi fedeli, abbiamo partecipato alla S. 

Messa e all’omaggio alla Madonna. La mattina seguente la statua ripartiva per il convento 

delle carmelitane in una parrocchia vicina. Qui le lezioni sono ormai terminate, e i seminaristi 

si stanno preparando per gli esami di fine anno. Come sempre, ricordano nella preghiera 

tutti i loro benefattori, e chiedono a loro volta di pregare affinché possano discernere sempre 

meglio il progetto di Dio per la loro vita. 

ARGENTINA - VILLA BOSCH 

Prime professioni 

Il 1 febbraio a Buenos Aires, con la prima professione, si sono consacrati a Dio nella 

congregazione giuseppina 9 novizi della Provincia Argentino-Cilena : Castillo Bravo 

Jesús Francisco, Chiarelli Aragon Lucas Santiago, Gomez Flores Rodrigo Pablo, 

Griffouliere Andrés Ezequiel, Ibarra Orellana Marco Antonio, Larroquette Cortés 

José Luis, Moreno Pavéz Luis Antonio, Park Rojas Young Ho, Zelada Molina 

Esteban Alejandro. A loro vanno i nostri auguri accompagnati dalla preghiera. 


ECUADOR 

Rappresentazione natalizia 

presso l’Unità educativa 

“Paolo VI” di Quito . 

Convivenza della Famiglia 

del Murialdo a 

Quito dal 30 gennaio al 

1 febbraio, coordinata 

da p. Gilberto Freire. 

“Comedor popular”: 

la parrocchia dei Giuseppini 

ad Ambato, 

con l’aiuto dei collaboratori, 

sostiene una 

refezione giornaliera 

per 60 anziani. 


Quando si ama veramente ci si lascia andare 

e ci si fida della persona amata, che sia Dio, un amico, 

la fidanzata o la moglie l’importante è AMARE: 

il mondo ne ha tanto bisogno. I.C. 

In questo periodo, per vari motivi, mi passano 

per le mani molti libri sul Murialdo e sulla congregazione 

e mi ha colpito come rileggere cose che 

avevo già letto e che avevo ben presenti, mi ha allargato 

il cuore ... BELLO! Perché il Murialdo era 

proprio un tipo in gamba. Tutto questo per dirti che 

condivido che il confronto su contenuti così ampi 

serve di continuo, perché io mi accorgo che ciò che 

mi aveva suscitato un concetto un anno fa, rileggendolo 

o riparlandone, mi suscita tutt’altro. Noi cresciamo 

e cambiamo e dobbiamo entrare in relazione 

con il carisma in modo differente. Ogni relazione va 

coltivata, come anche la nostra relazione con Dio e 

col Murialdo. D.D. 

Ciao a tutti... questo forum sta diventando 

pian piano un altro modo di poter comunicare per la 

Famiglia del Murialdo.......Sarà un modo nuovo, 

dove sicuramente si comunica solo con lettere, sicuramente 

non sarà bello e arricchente come la comunicazione 

visiva, dove guardandoti negli occhi riesci 

a vedere l’altro non solo per le sue parole ma anche 

per quello che ti trasmette con tutto il suo essere, 

però non sempre abbiamo questa possibilità, la 

famiglia è grande, le distanze ci sono, grazie al forum 

un po’si accorciano e si possono conoscere stili 

e modi di vivere il carisma di San Leonardo a 

seconda delle varie realtà e delle esperienze arric- 

Uno spazio aperto 

ai vostri messaggi 

FORUM 

Scriveteci in redazione o per e-mail: 

vita.g@murialdo.org 

Partecipate al forum sul nostro sito: 

www.murialdo.org 

chenti che ognuno di noi può donare agli altri. Mi 

chiedo se sono io che ho una visione strana di confronto... 

mi manca il poter parlare con altri giovani 

del Murialdo, di come vivere a pieno il suo carisma... 

ogni giorno cerco di vivere questo carisma, 

ma non è sempre facile, è come se in questa società 

si vada “controcorrente”, le difficoltà le si trovano 

nel lavoro, nella famiglia, nella scuola... sicuramente 

le riesco a superare grazie ai due miei punti fermi, 

Cristo e il Murialdo... ma quanta difficoltà! Ti fermi 

e vorresti chiedere a qualche tuo coetaneo: “Io ho 

trovato questa difficoltà/ho provato questa gioia nel 

vivere il carisma del Murialdo... tu che mi dici?”... 

ma quando vorresti farlo gli altri non ci sono o se ci 

sono parlano con te dei ragazzi, della metodologia 

d’affrontare, ma poi null’altro... forse pretendo 

troppo? non mi so accontentare? non so che dire...so 

solo che mi manca! N.N. 

Devo ammettere che ho un po’ di difficoltà 

perchè non è usuale per me usare certi termini. Certo 

esiste sempre il rischio di Fare piuttosto che di 

ESSERE: le priorità lavorative fanno mettere sempre 

in secondo piano priorità essenziali per non perdersi. 

Padre Mauro, nell’ultimo intervento coi laici 

del Trentino Alto Adige, diceva ( mi perdoni se non 

esprimo il concetto nel modo giusto?): il problema 

del fare è sapere intorno a CHI fare. Marta si agita 

intorno alle cose in se stesse; Maria tiene al centro 

della propria attività, Gesù. Così succede quando si 

hanno figli, lavoro e via di seguito: continui a girare 

in tondo, dimenticando o relegando Dio a optional o 

lasciandolo per quando avrai tempo... E. A. 


per non lasciare spegnere un sorriso 

SOSTEGNO A DISTANZA... 

ÈUN GESTO D’AMORE, una mano 

tesa ai bambini e adolescenti 

più poveri che vivono nelle Parrocchie 

e accanto alle Opere gestite dai Giuseppini 

del Murialdo in America Latina, 

Africa, Asia ed Europa dell’Est. 

ÈSOSTENERE le spese di un bambino 

o adolescente, in un Centro 

Diurno, nella scuola o in un Centro 

di Avviamento al lavoro, aiutandolo ad uscire 

dalla situazione di miseria in cui vive la 

sua famiglia. 

ÈAIUTARE UNAFAMIGLIAa sfamare 

i figli in casi di ESTREMA 

POVERTÀ e a comperare delle 

medicine (in situazione di malattia). 

Bastano € 155,00 all’anno (più qualche 

briciola per le spese di posta e cancelleria), 

per aiutarci a SOSTENERE un bambino, il 

suo sorriso, la sua gioia di vivere... 

Il contributo può essere versato anche in 

rate mensili, trimestrali o semestrali… 

SOSTEGNO A DISTANZA 

P. Celmo Lazzari: PROCURA MISSIONI 

Tel. 06-62.43.400 - Fax 06.62.40.846 

consigliere.missioni@murialdo.org 

Via Belvedere Montello, 77 

00166 ROMA 

Chiedete gli appositi cc postali intestati ENGIM 

utilizzati per il Sostegno a Distanza 

Vita Solidale 

INIZIATIVE DI CARITÀ (Libera offerta) 

FONDO AIUTO ISTRUTTORI (Libera offerta) 

LA CASSETTA CON GLI 

ARNESI DEL MESTIERE € 25,00 

MISSIONI GIUSEPPINE (Libera offerta) 

UN PASTO GIORNALIERO € 10,00 

BORSA DI STUDIO € 52,00 

Per informazioni rivolgersi a: 

VITA GIUSEPPINA 

Tel. 06-62.47.144 - Fax 06.62.40.846 

E-mail: vita.g@murialdo.org

vita aprile 2004 - Giuseppini del Murialdo

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