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s p u n t i s e t t i m a n a l i p e r m e d i t a r e<br />
Quel giorno era la sua festa. Mandava fuori all'alba due tamburi i quali fino a<br />
mezzogiorno strepitavano ai quattro cantoni <strong>del</strong>la giurisdizione. Poi nel<br />
dopopranzo quando la milizia era raccolta nel cortile <strong>del</strong> castello, usciva<br />
dalla sua stanza così brutto che quasi solamente colla presenza sbaragliava il<br />
proprio esercito. Impugnava uno spadone così lungo che bastava a regolar<br />
il passo d'un'intera colonna. E siccome al minimo sbaglio egli usava batterlo<br />
spietatamente su tutte le pancie <strong>del</strong>la prima fila; così quando appena<br />
accennasse di sbassarlo, la prima fila indietreggiava sulla seconda la seconda<br />
sulla terza e nasceva una tal confusione che la minore non sarebbe avvenuta<br />
all'avvicinarsi dei Turchi. Il Capitano sorrideva di contentezza, e rassicurava la<br />
truppa rialzando la spada. Allora quei venti o trenta contadini cenciosi coi<br />
loro schioppi attraversati sulle spalle come badili, riprendevano la marcia a<br />
suon di tamburo verso il piazzale <strong>del</strong>la parrocchia. Ma siccome il Capitano<br />
camminava dinanzi con le gambe più lunghe <strong>del</strong>la compagnia, così per<br />
quanto questa si affrettasse egli giungeva sempre solo sul piazzale. Allora si<br />
rivolgeva infuriato a tempestare col suo spadone contro quella marmaglia<br />
indolente: ma nessuno era così gonzo da aspettarlo.<br />
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