Diritti e Servizi - Ricerca senza dimora
Diritti e Servizi - Ricerca senza dimora
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Anno 16 o - Numero 1<br />
Rivista della Federazione Italiana Organismi<br />
per le persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> - FIO.psd<br />
Curato dall'Associazione "Sans-Abri"<br />
Spedizione in abbonamento postale gr. IV/ 70%<br />
Registrato al Tribunale di Bergamo con autorizzazione n. 18 del 23/08/1990
Periodico dell'associazione "SANS ABRI" per la FIO.PSD.<br />
Segreteria c/o: NUOVO ALBERGO POPOLARE<br />
Via Carnovali, 95 - Bergamo<br />
Telefono 035 319800 - Fax 035 321839<br />
E-mail: giacomo.invernizzi@tin.it<br />
Direttore Responsabile: Sandra Rocchi<br />
Redazione: Invernizzi Giacomo<br />
Gnocchi Raffaele<br />
Galliani Stefano<br />
Bergamaschi Marco<br />
Segreteria di redazione: Rinzivillo Rosalba<br />
Invernizzi Giacomo<br />
Finito di stampare nel mese di Marzo 2004<br />
presso la litografia PRESS R3 - Almenno San Bartolomeo (BG) - Tel. 035 540945
Rivista della Federazione Italiana Organismi<br />
per le persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> - FIO.psd<br />
Curato dall'Associazione "Sans-Abri"<br />
Spedizione in abbonamento postale gr. IV/ 70%<br />
Registrato al Tribunale di Bergamo con autorizzazione n. 18 del 23/08/1990
Indice<br />
Editoriale - Il diritto rinasce dal desiderio di Stefano Galliani pag. 5<br />
L’accesso ai servizi da parte di persone pag. 12<br />
in condizione di esclusione di Luigi Gui<br />
Persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>, pag. 23<br />
diritti e priorità per gli enti locali di Stefano Lepri<br />
<strong>Diritti</strong> sociali e legislazione in italia pag. 27<br />
nell’area dei servizi alla persona di Franco Dalla Mura<br />
Persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> e diritto alla salute di Raffaele Gnocchi pag. 42<br />
Accoglienza e gestione di un processo pag. 64<br />
di aggancio per soggetti<br />
in condizione di grave marginalità di Giacomo Invernizzi<br />
Tavolo “Grave emarginazione” Legge 328 pag. 79<br />
del Distretto di Bergamo di Giacomo Invernizzi<br />
Il “Punto d’incontro” di via del Leone, pag. 88<br />
nel quartiere 1 a Firenze di Anna Maria De Rosa<br />
Normativa sulla residenza anagrafica in Italia pag. 91
EDITORIALE<br />
IL DIRITTO RINASCE DAL DESIDERIO<br />
Stefano Galliani - Presidente FIO.psd.<br />
<strong>Diritti</strong> e servizi sono un costante richiamo<br />
per chi si occupa di “sociale”.<br />
Per questo binomio si sono spese generazioni<br />
di operatori e cittadini.<br />
Oggi ampi movimenti di massa lottano,<br />
con decisione, per il riconoscimento<br />
di diritti politici, economici e sociali<br />
ad ogni latitudine. E perché questi<br />
diritti diventino servizi e beni di cui<br />
ciascuno possa godere in forma sostenibile,<br />
equa e non onerosa.<br />
Sulla stessa linea si pone Fiopsd che,<br />
da anni, tenta di costruire, con pazienza<br />
e tenacia, un orizzonte capace di assicurare<br />
il riconoscimento del diritto<br />
a tutte le persone. Nell’insieme delle<br />
persone naturalmente sono compresi<br />
gli adulti che vivono una condizione<br />
di disagio estremo e sono <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>.<br />
E, davvero, la lotta per i diritti pare<br />
essere <strong>senza</strong> fine.<br />
Sembra paradossale ma, ancora oggi,<br />
parlare di diritti nell’ambito di interesse<br />
specifico di FIOpsd rimanda a categorie<br />
di pensiero che sembrano appartenere<br />
ad epoche o territori geografici<br />
lontani.<br />
Iniziamo dal più elementare dei diritti:<br />
il diritto di esistere.<br />
Questo diritto sembra legato solo alla<br />
condizione di “dimenticati” che vivono<br />
in terre lontane, gli abitanti dei “sotterranei<br />
della Terra” (come li definisce<br />
p. A. Zanotelli). Ma, molto più vicino<br />
a noi, vivono gli “invisibili” che<br />
abitano i quartieri delle città e dei più<br />
piccoli tra i villaggi italiani. Nella cor-<br />
Editoriale<br />
sa che tutti travolge, sotto lo stimolo<br />
degli idoli propri della nostra società<br />
- profitto e tempo - non c’è posto per<br />
i “fragili” o, semplicemente, per chi<br />
sbaglia qualcuna delle tante mosse a<br />
cui ogni giorno siamo chiamati. E diventa<br />
facile perdersi nei meandri dell’anonimato<br />
più profondo fino a sprofondare<br />
in una territorio dal nome “sinistro”<br />
e pericoloso - marginalità grave<br />
- da cui è difficile emanciparsi.<br />
Prima di tutto perché non è terreno<br />
riconosciuto dal diritto.<br />
Nella società dell’apparire ciò che non<br />
è visibile diventa frontiera anche per<br />
i pochi (o tanti) che osano avventurarsi<br />
in cerca di coloro che rischiano<br />
uno smarrimento estremo ai confini<br />
del pianeta globale. Ma questo percorso,<br />
degli uni in ricerca, degli altri<br />
in deriva, non è patrimonio condiviso<br />
della società. E’ riservato ad una minoranza<br />
di persone: e chi cerca rischia,<br />
a sua volta, di essere emarginato<br />
dal diritto come già lo sono molte<br />
delle persone in deriva. Infatti anche<br />
per le organizzazioni che operano nell’ambito<br />
della grave marginalità tutto<br />
ciò si tramuta, spesso, in terreno non<br />
riconosciuto per il mancato riconoscimento<br />
anche di chi lo pratica.<br />
In questo terreno vischioso, dove il diritto<br />
rimane esso stesso ai margini, vanno<br />
a perdersi le caratteristiche individuali,<br />
l’identità, lo stesso nome. Tutto<br />
rischia di essere indistinto e segnato<br />
dall’indifferenza di chi governa la ma-<br />
3
Editoriale<br />
teria del diritto. E di questo ne soffrono<br />
le persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> così come<br />
i molti interventi; nella mancanza di<br />
diritto gli interventi appaiono isolati,<br />
<strong>senza</strong> criteri preordinati e <strong>senza</strong> linee<br />
guida che diano valore e contenuto allo<br />
sforzo, enorme e continuo, che si<br />
realizza in questo terreno <strong>senza</strong> nome.<br />
Eppure un nome ed uno stile esistono:<br />
quello di ogni persona incontrata,<br />
quello di ogni servizio costruito<br />
su di una storia e una passione propri<br />
e irripetibili.<br />
Ecco quindi che si delinea un secondo<br />
diritto: il diritto al riconoscimento.<br />
L’area della marginalità grave non desidera<br />
un riconoscimento generico all’esistenza.<br />
Ma il diritto di ogni persona<br />
ad essere riconosciuta per come<br />
vive la condizione di marginalità. Ed<br />
il diritto di riconoscere le organizzazioni<br />
che operano in questo campo<br />
come espressione della società stessa<br />
attenta alle dimensioni più umane dell’uomo.<br />
Si, questo diritto oggi più di<br />
ieri fatica a farsi largo tra le categorie<br />
di pensiero.<br />
In questo nostro contesto storico ciò<br />
che non appartiene a categorie riconosciute<br />
e riconducibili ad oggetti e<br />
proprietà - casa, <strong>dimora</strong>, lavoro, reddito<br />
- diventa qualcosa di “altro” da<br />
escludere nella considerazione del politico,<br />
del legislatore e, qualche volta,<br />
anche agli occhi del semplice cittadino.<br />
Nell’aria e nei “media” si aggira, pericoloso<br />
e ambiguo, lo stereotipo del<br />
<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> per scelta. Chi scrive,<br />
nei (molti) anni di lavoro, mai ne ha<br />
incontrati e pochi ne ha visti che potevano,<br />
in qualche modo, confermare<br />
lo stereotipo. In relazione all’area dei<br />
4<br />
diritti questo stereotipo è utilizzato<br />
per affermare l’inutilità di estendere<br />
(o meglio: includere) nell’orizzonte del<br />
diritto chi manifesta un disagio grave.<br />
Probabilmente per non mettere in<br />
discussione lo “status quo” di una società<br />
che vive una crisi profonda nella<br />
quale i molti che godono del potere<br />
manifestano una estrema resistenza<br />
nell’interrogarsi sul modello attuale<br />
di sviluppo e sulle ricadute che esercita<br />
su vasti strati di popolazione, sia<br />
nel ricco occidente sia negli angoli più<br />
sfruttati del globo. Le persone <strong>senza</strong><br />
<strong>dimora</strong> sono per noi il più prossimo<br />
indicatore, insieme ad immigrati ed<br />
anziani, degli effetti del nostro comune<br />
vivere nella società occidentale.<br />
Non a caso queste tre fasce di persone<br />
vengono segregate, allontanate o cancellate<br />
perché testimoni scomodi.<br />
Una dimensione interessante nell’incontro<br />
con le persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>,<br />
se appena scaviamo sotto la “corazza”<br />
tipica della condizione, è la dimensione<br />
del “desiderio” lasciando,<br />
per una volta, in secondo piano ciò<br />
che è più ovvia e comune, il “bisogno”.<br />
Tra desiderio e bisogno ci può<br />
stare, abbastanza comoda e ben legata,<br />
la parola “diritto”.<br />
Perché il bisogno si può, talvolta, collocare<br />
dopo il desiderio? Infatti nel<br />
leggere la situazione di una persona<br />
in disagio estremo emergono con prepotenza<br />
i bisogni che segnano un’esistenza<br />
precaria, insicura, talvolta devastata<br />
nel fisico e nella profondità<br />
dell’animo. Questa lettura, per quanto<br />
corretta, appartiene troppo ad una<br />
scala di riferimento basata su un’economia<br />
di scambio. “Io che vivo il disa-
gio ti comunico ciò che mi manca, io<br />
operatore utilizzo una serie di strumenti<br />
e risorse per risponderti”. In ciò<br />
non c’è nulla di dannoso o fuori posto.<br />
Ma…forse c’è un ma… nelle storie<br />
di persone in condizione estrema di<br />
disagio e precarietà, flebile ma presente,<br />
emerge la dimensione del “desiderio”.<br />
Anzi la molteplicità dei desideri.<br />
Il desiderio di tornare ciò che si era;<br />
il desiderio di essere diversi, “nuovi”<br />
quando alle spalle c’è sofferenza e tristezza;<br />
il desiderio di ritrovare unità<br />
con sé stessi dopo una vita passata a<br />
rincorrere chimere o la propria vera<br />
identità; il desiderio di appartenere ad<br />
una relazione, un ambiente, finalmente<br />
vivibile e commisurato alle reali<br />
possibilità del soggetto. Insomma, un<br />
progetto di vita legato ai desideri più<br />
profondi dell’animo umano.<br />
Una gamma di desideri che dicono la<br />
profonda umanità che definisce il disagio,<br />
dicono la sconcertante “normalità”<br />
di queste persone, purtroppo invisibile<br />
agli occhi dei più. E forse proprio<br />
qui sta il paradosso: le persone<br />
in grave marginalità, contemporaneamente<br />
vittime e carnefici di sé stessi,<br />
attraverso le loro corde profonde ci<br />
parlano di un vivere e di una società<br />
che, per molti versi, non ci appartiene<br />
più. E la società occidentale e italiana<br />
oggi fa sempre più fatica a rispondere<br />
a desideri di umanità: sia nel correre<br />
della quotidianità di ciascuno, sia<br />
dentro le scelte del legislatore.<br />
Uno dei fili, nemmeno il più sottile,<br />
che lega bisogno e desiderio è rappresentato<br />
dal “diritto”. Il diritto come riconoscimento<br />
dell’esistere secondo un<br />
proprio stile, il diritto/dovere di co-<br />
Editoriale<br />
struire una società più giusta ed equa,<br />
il diritto di avere strumenti indispensabili<br />
come residenza e cittadinanza,<br />
cittadinanza attiva.<br />
Al desiderio non si può rispondere solo<br />
e sempre con un “servizio”. Al desiderio<br />
non si può rispondere con l’erogazione<br />
di una prestazione. Questo<br />
vale forse per il bisogno. Non vale per<br />
il desiderio. La risposta possibile si trova<br />
dentro una società intera fondata<br />
su basi diverse, capace di accogliere e<br />
condividere, costruita su ambienti vivibili<br />
e promozionali, attenta alla persona<br />
vissuta come portatrice di risorse<br />
e non come accumulo di bisogni.<br />
Insomma il tentativo perpetrato ogni<br />
giorno dalle numerose organizzazioni<br />
associate a FIOpsd, pur nel limite<br />
delle risorse disponibili.<br />
Per questa opera fondamentale, il diritto<br />
permette di costruire gli spazi di<br />
manovra in grado di orientare, supportare<br />
e gestire una convivenza sociale<br />
capace di generare appartenenza<br />
piuttosto che di escludere.<br />
Questi sono alcuni dei motivi per i<br />
quali non è mai conclusa la lotta per i<br />
diritti. E questo è ancor più vero se si<br />
parla di diritti per le persone maggiormente<br />
escluse: gli adulti in grave<br />
marginalità e <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>.<br />
Queste poche righe servono come preambolo<br />
per una riflessione ampia sul<br />
tema dei diritti sviluppata in questo<br />
numero monografico di TRA. Lo spunto,<br />
anzi, il “nocciolo” è dato dal Convegno<br />
nazionale FIOpsd “Accesso ai<br />
diritti ed ai servizi per le persone <strong>senza</strong><br />
<strong>dimora</strong>” (Torino, marzo 2003). In<br />
quell’ambito sono stati trattati alcuni<br />
dei più evidenti diritti “negati” alle<br />
5
Editoriale<br />
persone in grave marginalità: il diritto<br />
alla residenza (chiave di accesso a<br />
tutti gli altri diritti), il diritto all’alloggio,<br />
al reddito ed alla salute. Questo<br />
numero riprende e rielabora alcuni degli<br />
argomenti più importanti, consapevoli<br />
che molto più si potrebbe scrivere<br />
e molto strada deve essere ancora<br />
percorsa.<br />
Certo, una sensazione rimane dopo il<br />
Convegno FIO.psd di Torino e rimanda<br />
alla stretta connessione tra i diritti<br />
a favore dei cittadini appartenenti alla<br />
società cosiddetta “normale” e l’area<br />
del disagio estremo; in estrema<br />
sintesi possono essere individuati due<br />
livelli di problema:<br />
- ciò che pensiamo abituale per ogni<br />
cittadino rimane ancora inevaso per<br />
persone in grave marginalità e <strong>senza</strong><br />
<strong>dimora</strong>;<br />
- ma, ancor peggio, possiamo affermare<br />
che i diritti citati (casa, reddito, salute)<br />
ed ogni altro diritto fondamentale<br />
(sicurezza, giustizia, lavoro) sono<br />
sotto minaccia sia per le persone<br />
<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> sia per l’intera collettività.<br />
Non si tratta di una visione pessimistica,<br />
non è lo spirito di FIOpsd. Ma<br />
riesce difficile considerare questo momento<br />
storico tra i migliori della nostra<br />
recente epoca nell’ambito del diritto.<br />
Dalle parole dei relatori, dagli interventi<br />
dei partecipanti nei gruppi di lavoro<br />
al Convegno FIOpsd di Torino,<br />
emerge una generale preoccupazione<br />
di avere pochi strumenti utili tra la mani<br />
per poter effettivamente assicurare<br />
possibilità di accesso ai diritti ed ai servizi<br />
necessari per emergere da una condizione<br />
di grave e, in questi termini,<br />
irreversibile esclusione.<br />
6<br />
Questo perché è l’intera società che sta<br />
attraversando un momento di crisi anche<br />
nei diritti che sembravano ormai<br />
acquisiti per tutti e produce, in modo<br />
continuativo ed evidente, processi di<br />
esclusione. Inoltre, entrando nello specifico<br />
delle persone in grave marginalità,<br />
rimane la difficoltà, culturale e<br />
politica al tempo stesso, diffusa nella<br />
nostra società di riconoscere come anche<br />
la persona adulta abbia momenti<br />
di crisi ai quali far fronte anche attraverso<br />
la messa in atto di strumenti del<br />
diritto che assicurino promozione e<br />
non pura assistenza.<br />
Lo stesso tema del Convegno FIOpsd<br />
può rimandare ad un pericolo paradosso<br />
se male interpretato: l’accesso a<br />
servizi particolari per “categorie” di<br />
persone sottolinea la specificità di un<br />
tema che merita attenzioni e competenze<br />
fortemente orientate.<br />
Di contrapposto rischia di mettere in<br />
atto processi particolaristici anche nel<br />
campo del diritto ponendo in secondo<br />
piano il tema dei diritti e della loro accessibilità<br />
come garantiti a tutti i cittadini<br />
<strong>senza</strong> distinzioni di reddito o condizione<br />
di vita.<br />
Questo è un dilemma fondamentale a<br />
cui, probabilmente, non si può rispondere<br />
con un solo Convegno, seppure<br />
di ottimo livello come è stato a Torino.<br />
Da tutto quanto detto emergono due<br />
domande di fondo:<br />
- quale riconoscimento per la persona<br />
che manifesta, in modo, così evidente,<br />
una situazione di crisi tale da farle<br />
perdere, addirittura i diritti acquisiti<br />
di ogni cittadino? Quali percorsi<br />
di ri-accesso ai diritti sono già patrimonio<br />
della nostra società italiana ed<br />
europea?
- quale lo spazio riconosciuto ai servizi,<br />
pubblici o privati, che si offrono<br />
come luogo di mediazione tra una<br />
situazione di crisi estrema che produce<br />
incapacità di accesso ai diritti e<br />
la possibilità per la persona di riprenderne<br />
il godimento?<br />
La prima domanda rimanda alla sfera<br />
individuale di cui già si è fatto cenno<br />
(sul tema descritto tra desiderio e<br />
bisogno). Ma può essere ulteriormente<br />
problematizzata riferendosi all’incapacità<br />
del nostro mondo occidentale<br />
di concepire “fragilità e dipendenza”<br />
come termini appropriati al vivere<br />
umano. I diritti infatti sono riconosciuti<br />
soprattutto a chi sa esigerli, a chi è<br />
in possesso di competenze, strumenti<br />
e motivazioni sufficienti ed adatte ad<br />
ottenerli. L’accesso a diritti e servizi<br />
diventa, quindi, un’autentica chimera<br />
per la persona in grave marginalità.<br />
Laddove il concetto di distacco della<br />
persona dalla società è più forte (spesso<br />
è utilizzato il termine “desaffiliation”<br />
descritto dal noto sociologo francese<br />
R. Castel), il significato stesso di<br />
un diritto possibile e accessibile perde<br />
interesse parimenti all’aumentare della<br />
difficoltà a utilizzarlo per migliorare<br />
la propria condizione di vita.<br />
Il tema dell’accesso a diritti e servizi,<br />
quindi, non si colloca solo come baluardo<br />
di un percorso di deriva sociale<br />
e individuale. Rimanda anche alla<br />
flessibilità necessaria nel godimento<br />
dei diritti in riferimento ai diversi momenti<br />
di vita della persona e, soprattutto,<br />
alle possibilità di effettiva esigibilità.<br />
In questi anni è usuale parlare<br />
di diritto come opportunità di base<br />
offerta a tutti i cittadini. Ma l’effetto<br />
Editoriale<br />
che deriva dall’opportunità garantita<br />
in una forma impersonale è la trasformazione,<br />
di fatto, in percorsi di<br />
non accessibilità proprio nei momenti<br />
di maggiore difficoltà del soggetto.<br />
E le persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> ne sono la<br />
dimostrazione più evidente, non solo<br />
in Italia.<br />
In questo senso è emblematico il tema<br />
del diritto alla residenza e delle<br />
conseguenze che derivano dalla condizione<br />
di <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> anagrafica che<br />
rende inesigibile ogni diritto proprio<br />
nel momento di massima fragilità individuale.<br />
Nell’ambito del lavoro di FIOpsd possiamo<br />
utilizzare, a questo proposito,<br />
l’esempio fornito da uno dei diritti meno<br />
frequentati da codici, leggi e… amministratori<br />
pubblici italiani: il diritto<br />
alla casa.<br />
Di per sé il diritto alla casa è poco<br />
praticato dal cittadino italiano, spinto<br />
da leggi, governanti e potenti lobby<br />
affaristiche ad esercitarlo in forma privatistica<br />
mediante acquisto di proprietà<br />
immobiliare.<br />
Rispetto alla dimensione di esclusione<br />
sociale questo si traduce in:<br />
- scarsi ed isolati interventi a contrasto<br />
del disagio abitativo (a partire<br />
dalla prevenzione degli sfratti);<br />
- politiche pubbliche di sviluppo territoriale<br />
e sociale volte, nel migliore<br />
dei casi, al recupero di immobili pubblici<br />
(sociali) deteriorati <strong>senza</strong> troppo<br />
curarsi di promuovere e migliorare<br />
il tessuto sociale urbano nel quale vivono<br />
gli abitanti.<br />
Riferendoci in particolare alle persone<br />
<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> abbiamo due chiari esempi<br />
di scarsa rilevanza del diritto alla<br />
casa:<br />
7
Editoriale<br />
- scarsità e precarietà di soluzioni alloggiative<br />
sul territorio al momento<br />
della caduta nella condizione estrema<br />
di <strong>senza</strong> casa e <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>;<br />
- impossibilità per la persona al termine<br />
di un periodo di accompagnamento<br />
sociale di avere un’abitazione<br />
sociale che risponda anche a criteri di<br />
“desiderio” (di legame, di socialità) negati<br />
dai regolamenti che impediscono<br />
convivenze non formalizzate (legate<br />
cioè a parentela, matrimonio)<br />
con il risultato di costruire un binomio<br />
(paradossale) tra casa e solitudine.<br />
Abbiamo quindi un percorso di progressiva<br />
e, sembra, irreversibile negazione<br />
della casa come diritto nell’ambito<br />
della società “normale” e di estrema<br />
difficoltà ad usufruire del diritto<br />
in atto per vivere in una condizione<br />
sostenibile e soddisfacente a partire da<br />
una condizione di marginalità.<br />
Il secondo interrogativo, come detto,<br />
emerso anche nel Convegno FIOpsd<br />
rimanda al riconoscimento da parte<br />
del legislatore e dell’amministratore locale<br />
del ruolo di mediazione offerto dai<br />
servizi per le persone in grave marginalità<br />
adulta.<br />
I servizi, pubblici e privati, in questo<br />
campo hanno, tra le diverse funzioni,<br />
quella di essere mediatori tra il bisogno<br />
(e desiderio) inespresso o mal definito<br />
da parte dell’utente e le risorse<br />
offerte dal territorio (diritti, garanzie,<br />
beni e servizi). In questo modo i servizi<br />
cercano di realizzare quel sistema<br />
di accesso ai diritti che non è costruito<br />
sulle opportunità nelle mani del singolo<br />
ma sull’effettivo godimento da parte<br />
della persona.<br />
8<br />
Proprio questi servizi sono messi a dura<br />
prova dalla continua erosione di<br />
risorse economiche (e quindi umane)<br />
a cui sono sottoposti dalle scelte ultime<br />
del legislatore.<br />
E’ un capitolo grave e preoccupante<br />
dove le promesse di una società giusta<br />
ed equa si scontrano con la deleteria<br />
concretezza di tagli alle risorse e la discesa<br />
del tema della grave marginalità<br />
nella scala delle priorità di intervento<br />
e finanziamento pubblico (specie a<br />
livello nazionale).<br />
Possiamo porci due domande: C’è una<br />
intenzionalità escludente nel modo in<br />
cui, ancor oggi, il tema dei diritti a livello<br />
nazionale è accostato alle persone<br />
<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> ? E’ inevitabile definire<br />
contraddittorio lo stile di promozione<br />
dell’intervento espresso nella più recente<br />
legislazione (L. 328/00) con quanto<br />
accade ora a livello nazionale (proposta<br />
di Reddito di Ultima Istanza come<br />
unica misura per le povertà estreme)?<br />
FIOpsd crede che la situazione sia davvero<br />
critica intorno all’affermazione<br />
del diritto per i cittadini meno privilegiati.<br />
Lo stesso iter di definizione dei<br />
cosiddetti LIVEAS, tuttora irrisolto,<br />
sottolinea quanto sia difficile giungere<br />
a provvedimenti fondamentali se manca<br />
una volontà politica di fondo a favore<br />
dei cittadini, specie i più esclusi.<br />
E non sembra che servizi e organizzazioni<br />
strutturate nel campo della grave<br />
marginalità godano di particolare<br />
riconoscimento da parte delle più alte<br />
espressioni istituzionali nell’ambito dell’esclusione<br />
sociale come dimostra l’ultimo<br />
e recentissimo Rapporto sulla Povertà<br />
in Italia appena licenziato dalla<br />
Commissione Governativa presso il<br />
Ministero del Welfare.
Questo <strong>senza</strong> dimenticare la lotta per<br />
il mantenimento di beni e servizi di<br />
pubblica utilità e di interesse generale<br />
(acqua, energia, salute, alloggio) nell’ambito<br />
delle competenze pubbliche<br />
e non acquisito dal comparto privato.<br />
Un tema di grande rilevanza che vede<br />
FIOpsd sostenere l’impegno di<br />
FEANTSA nelle apposite sedi europee<br />
e di chiara incidenza sulle fasce<br />
di popolazione più in difficoltà.<br />
Con queste considerazioni è evidente<br />
Editoriale<br />
quanto FIOpsd ed i suoi associati (pubblici<br />
e privati) abbiano molto da lavorare<br />
anche nel campo dell’affermazione<br />
dei diritti per tutti.<br />
Confidiamo che questo numero monografico<br />
di TRA sia capace di creare ulteriore<br />
riflessione e stimoli pratici per<br />
intraprendere un percorso di difesa dei<br />
diritti esistenti e, soprattutto, calibrato<br />
sulle esigenze e desideri delle persone<br />
<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> e dei servizi che se ne<br />
prendono cura ogni giorno.<br />
9
Tematica<br />
L’ACCESSO AI SERVIZI DA PARTE<br />
DI PERSONE IN CONDIZIONE<br />
DI ESCLUSIONE<br />
Luigi Gui - Sociologo docente Università di Trieste.<br />
Le leggi, i problemi e le politiche assistenziali<br />
sembrano rincorrersi in un interminabile<br />
gioco a rimpiattino: mutano<br />
costantemente la scena sociale, l’emergenza<br />
dei bisogni rappresentati,<br />
la forma organizzativa dei servizi, la<br />
legislazione nazionale e regionale, la<br />
quota di risorse disponibili; in tutto<br />
questo, ciò che più impegna la capacità<br />
di comprensione e di intervento degli<br />
operatori sociali è il costante arrangiamento<br />
delle combinazioni fra gli<br />
elementi: non appena, infatti, si crede<br />
di aver stabilito come vanno (o come<br />
dovrebbero andare) le cose, già il quadro<br />
va rivisto e ricomposto.<br />
Si tenta qui, dunque, di tratteggiare<br />
per linee essenziali i mutamenti di immagine<br />
e le differenti composizioni tra<br />
la condizione di molte persone colte<br />
nella loro condizione di grave emarginazione,<br />
le forme sociali ed istituzionali<br />
di risposta a tale disagio e il “telaio”<br />
normativo a cui ricondursi, consideriamo<br />
in particolare la realtà di<br />
coloro che, scivolati fuori dalla condizione<br />
di normalità, si sono trovati a<br />
popolare il mondo degli “spiantati”,<br />
delle persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>, degli<br />
ospiti cronici dei dormitori, dei questuanti<br />
per “professione”.<br />
Nel corso dell’ultimo trentennio, com’è<br />
noto, i tratti di questa popolazione si<br />
sono modificati, vedendo irrobustirsi<br />
le fila dei giovani, delle donne, degli<br />
10<br />
stranieri, moltiplicarsi le espressioni<br />
esteriori (è sempre più difficile riconoscere<br />
la stereotipata immagine del<br />
barbone, per indicare quelli che dormono<br />
all’aperto e vivono di elemosine<br />
e di espedienti), complicarsi fino a<br />
confondersi le diagnosi mediche e sociali.<br />
Gli “emarginati gravi”, comunque li si<br />
voglia chiamare, mai sono stati facilmente<br />
riconducibili ad una chiara tipologia<br />
o ad una precisa subcultura, ancor<br />
meno ad una categoria a rappresentanza<br />
consolidata capace di rivendicare<br />
prestazioni e servizi particolari<br />
per sé; il loro esistere rappresenta visivamente<br />
lo scacco teso a quel sistema<br />
di servizi che ambiva a sviluppare una<br />
capacità di risposta sempre più diffusa<br />
e sempre più tecnicamente competente,<br />
per “trattare” il residuo patologico<br />
della società del benessere.<br />
SERVIZI PER LA NORMA<br />
Dagli anni ’70 sino ai primi anni ’90,<br />
nella fase di ascesa politico-culturale<br />
dell’ideologia del welfare state, l’affermarsi<br />
dei principi generali di universalizzazione<br />
dei diritti sociali e della<br />
relativa ridistribuzione universalistica<br />
di servizi e prestazioni, ed il prevalere<br />
di politiche sociali in una prospettiva<br />
di egemonia pubblica, hanno orientato<br />
lo sforzo capillare di “riordino” e “normalizzazione”<br />
della vita sociale, attra-
verso il decentramento dei servizi negli<br />
Enti Locali e nelle Unità sanitarie<br />
locali, divenute poi “aziende” sanitarie.<br />
La “normalità”, in quella prospettiva,<br />
costituiva il parametro del benessere:<br />
quegli stili di consumo, quelle soglie<br />
di reddito, quelle forme di organizzazione<br />
lavorativa, familiare, abitativa,<br />
rappresentavano per gli amministratori<br />
pubblici e per gli operatori sociali,<br />
l’ambiente entro cui ogni cittadino<br />
doveva poter star bene.<br />
Chi non ne avesse avuto o ne avesse<br />
perso l'abilità (fosse appunto, “disabile”<br />
alle performance normali) rischiava<br />
la fuoriuscita da quello spazio sociale;<br />
le politiche di welfare, perciò, miravano<br />
a prevenirne il rischio (con politiche<br />
di sicurezza sociale e di assicurazione<br />
previdenziale), rimuoverne gli ostacoli<br />
e “trattare” le forma acute del disagio<br />
(attraverso il sistema dei servizi socioassistenziali)<br />
nella direzione del “reinserimento”.<br />
Il disegno “astratto” poteva risultare relativamente<br />
chiaro: linee nette di inclusione/esclusione<br />
attraverso il titolo<br />
di cittadinanza (è riconosciuto utente<br />
potenziale del sistema pubblico il cittadino<br />
italiano, residente in un Comune,<br />
potenziale contribuente del fisco),<br />
linee precise di competenza socioassistenziale<br />
legate dall’iscrizione anagrafica<br />
e al Sistema sanitario nazionale<br />
(inclusione istituzionale entro definiti<br />
“bacini-d’utenza”), linee di competenza<br />
tecnica ed organizzativa (erogazione<br />
di prestazioni e servizi codificati in<br />
base al bisogno esibito dal cittadinoutente,<br />
secondo categorie di problemi<br />
definite, perlopiù socialmente rappresentate).<br />
Senza dilungarci nell’analisi più det-<br />
Tematica<br />
tagliata di questo quadro e consapevoli<br />
della drastica riduttività di tale<br />
schematizzazione, pare possibile tuttavia<br />
riferirvisi per rileggere il rapporto<br />
tra emarginati gravi e servizi: le persone<br />
<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> di origine italiana,<br />
spesso adulti in gravi condizioni di vita<br />
e di abbandono, come un’immagine in<br />
negativo potevano costituire l’emblema<br />
di quanto il sistema pubblico di<br />
protezione sociale e di tutela dei diritti<br />
incontrasse alcune falle, nell’impotenza<br />
delle istituzioni a “trattare” ciò<br />
che uscisse troppo marcatamente dai<br />
criteri di regolarità e codificazione.<br />
Tali persone, pur provenienti da quella<br />
società “normale” che avrebbe dovuto<br />
contenere e custodire i suoi membri<br />
entro prassi di vita adeguate a sé stessa,<br />
incontravano invece una serie di<br />
“barriere all'accesso” dei servizi e sostanziali<br />
ostacoli all’inclusione sociale 1 .<br />
La loro perdita di titolarità alle prestazioni<br />
pubbliche di assistenza 2 , l’impossibile<br />
collocazione in un’unica e prevalente<br />
definizione diagnostica e prognostica<br />
(data dalla multiproblematicità<br />
che implica simultaneamente molte<br />
e sovrapposte dimensioni della vita),<br />
l’inadeguatezza nel loro modo di<br />
porsi e di interrogare le organizzazioni<br />
erogatrici di servizi, la sfasatura dei<br />
tempi fra la percezione soggettiva dell’urgenza<br />
e i ritmi di funzionamento<br />
dei servizi istituzionali, l’insubordinazione<br />
ai programmi trattamentali, la<br />
loro non-contrattualità nei progetti<br />
d'aiuto, hanno reso evidente l’incapacità/impossibilità<br />
“pubblica” di ri-ordinare<br />
e re-inserire nella normalità sociale<br />
un’incerta parte di soggetti “a rischio<br />
di cittadinanza”.<br />
In questa rappresentazione, nel corso<br />
11
Tematica<br />
degli ultimi vent’anni, si è reso particolarmente<br />
visibile il cosiddetto terzo<br />
settore 3 . Gruppi di volontari, associazioni<br />
solidali ed ecclesiali, fondazioni<br />
caritative e cooperative sociali sembravano<br />
poter contribuire a saldare lo<br />
scollamento fra welfare pubblico e cittadini<br />
non-utenti 4 . Assumendo una delega<br />
di intervento assistenziale e riparativo,<br />
molti organismi di terzo settore<br />
si sono candidati a “gestire” l’invisibilità<br />
istituzionale di questa parte di popolazione.<br />
Si è sviluppata una diffusa<br />
capacità di intervento assistenziale e<br />
di emergenza che riusciva ad incontrare<br />
le persone immerse nel disagio<br />
<strong>senza</strong> attendere la loro capacità-possibilità<br />
di esigere aiuto. Sono sorti progetti,<br />
competenze “quasi professionali”,<br />
richieste di finanziamenti agli Enti<br />
Locali, conquista di appalti per la gestione<br />
esternalizzata dei servizi pubblici<br />
rivolti all’emarginazione.<br />
Se non si esprimeva in prima persona<br />
una vera e propria categoria assistibile<br />
(la categoria dei <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>), è<br />
emersa così una domanda sociale “mediata”<br />
da organizzazioni di “privato<br />
sociale” (chiamate, in fine, “non lucrative”)<br />
che interpretavano un bisogno<br />
crescente di riconoscimento e di investimento<br />
assistenziale e riabilitativo.<br />
In tal senso, l’affermarsi anche in Italia<br />
di una Federazione degli Organismi<br />
per le Persone Senza Dimora, pare<br />
mostrare con evidenza questa funzione<br />
di advocacy (sostegno, rivendicazione<br />
e tutela dei diritti a favore dei più<br />
deboli) ed insieme di strutturazione di<br />
una capacità rappresentativa sia sul<br />
versante socio-culturale che sul versante<br />
latamente politico (o, più propriamente,<br />
di lobbing).<br />
12<br />
Mentre, però, questo accadeva al volgere<br />
dello scorso millennio, al contempo<br />
mutavano la cultura politica nel<br />
Paese, le formazioni sociali, le forme<br />
del disagio.<br />
CAMBIO DI SECOLO<br />
Come è noto, gli anni novanta anno segnato<br />
il tramonto del mito universalistico<br />
del welfare pubblico, messo sotto<br />
accusa sul versante economico, per la<br />
gravosità dei costi secondo la cosiddetta<br />
spirale della domanda (pressione<br />
sociale verso un aumento quantitativo<br />
e qualitativo di servizi collegato alla<br />
particolarizzazione e moltiplicazione<br />
delle domande sociali, congiunta all’effetto<br />
paradossale di una maggiore<br />
insoddisfazione soggettiva dei cittadini-utenti<br />
a fronte di crescenti costi gestionali),<br />
e sul versante politico per l’accusa<br />
di uno statalismo egemone ed insufficiente,<br />
che sembrava non saper riconoscere<br />
la pre<strong>senza</strong> e la capacità dei<br />
diversi soggetti presenti nella società<br />
civile e nel mercato. I concetti di sussidiarietà<br />
verticale ed orizzontale, sono<br />
sembrati guidare la nuova impostazione<br />
dei servizi, le idee di pianificazione,<br />
decentramento e fornitura<br />
pubblica dei servizi, hanno lasciato il<br />
posto alle idee di valorizzazione dei<br />
diversi soggetti sociali presenti nella<br />
società civile, di competizione sul piano<br />
dell'innovazione e dei costi fra differenti<br />
fornitori di servizi, di concertazione<br />
dei piani di intervento zona per<br />
zona, di valorizzazione della “libertà<br />
di scelta” dei cittadini fra la gamma<br />
delle prestazioni del “quasi mercato” 5<br />
dei servizi sociali.<br />
Una linea di frontiera sul piano normativo,<br />
fra i due orizzonti di politica
sociale nazionale tra il ’900 e il 2000,<br />
pare essere rappresentata dalla legge<br />
quadro sui “sistemi integrati di interventi<br />
e servizi sociali” n.328/2000. In<br />
essa si riordina il frastagliato corpo<br />
delle leggi assistenziali di settore (per<br />
ogni area di problema una legge ad<br />
hoc) riconducendo ad una “logica di<br />
sistema” la programmazione e la gestione<br />
degli interventi socio assistenziali,<br />
secondo le coordinate della sussidiarietà<br />
verticale, per la quale primo<br />
titolare e responsabile dei servizi assistenziali<br />
è l’Ente Locale più decentrato<br />
(il Comune) “sussidiato” in successiva<br />
istanza dei livelli istituzionali via via<br />
superiori (Province, Regioni, Stato), e<br />
della sussidiarietà orizzontale, per cui<br />
primi titolari e responsabili del loro<br />
benessere (e delle forme organizzate<br />
per conseguirlo) sono i cittadini, “sussidiati”<br />
dagli enti, dalle associazioni e<br />
dalle agenzie che compongono e programmano<br />
in forma concertata l’articolazione<br />
dei servizi nel territorio (circoscritto<br />
in “ambiti” o “zone”).<br />
In questa prospettiva, pare cadere definitivamente<br />
ogni categorizzazione<br />
assistenziale, cioè la risposta settoriale<br />
a categorie di cittadini definiti dalla<br />
specificità dei loro problemi, ed invece<br />
si conferma il diritto alle prestazioni<br />
di aiuto alle persone in quanto cittadini,<br />
garantendo (almeno nell'enunciato)<br />
sia livelli essenziali di “protezione”<br />
dal disagio, sia il diritto di scelta<br />
fra la pluralità dei servizi offerti.<br />
Ebbene, proprio sul crinale di una norma<br />
che abbandona il riferimento alle<br />
tipologie di utenti assistibili, appare invece<br />
specificatamente (agli artt.22 comma<br />
2, e 28 comma 1), come categoria<br />
particolare, quella delle “persone sen-<br />
Tematica<br />
za fissa <strong>dimora</strong>”.<br />
Parrebbe quasi, ironia della sorte, che<br />
nella lunga maratona del welfare state<br />
gli emarginati-gravi abbiano raggiunto<br />
il traguardo di un riconoscimento<br />
normativo “a corsa finita”, quando ormai<br />
è partita la nuova marcia del welfare<br />
mix!<br />
A ri-confondere la scena delle politiche<br />
e delle norme, poi, è seguita “a ruota”<br />
la modifica del titolo quinto della<br />
Costituzione italiana, che consegna interamente<br />
alle Regioni ogni potestà<br />
normativa in merito alle politiche sociali,<br />
esonerando lo Stato dall’intervenire<br />
a tal proposito (se non nel garantire,<br />
non si comprende ancora come,<br />
livelli essenziali di assistenza in tutto<br />
il territorio nazionale). Dunque, anche<br />
quei finanziamenti “particolari” destinati<br />
alle “situazioni di povertà estrema”<br />
indicati nella legge quadro 328/00,<br />
vanno rimessi in gioco Regione per Regione,<br />
politica locale per politica locale.<br />
Come in un interminabile “giro dell’oca”<br />
6 , ora si possono rimettere in discussione<br />
i livelli di riconoscimento<br />
raggiunti, la “mano” torna agli Enti Locali<br />
ed alla loro capacità di “mix” (concertazione/composizione/coordinamento<br />
del sistema assistenziale) pubblico-privato.<br />
Intanto lo Stato, uscito<br />
dalla partita (per restare nella metafora)<br />
e assillato dal problema di riequilibrio<br />
dei suoi bilanci, non solo non<br />
emana più leggi di settore (che finanzino<br />
progetti specifici di contrasto al<br />
disagio) ma erode anche le quote destinate<br />
complessivamente ai Comuni,<br />
i quali si trovano a stiracchiare la coperta<br />
sempre più corta delle quote di<br />
bilancio destinate ai servizi sociali.<br />
Se da un lato, quindi, si vanno moltipli-<br />
13
Tematica<br />
cando le possibili “offerte” di servizi,<br />
pubblici, privati o di terzo-settore, le<br />
forme di erogazione e la personalizzazione<br />
delle prestazioni, d’altro lato il<br />
cittadino in condizioni di difficoltà vede<br />
crescere la sua incertezza sull’esigibilità<br />
dei servizi e le modalità concrete<br />
per ottenerli.<br />
Si va riproponendo, nel nostro Paese,<br />
un welfare “a macchia di leopardo” 7 , in<br />
base alle amministrazioni locali, alla<br />
cultura cooperativa e solidale espressa<br />
dai diversi territori, alle risorse economiche<br />
messe in campo da aree geografiche<br />
più o meno floride.<br />
Un ulteriore mutamento, nella prospettiva<br />
dell’esclusione, pare proporsi<br />
anche sul piano socio-culturale: la presunta<br />
separazione fra normalità e devianza,<br />
benessere e malessere, salute<br />
e malattia, ricchezza e povertà, lascia<br />
il posto alla miscela di insicurezza e<br />
vulnerabilità diffuse.<br />
Pare ormai imporsi una nuova accezione<br />
del termine “disagio sociale”,<br />
abbandonando i vecchi stereotipi sulla<br />
povertà come mera mancanza di reddito<br />
e sulla sofferenza “nota” di fasce di<br />
popolazione tradizionalmente considerate<br />
marginali.<br />
IDENTITÀ IN MOVIMENTO<br />
Si è culturalmente raggiunta la consapevolezza<br />
che la nozione di disagio<br />
non riguarda solamente l’as<strong>senza</strong> di<br />
beni materiali (povertà assoluta) quanto<br />
piuttosto i parametri di reddito medio<br />
e di consumi (povertà relativa) ed<br />
ancor più l’insieme globale dell’esperienza<br />
soggettiva e dei significati che<br />
le persone attribuiscono ad essa, rispetto<br />
al contesto di relazioni in cui<br />
sono inserite.<br />
14<br />
In altri termini, quando si consideri il<br />
bisogno socio-assistenziale, pur non<br />
sottovalutando il valore co-determinante<br />
di alcune concrete carenze materiali,<br />
lo si può comprendere appieno<br />
solo in una prospettiva di relativa “immaterialità”,<br />
fatta anche di sentimenti,<br />
di interrogativi esistenziali, di stima di<br />
sé, di significati culturali, di attribuzioni<br />
di status, di appartenenza a reti<br />
di relazione, in definitiva, di quell’insieme<br />
di “beni relazionali” cui fa cenno<br />
Pierpaolo Donati con riferimento al<br />
concetto di well-being 8 .<br />
In tal senso, il disagio espresso in maniera<br />
più evidente dagli utenti dei servizi<br />
sociali, si può interpretare come<br />
un segnale delle difficoltà a far fronte<br />
all’impegno di realizzazione di sé in<br />
contesti sfavorevoli ad un benessere<br />
condiviso.<br />
L’intreccio inscindibile tra caratteristiche<br />
e condizioni soggettive da un lato<br />
e realtà materiale, sociale e culturale<br />
dall’altro lato, induce ad interrogarsi<br />
contemporaneamente sui fattori di debolezza<br />
personale di chi chiede aiuto<br />
e sui fattori di “sofferenza sociale” che<br />
ne aggravano la condizione; per questo,<br />
è plausibile affermare che nella<br />
“normalità problematica” e non in una<br />
presunta “residualità patologica” è necessario<br />
rintracciare le coordinate di<br />
interventi di contrasto del disagio,<br />
presente e potenziale.<br />
Va stringendosi sempre di più il rapporto<br />
fra aspetti soggettivi delle persone<br />
che accedono alle risposte d’aiuto<br />
organizzate (pubbliche, delle organizzazioni<br />
della Chiesa cattolica o da altre<br />
agenzie private) e la realtà sociale<br />
di crescente e diffusa debolezza 9 .<br />
La realtà socio-demografica degli anni
ecenti mostra modificazioni della famiglia<br />
sia nella dimensione formale che<br />
nella realtà sostanziale 10 : famiglie sempre<br />
più spesso “istituzioni guscio” 11 ,<br />
che mantengono l’etichetta formale ma<br />
restano prive al loro interno degli elementi<br />
rassicuranti di stabilità e di garanzia<br />
protettiva (forte riduzione del<br />
numero dei componenti 12 , aumento di<br />
famiglie unipersonali 13 e di coppie con<br />
età avanzata 14 ), l’affermarsi di legami<br />
più estesi ma più deboli di quanto non<br />
apparisse nelle società del passato, crescente<br />
instabilità delle coppie sposate,<br />
l’affermarsi di forme di convivenza para-familiare<br />
<strong>senza</strong> l’assunzione di impegno<br />
formale nel garantire continuità<br />
e reciproca responsabilità nei legami.<br />
Un altro elemento di relativa instabilità<br />
riguarda la sfera del lavoro. Sempre<br />
più, l’enfasi culturale economico-mercantilista<br />
legata alla globalizzazione,<br />
sottolinea la necessità di un approccio<br />
“flessibile” all’occupazione, avviando<br />
processi di forte deregolazione del mercato<br />
in funzione di crescenti spazi di<br />
“mobilità” della forza lavoro 15 , tanto<br />
geografica che di ceto economico e di<br />
status sociale. Sia sul piano delle garanzie<br />
per i singoli occupati, sia sul piano<br />
delle risorse previdenziali accantonabili,<br />
sia, ancora, sul piano delle “riconversioni”<br />
produttive, sembra ridursi<br />
per il futuro un impegno pubblico<br />
ritenuto da molte forze politiche troppo<br />
gravoso e vincolante. La competizione<br />
economica “spinta”, vista dai<br />
pensatori neo-liberisti come un propellente<br />
sociale per il continuo miglioramento<br />
dei singoli soggetti con ricaduta<br />
benefica su tutti, nei fatti va mostrando<br />
i suoi esiti di individualizzazionesolitaria<br />
sia delle strategie di successo<br />
Tematica<br />
personale, che delle vicende di fallimento<br />
e frustrazione. Accade sempre<br />
più, dunque, che se alcuni riescono a<br />
promuovere la loro condizione, altrettanti<br />
vedono precarizzate le posizioni<br />
di agio raggiunte 16 .<br />
Il volto nascosto (neppure tanto) dell’assoluta<br />
libertà individuale nella ricerca<br />
di autosufficienza ed autorealizzazione,<br />
pare dunque essere la solitudine<br />
17 e l'abbandono.<br />
Anche sul fronte dei legami comunitari,<br />
sembra di assistere ad una rarefazione<br />
dei vincoli significativi all’insegna<br />
di un crescente anonimato.<br />
L’esasperazione di atteggiamenti individualisti,<br />
all’insegna della difesa della<br />
propria privacy, in quel processo di<br />
“spersonalizzazione” delle interdipendenze<br />
proprie delle società tecnicamente<br />
evolute 18 , per cui ciascuno è spinto<br />
ad allacciare con gli altri relazioni<br />
strumentali finalizzate alla condivisione<br />
di obiettivi settoriali, entro “comunità<br />
a responsabilità limitata” 19 , coese<br />
solamente per alcuni aspetti dell’esperienza<br />
dei singoli ma disinteressate<br />
agli altri aspetti della loro vita. Quando<br />
viene meno il motivo strumentale<br />
che tiene unito ogni singolo membro a<br />
questo tipo di comunità “mono-dimensionali”,<br />
più che affermarsi una condizione<br />
di “marginalità” per i soggetti<br />
esclusi, “semplicemente” essi scompaiono<br />
dalla percezione (divengono “invisibili”),<br />
escono dalle reti di relazione<br />
e scivolano nell’oblio.<br />
Tali aggregazioni a “specializzazione<br />
funzionale” (ambiente di lavoro, reti<br />
amicali, circoli culturali e ricreativi, associazioni<br />
politiche o di categoria ecc.)<br />
spesso svincolate da un riferimento<br />
geografico comune, rendono tenue il<br />
15
Tematica<br />
senso d’appartenenza alla comunità locale<br />
e labile l’identità.<br />
Dunque, la nostra società post-moderna<br />
e post-industriale, pare provocare i<br />
suoi membri ad una continua mobilizzazione<br />
dell'equilibrio in cui si assesta<br />
l’identità personale.<br />
Nella ricerca di una definizione di sé,<br />
le persone si trovano a fare i conti con<br />
un “Io” sempre più frammentato, quanto<br />
frammentate sono le reti di relazione<br />
nelle quali va esibita la propria adeguatezza<br />
di ruolo, complesso e composto<br />
di messaggi sovrapposti quanto<br />
sovrapposte e incongruenti sono le richieste<br />
di competenza e di adesione ai<br />
valori nelle diverse comunità frequentate.<br />
L’uomo d’oggi, proiettato in una società<br />
multiculturale, poliglotta ma omogeneizzata<br />
negli stili di consumo 20 , aggregata<br />
nelle forme effimere della comunanza<br />
estetica 21 provocata dalla celebrazione<br />
mass-mediale di eventispettacolo<br />
e dei suoi miti, rischia di<br />
trovarsi gravemente solo, nell’impegno<br />
quotidiano di riproporre se stesso<br />
secondo le richieste dei tanti “altri” che<br />
lo interpellano; tanto più solo, quanto<br />
più il suo costante riequilibrarsi fatichi<br />
a trovare assestamenti soddisfacenti.<br />
L’allentamento dei legami, il dissolversi<br />
della tradizione e di un comune credo<br />
religioso, l’attenuarsi dell’intensità<br />
dei sentimenti collettivi, sembrano accompagnare<br />
la caduta di ciò che Durkheim<br />
ebbe a definire “densità morale”<br />
22 , riferendosi alla pregnanza di una<br />
coscienza collettiva che nella società<br />
fornisce ad ogni singolo membro i criteri<br />
di moralità ed i punti di riferimento,<br />
i simboli e i valori condivisi utili a<br />
segnare le linee dell’inclusione e della<br />
16<br />
comune appartenenza.<br />
Coerente con questa lettura, può apparire<br />
utile il concetto di “demoralizzazione”,<br />
proposto da William I.<br />
Thomas, come risultato del processo di<br />
disorganizzazione sociale. In as<strong>senza</strong><br />
di regole stabili ed interiorizzate, “l’individuo<br />
diventa demoralizzato e incapace<br />
di definire un progetto di vita” 23 ;<br />
si può assistere, così, al contemporaneo<br />
declino “del gruppo primario che<br />
dà all’individuo un senso di responsabilità<br />
e di sicurezza” e “dell’organizzazione<br />
personale di vita di un individuo<br />
membro di (quel) gruppo sociale”<br />
24 . Un rischio, questo, più vicino alla<br />
reattività “normale” che ad una particolare<br />
patologia.<br />
Contrariamente alla semplificazione<br />
culturale secondo cui chi versa in gravi<br />
condizioni di degrado o di emarginazione,<br />
sarebbe in qualche modo coartefice<br />
meritevole del suo destino, o,<br />
almeno, carente e patologico, appartenente<br />
ad una categoria marginale, necessariamente<br />
minoritaria rispetto alla<br />
“norma” dei sani e degli agiati, pare<br />
ormai evidente, invece, un’esposizione<br />
diffusa ai rischi di marginalizzazione,<br />
quasi incombesse su tutti un<br />
processo di “neo-darwinismo sociale” 25<br />
che seleziona positivamente solo chi è<br />
dotato di maggiori risorse personali e<br />
materiali, maggior capacità di adattamento,<br />
particolari abilità di riconversione<br />
delle proprie competenze sociali.<br />
ACCESSO “DEI” SERVIZI<br />
Per comprendere la condizione di coloro<br />
che si collocano ai livelli più profondi<br />
della deprivazione e della devianza,<br />
popolando l’universo dei frequentatori<br />
dei centri d’ascolto della Ca-
itas, delle strutture di ospitalità diurna<br />
e notturna, delle mense, coloro che<br />
attingono all’assistenza delle parrocchie,<br />
dei gruppi informali di volontari<br />
e di quelle istituzioni socio-assistenziali<br />
definite “a bassa soglia”, perché<br />
recettive anche di chi non supererebbe<br />
le barriere culturali e pragmatiche<br />
dei servizi terapeutici specializzati o<br />
delle istituzioni burocratiche pubbliche,<br />
può essere utile adottare ulteriori<br />
concetti proposti da Robert K. Merton<br />
nell’analisi dei comportamenti di adattamento<br />
sociale. Egli distingue le “mete<br />
culturali”, cioè le prospettive di realizzazione<br />
a cui sono sollecitati i membri<br />
di una società, dai “mezzi istituzionalizzati”,<br />
cioè l’insieme delle risorse,<br />
delle regole e delle strategie di comportamento<br />
considerate legittime per<br />
ottenere gli obiettivi ambiti.<br />
Secondo questo autore, la concordanza<br />
o meno tra mete e mezzi e le diverse<br />
combinazioni tra essi, danno luogo<br />
a comportamenti “tipizzabili” quali:<br />
conformità, innovazione, ritualismo, rinuncia,<br />
ribellione. I primi comportamenti,<br />
come è facile intuire, sono sbilanciati<br />
sul versante dell’adattamento<br />
sociale, gli ultimi, al contrario, riguardano<br />
i “dis-adattati”. Tale schema è stato<br />
ulteriormente arricchito dall’analisi<br />
di Talcott Parsons, il quale introduce<br />
le dimensioni di “attività” o “passività”<br />
e considera l’atteggiamento assunto<br />
dalle persone nella direzione della<br />
conformità alle “mete culturali” e all’adesione<br />
sociale, oppure, invece, verso<br />
un atteggiamento di distacco.<br />
In tal modo, vengono proposti otto tipi<br />
di “devianti”, tra i quali, per quanto<br />
interessa questa riflessione, si distinguono<br />
come “aggressivi” e “incorreg-<br />
Tematica<br />
gibili” coloro che nel loro distacco sociale<br />
assumono un atteggiamento “attivo”,<br />
e come “indipendenti compulsivi”<br />
e “uomini in fuga” coloro che adottano<br />
un atteggiamento passivo. Se si<br />
utilizza questa tipizzazione (pur attenti<br />
a non cadere in riduttivi stereotipi e<br />
forme deterministiche) i più emarginati,<br />
le persone alla deriva, coloro che<br />
incontrano solo i servizi capaci di accogliere<br />
gli “sconfitti della vita”, si possono<br />
riconoscere quegli atteggiamenti<br />
rinunciatari e di passività assistenziale<br />
che lo schema Parsonsiano chiama<br />
“di fuga”. Si tratta di persone che, a<br />
fronte dell’impossibilità ripetutamente<br />
sperimentata di conciliare le mete<br />
sociali con i mezzi di cui sono dotate,<br />
anziché rinnovare un atteggiamento<br />
attivo che “aggredisce” le difficoltà, recedono<br />
rinunciando a scommettere sulla<br />
propria “riuscita”. Si può parlare,<br />
allora, di quella sorta di “adattamento<br />
per rinuncia” 26 che, accompagnato alle<br />
varie etichette negative che inesorabilmente<br />
la società giunge ad imprimere<br />
(“povero”, “emarginato”, “fallito”,<br />
“balordo”, “barbone”, “clandestino”<br />
ecc.), conferma le persone stigmatizzate<br />
negli stili di una sopravvivenza<br />
dall’orizzonte corto, <strong>senza</strong> progetto.<br />
E’ noto che molti, soverchiati da “catene<br />
cumulative di eventi traumatici” 27<br />
su molte dimensioni dell’esperienza<br />
(sui piani affettivo, psicologico, fisico,<br />
economico, sociale, culturale ecc.) lasciano<br />
gli ormeggi di una routine “normale”<br />
precipitando nella chiusura a<br />
quei rapporti con la realtà esterna vissuti<br />
sempre più come minacciosi per<br />
proprio fragile equilibrio: il cambiamento,<br />
infine, è temuto piuttosto che<br />
sperato.<br />
17
Tematica<br />
Se quanto detto ha un qualche fondamento,<br />
il problema dell’accesso ai servizi<br />
(nell’accezione più nota di “capacità<br />
di chiedere ed ottenere prestazioni<br />
d’aiuto standardizzate”) non si pone<br />
come primo e reale problema degli<br />
emarginati più gravi, poiché l’interazione<br />
con il sistema assistenziale si<br />
pone ad un livello di motivazione al<br />
cambiamento e di adesione alle mete<br />
socio-culturali del contesto “normale”,<br />
che gli esclusi più “profondi” non percepiscono<br />
più. Per “uomini in fuga” segnati<br />
dalla “rinuncia” della realizzazione<br />
di sé sentita come impresa impossibile,<br />
la questione dell’inclusione sociale<br />
non si pone più in termini di prestazioni<br />
e servizi da richiedere ma piuttosto<br />
di riconoscimento interpersonale<br />
come primo fattore di conferma positiva<br />
dell’identità, di restituzione di<br />
“senso” 28 e, solo successivamente, di<br />
"prospettiva".<br />
Non vi è ripresa della dignità personale,<br />
della proiezione di sé in un futuro<br />
auspicato, della rimotivazione alla<br />
progettualità, se non a partire dal riconoscimento<br />
della propria particolarità<br />
originale e del proprio valore esistenziale,<br />
a prescindere dalla contrattualità<br />
o dai bisogni manifestati apertamente.<br />
Inoltre, non vi è autentico riconoscimento<br />
se non in contesti comunicativi<br />
ricchi di attenzione e di ascolto; dove<br />
ascoltare possa significare comprendere<br />
l’universo interiore e simbolico di<br />
ogni interlocutore 29 , cioè “accedere” ai<br />
suoi spazi di relazionalità autodeterminata<br />
ed autentica.<br />
Ecco, dunque, che la scena si rovescia<br />
e ed i confini si confondono: il vecchio<br />
tema “accesso ai servizi” introduce il<br />
18<br />
nuovo tema “accesso dei servizi”.<br />
Forse, andrebbe invertita la direzione<br />
comunicativa, od almeno sviluppata<br />
nei due sensi, tra esclusi e servizi, sviluppando<br />
capacità (e forme organizzative)<br />
di maggiore condivisione: non<br />
solo e non tanto persone “bisognose”<br />
che accedono alle “agenzie dell'aiuto”,<br />
ma persone (operatori e servizi) determinate<br />
all’aiuto che accedono alla<br />
condizione di chi patisce il disagio. In<br />
tal senso, ogni agenzia ed istituzione<br />
che si candidi a prestare “servizi sociali”<br />
in forma organizzata deve misurarsi<br />
con la capacità di entrare in relazione<br />
costruttiva (e ri-costruttiva) con chi soffre<br />
un particolare disagio, e con la capacità<br />
di dilatare uno stile relazionale<br />
corresponsabile, entro le reti sociali<br />
della “normalità”. E’ in esse che si producono<br />
e si sviluppano sia il disagio<br />
che l’agio, in esse si prospettano e si<br />
condividono le mete esistenziali ed i<br />
mezzi per conseguirle.<br />
Se, come si è detto, fattori di esclusione<br />
possono legarsi alla frammentazione<br />
dell’identità e dei legami, accompagnati<br />
da catene di eventi traumatici<br />
e carenza di risorse, all’opposto, fattori<br />
di agio sono collegati a relazioni significative,<br />
alla pre<strong>senza</strong> di reti sociali<br />
“dense” 30 , a rapporti primari affidabili<br />
nel tempo e affettivamente “nutritivi”,<br />
opportunità materiali per esprimere<br />
potenzialità e progetti di auto ed<br />
etero realizzazione 31 .<br />
Non si tratta, in questa linea, di sviluppare<br />
nel sistema dei servizi sociali particolari<br />
accorgimenti per agevolarne<br />
l’accesso a partire da un atteggiamento<br />
selettivo e strumentale (cioè finalizzato<br />
ad un risultato precostituito, quale la<br />
normalizzazione dei comportamenti,
il reinserimento formale, il corretto utilizzo<br />
delle prestazioni assistenziali o<br />
terapeutiche), ma di assumere iniziative<br />
di incontro e di ascolto, in particolare<br />
per coloro che altrimenti non<br />
saprebbero o non potrebbero farsi ascoltare.<br />
Per queste ragioni, probabilmente, va<br />
crescendo l’attenzione tra gli operatori<br />
sociali alla prospettiva dell’“accompagnamento<br />
sociale”, nella valenza di<br />
“affiancamento” ai soggetti in grave<br />
difficoltà 32 . L’intervento “civile” ed istituzionale<br />
nei confronti di persone che<br />
si collocano nella parte estrema della<br />
linea di debolezza sociale, può dunque<br />
indirizzarsi all’ampliamento di<br />
spazi di comunicazione e di condivisione<br />
fra cittadini-utenti e servizi 33 , fra<br />
persone in difficoltà e operatori sociali<br />
(professionisti e volontari), ove non<br />
rimanga implicita e immutabile la direzione<br />
secondo cui ci si attende che<br />
gli uni procedano verso gli altri, ma<br />
si tenda ad una convergenza che porti<br />
all’“accesso” reciproco.<br />
1 Si veda al tal proposito Guidicini P. e Pieretti G. (a<br />
cura di) (1988), I volti della povertà urbana, Franco<br />
Angeli, Milano.<br />
2 Come si è detto, chi non abbia la residenza esce<br />
dalla competenza di un Ente Locale e quindi dall’esigibilità<br />
di ogni pubblica provvidenza riconducibile<br />
all’iscrizione anagrafica.<br />
3 Boccacin L. (1993), La sinergia della differenza.<br />
Un’analisi del terzo settore in Italia, FrancoAngeli, Milano<br />
e Donati P. (a cura di) (1996), La sociologia del<br />
terzo settore, NIS, Roma.<br />
4 Vedi a tal proposito Gui L. (a cura di) (1995), L’utente<br />
che non c’è. Emarginazione grave, persone <strong>senza</strong><br />
<strong>dimora</strong> e servizi sociali, FrancoAngeli, Milano.<br />
5 Payne M. (1995) , trad it Case management e servizio<br />
sociale, Erickson, Trento, 1998.<br />
Tematica<br />
6 Noto gioco di società nel quale si procede o si retrocede,<br />
di casella in casella, tirando a sorte con i<br />
dadi.<br />
7 Gui L. (2003), <strong>Servizi</strong>o sociale e politiche regionali: una<br />
visione di sintesi, in Rizza S. (a cura di), 2° Rapporto<br />
sulla situazione del servizio sociale, EISS, Roma, pp.<br />
467-481.<br />
8 Si evoca, qui, il concetto ampio di “benessere” come<br />
well being, la percezione, cioè di “viver bene”<br />
in termini soggettivi globali. Si veda a tal proposito<br />
P. Donati e F. Folgheraiter (a cura di) (1999), Gli<br />
operatori sociali nel welfare mix, Erickson, Trento,<br />
p. 29.<br />
9 Indicata da alcuni sociologi come “aumento di<br />
vulnerabilità sociale”. Meo A. e Negri N. (2002),<br />
Carriere di povertà in un tempo di fragilizzazione della<br />
cittadinanza, in “Animazione sociale”, 5/2002,<br />
pp. 26-36.<br />
10 Fruggeri L. (1997), Famiglie. Dinamiche interpersonali<br />
e processi psico-sociali, NIS, Roma.<br />
11 Giddens A. (1999, London, trad. it. Il mondo che<br />
cambia, Il Mulino, p. 75.<br />
12<br />
L’Italia è scesa a 2,6 membri per unità familiare.<br />
Dati ISTAT 2001.<br />
13<br />
Rappresentano già il 22% delle famiglie italiane.<br />
Dati ISTAT 1998.<br />
14 L’indice di vecchiaia (numero di ultrasessantacinquenni<br />
ogni 100 minori di 14 anni) nel Paese è pari<br />
a 127,1.<br />
15<br />
ISTAT (2002), “Rapporto annuale. La situazione del paese”,<br />
pp. 54 e ss.<br />
16 Bauman Z. (2001), Voglia di comunità, trad. it. Minacci<br />
S., Laterza, Roma-Bari, p. 45.<br />
17 Secondulfo D. (2003), La comunità fra postmodernità<br />
e globalizzazione, in Lazzari F. Merler A. (a cura di),<br />
La sociologia delle solidarietà, Franco Angeli, Milano,<br />
pp. 66 ss.<br />
18 Ciò che Tonnies chiamò l’evoluzione da comunità<br />
indifferenziata, Gemeinschaft, a società moderna,<br />
Gesellschaft. Tonnies F. (1887, Leipzig), trad. it. Comunità<br />
e società, Cortina, Milano, 1963.<br />
19 Janovitz M. (1952, Glencoe), The Community Press<br />
in an Urban Setting, Press Free, riportato da Bulmer<br />
M. (1987, London), trad. it. Le basi della Communiy<br />
Care, Erickson, Trento, 1992, p. 136.<br />
20 Marcuse H. (1964, Boston), L’Uomo ad una dimensione,<br />
Einaudi, Torino 1967.<br />
19
Tematica<br />
21 Bauman Z., op. cit. pp. 51 e ss.<br />
22 Durkheim E. (1912), Le forme elementari della vita religiosa,<br />
Ed, Comunità, Milano, 1971.<br />
23 Berzano L. e Prina F. (2003), Sociologia della devianza,<br />
Carocci, Roma, 8^ rist., p. 68.<br />
24 Ibidem.<br />
25 Berzano L.(1987), Uomini <strong>senza</strong> territorio, Atti Convegno<br />
Diocesano, Torino, p. 28.<br />
Amplius Pellegrino M. e Verzieri V. (a cura di)<br />
(1991), Né tetto né legge. L’emarginazione grave, le nuove<br />
povertà, i “<strong>senza</strong> fissa <strong>dimora</strong>”, Ed. Gruppo Abele,<br />
Torino.<br />
26 Gui L. (1995), op. cit., pp. 24 e ss.<br />
27 Berzano L. (1991), Introduzione, in Pellegrino M. e<br />
Verzieri V. (a cura di), op. cit., p. 10.<br />
20<br />
28 Gui L. (2003), Una ricerca di nuovi percorsi d’aiuto, in<br />
Landuzzi C. e Pieretti G. (a cura di), <strong>Servizi</strong>o sociale e<br />
povertà estreme, Franco Angeli, Milano, pp. 107 e ss.<br />
29 Lazzari F. (2003), Osservazione e promozione umana,<br />
in Caritas Diocesana di Trieste (a cura di), Rapporto<br />
sull'esclusione 2003, pp. 16-26.<br />
30 Si veda Serra R. (2001), Logiche di rete. Dalla teoria<br />
all’intervento sociale, FrancoAngeli, Milano.<br />
31 Folgheraiter F. (1998), Teoria e Metodologia del servizio<br />
sociale, FrancoAngeli, Milano, pp. 129 e ss.<br />
32 Si veda a tal propostio il testo Landuzzi C. e Pieretti<br />
G. (a cura di), op. cit.<br />
33 Potenziando luoghi e forme di incontro ma anche<br />
la quantità di ore/lavoro impiegate da operatori<br />
qualificati, iniziative volontarie o convenzionate<br />
ecc.
Tematica<br />
PERSONE SENZA DIMORA, DIRITTI<br />
*<br />
E PRIORITÀ PER GLI ENTI LOCALI<br />
Stefano Lepri - Assessore ai <strong>Servizi</strong> Sociali del comune di Torino.<br />
Il Convegno FIOpsd di Torino è un<br />
utile momento per un confronto tra<br />
esperienze e la possibilità di approfondire<br />
gli aspetti giuridico-normativi<br />
in modo da riportare il tema delle<br />
persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> nell’agenda della<br />
politica. Il fatto di aver voluto ospitare<br />
il Convegno proprio in questa città<br />
sottolinea l’attenzione che questa amministrazione<br />
ha sempre posto verso<br />
questa particolare fascia di popolazione,<br />
facendo della città di Torino uno<br />
dei primi soci aderenti a FIOpsd per<br />
condividere con le realtà del privato<br />
sociale e altre amministrazioni locali la<br />
sfida che affrontiamo ogni giorno per<br />
rispondere con efficacia al disagio estremo<br />
delle persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>.<br />
Torino è certamente una città interessante<br />
per gli interventi verso questa<br />
fascia di persone sia per la quantità<br />
che la qualità della rete di servizi presenti.<br />
Chiaramente una delle esigenze per un<br />
amministratore è quello di avere una<br />
città vivibile per tutta la cittadinanza,<br />
garantire un “decoro” della città e non<br />
avere zone e persone abbandonate a<br />
se stesse per evitare pericolose derive<br />
dal punto di vista sociale e della convivenza.<br />
Per questo da anni sono attivi<br />
servizi specifici nell’ambito delle istituzioni<br />
cittadine ed esiste una stretta<br />
alleanza con le organizzazioni del<br />
privato sociale che operano sul nostro<br />
territorio.<br />
Devo dire, però, che la città di Torino<br />
non incentra tutti i suoi sforzi solo per<br />
garantire il controllo e la sicurezza della<br />
città ma soprattutto per offrire concrete<br />
opportunità di promozione sociale<br />
e di riscatto per coloro che versano<br />
in condizione di grave marginalità.<br />
Attraverso i finanziamenti del decreto<br />
D’Alema sono state aperte numerose<br />
strutture, soprattutto di prima accoglienza<br />
per aumentare il grado di protezione<br />
sociale di queste persone.<br />
Oggi, però, la fase di emergenza sembra<br />
passata e siamo entrati nell’ottica<br />
dell’innovazione e dell’intervento attuato<br />
nelle strutture di seconda accoglienza,<br />
frutto anche del dinamismo<br />
del terzo settore. In queste strutture sono<br />
attivati percorsi di recupero specifici<br />
che permettono un pieno reinserimento<br />
nel tessuto sociale delle persone<br />
seguite dai servizi.<br />
In termini generali, però, la soluzione<br />
del problema delle persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong><br />
mi sembra ancora lontana; anzi<br />
continuo a ritenere che il problema sia<br />
davvero di difficile soluzione. La quantità<br />
di persone che affluiscono sul nostro<br />
territorio anche da altre zone del<br />
Piemonte e d’Italia mette sempre a dura<br />
prova le strutture attivate. E gli strumenti<br />
a disposizione, specie in termini<br />
di risorse economiche, sembrano<br />
sempre più limitati e insufficienti.<br />
Questo nonostante esista un accordo<br />
ormai consolidato tra l’Amministrazione<br />
Comunale, le organizzazioni del<br />
terzo settore e le ASL di competenza<br />
21
Tematica<br />
per intervenire in questa area di disagio.<br />
Mi sembra fondamentale citare<br />
il Tavolo di lavoro sulla grave marginalità<br />
che da anni è attivo sotto il coordinamento<br />
del <strong>Servizi</strong>o Adulti in difficoltà<br />
ed i vari progetti, anche con il<br />
co-finanziamento europeo, che sono<br />
attivi nei punti nevralgici in cui pare<br />
concentrarsi la popolazione a disagio<br />
(come il progetto sulla stazione Porta<br />
Nuova).<br />
Ripeto: nel prossimo futuro sarà sempre<br />
più difficile intervenire appropriatamente<br />
perché le risorse economiche<br />
a disposizione per il sostegno agli interventi<br />
nel sociale e, in particolare sulle<br />
persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>, nella migliore<br />
delle ipotesi, rimarranno quelle attuali.<br />
Questo è causato dalla diminuzione<br />
dei trasferimenti dallo Stato centrale<br />
alle Amministrazioni locali rispetto<br />
agli stanziamenti specifici nell’ambito<br />
sociale; più in generale di vincoli<br />
di spesa a cui ogni Comune è sottoposto<br />
dalle disposizioni governative.<br />
Quindi ogni Comune si trova sempre<br />
più a dover attingere dalle proprie risorse,<br />
con budget sempre più risicati<br />
e l’impossibilità di far leva su nuove<br />
entrate. Questo processo in atto negli<br />
ultimi anni credo avrà delle inevitabili<br />
ricadute laddove già sono difficili e,<br />
talvolta, ritenuti poco produttivi gli interventi<br />
nell’ambito territoriale di competenza,<br />
specie per quanto riguarda le<br />
politiche sociali riferite alla marginalità<br />
estrema.<br />
Per quanto ci riguarda, e credo la cosa<br />
interessi ogni Comune con popolazione<br />
di una certa rilevanza quantitativa,<br />
esiste anche un problema legato alle<br />
residenze “fittizie”. Torino è stata tra<br />
le prime città che ha riconosciuto a tan-<br />
22<br />
te, potrei dire, tutte le persone che ne<br />
hanno fatto richiesta la possibilità di<br />
riottenere la residenza anagrafica.<br />
Come sapete meglio di me la residenza<br />
permette di accedere ad ogni altro<br />
diritto e abbiamo sempre ritenuto, come<br />
Amministrazione, che questa azione<br />
fosse fondamentale per garantire il<br />
diritto di cittadinanza a tutti, anche i<br />
più svantaggiati. La possibilità di ottenere<br />
la residenza “fittizia” rimanda,<br />
in larga parte, alle persone che accedono<br />
ai servizi di prima accoglienza;<br />
molti tra di loro abbisognano di un riconoscimento<br />
anagrafico (questo tanto<br />
più dopo l’ultimo censimento che ha<br />
cancellato molte persone considerate<br />
irreperibili nella loro abituale abitazione).<br />
Il problema nasce dal fatto che molti<br />
provengono da altre città e trovano<br />
appoggio, fino ad ora, solo nella nostra<br />
amministrazione.<br />
Nel resto della Regione Piemonte non<br />
sembra esserci ancora questa sensibilità.<br />
Ma questo chiaramente genera dei<br />
problemi, sovraccarica i servizi, richiede<br />
un dispendio economico e di risorse<br />
umane non indifferente, riduce la<br />
capacità di erogare servizi di accompagnamento<br />
più accurati e personalizzati.<br />
Sottolineo quindi la necessità che anche<br />
le città più piccole ed i comuni minori<br />
si riapproprino delle proprie responsabilità,<br />
evitando di delegare alle<br />
aree metropolitane la soluzione dei problemi<br />
originati nel loro specifico contesto.<br />
Questo mi sento di dire è un problema<br />
di base che deve essere affrontato,<br />
condiviso e risolto per evitare il<br />
rischio che il nostro stesso Comune interrompa<br />
questa pratica usuale ma non<br />
più sostenibile in questa misura.
Cercherò ora di fissare alcuni punti fondamentali<br />
che riguardano le amministrazioni<br />
locali in genere, cercando un<br />
compromesso tra sintesi e chiarezza.<br />
1. E’ necessario che Governo e Regioni<br />
riprendano in mano la questione<br />
delle persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>. Dopo il<br />
decreto D’Alema ed i finanziamenti fissati<br />
dalla L. 328/00 non ci sono più stati<br />
interventi “ad hoc” nonostante l’evidenza<br />
del fenomeno: il tema sembra<br />
scomparso dalle priorità di Stato e Regioni.<br />
E’ difficile dire oggi come saranno<br />
sostenuti tutti i servizi nati in base<br />
a questi finanziamenti. Io ritengo che<br />
il fenomeno della grave marginalità<br />
rimanga prevalentemente legato alle<br />
grandi aree urbane; sono convinto che<br />
le risorse economiche devono essere<br />
indirizzate alle medie e grandi città<br />
perché in queste aree si riscontra principalmente<br />
il problema. Purtroppo, come<br />
dicevo, non c’è più un fondo specifico<br />
per questi interventi a livello centrale.<br />
Il Fondo sociale è oggi indistinto<br />
e quindi è facile che le risorse limitate<br />
a disposizione siano orientate alle aree<br />
di bisogno più tradizionali e maggiormente<br />
visibili nell’ambito sociale.<br />
Quindi, secondo me, l’ANCI dovrebbe<br />
riproporre la necessità di un Fondo<br />
specifico al Governo a favore degli interventi<br />
per le persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong><br />
per evitare che questo settore sia messo<br />
ancora più ai margini.<br />
2. Ritorno sul tema del diritto alla residenza<br />
come diritto fondamentale che<br />
va riproposto per quello che è: un diritto<br />
sancito dalla legge e non negabile<br />
alla persona. E’ un tema poco riconosciuto,<br />
sia in ambito nazionale sia<br />
Tematica<br />
in quello locale. Ma <strong>senza</strong> una battaglia<br />
forte su questo tema credo sia difficile<br />
ottenere interventi appropriati per<br />
la persona e riconoscimento per i servizi,<br />
anche in termini di facilità di intervento<br />
con le persone in disagio.<br />
3. Un’altra priorità fondamentale per<br />
le politiche sociali e per la definizione<br />
degli interventi in ambito locale riguarda<br />
la definizione dei LIVEAS (Livelli<br />
di Assistenza Sociale), la sola competenza<br />
in campo sociale rimasta al Governo<br />
centrale dopo la modifica del<br />
Titolo quinto della Costituzione.<br />
I LIVEAS sono lo strumento fondamentale<br />
per individuare i livelli e criteri<br />
di prestazione, accoglienza e reinserimento<br />
sociale per le psd.<br />
E’ una partita che segue quella relativa<br />
ai LEA (Livelli di Assistenza in campo<br />
sanitario) ma che non sta trovando<br />
soluzione per la grande differenza<br />
che esiste tra la posizione del Governo<br />
e quella delle Regioni, riunite in<br />
Conferenza, dalla cui dialettica e, presumibilmente,<br />
dalla compartecipazione<br />
di risorse deve scaturire l’accordo.<br />
Senza questo accordo, che sembra non<br />
voler arrivare, non è possibile agire strategie<br />
su tempi lunghi in quanto non<br />
sono chiari i confini ed i diritti esigibili<br />
dai cittadini che richiedono una<br />
prestazione di carattere sociale. Senza<br />
la definizione dei LIVEAS non è possibile<br />
nemmeno sapere quante risorse<br />
saranno a disposizione delle amministrazioni<br />
locali per soddisfare il diritto<br />
sancito.<br />
Quindi ogni Comune sta aspettando la<br />
soluzione di questo problema. Come<br />
detto a Roma c’è un tavolo che si sta<br />
occupando dei LIVEAS; nell’agenda<br />
23
Tematica<br />
di questo tavolo è chiaro che non possono<br />
mancare le persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>.<br />
Devo dire, però, che in questo momento<br />
le istanze di queste persone e<br />
del settore di servizi che se ne occupa<br />
sono poco rappresentate.<br />
E’ una lacuna che va colmata quanto<br />
prima per evitare, ancora una volta, la<br />
messa ai margini di questo specifico<br />
settore.<br />
4. Un tema fortemente scottante nell’ambito<br />
delle politiche sociali a livello<br />
locale è rappresentato dalla relazione<br />
tra Ente pubblico e Terzo settore.<br />
Sappiamo tutti che la strategia più utilizzata<br />
è quella di affidare tutti i servizi<br />
sociali alle organizzazioni del Terzo<br />
settore. Questo a mio parere, però, non<br />
risolve i problemi che abbiamo.<br />
Ritengo che sia necessario riflettere sui<br />
modelli e criteri di accreditamento per<br />
individuare una buona sintesi tra efficienza<br />
in termini di risorse impiegate<br />
e qualità del servizio a garanzia del<br />
cittadino e dello svolgimento delle politiche<br />
sociali così come concepite dagli<br />
amministratori.<br />
Inoltre ritengo che sia necessario definire<br />
quale ruolo intende giocare il Terzo<br />
settore nell’evoluzione dei servizi<br />
alla persona e quali risorse intende mettere<br />
a disposizione in questo spazio<br />
di collaborazione e costruzione degli<br />
interventi nel sociale. Infatti credo deve<br />
trovare una soluzione il problema di<br />
un Terzo settore che gioca sempre un<br />
ruolo subalterno rispetto all’Ente pubblico<br />
trovandosi così a vivere in una<br />
condizione di precarietà continua e determinando<br />
anche un vincolo importante<br />
per la stessa Amministrazione<br />
pubblica.<br />
24<br />
5. Infine poche parole su due diritti<br />
estremamente importanti: il diritto al<br />
reddito ed alla casa. Penso sia importante<br />
ribadire che non esiste uno specifico<br />
per le persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> perchè<br />
questi temi devono essere trattati<br />
per andare nell’interesse di tutti i cittadini.<br />
Il diritto al reddito così come<br />
ciò che è relativo alla casa, secondo me,<br />
non sono collocabili come problemi che<br />
interessano direttamente la responsabilità<br />
dell’Ente locale: riguardano piuttosto<br />
le Amministrazioni centrali (secondo<br />
una agenda legata a responsabilità<br />
e competenze). Questo nonostante<br />
il tema degli alloggi sociali sia ora<br />
demandato specificamente alle Regioni.<br />
Ma tutto diventa arduo se a livello<br />
centrale non vengono intraprese politiche<br />
e attuati provvedimenti legislativi<br />
che investono le Amministrazioni<br />
locali di poteri effettivamente spendibili<br />
in quanto legati a progetti di ampio<br />
respiro e di chiare risorse economiche.<br />
Per quanto riguarda il diritto<br />
al reddito a Torino abbiamo sperimentato<br />
un forma di “reddito di inserimento”,<br />
misura interessante ed onerosa ma<br />
ancora insufficiente rispetto ai bisogni<br />
espressi dalle persone. Credo si tratti<br />
di una misura che va accompagnata<br />
da un insieme di interventi attivati da<br />
una rete che raccolga la multidimensionalità<br />
del problema e permetta un<br />
effettivo utilizzo di questa misura e,<br />
quindi, della dimensione di diritto.<br />
Concludo questo mio sintetico intervento<br />
ringraziando i molti partecipanti<br />
a questo Convegno FIOpsd e auspico<br />
che su questi temi si apra un dibattito<br />
forte e generale ad ogni livello istituzionale.<br />
*Testo non rivisto dal relatore.
Tematica<br />
DIRITTI SOCIALI E LEGISLAZIONE<br />
IN ITALIA NELL’AREA<br />
DEI SERVIZI ALLA PERSONA<br />
Franco Dalla Mura - Docente di diritto amministrativo all’Università di Verona.<br />
In questo testo riprenderò alcuni dei<br />
principali temi che ho trattato nella mia<br />
relazione al Convegno FIOpsd di Torino,<br />
includendo alcuni interrogativi e<br />
questioni sollevate dai partecipanti e<br />
raccolte anche nelle fasi di preparazione<br />
del Convegno.<br />
Inizierò questo mio intervento sul tema<br />
dei diritti prendendo spunto da una<br />
metafora usata da un amico della<br />
FIOpsd. Diceva: “Se penso al diritto mi<br />
viene in mente un treno, fatto da più<br />
vagoni e più classi: ciascuna è un possibile<br />
diritto esistente, come è concreta<br />
l’esistenza del treno, ma ciascuno<br />
passeggero ne usufruisce in modo diverso…<br />
ricordandoci comunque che il<br />
treno continua a viaggiare”<br />
Prendendo spunto dalla metafora usata,<br />
il concetto di diritto non si riferisce<br />
alla meta raggiunta dal treno ma alla<br />
disponibilità del treno per raggiungere<br />
qualunque destinazione, e sul diritto<br />
di ogni persona di salire sul treno<br />
per andare dove desidera. Parlare di<br />
classi sul treno (1a e 2a), seguendo la<br />
metafora, non toglie la possibilità di<br />
godere del diritto. Anzi la differenziazione<br />
può avere un significato positivo<br />
nel godimento del diritto perché<br />
può essere sinonimo di fruibilità secondo<br />
le diverse condizioni della persona.<br />
In questo senso “diritto sociale” è ciò<br />
che la società garantisce in modo equo<br />
a tutte le persone. La differenziazione<br />
è espressione di equità: cioè come capacità<br />
della società nel distribuire risposte<br />
diverse a bisogni diversi; lo stessa<br />
equità che possiamo riconoscere nel<br />
modello che chiede una diversa contribuzione<br />
ai diversi cittadini per assicurare<br />
il diritto a un uguale servizio<br />
per tutti. E’ il tema della solidarietà e<br />
universalità di prestazioni e servizi dove<br />
il maggior contributo va a beneficio<br />
di chi può dare meno.<br />
Naturalmente l’applicazione concreta<br />
di questo principio non è facile e oggi<br />
è spesso in discussione.<br />
Voglio però spendere qualche parola<br />
sul concetto di diritto. Che cosa è un<br />
diritto dal punto di vista giuridico?<br />
Per comprenderlo meglio è necessario<br />
crearci un piccolo “glossario”.<br />
Breve glossario sul diritto.<br />
Parlare di diritti è parlare di INTE-<br />
RESSE GIURIDICO che ciascuna persona<br />
possiede. L’interesse giuridico è<br />
necessariamente collegato ad una entità<br />
esterna al soggetto: ossia è l’interesse<br />
o l’aspirazione ad un bene della<br />
vita ritenuto tale dall’ordinamento, oggetto<br />
di interesse giuridicamente rilevante.<br />
Non tutti gli interessi sono considerati<br />
rilevanti in senso giuridico ma la<br />
funzione del diritto è quella di tutela-<br />
25
Tematica<br />
re gli interessi umani. Quindi, semplificando,<br />
l’interesse può essere positivo<br />
(quindi suscettibile di essere tutelato)<br />
ma anche negativo, quindi contrastato<br />
(ad es. l’interesse a uccidere una persona).<br />
Il tutto si riconduce a valori,<br />
positivi o negativi che siano.<br />
Altro termine importante di questo<br />
breve glossario è il DIRITTO SOGGET-<br />
TIVO, ossia l’interesse tutelato in modo<br />
diretto e pieno dall’ordinamento.<br />
Questo non significa che il diritto soggettivo<br />
possa essere illimitato.<br />
Utilizzando un’altra metafora che ho<br />
raccolto tra i presenti al Convegno<br />
FIOpsd a proposito dei diritti (“i diritti<br />
sembrano un sacco pieno ma, in realtà,<br />
il sacco è vuoto per le psd”), ecco<br />
posso dire che un sacco infinito sarebbe<br />
destinato a rimanere vuoto!<br />
Quindi possiamo parlare di un valore<br />
come illimitato (ad es. la salute) ma<br />
limitato nel diritto (diritto alla salute è<br />
meglio precisato come diritto alla prevenzione,<br />
alla cura, ecc.). Nel concreto<br />
ciascuno di noi non ha diritto alla<br />
salute ma a quelle misure che garantiscono<br />
il rispetto di un valore citato<br />
anche nella Costituzione e ripreso nella<br />
legge 833 (la riforma sanitaria fatta<br />
in un periodo di grandi produzioni<br />
giuridiche - gli anni ’70 - legge che, appunto,<br />
nel suo primo articolo afferma<br />
che esiste il diritto alla salute perché<br />
riconosciuto dalla nostra Costituzione).<br />
Il diritto soggettivo ha una definizione<br />
“statica”, in quanto attribuisce al<br />
soggetto il potere di esercitare la propria<br />
volontà per conseguire un interesse,<br />
ed una definizione “dinamica”<br />
nel momento in cui il soggetto è garantito<br />
dall’ordinamento giuridico af-<br />
26<br />
finché possa conseguire il soddisfacimento<br />
del propri interesse. Nel primo<br />
caso parliamo di TUTELA, nel secondo<br />
caso di GARANZIA.<br />
Attenzione la garanzia non significa<br />
sempre il raggiungimento dell’interesse<br />
soggettivo.<br />
Faccio un semplice esempio: se facciamo<br />
un contratto con un imbianchino<br />
per la tinteggiatura della nostra abitazione<br />
ma lui non esegue il lavoro, anche<br />
se c’era un contratto stipulato il diritto<br />
non mi garantisce l’esecuzione.<br />
Piuttosto mi permette di far leva sul<br />
contratto per ottenere il soddisfacimento<br />
del mio diritto: cioè posso far causa<br />
all’imbianchino e chiedere al giudice<br />
che ci sia una condanna. Viceversa non<br />
posso pretendere che i Carabinieri lo<br />
portino a casa mia con la forza per eseguire<br />
il lavoro previsto.<br />
Per questo possiamo dire che ci sono<br />
dei diritti garantiti in forma specifica<br />
ed altri no. Faccio un altro esempio di<br />
garanzia: un negoziante mi vende una<br />
lavagna luminosa ma la rovina, magari<br />
volutamente, prima di consegnarmela;<br />
in questo caso io ho diritto non a<br />
riavere la lavagna rovinata ma posso<br />
pretendere di avere un’altra lavagna<br />
uguale o equivalente. Ho diritto quindi<br />
ad un risarcimento.<br />
Cerchiamo di calarci dentro l’area delle<br />
psd.<br />
Specie per una psd andare dall’avvocato<br />
è cosa difficile (perché non è capace,<br />
non può) e il risarcimento non<br />
sempre è esaustivo del diritto.<br />
Facciamo un esempio concreto: ho diritto<br />
ad un posto ma il dormitorio è<br />
pieno: come faccio a dar soddisfazione<br />
al mio diritto? Ci vuole un risarcimento<br />
equivalente.
Cosa significa questo: che la soddisfazione<br />
di un diritto sociale passa dalla<br />
concreta disponibilità della risposta!<br />
Anche ammettendo che si tratti di diritti<br />
riconosciuti, la risposta indiretta<br />
ad un diritto sociale spesso non va a<br />
soddisfare la richiesta delle persona.<br />
Per comprendere meglio la materia è<br />
allora necessario introdurre altri due<br />
concetti: facoltà e potestà.<br />
FACOLTA’ è la manifestazione di un<br />
diritto cioè, nel caso della psd, se sono<br />
titolare del diritto che il Comune mi<br />
conceda un ricovero per la notte, ho la<br />
facoltà di esercitare il mio diritto.<br />
POTESTA’ è, sul versante del diritto<br />
privato, il potere che viene attribuito<br />
ad una persona per soddisfare i bisogni<br />
di qualcun altro (l’esempio più classico<br />
è la potestà del genitore attribuita<br />
non per raggiungere i suoi interessi ma<br />
gli interessi del figlio).<br />
Molto spesso nel diritto privato, sempre<br />
nel diritto pubblico, la potestà non<br />
è solo un potere ma anche un dovere.<br />
Nel diritto pubblico se l’Ente pubblico<br />
ha il dovere di tutelare degli interessi<br />
pubblici deve avere un potere riconosciuto<br />
per il suo ruolo, quindi una supremazia<br />
in termini di potere.<br />
Che cosa è un potere? E’ un dato di fatto?<br />
Oppure è un contratto sociale?<br />
Deve scendere dall’alto o salire dal basso?<br />
Oppure è espressione della base<br />
che si organizza sul diritto di ciascuno<br />
(come nella visione anarchica).<br />
Nella nostra realtà di oggi autorità/<br />
potere/funzione sono un tutt’uno.<br />
Questo è il modello che permette oggi<br />
agli Enti Pubblici di realizzare i propri<br />
obiettivi che corrispondono alla tutela<br />
dei valori sociali.<br />
Come fa un Comune a esercitare la sua<br />
Tematica<br />
autorità nell’agire? Può intraprendere<br />
sia una strada pubblicistica sia privatistica?<br />
Come fa a esercitare un potere verso il<br />
cittadino? e quale è la condizione giuridica<br />
del cittadino (paritaria o subordinata?)<br />
Per comprendere dobbiamo rifarci al<br />
concetto di INTERESSE LEGITTIMO.<br />
Si tratta di un interesse che è tutelato<br />
dalla legge non direttamente ma indirettamente.<br />
Il cittadino pur non avendo<br />
un diritto vero e proprio nei confronti<br />
di una determinata Amministrazione<br />
pubblica ha interesse che sia rispettato<br />
l’ordinamento giuridico.<br />
Un esempio concreto: una Cooperativa<br />
partecipa ad una gara d’appalto,<br />
perde l’appalto ma la gara non è stata<br />
regolare; la Cooperativa in questione<br />
ha il diritto di tutelarsi non per il suo<br />
rapporto con il Comune ma per il fatto<br />
che il Comune non ha rispettato le<br />
regole.<br />
Per la situazione di una psd non è irrilevante<br />
che si parli di diritto o di interesse,<br />
anche se nel corso del tempo la<br />
diversità tra queste due definizioni ha<br />
perso importanza.<br />
Per quanto riguarda il diritto ad essere<br />
risarciti e il diritto ad ottenere le esecuzioni<br />
in forma specifica devo dire<br />
che le due cose sono sempre state legate<br />
in caso di interesse legittimo.<br />
Quindi se una persone è portatrice di<br />
un interesse verso un certo servizio sociale<br />
ha il diritto di ottenere una risposta<br />
specifica.<br />
Se il diritto è soggettivo la psd ha diritto<br />
a quella specifica risposta e a risarcimento.<br />
Negli anni passati se la richiesta fosse<br />
stata classificata come interesse legitti-<br />
27
Tematica<br />
mo non c’era il diritto al risarcimento<br />
ma solo una sentenza che annullava il<br />
rifiuto del Comune a offrire un servizio<br />
alla persona, ad es. la capacità di<br />
dare un posto letto.<br />
Da qualche anno le cose sono cambiate<br />
perché il giudice può condannare<br />
l’E.P. e stabilire un risarcimento concreto.<br />
Desidero ora entrare in alcune questioni<br />
sostanziali:<br />
- esistono diritti sociali?<br />
- sono veri diritti?<br />
I diritti sociali nei diversi modelli di<br />
Stato<br />
Per cercare di rispondere a queste due<br />
domande devo affrontare un piccolo<br />
percorso storico su questo tema.<br />
Infatti ci sono determinati assetti socio-politici<br />
che per loro natura escludono<br />
la possibilità di riconoscere dei<br />
diritti sociali.<br />
Per lo Stato liberale il concetto di diritti<br />
sociali è incomprensibile: per propria<br />
natura non riconosceva diritti sociali,<br />
ne per ordinamento e nemmeno<br />
per il proprio retroterra culturale.<br />
Infatti il diritto garantito era quello dell’individuo<br />
come singolo; a prevalere<br />
era un diritto alla libertà di ciascuno.<br />
Quindi lo Stato liberale poteva solo stabilire<br />
delle norme che fossero neutrali<br />
in modo che ciascuno potesse esercitare<br />
i propri diritti <strong>senza</strong> entrare in conflitto<br />
con un altro individuo. In questo<br />
modello lo Stato si poneva in una posizione<br />
simile a quella di un arbitro che<br />
governa una partita dove ogni giocatore<br />
gioca secondo le sue possibilità.<br />
In questo modo si riteneva che automaticamente<br />
il sistema complessivo<br />
avrebbe raggiunto un suo equilibrio e<br />
28<br />
che qualsiasi disturbo a questo processo<br />
fosse negativo. In questo sistema<br />
non c’era posto per i diritti sociali.<br />
Nel secolo XIX° anche la sinistra politica<br />
condivideva questa impostazione.<br />
Nessuno credeva alla ridistribuzione<br />
della ricchezza come elemento di equità.<br />
I liberali per le ragioni sopraddette,<br />
la sinistra perché credeva che il solo<br />
mezzo di riscatto per il proletariato fosse<br />
l’appropriazione dei mezzi di produzione<br />
da parte dei proletari e lo Stato<br />
dovesse intervenire solo sui processi<br />
distributivi.<br />
Solo verso la fine dell’800 si apre il concetto<br />
di diritto sociale perché si capisce<br />
che il sistema liberale non funziona.<br />
In questo momento convergono tre<br />
diversi interessi:<br />
la borghesia e gli imprenditori hanno<br />
paura di rivoluzioni del proletariato,<br />
quindi di conflittualità sociale e alti<br />
costi economici; a sinistra qualcuno comincia<br />
a pensare che qualcosa bisogna<br />
fare per i più poveri, specie questo pensiero<br />
circola nel sindacato impegnato<br />
a dar risposte a masse tumultuose di<br />
lavoratori; infine nell’apparato burocratico<br />
degli EE.PP. c’è chi pensa che<br />
attraverso nuovi compiti possa aumentare<br />
il proprio potere.<br />
Ecco che nel 1870, nella Germania governata<br />
dall’ultra conservatore Bismark<br />
vengono promulgate le prime leggi<br />
sull’assicurazione obbligatoria.<br />
Questo per dire che il primo Stato sociale<br />
è indipendentemente dal concetto<br />
di destra o sinistra. Quello iniziato<br />
nel 1870 è un processo che si chiuderà<br />
alla fine del XX°secolo.<br />
Prima di quella data, infatti, non possiamo<br />
parlare di diritti sociali ma di<br />
doveri unilaterali; cioè lo stato sociale
non si pone in rapporto con il cittadino<br />
ma si assume solo un dovere.<br />
Questo ci spiega come ad affermazione<br />
fortissime di Leggi e Costituzioni<br />
in realtà non corrisponda un vero stato<br />
sociale.<br />
Per esempio nel 1793 viene promulgata<br />
la Costituzione Giacobina in Francia;<br />
gli art. 21, 22 e 23 sono di grande<br />
attualità perché prevedono che gli aiuti<br />
pubblici siano un sacro dovere e che<br />
debbano essere assicurati ai cittadini<br />
sia il lavoro sia i mezzi di sussistenza.<br />
La garanzia sociale consiste nell’azione<br />
di tutti per consentire il godimento<br />
di questi diritti a tutti e riposa nella<br />
sovranità dello Stato (art. 23). Questo<br />
concetto somiglia molto all’art.118 della<br />
nostra Costituzione così come all’art.<br />
3 (rimozione di ogni ostacolo all’espressione<br />
delle proprie potenzialità).<br />
In particolare l’art. 118 dice che<br />
questa garanzia è funzione di tutti i<br />
soggetti, quindi anche delle organizzazioni<br />
sociali. Si tratta, cioè, di un articolo<br />
che interpella concretamente anche<br />
una organizzazione come FIO.psd.<br />
Quindi lo Stato è il soggetto garante<br />
ultimo, e questo è stato detto nel 1793!!<br />
Ma si tratta di una missione perché i<br />
cittadini in questo modo nulla possono<br />
rivendicare.<br />
Dicevo che il terreno di partenza ero<br />
lo Stato liberale al quale si rifaceva anche<br />
la Costituzione italiana del 1862.<br />
Dello stesso anno è la prima legge in<br />
Italia sulla beneficenza. Quando nel<br />
1890 viene emanata la Legge Crispi siamo<br />
ancora nel campo del dovere unilaterale<br />
(lo Stato “deve fare”), mentre<br />
i cittadini possono, solo in taluni casi,<br />
esercitare degli interessi legittimi. Ciò<br />
significa che il cittadino in questa si-<br />
Tematica<br />
tuazione può solo pretendere che gli<br />
sia riconosciuto il diritto ma non la risposta<br />
concreta.<br />
Il graduale riconoscimento dei diritti<br />
sociali è frutto di molteplici spinte contrastanti<br />
e non di uno specifico movimento<br />
politico o sociale.<br />
È un processo a cavallo tra il XIX° ed<br />
il XX° secolo che vede coinvolti i conservatori<br />
Bismark e Crispi, i governi<br />
socialisti di Inghilterra e Francia, anche<br />
Roosvelt (liberal-progressista) negli<br />
USA.<br />
Il tutto è conseguenza dei processi di<br />
industrializzazione e di una democratizzazione<br />
dei processi decisionali.<br />
Ma il frutto di questo movimento è un<br />
compromesso tra esigenze contrastanti<br />
quali il bisogno di libertà e di uguaglianza,<br />
oppure spinte decisionistiche<br />
e autoritarie contrapposte a quelle di<br />
pluralismo.<br />
Nella seconda metà degli anni ’80 (XX°<br />
secolo) qualche economista sente il bisogno<br />
di uno Stato che detti nuove regole<br />
per lo stato sociale (in particolare<br />
il ritorno al dovere unilaterale). Si sviluppano<br />
nuove opinioni politico-culturali<br />
che dicono di una società cambiata,<br />
dove il potere è più diffuso. Per<br />
questo il potere dello Stato dovrebbe<br />
regredire, si dovrebbe dare spazio al<br />
binomio “solidarietà e libertà” (Friedman).<br />
Si parla nuovamente di uno Stato<br />
che deve fare da arbitro perché la<br />
risposta ai bisogni sociali sta al mercato,<br />
regolato dallo Stato, ma libero di<br />
esprimersi.<br />
Si dice che le condizioni sono cambiate<br />
ed il modello di Stato sociale costruito<br />
nel XX° secolo è un episodio<br />
della storia della civiltà che oggi va<br />
smantellato. Io credo che oggi possia-<br />
29
Tematica<br />
mo notare che ci sono elementi molto<br />
discutibili intorno a questa teoria.<br />
Citando solo i principali: una crescente<br />
insicurezza sociale, l’instabilità del<br />
mercato, l’instabilità dei valori, il rapido<br />
invecchiamento della popolazione<br />
in Europa.<br />
E’ evidente che dentro queste teorie si<br />
va perdendo la possibilità di esercitare<br />
il diritto soggettivo. Queste opinioni<br />
si scontrano con altri che cercano di<br />
reagire alla crisi dello stato sociale; ecco,<br />
ad esempio, il decreto De Lorenzo<br />
all’inizio degli anni ’90 che riguarda la<br />
sanità; ma, devo dire, nel campo sanitario<br />
nessuno mette in dubbio che si<br />
debbano conservare dei diritti (ad es.<br />
il diritto alla cura), ma che ne è dei diritti<br />
in campo sociale?<br />
Ecco la straordinaria idea del bisogno<br />
in Italia di una legge sullo stato sociale,<br />
che diventa la L. 328/00.<br />
La Legge 328/2000<br />
Innanzitutto questa Legge riprende i<br />
concetti fondamentali della Costituzione<br />
Italiana.<br />
Voglio ricordare ciò che la Costituzione<br />
fissa come concetti fondamentali interessanti<br />
per il nostro tema:<br />
- il superamento del contrasto tra stato<br />
di diritto e stato sociale con la sintesi<br />
tra libertà e uguaglianza;<br />
- l’individuazione dell’uomo non più<br />
come singolo isolato ma come persona<br />
singola all’interno di un contesto<br />
relazionale sociale;<br />
- l’uguaglianza dei cittadini come possibilità<br />
di auto-realizzazione, dove i<br />
diritti sociali sono una componente<br />
essenziale di democrazia e libertà;<br />
- lo Stato come autorità che non distribuisce<br />
solo benefici ma anche sa-<br />
30<br />
crifici;<br />
- infine la Costituzione italiana definisce<br />
la divisione dei poteri (autonomia,<br />
federalismo) e la moltiplicazione<br />
dei poteri (non solo quelli pubblici<br />
compongono lo Stato ma c’è uno<br />
specifico anche alle formazioni sociali);<br />
in questo quadro le funzioni pubbliche<br />
corrispondono a valori tutelati<br />
dalla Costituzione.<br />
La legge 328/00 si rifà in particolare<br />
agli art. 2, 3 e 38 della Costituzione.<br />
In realtà l’art. 38 è un sorta di trabocchetto:<br />
afferma che ogni cittadino inabile<br />
al lavoro e <strong>senza</strong> mezzi ha diritto<br />
al mantenimento; viene posta, cioè,<br />
una condizione (deve essere inabile al<br />
lavoro) per aver garantiti i propri diritti<br />
sociali…<br />
Per questo è molto meglio guardare<br />
agli art. 2 (principio di uguaglianza sostanziale<br />
dei cittadini anche se diversi<br />
e quindi con risposte diverse secondo<br />
le loro necessità) e art. 3 (rimozione degli<br />
ostacoli che limitano di fatto l’espressione<br />
della persona). Cioè libertà<br />
e uguaglianza non sono solo collegate<br />
ma contemporaneamente assicurate.<br />
Questo è un punto molto delicato: nel<br />
1860 Bakunin aveva previsto quale esito<br />
avrebbe avuto la dittatura del proletariato<br />
(con una grande disputa e differenza<br />
tra Marx e Bakunin).<br />
La Costituzione italiana condivide il<br />
pensiero di Bakunin e afferma questo<br />
concetto (voluto da Aldo Moro nella<br />
Costituente) sostituendo al concetto di<br />
egualitarismo (uguaglianza solo formale<br />
che cancella la libertà) con una libertà<br />
espressa in positivo, dove solo<br />
con uguaglianza e impegno di tutti si<br />
può parlare di vera libertà.<br />
Ora però possiamo chiederci: la legge
328/00 ha effettivamente affermato e<br />
rinforzato i diritti sociali?<br />
In Parlamento per deliberare questa<br />
Legge c’è stata una battaglia incredibile.<br />
Alcune forze politiche sostenevano<br />
che i cittadini sono portatori dei diritti<br />
sociali attraverso l’indicazione dei<br />
valori a cui riferirsi. Altri partiti dicevano<br />
che non ha senso parlare di una<br />
estensione infinita dei diritti perché i<br />
valori a cui si intendeva far riferimento<br />
non sarebbero mai stati soddisfatti<br />
interamente; quindi, i diritti dovevano<br />
essere ragionevolmente limitati per essere<br />
concretamente soddisfatti.<br />
Quindi emergeva la necessità di precisare<br />
“come” e “quando” i diritti possono<br />
essere soddisfatti per evitare un<br />
continuo impegno di risorse <strong>senza</strong> trovare<br />
mai soluzione.<br />
Nella battaglia parlamentare vince il<br />
secondo schieramento… ma vince malamente!<br />
Ottiene che nel testo ci sia<br />
l’esplicita affermazione dei diritti sociali,cioè<br />
del “se” e del “quid”…ma nella<br />
L. 328/00 manca una chiara espressione<br />
del “come” e del “quando”!<br />
Come mai si è caduti in questo tranello?<br />
Io indico tre motivi:<br />
1. ignoranza<br />
2. fretta<br />
3. lo strapotere di alcuni ministeri<br />
1. sul primo motivo… non chiedetemi<br />
ulteriori commenti;<br />
2. la fretta è diretta conseguenza del<br />
periodo nel quale è stata promulgata<br />
la Legge: eravamo a fine legislazione;<br />
3 sul terzo motivo, intendo riferirmi<br />
allo “strapotere” del Ministero del<br />
Tesoro, il quale temeva che questa<br />
Tematica<br />
legge avrebbe portato ad una “debacle”<br />
delle sostanze pubbliche (lo<br />
stesso accadde nella legge 104 - la<br />
legge sull’handicap - curiosa perché<br />
due frasi ricorrono continuamente<br />
dopo ogni principio/diritto dichiarato:<br />
“…che può fare…” … “nei limiti<br />
delle risorse disponibili”…)<br />
La L. 328/00 ha rischiato di essere “sacco<br />
vuoto” (rifacendosi alla metafora<br />
citata) ma, per fortuna, non è così: é<br />
solo fatta male…<br />
Alcune caratteristiche significative<br />
della L. 328/00<br />
L’art. 2 della Legge pare affermare che<br />
i diritti sono legati solo ad una prestazione<br />
economica; qualcuno quindi afferma<br />
che, interpretando questo art. 2<br />
della legge, i diritti sociali non sono,<br />
in realtà, veri diritti. In effetti l’art 2<br />
rinvia all’art. 22 della L. 328/00 dove<br />
sono elencati gli interventi che costituiscono<br />
il livello essenziale e l’elenco<br />
delle prestazioni; ma, si dice, che i LEA<br />
sono definiti in base alle risorse… quindi<br />
non si tratta di veri diritti perché se<br />
le risorse sono esaurite o indisponibili<br />
non c’è più diritto esigibile.<br />
Io, comunque, penso che questa non<br />
sia l’interpretazione corretta, ma precisare<br />
il “quando” e il “come” avrebbe<br />
fatto più chiarezza.<br />
Per dar valore alla mia interpretazione<br />
mi riferisco a quanto cita la legge<br />
quando parla del Piano sociale nazionale<br />
(che garantisce un quadro complessivo),<br />
di un Piano sociale regionale<br />
(garantisce interventi più specifici),<br />
di un Piano di zona (che garantisce ulteriori<br />
risorse pubbliche, la condivisone<br />
comunitaria di responsabilità e con<br />
essa l’elevazione della quantità e qua-<br />
31
Tematica<br />
lità della risposta ai diritti sociali).<br />
Però per avere una definitiva chiarezza<br />
ci possiamo agganciare all’art. 117<br />
della Costituzione, così come modificata<br />
recentemente, che dichiara essere<br />
“compito dello Stato definire i livelli<br />
essenziali delle prestazioni dei diritti<br />
civili e sociali su tutti il territorio nazionale”.<br />
C’è, quindi, l’affermazione<br />
non solo del “quid” ma anche di “come”<br />
e “quando” perché fa riferimento<br />
ad un processo basato su norme di legge,<br />
proprio perché la Costituzione parla<br />
di leggi, non di poteri amministrativi.<br />
I diritti, cioè le prestazioni essenziali<br />
da erogare, devono essere garantiti<br />
per legge dallo Stato su tutto il territorio<br />
nazionale (questo consapevoli<br />
degli aspetti positivi e negativi in rapporto<br />
alle differenze esistenti tra le diverse<br />
aree territoriali).<br />
Ricapitolando: per capire il reale contenuto<br />
della L. 328/00 rispetto ai diritti<br />
dove dobbiamo guardare?<br />
Nella Legge ci sono un paio di articoli<br />
verso il termine del testo dove viene<br />
spiegato l’oggetto dei diritti sociali (ad<br />
es. pronto l’intervento) ma non si dice<br />
“come” e “quando” vengono esercitati;<br />
allora è necessario, come detto sopra,<br />
cercare in altri provvedimenti, quali:<br />
1. Atti dello Stato in cui vengono definiti<br />
i livelli essenziali di assistenza<br />
(LEA); oggi i LEA sono di tipo sanitario<br />
ma non esistono ancora quelli<br />
di tipo sociale (detti LIVEAS); è importante<br />
ricordare che i LEA sono<br />
stati definiti in coerenza con il modello<br />
propugnato dall’attuale maggioranza<br />
di Governo (ma questo è<br />
un problema politico non giuridico…)<br />
2. Le leggi regionali e i piani sociali re-<br />
32<br />
gionali che non possono fare altro<br />
che elevare e mai diminuire i LEA<br />
nazionali;<br />
3. Gli ordinamenti locali e una legge di<br />
pochi mesi fa (L.131 del Giugno 2003)<br />
che da attuazione alla riforma del<br />
Titolo V della Costituzione; all’art. 4<br />
della Legge 131/03 si dice che il potere<br />
di disciplinare le funzioni è affidato<br />
ai Comuni mentre le Regioni<br />
possono solo garantite un minimo<br />
di livelli di uniformità. Quindi ogni<br />
Ente Locale può modificare l’ordinamento<br />
nel proprio territorio, cioè togliere<br />
o aggiungere dal proprio Comune<br />
o Provincia tutto ciò che viene<br />
ritenuto ottimale per quel territorio.<br />
Questo è molto importante anche per<br />
l’ambito delle psd perché ci sono due<br />
possibili riferimenti giuridici:<br />
1. i (futuri) LIVEAS<br />
2. Regolamenti e disposizioni dei Comuni.<br />
Da questi due strumenti possiamo capire<br />
che cosa pretendere per intervenire<br />
a favore delle psd.<br />
In concreto: se un dato Ente locale ha<br />
stabilito alcune norme o direttive significa<br />
che quando queste sono fissate<br />
sono “obbligatorie”, anche se le risorse<br />
sono finite; quindi, per es. anche<br />
la psd può pretendere il posto presso<br />
un determinato servizio oppure il risarcimento<br />
del danno subito.<br />
Qui si gioca il ruolo di “advocacy” delle<br />
formazioni sociali perché è assurdo<br />
pensare che la psd sappia esercitare<br />
questo diritto in proprio; facendo riferimento<br />
a quanto ho detto, io credo<br />
che la necessità di tutela dei più debo-
li propone sufficienti strumenti: spesso<br />
manca la capacità di usarli.<br />
Certo, spesso, il problema non è giuridico<br />
ma politico, perché se il “sacco”<br />
non viene riempito la strada è sempre<br />
in salita; quindi una delle azioni fondamentali<br />
è quella politica.<br />
Vorrei però tornare un momento sui<br />
Livelli di assistenza. Innanzitutto meglio<br />
parlare di LIVEAS per distinguerli<br />
dai LEA sanitari; ci sta lavorando una<br />
commissione con il sottosegretario Sestini<br />
in collegamento con la Conferenza<br />
“Stato-Regioni”; M.G. Sestini, a suo<br />
tempo, aveva votato a favore della L.<br />
328/00, ma oggi afferma di volere dei<br />
LIVEAS definiti in modo molto generico<br />
con la scusa di lasciare spazio alle<br />
Regioni; in realtà lo Stato non si vuole<br />
assumere l’onere di dover integrare i<br />
LIVEAS e di doversi sobbarcare la spesa.<br />
Per quanto riguarda i Comuni ricordiamoci<br />
che possono solo aumentare i<br />
LIVEAS, mai ridurli.<br />
Nella L. 328/00 i LIVEAS sono citati<br />
ma nel “quando” e nel “come” devono<br />
ancora trovare una definizione nazionale;<br />
oggi il “quando” e “come” va specificato<br />
a livello locale per il potere che<br />
gli viene attribuito (riforma del Titolo<br />
V) attraverso la legge “La Loggia” che<br />
lo riserva ai Comuni.<br />
Aggiungo la mia opinione su come fare<br />
“advocacy” intorno a questi temi.<br />
Bisogna distinguere tra percorso amministrativo<br />
e quello giurisdizionale.<br />
La L. 328/00 prevede che ci siano delle<br />
Carte dei servizi e che gli Enti locali<br />
devono disciplinare percorsi amministrativi<br />
semplici e rapidi che assicurino<br />
risposte efficaci; la strada amministrativa<br />
dovrebbe essere codificata<br />
in Regolamenti comunali e/o Carte dei<br />
Tematica<br />
servizi; quindi se un Assessorato al sociale<br />
non eroga un certo tipo di servizio<br />
dovrebbe essere previsto un ricorso<br />
amministrativo.<br />
La tutela giurisdizionale esiste ma c’è<br />
un dilemma: la riforma dice che per i<br />
pubblici servizi il giudice è il TAR (giudice<br />
amministrativo) che oggi comincia<br />
a funzionare (si parla di decisioni<br />
prese in poche ore!). Purtroppo questa<br />
norma contiene una eccezione: “fatta<br />
eccezione per i rapporti di utenza finale<br />
con soggetti privati rispetto ai<br />
quali rimane il giudice ordinario” che<br />
significa tutto e niente. Essendo contraddittoria<br />
viene interpretata dai vari<br />
TAR in modo diverso; per alcuni il<br />
termine “privati” significa l’utente, altri<br />
dicono che si riferisce agli erogatori<br />
dei servizi e quindi la competenza<br />
appartiene al giudice ordinario.<br />
Lo stesso TAR per certe cose dice che<br />
è competente il TAR stesso (ad esempio<br />
sulla definizione di una retta per<br />
accoglienza) mentre in altri casi dice<br />
di no.<br />
Quindi nelle singole Regioni si tratta<br />
di capire come la pensa il TAR di<br />
quella Regione, al quale è possibile adire<br />
con richiesta di un provvedimento<br />
urgente che, occorre ricordarlo, oggi<br />
non è più solo di revoca o annullamento<br />
ma è sentenza anche in senso positivo,<br />
cioè di ripristino di uno specifico<br />
servizio.<br />
Qui può nascere una domanda: è possibile<br />
per un servizio in convenzione,<br />
non in concessione, andare da un giudice<br />
ordinario per avere soddisfazione?<br />
Questa domanda è importante per agganciare<br />
il tema dei diritti al ruolo delle<br />
organizzazioni <strong>senza</strong> finalità di lucro.<br />
33
Tematica<br />
Funzione pubblica e sussidiarietà<br />
Concetto chiave per questo discorso: il<br />
significato di FUNZIONE PUBBLICA.<br />
Ci sono tanti modi di considerare la<br />
funzione pubblica (es. funzione sanitaria<br />
riferita all’ambito di materia); bisogna<br />
invece partire dal concetto di<br />
VALORE IMPORTANTE per l’ordinamento<br />
giuridico.<br />
Dove si guarda per capire se il valore<br />
è rilevante? Nella Costituzione e nelle<br />
leggi che la specificano e la articolano.<br />
Oggi nel sociale abbiamo, nonostante<br />
tutti i miei appunti, una buona legge,<br />
la L. 328/00 che è fatta bene con riferimento<br />
alla Costituzione.<br />
Le leggi che, come questa, riprendono<br />
i valori non si limitano ad una soluzione<br />
estetica ma attribuiscono la cura<br />
di certi valori ad un soggetto, a qualche<br />
Istituzione pubblica. Una volta che<br />
sono affidati, la Istituzione ha il dovere<br />
di perseguire questi valori. Per poterlo<br />
fare questa Istituzione è dotata<br />
di poteri che permettono di sostenere<br />
i doveri: possono essere doveri unilaterali<br />
di stampo ottocentesco o doveri<br />
a cui corrispondono diritti di qualcuno<br />
come nel nostro caso.<br />
Per capire questo percorso bisogna<br />
considerare che l’attribuzione del dovere<br />
è tipico degli Enti pubblici perché,<br />
per loro, la norma viene prima dell’azione<br />
mentre per i privati la norma<br />
viene dopo l’azione; questa differenza<br />
è fondamentale perché l’E.P. agisce perché<br />
la norma attribuisce sempre responsabilità<br />
mentre per i privati questo<br />
meccanismo è eccezione e corrisponde<br />
alla potestà (genitoriale), momento<br />
nel quale il privato agisce doverosamente.<br />
Voglio ricordare che questo<br />
è anche il caso delle Coop. sociali<br />
34<br />
in quanto la legge dice che le Coop.<br />
operano per finalità sociali.<br />
Questo processo visto come fosse un<br />
film si chiama “funzione pubblica”,<br />
cioè risposta con azioni concrete a doveri<br />
che sono stati affidati a quelle Istituzioni<br />
perché perseguano valori costituzionali<br />
ed abbiano i poteri che sono<br />
attribuiti solo per quella funzione<br />
così da raggiungere quel determinato<br />
obiettivo. Questo garantisce lo stato di<br />
diritto per evitare soprusi da parte delle<br />
PP.AA.<br />
Introduco adesso un tema chiave: il<br />
principio di sussidiarietà. Questo principio<br />
ruota intorno ad una domanda<br />
specifica: come può una formazione sociale<br />
privata entrare nel meccanismo<br />
del dovere?<br />
Attenzione: non è semplicemente attraverso<br />
l’esistenza di obblighi che una<br />
formazione sociale svolge una funzione<br />
pubblica; non è solo perché ha obblighi<br />
e doveri (contratto o convenzione<br />
con Comune con corresponsione di<br />
rette o emolumenti) perché questo significa<br />
solo entrare nella dimensione<br />
del potere esercitato rispetto ad un’azione.<br />
Questo non è ancora una funzione<br />
pubblica perché rimane l’Amministrazione<br />
comunale l’Ente che eroga<br />
il servizio attraverso la coop./associazione<br />
che incarica; voglio dire che con<br />
questo rapporto non siamo ancora in<br />
ambito pubblicistico.<br />
Il nostro problema allora è capire quali<br />
strumenti giuridici utilizzare per uscire<br />
dalla dimensione di compravendita<br />
e diventare, come terzo settore, partecipi<br />
di doveri pubblici <strong>senza</strong> sottostare<br />
a obbligazioni commerciali nei<br />
confronti dell’E.P. Cioè come pensare<br />
ad una funzione pubblica diffusa in op-
posizione alle teorie della privatizzazione,<br />
modello che ha come concetto<br />
concreto l’arretramento della funzione<br />
pubblica lasciando spazio al mercato,<br />
ancorché tutelato o protetto.<br />
Io sostengo che applicando l’art. 118<br />
della Costituzione noi possiamo pensare<br />
ad un allargamento democratico<br />
della responsabilità <strong>senza</strong>, naturalmente,<br />
nazionalizzare il privato; il problema<br />
è capire come è possibile che avvenga<br />
questo. Propongo tre aree di pensiero:<br />
1. i rapporti : è possibile pensare che<br />
la sussidiarietà si possa realizzare<br />
fuori da un rapporto con la PP.AA.?<br />
La risposta è no. Non è possibile nel<br />
nostro sistema di stato sociale, non<br />
è possibile pensare a sussidiarietà<br />
fuori da un rapporto giuridicamente<br />
rilevante tra privato e pubblico.<br />
La questione nodale è che il primo<br />
obiettivo della funzione sociale è la<br />
GARANZIA; se lo scopo è allargare<br />
la funzione sociale di garanzia è importante<br />
per un Ente locale sapere<br />
di poter contare sulle formazioni sociali.<br />
L’importanza di contare sulle<br />
formazioni sociali è possibile quando<br />
è stato stipulato un contratto che<br />
va oltre la speranza e la fiducia tra<br />
soggetti. Quindi in uno stato sociale<br />
come oggi in Italia c’è bisogno di un<br />
rapporto giuridicamente rilevante<br />
per definire un vero rapporto si sussidiarietà.<br />
E questo è il punto di volta<br />
di tutto: premesso che occorre, è<br />
possibile arrivare ad una forma di<br />
accordo plausibile (cioè non sto parlando<br />
di appalto)? Qual’è lo strumento<br />
giuridico contrattuale che permette,<br />
da un lato, alla formazione sociale<br />
di impegnarsi nell’ambito del-<br />
Tematica<br />
la doverosità tipica della funzione<br />
pubblica (cioè la condivisione nel<br />
progettare, gestire, fare consulenza<br />
ecc,.) e dall’altro lato pone la PP.AA.<br />
a rispondere a questo impegno attraverso<br />
delle misure a favore della<br />
formazione sociale (sostenerla, collaborare,<br />
dare risorse in denaro o organizzative)?<br />
Questo infatti è quanto<br />
prescritto dall’art 118 “le AA.PP.<br />
devono favorire l’autonoma iniziativa<br />
dei cittadini singoli e associati<br />
sulla base dei principi di sussidiarietà”.<br />
2. Dicevamo: quale strumento? nel Codice<br />
civile non c’è perché non si<br />
tratta di un contratto di diritto privato<br />
ma pubblico… Io credo, però,<br />
che lo strumento ci sia: lo possiamo<br />
trovare nella L. 241/90, legge sulla<br />
trasparenza nei procedimenti amministrativi.<br />
L’art 11 di questa legge<br />
prevede che AA.PP e soggetti privati<br />
possano stipulare accordi nell’ambito<br />
di un procedimento amministrativo;<br />
inoltre dice che, in via di principio,<br />
questa dovrebbe essere sempre<br />
la procedura e solo quando non è<br />
possibile mettersi d’accordo si deve<br />
procedere con altri strumenti di rapporto!!!<br />
Cioè solo se non c’è consenso<br />
si può cambiare, altrimenti questo<br />
è il modello di rapporto tra pubblico<br />
e privato. Significa un accordo<br />
attraverso il quale si aggrega la formazione<br />
sociale alla funzione pubblica<br />
del Comune e dove dentro<br />
questo tipo di accordo vengono definiti<br />
i doveri propri di ciascuno e come<br />
l’Amministrazione pubblica si<br />
impegna a sostenere la formazione<br />
sociale per il dovere che si è data.<br />
3. Il problema è che questo tipo di con-<br />
35
Tematica<br />
tratto non è ancora disciplinato in<br />
modo analitico come i contratti privati<br />
nel codice civile, non esiste ancora<br />
un codice dei contratti di sussidiarietà;<br />
spero che la riforma dia<br />
valore a questi accordi. Quindi dove<br />
li troveremo? Io credo nelle leggi Regionali<br />
e nei Regolamenti di Enti locali<br />
che si occupano di servizi sociali.<br />
Oggi, però, anche se non ci sono, è possibile<br />
inventarli di volta in volta.<br />
Possiamo organizzare le idee per una<br />
possibile tipologia di contratto di sussidiarietà<br />
avendo come riferimento il<br />
criterio del grado di coinvolgimento<br />
della Pubblica Amministrazione.<br />
Sinteticamente possiamo elencare in<br />
questo modo:<br />
a. può essere che la PP.AA. non sia coinvolta<br />
per niente perché la formazione<br />
sociale non ha bisogno di chiedere<br />
niente; nonostante il coinvolgimento<br />
nullo della PP.AA. nell’erogare<br />
risorse dirette, anche solo entrare<br />
nella funzione pubblica è importante<br />
per una formazione sociale.<br />
b. salendo in una ipotetica scala si può<br />
pensare che il dovere nel rapporto<br />
sia quello di dare aiuto (ad es. la formazione<br />
sociale richiede la donazione<br />
di un pulmino così da fornire un<br />
sostegno alle responsabilità pubbliche<br />
che decide di assumere); può<br />
darsi che non sia un sostegno ma<br />
diventi una integrazione tra Comune<br />
e formazione sociale attraverso i<br />
servizi sociali comunali: in questo<br />
senso andiamo in una logica di collaborazione<br />
differente dal considerare<br />
risorse pubbliche e private in<br />
modo separato perché diventano risorse<br />
pubbliche anche quelle priva-<br />
36<br />
te perché sono collocate nella funzione<br />
pubblica.<br />
c. Infine possiamo parlare di un terzo<br />
gradino, la concessione amministrativa,<br />
nella quale è più evidente il ruolo<br />
di progettazione della formazione<br />
sociale nella funzione pubblica del<br />
Comune. Un esempio è l’accreditamento,<br />
cioè concessione di pubblici<br />
servizi fatta da una PP.AA. ad una<br />
formazione privata (questo lo affermo<br />
facendomi forza di una sentenza<br />
della Cassazione emessa in riferimento<br />
all’ambito sanitario).<br />
Un aspetto fondamentale di interazione<br />
tra EE.PP e privato sociale riguarda,<br />
quindi, i tipi di rapporto. Come dicevo<br />
non esistono tipologie formalizzate<br />
di rapporto: credo che la differenza<br />
di base è dove si colloca l’accordo<br />
(dentro o fuori il principio di sussidiarietà).<br />
In gergo tecnico si parla di serie<br />
procedurale e serie contrattuale.<br />
Per spiegare brevemente: dal momento<br />
in cui l’AA.PP decide di adempiere<br />
il proprio dovere con strumenti privatistici<br />
(appalto) fino a quando lo ha individuato<br />
si svolge il procedimento<br />
amministrativo, diretta funzione della<br />
funzione pubblica; nel momento in cui<br />
il Comune stipula il contratto si apre<br />
la fase contrattuale in cui i due attori<br />
si collocano in una situazione di tipo<br />
privatistico, cioè come se il Comune<br />
fosse un privato cittadino. Questo con<br />
l’aggravante che il contratto stipulato,<br />
in questo caso, non si può cambiare<br />
perché altrimenti dovrebbe essere fatta<br />
un’altra gara d’appalto. Questo significa<br />
che il rapporto è cristallizzato,<br />
non permette di cambiare ne riprogettare<br />
l’oggetto dell’intervento; nemmeno<br />
la formazione sociale, parte dell’ac-
cordo siffatto, può cambiare le azioni<br />
previste (ad es. un contratto per la<br />
gestione di un dormitorio attraverso<br />
l’appalto non da potere alla formazione<br />
sociale di stabilire i criteri di accesso<br />
al dormitorio). Nel caso dell’uso di<br />
una concessione la situazione cambia<br />
radicalmente: si applicano altri criteri<br />
in quanto la formazione sociale svolge<br />
una funzione pubblica (quindi, tornando<br />
all’es. di prima la formazione sociale<br />
può accogliere/dimettere secondo<br />
propri criteri).<br />
Per questo lo strumento giuridico è importante<br />
che sia omogeneo alla volontà<br />
degli attori per garantirsi rispetto<br />
alla progettualità, ai cambiamenti o, anche,<br />
per conseguenze di tipo fiscale (es.<br />
in una concessione è possibile erogare<br />
soldi come funzione pubblica mentre<br />
con appalto devo fare ritenute, ecc.)<br />
La concessione ha valore soprattutto<br />
nella funzione di progettazione condivisa<br />
che è garantita da questo e non<br />
da un appalto che è contratto “ingessato”.<br />
Ma allora se questa è la forma utile per<br />
la co-progettazione, non rappresenta<br />
una rischiosa delega da parte degli<br />
EE.PP. al privato? Quanto la forma in<br />
sè può garantire di esigere una forma<br />
di partnership? Nella convenzione ci<br />
sono criteri e variabili e, quindi, rispetto<br />
alla possibilità di concessione che<br />
differenza c’è?<br />
Per chiarire il tema riprendo il concetto<br />
di accreditamento che, sappiamo bene,<br />
nella sanità è peculiare. Invece nel<br />
sociale all’interno della L. 328/00 non<br />
troviamo indicazioni. Ma se esiste una<br />
analogia tra sanitario e sociale possiamo<br />
affermare che l’accreditamento attribuisce<br />
una funzione pubblica. Non<br />
Tematica<br />
sto parlando dell’accreditamento per<br />
come è stato fatto in sanità, che è una<br />
svendita legata a interessi e potere.<br />
Spero e credo che nell’ambito sociale<br />
sia qualcosa di diverso.<br />
La differenza tra accreditamento e appalto<br />
è data dalla PROGRAMMAZIO-<br />
NE perché non esiste accreditamento<br />
<strong>senza</strong> collaborazione e co-progettazione.<br />
E quando questa disponibilità si deve<br />
realizzare? Ripeto, non nella erogazione<br />
ma nella progettazione perché in<br />
quel momento l’E.P. può/deve sapere<br />
su quanti e quali attori e formazioni<br />
sociali potero contare nel programmare<br />
il piano degli interventi.<br />
Si pone quindi un altro quesito. Le<br />
PP.AA. come devono scegliere i loro<br />
interlocutori?<br />
Non è detto che la PP.AA. debba operare<br />
la scelta (v. art. 11 L. 241) in base<br />
alla convocazione di tutti i soggetti. E’<br />
importante che i soggetti privati sappiano<br />
aggregarsi. Non è obbligatorio<br />
fare una scelta ma in pre<strong>senza</strong> di un<br />
unico intervento è chiaro che l’E.P. deve<br />
fare una scelta. Come fare, con che<br />
discrezione? Attenzione, non c’è niente<br />
che la PP.AA. possa fare discrezionalmente<br />
perché quando si trova di<br />
fronte a scelte deve rispettare principi<br />
di trasparenza, par condicio, buona amministrazione.<br />
Un esempio è fornito dalle graduatorie<br />
per un asilo nido, procedura di evidenza<br />
pubblica, cioè con criteri dichiarati<br />
e visibili, ragionevoli, rispettosi della<br />
parità e dei principi di buona amministrazione.<br />
Come si consolidano<br />
questi principi: con regole di volta in<br />
volta stabilite o con regolamenti, non<br />
con una gara.<br />
37
Tematica<br />
Questo è importante: sto personalmente<br />
sperimentando un procedimento<br />
che si fonda sulla valutazione dei progetti<br />
utilizzando i criteri del valore intrinseco<br />
e non del costo; una Amministrazione<br />
comunale di una località<br />
vicino a Milano ha deciso di scegliere<br />
solo in base al progetto secondo concessione<br />
e non secondo offerta al ribasso.<br />
Certo quanto sto dicendo definisce una<br />
forma di accreditamento che in questa<br />
funzione ribalta la logica da “selezione<br />
di potenziali clienti” a “modo per<br />
entrare dentro”. Allora anche il cosiddetto<br />
voucher come si colloca dentro<br />
questa logica? Il voucher si colloca analogamente<br />
ma ha significato diverso<br />
da come penso la sua funzione. Se è<br />
fuori dal modello di sussidiarietà diventa<br />
contratto privato.<br />
Faccio un esempio: il voucher può essere<br />
inteso come il controvalore dato a<br />
un droghiere per rimborsarlo di quello<br />
che un cliente bisognoso prende nel<br />
suo negozio; il negoziante da uno scontrino<br />
ogni volta e alla fine del mese<br />
avrà un rimborso. Il voucher è quindi<br />
un titolo di servizio che permette l’acquisto<br />
di un servizio in regime privatistico.<br />
Invece se il rapporto si trasforma in<br />
pubblicistico il voucher non è più solo<br />
strumento tecnico ma è sostegno del<br />
pubblico al privato nella sua libera volontà<br />
di svolgere questa pubblica funzione.<br />
Questa è una interpretazione opposta<br />
al “Bonus” della Regione Lombardia<br />
che è strumento tecnico che<br />
da più soldi ad una persona per acquistare<br />
più beni; questo metodo non è<br />
negativo in assoluto ma non c’entra<br />
con la sussidiarietà.<br />
38<br />
In definitiva anche quanto detto sul<br />
voucher dice che il progetto andrebbe<br />
costruito assieme, dalle linee politiche<br />
partecipate alla progettazione di massima<br />
partecipata collegialmente dal terzo<br />
settore (che, voglio ricordare di nuovo,<br />
non significa che ogni formazione<br />
sociale va al tavolo con il suo progetto).<br />
Certo, attualmente, spesso succede che<br />
il terzo settore è considerato solo nella<br />
fase finale: allora come fare?<br />
Non ci sono ricorsi al giudice possibili<br />
ma è necessaria una assimilazione<br />
politico-culturale e, in altro modo, farsi<br />
sentire, creare un caso pubblico intorno<br />
a questo tema.<br />
Certo sarebbe possibile per un Coordinamento<br />
di formazioni sociali andare<br />
dal giudice dicendo che il Comune<br />
non lo fa partecipare alla progettazione;<br />
nel rispetto degli interessi del terzo<br />
settore probabilmente non sarebbe<br />
la maniera migliore per collaborare con<br />
un Comune.<br />
Per far ricorso bisogna partire dalla<br />
progettualità di base, cioè dai piani di<br />
zona.<br />
Fino ad oggi solo in Emilia Romagna<br />
c’è una legge regionale che ricalca la<br />
L. 328/00, ed un’altra in itinere qui in<br />
Piemonte dove si attribuisce un significativo<br />
valore alla sussidiarietà come<br />
progettazione, questo anche se la Regione<br />
è amministrata da una coalizione<br />
di destra; ma, in questo caso si tratta<br />
di una questione culturale che prevale<br />
sugli orientamenti politici..<br />
Un ultima questione. Possono nascere<br />
problemi per il terzo settore da questo<br />
modello di compartecipazione alla funzione<br />
pubblica? La funzione di advocacy<br />
è dentro o fuori questo modello?
È evidente che essere partecipe di una<br />
funzione e nello stesso tempo contestare<br />
un certo modo di fare “cosa pubblica”<br />
può creare una conflittualità paradossale.<br />
Certo qui si crea un problema<br />
in più per il Terzo settore: se, per<br />
es. una Coop. sociale fa servizio ma<br />
vuole assumersi anche il ruolo di advocacy,<br />
non corre il rischio di conflitto di<br />
interessi? Non sarebbe più opportuno<br />
che ci siano osservatori o altre formazioni<br />
sociali che operano questa tutela?<br />
Io rispondo sicuramente si, è un problema<br />
etico. Credo però che assumere<br />
il ruolo di advocacy è la “funzione delle<br />
funzioni”; per questo sarebbe corretto<br />
che, in un regime democratico,<br />
venisse sostenuto anch’esso dall’Istituzione.<br />
Penso sarebbe importante chiedere<br />
il sostegno proprio all’Istituzione<br />
sotto possibile contestazione. Ritengo<br />
Tematica<br />
che il sostegno della Istituzione sia<br />
azione molto etica e democratica, consapevole<br />
del fatto che da qui nasce anche<br />
il problema di come la formazione<br />
sociale che fa “advocacy” si rapporta<br />
al finanziatore. Però è tema molto importante,<br />
ricordando che il difensore<br />
civico, in Italia, non è decollato perché<br />
appartenente all’AA.PP.<br />
Concludo affermando che laddove una<br />
organizzazione è capace di costruire<br />
cultura attraverso significati e prassi<br />
anche il tema dei diritti ne è fortemente<br />
influenzato. Credo sia uno spazio<br />
importante per FIOpsd ed i suoi associati<br />
per garantire i diritti a cui tutti<br />
aspiriamo, per noi e le psd.<br />
Per ulteriori informazioni vedi “PUBBLICA<br />
AMMINISTRAZIONE E NON PROFIT”<br />
Franco Dalla Mura - Edizioni Carocci Faber.<br />
39
Tematica<br />
PERSONE SENZA DIMORA<br />
E DIRITTO ALLA SALUTE<br />
Raffaele Gnocchi - Pedagogista Caritas Ambrosiana - Milano.<br />
L’insieme delle persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong><br />
è considerato da molti come un gruppo<br />
di soggetti sostanzialmente eterogeneo<br />
e multiforme, le problematiche<br />
di cui inoltre sono portatori incrementa,<br />
peraltro, questo livello di percezione.<br />
Il risultato di questo e altri processi<br />
conducono a forme sempre più evidenti<br />
di marginalizzazione ed esclusione<br />
da tutti i percorsi di relazione e<br />
godimento dei diritti di cui ogni persona<br />
è portatrice.<br />
Ci accingiamo a condurre un breve<br />
percorso di analisi dei diritti delle persone<br />
<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> in rapporto al tema<br />
della salute con l’auspicio che le forme<br />
di supporto e ausilio, ad un tema<br />
così importante, siano debitamente<br />
percepite come imprescindibili, sia da<br />
chi propone ed è chiamato a disporre<br />
interventi sanitari pubblici, sia da chi<br />
è chiamato ad agevolare il loro utilizzo<br />
in una logica di supporto; non vogliamo<br />
però dimenticare le persone<br />
gravemente emarginate stesse affinché<br />
riconoscano i loro diritti e li possano<br />
esercitare con piena responsabilità.<br />
Una prima questione sottesa all’argomento<br />
in esame riguarda la stessa nozione<br />
di diritto. Più volte citato e richiamato<br />
per riaffermare priorità e urgenze<br />
ha da essere necessariamente<br />
declinato in rapporto al tema della persona<br />
che noi definiamo 1 gravemente<br />
emarginata ossia priva di risorse materiali<br />
ma anche di quelle relazionali<br />
fra loro aggrovigliate in un cumulo dif-<br />
40<br />
ficilmente gestibile. Prendendo spunto<br />
dalla Dichiarazione Universale dei <strong>Diritti</strong><br />
Umani (ONU, Parigi, 10 Dicembre<br />
1948) 2 ma anche dal dettato costituzionale<br />
3 siamo resi partecipi di un<br />
chiaro orientamento di natura storico<br />
antropologico teso ad affermare il valore<br />
imprescindibile della persona nella<br />
sua unicità storica. Tale affermazione<br />
rimane peraltro disattesa nel confronto<br />
con modelli e stili di governo<br />
sviluppatisi nel corso della storia contemporanea<br />
e diffusi nell’attuale società.<br />
Metodologicamente è necessario, oltre<br />
che opportuno, delimitare la riflessione<br />
al solo territorio nazionale peraltro<br />
sottoposto a spinte devoluzionistiche<br />
che potrebbero, nel prossimo futuro,<br />
concorrere a ridefinire ulteriormente<br />
in chiave locale il panorama dei diritti<br />
di cittadinanza 4 .<br />
La pericolosità di alcuni processi in<br />
atto è evidente; il tentativo di sostituire<br />
alla parola diritti un’altra locuzione<br />
come bisogni sposta radicalmente<br />
la prospettiva dell’intervento mutando<br />
il presupposto da necessità a possibilità<br />
accessoria.<br />
Questo può significare molte cose anche<br />
nella pratica quotidiana di garanzia<br />
del diritto alla salute; difatti predisponendo<br />
interventi a tutela delle situazioni<br />
di urgenza si opta coscientemente<br />
per una cura delle acuzie sanitarie,<br />
tralasciando un diritto al benessere<br />
inteso secondo un’accezione più
ampia come più volte ribadito dall’OMS<br />
5 .<br />
Ancora una volta è opportuno ricordare<br />
che "parlare di diritti significa affermare<br />
le indicazioni, in termini di valori,<br />
che sostanziano e non solo caratterizzano<br />
la democrazia come sistema"<br />
(Bertolini, 2003:53). Ancor più potremmo<br />
aggiungere che una siffatta prospettiva<br />
rende evidente la trama economicista<br />
che sostanzia un ordito chiaramente<br />
ispirato alla libera concorrenza<br />
e alla economia di mercato come valore<br />
fondativi delle odierne società occidentali.<br />
Assistiamo all’allargamento<br />
del potere economico capace sempre<br />
più di sottomettere ad esso altre forme<br />
di potere, non ultimo quello politico.<br />
Ci domandiamo, allora, se è auspicabile<br />
una qualche forma di intervento<br />
promossa secondo una logica bottom<br />
up capace di riportare e ridare senso<br />
all’azione politica a tutela del diritto<br />
dell’uomo ad essere riconosciuto portatore<br />
di diritti.<br />
Se da un lato si pone il problema della<br />
predisposizione degli strumenti di<br />
cura, dall’altro è evidente la questione<br />
della esigibilità e della fruizione o<br />
per dirla con altre parole della coscientizzazione<br />
6 dei soggetti titolari di diritto.<br />
L’AMBITO DEI DIRITTI<br />
Nell’incerta prospettiva di modifica<br />
delle politiche di Welfare, della quale<br />
si faceva cenno, e nel travagliato percorso<br />
di definizione dei confini dei<br />
diritti vi sono alcune certezze vieppiù<br />
dimenticate e disattese. Proviamo brevemente<br />
a tracciare un possibile percorso<br />
per la definizione di quello che<br />
potrebbe essere il tema della salute in<br />
Tematica<br />
una logica di diritto.<br />
Un primo orizzonte interpretativo,<br />
muove dal concetto di diritto soggettivo,<br />
la seconda da quello di interesse<br />
legittimo, entrambi convergono verso<br />
una prospettiva tesa al pieno affermarsi<br />
degli stessi e del loro concreto godimento.<br />
Partendo dal presupposto che ogni cittadino<br />
gode di un diritto soggettivo, che<br />
è espressione di garanzia della propria<br />
libertà, ma è anche riconosciuto all’uomo<br />
come singolo (ma invero in alcuni<br />
casi come membro di un gruppo) e attiene<br />
alle sfere civili, politiche e sociali,<br />
possiamo declinarlo come il luogo<br />
giuridico affinché il proprio bisogno<br />
venga soddisfatto.<br />
Ad esempio, proprio in virtù di questo<br />
diritto soggettivo che normalmente<br />
attiene al rapporto fra privati, la persona<br />
può richiedere e godere della prestazione<br />
erogabile dalla Pubblica Amministrazione<br />
7 ; in effetti, attraverso l’accesso<br />
alla prestazione sanitaria, siamo<br />
in pre<strong>senza</strong> di un semplice soddisfacimento<br />
del bisogno del soggetto di<br />
vedere risolte le problematiche sanitarie<br />
di cui è portatore.<br />
Questo avviene, a nostro modo di vedere,<br />
in virtù di un generico interesse oggettivo<br />
perseguito dalla stessa Pubblica<br />
Amministrazione: la struttura sanitaria,<br />
il servizio interpellato, concedono<br />
la prestazione semplicemente perché<br />
attraverso questa si realizza un<br />
principio di interesse oggettivo. Il concetto<br />
di interesse oggettivo potrebbe,<br />
in una estremizzazione a noi utile, essere<br />
declinato come orientato alla tutela<br />
del benessere socio sanitario della<br />
popolazione più in generale; in definitiva<br />
accade che "l’azione maschera-<br />
41
Tematica<br />
ta da intervento che persegue il beneficio<br />
individuale massimizza al tempo<br />
stesso il beneficio collettivo" (Vineis<br />
Capri, 1994:96).<br />
La lettura della questione ed un simile<br />
orientamento attengono al concetto<br />
utilitaristico secondo il quale il fine,<br />
ad esempio economico orientato al risparmio,<br />
giustifica i mezzi adottati per<br />
perseguirlo; ci confrontiamo con un<br />
modello che postula il possibile sacrificio<br />
di una “minoranza” per il bene<br />
della maggioranza 8 .<br />
Ci troviamo in definitiva di fronte ad<br />
una posizione, il diritto (soggettivo) alla<br />
salute, subordinato ad un’altra posizione,<br />
l’interesse oggettivo, a tutela degli<br />
interessi della collettività. Più in<br />
generale, ravvediamo in tale prospettiva<br />
la pre<strong>senza</strong> di elementi di disparità,<br />
dipendenza, vincolo ed anche di<br />
sudditanza.<br />
Il secondo orizzonte, attiene al concetto<br />
di interesse legittimo.<br />
Esso è materia del rapporto che intercorre<br />
fra singolo cittadino e Pubblica<br />
Amministrazione, si manifesta attraverso<br />
l’esercizio dei poteri, della P.A.,<br />
e si collega alla necessità che venga<br />
erogata e assicurata la prestazione sanitaria<br />
a tutti. Questa logica, che unisce<br />
diritto alla prestazione e risposta al bisogno,<br />
affermare la possibilità del singolo<br />
individuo di richiedere l’assolvimento<br />
delle pratiche volte all’attivazione<br />
del servizio orientato alla cancellazione<br />
del bisogno.<br />
Entrambe questi due orizzonti, evidenziano<br />
una duplice problematica: da<br />
un lato il tema circa l’esercizio del diritto<br />
da parte del soggetto gravemente<br />
emarginato, dall’altra la necessità<br />
affinché si pervenga ad uno stato di<br />
42<br />
diritto esigibile e generalizzato non<br />
condizionato da particolari azioni legislative<br />
successive a quelle precedenti.<br />
La prima questione evidenzia il problema<br />
sotteso alla condizione della persona<br />
<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> che ne caratterizza<br />
il suo divenire a la sua relazione<br />
con i servizi del territorio, affermare<br />
che queste hanno pari diritti, e possono<br />
in tal modo esigerli alla pari delle<br />
persone con presenze e appartenenze<br />
sociali “normali” e strutturate, significa<br />
affermare, di fatto, una disparità.<br />
Si conferma in questo modo che la<br />
condizione del soggetto in stato di povertà<br />
è tale non per scelta ed autodeterminazione<br />
ma a causa del prodotto<br />
dell’incrocio fra questioni strutturali<br />
esogene (macro) e questioni personali<br />
endogene (micro) 9 . Situazioni di confine<br />
che producono fratture aggravate<br />
dall’as<strong>senza</strong> di una politica di sostegno<br />
all’evoluzione dello stato di<br />
bisogno e alla formalizzazione dello<br />
stesso 10 .<br />
Nonostante si ribadisca da più parti 11<br />
che la salute è un bene collettivo e<br />
non solo un bene individuale ritroviamo<br />
elementi in base ai quali è possibile<br />
affermare che "la salute non può<br />
essere trattata come una merce poiché<br />
sul versante della domanda bisognerebbe<br />
supporre che gli utenti siano in<br />
grado di decifrare chiaramente il proprio<br />
bisogno e possiedano le informazioni<br />
sufficienti per poter agire sul mercato"<br />
(Vineis Capri, 1994:109) 12 .<br />
La seconda questione ci ricorda della<br />
possibilità che, nel corso del processo<br />
di definizione e revisione legislativa,<br />
si precisino nuove leggi sullo stesso<br />
tema dissimili se non in opposizione<br />
con quelle precedenti.
In effetti i diritti delle persone sono<br />
legati a precisi momenti storici o a particolari<br />
condizioni macro e microeconomiche,<br />
ma è anche immaginabile<br />
l’esistenza di una forma di permanenza<br />
del diritto secondo una logica capace<br />
di superare la fattualità storica.<br />
Se è vero che "i diritti dell’uomo costituiscono<br />
una classe variabile come la<br />
storia di questi ultimi secoli dimostra"<br />
(Bobbio, 1990:9) è anche vero che<br />
l’Amato 13 parla di generazioni di diritti<br />
intesi come l’evoluzione che gli stessi<br />
hanno subito stante lo sviluppo storico<br />
e culturale che ne ha richiesto la<br />
definizione di nuovi oltre che la conferma<br />
di altri 14 . Fra i diritti dell’uomo<br />
ci pare sia possibile, <strong>senza</strong> commettere<br />
forzature ed omissioni, collocare il<br />
diritto alla salute inteso come diritto di<br />
seconda generazione. In questo senso<br />
è importante ribadire che la questione<br />
sottesa alla definizione dei diritti<br />
subisce nella storia una modificazione<br />
dettata dalle contingenze storiche<br />
e da queste ne deriva la loro definizione;<br />
oggigiorno il problema è riconoscere<br />
questo e impegnarsi perché<br />
essi siano protetti.<br />
Grazie a questo percorso in convergenza<br />
crediamo di poter beneficiare di un<br />
duplice pregio: dall’uno considerare il<br />
diritto all’accesso alla prestazione sanitaria<br />
per la p.s.d. come uno dei diritti<br />
dell’uomo (diritti dell’uomo sociali),<br />
il che significa ed esplicita un diritto<br />
soggettivo (primo pregio) dall’altro,<br />
al tempo stesso, lo eleva a rango di diritto<br />
soggettivo pubblico (secondo pregio).<br />
Traendo fonte dai principi costituzionali<br />
e dalla valenza, come già<br />
anticipato, ultra-storica dei diritti dell’uomo<br />
15 .<br />
Tematica<br />
Questa lettura orienta l’intervento ed<br />
il ruolo di tutela e advocacy esplicitato<br />
dai servizi che offrono attenzioni e<br />
prestazioni alle persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>.<br />
Le stesse peraltro si trovano nella<br />
condizione di godere di nuove possibilità<br />
originate da questa uguaglianza<br />
sostanziale, ovvero potrebbero richiedere,<br />
in un prossimo orizzonte di possibilità,<br />
di beneficiare di risposte plurime<br />
e diversificate anche sul piano specialistico<br />
16 .<br />
In questa prospettiva si chiarisce il percorso<br />
teso a riaffermare e sancire la dignità<br />
della persona di fronte alla società<br />
che è chiamata a tutelare e a offrire<br />
le sue competenze, per un benessere<br />
(sanitario) diffuso e partecipato a<br />
tutti.<br />
IL TERRITORIO DEI DIRITTI<br />
Nell’incerta e costante provvisorietà<br />
del concetto di territorio e nell’assunzione<br />
che esso può essere efficacemente<br />
declinato come un luogo dove si esplicitano<br />
legami sociali e azioni di solidarietà<br />
reciproca, operiamo una rilettura<br />
a partire dalle opportunità che offre;<br />
tutto ciò in relazione alla risposta<br />
ai bisogni e nell’offerta di occasioni<br />
orientate a garantire il pieno godimento<br />
dei diritti di cittadinanza. Siamo peraltro<br />
concordi che, nell’analisi previa<br />
del rapporto individuo - territorio, "esso<br />
è determinato dalle rappresentazioni<br />
simboliche che vengono prodotte<br />
nel corso della storia" (Callari Galli,<br />
1978) e che esse, anche indirettamente,<br />
influiscono sui processi e sugli accadimenti<br />
che in esso avvengono.<br />
Ma andiamo per ordine, innanzitutto<br />
mantenendo fisso lo sguardo sulla condizione<br />
marginale dei nostri; davvero<br />
43
Tematica<br />
è possibile affermare, quasi come provocazione,<br />
che il territorio è lo spazio<br />
degli affetti, il luogo degli scambi sia<br />
materiali sia relazionali, e questo, se è<br />
vero per la maggior parte delle persone,<br />
può esserlo ancor più per le<br />
quelle <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>. Questa induzione<br />
muove dal significato primo ed immediato<br />
che lo scambio, il possesso, i<br />
cosiddetti beni materiali assolvono,<br />
nella vita di strada, ad una funzione<br />
non tanto simbolica ma pratica. Tutto<br />
ciò avviene grazie alle relazioni, ai<br />
contatti, alle pratiche di commercio,<br />
a quanto può essere utile al sostentamento<br />
quotidiano, finanche alla mercificazione<br />
della propria identità e del<br />
sacro 17 .<br />
Il territorio non è solo il luogo dello<br />
scambio ma anche lo spazio della costruzione<br />
di rapporti di donazione e<br />
ricezione, dove l’oggetto di scambio<br />
non è più il bene singolo, dotato di<br />
una sua materialità, ma è la persona<br />
stessa 18 . La difficoltà è riconoscere come<br />
la persona <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> possa<br />
rientrare in una logica di questo genere,<br />
nonostante l’attuale dimensione<br />
economicista e mercificante della vita<br />
che richiede, come vincolo di cittadinanza,<br />
la disponibilità economica<br />
orientata all’acquisto di beni mobili<br />
od immobili, durevoli o meno. Anche<br />
sul piano dell’identità lavorativa ritroviamo<br />
la persona costretta ad assumere<br />
schemi di vita alienanti e illiberali.<br />
Tutto ciò è presumibile che sia l’effetto<br />
disatteso di una più ampia concezione<br />
del lavoro, quindi della vita, di<br />
stampo flessibilista 19 . Questa non è una<br />
forzatura e neanche l’utopico desiderio<br />
che le persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> possano<br />
essere riconosciute all’interno del-<br />
44<br />
la società: esse sono la società. Per dirla<br />
con altre parole la polarizzazione<br />
fra i termini incluso - escluso conferma<br />
un’azione tesa alla rimozione della<br />
povertà. Essa peraltro viene vista e<br />
percepita come minaccia ma ancor più<br />
come dato di realtà capace di interrogare<br />
ciascuno, nessuno escluso.<br />
Il territorio è luogo di appartenenza,<br />
luogo dove la persona esprime se stessa<br />
e dove può essere possibile esigere<br />
il diritto (auspicabile ma improbabile)<br />
di definire una nuova etica delle relazioni.<br />
Non è impossibile superare la<br />
dialettica dentro - fuori purché si espliciti<br />
fra le varie possibilità anche l’obiettivo<br />
perseguito dal territorio di superare<br />
un deficit di socialità, perseguendo<br />
politiche ed interventi volte a diminuire<br />
la sofferenza delle persone che<br />
hanno come denominatore comune l’esperienza<br />
della strada attraverso idee<br />
ed azioni volte al coinvolgimento ed<br />
alla corresponsabilità.<br />
La spinta al coinvolgimento del territorio<br />
per un politica della salute per<br />
le persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> dice la necessità<br />
di strutturare percorsi di promozione<br />
della salute affinché nel novero<br />
dei beni ritenuti necessari alla sopravvivenza<br />
vi sia, in coloro che stanno in<br />
strada, una coscienza del proprio benessere<br />
capace di includere la dimensione<br />
igienico sanitaria 20 . Inoltre auspichiamo<br />
che questo processo fornisca,<br />
sia sul breve che sul medio periodo,<br />
consapevolezza sia delle necessità immediate<br />
sia dei presupposti per un<br />
maggior benessere 21 .<br />
Superando l’effetto prodotto dai servizi<br />
che talvolta costringono la persona<br />
ad una dipendenza dalle prestazioni,<br />
occorrerebbe operare per un effi-
cace empowerment orientato a consentire<br />
un passaggio dalla dipendenza<br />
all’autonomia, dall’inefficacia all’efficacia<br />
dalla superficialità alla profondità<br />
delle ragioni e dei desideri esistenziali.<br />
A fronte di questi orientamenti, vieppiù<br />
ipotetici, il reale vincolo di fronte<br />
al quale ci si deve arrestare è l’organizzazione<br />
territoriale dei servizi sanitari;<br />
difatti, essi non permettono l’accesso<br />
alla prestazione a fronte di vincoli<br />
burocratici quale, ad esempio, la certificazione<br />
della residenzialità del soggetto<br />
sul territorio di competenza del<br />
servizio stesso 22 . A fronte di questo ci<br />
chiediamo se la persona <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong><br />
(e per definizione <strong>senza</strong> una domiciliazione<br />
fissa) debba essere considerata<br />
nel territorio, quindi con un vincolo<br />
maggiormente labile, oppure essa debba<br />
essere considerata del territorio,<br />
quindi con una serie di relazioni e di<br />
appartenenze per essa significative.<br />
Ai più crediamo che, indubbiamente,<br />
sfuggano gli elementi che possono rendere<br />
significative alcune storie di pre<strong>senza</strong><br />
e di radicamento sul territorio<br />
ma quello che resta come questione<br />
centrale è l’esistenza del diritto della<br />
persona <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> di scegliere un<br />
territorio e renderlo per essa significativo<br />
sia sul piano delle relazioni, sia<br />
sul piano dei benefici materiali che ne<br />
possono derivare.<br />
A nostro modo di vedere tutti i soggetti,<br />
non solo quelli che dispongono<br />
di risorse economiche allocabili e orientabili<br />
a piacimento, devono poter godere<br />
ed esercitare il diritto a localizzare<br />
le proprie attese, a strutturare le proprie<br />
relazioni, a pensare e progettare<br />
il proprio futuro dove lo ritengono<br />
Tematica<br />
significativo, utile e finanche possibile.<br />
Secondo questa logica potremmo<br />
passare da una libertà spesso formale<br />
perché formalizzata ad una libertà sostanziale<br />
purché definita in primo luogo<br />
dalla persona e non da un sistema<br />
eteronomo.<br />
Con la prospettiva di un intervento a<br />
favore delle persone in stato di grave<br />
emarginazione, i servizi del territorio<br />
potrebbero assicurare, a tutti, l’accesso<br />
alle prestazioni predisponendo limitati<br />
vincoli d’accesso cercando al tempo<br />
stesso opportune mediazioni e declinazioni<br />
circa gli obiettivi definiti dalla<br />
loro mission; ciò anche grazie ad un<br />
confronto con gli operatori territoriali<br />
e con tutte le strutture di prossimità<br />
che storicamente progettano e implementano<br />
interventi rivolti alle persone<br />
adulte gravemente emarginate.<br />
In questo senso si riannodano i fili di<br />
una cittadinanza capace di ribadire a<br />
tutti la necessità di essere e sentirsi attivi<br />
per quello che si è ma anche destinatari<br />
di una socialità diffusa e reale<br />
in grado di inglobare al suo interno<br />
la tutela della salute. Ribadiamo che,<br />
oltre la necessaria pre<strong>senza</strong>, v’è la necessità<br />
di un diritto alla partecipazione<br />
al benessere sociale esteso a tutti, quindi<br />
anche alle persone in stato di estrema<br />
povertà.<br />
Intravediamo la necessità che si operi<br />
per una (ri)collocazione dei diritti sociali,<br />
e quindi anche quello della salute,<br />
all’interno sia del contesto (il territorio)<br />
sia negli spazi di relazione (la<br />
società); è forse una sfida 23 , ma certamente,<br />
in questa, la comunità può giocare<br />
un ruolo orientato all’assunzione<br />
di diverse modalità di pre<strong>senza</strong> e relazione<br />
orientate al prendersi cura.<br />
45
Tematica<br />
Community Care, il cui significato è appunto<br />
quello di teorizzare una comunità<br />
capace di farsi carico dei soggetti<br />
deboli, diventa modello operativo,<br />
spazio interpretativo ed esigenza imprescindibile<br />
perché si superino sia i<br />
precedenti schemi di analisi del bisogno<br />
sia i vetusti modelli settoriali di<br />
intervento.<br />
Tutto ciò è possibile realizzarlo attraverso<br />
il coinvolgimento, l’orientamento,<br />
e quanto altro può efficacemente<br />
promuovere reti di supporto e di sostegno<br />
superando la separazione tra formale<br />
ed informale. In sintesi potremmo<br />
dire che l’operazione è volta a fornire<br />
cittadinanza ai diritti.<br />
POLITICHE SANITARIE E DIRITTO<br />
ALLA SALUTE<br />
Nel paragrafo precedente abbiamo accennato<br />
al fatto che non può esserci<br />
tutela del diritto alla salute <strong>senza</strong> un<br />
riferimento territoriale che ne sancisca<br />
vincoli e opportunità, scorriamo ora le<br />
politiche sanitarie che hanno caratterizzato<br />
gli interventi negli ultimi anni<br />
della nostra storia.<br />
Il riferimento alla costituzione italiana,<br />
come accennato nel §1, altro non fa che<br />
ricordarci l’interesse dello Stato di garantire<br />
l’uguaglianza di tutti i cittadini<br />
a fronte della loro diversa collocazione<br />
territoriale. A partire dalla legge di riforma<br />
del servizio sanitario attuata nel<br />
1978 (n°833), nella quale le casse e mutue<br />
assicurazioni lasciavano il posto ad un<br />
servizio sanitario nazionale, viene ribadito<br />
il concetto di sostanziale uguaglianza<br />
e si perviene ad un principio<br />
universalistico. A seguito della seconda<br />
riforma iniziata con la legge delega<br />
del 1992 (n° 421) proseguita con<br />
46<br />
i dd.ll. del 30 Dicembre 1992 (n° 502)<br />
e del 7 Dicembre 1993 (n° 517) si vengono<br />
a creare nuove condizioni circa<br />
il rapporto tra il paziente, la struttura<br />
sanitaria, il territorio e lo Stato.<br />
Il modello che ne esce è definito particolaristico/meritocratico<br />
24 ovvero orientato<br />
a limitare il diritto della persona alla<br />
cura collegandolo alla compatibilità<br />
della spesa. Se è vero che negli anni<br />
precedenti il deficit prodotto nel campo<br />
della spesa sanitaria era eccessivo,<br />
anche in relazione alla quantità e alla<br />
qualità delle prestazioni erogate, la riforma<br />
sollecita una diversa organizzazione<br />
del sistema e ne definisce gli strumenti<br />
per il suo controllo 25 . Questo processo<br />
di aziendalizzazione (appunto<br />
non più il Comune bensì l’Azienda Sanitaria<br />
Locale) condurrà ben presto all’assunzione<br />
di nuovi criteri di funzionamento<br />
quali efficienza, verifica, controllo,<br />
e qualità. Nel passaggio di competenze,<br />
di programmazione e definizione<br />
degli obiettivi, si aprono nuovi<br />
spazi e nuove opportunità per un privato<br />
non solo solidaristico ma anche<br />
profit, quindi orientato al guadagno.<br />
Siamo nello spazio della salute mercanteggiata<br />
la quale in un circolo bisogno<br />
-> richiesta -> prestazione -> erogazione,<br />
rimane vittima della mercificazione<br />
indotta dallo scopo di incanalare<br />
questa nuova corrente di denaro e<br />
sovvenzionamenti 26 . Affermare che sulla<br />
salute non ci si può guadagnare e<br />
che le forme di presunta eccellenza<br />
spostano l’orizzonte sia dell’intervento<br />
che del suo senso verso un individualismo<br />
e un mercanteggiamento del<br />
benessere, significa riaffermare la necessità<br />
circa l’espressione di un diritto<br />
soggettivo alla cura e all’intervento
sanitario quando richiesto in accordo<br />
con tempi che non siano di aggravio<br />
alla situazione. Ma chi può dirsi tutelato<br />
in questa che era ed è per alcuni<br />
aspetti la situazione a fronte della riforma<br />
del ‘92? Un tentativo di risposta<br />
ci arriva dalla terza riforma sanitaria<br />
del 1998 (Legge Delega n° 419) che ribadisce<br />
con forza e chiarezza il diritto<br />
alla tutela della salute con una riaffermazione<br />
del diritto soggettivo alla stessa.<br />
Sono però altre le novità della Legge,<br />
fra esse vogliamo ricordare: il tema<br />
della programmazione (sia a livello nazionale<br />
che a livello regionale secondo<br />
un principio di sussidiarietà verticale<br />
che permette alla regione stessa di pensare<br />
e progettare e programmare le modalità<br />
ritenute maggiormente corrette<br />
di realizzare gli obiettivi definiti a livello<br />
macro dallo stato), il ruolo dei comuni<br />
rafforzato e reinclusi dopo l’esclusione<br />
prodotta dalla L.833/78, la definizione<br />
dei Livelli Essenziali ed uniformi<br />
di Assistenza (abbr. L.E.A.) a livello nazionale<br />
che dicono un possibile universalismo<br />
dei bisogni ma anche la considerazione<br />
della difficile priorità riconosciuta<br />
e fornita alle necessità nazionali<br />
27 , il tema della formazione del personale<br />
sanitario e l’aggiornamento relativo<br />
alle professionalità con l’introduzione<br />
dei crediti di Educazione Continua<br />
in Medicina (abbr. E.C.M.), l’esercizio<br />
della libera scelta circa gli interventi nei<br />
luoghi dove godere della prestazione,<br />
la relazione fra pubblico e privato profit<br />
con la definizione dei parametri e dei<br />
vincoli del rapporto caratterizzati per<br />
le cosiddette quattro A: Autorizzazione<br />
alla localizzazione, Autorizzazione<br />
all’esercizio, Accreditamento istituzionale,<br />
Accordo contrattuale.<br />
Tematica<br />
Tutto ciò comunica da un lato lo sforzo<br />
per una politica sanitaria capace di<br />
ricentrare la tutela della salute 28 , evitando<br />
una sua sanitarizzazione ed una<br />
medicalizzazione estrema, dall’altro un<br />
processo di riforma caratterizzato da<br />
una paradossale riconferma della disattenzione<br />
portata alle persone che non<br />
sono in grado di esercitare appieno il<br />
diritto soggettivo di scelta, ovvero l’impossibilità<br />
perché si strutturi un percorso<br />
capace di ridare alla salute la caratteristica<br />
di luogo di espressione di<br />
tutta la persona e non solo della parte<br />
malata riconsegnandole sia i mezzi per<br />
accedervi che i necessari strumenti di<br />
senso 29 .<br />
Al di là di possibili strumentalizzazioni<br />
ideologiche non possiamo non cogliere<br />
tutte le difficoltà circa l’ integrazione<br />
tra sociale e sanitario nel quale<br />
chi è povero (di risorse, oltre che di strumenti<br />
e cognizione circa il loro utilizzo)<br />
scarsamente accede alla prestazione,<br />
anche laddove essa può essere erogata.<br />
La tanto richiamata libertà di scelta<br />
è ancora prima una difficoltà ad essere<br />
davvero liberi circa la scelta degli<br />
strumenti. Non è, come risulta peraltro<br />
evidente, un problema di risorse<br />
quanto una questione di educazione<br />
al loro utilizzo e la necessaria definizione<br />
di percorsi di accompagnamento,<br />
di tutela e di advocacy; la questione<br />
postula il chiarimento su chi sono<br />
i soggetti chiamati a fornire una possibile<br />
risposta al bisogno espresso.<br />
Siamo peraltro testimoni di una questione<br />
altamente problematica: la situazione<br />
delle persone irregolarmente presenti<br />
sul territorio nazionale. Per irregolari<br />
intendiamo sia coloro i quali si<br />
trovano in difetto rispetto alle leggi<br />
47
Tematica<br />
vigenti in tema di immigrazione 30 sia<br />
tutta una fascia di popolazione di italiani<br />
<strong>senza</strong> una <strong>dimora</strong> fissa certificata<br />
sul documento di identità. Quali azioni<br />
sono promosse a loro favore ?<br />
La L. 40/1998 31 , il D.L. 286/1998 ed in<br />
particolare la Circolare n°5 del Ministero<br />
della Sanità del 24 Marzo 2000, affermano<br />
alcuni principi di tutela sanitaria<br />
degli stranieri presenti sul territorio italiano,<br />
peraltro già specificati molto più<br />
ampiamente dal D.L.18 novembre 1995,<br />
n° 489 32 , sottolineando che la salute, almeno<br />
nel nostro ordinamento, è un bene<br />
ascrivibile all’uomo in quanto persona,<br />
oltremodo in essi si riconoscono<br />
quei tratti di egualitarismo i quali, già<br />
definiti dalla nostra costituzione, pongono<br />
sullo stesso piano dei diritti e dei<br />
doveri, italiani e stranieri. Una affermazione<br />
di civiltà che corre il rischio di<br />
rimanere un principio poco praticabile<br />
per alcuni (gli italiani <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>) e<br />
inapplicabile per altri (gli extracomunitari<br />
irregolari). Non dobbiamo infatti<br />
dimenticare che l’affermazione di un<br />
principio deve coniugarsi con il vissuto<br />
del singolo, ovvero con una percezione<br />
del sé e del proprio bisogno in misura<br />
sufficiente per l’attivazione delle risorse<br />
personali o sociali orientate ad un<br />
benessere oggettivo, situazione questa<br />
peraltro non realizzabile nelle persone<br />
<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> e nelle persone extracomunitarie<br />
in situazione di emarginazione.<br />
Le prime, difatti, vivono il loro<br />
rapporto con il servizio o la struttura<br />
che potrebbe erogare loro una prestazione,<br />
secondo una logica di diffidenza<br />
e rassegnazione, le seconde perché, non<br />
conoscendo i loro diritti e generando<br />
una diffidenza verso tutto ciò che potrebbe<br />
rendere irrealizzabile il proprio<br />
48<br />
progetto migratorio, orientano la richiesta<br />
verso altri luoghi, spesso appartenenti<br />
alla sfera del privato sociale.<br />
Tutti questi elementi di precarietà producono<br />
cronicità più che sviluppo ma<br />
anche dipendenza più che autonomia<br />
e promozione.<br />
In conclusione, prima di affrontare la<br />
questione di come il privato sociale<br />
possa svolgere alcuni possibili compiti<br />
rivolti alla tutela della salute, confermiamo<br />
la preoccupazione circa l’impossibilità<br />
reale di alcune fasce di popolazione<br />
ad accedere ai servizi, nell’attivarli<br />
propriamente, finanche di avvicinarsi<br />
confermando di fatto l’evoluzione<br />
verso una società dove vige una<br />
parzialità del benessere la cui ricomposizione<br />
è affidata e riconsegnata al profit<br />
capace di imporre le sue regole di<br />
mercato in una logica di concorrenza<br />
dove il diritto alla scelta è diritto a remunerare<br />
economicamente qualcuno<br />
perché scelga al nostro posto.<br />
TERZO SETTORE E DIRITTO ALLA<br />
SALUTE<br />
Ad una domanda sono possibili molteplici<br />
risposte, fra queste alcune attengono,<br />
per competenza, al settore pubblico<br />
altre al settore privato; chi definisce<br />
i limiti dell’uno per lasciare spazio<br />
all’altro ? La risposta la lasciamo<br />
aperta, pur tuttavia sottolineiamo come<br />
il privato sociale ha da sempre risposto<br />
ai bisogni e alle urgenze promuovendo<br />
una cultura della responsabilità delle<br />
istituzioni e del territorio. La domanda<br />
precedente circa il senso e il significato<br />
che potrebbe essere fornito al tema<br />
dell’accompagnamento delle persone<br />
in stato di grave emarginazione, trova<br />
ora alcune risposte attraverso la lettura
dei dati circa l’intervento a livello nazionale.<br />
Dalla ricerca promossa nell’anno<br />
duemila dal Dipartimento degli Affari<br />
Sociali 33 emerge una cospicua pre<strong>senza</strong><br />
di servizi che forniscono prestazioni<br />
sanitarie a favore di persone in<br />
stato di emarginazione. La ricerca mostra<br />
come in 96 delle 103 città campionate<br />
34 esistono servizi per le persone<br />
<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> e come fra queste (ne sono<br />
state censite 499) 173 forniscono (anche)<br />
assistenza sanitaria. Circa le tipologie<br />
dei servizi offerti si evidenzia la<br />
strutturazione di interventi a diverso<br />
livello: dalla consulenza medica generica,<br />
alle visite specialistiche, alle prestazioni<br />
ambulatoriali di tipo infermieristico,<br />
alle cure dentarie, alla distribuzione<br />
di farmaci, alla mediazione con<br />
i servizi del territorio, alla diagnostica<br />
in collaborazione con i laboratori delle<br />
Aziende sanitarie per finire con un<br />
livello più ampio di prevenzione circa<br />
alcune malattie infettive come TBC ed<br />
epatiti.<br />
Questo dato, oltre che comunicare l’impegno<br />
rilevante a favore di questo diritto,<br />
dice anche l’importanza data al<br />
fenomeno della emarginazione grave<br />
che assume in sé caratteri differenti<br />
poiché se è vero che le persone <strong>senza</strong><br />
<strong>dimora</strong> non possono essere collocate<br />
in una categoria tipologica prevalente<br />
è anche vero che i servizi vengono offerti<br />
ad una fascia indistinta di popolazione<br />
più ampia. Difatti nel 85% dei<br />
casi i servizi affermavano di occuparsi<br />
indistintamente sia di italiani sia di<br />
stranieri. Questo dato consente di cogliere<br />
come diverse fasce di popolazione<br />
intendono e vivono il rapporto con<br />
la propria salute ma anche la relazione<br />
con il territorio ed i servizi di natura<br />
Tematica<br />
medico - sanitaria. Le persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong><br />
hanno una bassa compliance alla<br />
cura poiché godono una percezione<br />
della propria salute che potremmo definire<br />
distorta, ovvero vi è gap tra bisogno<br />
reale di cura e necessità manifestata<br />
tanto che solo una bassissima percentuale,<br />
stimata nell’ordine dell’1% 35 ,<br />
formula una richiesta, non necessariamente<br />
precisa, di assistenza medico sanitaria.<br />
Normalmente la salute viene<br />
considerata secondaria rispetto ai problemi<br />
che caratterizzano la vita in strada<br />
e alle risposte ad essa necessarie (un<br />
giaciglio, del cibo, delle coperte o degli<br />
indumenti puliti); a questo si collega anche<br />
il tema della igiene personale che si<br />
aggrava assai nei casi in cui è presente<br />
una distanza percettiva da se stessi ed<br />
un abbandono determinato da sofferenze<br />
psicologiche.<br />
Nel caso delle persone extracomunitarie,<br />
poi, si coglie la tendenza ad usufruire<br />
del servizio sanitario per dare<br />
risposte a problemi che sono spesso di<br />
natura sociale 36 , intendendo con questa<br />
la somma di questioni legate al progetto<br />
migratorio, in atto o fallito, al confronto<br />
fra la cultura di provenienza e<br />
quella del luogo in cui vivono, ma anche<br />
alla mutate condizioni di vita caratterizzate<br />
paradossalmente da maggior<br />
benessere.<br />
Il sintomo di un malessere percepito ed<br />
esibito dalle persone in stato di grave<br />
emarginazione, italiane e straniere, somatizza,<br />
in realtà, un reale stato di disagio<br />
esistenziale di fronte al quale la<br />
persona, talvolta, si “arrende”.<br />
Nell’ambito di questa analisi, che chiariamo<br />
non è un confronto fra le fasce<br />
di popolazione italiana e straniera, è<br />
necessario introdurre ulteriori variabi-<br />
49
Tematica<br />
li che complessificano la questione del<br />
godimento del diritto alla salute.<br />
Oltre alla difficoltà circa l’accesso ai servizi<br />
sia per motivi burocratici, come la<br />
mancanza della residenza anagrafica<br />
accennata precedentemente, sia per la<br />
scarsa visibilità e vivibilità degli stessi<br />
37 , è necessario considerare l’as<strong>senza</strong><br />
di altri elementi che riteniamo necessari:<br />
essi sono un luogo dove fisicamente<br />
è possibile curarsi e la mancanza<br />
del denaro eventualmente necessario<br />
per l’acquisto delle medicine.<br />
A fronte di una percentuale molto alta<br />
di afflusso alle strutture ci sembra sia<br />
possibile individuare con precisione i<br />
servizi erogati, le prestazioni specialistiche<br />
ed i farmaci distribuiti, di meno<br />
tutto il percorso che si presume caratterizzi<br />
il post intervento sanitario.<br />
Cogliamo un “abbandono” a loro stessi<br />
che richiama e richiede alle associazioni<br />
di promuovere percorsi diversi,<br />
orientati ad una educazione sanitaria<br />
che prepari l’intervento ridando al soggetto<br />
la coscienza del bisogno, strutturi<br />
forme di accoglienza e di risposta flessibili<br />
e progetti un dopo per il mantenimento<br />
delle relazioni e la prosecuzione<br />
delle eventuali terapie ad un livello<br />
qualitativamente alto.<br />
CENNI CIRCA LO STATO DI SA-<br />
LUTE DEI SENZA DIMORA<br />
Una indagine epidemiologica, di natura<br />
longitudinale, circa le patologie<br />
delle persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> non è ancora<br />
stata prodotta; ribadendone la necessità<br />
analizziamo alcune informazioni<br />
provenienti da una ricerca promossa<br />
e condotta nell’anno duemila dal<br />
<strong>Servizi</strong>o di Medicina Preventiva delle<br />
Migrazioni, del Turismo e di Derma-<br />
50<br />
tologia Tropicale dell’Istituto San Gallicano<br />
(IRCCS) di Roma.<br />
Sinteticamente i dati confermano che<br />
la condizione di salute delle persone<br />
<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> è spesso determinata da<br />
un’alta esposizione a fattori di rischio<br />
nocivi per la salute, un’alta esposizione<br />
a traumi, incidenti e violenze, un’alta<br />
prevalenza di malattie, un insufficiente<br />
accesso all’assistenza sanitaria,<br />
un’alta mortalità. Tutto questo orienta<br />
la riflessione e ci permette di cogliere<br />
come l’elemento strada sia per chi vi<br />
è da lungo tempo, sia per chi vi è da<br />
poco arrivato è uno spazio dove il corpo,<br />
diventa sempre più oggetto sottoposto<br />
alle avversità e alle vicissitudini<br />
di un quotidiano orientato alla sopravvivenza.<br />
Non vanno dimenticati alcuni<br />
comportamenti dannosi per la salute<br />
quali il fumo, l’alcool e le droghe<br />
che incrementano lo stato di disagio<br />
sanitario della persona creando le condizioni<br />
perché un circolo vizioso determini,<br />
secondo modalità cicliche, una<br />
evoluzione dello stato di salute sempre<br />
più precario 38 .<br />
Le patologie di cui sono portatori i soggetti<br />
<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> alcune volte non sono<br />
particolarmente gravi, fra queste<br />
troviamo problemi cutanei, gastrointestinali<br />
e infettivi, evidentemente prodotti<br />
da fattori quali l’impossibilità di<br />
gestire la propria nutrizione in modo<br />
adeguato e controllato, la possibilità di<br />
vedere garantita la propria igiene personale<br />
attraverso l’accesso non sporadico<br />
ai servizi doccia, il contatto con la<br />
strada e i suoi spazi i quali, veicolano<br />
numerosi agenti patogeni. Altre situazioni<br />
patologiche caratterizzano diversamente<br />
lo stato di salute del <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>,<br />
fra esse ricordiamo tutte le situa-
zioni di disabilità fisica come la mancanza<br />
di un arto o l’utilizzo di ausili<br />
ortopedici.<br />
Una classificazione delle principali patologie<br />
evidenzia importanti informazioni.<br />
Gruppi di patologie più frequenti per genere<br />
- (valori percentuali)<br />
Gruppi di patologie<br />
Infettive<br />
Gastrointestinali<br />
Psichiche<br />
+ Sistema nervoso<br />
Cutanee<br />
Malesseri a specifici<br />
Respiratori<br />
Traumi<br />
Ematologiche<br />
+ ormonali<br />
Genitourinario<br />
Circolatorie<br />
Osteomuscolari<br />
Tumorali<br />
TOTALI<br />
Uomini<br />
14,8<br />
3,3<br />
1,6<br />
0,6<br />
1,6<br />
0,4<br />
0,6<br />
0,8<br />
1,9<br />
1,0<br />
0,4<br />
0,2<br />
27,4<br />
Donne<br />
28,8<br />
8,8<br />
10,7<br />
3,9<br />
4,3<br />
3,1<br />
3,5<br />
3,3<br />
2,1<br />
2,3<br />
1,4<br />
0,4<br />
72,6<br />
Totale<br />
43,6<br />
12,1<br />
12,3<br />
4,5<br />
6,0<br />
3,5<br />
4,1<br />
4,1<br />
3,9<br />
3,3<br />
1,9<br />
0,6<br />
100<br />
Fonte: <strong>Servizi</strong>o di Medicina Preventiva delle Migrazioni,<br />
del Turismo e di Dermatologia Tropicale dell’Istituto<br />
San Gallicano (IRCCS) di Roma<br />
Un primo aspetto di grande impatto,<br />
che avrebbe bisogno di una indagine<br />
supplementare di natura qualitativa,<br />
riguarda il dato di genere; la tabella<br />
precedente mostra una percentuale assolutamente<br />
sbilanciata sul disagio femminile<br />
39 . I dati raccolti, incrociati con le<br />
statistiche circa le diagnosi effettuate,<br />
rivelano la netta prevalenza di patologie<br />
infettive contratte presumibilmente<br />
dalla stretta relazione vissuta in<br />
spazi della strada con soggetti a loro<br />
volta portatori di infezioni nonché dal-<br />
Tematica<br />
lo scambio di beni e oggetti personali<br />
che diventano veicolo di infezione (siringhe<br />
e arnesi metallici nel caso dell’epatite<br />
ma anche piatti, bicchieri, abiti<br />
ed indumenti non puliti, ecc…). Altre<br />
informazioni ci provengono dall’analisi<br />
delle diagnosi effettuate presso gli<br />
ambulatori collegati all’Istituto san Gallicano.<br />
Prime dieci diagnosi più frequenti per genere<br />
- (valori percentuali)<br />
Diagnosi<br />
Epatite virale A<br />
Epatite virale B<br />
Dipendenza<br />
da eroina<br />
Epatite virale C<br />
Infezione<br />
delle vie urinarie<br />
Epatomegalia<br />
Dipendenza<br />
da Alcool<br />
Dermatofitosi<br />
Dipendenza<br />
da Cocaina<br />
Gastrite e duodenite<br />
Uomini<br />
30,0<br />
18,6<br />
5,9<br />
5,7<br />
2,8<br />
2,8<br />
3,6<br />
1,6<br />
2,0<br />
1,6<br />
Donne<br />
12,6<br />
6,3<br />
1,2<br />
0,6<br />
1,8<br />
1,0<br />
0,0<br />
0,8<br />
0,4<br />
0,6<br />
Totale<br />
42,5<br />
24,9<br />
7,1<br />
6,3<br />
4,7<br />
3,8<br />
3,6<br />
2,4<br />
2,4<br />
2,2<br />
Fonte: <strong>Servizi</strong>o di Medicina Preventiva delle Migrazioni,<br />
del Turismo e di Dermatologia Tropicale dell’Istituto<br />
San Gallicano (IRCCS) di Roma<br />
Fra le informazioni riportate notiamo<br />
come la patologia psichiatrica 40 , seppur<br />
presente in misura significativa nella<br />
tabella dei gruppi di patologie più frequenti<br />
(12,3 %), non rientra fra le prime<br />
dieci diagnosi effettuate, questo ad<br />
una prima interpretazione può significare<br />
che l’insorgenza di manifestazioni<br />
psichiatriche lievi ascrivibili alla sopraccitata<br />
categoria può essere il frutto<br />
di una più stretta relazione fra medico<br />
e paziente volta a riconsiderare tutto<br />
l’insieme della persona e non solo le<br />
51
Tematica<br />
acuzie a carattere infettivo o dermatologico.<br />
Ancora una volta riscopriamo<br />
come il modello medico sanitarizzante<br />
rischia di essere deficitario in confronto<br />
ad un modello capace di salvaguardare<br />
tutte le dimensioni esistenziali del<br />
soggetto (psichica, biologica e sociale)<br />
che pone al tempo stesso le condizioni<br />
perché esse si esprimano.<br />
Il tema appena accennato circa la<br />
coscienza dell’essere malati, o forse dovremmo<br />
dire della necessità di mantenersi<br />
in salute, è un dato che assume<br />
caratteristiche diverse a seconda<br />
del livello di istruzione. Come hanno<br />
rilevato Vinei e Capri (1994) la modalità<br />
d’uso dei servizi sanitari, siano essi<br />
pubblici o sanitari, variano a seconda<br />
del livello di istruzione, ma ancora<br />
più si evidenzia l’esistenza di una<br />
chiara associazione tra la classe sociale<br />
(misurata a partire dalla condizione<br />
professionale e dal titolo di studio) e<br />
la probabilità di avere una malattia in<br />
stadio più avanzato al momento del<br />
ricovero. Non solo, dobbiamo rilevare<br />
anche come le persone sono diversamente<br />
curate ed hanno un diverso accesso<br />
ai servizi sanitari a seconda del<br />
livello di reddito ed ancora, del diverso<br />
livello di istruzione. Poiché la maggior<br />
parte dei <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> ha un livello<br />
di istruzione medio basso (le statistiche<br />
ci dicono che solo il 12% ha una<br />
licenza media superiore o una laurea<br />
41 ) vediamo realizzata un nefasta<br />
profezia che si auto avvera capace di condurre<br />
la persona a rinunciare all’accesso<br />
secondo quella pratica tipica dei<br />
<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> definita "adattamento<br />
per rinuncia" (Gui, 1995). In realtà tale<br />
“scacco” è anche determinato da altri<br />
fattori e dall’intreccio di storie e fatti<br />
52<br />
che hanno caratterizzato e caratterizzano<br />
la relazione del soggetto con il<br />
mondo esterno. Dinieghi, mancanza<br />
di flessibilità e disponibilità ad una presa<br />
in carico di natura olistica conducono<br />
inevitabilmente la persona ad una<br />
resa che si specifica su ogni piano: su<br />
quello sociale, su quello della salute<br />
mentale su quello del benessere più in<br />
generale.<br />
Credo sia possibile affermare che per le<br />
persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>, anche quelle<br />
maggiormente strutturate, la percezione<br />
del proprio corpo sia sempre oggettivamente<br />
difficile nel confronto con<br />
una “normalità” ed una diffusa “percezione<br />
sociale” che fa del proprio corpo<br />
oltre che il mezzo per la relazione<br />
con gli altri anche la sede di un benessere<br />
visibile. Ci troviamo in un clima<br />
di società del fitness nella quale c’è un<br />
paradossale bisogno di esorcizzare<br />
qualcosa o qualcuno allo scopo di affermare<br />
e confermare un generale<br />
“ben-essere”. La marginalizzazione, vale<br />
la pena ricordarlo, è anche un processo<br />
eteroindotto nel quale chi ha meno<br />
strumenti di interpretazione critica<br />
vi soccombe.<br />
Il corpo, nella visione del <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>,<br />
che diventa oggetto è ciò che può<br />
essere sottoposto ad altre regole. Dal<br />
momento che gli oggetti possono essere<br />
alienati, manipolati, scambiati, venduti<br />
o comperati non c’è da stupirsi<br />
che in alcuni casi avvenga questa trasformazione:<br />
la persona <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong><br />
arriva a considerare il proprio corpo come<br />
puro oggetto, con pura oggettualità.<br />
Prostituzione, esercizio della sessualità<br />
in luoghi pubblici, assolvimento<br />
dei bisogni fisiologici dove capita,<br />
superano il problema del pudore e del
vincolo morale e accedono alla sfera<br />
della pura espressione istintuale della<br />
risposta ad un bisogno di natura fisiologica<br />
o pulsionale in quel momento<br />
impellente. Non è fuori luogo domandarsi,<br />
in conclusione di questi brevi<br />
cenni sulla salute dei <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>,<br />
quale percorso riabilitativo ed educativo<br />
debba essere pensato o quali spazi<br />
debbano essere strutturati per rispondere<br />
ad una domanda, inespressa quanto<br />
inevasa, di maggiore dignità.<br />
UN’AREA PROBLEMATICA: LA SA-<br />
LUTE MENTALE<br />
Fra i vari interventi sanitari il tema della<br />
salute mentale è vieppiù considerato,<br />
nella situazione delle persone <strong>senza</strong><br />
<strong>dimora</strong>, come un dato che appartiene<br />
alla normalità della condizione esistenziale<br />
di chi vive in strada; in questo<br />
approccio peraltro un equivoco è presente.<br />
Innanzitutto dobbiamo rilevare<br />
che prima di parlare di malattia mentale<br />
è più corretto considerare il percorso<br />
progressivo che caratterizza l’evoluzione<br />
o la involuzione del benessere<br />
del soggetto 42 . Parlare quindi di malattia<br />
mentale significa spesso, nel caso<br />
delle persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>, riconoscere<br />
un processo in atto e non solo una<br />
situazione cronica definibile tramite gli<br />
strumenti diagnostici ad oggi in uso.<br />
Spesso si equivoca ritenendo che la malattia<br />
mentale possa essere un dato precedente<br />
all’arrivo in strada, la cui genesi<br />
complessa assomma fattori biologici,<br />
economici, educativi, familiari, sociali<br />
43 . È più probabile invece che, la<br />
strada ponga il soggetto nella condizione<br />
di difendersi, peraltro con scarsi risultati,<br />
dagli attacchi e dalle sollecitazioni<br />
del mondo, e crei le condizioni<br />
Tematica<br />
per l’insorgere di disturbi progressivamente<br />
cronici. In entrambi le situazioni<br />
c’è un innalzamento delle barriere<br />
dell’Io così serio da diventare in alcuni<br />
casi realmente fisico 44 .<br />
La questione si rende complessa se pensiamo<br />
che l’intervento, a favore delle<br />
persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>, assume carattere<br />
residuale nel momento in cui i servizi<br />
non offrono garanzie in termini di<br />
presa in carico e continuità nella relazione<br />
e nella cura che deve essere promossa<br />
e attivata. L’adduzione di motivazioni<br />
quali l’impossibilità di seguire la<br />
persona perché non in possesso di un<br />
domicilio (un giaciglio) fisso o perché<br />
incapace di mantenere tempi e modalità<br />
della relazione (ancora una volta<br />
ci scontriamo con la richiesta che l’utente<br />
assuma gli schemi di relazione<br />
definiti dalla struttura) hanno condotto<br />
nel corso di alcuni anni di pratica e<br />
riflessione a pensare a nuove modalità<br />
e a nuove strategie di intervento capaci<br />
di avvicinare e supportare il <strong>senza</strong><br />
<strong>dimora</strong> nel suo percorso di progressivo<br />
benessere esistenziale e psicologico.<br />
E’ importante comunque chiarire che<br />
proporre un intervento a carattere altamente<br />
professionale, promosso spesso<br />
dal privato sociale, non significa necessariamente<br />
assumersi una responsabilità<br />
che spetta di competenza al settore<br />
pubblico, semmai si evidenzia<br />
quanto deve poter essere flessibile un<br />
intervento che nella sua complessità<br />
richiede l’integrazione di diverse competenze<br />
sia di natura medica che di natura<br />
sociale. Appunto parliamo di Psichiatria<br />
Sociale 45 come una lettura dell’intervento<br />
che ha promosso l’azione, per<br />
alcuni aspetti innovativa, chiamata Psichiatria<br />
di Strada.<br />
53
Tematica<br />
L’esperienza condotta sul territorio Milanese<br />
da alcuni operatori professionali<br />
46 comunica principalmente la concreta<br />
possibilità di una integrazione sociosanitaria<br />
capace di programmare ed<br />
articolare un intervento a partire da<br />
una collocazione reticolare delle risorse<br />
e degli strumenti a disposizione.<br />
Questa esperienza nasce anche dalla<br />
convinzione che "alcune prassi psichiatriche<br />
sono efficaci ma possono esserlo<br />
ancor più se integrate con il diritto<br />
della persona di vedere promossa la<br />
propria dignità". Si riconosce infatti da<br />
più parti che "usare psicofarmaci va bene<br />
solo se contemporaneamente ad altre<br />
strategie terapeutiche, che l’ospedalizzazione<br />
se si protrae oltre lo stretto<br />
limite del contenimento produce<br />
danni difficilmente correggibili",ma ancora<br />
che "i diversi approcci alla malattia<br />
risultano validi ed efficaci purché<br />
inseriti in un piano d’azione orientato<br />
a fornire un aiuto globale e che il<br />
carattere multicausale della malattia<br />
deve condurre gli operatori ad evitare<br />
analisi di semplice causa - effetto<br />
orientandosi viceversa verso una interpretazione<br />
della storia della persona e<br />
della sua evoluzione psichica" (Battiston<br />
, 2003).<br />
Il fine dell’intervento promosso muove<br />
anche da un secondo ordine di premesse:<br />
la persona <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> debolmente<br />
strutturata difficilmente si rivolge<br />
ad un servizio neanche quando è in<br />
pericolo la sua vita, se allora si ravvisa<br />
la necessità, oltre che la possibilità,<br />
di un intervento che tuteli il soggetto<br />
è auspicabile disporre di nuove strategie<br />
di intervento capaci di andare incontro<br />
al soggetto laddove esso “<strong>dimora</strong>”.<br />
La pratica del contatto in strada,<br />
54<br />
della relazione che gradatamente diventa<br />
significativa, che apre a spazi di<br />
relazione nei quali è possibile intravedere<br />
una espressione di sé dice nuovi<br />
e reali criteri di intervento orientati al<br />
benessere del soggetto <strong>dimora</strong>nte in<br />
strada.<br />
Riassumendo gli obiettivi dell’intervento<br />
possono essere ricondotti ai seguenti<br />
punti:<br />
• ricercare e contattare le p.s.d. sul territorio<br />
laddove esse si trovano;<br />
• offrire uno spazio relazionale strutturato<br />
in spazi e luoghi de-strutturati;<br />
• agganciare la p.s.d. e progettare insieme<br />
un percorso capace di aumentare<br />
la consapevolezza del disagio psichiatrico<br />
favorendo al tempo stesso<br />
la strutturazione di un rapporto;<br />
• fornire un servizio di “appoggio” ai<br />
servizi territoriali garantendo il mantenimento<br />
della relazione in strada<br />
anche a coloro che già frequentano<br />
i servizi stessi;<br />
• elaborare una strategia consensuale<br />
e condivisa di Community Care.<br />
In questi obiettivi ritroviamo una più<br />
ampia prospettiva di intervento che il<br />
Battiston riassume in due punti: il primo<br />
comunica l’urgenza di liberare le risorse,<br />
spesso sconosciute dal paziente<br />
stesso, così che la persona recuperi o<br />
scopra la capacità di attribuire senso<br />
e significato alle proprie attività assumendone<br />
la responsabilità e l’autonomia<br />
come dimensioni costitutive del<br />
suo agire, il tutto verso traguardi raggiungibili.<br />
Il secondo prospetta la necessità<br />
di avere soggetti capaci di vivere<br />
la loro reale condizione all’interno di<br />
una comunità di persone <strong>senza</strong> ricer-
care necessariamente lucidità e genialità<br />
irraggiungibili. Questo movimento<br />
chiede al territorio di farsi carico di questi<br />
malati, riconoscendo che i servizi sanitari<br />
sono solo uno dei soggetti chiamati<br />
ad intervenire per affrontare questa<br />
patologia.<br />
Tutto questo amplifica la questione riportando<br />
al centro l’autenticità e la dignità<br />
della persona soggetto e non oggetto<br />
di terapie avulse dalla realtà e<br />
orientate ad un semplice contenimento.<br />
L’esperienza citata ha avuto una valutazione<br />
positiva anche da parte delle<br />
persone coinvolte nel processo soprattutto<br />
grazie al fatto che hanno potuto<br />
ritrovare con l’ausilio degli operatori<br />
tempi e spazi di relazione maggiormente<br />
(ri)creativi della propria dimensione<br />
esistenziale e progettuale.<br />
PERCORSI DI ACCOMPAGNAMEN-<br />
TO AL DIRITTO E BUONE PRASSI<br />
Nel ripercorrere il tema del diritto alla<br />
salute si sono cercati quegli elementi<br />
che, nei presupposti e nella pratica, mostrassero<br />
limiti e potenzialità di un intervento<br />
tanto più urgente quanto imprescindibile<br />
nell’azione di aiuto e supporto<br />
alle persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>; ci accorgiamo<br />
peraltro di alcune contrapposizioni<br />
che vedono da un lato, pratiche<br />
di natura tipicamente assistenziale,<br />
supportate peraltro da una logica<br />
che vede i poveri come destinatari di<br />
quel “più” che viene prodotto in misura<br />
sovrabbondante rispetto alle necessità,<br />
e dall’altro pratiche orientate<br />
dal desiderio di promozione, ovvero<br />
capaci di conservare il desiderio dell’essere<br />
con oltre un generico essere per.<br />
Il tema della salute in un certo qual<br />
modo li supera entrambe e chiede una<br />
Tematica<br />
ricentratura sul soggetto e sulla singolarità<br />
affinché emerga una dignità spesso<br />
sottaciuta e marginalizzata.<br />
In questo è opportuno prospettare un<br />
duplice orientamento: da un lato il favorire<br />
politiche sociali in grado di<br />
aumentare protagonismo e partecipazione<br />
dei soggetti che vivono in stato<br />
di povertà, dall’altro identificare buone<br />
prassi circa il funzionamento delle<br />
strutture sanitarie rivolte alle persone<br />
<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>.<br />
Circa il primo aspetto, qui accennato<br />
brevemente, emerge il dibattito su quale<br />
forma di Welfare sia possibile investire<br />
perché alcuni diritti siano garantititi;<br />
da almeno quindici si teorizza da<br />
un lato la fine della conosciuta forma<br />
di Welfare State 47 , dall’altro si stenta a<br />
trovare una valida alternativa, si parla<br />
infatti di Welfare Mix, Welfare Community,<br />
Community Care, ecc… Non intendiamo,<br />
in questa sede, proporre nuovi<br />
paradigmi interpretativi circa future<br />
politiche orientate al benessere personale<br />
e collettivo ma desideriamo recuperare<br />
ciò che riteniamo valido per<br />
un efficace intervento in materia di tutela<br />
della salute delle persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>.<br />
Siamo concordi con l’assioma che attualmente<br />
tutto il tema delle vecchie<br />
povertà si lega fondamentalmente alla<br />
dimensione interrelazionale, anche detta<br />
nuova povertà, o per dirla in altro<br />
modo alle relazioni interpersonali, e che<br />
questa subisce quello che potremmo<br />
definire un deficit di socialità.<br />
Con deficit di socialità crediamo si esprima<br />
un sottoprodotto degli stili sia<br />
di vita sia di relazione capace di generare<br />
disagio per poi abbandonarlo a se<br />
stesso.<br />
55
Tematica<br />
In questo senso possiamo ribadire l’urgenza<br />
di prassi di (ri)connessione, di<br />
(ri)socializzazione, di (ri)attivazione di<br />
spazi di socialità capaci di (ri)centrare<br />
il soggetto nel proprio contesto di vita.<br />
Ci si accorge peraltro di una questione<br />
che pronuncia la possibilità, considerando<br />
tipologia ed abitudini delle persone<br />
<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>, di beneficiare di<br />
uno spazio attivo dove vedere promosse<br />
queste istanze. La possibile risposta<br />
lascia intravedere luoghi dove, attraverso<br />
un processo attivo e partecipato,<br />
la persona <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> possa (ri)conoscersi<br />
giungendo alla fine a cogliersi<br />
realmente membro di una comunità.<br />
Una comunità di relazioni e quindi<br />
una comunità di persone attive o passive<br />
secondo il grado di partecipazione<br />
che sono in grado di attivare.<br />
Orientando quanto detto, oltre una<br />
semplice soddisfazione del bisogno che<br />
comunque è necessario e imprescindibile,<br />
intravediamo la diffusione di<br />
una cultura della prossimità. Questo significa<br />
che un nuovo modello di Welfare<br />
non deve solo dirigersi verso una<br />
ri-organizzazione dei servizi o delle<br />
pratiche di controllo o ancora verso una<br />
Costumer Satisfaction ma anche corresponsabilizzando<br />
gli attori del territorio<br />
qualunque sia la loro professionalità<br />
implementando strategie di sussidiarietà<br />
verticale positiva. In definitiva<br />
ci sentiamo coinvolti in un percorso che<br />
ci vede tutti protagonisti e responsabili<br />
del bene(essere) comune nella convinzione<br />
che è possibile pensare a definire<br />
strategie di contrasto alla povertà<br />
all’interno di una riflessione programmatica<br />
più ampia includendo, in modo<br />
imprescindibile, gli attori e i destinatari<br />
di quanto pensato.<br />
56<br />
Crediamo inoltre che anche la persona<br />
<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> dovrebbe incrementare<br />
il proprio ruolo nel processo di definizione<br />
delle strutture di supporto al benessere;<br />
la già citata forma dell’associazionismo<br />
fra persone con una passata<br />
esperienza di vita in strada promuove<br />
questa direzione assumendo,<br />
di fatto, una logica già sperimentata e,<br />
spesso, vincente quale il mutual help 48 .<br />
Riconosciamo l’esistenza e la bontà di<br />
questo strumento affinché la solidarietà,<br />
la prossimità e la condivisione emergano<br />
con forza e orientino il soggetto<br />
verso la definizione di obiettivi di tutela<br />
del sé; difatti il superamento della<br />
dipendenza al tempo stesso pone la<br />
persona nella condizione di essere maggiormente<br />
consapevole delle proprie<br />
risorse, finanche in misura scarsa o dimenticate.<br />
L’altro versante della nostra riflessione<br />
invece desidera concludere con quelle<br />
che proviamo a definire buone prassi<br />
per la tutela e la promozione del diritto<br />
alla salute in soggetti in stato di<br />
povertà. Crediamo, cioè, che alcune politiche<br />
di intervento potranno acquisire<br />
maggiore forza solo se accompagnate<br />
da interventi che, pur non essendo<br />
di natura medico sanitaria, saranno<br />
in grado di impostare la questione in<br />
un ambito decisamente ampio ed integrato.<br />
Ragionando per fasi, non necessariamente<br />
sequenziali fra loro, intravediamo<br />
alcuni passaggi obbligati.<br />
Un primo riguarda l’azione concreta di<br />
aiuto (di assistenza sanitaria) prodotta<br />
a favore del soggetto che chiede.<br />
Essa deve potersi strutturare certamente<br />
a seconda delle risorse disponibili ma<br />
anche caratterizzandosi per professio-
nalità ed efficienza; evitando, il più possibile,<br />
la strutturazione di interventi secondo<br />
logiche residuali dettate dalla<br />
scarsità delle risorse o dalla convinzione<br />
che, ad esempio, la semplice visita<br />
generica possa essere condotta <strong>senza</strong><br />
che sia previsto un eventuale proseguimento<br />
dell’azione terapeutica o diagnostica.<br />
Un secondo dice che il supporto alla<br />
persona deve poter allora comprendere<br />
l’accompagnamento ai servizi territoriali<br />
facendo, laddove è necessario, da<br />
ponte con il sistema sanitario strutturando<br />
alleanze e strategie capaci di considerare<br />
la salute come un bene comune<br />
e non solo come l’as<strong>senza</strong> di malattia<br />
del singolo.<br />
Il terzo comunica l’urgenza di agevolare<br />
una rete di interventi a supporto della<br />
persona in grado di promuovere una<br />
evoluzione dell’integrità psicofisica ponendo<br />
attenzione affinché ciò che viene<br />
proposto e scelto sia articolato ed integrato.<br />
Ultimo, ma non meno importante, la<br />
questione dell’intervento considerando<br />
che gli operatori sia del pubblico sia<br />
del privato sociale debbono possedere<br />
sufficienti competenze sociali da affiancare<br />
a quelle medico sanitarie perché l’integrazione<br />
dei bisogni parte dalla capacità<br />
che essi vengano accolti nella loro<br />
complessità.<br />
Tutto quanto prospettato rischia di essere<br />
solo una possibilità fra le tante<br />
poiché ci accorgiamo come le ragioni<br />
della politica e quelle dell’economia<br />
orientano una politica sanitaria disattenta<br />
e fratturante tra valori sociali attesi<br />
e pratiche di welfare disattese.<br />
In conclusione vorremmo ricordare che<br />
il dibattito si pone non solo sul piano<br />
Tematica<br />
della salute ma anche su altri temi quali<br />
il diritto alla casa, il diritto al lavoro,<br />
il diritto all’istruzione e non ultimo<br />
quello all’assistenza. Essi sono peraltro<br />
posti sotto attacco e continuamente ridiscussi<br />
a seconda degli orientamenti e<br />
delle scelte economiche del momento.<br />
Ciò di cui c’è invece bisogno è una<br />
prospettiva (etica) che (ri)centri le dinamiche<br />
che intercorrono fra soggetto e<br />
Stato secondo una ratio rispettosa della<br />
singolarità e della imprescindibile valenza<br />
fondativa del soggetto umano.<br />
1 Circa la definizione di Persona <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> è necessario<br />
premettere che non esiste una definizione<br />
unica e condivisa; possiamo comunque riassumere<br />
le interpretazioni maggiormente utilizzate dicendo<br />
che individuiamo situazioni di disagio nelle<br />
quali cause o eventi di carattere soggettivo, sommati<br />
ad altri di tipo oggettivo, provocano nel tempo<br />
rotture e isolamento dalle reti sociali; per questo,<br />
quando parliamo delle Persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> par<br />
tiamo dalla peculiarità multidimensionale di questo<br />
disagio. Si assiste frequentemente ad una condizione<br />
di cronicità ma rispetto a questo v’è da<br />
chiarire che l’approfondimento delle relazioni di<br />
aiuto e conoscenza fra gli operatori e le persone<br />
<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> evidenzia l’esatto contrario. La definizione<br />
di Persona <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> contiene tre<br />
aspetti che si integrano e si autoalimentano: pre<strong>senza</strong><br />
contemporanea di bisogni e problemi diversi:<br />
in queste persone si sommano condizioni di<br />
malattia, tossicodipendenza o alcoolismo, isolamento<br />
dalle reti familiari e sociali, difficoltà nelle relazioni<br />
interpersonali; progressività del percorso: nel<br />
tempo le condizioni di disagio interagiscono, si<br />
consolidano e si aggravano, diventando un processo<br />
che si autoalimenta anche attraverso successive<br />
rotture e perdite progressive di ruolo e di riconoscimento,<br />
nel lavoro, in famiglia, nel territorio,<br />
e a fronte di scarsità di risorse economiche,<br />
ma anche affettivo-relazionali, ciò genera condizioni<br />
di fragilità tali da rendere la persona non più<br />
in grado di contrastare il processo di espulsione;<br />
difficoltà nel trovare accoglienza e risposte appropriate<br />
nei servizi istituzionali per le elevate barriere<br />
di accesso.<br />
2 La Dichiarazione non costituisce un documento<br />
giuridicamente vincolante, ma i suoi contenuti sono<br />
stati tradotti in forma giuridicamente vincolante in<br />
due trattati adottati nel 1966: il Patto Internazio-<br />
57
Tematica<br />
58<br />
nale sui diritti economici, sociali e culturali e il<br />
Patto Internazionale sui diritti civili e politici.<br />
Insieme alla Dichiarazione Universale, tali Patti<br />
Umani. L’art.25 della Dichiarazione Universale dei<br />
diritti umani, cita testualmente: "Ogni individuo<br />
ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire<br />
la salute e il benessere proprio e della sua famiglia<br />
con particolare riguardo all'alimentazione,<br />
al vestiario, all'abitazione, e alle cure mediche e ai<br />
servizi sociali necessari; ed ha diritto alla sicurezza<br />
in caso di disoccupazione, malattia, invalidità vedovanza,<br />
vecchiaia o in ogni altro caso di perdita<br />
dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti<br />
dalla sua volontà".<br />
3 Art. 2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti<br />
inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle<br />
formazioni sociali ove si svolge la sua personalità,<br />
e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili<br />
di solidarietà politica, economica e sociale.<br />
Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e<br />
sono eguali davanti alla legge, <strong>senza</strong> distinzione<br />
di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni<br />
politiche, di condizioni personali e sociali. È<br />
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli<br />
di ordine economico e sociale, che, limitando di<br />
fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono<br />
il pieno sviluppo della persona umana e<br />
l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione<br />
politica, economica e sociale del Paese.<br />
Art. 32. La Repubblica tutela la salute come fondamentale<br />
diritto dell'individuo e interesse della<br />
collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.<br />
Nessuno può essere obbligato a un determinato<br />
trattamento sanitario se non per disposizione di<br />
legge. La legge non può in nessun caso violare i<br />
limiti imposti dal rispetto della persona umana.<br />
4 Esemplifichiamo il processo di desatellizazione delle<br />
competenze / prestazioni dallo stato alle regioni<br />
in materia sanitaria prendendo come riferimento<br />
i Livelli Essenziali di Assistenza sanitaria (LEA).<br />
Questi sono le prestazioni e i servizi che il <strong>Servizi</strong>o<br />
Sanitario Nazionale (SSN) è tenuto a garantire<br />
a tutti i cittadini, gratuitamente o in compartecipazione,<br />
grazie alle risorse raccolte attraverso il sistema<br />
fiscale; ricordiamo che le prestazioni e i servizi<br />
inclusi nei LEA rappresentano il livello “essenziale”<br />
garantito a tutti i cittadini ma le Regioni<br />
possono utilizzare risorse proprie per garantire servizi<br />
e prestazioni ulteriori rispetto a quelle incluse<br />
nei LEA. Il percorso che ha condotto alla definizione<br />
dei LEA prende spunto dall'articolo articolo<br />
1 del decreto legislativo 19 giugno 1999, n.229;<br />
preceduto da altri atti formali e da un confronto<br />
con la Conferenza Stato Regioni, il 29 novembre<br />
2001 è stato emanato un D.P.C.M. avente per oggetto<br />
la Definizione dei livelli essenziali di assistenza.<br />
5 L’OMS afferma testualmente all’art.1 del proprio<br />
atto costitutivo che l’obiettivo è quello del raggiungimento,<br />
da parte di tutti i popoli, del più alto<br />
livello possibile di salute. E nel preambolo si<br />
dice che: "la salute (…) è uno stato di completo<br />
benessere fisico, mentale e sociale e non meramente<br />
as<strong>senza</strong> di malattie o infermità".<br />
6 Il termine è usato da P. Freire come elemento tipico<br />
all’interno della sua visione pedagogica.<br />
7 Se vogliamo è un esempio strano ma anche moderno<br />
poiché nel rapporto con la Pubblica Amministrazione<br />
essa esprime di norma un potere che<br />
sovrasta il diritto soggettivo. In questo caso si è<br />
voluto mostrare l’esistenza di un diritto soggettivo<br />
(alla salute) nei confronti del quale il potere della<br />
P.A. deve sottostare.<br />
8 Gli assunti di una simile prospettiva sono confutati<br />
efficacemente da Rawls J. (1971), A theory of<br />
Justice, Harvard University Press, Cambridge [trad.<br />
it. (1982), Una teoria della giustizia, Feltrinelli, Milano].<br />
9<br />
Si veda l’interessante approfondimento di Benassi<br />
(1995).<br />
10 Quasi potremmo dire che l’azione di codifica operata<br />
dai servizi circa l’individuazione di una struttura<br />
nella condizione di fornire una risposta al bisogno<br />
non è affiancata da un’opera di mediazione<br />
interpretativa degli stili e dai tempi richiesti ai soggetti<br />
in stato di povertà per accedere alle prestazioni<br />
stesse.<br />
11 I piani socio sanitari di alcune regioni confermano<br />
in questo senso l’attenzione alle persone in stato<br />
di marginalità grave. Si confronti ad esempio il<br />
piano della Regione Lombardia alle pagg. 159-161.<br />
12 In tal senso occorre ricordare che il messaggio liberista<br />
attualmente in voga tende a confondere le<br />
opportunità con gli strumenti per accedervi.<br />
13 Invitiamo alla visione del testo di Amato (1999).<br />
14 Oggi siamo arrivati alla quinta generazione di diritti<br />
(ad esempio quelli legati alla comunicazione)<br />
<strong>senza</strong> che vengano negati o disattesi diritti come<br />
quelli appartenenti alla sfera della inviolabilità della<br />
persona o quelli che sono anche chiamati diritti<br />
dell’uomo.<br />
15 Per un rapido approfondimento si veda anche Bobbio<br />
(1990), Levinas (1992).<br />
16 Come non ricordare il diritto negato a vedere garantite<br />
le pratiche curative nell’ambito degli interventi<br />
odontoiatrici.
17 Un esempio ben noto è la questua, dove il bene che<br />
viene venduto è l’immagine (pietistica) della persona.<br />
Talvolta questa è accompagnata da giaculatorie<br />
e benedizioni, con il relativo coinvolgimento<br />
del sacro.<br />
18 A tal proposito, sempre rileggendo la questione con<br />
un taglio sui diritti, rimandiamo all’art. 3 D.Lgs.<br />
267/2000 il quale ribadisce un concetto di territorio<br />
quale spazio fisico, cognitivo, affettivo relazionale<br />
ed esistenziale.<br />
19 Un interessante lettura della questione è efficacemente<br />
affrontata da Ceri (2003:5-35).<br />
20 In questo senso desideriamo recuperare alcune intuizioni<br />
enunciate nella L.833/78 per un interesse<br />
affinché si realizzi su vasta scala, attraverso l’educazione<br />
sanitaria, una azione orientata alla promozione<br />
e alla partecipazione sia del singolo sia della<br />
collettività sul tema della salute e della prevenzione.<br />
Questo a maggior ragione potrebbe rientrare<br />
efficacemente negli obiettivi e nei progetti di incontro<br />
e sostegno con le persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>.<br />
21 Desideriamo ricordare che il benessere è tanto maggiore<br />
quanto più significative e funzionali sono le<br />
reti di sostegno alla persona.<br />
22 E’ importante ricordare lo stretto vincolo esistente<br />
fra politiche, interventi sanitari e regionalizzazione<br />
degli stessi; a fronte di questo diverse sono<br />
i vincoli burocratici circa l’accesso ai servizi ed alle<br />
risorse.<br />
23 Per un approfondimento sul tema si veda Mozzanica<br />
(2002), Fogheraiter Donati (1993).<br />
24 La definizione è di M. Tognetti Bordogna (1994).<br />
25 Ricordiamo i Diagnostic Related Group (abbr. D.R.G.)<br />
come un ben noto strumento attraverso il quale avviene<br />
la remunerazione delle strutture sulla base<br />
degli interventi effettuati.<br />
26 Gli scandali contestati a ex ministri e le vicende legate<br />
all’attività di alcuni laboratori di analisi, che<br />
richiedevano rimborsi a fronte di prestazioni non<br />
necessarie con il correo di alcuni medici di famiglia,<br />
altro non fanno che mostrare la fallace organizzazione<br />
del settore sanitario, soprattutto nel rapporto<br />
con il mondo del profit. Queste esperienze<br />
ci suggeriscono come il profilo etico della professione<br />
medica rischia di conciliarsi malamente con<br />
la necessaria moralità di chi è chiamato a gestire<br />
denaro pubblico in un campo come quello della sanità.<br />
27 Definiti peraltro con strumenti di legge quali i piani<br />
sanitari nazionali.<br />
Tematica<br />
28 Lo stato Italiano cita fra i documenti ispiratori delle<br />
proprie politiche sanitarie i cosiddetti Sette principi<br />
di Tavistock: nel 1999 un gruppo di esperti anglosassoni,<br />
il cosiddetto "Gruppo di Tavistock", ha<br />
sviluppato alcuni principi etici di massima che si<br />
rivolgono a tutti coloro che hanno a che fare con<br />
la sanità e la salute e che, non essendo settoriali si<br />
distinguono dai codici etici elaborati dalle singole<br />
componenti del sistema (medici, enti, ecc.). Nel 2000<br />
i cosiddetti 7 principi di Tavistock di seguito riportati<br />
sono stati aggiornati e offerti alla considerazione<br />
internazionale.<br />
a. <strong>Diritti</strong>: i cittadini hanno diritto alla salute e alle<br />
azioni conseguenti per la tutela.<br />
b. Equilibrio: la cura del singolo paziente è centrale,<br />
ma anche la salute e gli interessi della collettività<br />
vanno tutelati. In altri termini non si può evitare<br />
il conflitto tra interesse dei singoli e interesse della<br />
collettività. Ad esempio, la somministrazione di<br />
antibiotici per infezioni minori può giovare al singolo<br />
paziente, ma nuoce alla collettività, in quanto<br />
aumenta la resistenza dei batteri agli antibiotici.<br />
c. Visione olistica del paziente: significa prendersi<br />
cura di tutti i suoi problemi e assicurargli continuità<br />
di assistenza (dobbiamo sforzarci continuamente<br />
di essere ad un tempo specialisti e generalisti).<br />
d. Collaborazione: degli operatori della sanità tra<br />
loro e con il paziente, con il quale è indispensabile<br />
stabilire un rapporto di partenariato.<br />
e. Miglioramento: non è sufficiente fare bene, dobbiamo<br />
fare meglio, accettando il nuovo e incoraggiando<br />
i cambiamenti migliorativi. Vi è sempre ampio<br />
spazio per migliorare, giacché tutti i sistemi<br />
sanitari soffrono di "overuse, underuse, misuse" delle<br />
prestazioni (uso eccessivo, uso insufficiente, uso<br />
improprio).<br />
f. Sicurezza: il principio moderno di "primum non<br />
nocere" significa lavorare quotidianamente per massimizzare<br />
i benefici delle prestazioni, minimizzare<br />
i danni, ridurre gli errori in medicina.<br />
g. Onestà, trasparenza, affidabilità: rispetto della dignità<br />
personale sono essenziali a qualunque sistema<br />
sanitario e a qualunque rapporto tra medico<br />
e paziente.<br />
29 Ricordiamo l’esistenza di un dato relativo alla mortalità<br />
differenziale. Essa colpisce a seconda della<br />
classe sociale; è un fatto già documentato da secoli<br />
che accentua la preoccupazione che il problema<br />
si aggravi a fronte di una gestione privatistica della<br />
sanità, cosa peraltro verificatasi e provata in paesi<br />
come gli Stati Uniti. Questa evidenza, cioè il<br />
fatto che i poveri si ammalano di più e muoiono<br />
più precocemente, potrebbe non essere sufficiente<br />
per garantire uno sviluppo egualitario.<br />
30 Al momento in cui scriviamo è in vigore la L. 189/<br />
2002 (cosiddetta Bossi/Fini).<br />
59
Tematica<br />
31 In particolare art. 33 definisce l’Assistenza sanitaria<br />
per gli stranieri non iscritti al <strong>Servizi</strong>o sanitario<br />
nazionale:<br />
(…) 3. Ai cittadini stranieri presenti sul territorio<br />
nazionale, non in regola con le norme relative all'ingresso<br />
ed al soggiorno, sono assicurate, nei presidi<br />
pubblici ed accreditati, le cure ambulatoriali<br />
ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché<br />
continuative, per malattia ed infortunio e<br />
sono estesi i programmi di medicina preventiva a<br />
salvaguardia della salute individuale e collettiva.<br />
Sono, in particolare, garantiti: la tutela sociale della<br />
gravidanza e della maternità, la tutela della salute<br />
del minore, le vaccinazioni, gli interventi di<br />
profilassi internazionale, la profilassi, la diagnosi<br />
e la cura delle malattie infettive ed eventuale bonifica<br />
dei relativi focolai. (…). 5.<br />
L'accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero<br />
non in regola con le norme sul soggiorno non<br />
può comportare alcun tipo di segnalazione all'autorità'<br />
(…).<br />
32 Esso consentiva di estendere il diritto alle cure ordinarie<br />
e continuative, ed ai programmi di medicina<br />
preventiva, anche gli immigrati irregolari e<br />
clandestini. Tali interventi però non sono mai stati<br />
posti in essere.<br />
33 La ricerca è stata promossa dal Dipartimento degli<br />
Affari Sociali e svolta dalla FIO.psd. Essa è stata<br />
pubblicata su Rapporto biennale sul volontariato<br />
nell’anno duemila.<br />
34 Le città sono state selezionate in base a due criteri:<br />
essere capoluogo di Provincia o Comune superiore<br />
a 100.000 abitanti anche se non capoluogo.<br />
35 Fonte Caritas Ambrosiana (2003).<br />
36 Vogliamo ricordare il tipo di approccio promosso<br />
da alcuni ambulatori del privato sociale i quali,<br />
come nel caso dell’ambulatorio di Roma della Caritas<br />
Diocesana, affiancano ad una competenza medica<br />
una provata capacità di ascolto delle problematiche<br />
di cui sono portatori gli utenti, optando<br />
quindi per la (ri)connessione dei piani biologico,<br />
fisico e sociale.<br />
37 Vogliamo ricordare una concreta difficoltà ad avere<br />
interlocutori in grado di “accogliere” la doman-<br />
60<br />
da che spesso non è ben formulata o non lo è del<br />
tutto creando in tal modo una frattura comunicativa<br />
e la fine di ogni possibile premessa relazionale.<br />
38 In base a recenti studi la commorbilità di malattia<br />
mentale e tossicodipendenza è un dato presente<br />
nel 60% delle persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>. Per un utile<br />
approfondimento si veda a riguardo Rigliano, Rancilio<br />
(2003).<br />
39 Il fenomeno qui accennato circa il disagio di genere<br />
comunica altresì l’urgenza di interpretare e<br />
comprendere in quali forme la donna riesca a tutelare<br />
il proprio corpo in risposta alle sollecitazioni<br />
esterne.<br />
40 Qui richiamata in senso ampio <strong>senza</strong> una specificazione<br />
puntuale sulla natura, sul grado e l’intensità.<br />
41 Fonte Caritas Ambrosiana (2003).<br />
42 La malattia mentale è intesa come un esito problematico<br />
di un percorso progressivo caratterizzato<br />
da una sua complessità esistenziale. In questa<br />
progressività sono presenti una situazione generale<br />
di benessere perturbata da un disturbo, con<br />
una eventuale successiva fase di disagio che può<br />
sfociare in una cronicità.<br />
43 La strada anche se non è la causa rende esplicite<br />
ed evidenti alcune acuzie; è questo uno spazio di<br />
natura pubblica, dove esse si manifestano, amplificandone<br />
la portata.<br />
44 Dire fisico dice la stimolazione di almeno tre dei<br />
5 sensi dell’uomo: olfatto, tatto, vista.<br />
45 Per un approfondimento si veda anche AA.VV.<br />
(1980), Perris (1986), De Martis, Putrella, Ambrosi<br />
(1987).<br />
46 Per approfondimenti sul tema è possibile vedere<br />
Caritas Italiana (2003).<br />
47<br />
Per approfondimenti in ambito italiano si veda Girotti<br />
(1998).<br />
48<br />
Per un approfondimento sul tema si veda Tognetti<br />
Bordogna (1994).
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Tematica<br />
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“doppia diagnosi”, Franco Angeli, Milano.<br />
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Teorie, pratiche, politiche., Franco Angeli, Milano.<br />
• Vineis P., Capri S. (1994), La Salute non è una merce.<br />
Efficacia della medicina e delle politiche sanitarie,<br />
Bollati Boringhieri, Torino.<br />
61
Tematica<br />
ACCOGLIENZA E GESTIONE DI UN<br />
PROCESSO DI AGGANCIO PER<br />
SOGGETTI IN CONDIZIONE GRAVE<br />
MARGINALITÀ<br />
Giacomo Invernizzi - Responsabile Nuovo Albergo Popolare - Bergamo.<br />
Utilizzando il modello organizzativo<br />
per la gestione della prima accoglienza<br />
presente presso il Nuovo Albergo<br />
Popolare si intende mostrare l’evoluzione<br />
dello stato psichico delle persone<br />
che in condizione di grave marginalità<br />
decidono di intraprendere un processo<br />
di lavoro sul sè che li ponga in<br />
condizione di recuperare capacità relazionale<br />
con il contesto di appartenenza.<br />
Il punto di inizio del percorso analizzato<br />
è la situazione di arrivo del soggetto<br />
presso la struttura caratterizzato<br />
da un evidente necessità di supporto<br />
per quanto riguarda la risposta ai bisogni<br />
primari e da uno stato confusionale<br />
rispetto alla capacità di lettura della<br />
sua situazione.<br />
Spesso la persona si riduce a vivere il<br />
contesto come persecutorio ed escludente.<br />
Il punto di arrivo del percorso,<br />
che con il nostro intervento tentiamo<br />
di costruire, è rappresentato dalla condizione<br />
di consapevolezza della propria<br />
situazione che si esplicita nella capacità<br />
di nominare le proprie difficoltà,<br />
e in una capacità decisionale nell’avviare<br />
un percorso di supporto, dentro<br />
una relazione di aiuto.<br />
Quest’ultima rafforzata da una consapevole<br />
fiducia in un possibile esito positivo<br />
rispetto al futuro.<br />
62<br />
Il luogo di osservazione delle evoluzioni<br />
delle rappresentazioni psichiche<br />
è l’incontro di gruppo degli ospiti presenti<br />
nella comunità di prima accoglienza.<br />
Si tratta di un incontro giornaliero<br />
dalla durata di un ora e mezza.<br />
La conduzione è affidata a giorni<br />
alterni al responsabile della comunità,<br />
allo psicologo e all’educatore della prima<br />
accoglienza.<br />
Nella narrazione del processo, accanto<br />
alla riflessione che ha lo scopo di<br />
concettualizzare l’esperienza del gruppo<br />
vengono affiancate delle citazioni<br />
di ospiti tratte dai verbali degli incontri<br />
redatti dall’operatore. Questo oltre<br />
che per avvalorare le riflessioni dello<br />
scritto anche per fornire esempi agli<br />
operatori interessati alla lettura dello<br />
scritto.<br />
Si evidenzia inoltre che il taglio dato<br />
alla lettura evolutiva dell’universo psichico<br />
di soggetti in condizione di grave<br />
marginalità è un taglio pedagogico<br />
che acconsente di rappresentare i vari<br />
passaggi dell’evoluzione psichica e di<br />
dotarsi di strumenti educativi.<br />
In questo modo alla fine di ogni paragrafo,<br />
che rappresenta concettualmente<br />
un nuovo stadio dell’evoluzione psichica,<br />
verranno evidenziati alcuni contenuti<br />
e strumenti educativi particolarmente<br />
significativi per l’intervento.
BREVE DESCRIZIONE DEL SER-<br />
VIZIO<br />
Il servizio di Prima Accoglienza presso<br />
il Nuovo Albergo Popolare è una<br />
comunità alloggio con possibilità di<br />
ospitare 15 persone. Le modalità di accesso<br />
al servizio sono vincolate al colloquio<br />
con l’operatore che gestisce il<br />
flusso delle accoglienze che restano indipendenti<br />
dai tempi di permanenza<br />
dei soggetti. Per cui si possono trovare<br />
soggetti che rimangono nel servizio<br />
pochi giorni e soggetti che fanno una<br />
richiesta indifferenziata di permanenza<br />
legata alla confusa percezione del<br />
loro disagio. Questi ultimi rappresentano<br />
il maggior numero di persone e<br />
sono quelle a cui si rivolge in modo<br />
privilegiato il nostro intervento.<br />
Nel periodo dell’accoglienza, della durata<br />
di 30-45 giorni, alla persona viene<br />
fatto uno screening medico e una<br />
diagnosi psicologica e colloqui con l’educatore.<br />
La quotidianità è gestita prevalentemente<br />
a livello educativo con<br />
un gruppo di discussione giornaliero,<br />
attività creative (atelier), attività lavorative<br />
(laboratorio) e comunitarie (pulizie,<br />
preparazione dei pasti, attività di<br />
socializzazione). Finalità ultima del periodo<br />
di accoglienza e quella di aiutare<br />
la persona a prendere consapevolezza<br />
della sua situazione e di conseguenza<br />
attivare una motivazione al cambiamento<br />
fondata sulla possibilità di alternative<br />
che migliorino la sua situazione.<br />
L’INGRESSO, LA COSTRUZIONE<br />
DELLA NUOVA APPARTENENZA,<br />
I LEGAMI CON LE VECCHIE AP-<br />
PARTENENZE<br />
L’arrivo all’interno di un centro di accoglienza<br />
per una persona in condizio-<br />
Tematica<br />
ne di grave marginalità ha come significato<br />
simbolico e reale l’ingresso in<br />
una nuova realtà di appartenenza. La<br />
nuova realtà residenziale significa infatti<br />
per la persona che si trova in un<br />
processo di esclusione la condizione<br />
di chiusura della rete relazionale di appartenenza.<br />
Sia essa rappresentato dalla<br />
strada, come ultimo luogo dell’esclusione,<br />
o dal contesto famigliare.<br />
A livello simbolico l’accoglienza può<br />
rappresentare il luogo della nuova appartenenza<br />
intesa come percorso di riappropriazione<br />
di una identità capace<br />
di contrattualità sul piano sociale.<br />
La nuova residenzialità non meccanicamente<br />
la nuova appartenenza, infatti<br />
permangono, all’interno del nuovo<br />
spazio, le dipendenze rispetto al vecchio<br />
contesto che si vuole o si deve lasciare.<br />
Tra le persone provenienti da una situazione<br />
di lunga permanenza in un<br />
contesto di grave emarginazione, che<br />
hanno acquisito nel tempo una identità<br />
sociale legata al contesto, permangono<br />
forti i legami con la strada. Lo dimostrano<br />
alcune testimonianze dirette<br />
“U. io sto facendo una grande fatica.<br />
Ho in testa degli obiettivi e non ce<br />
la faccio più a portarmi dei pesi tipo<br />
intrallazzi o altro. Io faccio anche molta<br />
fatica a stare qui dentro, ad affrontare<br />
le relazioni di un tipo diverso da<br />
quelle che conoscevo prima” 1 .<br />
Gli stili di vita, le regole di comportamento<br />
sono acquisite dal contesto marginale<br />
che in modo parallelo al contesto<br />
sociale ufficiale ha una sua etica<br />
dei comportamenti e della solidarietà<br />
tra individui. “M. dice che sta cercando<br />
di avvicinarsi alla struttura e ai suoi<br />
ritmi visto che è dal primo giorno che<br />
63
Tematica<br />
trascorre le giornate fuori”, “G. dice che<br />
non sta bene e che sta continuando a<br />
fare uso di cocaina insieme alla terapia<br />
alcologica per sentire meno la scoppiatura<br />
dell’eroina”.<br />
Siamo in pre<strong>senza</strong>, per coloro che non<br />
provengono dalla strada di legami affettivi<br />
con l’ultima realtà di appartenenza<br />
“M. dice che è in conflitto con<br />
la famiglia e benché lui non provi un<br />
legame nei loro confronti loro lo rifiutano.<br />
Dice anche che per lui adesso la<br />
famiglia è rappresentata dal gruppo<br />
conosciuto al Nap”, “M. io faccio molta<br />
fatica a fermarmi qui, sono attratto continuamente<br />
dall’alcool, da cose esterne<br />
e nemmeno io so cosa devo fare in<br />
questo momento”.<br />
Il processo di avvicinamento alla struttura<br />
è lento e la nuova appartenenza<br />
è frutto di un processo graduale “D.<br />
esplicita il perché non vuole andare in<br />
settore 2 . Dice che ha paura di affrontare<br />
nuove situazioni e nuove persone,<br />
perché complicarsi la vita?”<br />
Il processo di avvicinamento alla struttura<br />
implica per le persone l’abbandono<br />
di un contesto che, anche se problematico,<br />
offre delle sicurezze e delle garanzie.<br />
Infatti il contesto della strada è organizzato<br />
secondo regole e alleanze che<br />
permettono di dare una relativa sicurezza<br />
ai soggetti entro una situazione<br />
che ha nell’insicurezza un l’elemento<br />
fondamentale Vi è inoltre la consapevolezza<br />
che entrare in contatto con servizi<br />
strutturati significa riaprire il tema<br />
della propria condizione. Questo non<br />
comporta solo l’accesso a una serie diversa<br />
di tutele ma riaprire a un livello<br />
relazionale la narrazione della proprie<br />
storia.<br />
E’ in questa situazione che si può par-<br />
64<br />
lare di inizio di “rottura dell’equilibrio<br />
psichico legato alla marginalità”.<br />
Contenuti educativi<br />
In questa fase la relazione educativa<br />
può trovare un suo significato specifico<br />
sia sotto l’aspetto “affettivo” che dei<br />
“contenuti”. Un incentivo per ricostruire<br />
un nuovo contesto di appartenenza<br />
può essere dato ai soggetti da un<br />
luogo accogliente che facilita l’acquisizione<br />
di regole di comportamento<br />
non legato ai contesto marginali.<br />
Il gruppo, dove le persone possono raccontare<br />
la loro storia, nella consapevolezza<br />
che questa non diviene il mezzo<br />
per rendere esplicite le proprie capacità<br />
antisociali ma per riconoscere la<br />
comune necessità e bisogno di aiuto,<br />
diviene il luogo che favorisce la possibilità<br />
per il soggetto di passare da una<br />
organizzazione esistenziale di sopravvivenza<br />
a una organizzazione aperta<br />
alle prospettive di elaborazione della<br />
propria storia.<br />
In questo modo una salutare dipendenza<br />
affettiva dall’operatore e dal nuovo<br />
contesto sono una buono strumento<br />
da contrapporre alle vecchie dipendenze.<br />
“Io sono disposto a parlare di<br />
me e a mettere sul tavolo tutte le mie<br />
problematiche solo quando ci sono delle<br />
basi per accogliere la sofferenza di<br />
tutti e quando tutti sono disposti a parlare<br />
di sé”.<br />
Sotto l’aspetto dei contenuti è di grande<br />
importanza che l’operatore si presenti<br />
come esperto nel trattare le situazioni<br />
in cui il soggetto si trova a dover<br />
vivere la propria situazione di marginalità.<br />
E’ infatti abbastanza frequente<br />
che i soggetti in condizione di esclusione<br />
abbiano alle spalle più tentati-
vi di soluzione della loro condizione.<br />
Tentativi generalmente finiti con esito<br />
negativo. Per questo i soggetti trasferiscono<br />
la loro storia di fallimenti sulla<br />
percezione del potere di intervento<br />
dell’operatore che non può presentarsi<br />
come fragile.<br />
LA DIFFICILE PERCEZIONE DEL<br />
DISAGIO E LA NEGAZIONE DEL<br />
BISOGNO DI AIUTO<br />
“M. riprende il discorso dicendo che<br />
dopo la separazione dalla moglie e dalla<br />
figlia di 10 anni ha cominciato a fare<br />
uso di alcool e a vivere per strada.<br />
Si sente depresso e non è sereno. Dice<br />
che il suo problema più grosso è non<br />
avere un lavoro e soldi”.<br />
“Il suo lavoro resta ancora vivo e presente<br />
nella sua mente, è come se lui si<br />
identificasse nella sua professione”.<br />
“A. dice che entro la fine della settimana<br />
se ne vuole andare, cita come motivazione<br />
l’incontro con i genitori e la<br />
comunicazione che il Comune gli darà<br />
la casa. Si è fissato che avere la casa<br />
popolare è un suo diritto e il Comune<br />
gliela deve dare, sembra che faccia fatica<br />
a vedere la realtà”.<br />
“Sembra che V., M., M. siano abbastanza<br />
consapevoli che hanno problemi psichici<br />
e fisici che non dipendono solo<br />
dalla mancanza di un tetto, mentre D.<br />
non appare per niente consapevole di<br />
avere problemi che non siano la casa,<br />
il lavoro, o almeno non lo esplicita”.<br />
Se il nuovo ambiente di appartenenza<br />
aiuta la motivazione a farsi forte nel<br />
riprendere in considerazione la possibilità<br />
di uscita dalla condizione di grave<br />
marginalità non è così scontata la scelta<br />
del percorso necessario. Non è immediata,<br />
infatti, la comprensione di un<br />
Tematica<br />
lavoro che riguarda il sé, ne che questo<br />
lavoro è necessario farlo con persone<br />
capaci per questo aiuto.<br />
Il riconoscimento di un intervento sulla<br />
propria persona presuppone una rivisitazione<br />
della propria storia dove<br />
vengono evidenziate le responsabilità<br />
soggettive nel percorso che a portato<br />
alla marginalità, accanto a quelle sociali.<br />
Il risultato però di questa presa di<br />
consapevolezza è una crisi depressiva.<br />
“D. dice che è triste e arrabbiato per<br />
quello che è successo in passato, non<br />
riesce a farsi una ragione del perchè<br />
ha perso il lavoro”. “Tutti gli ospiti riconoscono<br />
che vivono un angoscia data<br />
dai fallimenti passati e presenti”.<br />
Come conseguenza di questo viene<br />
messo in atto il tentativo di semplificare<br />
la situazione affinchè non si metta<br />
in moto la coscienza della propria responsabilità.<br />
Inoltre la difficoltà di reggere<br />
l’immagine di emarginato tende<br />
a fare percepire sempre come lunghi<br />
e inutili i tempi dedicati a un maggior<br />
investimento sulla propria persona.<br />
Solamente quando scatta la percezione<br />
della difficoltà soggettiva a reggere il<br />
confronto con la realtà viene formulata<br />
la richiesta di aiuto. Vi è in questo<br />
una grande capacità dell’operatore nel<br />
saper rendere visibile e significativa rispetto<br />
ai processi di reinserimento la<br />
realtà del disagio soggettivo. Tema questo<br />
che verrà ripreso nella parte dedicata<br />
ai contenuti educativi.<br />
La nascita della richiesta di aiuto corrisponde<br />
non solo all’incrinarsi del sistema<br />
psichico legato alla marginalità<br />
ma al costituirsi della precondizione<br />
sostanziale per la nascita di un nuovo<br />
universo psichico individuale.<br />
Vengono meno le paure determinate<br />
65
Tematica<br />
dal vuoto causato dal destrutturarsi di<br />
una organizzazione psichica che malgrado<br />
le difficoltà che crea al soggetto<br />
resta l’unica che, in mancanza di interventi<br />
esterni, gli offre una garanzia di<br />
sicurezza individuale.<br />
“G. dice che si è reso conto che non<br />
starebbe bene da nessuna parte, nelle<br />
condizioni in cui si trova. E che da solo<br />
non riesce a venirne fuori”.<br />
“M. parla anche dell’importanza di farsi<br />
aiutare. G.dice che anche lui è qui<br />
per farsi aiutare. G. dice che qui non<br />
si è mai sentito aiutato, poi ammette<br />
che forse lui non ha fatto nulla per farsi<br />
aiutare, per stare meglio”.<br />
“M., M., V. esprimono il bisogno, la necessità<br />
di avere un aiuto per risalire, in<br />
quanto moralmente e fisicamente sentono<br />
di avere toccato il fondo. Per V. farsi<br />
aiutare significa affrontare i problemi<br />
uno per volta con il sostegno di una<br />
guida. Secondo M. significa dare fiducia,<br />
non commettere gli stessi errori…”.<br />
Contenuti educativi<br />
L’accesso al mondo invisibile del disagio<br />
soggettivo si gioca all’interno di<br />
una gamma di possibilità tutte racchiuse<br />
tra due estremi o derive. La prima<br />
è quella della negazione. Questo atteggiamento<br />
a livello psichico corrisponde<br />
alla difficoltà del soggetto a dare rilevanza<br />
a cause del proprio disagio ritenute<br />
reali ma insignificanti. Questo<br />
giudizio di valore può essere la conseguenza<br />
di una consapevolezza rimossa<br />
per quanto riguarda la difficoltà individuale<br />
a rapportarsi con dati problematici<br />
o di una reale incapacità a misursi<br />
con l’aspetto psichico perché nuovo<br />
o inimmaginabile dentro la propria<br />
storia.<br />
66<br />
Nella prima situazione il lavoro educativo<br />
mirerà a lavorare sull’evidenziazione<br />
e accettazione del limite, di<br />
cui il soggetto è portatore, inteso come<br />
condizione esistenziale e non come giudizio<br />
di valore sulla persona. A individuare<br />
le aree della propria fragilità<br />
come presupposto per dotarsi di strumenti<br />
adatti per affrontarle o per scegliere<br />
volutamente di non misurarsi<br />
con ciò che rappresenta un problema<br />
troppo grosso da affrontare.<br />
Nella seconda situazione il lavoro educativo<br />
dovrà porsi la finalità di aiutare<br />
il soggetto a ridefinire il valore dato ad<br />
alcuni oggetti psichici. In questo modo<br />
il lavoro relazionale si strutturerà come<br />
aiuto per ridefinire l’universo psichico<br />
individuale. È emblematica al riguardo<br />
la consapevolezza di quanto<br />
poco peso sia dato alla capacità riflessiva<br />
come strumento di tutela della propria<br />
interiorità e quanto questa mancanza<br />
pesi sulla disponibilità dei soggetti<br />
a prendersi cura di se stessi.<br />
La seconda deriva è rappresentata dalla<br />
devastazione psichica. “M. la mia<br />
situazione psico-fisica è devastata, è meglio<br />
che mi butti subito dal 3° piano<br />
perché comunque mi sto ammazzando<br />
lentamente”. Con questa denominazione<br />
si allude all’atteggiamento individuale<br />
di riconoscere su di se tutti<br />
i mali possibili. Sfortune, sventure, responsabilità<br />
sociali e individuali, tutto<br />
viene riconosciuto come parte della<br />
propria storia. Questo atteggiamento<br />
oltre che demotivante rende impossibile<br />
una reale valutazione della situazione<br />
soggettiva causando una indifferenziata<br />
possibilità progettuale.<br />
Il risultato è spesso un buon percorso<br />
del soggetto nella fase iniziale ma con
una tendenza al fallimento sui tempi<br />
lunghi in cui emergono le reali problematiche<br />
del soggetto e la necessità di<br />
un percorso soggettivo mirato.<br />
In questa situazione il compito educativo<br />
mira, aiutato da brevi sperimentazioni,<br />
a svolgere un fondamentale compito<br />
di orientamento dell’universo psichico<br />
soggettivo.<br />
LA NARRAZIONE DELLA PROPRIA<br />
STORIA COME CONDIZIONE DEL-<br />
LA COMPRENSIONE DEL PROPRIO<br />
UNIVERSO PSICHICO<br />
Qualsiasi colloquio di prima accoglienza<br />
va direttamente o indirettamente a<br />
toccare alcuni aspetti della storia individuale<br />
dei soggetti che chiedono<br />
aiuto.<br />
Generalmente la storia individuale in<br />
questi primi incontri si focalizzano attorno<br />
agli avvenimenti ultimi che hanno<br />
provocato l’estromissione da un alloggio<br />
o hanno provocato al soggetto<br />
che viveva in strada una situazione di<br />
malessere da farlo decidere per la richiesta<br />
di accoglienza. Vi è frequentemente<br />
in queste narrazioni o una cronaca<br />
distanziata dai fatti quasi appartenessero<br />
alla vita di un'altra persona<br />
o un racconto rancoroso verso qualcuno<br />
individuato come la causa delle disgrazie<br />
individuali.<br />
In entrambi i casi vi è tuttavia un tentativo<br />
di narrare la propria storia.<br />
“M. racconta di avere avuto una ricaduta<br />
3 mesi fa dopo aver fatto un percorso<br />
di comunità. La ricaduta è avvenuta<br />
a Bergamo dove lui abitava; in<br />
breve tempo ha perso tutto. Lavoro, casa.<br />
Poi è stato ospite di un amico il quale<br />
non conosceva la droga e le sue conseguenze,<br />
dopo la lite con l’amico si è<br />
Tematica<br />
ritrovato sulla strada e dopo due settimane<br />
è arrivato al Nap”.<br />
“M. arriva dall’ospedale dove era stato<br />
ricoverato perché investito da una macchina.<br />
Abitava da solo in una cascina<br />
di Cantù. Lavorava occasionalmente<br />
come posatore di moquettes. Dice di<br />
avere avuto problemi di alcool ma di<br />
averli superati. Dice di trovarsi al Nap<br />
solo per avere un sostegno rispetto alla<br />
convalescenza”.<br />
Attraverso gli stimoli dell’operatore all’interno<br />
del gruppo e attraverso la funzione<br />
di “specchio” 3 svolta dallo stesso,<br />
si nota come con il passare dei giorni la<br />
narrazione dei soggetti abbia una evoluzione.<br />
Trovano spazio nella narrazione<br />
nuovi contenuti in precedenza<br />
elusi, nuovi soggetti prima dimenticati,<br />
nuovi modi di distribuire le responsabilità<br />
degli avvenimenti.<br />
Attraverso un processo di sedimentazione<br />
affiancato a un processo di lento<br />
rimescolamento delle situazione inizia<br />
a prendere forma un nuovo panorama<br />
dell’universo individuale “M. interviene<br />
dicendo che forse il problema<br />
non è solo il denaro ma anche la solitudine.<br />
MT. alla domanda di M. (posso<br />
lavorare?) risponde che prima di tutto<br />
bisogna trovare la serenità dentro di<br />
sé, dice che la vita non è il lavoro ma<br />
altro”.<br />
In questo processo che assume la sembianze<br />
di un dipinto ad acquarello, una<br />
continua evoluzione di colori causata<br />
dall’acqua e dal pennello, alla fine del<br />
quale appare la forma. Questa è costituita<br />
da situazioni individuali rielaborate<br />
o riformate dal lavoro soggettivo,<br />
che rappresentano “il materiale” su cui<br />
intraprendere un lavoro per ridefinire<br />
un nuovo universo della persona.<br />
67
Tematica<br />
Queste situazioni, per la forma in cui<br />
si presentano, hanno la caratteristica<br />
di essere molto vincolate alla dimensione<br />
emotiva (presuppongono quindi<br />
resistenze, sofferenza o fissazioni)<br />
che richiamano alcuni bisogni primari<br />
del soggetto e costituiscono modalità<br />
comportamentali poco efficaci per<br />
un processo di riappartenenza sociale.<br />
Possiamo parlare in questa fase dell’intervento<br />
di “svelamento dell’organizzazione<br />
psichica del soggetto”.<br />
Contenuti educativi<br />
Il percorso di aiuto in questa fase segue<br />
l’iter pedagogico che vede collocati<br />
in modo consecutivo tre momenti del<br />
rapporto individuale con il proprio stato<br />
interiore.<br />
Questi sono lo stato di svelamento, riconoscimento,<br />
orientamento.<br />
Prima di entrare nel merito di ogni stato<br />
è importante sottolineare come l’intervento<br />
in questo ambito sia generalmente<br />
reso difficile dal contesto culturale<br />
che non offre strumenti di lettura<br />
della condizione interiore dei soggetti.<br />
Ci troviamo in questa situazione di<br />
fronte a un problema che si colloca in<br />
ambito individuale come difficoltà del<br />
soggetto ma che non trova strumenti<br />
nell’ambito sociale culturale, ambito<br />
da cui lo stesso dovrebbe attingere risorse<br />
per la conoscenza dell’interiorità.<br />
Può diventare utile in questo senso consigliare<br />
ai soggetti in una fase di accoglienza,<br />
la lettura di racconti di altre<br />
biografie di soggetti in condizione di<br />
grave marginalità o racconti letterari<br />
che permettano una visibilità dell’interiorità.<br />
Accanto alle letture possono essere di<br />
grande utilità la visione di films che<br />
68<br />
abbiano come oggetto viaggi nel mondo<br />
interiore e nelle sue difficoltà e sofferenze.<br />
In riferimento alla situazione dello “svelamento”<br />
diverse sono le cause che rendono<br />
difficile l’accoglimento nel proprio<br />
orizzonte psichico di dati della<br />
propria biografia. Questi o non vengono<br />
per niente tenuti in considerazione<br />
o rimangono offuscati all’ombra di<br />
sentimenti derivanti dalle diverse esperienze<br />
personali.<br />
Una prima causa è data dalle resistenze.<br />
Questa situazione si presenta con<br />
un comportamento del soggetto volto<br />
a negare l’appartenenza alla propria<br />
biografia di avvenimenti che fanno<br />
spesso riferimento a situazioni di sofferenza<br />
o di identità. Un classico esempio<br />
di queste situazioni è il tentativo<br />
di sottovalutare la sofferenza derivante<br />
da una frattura relazionare significativa.<br />
Obiettivo del soggetto è quello<br />
di manifestare la sua superiorità alla<br />
situazione. Necessità questa spesso derivante<br />
da un contesto sociale che giudica<br />
debole il soggetto che si perde in<br />
“queste situazioni”.<br />
Altra situazione frequente è la negazione<br />
della dubbia identità sessuale del<br />
soggetto. Questa accanto alla preoccupazione<br />
dell’impatto o giudizio sociale<br />
nasconde una fragilità identitaria non<br />
risolta.<br />
In questa situazione e di estrema importanza<br />
il dato di accoglienza, da parte<br />
dell’operatore e del gruppo, dell’alterità<br />
non riconosciuta dal soggetto.<br />
Questa valorizzazione “esterna” diviene<br />
lo strumento importante perchè il<br />
soggetto la “riveda” con occhi diversi<br />
e se ne riappropri con un nuovo significato.
Una seconda causa dei vuoti psichici<br />
fa riferimento alla memoria. E’ situazione<br />
frequente all’interno del gruppo<br />
di ricordi a catena che da un soggetto<br />
narrante passano a soggetti in<br />
quel momento ascoltatori. E’ come se<br />
l’avvenimento narrato da una persona<br />
o più ancora l’impatto emotivo con<br />
cui viene narrato accendesse un ricordo<br />
e una emozione collegata. Non sempre<br />
questo da parte della persona viene<br />
esplicitato ma è evidente leggere<br />
sui visi, nelle pose e nelle espressioni<br />
i movimenti interiori che vengono attivati.<br />
Si può dire che in queste situazione anche<br />
la memoria è condizionata dal sistema<br />
psichico marginale e che la stessa<br />
si focalizza attorno a degli avvenimenti<br />
funzionali alla sopravvivenza<br />
dell’equilibrio personale.<br />
Nel momento in cui nella situazione<br />
di nuova accoglienza l’unità psichica<br />
del soggetto aggregata attorno al vissuto<br />
di marginalità si allenta diviene<br />
più facile che la stessa memoria divenga<br />
accessibile a nuovi riferimenti storici<br />
o sia disponibile a rilettura di avvenimenti<br />
interpretati, fino a quel momento,<br />
in modo chiuso.<br />
A livello educativo potrebbe essere interessante<br />
l’utilizzo del diario come forma<br />
per visualizzare la propria evoluzione<br />
psichica ma anche come strumento<br />
per portare alla consapevolezza i<br />
nuovi vissuti che il contesto sta evidenziando.<br />
E vera che la scrittura può<br />
rappresentare un vincolo selettivo per<br />
alcune persone, si tratta di individuare<br />
in questo caso strumenti alternativi<br />
ma ugualmente efficaci.<br />
Vi sono infine situazioni in cui i soggetti<br />
sono incapaci di nominare alcu-<br />
Tematica<br />
ne situazioni personali perché non hanno<br />
mai avuto l’abitudine. Vi è in questo<br />
una grossa lacuna culturale nel dare<br />
voce ai vissuti e nel dare valore a situazioni<br />
che spesso vengono ritenute<br />
marginali, mentre hanno un grande<br />
impatto sulla struttura psichica individuale.<br />
Esempio emblematico di questa<br />
situazione è spesso la scarsa attenzione<br />
che viene data dai servizi che si<br />
occupano di grave marginalità a tutto<br />
quanto riguarda la cura della propria<br />
interiorità. La semplice valutazione che<br />
questa possa determinare situazioni di<br />
crisi individuale grave non è minimamente<br />
tenuta in considerazione.<br />
Di conseguenza il tempo dedicato alla<br />
cura del se è ritenuto tempo perso.<br />
Con il termine “riconoscimento” si intende<br />
accanto alla capacità di nominare<br />
il dato psichico, l’attribuzione di valore<br />
in funzione di un proprio benessere.<br />
Il riconoscimento avviene attraverso<br />
la possibilità di poter immaginare<br />
una realtà praticabile diversa dalla<br />
situazione di soppravvivenza.<br />
Questa attribuzione di valore determina<br />
la fuoriuscita del soggetto dal suo<br />
stato psichico in precedenza incrinato.<br />
E’ questa una situazione particolare.<br />
Infatti il soggetto generalmente si trova<br />
in uno stato emotivo positivo determinato<br />
dalle nuove prospettive che riesce<br />
a intravedere. Ma questa nuova<br />
situazione è anche di estrema fragilità.<br />
Infatti la mancanza di una condizione<br />
psichica non consolidata pone<br />
il soggetto in balia degli avvenimenti.<br />
In questa situazione l’intervento educativo<br />
oltre che supportare il soggetto<br />
nello sforzo ideativo, deve mantenere<br />
una grande attenzione e una tutela delle<br />
fragilità del soggetto. Infatti troppo<br />
69
Tematica<br />
spesso in queste situazioni si tende a<br />
caricare il soggetto di responsabilità alte<br />
ritenendolo in condizione di reggerle.<br />
La condizione psichica non consolidata<br />
può crollare confermando lo stato<br />
psichico precedente.<br />
Quanto detto appena sopra ci introduce<br />
nel terzo livello del processo di costituzione<br />
di un nuovo universo identitario<br />
non fondato sulla condizione di<br />
marginalità. La realizzazione di un nuovo<br />
universo individuale non è un prodotto<br />
casuale. Esso, attorno al perno<br />
portante rappresentato dalla adesione<br />
individuale (libertà), è il frutto di un<br />
processo di interazione con il contesto<br />
di appartenenza. In un contesto di<br />
appartenenza residenziale finalizzato<br />
al supporto per la riappropriazione della<br />
appartenenza sociale il nuovo universo<br />
individuale è il frutto di una pedagogia<br />
capace di orientare il soggetto<br />
verso una nuova identità<br />
I CONTENUTI PSICHICI PROBLE-<br />
MATICI E LA LORO PROSPETTIVA<br />
ESISTENZIALE -PAROLE CHIAVE-<br />
Nel film “Sostiene Pereira” 4 un amico<br />
medico del protagonista cercando di<br />
spiegare a Pereira cosa sta succedendo<br />
nella sua vita utilizza l’immagine della<br />
congregazione di anime per descrivere<br />
la molteplice realtà dell’interiorità.<br />
Per descrivere l’evoluzione che avviene<br />
nel soggetto parla della pre<strong>senza</strong><br />
di anime dominanti e anime con minore<br />
influenza. Il rapporto che esiste<br />
tra le anime diverse è di forza in un<br />
preciso periodo della storia individuale,<br />
ma evolutivo sui tempi lunghi. E’<br />
infatti possibile, che in particolari situazioni<br />
sociali, nell’individuo l’anima dominante<br />
ceda il posto a un anima se-<br />
70<br />
condaria che aveva fino a quel momento<br />
un ruolo minoritario o inesistenti<br />
nella storia individuale.<br />
L’esempio cinematografico è significativo<br />
per descrivere il ruolo che possono<br />
svolgere alcune parole chiave nel<br />
definire, fare emergere o ridimensionare<br />
alcuni contenuti psichici nel contesto<br />
della grave marginalità. Le parole<br />
individuate fanno riferimento non tanto<br />
alla genericità dell’universo psichico<br />
ma alla particolare condizione di<br />
grave marginalità in cui la persona si<br />
trova o ha costruito la sua storia.<br />
È inoltre importante sottolineare il particolare<br />
significato di riflessività che<br />
queste parole acquisiscono in un contesto<br />
di gruppo di pari, mediato dalla<br />
pre<strong>senza</strong> di un conduttore. Il contesto<br />
di gruppo apporta alla riflessività una<br />
caratteristica particolare di esemplarità<br />
e di molteplicità degli sviluppi delle<br />
storie individuali. La mediazione dell’operatore<br />
garantisce una continuità<br />
pedagogica nel trattamento dei contenuti<br />
psichici.<br />
Fragilità fallimento<br />
“M. ci dice che si sente in colpa e si sente<br />
addosso un fallimento. Ha vissuto<br />
di fallimenti, relativi non solo a ieri sera,<br />
ma più in generale, per tutta la situazione<br />
che si è venuta a creare…<br />
Tutti gli ospiti esprimono l’angoscia che<br />
vivono per i fallimenti passati e presenti.”<br />
“G. dice di sentirsi fallito. Anche<br />
M. dice che sta vivendo molto male il<br />
suo ultimo fallimento perché nel giro<br />
di pochi mesi ha perso casa, lavoro,<br />
affetti e dice che forse non ha ancora<br />
accettato di aver fallito.”<br />
Per poter reggere una situazione di marginalità<br />
estrema il soggetto costruisce
delle barriere di difesa dell’integrità individuale.<br />
Nessun individuo in un contesto<br />
di minaccia della propria identità,<br />
come quello costituito da una realtà<br />
di esclusione, riuscirebbe a reggere<br />
<strong>senza</strong> dotarsi di meccanismi psichici<br />
di protezione. Questi meccanismi sono<br />
costituiti fondamentalmente dalla “proiezione”,<br />
dalla “negazione” e dalle “resistenze”.<br />
Questi meccanismi possono<br />
esistere come componente psichica anche<br />
prima del percorso di marginalità<br />
ma è indubbio che questo li rinforza o<br />
li fa nascere. Allo stesso modo per poter<br />
affrontare questi meccanismi è fondamentale<br />
intervenire con una situazione<br />
di contesto. Cioè offrire ai soggetti<br />
situazioni esistenziali dove la minaccia<br />
dell’individualità sia attenuata<br />
e dove la riflessività sull’interiorità non<br />
venga percepita come un ulteriore vissuto<br />
di esclusione. Data questa condizione<br />
è possibile che il soggetto prenda<br />
in considerazione le sue “anime”<br />
con maggior obiettività.<br />
In modo particolare la chiave del fallimento<br />
permette l’accesso all’interiorità<br />
dove “l’anima dominante” è schiacciata<br />
dall’essere identificata con l’immagine<br />
fallimentare sia essa dovuta al<br />
soggetto stesso o ad altri. Questo processo<br />
aiuta il soggetto a cogliere la responsabilità<br />
individuale presente nel<br />
percorso di marginalità ma a di distanziarla<br />
dall’identità. Aiuta in questo<br />
modo l’io a rapportarsi allo sbaglio non<br />
solo a viverlo come peso.<br />
Aiuta a vivere la finitezza dello sbaglio,<br />
anche se sbaglio carico di responsabilità<br />
pesanti.<br />
Sotto l’altro versante questo processo<br />
aiuta l’io a cogliersi distanziato dalle<br />
responsabilità altrui anche se pesan-<br />
Tematica<br />
temente condizionato da queste. Si aiuta<br />
in questo modo il soggetto a cogliere<br />
la distanza da una storia determinata<br />
schiacciata dal fato e a cogliere<br />
gli spazio di azione individuale.<br />
Relazioni e abbandono<br />
“M. riprende il discorso dicendo che<br />
dopo la separazione dalla moglie (7 anni<br />
fa) e dalla figlia di 10 anni ha cominciato<br />
a fare uso di alcool e a vivere<br />
per la strada.”<br />
“M. accenna al fatto che adesso non ha<br />
il coraggio di chiamare la sua famiglia,<br />
ha pensato che sarebbe meglio<br />
chiamarli solo nel momento in cui veramente<br />
sta meglio e sta facendo qualcosa<br />
di concreto.”<br />
Vivere una situazione di marginalità<br />
estrema significa avere la testa occupata<br />
da pensieri che riguardano la necessità<br />
di trovare soluzioni a tutto.<br />
Ma questo è un aspetto della pesantezza<br />
della vita delle persone in condizione<br />
di marginalità. Appena vi è la<br />
condizione, rappresentata da un luogo<br />
accogliente o da persone che condividono<br />
la stessa esperienza emerge con<br />
tutta la sua pesantezza il sentimento<br />
di abbandono che la persona vive.<br />
Narrato nella forma di un dolore che<br />
ancora porta le lacrime agli occhi delle<br />
persone o narrato nella forma di una<br />
storia ormai lontana ma che ha ancora<br />
potere di bloccare la progettualità<br />
individuale, il sentimento di perdita del<br />
luogo affettivo ritorna costantemente<br />
nelle narrazioni della storie individuali.<br />
Tutte le persone che hanno percorsi più<br />
o meno lunghi di marginalità hanno<br />
luoghi di appartenenza affettivi antecedenti<br />
la condizione di estremo disagio.<br />
Il contesto di marginalità acqui-<br />
71
Tematica<br />
sisce lungo il tempo un significato di<br />
appartenenza ma è spesso una condizione<br />
di appartenenza non scelta, diviene<br />
lungo l’itinerario personale il luogo<br />
dove il soggetto trova un contesto<br />
di appartenenza perchè necessario al<br />
bisogno di socialità e sicurezza del soggetto.<br />
Per una quantità di persone in condizione<br />
di grave marginalità il passaggio<br />
dal luogo ereditato o costruito di<br />
appartenenza affettiva al contesto di<br />
appartenenza marginale non è mai avvenuto<br />
in modo indolore. Spesso le storie<br />
personali sono cariche di rotture violente,<br />
di abbandoni, di espulsioni.<br />
Il luogo della nuova accoglienza comunitaria<br />
mentre allontana l’appartenenza<br />
marginale ripropone l’appartenenza<br />
affettiva antecedente.<br />
Riproponendo questo tema viene riproposto<br />
necessariamente il problema del<br />
trattamento del rapporto tra il soggetto<br />
e una parte della sua storia che si è<br />
interrotta.<br />
È in questo contesto che la parola chiave<br />
delle relazioni affettive apre lo spazio<br />
a un grappolo di parole che trovano<br />
una diversa concatenazione nelle<br />
storie individuali. Aprire il luogo della<br />
sofferenza affettiva significa incontrarsi<br />
con il tema del rancore per il proprio<br />
orgoglio ferito, significa confrontarsi<br />
con la necessità di essere perdonati,<br />
significa ammettere la fragilità determinata<br />
dalla mancanza dell’altro, significa<br />
assumersi la responsabilità dei<br />
propri sbagli.<br />
E’ all’interno di un contesto affettivo<br />
che il soggetto può lenire e curare le<br />
sofferenze che ricompongono il collante<br />
affettivo del se che costituisce un pilastro<br />
dell’identità individuale.<br />
72<br />
Questo è possibile qualora la storia del<br />
soggetto non ha incontrato esperienze<br />
che abbiano leso irrimediabilmente<br />
questa dimensione dell’identità. 5<br />
EVOLUZIONE DELLE FORME DI<br />
RAPPRESENTAZIONE INDIVIDUA-<br />
LE NELLA FASE DI PASSAGGIO<br />
DALLA CONDIZIONE DI MARGI-<br />
NALITÀ ALLA FASE DI RADICA-<br />
MENTO PROGETTUALE.<br />
Cercando di svolgere un tentativo di<br />
sintesi delle riflessioni sopra esposte<br />
si possono individuare tre livelli evolutivi<br />
dell’universo psichico del soggetto<br />
in condizione di esclusione:<br />
1° ridefinizione della appartenenza sociale in un<br />
contesto protetto<br />
2° scomposizione delle rappresentazioni marginali<br />
e ricomposizione dei contenuti biografici<br />
3° rinascita delle capacità rappresentative e riorientamento<br />
nel tempo<br />
1) E’ facile immaginare la condizione<br />
di esclusione come uno stato individuale<br />
dove la persona non fa riferimento<br />
a nessuna appartenenza. Di fatto<br />
la definizione di questa situazione<br />
come condizione di esclusione indica<br />
uno stato dove le appartenenze sono<br />
inesistenti. Questo modo di pensare o<br />
di immaginare l’esclusione fa riferimento<br />
a un immaginario dove l’ambito<br />
dell’inclusione è rappresentato come<br />
il “luogo dei legami” e quello dell’esclusione<br />
come “luogo di as<strong>senza</strong> di<br />
appartenenze”.<br />
In realtà ciò non è vero in quanto i<br />
luoghi di inclusione e di esclusione<br />
condividono nel nostro contesto sociale<br />
la stessa penuria di relazioni e di significati<br />
di appartenenza.
I luoghi di esclusione possono essere<br />
definiti tali perché creano relazioni e<br />
appartenenze e si rapportano ai luoghi<br />
di inclusione in riferimento alla<br />
pre<strong>senza</strong> di minori risorse e in rapporto<br />
ai modi di stare entro la legalità<br />
o ai confini dei significati dei luoghi<br />
inclusivi.<br />
Questo dato di fatto è interessante per<br />
cogliere la motivazione per cui il cambio<br />
di luogo di un soggetto (in questo<br />
caso il passaggio dalla strada a una<br />
accoglienza) non significa automaticamente<br />
il cambio di appartenenza.<br />
Ciò che viene spesso chiamato cronicità<br />
all’interno del disagio grave non<br />
è altro che il consolidarsi di un appartenenza<br />
caratterizzata sempre più dallo<br />
stato di necessità e sempre meno<br />
dalla consapevolezza decisionale del<br />
soggetto.<br />
Questo ci permette di aprire una parentesi<br />
sulla falsità di alcune rappresentazioni<br />
che vanno di moda nell’interpretazione<br />
del fenomeno della grave<br />
marginalità, che lo tratteggiano come<br />
il luogo romantico dell’esercizio della<br />
libertà incondizionata. Non vi è niente<br />
di più falso in queste rappresentazioni<br />
e di violento rispetto alle pratiche che<br />
questo modo di pensare veicola. 6<br />
Il luogo dell’accoglienza, così come è<br />
concepito nell’esperienza del Nuovo Albergo<br />
Popolare, diviene nel suo aspetto<br />
particolare il potenziamento delle<br />
risorse e capacità individuali attraverso<br />
la mediazione di un altro soggetto<br />
o di altri soggetti che condividono la<br />
stessa decapacitazione. All’interno del<br />
gruppo di pari non funziona la legge<br />
matematica della somma, ma un gruppo<br />
esprime più della somma delle capacità<br />
individuali.<br />
Tematica<br />
L’effetto di questa capacitazione mediata<br />
è il presupposto della costruzione<br />
di nuove appartenenze.<br />
2) Gli avvenimenti e gli accadimenti<br />
coniugati con le percezioni soggettive<br />
formano le rappresentazioni della realtà<br />
dei soggetti.<br />
Una serie di avvenimenti contribuiscono<br />
a formare una sensibilità orientata<br />
e predisposta a costruire particolari<br />
rappresentazioni.<br />
Gli avvenimenti che costituiscono nelle<br />
storie delle persone le condizioni di<br />
fragilità unite agli avvenimenti che le<br />
stesse persone incontrano nei successivi<br />
percorsi di marginalità contribuiscono<br />
a determinare nei soggetti delle<br />
sensibilità che predispongono una<br />
particolare rappresentazione del reale.<br />
In questo modo nei soggetti in condizione<br />
di grave esclusione si può parlare<br />
di cronicità delle rappresentazioni<br />
intendendo in questo modo parlare di<br />
una incapacitazione soggettiva alla libertà<br />
rappresentativa del reale.<br />
In questo modo la condizione di esclusione<br />
oltre che essere una reale as<strong>senza</strong><br />
di risorse sociali ed economiche<br />
definisce una reale as<strong>senza</strong> e privazione<br />
di risorse ideative.<br />
Il luogo dell’accoglienza nel suo modo<br />
di proporsi e di organizzarsi può<br />
riproporre il contesto di emarginazione<br />
(la strada) o può divenire un reale<br />
contesto che provoca il cambiamento.<br />
In modo particolare se gli oggetti della<br />
storia personale diventano il luogo<br />
di principale attenzione del luogo dell’accoglienza<br />
si assiste a un passaggio<br />
reale di condizione dei soggetti che da<br />
oggetti di attenzione divengono attori<br />
della loro condizione.<br />
La narrazione dei contenuti biografici<br />
73
Tematica<br />
all’interno di un centro di accoglienza<br />
svolge una funzione determinante per<br />
la riattivazione delle capacità ideative<br />
del soggetto in modo particolare contribuisce<br />
a<br />
• Riattivare risorse e modalità operative<br />
che appartenevano al soggetto<br />
nella fase precedente il percorso di<br />
esclusione. In questo senso è stupefacente<br />
notare come le persone in un<br />
tempo breve dopo l’accoglienza manifestano<br />
capacità e abilità in un primo<br />
tempo impensabili.<br />
• Recuperare un identità personale non<br />
solo definita dall’as<strong>senza</strong> di risorse<br />
o dalla percezione di esclusione ma<br />
di persona in condizione di disagio<br />
o ferita da avvenimenti che costituiscono<br />
la storia personale.<br />
Questo passaggio è di fondamentale<br />
importanza perché porta il soggetto<br />
a individuale nella sua situazione<br />
confusa un inizio del percorso di soluzione<br />
della stessa. Questo punto<br />
di inizio è rappresentato dalla sua<br />
soggettività riconosciuta come fragile<br />
ma nello stesso tempo come capace<br />
di scelte efficaci per migliorare la<br />
propria situazione.<br />
• Elaborare resistenze nella narrazione<br />
della propria storia.<br />
Questo passaggio è di fondamentale<br />
importanza perchè permette di ipotizzate<br />
la narrazione della propria<br />
biografia aperta a più variabili che<br />
possano comportare la possibilità di<br />
prevedere degli inizi con cause diverse,<br />
delle conclusioni con motivazioni<br />
impensabili e dei contenuti (avvenimenti)<br />
non cosi rigidamente definiti<br />
individuando responsabilità sacralizzate<br />
dal proprio immaginario<br />
sofferente o rancoroso.<br />
74<br />
3) Il lavoro svolto nella fase precedente<br />
determina la rinascita della capacità<br />
ideativa del soggetto. Si intende con<br />
questo definire la recuperata emancipazione<br />
del soggetto dalla condizione<br />
di persona chiusa nella rappresentazione<br />
di un proprio spazio definito<br />
dalla marginalità. E’ in questa nuova<br />
condizione che il soggetto inizia a individuare<br />
responsabilità, diritti, opportunità<br />
e a collocarle all’interno di una<br />
prospettiva futura.<br />
Questo processo non è esente da pericoli.<br />
Infatti la nuova situazione di benessere<br />
e di entusiasmo recuperata con<br />
l’iniziale periodo di accoglienza porta<br />
spesso le persone ad accelerare i tempi<br />
di reinserimento <strong>senza</strong> cogliere la<br />
necessità di consolidare a livello psichico<br />
la situazione di fragile equilibrio<br />
raggiunto.<br />
E’ necessario di conseguenza aiutare i<br />
soggetti in condizione di esclusione a<br />
orientare la loro capacità ideativa perchè<br />
si traduca in un processo capace<br />
di rispettare le fragilità e le risorse soggettive.<br />
Questo avviene attraverso una<br />
organizzazione che abbia alla base un<br />
buon impianto pedagogico che a partire<br />
dalla lettura della condizione di<br />
grave emarginazione sappia coniugare<br />
attivazione delle risorse individuali e<br />
tempi all’interno di una relazione di<br />
aiuto.<br />
OLTRE LA CRONICITÀ UNA QUE-<br />
STIONE DI ORGANIZZAZIONE E<br />
DI INTENZIONALITÀ, OVVERO<br />
AGIRE LA GIUSTIZIA E SPERARE<br />
LA LIBERTÀ<br />
Il discorso fin qui fatto, oltre alle varie<br />
consapevolezze legate all’azione con<br />
le persone in condizione di esclusione
ci permette di fare alcune considerazioni<br />
su un tema centrale dei servizi<br />
rivolti ai <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> : il tema dell’organizzazione.<br />
Innanzi tutto si deve dire con chiarezza<br />
che il modo in cui un servizio si organizza<br />
non è indifferente rispetto all’esito<br />
del rapporto con persone in condizione<br />
di esclusione.<br />
L’intenzionalità del servizio non racchiude<br />
in se solo una modalità di intervento<br />
ma è portatrice di una lettura<br />
sociale e politica del fenomeno esclusione<br />
sociale. Lavorare con un servizio<br />
che ha come finalità il reinserimento<br />
sociale dei soggetti svantaggiati significa<br />
avere una visione delle società dove<br />
il valore del singolo non è dato solo<br />
dal singolo stesso ma dal singolo e<br />
dalla rete di supporto. Significa avere<br />
una visione della politica dove il diritto<br />
significa anche un investimento di<br />
risorse perché i cittadini sappiano esercitare<br />
i diritti.<br />
Viceversa organizzare un servizio che<br />
si ponga una finalità deliberatamente<br />
assistenziale significa ipotizzare una società<br />
che si prende a cura il tema della<br />
povertà e persegue una politica dei bisogni<br />
legata ad essa.<br />
L’intenzionalità di un servizio va però<br />
tradotta in una organizzazione che sia<br />
rispettosa dei contenuti insiti nella intenzionalità.<br />
Non si può parlare di attenzione<br />
all’interiorità dei soggetti dentro<br />
organizzazioni che non prevedono<br />
luoghi e professionalità capaci di accogliere<br />
e accompagnare l’evoluzione<br />
interiore delle persone. Allo stesso modo<br />
non si possono aspettare decisioni<br />
da parte dei soggetti quando non si<br />
sono offerti strumenti affinchè il soggetto<br />
stesso sia capace delle decisioni.<br />
Tematica<br />
Ancora non si può credere nelle risorse<br />
dei singoli e nella loro attivazione<br />
all’interno di un servizio che si regge<br />
esclusivamente su delle regole astratte.<br />
Infine non si può parlare di reinserimento<br />
quando il percorso di una persona<br />
non ha come esito finale la possibilità<br />
di un accesso a un alloggio, a<br />
un reddito, alla cura della salute psico-fisica,<br />
all’iscrizione a un registro anagrafico<br />
come base di accesso a qualsiasi<br />
ulteriore diritto.<br />
Il tema dell’aggancio di soggetti in condizione<br />
di esclusione per una motivazione<br />
al cambiamento, da quanto emerge<br />
in questo scritto, non è mai un fatto<br />
che accade nel momento in cui una<br />
persona entra in una struttura di accoglienza<br />
o fa un colloquio con un operatore,<br />
ma è un processo che coniuga<br />
servizi offerti (alloggio, mensa, servizi<br />
igenico-sanitari) e relazioni professionali<br />
di aiuto (colloqui di diagnosi,<br />
di orientamento, gruppi di discussione<br />
tra pari). Tutto questo all’interno di<br />
una pedagogia di intervento che ha la<br />
finalità di supportare il soggetto a riprendere<br />
in mano la sua capacità ideativa<br />
e di speranza di futuro.<br />
In chiusura va tuttavia ribadito che in<br />
qualsiasi situazione di marginalità, seppur<br />
molto ridotti, permangono degli<br />
spazi di libertà dei soggetti.<br />
Anche questo dato è un elemento di<br />
fondamentale importanza perché un<br />
percorso di aiuto non può prescindere<br />
dal rispettare e dal rendere sempre<br />
più ampi gli spazi decisionali dei soggetti<br />
in condizione di esclusione.<br />
In questo senso agire la giustizia significa<br />
porre il soggetto nella condizione<br />
in cui sia libero di poter decidere<br />
del suo futuro accettando anche il<br />
75
Tematica<br />
fatto che le prospettive del soggetto<br />
non corrispondano a quelle dell’operatore<br />
o dell’organizzazione che ha attivato<br />
il percorso di aiuto.<br />
1 La parte centrale del testo contiene citazioni tratte<br />
integralmente dai verbali redatti dagli operatori<br />
che, giornalmente nella comunità di Prima accoglienza,<br />
conducono il gruppo degli ospiti. Viene<br />
riportata l’iniziale del nome dell’ospite, da cui si<br />
prende la citazione, per una migliore lettura dei<br />
testi.<br />
2 Dopo la permanenza nella Comunità di accoglienza,<br />
che dura mediamente 1-2 mesi, le persone passano<br />
all’interno di uno dei quattro settori, presenti<br />
nella struttura del Nuovo Albergo Popolare, dove<br />
intraprendono un percorso progettuale individualizzato.<br />
I settori, organizzati in comunità, accolgono<br />
in specifico persone in condizione di esclusione<br />
con particolari problemi di tossicodipendenza, di<br />
76<br />
alcolismo, di disagio psichiatrico e di disagio generico.<br />
I quattro settori hanno alla base una comune<br />
filosofia di intervento tradotta in specifico per<br />
le forme particolari di disagio.<br />
3 La tecnica dello specchio indica l’intervento svolto<br />
dall’operatore o dal gruppo attraverso il quale<br />
gli stessi svolgono una funzione di rappresentazione<br />
e di rimando al soggetto delle sue emozioni<br />
dei suoi modi di rappresentare la realtà evidenziandone<br />
la percezione che ne ha l’esterno.<br />
4 Film interpretato da Marcello Mastroianni tratto<br />
dall’omonimo romanzo di Antonio Tabucchi.<br />
5 E’ possibile incontrare all’interno dei centri di accoglienza<br />
persone che hanno subito nelle loro storia,<br />
in modo particolare nel periodo dell’infanzia,<br />
traumi che sono di difficile ricomposizione in modo<br />
particolare con gli strumenti che possono essere<br />
messi a disposizione da un servizio rivolto alla grave<br />
marginalità.<br />
6 Questo modello interpretativo del fenomeno grave<br />
marginalità è quello che maggiormente veicola<br />
interventi caratterizzati da modalità normative.
Didattica<br />
TAVOLO “GRAVE EMARGINAZIONE”<br />
LEGGE 328<br />
DEL DISTRETTO DI BERGAMO<br />
ELABORAZIONE DI UNA PROGETTUALITÀ GENERALE NELL’AM-<br />
BITO E INDICAZIONI OPERATIVE PER L’ANNO SOCIALE 2003-2004<br />
A cura di Giacomo Invernizzi - Coordinatore del tavolo.<br />
PREMESSA<br />
L’apparente as<strong>senza</strong> di relazioni tende<br />
a connotare il fenomeno della grave<br />
marginalità come realtà aterritoriale.<br />
In letteratura l’unica caratteristica territoriale<br />
spesso presa in considerazione<br />
è la dimensione urbana. Non esiste<br />
luogo in cui si tratti la grave marginalità<br />
bergamasca connotandola diversamente<br />
da quella bresciana o la grave<br />
marginalità lombarda connotandola<br />
con caratteristiche diverse da quella<br />
toscana e, per finire, di marginalità<br />
italiana con processi di esclusione diversi<br />
da quella francese.<br />
La particolarità del presente piano operativo<br />
è il tentativo di connotare l’intervento<br />
a favore dei soggetti deboli<br />
come intervento territoriale assumendo<br />
in questo modo le caratteristiche<br />
sociali, economiche e culturali del nostro<br />
contesto. Non vi è qui lo spazio<br />
per motivare questa scelta, ma viene<br />
indicata come presupposto fondamentale<br />
di un intervento che abbia come<br />
finalità la lotta all’esclusione sociale.<br />
Questa finalità viene perseguita cercando<br />
di coniugare le diverse interpretazioni<br />
che hanno caratterizzato la lettura<br />
del fenomeno in questi ultimi 30<br />
anni: da quella più sociale che individua<br />
le cause della grave marginalità<br />
nella iniqua redistribuzione delle risor-<br />
se, a quella che individua la cause in<br />
fattori endogeni, causa scatenante, o endogeni<br />
alla soggettività malattia mentale,<br />
tossicodipendenza, per arrivare a<br />
quella che attualmente è più osservata<br />
nella ricerca, che riguarda il venir<br />
meno delle relazioni sociali e l’indebolirsi<br />
delle capacita individuali nell’appropriarsi<br />
delle risorse messe a disposizione<br />
dal contesto sociale. Lungi<br />
dall’optare per una di queste letture,<br />
la riflessione del tavolo si muoverà tenendo<br />
ben presente i diversi fuochi di<br />
lettura del fenomeno trovando nel modo<br />
in cui si coniugano sul territorio bergamasco<br />
il filo conduttore dell’analisi.<br />
1. DESCRIZIONE DEL CONTESTO<br />
Caratteristiche del territorio bergamasco<br />
in riferimento ai processsi di esclusione<br />
sociale.<br />
1.1. La posizione geografica colloca Bergamo<br />
fuori dai grandi svincoli ferroviari<br />
o stradali. Questo fa sì che<br />
solo una piccola parte della popolazione<br />
di persone in condizione<br />
di marginalità sia costituita da soggetti<br />
girovaghi. Tale aspetto è stato<br />
ben evidenziato da una ricerca<br />
condotta dalla Provincia di Bergamo<br />
in collaborazione con Comune<br />
di Bergamo, Caritas e Nuovo Albergo<br />
Popolare nel 1992. Sul totale<br />
77
Didattica<br />
della popolazione censita in un anno<br />
di attività dai tre servizi, l’80%<br />
delle persone era residente nella città<br />
e provincia. Questo dato ha avuto<br />
la riconferma pure negli anni<br />
successivi anche se non esistono<br />
ricerche simili a quella del 1992.<br />
Bergamo mantiene una attrattiva<br />
verso la popolazione in condizione<br />
di marginalità perché, nella rete<br />
conoscitiva informale, è conosciuta<br />
come città ricca di opportunità lavorative<br />
e di risorse per la risposta<br />
ai bisogni primari. In tal modo se<br />
non viene presa in considerazione,<br />
perché fenomeno diverso, la condizione<br />
degli stranieri si può definire<br />
la grave marginalità bergamasca<br />
come fenomeno territoriale.<br />
1.2. Per quanto riguarda l’offerta di opportunità<br />
lavorative a Bergamo, come<br />
nel più generale Nord Italia, si<br />
ha un tasso di disoccupazione che<br />
si attesta attorno al 2%. Non è quindi<br />
un indice estremamente significativo<br />
per essere collocato tra le<br />
possibili cause dei processi di esclusione.<br />
Divengono sempre più problematici,<br />
anche sul territorio bergamasco,<br />
i nuovi modelli organizzativi<br />
del lavoro volti ad una maggior<br />
flessibilità. In particolare, nel<br />
processo di reinserimento sociale<br />
la strutturale fragilità soggettiva di<br />
alcune persone, unita all’età non<br />
più giovane, si connotano come elementi<br />
penalizzanti il processo di<br />
reinserimento lavorativo. Il dato lavorativo<br />
è anche un indice di lettura<br />
della situazione soggettiva di<br />
grave marginalità. Infatti, se le risorse<br />
sociali hanno un peso non<br />
esclusivo nel determinare i percor-<br />
78<br />
si di esclusione ciò significa che gli<br />
interventi a favore delle persone<br />
in condizione di disagio devono tenere<br />
in seria considerazione le dinamiche<br />
relazionali ed i vissuti soggettivi<br />
come elemento riabilitativo.<br />
1.3.Il contesto sociale bergamasco è<br />
storicamente generoso e ricco di<br />
iniziative rivolte alla cura di soggetti<br />
in difficoltà. E’ una attenzione<br />
questa che si riscontra in iniziative<br />
pubbliche ma, soprattutto, provenienti<br />
dal privato sociale, di matrice<br />
cattolica, per l’area in analisi.<br />
Questa attenzione non si è però<br />
mai concretizzata in una progettualità<br />
politica di intervento a favore<br />
delle fasce deboli, privilegiando<br />
gli interventi nati dalla buona<br />
volontà dei cittadini a fronte di esigenze<br />
concrete. Si è in questo modo<br />
realizzata negli anni una rete<br />
di servizi spesso poco coordinati<br />
tra loro e prevalentemente rivolti<br />
agli interventi di emergenza.<br />
2. LA POPOLAZIONE IN CONDI-<br />
ZIONE DI GRAVE MARGINALITÀ<br />
NEL DISTRETTO DI BERGAMO<br />
Non è facile fare il punto della situazione<br />
della popolazione marginale a<br />
Bergamo. Questo è dovuto da una parte<br />
alla rapida evoluzione che caratterizza<br />
il fenomeno ma, in particolare,<br />
alla mancanza di esaustive ricerche sul<br />
territorio. Essendo però il contesto cittadino<br />
e del distretto quello sicuramente<br />
non di una metropoli ma di una media<br />
città italiana si possono raccogliere<br />
indicazioni a partire dai dati settoriali<br />
dei singoli servizi.<br />
Innanzitutto, questi dati confermano alcune<br />
linee di tendenza presenti in ri-
cerche di tipo nazionale. In particolare,<br />
la caratterizzazione di genere maschile<br />
del fenomeno rappresentata dall’80-90%<br />
della popolazione. Inoltre, viene<br />
confermato anche sul territorio bergamasco<br />
l’abbassamento dell’età media<br />
delle parsone. Si diversifica rispetto ai<br />
dati nazionali e in modo particolare rispetto<br />
alle grosse città il dato residenziale.<br />
Infatti, a Bergamo circa l’80% della<br />
popolazione accolta è residente nella<br />
Provincia di Bergamo equamente distribuita<br />
tra, 50% e 50%, capoluogo e<br />
territorio provinciale. Se cerchiamo di<br />
fare una valutazione numerica delle<br />
persone in condizione di grave esclusione<br />
prendendo come riferimento l’as<strong>senza</strong><br />
di un alloggio, possiamo ipotizzare<br />
una pre<strong>senza</strong> per eccesso di 150<br />
persone. Il numero è ricostruito calcolando<br />
i posti disponibili (NAP 70, Caritas<br />
7+10+6, Patronato 10, Comunità 20)<br />
e ipotizzando circa 30 persone in strada.<br />
Se cerchiamo ulteriormente di fare una<br />
valutazione dei flussi annuali delle persone<br />
in condizione di grave marginalità,<br />
possiamo fare le seguenti ipotesi.<br />
Durante l’anno 2002 il Nap ha accolto<br />
102 persone nuove, il Centro di primo<br />
ascolto della Caritas durante lo stesso<br />
anno ha contattato 361 persone, il Punto<br />
durante il periodo settembre 2002maggio<br />
2003 ha contattato139 persone<br />
e il servizio Esodo ha accolto 102<br />
persone. Sapendo che una parte delle<br />
persone contattate dalla Caritas e dal<br />
Punto non sono in condizione di grave<br />
marginalità con as<strong>senza</strong> di abitazione<br />
e che parte dei soggetti sono contemporaneamente<br />
contattati dai quattro<br />
servizi, si può ipotizzare un flusso<br />
annuale di 200-300 persone.<br />
E’ molto più difficile quantificare il nu-<br />
Didattica<br />
mero di persone in condizione di grave<br />
marginalità con una sistemazione alloggiativa.<br />
Sarebbe necessario riuscire<br />
ad incrociare alcuni dati raccolti da diversi<br />
servizi cosa che in questo momento<br />
non è possibile fare. Vi è tuttavia<br />
la percezione dell’aumento delle<br />
condizione di marginalità. Questa valutazione<br />
numerica non prende in considerazione<br />
la popolazione immigrata.<br />
Ciò perché è difficile quantificare<br />
in generale la popolazione immigrata<br />
presente sul territorio; inoltre, la situazione<br />
di clandestinità di parte dei soggetti<br />
immigrati rende difficile l’accesso<br />
ai servizi e lo stesso intervento dei<br />
servizi. Rimane questo tuttavia un serio<br />
problema da prendere in considerazione,<br />
anche per l’aumento delle condizioni<br />
di grave marginalità che si stanno<br />
creando. Al riguardo si citano alcuni<br />
dati provenienti dal <strong>Servizi</strong>o Esodo,<br />
dalla Caritas e dal Punto.<br />
Al Centro di primo Ascolto della Caritas<br />
si sono rivolti durante l’anno 2002<br />
circa 1625 persone, con un aumento rispetto<br />
all’anno precedente dell’80%. Il<br />
servizio Punto ha contattato 10 persone<br />
con problemi di abuso di sostanze.<br />
Il servizio Esodo ha dato nello stesso<br />
anno accoglienza a 103 stranieri con un<br />
incremento rispetto all’anno precedente<br />
del 200%. Rispetto alla pre<strong>senza</strong> di<br />
donne in situazione di marginalità, si<br />
nota un tendenziale aumento del numero.<br />
Rimane molto problematico l’aggancio<br />
e l’inserimento in progetti riabilitativi<br />
anche per l’as<strong>senza</strong> di servizi<br />
organizzati in modo mirato ad una<br />
loro accoglienza. Una valutazione della<br />
rete sociale di appartenenza evidenzia<br />
alcuni fenomeni in evoluzione.<br />
Si nota una evoluzione dei servizi so-<br />
79
Didattica<br />
ciali territoriali nella direzione di una<br />
maggiore presa in carico delle persone,<br />
dovuta probabilmente ad un aumento<br />
degli stessi servizi sul territorio.<br />
La maggior presa in carico è evidenziata<br />
dall’aumentato numero di persone<br />
che vengono inviate ai servizi di accoglienza<br />
dai servizi sociali. Nel passato<br />
era maggiore la richiesta diretta dei soggetti<br />
in condizione di marginalità.<br />
Viceversa, oggi, si assiste ad una inversione<br />
di tendenza della pre<strong>senza</strong> delle<br />
Asl sul territorio mediante servizi specialistici<br />
ed una situazione ambivalente<br />
si è venuta a creare anche con la psichiatria<br />
che ha aumentato i servizi residenziali<br />
sul territorio e ridotto quelli<br />
territoriali. Molto più fragile sta diventando<br />
la rete sociale di appartenenza<br />
di tipo parentale, amicale e comunitario.<br />
Questo viene evidenziato nei tempi<br />
più brevi tra l’insorgenza dei primi fenomeni<br />
di crisi e la condizione di marginalità<br />
con esclusione abitativa. Una<br />
valutazione del fenomeno di tipo soggettivo<br />
evidenzia un aumento della<br />
condizione di fragilità dei soggetti che<br />
diviene nella condizione di marginalità,<br />
oltre che esclusione all’accesso alle<br />
risorse, incapacitazione soggettiva di<br />
utilizzo delle risorse individuali e sociali.<br />
Il dato che evidenzia nel momento<br />
attuale tale fenomeno è l’aumento<br />
delle forme di dipendenza nei soggetti<br />
in condizione di grave marginalità.<br />
3. LA “LEGGE QUADRO PER LA<br />
REALIZZAZIONE DEL SISTEMA<br />
INTEGRATO DI INTERVENTI E<br />
SERVIZI SOCIALI”<br />
Il 31 maggio 2000 il governo italiano ha<br />
approvato la legge sui servizi sociali<br />
titolata “Legge quadro per la realizza-<br />
80<br />
zione del sistema integrato di interventi<br />
e servizi sociali”. Tale legge, per<br />
la prima volta nell’ambito legislativo<br />
italiano, in modo esplicito, propone interventi<br />
a favore dei soggetti in condizione<br />
di grave marginalità (art.28).<br />
Inoltre, pone alcuni criteri e vincoli nell’organizzazione<br />
dei servi sociali di fondamentale<br />
importanza:<br />
• Definisce la territorialità dell’organizzazione<br />
dei servizi attribuendo<br />
A) ai comuni la funzione di “… programmazione,<br />
progettazione, realizzazione<br />
del sistema locale dei servizi<br />
sociali a rete, indicazione delle priorità<br />
e dei settori di innovazione attraverso<br />
la concertazione delle risorse<br />
umane e finanziarie locali, con il<br />
coinvolgimento…”: “..degli organismi<br />
non lucrativi di utilità sociale,<br />
delle associazioni e degli enti di promozione<br />
sciale, delle fondazioni e degli<br />
enti di patronato, delle organizzazioni<br />
di volontariato, degli enti riconosciuti<br />
delle confessioni religiose…”;<br />
B) ai comuni associati, negli<br />
ambiti territoriali, la definizione del<br />
piano di zona.<br />
• Definisce i servizi essenziali in ambito<br />
territoriale per la realizzazione<br />
dei piani di zona. In specifico si cita,<br />
perché direttamente attinenti alle situazioni<br />
di grave marginalità: a) il segretariato<br />
sociale, b) servizio di pronto<br />
intervento sociale per situazioni di<br />
emergenza, c) centri di accoglienza<br />
residenziali o diurni a carattere comunitario.<br />
4. IL TAVOLO “ GRAVE EMARGINA-<br />
ZIONE”<br />
Partecipanti al Tavolo<br />
Rubich Antonella (Comune di Berga-
mo), Gotti Marzia (Ass. Melarancia),<br />
Persico Michela (Provincia di Bergamo),<br />
Ninfo Eleonora, Manenti Lucia<br />
(Centro <strong>Servizi</strong> Sociale Adulti), Invernizzi<br />
Giacomo (Nuovo Albergo Popolare),<br />
Stentella Ivano (Caritas), Frigeni<br />
Giuseppe (Ser.t), Mascheretti (CIF), Viviani<br />
Renata ( Centro Psico Sociale),<br />
Frigeni Filippo (Comitato Carcere Territorio),<br />
Sperandio Katia (<strong>Servizi</strong>o Migrazione<br />
e Cooperazione Internazionale),<br />
Basile Natale (Comunità Prima<br />
Accoglienza), Calamandrei Manuela<br />
(Questura), Lazzari Maurizio (Distretto<br />
di Bergamo), Romagnoli Rina (CSV-<br />
Bottega del Volontariato), Defendi Fabio<br />
(Patronato S.Vincenzo e Ass. In Strada),<br />
Venezia Angela (Casa Circondariale),<br />
Modora Sara (Pronto Intervento<br />
Palazzolo), Rota Ilaria (Comuni del<br />
Distretto di Bergamo).<br />
4.1. PREMESSA<br />
Durante i mesi di giugno e luglio 2003<br />
si sono svolti i primi incontri del folto<br />
gruppo di partecipanti al tavolo della<br />
328. Per tante realtà questi incontri costituivano<br />
“una prima volta” in riferimento<br />
alla conoscenza di altri servizi<br />
e rispetto alla condivisione di riflessioni<br />
e valutazioni sul fenomeno della<br />
grave marginalità. In questo modo alla<br />
prioritaria finalità del gruppo, che è<br />
la programmazione di una progettualità<br />
per l’anno sociale 2003-2004, si è affiancata<br />
la necessità di curare la costituzione<br />
di un gruppo che abbia tempi<br />
di lavoro ben più lunghi per avviare<br />
una condivisione delle interpretazioni<br />
che i singoli soggetti e servizi hanno a<br />
riguardo dell’esclusione sociale.<br />
In riferimento a quest’ultima finalità gli<br />
incontri hanno evidenziato la ricchez-<br />
Didattica<br />
za di esperienza e patrimonio culturale<br />
presenti sul territorio che si traducono<br />
nella pre<strong>senza</strong> di numerosi servizi<br />
rivolti alla grave marginalità. E’ però<br />
anche stata evidenziata la frammentazione<br />
degli interventi frutto di una<br />
storia dove, in pari modo, hanno giocato<br />
la mancanza di una progettualità generale,<br />
le conflittualità tra servizi e, non<br />
ultimo, i diversi modelli interpretativi<br />
del fenomeno, spesso ideologizzati.<br />
Si è cercato in questo modo di avviare<br />
un lavoro di condivisione di alcuni<br />
obiettivi che salvaguardassero la storia<br />
di tutti i servizi ma che fossero anche<br />
un tentativo concreto di tradurre sul<br />
territorio del Distretto di Bergamo quella<br />
che è la grande finalità sociale del<br />
tavolo di lavoro: la lotta all’esclusione<br />
sociale. Finalità questa che sul nostro<br />
territorio si traduce nella riduzionescomparsa<br />
delle presenze in strada di<br />
soggetti con situazioni di disagio e nella<br />
riaffermazione-accesso ad alcuni diritti<br />
di cittadinanza per le fasce deboli<br />
della popolazione.<br />
4.2 OBIETTIVI DEL TAVOLO<br />
• Favorire una lettura condivisa tra i<br />
servizi del fenomeno della grave marginalità.<br />
• Realizzare un progetto generale (riferito<br />
alla città e al distretto) di intervento<br />
nei confronti dell’esclusione sociale.<br />
• Realizzare un coordinamento operativo<br />
tra i servizi per una più efficace<br />
e migliore risposta ai bisogni dell’utenza.<br />
• Garantire una pre<strong>senza</strong> di servizi ai<br />
diversi livelli di intervento, in modo<br />
che venga garantito un reale processo<br />
di fuoriuscita dalla situazione di<br />
81
Didattica<br />
esclusione sociale.<br />
• Supportare i servizi nella definizione<br />
di una loro specificità di intervento<br />
all’interno di una rete condivisa<br />
di servizi.<br />
• Promuovere la nascita di nuovi servizi<br />
che diano risposta a situazioni attualmente<br />
non prese in considerazione<br />
dalla rete di servizi.<br />
• Favorire un processo di integrazione<br />
dei servizi rivolti alla grave marginalità<br />
nella più ampia rete di servizi<br />
sociali rivolti alla persona.<br />
4.3 SERVIZI PRESENTI SUL TERRI-<br />
TORIO: DESCRIZIONE E SITUA-<br />
ZIONE AMMINISTRATIVA<br />
NAP<br />
Pronto Intervento e 4 comunità<br />
alloggio<br />
<strong>Servizi</strong>o di accoglienza<br />
con finalità di osservazione<br />
e gestione di programmi<br />
individualizzati in<br />
contesto comunitario<br />
NAP-Leonardo<br />
<strong>Servizi</strong>o di accompagnamento<br />
e reinserimento<br />
sociale per soggetti in<br />
condizione di grave marginalità<br />
e con problematiche<br />
di dipendenza.<br />
Centro Primo Ascolto<br />
Caritas<br />
<strong>Servizi</strong>o di ascolto, orientamento,<br />
segretariato sociale<br />
Progetto Esodo Caritas-<br />
Patronato<br />
<strong>Servizi</strong>o di intervento di<br />
strada e accoglienza notturna<br />
Progetto Emergenza Freddo<br />
Caritas Sert Nap<br />
<strong>Servizi</strong>o di prima accoglienza<br />
per soggetti in<br />
condizione di grave marginalità<br />
con problematiche<br />
di dipendenza<br />
82<br />
• Convenzione con Comune<br />
di Bergamo fino<br />
gennaio 2004<br />
• Riconoscimento regionale<br />
• Progetto legge 45 fino<br />
a giugno 2004<br />
• Convenzione con Comune<br />
di Bergamo fino<br />
gennaio 2004<br />
• Convenzione con Comune<br />
di Bergamo fino<br />
gennaio 2004<br />
• Progetto legge 45 fino<br />
a giugno 2004<br />
Progetto Punto Bessimo<br />
Sert Nap<br />
<strong>Servizi</strong>o di intervento di<br />
strada e centro diurno per<br />
soggetti in condizione di<br />
grave marginalità con<br />
problematiche di dipendenza<br />
Dalla Strada alla Casa<br />
Caritas<br />
<strong>Servizi</strong>o di sperimentazione<br />
protetta e accompagnamentoall’autonomia<br />
Accoglienza via Elba Caritas<br />
<strong>Servizi</strong>o di accoglienza<br />
con finalità di osservazione<br />
e accompagnamento<br />
progettuale<br />
Casa Sofia<br />
<strong>Servizi</strong>o di pronto intervento<br />
per donne maltrattate<br />
Progetto reinserimento<br />
Carcere Territorio<br />
<strong>Servizi</strong>o di reinserimento<br />
abitativo e lavorativo<br />
per ex carcerati<br />
Intervento di strada Ass.<br />
La Melarancia<br />
<strong>Servizi</strong>o di accompagnamento<br />
per donne straniere<br />
in condizione di “tratta”<br />
Comunità di prima accoglienza<br />
(NAP, Gasparina,<br />
Famiglia Nuova)<br />
<strong>Servizi</strong> di prima accoglienza<br />
per persone con<br />
problematiche di dipendenza<br />
Centro accoglienza Palazzolo<br />
<strong>Servizi</strong>o di prima accoglienza<br />
per donne in condizione<br />
di marginalità<br />
• Doppio progetto legge<br />
45 fino ottobre<br />
2004<br />
• Progetto legge 328 fino<br />
a giugno 2004 (non<br />
prorogabile)<br />
• Nessun finanziamento<br />
(a totale carico della<br />
Caritas)<br />
• Rette<br />
• Contributo regionale<br />
• Finanziamento Asl<br />
• Convenzione Asl<br />
• Accreditamento Regione<br />
• Finanziamento legge<br />
45<br />
• Nessun finanziamento<br />
(a totale carico della<br />
Caritas)<br />
5. PROGETTUALITÀ PER L’ANNO<br />
2004<br />
La traduzione operativa degli obiettivi<br />
sopra elencati durante l’anno sociale
2003-2004 verrà perseguita attraverso<br />
le seguenti attività :<br />
• Ridefinizione del servizio di ascolto<br />
e segretariato sociale (Ob.6)<br />
• Percorso di coordinamento delle risorse<br />
e di formazione degli operatori<br />
(Ob.1-2-3)<br />
• Verifica e consolidamento delle risorse<br />
esistenti (Ob.4-5)<br />
• Attivazione di gruppi di lavoro per<br />
aree di intervento (Ob.6-7)<br />
5.1. SERVIZIO DI ASCOLTO E SE-<br />
GRETARIATO SOCIALE<br />
Il tema dell’accesso ai servizi è storicamente<br />
un problema dibattuto nell’ambito<br />
della grave marginalità. In particolare,<br />
la mancanza di una diagnosi<br />
specifica e spesso l’as<strong>senza</strong> di residenza<br />
contribuiscono al ritrarsi dei servizi<br />
di fronte alla necessità di aggancio<br />
di soggetti in condizione di grave marginalità.<br />
Se a questo si aggiunge la poca<br />
disponibilità o consapevolezza dei<br />
soggetti nel riconoscere la reale situazione<br />
di disagio, si completa il quadro<br />
di una realtà che giustamente è stata<br />
definita “<strong>senza</strong> tetto ne legge”.<br />
La riflessione del tavolo ha evidenziato<br />
questo problema in modo particolare<br />
riferendolo alla situazione del distretto.<br />
Si è così ipotizzato di avviare<br />
un servizio che unisse la capacità contrattuale<br />
di un ente pubblico e l’esperienza<br />
storica di un servizio del privato<br />
sociale che da anni lavora nell’ambito<br />
dell’ascolto: il Centro di Primo Ascolto<br />
e Coinvolgimento della Caritas.<br />
In un comodato particolare la dimensione<br />
pubblica del servizio dovrebbe<br />
essere garante di una forte contrattualità<br />
con i servizi territoriali, enti di riferimento<br />
residenziale per persone in<br />
Didattica<br />
condizione di marginalità, e con i servizi<br />
specialistici. Questi ultimi in particolare<br />
di fronte alla multiproblematicità<br />
dei soggetti tendono a rimandarsi<br />
le situazioni <strong>senza</strong> una reale presa<br />
in carico.<br />
Per l’organizzazione di questo servizio<br />
sono previste le seguenti azioni :<br />
• Coinvolgimento del tavolo “Segretariato<br />
sociale legge 328” per verificare<br />
la possibilità di poter usufruire di un<br />
assistente sociale.<br />
• Coinvolgimento della Caritas e ridefinizione<br />
della convenzione con il Comune<br />
di Bergamo.<br />
• Individuazione di uno spazio per<br />
l’apertura del servizio.<br />
• Definizione dell’organizzazione e dei<br />
compiti del nuovo servizio di ascolto<br />
segretariato sociale.<br />
5.2. TEMPI PREVISTI<br />
Inizio anno 2004.<br />
5.3. COORDINAMENTO DELLE RI-<br />
SORSE E FORMAZIONE DEGLI<br />
OPERATORI<br />
Nel lavoro di riflessione svolto per preparare<br />
il presente progetto da più realtà<br />
è stata sottolineata la necessita di<br />
un lavoro nell’ambito della grave marginalità<br />
maggiormente condiviso.<br />
In un ambito come questo il lavoro di<br />
rete è elemento fondamentale per la<br />
riuscita dei progetti di accoglienza e reinserimento<br />
dei soggetti svantaggiati.<br />
Ogni servizio, anche se con un lavoro<br />
ben fatto, risulta insufficiente per accogliere<br />
la varietà delle richieste e per<br />
supportare i soggetti nel lungo percorso<br />
di regresso nel contesto sociale.<br />
Al fine di realizzare questo processo di<br />
coordinamento delle risorse che abbia<br />
83
Didattica<br />
alla base una condivisione delle interpretazioni<br />
sul fenomeno dell’esclusione<br />
e un comune accordo sui processi<br />
di ricapacitazione dei soggetti e della<br />
ricostruzione delle reti sociali, verranno<br />
realizzati due moduli di coordinamento-formazione<br />
:<br />
a) Il primo modulo è rivolto agli operatori<br />
dei servizi che si collocano nell’area<br />
degli interventi di bassa soglia, riduzione<br />
del danno, pronta accoglienza.<br />
In questa area si colloca il maggior numero<br />
di servizi che attualmente operano<br />
sul territorio. <strong>Servizi</strong> spesso nati di<br />
fronte a situazioni di necessità, legittimati<br />
più dall’urgenza delle situazioni<br />
che da una programmazione degli interventi.<br />
Se questa situazione anagrafica<br />
dei servizi ha favorito la pre<strong>senza</strong><br />
sul territorio di numerose occasioni di<br />
intervento di fronte alle situazioni di<br />
marginalità, non ha favorito un intervento<br />
dove tempi, modalità, relazioni<br />
tra servizi, definizione di specificità dei<br />
servizi hanno avuto possibilità di essere<br />
condivise. In questo senso il modulo<br />
intende avviare un percorso di coordinamento<br />
dei servizi dove attraverso<br />
momenti formativi si condividono<br />
gli strumenti e le modalità di intervento.<br />
b) Il secondo modulo formativo è rivolto<br />
agli operatori dei servizi che si<br />
collocano nell’area dell’ intervento progettuale.<br />
In questo ambito si intende<br />
avviare alcuni momenti seminariali<br />
che favoriscano l’acquisizione di contenuti<br />
inerenti l’intervento con soggetti<br />
in condizione di disagio e lo scambio<br />
tra operatori.<br />
Tempi previsti<br />
Quattro seminari da distribuirsi durante<br />
l’anno sociale 2004.<br />
84<br />
5.4. VERIFICA E CONSOLIDAMEN-<br />
TO DELLE RISORSE ESISTENTI<br />
I servizi presenti sul territorio sono alcuni<br />
attivi da lunga data e con una situazione<br />
amministrativa consolidata,<br />
altri sono stati attivati attraverso la presentazione<br />
di progetti su leggi di settore<br />
quindi con tempi legati alle scadenze<br />
dei progetti.<br />
Durante l’anno il tavolo, in base anche<br />
alle riflessioni che scaturiranno dai<br />
gruppi per aree, attiverà un lavoro di<br />
monitoraggio, verifica e supporto amministrativo<br />
ai servizi operanti sul territorio.<br />
Questo affinché venga data stabilità<br />
funzionale e temporale alla rete<br />
di servizi indispensabili per un buon<br />
intervento di contrasto alla marginalità<br />
presente sul territorio.<br />
Le azioni previste sono :<br />
• Definizione di una rete ideale di servizi.<br />
• Supporto ai servizi per una verifica<br />
della loro funzione all’interno di una<br />
rete integrata di risorse.<br />
• Supporto amministrativo nella presentazione<br />
di progetti su leggi di settore<br />
o attraverso il recupero di risorse<br />
economiche dalla legge 328.<br />
5.5. GRUPPI DI LAVORO PER AREE<br />
DI INTERVENTO<br />
Il lavoro svolto dal tavolo in questi primi<br />
mesi di attività ha privilegiato un<br />
percorso di costituzione del gruppo e<br />
di razionalizzazione delle risorse già<br />
esistenti.<br />
E’ necessario tuttavia, per un efficace<br />
lavoro a favore dei soggetti svantaggiati,<br />
approfondire i vari ambiti di intervento<br />
in modo che a tipologie di<br />
soggetti e di bisogni corrispondano risposte<br />
diversificate.
Questa attività verrà perseguita tramite<br />
la costituzione di quattro gruppi di<br />
lavoro: ogni gruppo su mandato e compiti<br />
del tavolo svolgerà un’attività di<br />
ricerca e programmazione di interventi<br />
nell’ambito di appartenenza del<br />
gruppo.<br />
Gruppo bassa soglia<br />
Il gruppo avrà il compito di ricerca<br />
approfondimento progettazione di interventi<br />
inerenti la condizione di marginalità<br />
legate alla strada o ai centri di<br />
prima accoglienza. Gli interventi potranno<br />
riferirsi a zone particolari del<br />
contesto cittadino (es. stazione ) o a bisogni<br />
particolari in questo ambito di<br />
intervento. Saranno aggetto di attenzione<br />
:<br />
• Gli interventi di tutela sanitaria.<br />
• Gli interventi di tutela legale.<br />
• Monitoraggio di servizi per i bisogni<br />
primari (docce, mense).<br />
Gruppo interventi progettuali<br />
Il gruppo avrà il compito di individuare<br />
e proporre interventi differenziati<br />
per il supporto individuale ai soggetti<br />
in condizione di grave emarginazione.<br />
In particolare, si porrà il compito di come<br />
garantire a soggetti adulti il diritto<br />
di un periodo di ricomposizione di una<br />
soggettività e progettualità spesso frantumata<br />
dalle esperienze di storia individuale.<br />
I soggetti possono provenire<br />
da situazione di strada, di prima accoglienza,<br />
dal carcere, da contesti di esclusione.<br />
Gruppo reinserimento<br />
Il gruppo avrà il compito di riflettere<br />
sul modo di ricomporre la frattura tra<br />
Didattica<br />
il contesto sociale e il contesto marginale<br />
in modo che venga meno il processo<br />
di esclusione, e la partecipazione<br />
ai diritti di alcuni soggetti della popolazione.<br />
In modo particolare diverrà oggetto<br />
di attenzione:<br />
• Individuazione di forme di accesso<br />
alla casa<br />
• Individuazione di forme di accesso<br />
al lavoro<br />
• L’accompagnamento sociale<br />
• Le reti sociali di appartenenza e il volontariato<br />
In particolare sarà importante ricomporre<br />
il legame tra diritto alla residenza,<br />
al lavoro, alla casa e servizio sociale.<br />
Gruppo formazione<br />
Vista la complessità del fenomeno, la<br />
molteplicità di servizi coinvolti e la diversità<br />
di figure professionali operanti<br />
nel settore, risulta di fondamentale<br />
importanza, per il buon funzionamento<br />
e l’efficacia dell’intervento, la programmazione<br />
formativa.<br />
Un gruppo di operatori coordinati dalla<br />
Provincia si assumerà il compito di<br />
programmare annualmente gli interventi<br />
formativi, di ricerca e di informazione<br />
mirati a aree di intervento o al più<br />
ampio piano del progetto.<br />
Tempi<br />
I gruppi lavorano su compiti definiti<br />
dal tavolo in cui vengono anche stabiliti<br />
i tempi di restituzione del lavoro<br />
di ricerca e progettazione.<br />
Modalità<br />
1. Ogni gruppo verrà coordinato da un<br />
operatore di un servizio su un tempo<br />
determinato dal tavolo.<br />
85
Didattica<br />
IL “PUNTO D’INCONTRO” DI VIA DEL<br />
LEONE, NEL QUARTIERE 1 A FIRENZE<br />
UN LUOGO DOVE SI LAVORA “CON” E NON “PER” I SENZA DIMORA<br />
Anna Maria De Rosa-Rappresentante FIO.psd per il Consiglio di Quartiere 1-Comune di Firenze.<br />
Referente per il Quartiere 1 del progetto “Punto di Incontro per i <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> di via del leone”.<br />
Quando nel 1998 abbiamo incominciato<br />
la nostra avventura con i <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong><br />
del quartiere del Centro Storico,<br />
non avevamo le idee molto chiare riguardo<br />
gli obiettivi da raggiungere.<br />
Ci siamo presi tempo, e abbiamo cercato,<br />
prima di tutto, di “capire”.<br />
Uno psicologo, Maurizio Mordini, incaricato<br />
dal Quartiere 1, ha effettuato<br />
una ricerca sui <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>, stando<br />
con loro, andandoli a cercare nelle<br />
piazze storiche da loro frequentate, cercando<br />
di entrare nel loro mondo e nella<br />
loro quotidianità, nelle loro storie<br />
passate che li hanno portati alla vita<br />
in strada.<br />
Capire è stato il motivo conduttore di<br />
tutto il nostro lavoro, capire e rispettare<br />
le storie individuali.<br />
L’impegno del Quartiere verso questa<br />
problematica, infatti, è iniziato proprio<br />
per rompere il circolo vizioso creatosi<br />
tra i marginali che causano disagio agli<br />
abitanti e la risposta repressiva e di<br />
chiusura da parte di residenti e forze<br />
dell’ordine, che a sua volta creava nuove<br />
e peggiori situazioni di marginalità.<br />
Il “capire” ci ha portato subito ad evidenziare<br />
la necessità di aprire un “Punto<br />
di Incontro” nel quale lavorare non<br />
“per” i <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>, ma piuttosto<br />
“con” loro. Era evidente che un “Punto”<br />
diurno fosse più necessario e più<br />
urgente anche del “posto letto”.<br />
86<br />
Il dormire, bene o male, veniva risolto<br />
in qualche modo; il problema restava<br />
quello di avere un punto di riferimento<br />
durante l’arco della giornata, che,<br />
per chi vive in strada, diventa veramente<br />
lunga e vuota.<br />
Così, nell’ottobre del 2002, con il finanziamento<br />
dei Piani di Zona per la marginalità,<br />
abbiamo aperto il “Punto di<br />
Incontro”, in centro, nel rione di Oltrarno,<br />
adiacente all’Albergo Popolare,<br />
coordinato dallo stesso psicologo<br />
che aveva effettuato la ricerca, e gestito<br />
da alcuni operatori di una cooperativa;<br />
è aperto dal lunedì al venerdì<br />
dalle 15 alle 18, l’accesso è a bassa soglia.<br />
L’informazione della sua apertura è<br />
stata affidata alle associazioni di volontariato<br />
che operano in strada, abbiamo<br />
scelto, infatti, di non fare troppa pubblicità,<br />
niente manifesti, niente inaugurazioni,<br />
ma di partire “sottotono”,<br />
raggiungendo essenzialmente solo le<br />
persone strettamente interessate.<br />
Chi viene al “Punto” trova una stanza<br />
ben arredata, divani, sedie, tavoli, la televisione,<br />
lo stereo, la lavatrice, la doccia,<br />
la cucina, i giornali, gli operatori<br />
con cui parlare, e anche un’assistente<br />
sociale una volta alla settimana.<br />
Nessuno è costretto a parlare di sé,<br />
ma è libero di incontrare gli altri o stare<br />
per conto suo. Subito si è creato un
clima di “appartenenza” alla struttura<br />
che ha permesso una gestione partecipata<br />
e condivisa con gli ospiti, anche<br />
se non esente da difficoltà e problemi.<br />
Il Punto d’incontro raggiungerà tra<br />
poco più di un mese l’anno di vita.<br />
Attualmente abbiamo più di 100 iscritti<br />
ed una frequenza media giornaliera<br />
tra le 20 e le 25 persone.<br />
I frequentatori, pur essendo tutti accomunati<br />
dalla mancanza o dalla estrema<br />
precarietà del lavoro e/o della <strong>dimora</strong>,<br />
si differenziano nelle loro storie e<br />
modalità di fruizione del “Punto”.<br />
La grande maggioranza è italiana (80-<br />
85%). L’età media è intorno ai 40 anni.<br />
Vengono molte persone che hanno un<br />
passato di detenzione carceraria e che<br />
non trovano punti di riferimento quando<br />
tornano liberi.<br />
Una certa quota comprende individui<br />
con un passato di tossicodipendenza<br />
che frequentemente si riacutizza, includendo<br />
anche gli alcolisti.<br />
Un gruppo significativo è costituito da<br />
persone che hanno alle spalle un grave<br />
fallimento esistenziale, familiare o<br />
lavorativo, che costituisce una specie<br />
di punto di non ritorno che li porta ad<br />
allontanarsi dalla zona di residenza,<br />
<strong>senza</strong> però reali prospettive e risorse<br />
per sistemarsi in un nuovo contesto.<br />
Il numero dei frequentatori è in costante<br />
e rapido aumento; al loro arrivo vengono<br />
raccolti alcuni dati essenzialmente<br />
anagrafici, e la pre<strong>senza</strong> giornaliera.<br />
Lo strumento principale di pubblicità<br />
è il passaparola tra i frequentatori stessi,<br />
il che depone a favore della diffusione<br />
di una buona immagine del Punto.<br />
Possiamo individuare diverse tipologie<br />
di utilizzo del servizio:<br />
Quelli maggiormente e stabilmente in-<br />
Didattica<br />
seriti nel mondo del lavoro, ma con<br />
problemi di <strong>dimora</strong>, usano prevalentemente<br />
doccia e lavatrice, ma per alcuni<br />
c’è anche il tempo per un caffè o<br />
di mezz’ora alla televisione.<br />
C’è un gruppo di ‘fedelissimi’, che rappresentano<br />
un po’ l’anima storica del<br />
posto, che vengono tutti i giorni o quasi,<br />
e rimangono per tutto l’orario di<br />
apertura. Usano i servizi, ma prevale<br />
la dimensione relazionale, per cui il<br />
Punto diventa luogo di ritrovo.<br />
Vi è poi una serie di persone che si collocano<br />
a mezza strada tra quelle già descritte,<br />
per cui utilizzano i servizi, ma<br />
sono anche molto interessate alla socialità<br />
pur <strong>senza</strong> la costanza e l’assiduità<br />
di altri. Abbiamo un essenziale<br />
regolamento interno che dice semplicemente<br />
che la propria libertà si deve<br />
conciliare con quella degli altri, inoltre<br />
è fatto divieto di utilizzare bevande alcoliche<br />
anche nelle prossimità del Punto<br />
e divieto di fumare al suo interno;<br />
sono previste sospensioni della frequenza<br />
a seguito di infrazioni alle regole.<br />
Il venerdì viene effettuata una riunione<br />
tra operatori e frequentatori in merito<br />
ai problemi e ai progetti relativi al<br />
Punto e ai suoi attori.<br />
In un anno di apertura non si sono mai<br />
verificati episodi di reale pericolosità<br />
o gravità per i partecipanti, le regole<br />
vengono rispettate con un buon grado<br />
di identificazione nei loro principi<br />
di base, l’autogestione della cucina e<br />
della piccola manutenzione dei locali<br />
è spontanea. Nel complesso è presente<br />
un clima sociale disteso in grado di<br />
contenere e sdrammatizzare gli stati<br />
di tensione che a turno alcuni dei frequentatori<br />
possono presentare.<br />
87
Didattica<br />
Ci sono stati solo piccoli episodi di litigi<br />
e reale tensione con un solo ospite<br />
che un paio di volte ha sfidato in modo<br />
plateale il rispetto delle regole, soprattutto<br />
quelle relative al divieto di bere<br />
alcolici.<br />
La cosa più difficile è stata la chiusura<br />
totale ai cittadini non europei non in<br />
regola con il permesso di soggiorno.<br />
Tra le persone che vengono regolarmente<br />
è presente e crescente una certa<br />
capacità progettuale che va di pari<br />
passo con il recupero di una propria<br />
dignità e immagine personale.<br />
Aumenta anche l’apprezzamento del<br />
Punto come luogo di riferimento, dove<br />
ricostruire e riallacciare relazioni e<br />
rapporti con il mondo circostante.<br />
Un posto dove si può ricevere un consiglio,<br />
un’informazione, fare quattro<br />
chiacchiere con amici e conoscenti, fare<br />
il caffè per sé e per gli altri, scherzare,<br />
pensare, discutere, insomma ricostruirsi<br />
una cultura d’appartenenza che<br />
non è più, o non soltanto, quella della<br />
strada e dell’emarginazione.<br />
Si vedono quindi pienamente confermate<br />
le ipotesi del progetto che aveva<br />
proposto l’istituzione di questo servizio.<br />
Di estrema importanza, in questo<br />
senso, è il rapporto con il servizio sociale<br />
e la rete di volontariato del Quartiere<br />
1 che sono diventati, in pratica, un<br />
altro polo di attrazione per i <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong><br />
che gravitano nel centro storico<br />
fiorentino, creando legami di appartenenza<br />
con il territorio.<br />
L’organizzazione e la realizzazione di<br />
un “mercatino”, dove hanno potuto<br />
vendere i loro prodotti artigianali (bigiotteria,<br />
disegni, dipinti…) ha rappresentato<br />
il momento nel quale si è percepita<br />
chiaramente da parte dei diver-<br />
88<br />
si attori del progetto (operatori, frequentatori,<br />
funzionari di riferimento<br />
del quartiere) la reale possibilità di poter<br />
superare la sterilità del circuito socio<br />
assistenziale con soluzioni creative<br />
ed efficaci.<br />
Un’altra soddisfazione è stato l’inserimento<br />
lavorativo di alcuni degli ospiti<br />
in situazioni culturalmente valide<br />
(un’importante libreria e una mostra<br />
riguardo uno studio europeo sulla vivibilità<br />
delle città d’arte, in occasione<br />
dell’inaugurazione della quale un<br />
gruppo di frequentatori del Punto ha<br />
partecipato al convegno e al rinfresco<br />
finale, assolutamente insieme a tutti<br />
gli altri cittadini partecipanti all’iniziativa…).<br />
Il punto centrale di tutto il<br />
lavoro del Quartiere 1 in questi anni,<br />
in una parola, è costituito dalla personalizzazione<br />
dei rapporti, cosicché si<br />
passa dai ‘<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>’ a ‘Giovanni’,<br />
‘Fabio’, ‘Luca’, dai barboni alle singole<br />
persone.<br />
E questo porta, almeno in alcuni, alla<br />
riattivazione di risorse in grado di favorire<br />
percorsi di autonomia e di recupero<br />
della propria dignità sociale.<br />
Insomma questa cosa funziona ed è<br />
ben diversa dall’assistenzialismo: si lavora<br />
sulle risorse delle persone più che<br />
sui loro problemi.<br />
Noi pensiamo di aver attivato un mo<br />
dello di lavoro, in cui si attua la cultura<br />
del lavorare “con” e non “per”, e ci<br />
auguriamo che, a seguito di questa<br />
buona esperienza, il modello possa essere<br />
riprodotto in tanti punti di incontro<br />
sparsi in tutta la città.<br />
L’articolo è stato redatto con l’essenziale contributo<br />
del dott. Maurizio Mordini, coordinatore del Punto<br />
di Incontro.
NORMATIVA SULLA RESIDENZA<br />
ANAGRAFICA IN ITALIA<br />
Pubblichiamo le principali normative di riferimento in Italia per la definizione<br />
della residenza anagrafica. Maggiori informazioni su questo tema sono contenute<br />
nel sito www.fiopsd.org<br />
I testi pubblicati non hanno carattere di ufficialità.<br />
L 24/12/1954 Num. 1228<br />
Legge 24 dicembre 1954, n. 1228 (in<br />
Gazz. Uff., 12 gennaio 1955, n. 8).<br />
Ordinamento delle anagrafi della popolazione<br />
residente (1) .<br />
Preambolo (Omissis).<br />
Articolo 1<br />
In ogni Comune deve essere tenuta<br />
l’anagrafe della popolazione residente.<br />
Nell’anagrafe della popolazione residente<br />
sono registrate le posizioni relative<br />
alle singole persone, alle famiglie<br />
ed alle convivenze, che hanno fissato<br />
nel Comune la residenza, nonché le<br />
posizioni relative alle persone <strong>senza</strong><br />
fissa <strong>dimora</strong> che hanno stabilito nel<br />
Comune il proprio domicilio, in conformità<br />
del regolamento per l’esecuzione<br />
della presente legge. Gli atti anagrafici<br />
sono atti pubblici.<br />
Articolo 2<br />
é fatto obbligo ad ognuno di chiedere<br />
per sé e per le persone sulle quali esercita<br />
la [patria potestà] (2) o la tutela, la<br />
iscrizione nell’anagrafe del Comune<br />
di <strong>dimora</strong> abituale e di dichiarare alla<br />
stessa i fatti determinanti mutazione<br />
di posizioni anagrafiche, a norma del<br />
regolamento, fermo restando, agli effetti<br />
dell’art. 44 del Codice civile, l’obbligo<br />
di denuncia del trasferimento an-<br />
L 1228/54<br />
che all’anagrafe del Comune di precedente<br />
residenza. L’as<strong>senza</strong> temporanea<br />
dal Comune di <strong>dimora</strong> abituale non<br />
produce effetti sul riconoscimento della<br />
residenza. Ai fini dell’obbligo di cui<br />
al primo comma, la persona che non<br />
ha fissa <strong>dimora</strong> si considera residente<br />
nel Comune ove ha il domicilio, e in<br />
mancanza di questo, nel Comune di<br />
nascita. Per i nati all’estero si considera<br />
Comune di residenza quello di nascita<br />
del padre o, in mancanza, quello<br />
della madre.<br />
Per tutti gli altri, soggetti all’obbligo<br />
della residenza, ai quali non possano<br />
applicarsi i criteri sopra indicati, è istituito<br />
apposito registro presso il Ministero<br />
dell’interno. Il personale diplomatico<br />
e consolare straniero, nonché<br />
il personale straniero da esso dipendente,<br />
non sono soggetti all'obbligo<br />
dell'iscrizione anagrafica.<br />
Articolo 3<br />
Il sindaco, quale ufficiale del Governo,<br />
è ufficiale dell’anagrafe. Egli può<br />
delegare e revocare, in tutto o in parte,<br />
le funzioni di ufficiale d’anagrafe al<br />
segretario comunale o ad altri impiegati<br />
idonei del Comune. Ogni delegazione,<br />
munita della firma autografa del<br />
delegato, ed ogni revoca devono essere<br />
approvate dal prefetto.<br />
89
Articolo 4<br />
L’ufficiale d’anagrafe provvede alla regolare<br />
tenuta dell’anagrafe della popolazione<br />
residente ed è responsabile della<br />
esecuzione degli adempimenti prescritti<br />
per la formazione e la tenuta degli<br />
atti anagrafici. Egli ordina gli accertamenti<br />
necessari ad appurare la verità<br />
dei fatti denunciati dagli interessati,<br />
relativi alle loro posizioni anagrafiche,<br />
e dispone indagini per accertare<br />
le contravvenzioni alle disposizioni della<br />
presente legge e del regolamento per<br />
la sua esecuzione.<br />
Egli invita le persone aventi obblighi<br />
anagrafici a presentarsi all’ufficio per<br />
fornire le notizie ed i chiarimenti necessari<br />
alla regolare tenuta dell’anagrafe.<br />
Può interpellare, allo stesso fine,<br />
gli enti, amministrazioni ed uffici<br />
pubblici e privati. Il personale dell’anagrafe<br />
ha l’obbligo di osservare il segreto<br />
su tutte le notizie di cui viene a<br />
conoscenza a causa delle sue funzioni.<br />
Articolo 5<br />
L’ufficiale d’anagrafe che sia venuto a<br />
conoscenza di fatti che comportino la<br />
istituzione o la mutazione di posizioni<br />
anagrafiche, per i quali non siano<br />
state rese le prescritte dichiarazioni,<br />
deve invitare gli interessati a renderle.<br />
In caso di mancata dichiarazione, l'ufficiale<br />
di anagrafe provvede di ufficio,<br />
notificando all’interessato il provvedimento<br />
stesso.<br />
Contro il provvedimento d'ufficio è ammesso<br />
ricorso al prefetto.<br />
Articolo 6<br />
Gli ufficiali di stato civile devono comunicare<br />
il contenuto degli atti dello<br />
stato civile e delle relative annotazioni<br />
all’ufficio d’anagrafe del Comune<br />
90<br />
di residenza delle persone cui gli atti<br />
o le annotazioni si riferiscono.<br />
Articolo 7<br />
Nei Comuni con separati uffici di stato<br />
civile possono essere istituite, con decreto<br />
del prefetto della Provincia, separate<br />
anagrafi autonome con la stessa<br />
circoscrizione territoriale dei corrispondenti<br />
uffici di stato civile. Le circoscrizioni<br />
territoriali degli uffici separati<br />
di stato civile di uno stesso Comune,<br />
preveduti dall’art. 2 dell’ordinamento<br />
dello stato civile approvato con<br />
R.D. 9 luglio 1939, n. 1238, devono corrispondere<br />
ad una o più delle frazioni<br />
geografiche di cui al primo comma dell’art.<br />
9 della presente legge. Questa disposizione<br />
non si applica agli uffici separati<br />
di quartieri delle grandi città.<br />
Articolo 8<br />
[In ogni Comune deve essere tenuto<br />
lo schedario della popolazione temporanea.<br />
La popolazione temporanea è costituita<br />
dalle persone che, <strong>dimora</strong>ndo nel<br />
Comune da non meno di quattro mesi,<br />
non vi abbiano, tuttavia, fissata la<br />
residenza] (3) .<br />
Articolo 9<br />
Il Comune provvede alla individuazione<br />
e delimitazione delle località abitate,<br />
alla suddivisione del territorio comunale<br />
in frazioni geografiche con limiti<br />
definiti in base alle condizioni antropogeografiche<br />
rilevate, ed alla esecuzione<br />
degli adempimenti connessi,<br />
che saranno prescritti dal regolamento.<br />
I limiti ed i segni relativi agli adempimenti<br />
anzidetti saranno tracciati su<br />
carte topografiche concernenti il territorio<br />
comunale.
Il piano topografico costituito dalle carte<br />
di cui al comma precedente sarà sottoposto,<br />
per l’esame e l’approvazione,<br />
all’Istituto centrale di statistica e sarà<br />
tenuto al corrente a cura del Comune.<br />
Articolo 10<br />
Il Comune provvede alla indicazione<br />
dell’onomastica stradale e della numerazione<br />
civica. La spesa della numerazione<br />
civica può essere posta a carico<br />
dei proprietari dei fabbricati, con la<br />
procedura prevista dal secondo comma<br />
dell’articolo 153 del T.U. della legge<br />
comunale e provinciale, approvato<br />
con R.D. 4 febbraio 1915, n. 148. I proprietari<br />
di fabbricati provvedono alla<br />
indicazione della numerazione interna.<br />
Articolo 11<br />
Chiunque avendo obblighi anagrafici<br />
contravviene alle disposizioni della<br />
presente legge ed a quelle del regolamento<br />
è punito, se il fatto non costituisce<br />
reato più grave, con la sanzione<br />
amministrativa da lire 50.000 a lire<br />
250.000 (4) .<br />
Per le persone residenti nei territori dello<br />
Stato in seguito ad immigrazione<br />
dall’estero, che non hanno provveduto<br />
a curare la propria iscrizione e quella<br />
delle persone sottoposte alla loro patria<br />
potestà o tutela nell’anagrafe del<br />
Comune dove <strong>dimora</strong>no abitualmente<br />
o, se non hanno fissa <strong>dimora</strong>, ai sensi<br />
del precedente articolo 2, nonché per<br />
chiunque consegue l’iscrizione contemporanea<br />
nell’anagrafe di più Comuni,<br />
si applica la sanzione amministrativa<br />
da lire 100.000 a lire 500.000 (4) .<br />
Entro dieci giorni dalla contestazione<br />
o notificazione della contravvenzione,<br />
fatta eccezione per le ipotesi previste<br />
dal comma precedente, il colpevole è<br />
ammesso a fare oblazione mediante<br />
pagamento della somma di lire 500 nelle<br />
mani dell’ufficiale d’anagrafe che ha<br />
accertato la contravvenzione (5) . Le somme<br />
riscosse a titolo di sanzione amministrativa<br />
(6) per le contravvenzioni previste<br />
nel presente articolo, sia in seguito<br />
a condanna sia per effetto di oblazione,<br />
spettano al Comune.<br />
Articolo 12<br />
La vigilanza sulla tenuta delle anagrafi<br />
della popolazione residente è esercitata<br />
dal Ministero dell’interno e dall’Istituto<br />
centrale di statistica.<br />
Nessuna annotazione sugli atti anagrafici,<br />
in aggiunta a quelle previste<br />
dalla presente legge e dal regolamento,<br />
può essere disposta <strong>senza</strong> l’autorizzazione<br />
del Ministero dell’interno d’intesa<br />
con l’Istituto centrale di statistica.<br />
Articolo 13<br />
Su proposta del Presidente del Consiglio<br />
dei Ministri d'intesa con i Ministri<br />
per l’interno, per la grazia e giustizia<br />
e per il tesoro, sarà emanato il<br />
regolamento per l’esecuzione della presente<br />
legge.<br />
(1) In luogo di Ministro/Ministero del tesoro e di Ministro/Ministero<br />
del bilancio e della programmazione<br />
economica, leggasi Ministro/Ministero del<br />
tesoro, del bilancio e della programmazione economica,<br />
ex art. 7, l. 3 aprile 1997, n. 94.<br />
(2) Potestà dei genitori.<br />
(3) Vedi, ora, l. 10 febbraio 1961, n. 5.<br />
(4) La sanzione originaria dell’ammenda è stata depenalizzata<br />
dall’art. 32, l. 24 novembre 1981, n. 689.<br />
L'importo della sanzione è stato così elevato, da<br />
ultimo, dall’art. 27, d.l. 28 febbraio 1983, n. 55,<br />
conv. in l. 26 aprile 1983, n. 131.<br />
(5) Vedi, ora, l’art. 16, l. 24 novembre 1981, n. 689.<br />
(6) In origine “ammenda”.<br />
91
MINISTERO DELL’INTERNO<br />
CIRCOLARE 29 maggio 1995, n. 8<br />
Precisazioni sull’iscrizione nell’anagrafe<br />
della popolazione residente di cittadini<br />
italiani.<br />
Ai prefetti della Repubblica<br />
Al commissario di Governo per la provincia<br />
di Trento<br />
Al commissario di Governo per la provincia<br />
di Bolzano<br />
Al presidente della giunta regionale<br />
della Valle d’Aosta<br />
All’istituto nazionale di statistica<br />
e per conoscenza:<br />
Al Gabinetto del Ministro<br />
In relazione a recenti notizie, riportate<br />
con evidenza dagli organi di stampa,<br />
circa il comportamento seguito da<br />
un’amministrazione comunale nell’esaminare<br />
le richieste di iscrizione anagrafica<br />
avanzate da cittadini italiani,<br />
questo Ministero, nell’ambito delle proprie<br />
competenze istituzionali, ritiene<br />
necessario effettuare alcune puntualizzazioni<br />
sulla tematica in questione, affinché<br />
da parte dei sindaci venga adottata<br />
una linea di condotta uniforme su<br />
tutto il territorio nazionale evitando,<br />
così, e discriminazioni a danno dei cittadini<br />
da comune a comune.<br />
Innanzitutto, va ricordato che il servizio<br />
anagrafico, unitamente ad altri, è<br />
un servizio di competenza dello Stato,<br />
gestito dai comuni per conto dello stesso<br />
ed il sindaco, nel gestire tale servizio<br />
in veste di ufficiale di anagrafe, agisce<br />
quale ufficiale di Governo cioè quale<br />
organo dello Stato e non quale capo<br />
dell’amministrazione comunale (art. 10<br />
della legge 8 giugno 1990, n. 142).<br />
Ne consegue, pertanto, che necessaria-<br />
92<br />
Circolare “Brancaccio”<br />
mente nella gestione di tale servizio il<br />
sindaco deve uniformarsi alla vigente<br />
legislazione nazionale che non può,<br />
peraltro, subire interferenze con altre<br />
normative ad, in particolare, di quelle<br />
regionali, nonché alle direttive impartire<br />
nella materia dai competenti organi<br />
governativi.<br />
Pertanto il sindaco quale ufficiale di<br />
anagrafe e di Governo, nell’esaminare<br />
le domande di iscrizione anagrafica<br />
presentate dai cittadini italiani, deve<br />
osservare scrupolosamente la legislazione<br />
vigente che è costituita dalla legge<br />
24 dicembre 1954, n. 1228, e dal decreto<br />
del presidente della Repubblica<br />
30 maggio 1989, n. 223, per quel che<br />
concerne al popolazione residente in<br />
Italia, e dalla legge 27 ottobre 1988, n.<br />
470, e dal decreto del Presidente dalla<br />
Repubblica 6 settembre 1989, n. 323,<br />
relativamente ai cittadini italiani residenti<br />
all’estero.<br />
Orbene, dall’esame di detta normativa<br />
si evince che la richiesta di iscrizione<br />
anagrafica, che costituisce un diritto<br />
soggettivo del cittadino, non appare<br />
vincolata ad alcuna condizione, né potrebbe<br />
essere il contrario, in quanto in<br />
tal modo si verrebbe a limitare la libertà<br />
di spostamento e di stabilimento dei<br />
cittadini sul territorio nazionale in palese<br />
violazione dell'art. 16 della Carta<br />
costituzionale.<br />
Alla luce delle suesposte considerazioni<br />
appaiono pertanto contrarie alla legge<br />
e lesive dei diritti dei cittadini quei<br />
comportamenti adottati da alcune amministrazioni<br />
comunali che, nell’esaminare<br />
le richieste di iscrizione anagrafica,<br />
chiedono una documentazio-
ne comprovante lo svolgimento di una<br />
attività lavorativa nel territorio comunale,<br />
ovvero la disponibilità di un’abitazione,<br />
e magari, nel caso di persone<br />
coniugate, la contemporanea iscrizione<br />
di tutti i componenti il nucleo familiare,<br />
ovvero procedono all’accertamento<br />
dell’eventuale esistenza di precedenti<br />
penali a carico del richiedente<br />
l’iscrizione.<br />
Tali comportamenti sembrano richiamare<br />
in vigore quei provvedimenti contro<br />
l’urbanesimo, risalenti alla legge 6<br />
luglio 1939, che venne abrogata con<br />
successiva legge 10 febbraio 1961, n. 5.<br />
Nel rammentare che il concetto di residenza,<br />
come affermato da costante<br />
giurisprudenza e da ultimo dal tribunale<br />
amministrativo regionale del Piemonte<br />
con sentenza depositata il 24<br />
giugno 1991, è fondato sulla <strong>dimora</strong><br />
abituale del soggetto sul territorio comunale,<br />
cioè dall’elemento obiettivo<br />
della permanenza in tale luogo e soggettivo<br />
dell’intenzione di avervi stabile<br />
<strong>dimora</strong>, rilevata dalle consuetudini<br />
di vita e dallo svolgimento delle relazioni<br />
sociali, occorre sottolineare che<br />
non può essere di ostacolo alla iscrizione<br />
anagrafica la natura dell’alloggio,<br />
quale ad esempio un fabbricato privo<br />
di licenza di abitabilità ovvero non conforme<br />
a prescrizioni urbanistiche, grotte,<br />
alloggi in roulottes.<br />
Tale assunto, che da sempre costituisce<br />
uno dei criteri guida delle anagrafi comunali,<br />
condiviso sia da questo Ministero<br />
che dall'Istituto nazionale di statistica,<br />
è conseguente al fine a cui è ispirata<br />
la legislazione anagrafica e cioè dalla<br />
rilevazioni delle situazioni di fatto.<br />
In pratica la funzione dell'anagrafe è<br />
essenzialmente di rilevare la pre<strong>senza</strong><br />
stabile, comunque situata, di soggetti<br />
sul territorio comunale, né tale funzione<br />
può essere alterata dalla preoccupazione<br />
di tutelare gli interessi anch’essi<br />
degni di considerazione, quali ad esempio<br />
l’ordine pubblico, l’incolumità<br />
pubblica, per la cui tutela dovranno<br />
essere azionati idonei strumenti giuridici,<br />
diversi tuttavia da quello anagrafico.<br />
Dalle suesposte considerazioni emerge<br />
che il compito precipuo dell’ufficiale<br />
d’anagrafe è quello di accertare la<br />
corrispondenza tra quanto dichiarato<br />
dal cittadino, cioè l’intenzione di risiedere<br />
nel comune, e la res facti, ovverosia<br />
l’effettiva pre<strong>senza</strong> abituale dello<br />
stesso, che dovrà formare oggetto di<br />
apposito accertamento disposto dall’ufficiale<br />
d’anagrafe, cui spetta esclusivamente<br />
la decisione finale - accoglimento<br />
o meno - della richiesta di iscrizione<br />
anagrafica.<br />
A formare il tale convincimento ben<br />
possono concorrere altri elementi di valutazione,<br />
quale l’esercizio di un qualsiasi<br />
tipo di attività lavorativa, l’acquisto<br />
o la locazione di un immobile da<br />
adibire ad abitazione, ma non può presumersi<br />
che in mancanza di tali elementi<br />
il soggetto non potrà <strong>dimora</strong>re<br />
abitualmente.<br />
Un simile comportamento adottato dall’ufficiale<br />
d’anagrafe è censurabile non<br />
solo avuto riguardo alla legislazione<br />
anagrafica, ma, oltretutto, alla luce del<br />
disposto dell’art. 3 della legge 7 agosto<br />
1990, n. 241, che impone l'obbligo<br />
della motivazione dei provvedimenti<br />
adottati dalle pubbliche amministrazioni.<br />
In effetti, in pre<strong>senza</strong> di quello che costituisce<br />
un diritto-dovere del cittadi-<br />
93
no, richiedere ed avere residenza anagrafica,<br />
non si può assolutamente ipotizzare<br />
l’esistenza di una discrezionalità<br />
dell’amministrazione comunale, ma<br />
soltanto il dovere di compiere un atto<br />
dovuto ancorato all’accertamento obiettivo<br />
di un presupposto di fatto, e cioè<br />
la pre<strong>senza</strong> abituale del soggetto sul<br />
territorio comunale. Con ciò non si vuol<br />
certo sostenere che vadano accolte<br />
indiscriminatamente le richieste di iscrizione<br />
anagrafica in base alla sola manifestazione<br />
di volontà dell’interessato,<br />
ma affermare la necessità di attenersi<br />
scrupolosamente alla vigente legislazione<br />
ed alle istruzioni impartite<br />
sia da questo Ministero che dall’Istituto<br />
nazionale di statistica, che ai sensi<br />
dell’art.12 della legge 24 dicembre 1954,<br />
n. 1228, esercitano la vigilanza sulla regolare<br />
tenuta delle anagrafi.<br />
Infatti, d’intesa con il suddetto istituto,<br />
è stato predisposto il verbale di accertamento<br />
da usarsi dalla polizia municipale,<br />
su richiesta dell’ufficiale di<br />
anagrafe, per gli accertamenti da effettuare<br />
in caso di cambio di residenza<br />
e di abitazione.<br />
Dall’esame dell’esemplare di tale verbale<br />
riportato a pag. 120 del volume<br />
“Note ed Avvertenze” edito dall’Istat<br />
si trae un complesso di notizie che, nel<br />
loro insieme, sono mirate a determinare<br />
il convincimento dell'ufficiale di anagrafe<br />
sull’abitualità della <strong>dimora</strong> del<br />
MINISTERO DELL’INTERNO<br />
CIRCOLARE 15 gennaio 1997. n. 2<br />
Anagrafe della popolazione residente<br />
- iscrizione - apposizione di condizioni<br />
- inammissibilità.<br />
94<br />
Circolare “Napolitano”<br />
soggetto. Ovviamente l’accertamento<br />
non si esaurirà nella compilazione del<br />
predetto verbale e l’ufficiale d’anagrafe<br />
potrà assumere aliunde ulteriori elementi<br />
utili allo scopo, ma non può assolutamente<br />
sostenersi che le risposte<br />
alle domande indicate nel verbale in<br />
questione devono essere necessariamente<br />
confortate da idonea documentazione<br />
a carico dell’interessato.<br />
Nel ribadire l’importanza della problematica<br />
in questione, che investe un settore<br />
dell’attività amministrativa dei comuni<br />
particolarmente delicato anche<br />
per la stretta connessione con la materia<br />
elettorale, si pregano le SS.LL. di<br />
voler dare la massima diffusione al presente<br />
documento presso i comuni della<br />
provincia, richiamando la particolare<br />
attenzione dei signori sindaci sulle<br />
responsabilità sia di ordine penale che<br />
amministrativo, che potrebbero loro derivare<br />
da un’impropria gestione del<br />
servizio anagrafico.<br />
Ciò anche al fine di prevenire il verificarsi<br />
di ulteriori episodi, che danneggiano<br />
non solo il cittadino ma anche<br />
l’immagine dei pubblici poteri.<br />
Si prega, infine, di segnalare a questo<br />
Ministero se, nell’ambito della provincia,<br />
si siano verificate situazioni analoghe<br />
a quella segnalata, dando notizie<br />
degli interventi svolti.<br />
il Ministro: BRANCACCIO<br />
Ai prefetti della Repubblica<br />
Al commissario di Governo per la provincia<br />
di Trento<br />
Al commissario di Governo per la provincia<br />
di Bolzano
Al presidente della giunta regionale<br />
della Valle d’Aosta<br />
e, per conoscenza:<br />
All’istituto nazionale di statistica<br />
All’A.N.C.I.<br />
All’A.N.U.S.C.A.<br />
Al Gabinetto del Ministro<br />
Con precedente circolare MIACEL n. 8<br />
del 29 maggio 1995, questo Ministero<br />
ha diramato precise disposizioni sulla<br />
puntuale ed esatta gestione dell’anagrafe<br />
da parte dei signori sindaci, nella<br />
loro qualità di ufficiali di Governo,<br />
richiamando l’attenzione degli stessi<br />
sulle conseguenze, non solo di ordine<br />
penale ma anche amministrative, cui<br />
può dare luogo, la creazione di impedimenti,<br />
non previsti da norme legislative,<br />
all’iscrizione in anagrafe.<br />
In particolare veniva sottolineato che<br />
l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione<br />
residente dei cittadini italiani,<br />
non è sottoposta ad alcuna condizione,<br />
come si evince chiaramente non solo<br />
dalla legge 24 dicembre 1954, n. 1228,<br />
e dal successivo decreto del Presidente<br />
della Repubblica 30 maggio 1989, n.<br />
223, ma altresì dalla costante giurisprudenza<br />
della Corte di Cassazione.<br />
Unico requisito è la corrispondenza che<br />
deve intercorrere tra la situazione di<br />
fatto e quanto dichiarato dall’interessato.<br />
Tuttavia, si è già verificato e continua<br />
a verificarsi, che alcune ammini-<br />
strazioni comunali, proseguono a respingere<br />
richieste d’iscrizione in anagrafe<br />
a cittadini che abbiano precedenti<br />
penali.<br />
Nel premettere che in ogni caso, provvedimenti<br />
del genere devono essere<br />
formalizzati ed, ai sensi dell’art. 3 della<br />
legge 7 agosto 1990, n. 241, adeguatamente<br />
motivati, onde permettere agli<br />
interessati una eventuale impugnativa,<br />
si evidenzia che tale comportamento<br />
viene a concretizzare l’irrogazione di<br />
una sanzione non prevista da alcuna<br />
normativa, ed è in contrasto con il principio<br />
di uguaglianza sancito dall’art. 3<br />
della Carta costituzione e con il successivo<br />
art. 16 che prevede libertà di<br />
movimento su tutto il territorio dello<br />
nazionale.<br />
Ciò premesso, atteso il ripetersi di tali<br />
inammissibili episodi cui si aggiunge,<br />
da ultimo, il rifiuto di esaminare pratiche<br />
di iscrizione anagrafica a cittadini<br />
non abbienti, si invitano le SS.LL. ad<br />
effettuare la più accurata sorveglianza<br />
sulla gestione delle anagrafi da parte<br />
dei signori sindaci, procedendo, se del<br />
caso, ad adottare tutti quei provvedimenti<br />
a tutela della dignità della persona,<br />
non esclusa la segnalazione all’autorità<br />
giudiziaria.<br />
Si resta in attesa di assicurazione.<br />
Il Ministro: NAPOLITANO<br />
95
SEGRETERIA FIO.PSD<br />
i<br />
Vicolo S. Lucia, 4/14 - 16128 GENOVA - Tel. 010 2461096 - Fax 010 2461096<br />
E-mail: fiopsd@fiopsd.org<br />
Orari:<br />
da Lunedì a Venerdì dalle 9.00 alle 12.00