TRACCE DI STORIA - Istituto Comprensivo di Palazzolo dello Stella
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PARTE SECONDA<br />
<strong>TRACCE</strong> <strong>DI</strong> <strong>STORIA</strong>
<strong>TRACCE</strong> <strong>DI</strong> <strong>STORIA</strong> 22<br />
Non è facile comprendere assieme la storia<br />
<strong>di</strong> comunità <strong>di</strong>verse: da un lato infatti uomini e<br />
ambiente sono strettamente collegati, cosicchè<br />
ad esempio le vicende <strong>di</strong> un paese lagunare<br />
come Marano, che è stato anche segnato in<br />
modo particolare dalla presenza veneziana,<br />
sono <strong>di</strong>stinte da quelle <strong>di</strong> comunità come<br />
Muzzana o <strong>Palazzolo</strong> che, pur comunicando<br />
con la laguna, si sono sviluppate all'interno<br />
della pianura, in collegamento con altri centri<br />
friulani.<br />
In questo capitolo de<strong>di</strong>cato alla storia dei<br />
nostri paesi riserveremo pertanto uno spazio<br />
<strong>di</strong>verso ai singoli fatti storici, in relazione alle<br />
testimonianze che gli stu<strong>di</strong>osi ci hanno<br />
trasmesso. Cercheremo tuttavia <strong>di</strong> riflettere<br />
sugli eventi fondamentali che interessano in<br />
vario modo tutte le nostre comunità.<br />
Foto <strong>di</strong> Noemi Formentin<br />
LE ORIGINI<br />
Gli inse<strong>di</strong>amenti preistorici<br />
La geografia del nostro territorio è stata<br />
interpretata come molto favorevole agli<br />
stanziamenti umani, fin dall'epoca protostorica.<br />
Pensiamo alle potenzialità offerte dalla<br />
posizione del centro abitato <strong>di</strong> Marano: esso si<br />
trova allo sbocco <strong>di</strong> un canale navigabile (il<br />
fiume <strong>Stella</strong>) e nei pressi <strong>di</strong> un'altra importante<br />
via <strong>di</strong> comunicazione (il fiume Tagliamento), è<br />
inoltre protetto e separato dal mare aperto da<br />
un gruppo <strong>di</strong> isole.<br />
Nel 1992 fu scoperto a sud <strong>di</strong> Piancada un<br />
vasto inse<strong>di</strong>amento neolitico (del 5.000 – 4.000<br />
a.C.). Il materiale rinvenuto qui è abbondante:<br />
scarti <strong>di</strong> selci in<strong>di</strong>cano che la lavorazione della<br />
pietra era un’attività produttiva fondamentale<br />
per gli abitanti dei villaggi preistorici.<br />
Non possiamo <strong>di</strong>menticare lo straor<strong>di</strong>nario<br />
ritrovamento della Bambina <strong>di</strong> Piancada, il<br />
reperto antropologico più antico rintracciabile in<br />
Friuli Venezia Giulia. Esso è costituito dai resti<br />
<strong>di</strong> una sepoltura riconducibile ai villaggi neolitici<br />
della zona. Della bambina (<strong>di</strong> 4-5 anni <strong>di</strong> età) si<br />
conservano ancora il cranio e alcune ossa<br />
degli arti; il suo corpo era stato originariamente<br />
deposto in una fossa assieme a centinaia <strong>di</strong><br />
molluschi marini, probabile offerta funeraria<br />
assieme a tre vasi ritrovati non lontano dal<br />
capo.<br />
Altri rinvenimenti al margine della laguna<br />
sono riferibili alla successiva età del bronzo
(2.300 – 1.200 a.C.): è probabile che si sia<br />
trattato <strong>di</strong> gruppi <strong>di</strong> raccoglitori-cacciatori, che<br />
avevano a <strong>di</strong>sposizione le foreste e la laguna<br />
per il riparo, la caccia e la pesca, la raccolta <strong>di</strong><br />
erbe, frutti selvatici e funghi.<br />
La pre<strong>di</strong>lezione per questi posti si<br />
manifestò in tutta la successiva età del ferro<br />
(dal 1.200 a.C.) da parte <strong>di</strong> popolazioni<br />
paleovenete che, utilizzando i canali interni<br />
della laguna e il fiume <strong>Stella</strong>, possono aver<br />
raggiunto più volte gli iniziali inse<strong>di</strong>amenti<br />
abitativi.<br />
Ritrovamenti archeologici nella<br />
laguna <strong>di</strong> Marano<br />
In <strong>di</strong>verse località della laguna <strong>di</strong> Marano e<br />
della fascia costiera sono stati trovati numerosi<br />
resti risalenti a epoche <strong>di</strong>verse e frutto per la<br />
maggior parte <strong>di</strong> recuperi occasionali. Essi<br />
affioravano lungo le rive delle isole e delle<br />
barene, portati dal mare dopo<br />
le giornate <strong>di</strong> scirocco. Oggi<br />
sono conservati nel Museo<br />
della Laguna <strong>di</strong> Marano,<br />
presso il Museo Archeologico<br />
Nazionale <strong>di</strong> Aquileia ed i<br />
Civici Musei <strong>di</strong> U<strong>di</strong>ne.<br />
Già nei primi anni del<br />
Novecento gli archeologi si<br />
interessarono all’isola <strong>di</strong><br />
Bioni, conosciuta come sito<br />
<strong>di</strong> epoca romana. Qui furono<br />
rinvenuti una gra<strong>di</strong>nata in<br />
pietra, che fu probabilmente<br />
23 LE ORIGINI<br />
un molo <strong>di</strong> approdo, le fondazioni <strong>di</strong> un<br />
fabbricato, parti <strong>di</strong> un pavimento a mosaico,<br />
frammenti <strong>di</strong> colonne e statue, lapi<strong>di</strong> con<br />
iscrizioni, manufatti in ceramica (vasi, lucerne e<br />
anfore), alcuni medaglioni circolari in pietra con<br />
rappresentazione <strong>di</strong> animali fantastici e delle<br />
monete.<br />
Nell’isola <strong>di</strong> Sant’Andrea si trovò invece la<br />
statua <strong>di</strong> un personaggio <strong>di</strong> alto rango risalente<br />
all’età augustea e chiamata “il togato <strong>di</strong><br />
Sant’Andrea” (immagine a fianco). Grazie<br />
all’intervento dell’Associazione Archeo-sub <strong>di</strong><br />
Marano furono in<strong>di</strong>viduati i resti del ponte<br />
romano della via Annia nell’alveo del fiume<br />
<strong>Stella</strong> ed il relitto <strong>di</strong> una nave del I secolo d.C.,<br />
contenente un carico <strong>di</strong> tegole, a circa 7<br />
chilometri dalla foce del fiume.<br />
Infine, un’ulteriore scoperta fu effettuata nel<br />
1990 nel luogo noto come Fortin a Carlino: un<br />
inse<strong>di</strong>amento abitativo dei secoli VI-I a.C. ed<br />
un impianto <strong>di</strong> estrazione <strong>di</strong> argilla sono stati<br />
riportati alla luce casualmente in occasione<br />
<strong>dello</strong> scavo <strong>di</strong> un canale <strong>di</strong> scolo.<br />
Leone funerario (Civici Musei <strong>di</strong> U<strong>di</strong>ne)
<strong>TRACCE</strong> <strong>DI</strong> <strong>STORIA</strong> 24<br />
Gli scali portuali lagunari<br />
I resti archeologici nel territorio lagunare,<br />
sulla fascia costiera e nel territorio dei paesi <strong>di</strong><br />
Carlino, Muzzana, <strong>Palazzolo</strong> e Precenicco<br />
testimoniano la presenza <strong>di</strong> strade, tombe,<br />
nuclei abitativi (ville rustiche) e inse<strong>di</strong>amenti<br />
produttivi (fabbriche <strong>di</strong> laterizi) fin dall’antichità.<br />
Abbiamo ricordato il rinvenimento della<br />
statua romana sull’isola <strong>di</strong> Sant’Andrea, il<br />
nucleo romano dell’isola <strong>di</strong> Bioni, posta in una<br />
posizione strategica <strong>di</strong> fronte alla foce del<br />
fiume <strong>Stella</strong>, chiamato dai romani flumen<br />
Anaxum e già allora navigabile. Per ragioni del<br />
tutto analoghe, si sarebbero sviluppati in epoca<br />
romana anche gli scali portuali dei siti lagunari<br />
<strong>di</strong> Piere de Ficariol e Piere de Isela, che<br />
emergono con la bassa marea nei pressi <strong>dello</strong><br />
sbocco dei fiumi Aussa e Corno.<br />
Da queste aree provengono monete,<br />
frammenti <strong>di</strong> bottiglie e <strong>di</strong> vasellame e alcune<br />
anfore <strong>di</strong> tipologia <strong>di</strong>fferente, che sono degli<br />
antichi contenitori da trasporto, databili tra il I<br />
secolo a.C. e il VII secolo d.C. e fabbricati in<br />
<strong>di</strong>verse province romane del Mar<br />
Me<strong>di</strong>terraneo.<br />
Le Piere de Ficariol durante la bassa marea<br />
IL PERIODO ROMANO<br />
La loro presenza rivela la vitalità dei traffici<br />
<strong>di</strong> derrate alimentari (olio, vino e salsa <strong>di</strong> pesce<br />
o garum) soprattutto nel corso dell’epoca<br />
imperiale (dal I al V secolo d.C.). Altri reperti<br />
(soprattutto vasellame) invece vengono<br />
ricondotti all’Alto Me<strong>di</strong>oevo, confermando<br />
l’importanza dei siti portuali lagunari ben oltre<br />
la loro frequentazione da parte dei romani.<br />
La produzione e il commercio <strong>di</strong><br />
ceramica<br />
Ceramica invetriata prodotta nella fornace<br />
<strong>di</strong> Carlino<br />
Uno dei settori produttivi più importanti<br />
della Bassa Friulana nel periodo romano era<br />
quello della fabbricazione <strong>di</strong> manufatti in<br />
terracotta. La produzione <strong>di</strong> materiale e<strong>di</strong>lizio<br />
(coppi) e <strong>di</strong> vasellame era favorita dalle<br />
con<strong>di</strong>zioni ambientali, come la ricchezza <strong>di</strong><br />
depositi argillosi e <strong>di</strong> legname, usato per la
combustione nelle fornaci. In aggiunta a<br />
questo, un articolato sistema <strong>di</strong> corsi fluviali<br />
navigabili e i canali interni della laguna<br />
consentivano la commercializzazione dei<br />
prodotti delle fornaci sparse nella zona.<br />
Carlino: fornace Chiamana. Mosaico del III secolo d.C.<br />
In località Chiamana a Carlino, a ridosso<br />
del fiume Zellina, è stata messa in luce una<br />
fornace <strong>di</strong> notevoli <strong>di</strong>mensioni, attiva tra il I<br />
secolo a.C. e il V secolo d.C. Gli archeologi<br />
hanno potuto in<strong>di</strong>viduare nel sito ben sette<br />
forni, un sistema <strong>di</strong> tettoie per l’essicazione dei<br />
semilavorati, magazzini e abitazioni per i<br />
lavoratori, due pozzi, delle canalette per la<br />
<strong>di</strong>stribuzione dell’acqua e per le fognature e<br />
due vani pavimentali della villa padronale con<br />
25 IL PERIODO ROMANO<br />
decorazioni a mosaico. Questa fornace si<br />
specializzò, probabilmente tra il IV e il V secolo<br />
d.C., nella produzione <strong>di</strong> ceramica invetriata,<br />
riverstita cioè <strong>di</strong> vetrina prima <strong>di</strong> essere cotta:<br />
brocche, bottiglie, catini, bicchierini, lucerne e<br />
mortai, destinati all’esercito romano <strong>di</strong> Aquileia.<br />
Il relitto del fiume <strong>Stella</strong><br />
La scoperta archeologica più sensazionale<br />
mai fatta sul nostro territorio è stata tuttavia il<br />
ritrovamento, nel 1981 in un tratto <strong>dello</strong> <strong>Stella</strong><br />
tra <strong>Palazzolo</strong> e il porto <strong>di</strong> Precenicco, <strong>di</strong> un<br />
relitto <strong>di</strong> imbarcazione commerciale romana.<br />
La nave deve essere naufragata<br />
presumibilmente nei primi decenni del I secolo<br />
d.C. Essa era larga 3 metri e lunga dagli 8 ai<br />
10 metri, aveva fiancate alte un metro circa ed<br />
uno scafo piatto composto da tavole <strong>di</strong> legno <strong>di</strong><br />
quercia e olmo tenute assieme da cuciture in<br />
fibre vegetali.<br />
Trasportava un carico <strong>di</strong> coppi e tegole,<br />
collocati <strong>di</strong> taglio e per file parallele sul fondo.<br />
Tavole <strong>dello</strong> scafo dell’imbarcazione trovata alle foci<br />
<strong>dello</strong> <strong>Stella</strong>
IL PERIODO ROMANO 26<br />
Su alcuni dei 120 pezzi sono riportati dei<br />
marchi <strong>di</strong> fabbrica, con i quali si faceva<br />
riferimento allo stabilimento <strong>di</strong> produzione e<br />
alla destinazione della merce. I bolli rimandano<br />
a sei <strong>di</strong>verse fornaci collocate nel territorio<br />
circostante lo <strong>Stella</strong> che producevano materiali<br />
da costruzione, vasellame vario (vasi<br />
lacrimatori, vinari, contenitori <strong>di</strong> forme e usi<br />
<strong>di</strong>versi) e i cui contrassegni sono stati ritrovati<br />
anche in materiali provenienti da <strong>di</strong>versi luoghi<br />
bagnati dal Mar Adriatico, fino alle Marche e<br />
alla Dalmazia.<br />
Si è pertanto pensato che la nave, dopo<br />
aver caricato la merce in uno degli stabilimenti<br />
locali, debba aver navigato lo <strong>Stella</strong> per<br />
<strong>di</strong>rigersi poi, attraverso i canali lagunari, al<br />
porto <strong>di</strong> Aquileia, da dove i laterizi sarebbero<br />
dovuti essere in seguito inoltrati verso altre<br />
località.<br />
Purtroppo, le nostre lacune storiche e<br />
culturali non hanno permesso la corretta<br />
conservazione del relitto, negandogli una<br />
meritata celebrità. Esso è stato<br />
sommariamente salvaguardato attraverso<br />
provve<strong>di</strong>menti economici insufficienti, non<br />
definitivi e pertanto <strong>di</strong>struttivi; sarebbe stato<br />
interesse <strong>di</strong> tutta la comunità poterlo stu<strong>di</strong>are<br />
con la cura e la passione che merita.<br />
Tra Iulia Concor<strong>di</strong>a ed Aquileia…<br />
Le spe<strong>di</strong>zioni romane in Friuli a partire dal<br />
II secolo a.C., motivate da stanziamenti <strong>di</strong> Galli<br />
transalpini non autorizzati da<br />
Roma, portarono in breve alla<br />
costituzione della colonia <strong>di</strong><br />
Aquileia (181 a.C.), fatto che<br />
segnò per sempre la nostra storia<br />
e la nostra cultura.<br />
Da questa data ha inizio infatti<br />
la colonizzazione romana del<br />
territorio friulano e quin<strong>di</strong> anche<br />
della zona, tra mare e terra, che<br />
ci interessa.<br />
L’origine del nome Marano<br />
La nascita <strong>di</strong> Marano si<br />
ricollega alle origini <strong>di</strong> Aquileia, la<br />
colonia romana fondata da 3000<br />
fanti latini ai quali si aggiunsero,
più tar<strong>di</strong>, circa 1300 famiglie romane. Ad<br />
alcune <strong>di</strong> queste famiglie vennero assegnate le<br />
località più importanti e strategiche da<br />
presi<strong>di</strong>are, e dal loro nome derivarono i nomi <strong>di</strong><br />
alcuni paesi friulani. Alla famiglia <strong>di</strong> Marius fu<br />
proprio affidata la zona <strong>di</strong> Marano. Ben presto<br />
il centro abitato si chiamò prae<strong>di</strong>um Mariani,<br />
cioè ‘fondo’ o ‘presi<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Mario’. Il nome<br />
Mariano durò a lungo, tanto che lo troviamo<br />
citato sia nel primo documento riguardante<br />
Marano (la notizia, data dallo storico<br />
longobardo Paolo Diacono, del Sinodo tenutosi<br />
qui nel 590 d.C.), sia in un documento del 1031<br />
(il Privilegium Poponis).<br />
Con il passare dei secoli, la i <strong>di</strong> Mariano<br />
scomparve e così restò Marano, nome che<br />
maggiormente rendeva l’idea <strong>di</strong> una località<br />
vicina al mare. L’aggiunta Lagunare è invece<br />
dell’Ottocento: con l’Unità d’Italia infatti si<br />
rendeva necessaria una specificazione del<br />
nome, per non confondere Marano Lagunare<br />
con altri Marano in Italia.<br />
La via Annia<br />
Nel 131 a.C. venne costruita dal pretore<br />
Tito Annio Rufo la via Annia, l’antica strada<br />
romana che collegava Aquileia a Concor<strong>di</strong>a<br />
Sagittaria, Altino, Padova e Adria, per poi<br />
congiungersi alla via Emilia (illustrazione nella<br />
pagina <strong>di</strong> fronte). Più in dettaglio, in<br />
corrispondenza <strong>di</strong> Mestre, il tragitto lambiva la<br />
costa, mentre nel tratto tra Altino e Concor<strong>di</strong>a<br />
Sagittaria esso ripercorreva il preesistente<br />
sistema viario paleoveneto.<br />
27 IL PERIODO ROMANO<br />
Il miliare <strong>di</strong> Costantino
IL PERIODO ROMANO 28<br />
Come le altre vie romane, la via Annia era<br />
costruita in gran parte da glarea stratae ed era<br />
ricoperta da basoli, delle grosse pietre<br />
irregolari, solo in prossimità dei centri urbani<br />
più rilevanti.<br />
La via Annia venne utilizzata fino al periodo<br />
tardo imperiale. Cronache del tempo<br />
riferiscono che, nel corso del IV d.C, numerosi<br />
imperatori vi transitarono per condurre i propri<br />
eserciti a <strong>di</strong>fendere il confine orientale<br />
dell’Impero.<br />
Lungo il suo tracciato, coincidente in parte<br />
con quello della strada statale n. 14 (nel<br />
territorio <strong>di</strong> Carlino, Muzzana e <strong>Palazzolo</strong>),<br />
sono state rinvenute alcune necropoli, che<br />
fanno riferimento al costume romano <strong>di</strong><br />
seppellire i morti lungo le strade.<br />
<strong>Palazzolo</strong> <strong>dello</strong> <strong>Stella</strong>: il castrum sulla via<br />
Annia e il porto romano sullo <strong>Stella</strong><br />
Anche a <strong>Palazzolo</strong> <strong>dello</strong> <strong>Stella</strong> ci sono stati<br />
alcuni ritrovamenti archeologici significativi nei<br />
pressi dell’antico tracciato della via Annia. Tutti<br />
i resti, a partire da quelli scoperti nel XIX<br />
secolo, testimoniano un’origine romana<br />
dell’inse<strong>di</strong>amento abitativo e commerciale.<br />
Ad opera <strong>di</strong> alcuni volenterosi ricercatori fu<br />
rinvenuto a <strong>Palazzolo</strong> il miliare <strong>di</strong> Costantino,<br />
una pietra miliare cilindrica ritrovata sulla riva<br />
occidentale del fiume <strong>Stella</strong> e addossata ai<br />
resti <strong>di</strong> un antico ponte romano. Essa riportava<br />
alcune scritte e l’in<strong>di</strong>cazione della <strong>di</strong>stanza tra<br />
<strong>Palazzolo</strong> ed Aquileia, da percorrere lungo la<br />
via romana. Il miliare è de<strong>di</strong>cato all’imperatore<br />
Costantino e risale al 312 d.C.<br />
Il castrum romano<br />
Ma è soprattutto la struttura urbanistica del<br />
centro <strong>di</strong> <strong>Palazzolo</strong> che ha suggerito agli<br />
esperti che l’origine del paese possa risalire al<br />
periodo in cui l'esercito romano raggiunse<br />
quest'area, rendendola un nucleo ben<br />
organizzato e <strong>di</strong>feso. La gestione del territorio<br />
era resa allora efficiente grazie alla precisione<br />
del piano urbanistico romano, definito castrum.<br />
Esso era un reticolato <strong>di</strong> strade ed e<strong>di</strong>fici<br />
protetto da fossati e da una cinta muraria. I<br />
fortilizi romani erano organizzati con funzioni<br />
strategiche lungo le due vie che <strong>di</strong>videvano il<br />
castrum in quattro gran<strong>di</strong> rettangoli, a loro volta<br />
sud<strong>di</strong>visi da altre vie in aree più piccole. Le due<br />
<strong>di</strong>rettrici principali erano chiamate cardo e<br />
decumano maximus, e partivano da quattro<br />
porte che erano <strong>di</strong>sposte una per lato. Le vie
si incrociavano poi al centro del forte, dove era<br />
presente una piazza (forum) circondata dagli<br />
alloggi degli ufficiali <strong>di</strong> rango più alto, come i<br />
tribuni militari e i prefetti. Attorno alle restanti<br />
vie si affacciavano altri servizi <strong>di</strong> utilità pubblica<br />
e strategica militare. Spesso i forti erano posti<br />
a ridosso delle mura che proteggevano i confini<br />
dell'Impero romano ed erano collegati agli altri<br />
castra da speciali strade protette da terrapieni<br />
che correvano a pochi metri dal vallo, le quali<br />
permettevano un celere spostamento <strong>di</strong> truppe<br />
e messaggeri.<br />
A <strong>Palazzolo</strong> il castrum era formato da 5 vie<br />
verticali e da 10 vie orizzontali connesse<br />
all'a<strong>di</strong>acente e importante asse viario della via<br />
Annia.<br />
Il castrum romano sovrapposto alla planimetria attuale <strong>di</strong><br />
<strong>Palazzolo</strong> <strong>dello</strong> <strong>Stella</strong><br />
Nella zona fuori dall’attuale centro storico,<br />
in prossimità del fiume <strong>Stella</strong>, sono stati<br />
ritrovati i resti sommersi del ponte della via<br />
29 IL PERIODO ROMANO<br />
Annia: due piloni, posti a 23 metri <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza,<br />
costruiti con blocchi <strong>di</strong> pietra e laterizi su un<br />
terrapieno racchiuso da una palizzata <strong>di</strong> legno.<br />
In questo nucleo urbano, parzialmente<br />
decentrato verso sud-ovest, i resti del ponte ed<br />
altre strutture rinvenute (parti <strong>di</strong> e<strong>di</strong>fici con<br />
funzione <strong>di</strong> magazzini) fanno riferimento ad<br />
una vasta area portuale, dotata <strong>di</strong> strutture ad<br />
uso commerciale.<br />
Anche oggi <strong>Palazzolo</strong> <strong>dello</strong> <strong>Stella</strong> si<br />
caratterizza per due principali aspetti: se da un<br />
lato il paese si trova su un’importante via <strong>di</strong><br />
collegamento terrestre, la strada statale n. 14,<br />
dall’altro esso rimane collegato al mare grazie<br />
al fiume <strong>Stella</strong>, ancora in gran parte navigabile.<br />
In questo contesto, i ponti sono un segno<br />
architettonico del paesaggio urbano. Strutture<br />
funzionali nel passato e nel presente delle<br />
nostre comunità, essi hanno consentito e<br />
consentono tutt’oggi i rapporti e i contatti fra le<br />
popolazioni, favorendo l’evolversi delle civiltà.
<strong>TRACCE</strong> <strong>DI</strong> <strong>STORIA</strong> 30<br />
La <strong>di</strong>ffusione del Cristianesimo e<br />
le invasioni barbariche<br />
Dopo la caduta dell’Impero romano la zona<br />
circumlagunare e la bassa pianura friulana<br />
furono lasciate ad un lento ed inesorabile<br />
abbandono: a causa dell’interruzione delle<br />
opere <strong>di</strong> bonifica, il terreno <strong>di</strong>venne una<br />
palude, si ricoprì <strong>di</strong> boschi e gradualmente si<br />
spopolò. Ciononostante, fu proprio in quel<br />
periodo che nacquero alcuni nuclei abitati,<br />
come la villa <strong>di</strong> Carolus (Carlino), circondata da<br />
un territorio pressochè inaccessibile, che<br />
tuttavia garantiva rifugio.<br />
Un uccello becca e artiglia un pesce<br />
(patera veneto bizantina, Marano XIII secolo)<br />
IL ME<strong>DI</strong>OEVO<br />
Probabilmente nel IV secolo la villa <strong>di</strong><br />
Carlino <strong>di</strong>sponeva già <strong>di</strong> una chiesa antica (o<br />
cappella), filiale della Pieve <strong>di</strong> Marano e<br />
de<strong>di</strong>cata all’apostolo San Tommaso. Dobbiamo<br />
ricordare infatti che nel periodo tardoantico da<br />
Aquileia si <strong>di</strong>ffuse rapidamente il cristianesimo<br />
grazie all’opera evangelizzatrice dei primi<br />
missionari, guidati dai loro vescovi (tra cui<br />
Sant’Ermacora, come riportato da alcune fonti<br />
apocrife, e Teodoro).<br />
Ma lo stessa epoca vide anche i paesi e gli<br />
inse<strong>di</strong>amenti agricoli e produttivi del Friuli<br />
devastati e saccheggiati dai barbari. Tra i primi<br />
a calarsi da est nella nostra regione ci furono<br />
gli Unni <strong>di</strong> Attila, che determinarono nel V<br />
secolo d.C. anche la capitolazione del castrum<br />
palazzolese.<br />
Attila fu sovrano e guerriero <strong>di</strong> una stirpe<br />
turco-mongola proveniente dall'Asia centrale. Il<br />
temibile quanto formidabile esercito degli Unni<br />
giunse nel confine orientale dell'Impero romano<br />
e attraversò sanguinosamente anche il<br />
territorio del fiume Anaxum: l'antica <strong>Palazzolo</strong><br />
fu rasa al suolo e, secondo un'avvincente<br />
tra<strong>di</strong>zione, si salvò soltanto un palazzo, la<br />
Casa Attila. Racconta la leggenda che il<br />
famigerato condottiero si sarebbe invaghito <strong>di</strong><br />
una giovane ragazza e decise quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> salvare<br />
questo e<strong>di</strong>ficio, per prolungare la sua<br />
permanenza a <strong>Palazzolo</strong>. La Casa Attila è<br />
ancor oggi un monumento apprezzabile nel<br />
paese, è situata nella Piazza della Pieve ed è
La Casa Attila a <strong>Palazzolo</strong> <strong>dello</strong> <strong>Stella</strong><br />
<strong>di</strong> proprietà della famiglia Zanelli.<br />
Nel 568 d.C. calarono in Italia i Longobar<strong>di</strong>,<br />
che spezzarono in due la regione amministrata<br />
dai patriarchi <strong>di</strong> Aquileia: essi conquistarono il<br />
Friuli ad eccezione <strong>di</strong> Grado, <strong>di</strong> Marano e delle<br />
altre isole della laguna, che rimasero in mano<br />
ai Bizantini.<br />
Il Sinodo <strong>di</strong> Marano<br />
La via principale <strong>di</strong> Marano ricorda con il<br />
suo nome un importantissimo evento del<br />
periodo patriarcale: il Sinodo, indetto dal<br />
Patriarca <strong>di</strong> Aquileia Severo, che a quei tempi<br />
risiedeva a Grado. Qui aveva trovato un rifugio<br />
sicuro, lontano dalle scorrerie dell’esercito<br />
longobardo. A Marano quin<strong>di</strong> convocò i vescovi<br />
nel 590, per spiegare la sua posizione nei<br />
31 IL ME<strong>DI</strong>OEVO<br />
confronti della famosa Controversia o Scisma<br />
dei Tre Capitoli. Questa era nata come <strong>di</strong>sputa<br />
teologica riguardante il modo <strong>di</strong> intendere<br />
alcune verità <strong>di</strong> fede professate nel Credo, ma<br />
era <strong>di</strong>ventata con il passare degli anni una<br />
questione <strong>di</strong> sottomissione al Papa (<strong>di</strong> Roma) o<br />
<strong>di</strong> unione al patriarca scismatico <strong>di</strong><br />
Costantinopoli.<br />
Il patriarca Severo, che a Ravenna era<br />
stato costretto in precedenza a sottomettersi al<br />
Papa, ritornato a Grado trovò grande ostilità<br />
nel popolo e dovette appunto radunare i suoi<br />
vescovi a Marano: qui <strong>di</strong>chiarò che il rifiuto<br />
<strong>dello</strong> Scisma dei Tre Capitoli, fatto a Ravenna,<br />
gli era stato strappato con la forza. Riconobbe<br />
Marano Lagunare: via Sinodo, la Chiesa <strong>di</strong> San Martino<br />
sulla destra e in fondo la torre millenaria<br />
inoltre la posizione <strong>di</strong> Costantinopoli e quin<strong>di</strong> la<br />
separazione da Roma.
IL ME<strong>DI</strong>OEVO 32<br />
In quell’occasione, anche i vescovi<br />
intervenuti preferirono schierarsi con la potente<br />
Bisanzio piuttosto che con la decadente Roma.<br />
Lo scisma della Chiesa <strong>di</strong> Aquileia però<br />
non durò a lungo, poiché solo pochi anni dopo<br />
il Patriarca Severo ritrattò la sua eresia e si<br />
sottomise al Papa.<br />
Marano: tra le vie del centro storico (qui sopra e a lato)<br />
Il periodo patriarcale<br />
In seguito alla sconfitta dei Longobar<strong>di</strong> da<br />
parte dei Franchi nel 774 e all’affermarsi del<br />
Sacro Romano Impero <strong>di</strong> Carlo Magno, i<br />
patriarchi <strong>di</strong> Aquileia si videro riconosciuti dagli<br />
imperatori germanici dei consistenti territori e<br />
benefici.<br />
In un <strong>di</strong>ploma del 21 gennaio 824 furono<br />
donati dall’imperatore Lodovico il Pio, re dei<br />
Franchi e figlio <strong>di</strong> Carlo Magno, alla Chiesa <strong>di</strong><br />
Aquileia alcuni beni consistenti in case, terre,<br />
vigneti, prati e boschi siti in Muzzana. Tali beni,<br />
fino ad allora, erano stati tenuti in feudo dal<br />
Patriarca Massenzio che, a suo tempo, li aveva<br />
ottenuti in beneficio dal margravio del Friuli<br />
Kadola (o Cadaldo) e dal successore Baldrico.<br />
Muzzana rimase proprietà patriarcale per oltre<br />
due secoli.<br />
Nell’anno 1029 l’imperatore Corrado donò<br />
al Patriarca Popone una “sterminata selva” dal<br />
Livenza all’Isonzo, che comprendeva il<br />
territorio <strong>di</strong> <strong>Palazzolo</strong>, Muzzana, Marano e<br />
Carlino. Due anni più tar<strong>di</strong>, lo stesso Popone,<br />
nel Privilegium Poponis (13 luglio 1031),<br />
concesse al Capitolo <strong>di</strong> Aquileia una larga<br />
parte <strong>di</strong> quel territorio (compresi Marano,<br />
Carlino e San Giorgio), lo sfruttamento delle<br />
sue risorse, il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> riscossione delle tasse e<br />
naturalmente la cura delle anime.<br />
Marano <strong>di</strong>venne<br />
la più importante<br />
<strong>di</strong>fesa del<br />
Patriarcato dalla<br />
parte del mare. Il<br />
paese fu fortificato<br />
per mezzo <strong>di</strong> alti e<br />
robusti terrapieni, fu<br />
dotato <strong>di</strong> mulini e <strong>di</strong><br />
saline per favorirne<br />
l’attività economica<br />
e commercale.<br />
Furono inoltre<br />
assegnati a Marano degli statuti particolari, che<br />
servirono anche come fonte per i regolamenti<br />
emanati più tar<strong>di</strong> dai Veneziani.
La comunità <strong>di</strong> Marano era governata da<br />
un podestà, che esercitava il potere temporale,<br />
aveva inoltre una pieve con un sacerdote. La<br />
cappella <strong>di</strong> San Tommaso a Carlino faceva<br />
parte proprio della chiesa matrice del<br />
capoluogo lagunare.<br />
Del periodo patriarcale non abbiamo più<br />
fonti o tracce scritte. Anche i resti visibili sono<br />
pochissimi. Esiste però ancora oggi a Marano<br />
una casa (la Casa dei Patriarchi) nella quale,<br />
LA PARLATA MARANESE<br />
33 IL ME<strong>DI</strong>OEVO<br />
fino a non molti anni fa, si poteva vedere una<br />
stanza con soffitti <strong>di</strong> legno <strong>di</strong>pinti e con le pareti<br />
decorate con soggetti sacri, chiamata la “sala<br />
del trono”. La piazzetta dove si trova la casa è<br />
chiamata da tempo immemorabile Corte dei<br />
Patriarchi. Dietro questa casa, dalla parte della<br />
Piazza Centrale, esisteva anche una chiesa, la<br />
Chiesa <strong>di</strong> Santa Maria, utilizzata dai pievani<br />
fino al 1500.<br />
Anche se Marano rientra nel Friuli, la sua comunità non appartiene a quella che parla la<br />
lingua friulana. Gli stu<strong>di</strong>osi ritengono che l’origine del maranese sia da mettere in relazione con<br />
quella <strong>di</strong> un altro <strong>di</strong>aletto simile, il gradese, e che entrambe le varietà rientrino nella sottofamiglia<br />
del veneto lagunare. Questa sud<strong>di</strong>visione rivela che le comunità <strong>di</strong> Grado e Marano erano<br />
separate, nel periodo che va dalla tarda romanità all’Alto Me<strong>di</strong>oevo, da quelle situate sul<br />
territorio in cui si stava sviluppando la lingua friulana. La foresta planiziale non consentiva infatti<br />
facili contatti con l’entroterra; Grado e Marano inoltre avevano maggiori possibilità <strong>di</strong> comunicare<br />
per via marittima-lagunare non soltanto l’una con l’altra ma anche e soprattutto con le<br />
popolazioni <strong>di</strong> parlata veneta, <strong>di</strong> cui conservano la parentela linguistica.<br />
Parlando poi delle caratteristiche più tipiche del maranese, tali da <strong>di</strong>fferenziarlo da tutti i<br />
<strong>di</strong>aletti friulani, la prima è senza dubbio la conservazione delle vocali finali <strong>di</strong>verse da -a nei nomi<br />
e nei participi passati dei verbi <strong>di</strong> origine latina: ad es. la parola per ‘prato’ è in maranese prò (e<br />
non come in friulano prât, che non conserva la vocale finale, cfr. gradese prào); la parola per<br />
‘mangiato’ è magnò (cfr. friulano mangjât e gradese magnào). Il secondo tratto tipico del<br />
maranese (ma anche del gradese!) è il fenomeno della metafonia palatale, che ha dato origine a<br />
parole come i nomi plurali timpi, fughi e nivu<strong>di</strong>. Ancora una volta, il friulano ha avuto<br />
un’evoluzione <strong>di</strong>versa: i suoi plurali timps, fûcs e nevôts sono costruiti in un altro modo e recano<br />
una –s finale.<br />
In seguito, il veneziano ha approfon<strong>di</strong>to le caratteristiche venete del maranese, che si sono<br />
conservate <strong>di</strong>stinte, ma per certi aspetti anche interferite, dalle caratteristiche del friulano.
<strong>TRACCE</strong> <strong>DI</strong> <strong>STORIA</strong> 34<br />
La torre millenaria <strong>di</strong> Marano<br />
DA VENEZIA ALL’AUSTRIA<br />
La villa <strong>di</strong> Marano con la sua fortezza,<br />
ampliata e ristrutturata militarmente dal<br />
patriarca Popone, era considerata un<br />
importante sbocco dell’entroterra <strong>dello</strong> stato<br />
patriarcale e fu oggetto, a partire dal Duecento,<br />
<strong>di</strong> varie contese tra i Patriarchi e i Veneziani,<br />
già padroni <strong>di</strong> Grado, Trieste, Muggia e <strong>di</strong><br />
alcune città dell’Istria.<br />
Il Conte <strong>di</strong> Gorizia, a volte alleato e a volte<br />
ostile al Patriarcato, si intromise nei fatti che<br />
riguardavano Marano e alcuni territori della<br />
bassa pianura friulana, nell’intento <strong>di</strong> annetterli<br />
alla propria contea. Il 13 <strong>di</strong>cembre 1202 veniva<br />
riconosciuta al conte <strong>di</strong> Gorizia l’avvocazia,<br />
ovvero il <strong>di</strong>ritto all’amministrazione della<br />
giustizia, nella villa <strong>di</strong> Muzzana. Nel 1215 lo<br />
stesso conte pretese <strong>di</strong> esercitare i <strong>di</strong>ritti<br />
feudali sulla fortezza <strong>di</strong> Marano, salvo venire<br />
poi denunciato dal Capitolo <strong>di</strong> Aquileia e colpito<br />
<strong>di</strong> scomunica. Ma anche altri signori, come i<br />
feudatari <strong>di</strong> Castello, pretesero la giuris<strong>di</strong>zione<br />
su Marano e su Carlino a metà del Duecento.<br />
Dal canto loro, i Veneziani misero più volte<br />
la fortezza a ferro e fuoco. Nel 1412 anche<br />
Muzzana fu occupata dalle truppe <strong>di</strong> ventura al<br />
soldo della Repubblica veneta e gli abitanti<br />
dovettero assistere impotenti al saccheggio dei<br />
propri campi. L’atto definitivo della guerra tra<br />
Patriarchi e Veneziani si risolse nel corso del<br />
1420, quando Venezia <strong>di</strong>venne padrona <strong>di</strong><br />
gran parte del Friuli e <strong>di</strong> tutto il nostro territorio.<br />
La Serenissima rispettò i privilegi concessi<br />
dai patriarchi, che continuarono a mantenere il<br />
solo potere ecclesiastico sulla quella che più<br />
tar<strong>di</strong> fu la Diocesi <strong>di</strong> Aquileia; riconobbe inoltre<br />
i feu<strong>di</strong> esistenti, continuando ad investire i<br />
signori che già li tenevano.<br />
Occupata Marano, Venezia cercò subito <strong>di</strong>
Il litorale tra i fiumi Tagliamento e Corno nel Cinquecento<br />
rendere efficienti tutte le opere <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa<br />
esistenti e rispettò gli or<strong>di</strong>namenti e gli statuti<br />
vigenti dal periodo patriarcale. Dal canto suo,<br />
la popolazione vide valorizzata la sua antica<br />
autonomia.<br />
Il periodo dal 1420 al 1797, in cui Marano<br />
fu governata da Venezia con i suoi<br />
provve<strong>di</strong>tori, è considerato ancora oggi un’età<br />
d’oro dalla comunità. Nei secoli XV e XVI<br />
Marano era la terza fortezza della Serenissima,<br />
assieme a Venzone e Monfalcone.<br />
Ma in quel periodo nuovi invasori, i temibili<br />
Turchi, erano alle porte del Friuli. Nel 1470 la<br />
fortezza <strong>di</strong> Marano venne fortificata da una<br />
forte squadra <strong>di</strong> balestrieri navali e, nel 1578,<br />
l’armata preposta alla <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> Marano impedì<br />
l’espandersi in Friuli dei Turchi condotti da<br />
Omar Bey. Una calle <strong>di</strong> Marano si chiama<br />
35 DA VENEZIA ALL’AUSTRIA<br />
ancora calle Turchia e ricorda il valore<br />
<strong>di</strong>mostrato dai Veneti nel ricacciare l’esercito<br />
turco.<br />
La seconda parte del XV secolo continuò<br />
ad essere invece sempre terribile per il paese<br />
<strong>di</strong> Muzzana: verso la metà del secolo gravi<br />
pestilenze decimarono la popolazione e<br />
ancora, nel 1458, Muzzana fu devastata da un<br />
incen<strong>di</strong>o. Il primo novembre dell’anno 1477<br />
anche qui si presentarono all’improvviso i<br />
Turchi. Dei cavalieri sconosciuti comparsero<br />
dal nulla; già il loro abito apparve strano:<br />
avevano lunghi capelli, lunghe barbe, lunghi<br />
baffi, gridavano in una lingua sconosciuta,<br />
inseguendo gli abitanti spaventati che non<br />
sapevano dove rifugiarsi. La sorpresa ebbe il<br />
suo effetto e lasciò i muzzanesi come<br />
paralizzati. I più svelti scapparono verso la<br />
boscaglia, ma la gran parte della popolazione<br />
rimase alla mercè dei nuovi venuti. Chi tentò <strong>di</strong><br />
resistere venne ucciso, chi tentò <strong>di</strong> fuggire<br />
venne inseguito e condannato alla stessa<br />
sorte. Alla fine toccò al fuoco: il paese intero<br />
bruciò e i sopravvissuti dovettero affrontare<br />
l’inclemenza della stagione che si annunciava<br />
con lo spettro della fame.<br />
Superato l’incubo delle invasioni turche, la<br />
Repubblica <strong>di</strong> Venezia e la Casa d’Austria<br />
continuarono a contrapporsi per spartirsi il<br />
territorio del Friuli.<br />
Forte, ben munita e posta in una posizione<br />
strategica, anche la fortezza <strong>di</strong> Marano rimase<br />
nelle mire dei signori friulani sud<strong>di</strong>ti<br />
dell’Impero. E proprio il 13 <strong>di</strong>cembre 1513, con<br />
il pretesto <strong>di</strong> andare a caccia, il sacerdote <strong>di</strong>
DA VENEZIA ALL’AUSTRIA 36<br />
Marano tra<strong>di</strong>tore Bortolo da Mortegliano, si<br />
fece dare le chiavi delle porte della città e fece<br />
entrare un esercito imperiale con 200-250<br />
cavalli che si impadronì della fortezza. Il<br />
capitano ed i pochi soldati che presi<strong>di</strong>avano la<br />
fortezza si <strong>di</strong>edero alla fuga.<br />
Il Senato veneziano tentò <strong>di</strong> riprendere<br />
Marano, sia con la forza sia con la <strong>di</strong>plomazia.<br />
In occasione della stesura del Trattato <strong>di</strong><br />
Worms (1521) Venezia offrì all’Imperatore una<br />
ingente somma <strong>di</strong> denaro per riavere Marano,<br />
ma gli imperiali si tennero ben salda la<br />
fortezza, oltre a Carlino, Porpetto e<br />
Precenicco. Con il Trattato <strong>di</strong> Worms <strong>Palazzolo</strong><br />
e Muzzana furono invece assegnate a<br />
Venezia.<br />
Il 2 gennaio 1542 tre capitani <strong>di</strong> ventura,<br />
Beltrame Sacchia <strong>di</strong> U<strong>di</strong>ne, Giuseppe Cipriani<br />
<strong>di</strong> Brescia e Bernar<strong>di</strong>no de Castro <strong>di</strong> Pirano,<br />
fingendosi mercanti <strong>di</strong> grano, introdussero a<br />
Marano una barca piena <strong>di</strong> uomini armati e<br />
riuscirono ad occupare la fortezza. La<br />
resistenza opposta dall’interno fu fiera ma non<br />
valse a nulla, soprattutto dopo l’arrivo <strong>di</strong> 163<br />
soldati in aiuto <strong>di</strong> Sacchia. I soldati imperiali <strong>di</strong><br />
presi<strong>di</strong>o allora furono rinchiusi nella chiesa<br />
parrocchiale <strong>di</strong> San Martino, mentre Sacchia<br />
offrì Marano ad un altro capitano <strong>di</strong> ventura,<br />
Pietro Strozzi, che era al servizio del re <strong>di</strong><br />
Francia.<br />
Successivamente, l’imperatore Fer<strong>di</strong>nando<br />
d’Austria fece munire un piccolo forte<br />
(Maranutto) vicino a Carlino, per poter<br />
abbattere con l’artiglieria i bastioni <strong>di</strong> Marano.<br />
Ma nel frattempo Pietro Strozzi riuscì a<br />
vendere la fortezza ai Veneziani per la somma<br />
<strong>di</strong> 35.000 ducati. Era il 29 novembre 1543 e<br />
Venezia riottenne il dominio <strong>di</strong> Marano, che<br />
mantenne fino alla caduta della Repubblica<br />
(1797).<br />
Marano, governato con saggia politica dai<br />
Veneziani, godette finalmente <strong>di</strong> un lungo<br />
periodo <strong>di</strong> pace e <strong>di</strong> prosperità.<br />
La fortezza <strong>di</strong> Marano: gloria e declino<br />
La fortezza ebbe il suo periodo <strong>di</strong> maggior<br />
splendore nei secoli in cui il suo possesso<br />
strategico era più conteso dai poteri forti.<br />
Nel 1540, quando Giovanni Cortona<br />
<strong>di</strong>pinse la pianta più importante che esista<br />
(ve<strong>di</strong> immagine nella pagina <strong>di</strong> fronte), ora<br />
conservata nell’Archivio dei Savi <strong>di</strong> Venezia, la<br />
fortezza si presentava come una rocca <strong>di</strong> rara<br />
bellezza. Aveva forma trapezoidale con la
La pianta <strong>di</strong> Giuseppe Cortona in una riproduzione <strong>di</strong><br />
Vincenzo Joppi<br />
punta a sud, chiamata baluardo <strong>di</strong> S. Antonio,<br />
due bastioni a nord, denominati <strong>di</strong> S. Giovanni<br />
e <strong>di</strong> S. Marco, ed un piccolo bastione ad est.<br />
Due porte consentivano l’uscita: una era posta<br />
ad est (la porta del mar) e l’altra a nord (la<br />
porta dell’oro). Le due porte erano collegate da<br />
una via centrale che <strong>di</strong>videva a metà l’abitato<br />
e, ai due lati della strada, si <strong>di</strong>partivano delle<br />
calli che sfociavano in campielli, piazzette e<br />
corti: questa trama è ancora oggi rintracciabile<br />
nella pianta urbanistica del centro storico. Il<br />
perimetro delle mura era <strong>di</strong> 620 passi. Sopra le<br />
mura c’era un camminamento per le sentinelle.<br />
La maggiore preoccupazione per la<br />
fortezza si concretizzò nel XVI secolo e<br />
provenne dalla rocca austriaca <strong>di</strong> Maranutto.<br />
Essa aveva in realtà pochi soldati, ma<br />
sufficienti ad infasti<strong>di</strong>re la <strong>di</strong>fesa, la<br />
navigazione veneta nella laguna e lo scambio<br />
<strong>di</strong> viveri e merci tra i centri interni della pianura<br />
e Marano.<br />
37 DA VENEZIA ALL’AUSTRIA<br />
Negli anni che vanno dalla fine del<br />
Cinquecento alla caduta della Repubblica <strong>di</strong><br />
Venezia l’interesse della Serenissima per la<br />
fortezza <strong>di</strong> Marano andó via via <strong>di</strong>minuendo. A<br />
causa <strong>di</strong> ciò, non si procedette più ad opere<br />
significative <strong>di</strong> ripristino delle mura e dei<br />
bastioni, che si deterioravano man mano che il<br />
tempo passava.<br />
Tratti delle mura della fortezza, quasi<br />
completamente demolite alla fine<br />
dell’Ottocento, sono emersi <strong>di</strong> recente. La<br />
parte meglio conservata è lo sperone<br />
cinquecentesco posto sul lato sud, su cui nel<br />
XX secolo è stato costruito lo stabilimento<br />
ittico.<br />
Marano: particolare del centro storico
<strong>TRACCE</strong> <strong>DI</strong> <strong>STORIA</strong> 38<br />
L’Ottocento<br />
… FINO AI GIORNI NOSTRI<br />
Alla fine del Settecento cessò la<br />
dominazione veneziana sul Friuli. Nel maggio<br />
del 1797 il generale francese Bernadotte<br />
conquistò la regione a nome <strong>di</strong> Napoleone, ma<br />
pochi mesi dopo, ad ottobre, con il Trattato <strong>di</strong><br />
Campoformido Napoleone concesse<br />
nuovamente il Friuli e il Veneto all’Austria.<br />
Un'altra volta riconquistato dai Francesi nel<br />
1805, nei lavori del Congresso <strong>di</strong> Vienna<br />
(1815) fu decisa una nuova assegnazione del<br />
nostro territorio, che venne a far parte del<br />
Lombardo-Veneto <strong>di</strong>rettamente controllato<br />
dall’Austria.<br />
Solo nel 1866, con la III Guerra <strong>di</strong><br />
In<strong>di</strong>pendenza, <strong>Palazzolo</strong>, Muzzana, Marano e<br />
Carlino poterono essere unite al Regno d’Italia.<br />
Gli ideali risorgimentali si erano fatti<br />
particolarmente sentire a <strong>Palazzolo</strong>, poiché da<br />
qui partì Luigi Riva, che fece parte della<br />
spe<strong>di</strong>zione dei Mille e accompagnò ad<strong>di</strong>rittura<br />
Giuseppe Garibal<strong>di</strong> all’incontro con il re Vittorio<br />
Emanuele II a Teano.<br />
Anche a Carlino l’annessione al Regno<br />
d’Italia venne sancita da un plebiscito unanime<br />
il 21 ottobre 1866.<br />
Visto più da vicino, il declino della fortezza<br />
<strong>di</strong> Marano fu irreparabile. Ad esso inoltre si<br />
aggiunsero due gran<strong>di</strong> epidemie (nel 1836 e<br />
nel 1886), che decimarono la popolazione e<br />
resero il paese, colpito anche dalla miseria e<br />
dalla scarsità d’acqua, una località in cui era<br />
impossibile vivere.<br />
Fu così che nel 1890 il Sindaco Rinaldo<br />
Olivotto, conosciuto come uomo corraggioso e<br />
lungimirante, chiese ed ottenne dai nuovi<br />
governanti italiani l’abbattimento delle mura<br />
che facilitavano, con l’acqua stagnante, il<br />
ripetersi delle epidemie. Il Sindaco fece inoltre<br />
costruire un acquedotto e la pescheria per la<br />
comunità e propose una nuova e definitiva<br />
stesura del Regolamento sulla pesca a favore<br />
dei pescatori maranesi e della tutela della<br />
laguna.<br />
Il Novecento<br />
La storia dei nostri paesi nel XX secolo<br />
coincide in gran parte con quella del Friuli e
dell’Italia. Per certi aspetti le nostre comunità<br />
entrano nell’anonimato e subiscono gli eventi<br />
della storia contemporanea: la catastrofe della<br />
Prima Guerra Mon<strong>di</strong>ale, l’orrore della Seconda<br />
e le enormi <strong>di</strong>fficoltà e contrad<strong>di</strong>zioni della<br />
ripresa dopo ogni conflitto. Per altri aspetti, in<br />
ciascuna delle nostre famiglie si è svolta la<br />
storia del XX secolo.<br />
La Prima Guerra Mon<strong>di</strong>ale innanzitutto, pur<br />
non essendo stata combattuta <strong>di</strong>rettamente nel<br />
nostro territorio, generò gran<strong>di</strong>ssime rovine,<br />
desolazioni e lutti. Grazie alle testimonianze<br />
raccolte a Marano, sappiamo che i pescatori<br />
dovettero abbandonare le proprie attività e<br />
salire a bordo <strong>di</strong> torpe<strong>di</strong>niere e <strong>di</strong> corazzate.<br />
Abbiamo notizia del panico generato nella<br />
popolazione durante e dopo le incursioni aeree<br />
e dell’esilio della quasi totalità della<br />
popolazione maranese appena si <strong>di</strong>ffuse la<br />
notizia della <strong>di</strong>sfatta <strong>di</strong> Caporetto nel 1917.<br />
Ci fu quin<strong>di</strong> l’occupazione austroungarica<br />
dei nostri paesi dal 1917 fino al 4 novembre<br />
1918, quando la guerrà finalmente ebbe fine.<br />
Gli anni Venti e Trenta furono anni molto<br />
<strong>di</strong>fficili per tutte le nostre comunità: le piaghe e<br />
le rovine materiali e morali della Prima Guerra<br />
Mon<strong>di</strong>ale, le lotte e le <strong>di</strong>visioni interne a causa<br />
delle ideologie politiche, l'instaurazione <strong>di</strong> un<br />
regime autoritario, la mancanza <strong>di</strong> libertà e la<br />
recessione economica si fecero sentire<br />
ovunque.<br />
Quin<strong>di</strong> ci fu una nuova guerra, che lasciò<br />
nella mente e nel cuore <strong>di</strong> chi li ha vissuti dei<br />
ricor<strong>di</strong> in<strong>di</strong>menticabili <strong>di</strong> terrore. Come quelli <strong>di</strong><br />
chi era a Marano il 17 <strong>di</strong>cembre 1943, quando<br />
39 … FINO AI GIORNI NOSTRI<br />
il comando militare tedesco, venuto a<br />
conoscenza che in paese erano nascosti dei<br />
militari alleati scappati dal campo <strong>di</strong><br />
concentramento <strong>di</strong> Torviscosa, radunò tutti gli<br />
uomini in pescheria. Il pescatore Antonio Corso<br />
fu sorpreso con gli attrezzi da pesca e il fucile<br />
da caccia; subito dopo venne arrestato anche<br />
Giovanni Zulian, ritenuto colpevole <strong>di</strong> aver<br />
nascosto un soldato al Casale della Madonna;<br />
quin<strong>di</strong> fu sentita la guar<strong>di</strong>a civica Cornelio<br />
Regeni, che non seppe dare esaurienti<br />
spiegazioni sulla presenza in paese <strong>di</strong> tanti<br />
evasi.<br />
Gli uomini segregati in pescheria furono<br />
rimessi in libertà, ma i tre furono portati via:<br />
Corso e Zulian furono uccisi subito nel bosco <strong>di</strong><br />
Carlino, mentre Regeni fu risparmiato e chiuso<br />
in prigione a Palmanova per pochi giorni.