30.05.2013 Views

Diritti e Servizi - Ricerca senza dimora

Diritti e Servizi - Ricerca senza dimora

Diritti e Servizi - Ricerca senza dimora

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

Anno 16 o - Numero 1<br />

Rivista della Federazione Italiana Organismi<br />

per le persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> - FIO.psd<br />

Curato dall'Associazione "Sans-Abri"<br />

Spedizione in abbonamento postale gr. IV/ 70%<br />

Registrato al Tribunale di Bergamo con autorizzazione n. 18 del 23/08/1990


Periodico dell'associazione "SANS ABRI" per la FIO.PSD.<br />

Segreteria c/o: NUOVO ALBERGO POPOLARE<br />

Via Carnovali, 95 - Bergamo<br />

Telefono 035 319800 - Fax 035 321839<br />

E-mail: giacomo.invernizzi@tin.it<br />

Direttore Responsabile: Sandra Rocchi<br />

Redazione: Invernizzi Giacomo<br />

Gnocchi Raffaele<br />

Galliani Stefano<br />

Bergamaschi Marco<br />

Segreteria di redazione: Rinzivillo Rosalba<br />

Invernizzi Giacomo<br />

Finito di stampare nel mese di Marzo 2004<br />

presso la litografia PRESS R3 - Almenno San Bartolomeo (BG) - Tel. 035 540945


Rivista della Federazione Italiana Organismi<br />

per le persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> - FIO.psd<br />

Curato dall'Associazione "Sans-Abri"<br />

Spedizione in abbonamento postale gr. IV/ 70%<br />

Registrato al Tribunale di Bergamo con autorizzazione n. 18 del 23/08/1990


Indice<br />

Editoriale - Il diritto rinasce dal desiderio di Stefano Galliani pag. 5<br />

L’accesso ai servizi da parte di persone pag. 12<br />

in condizione di esclusione di Luigi Gui<br />

Persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>, pag. 23<br />

diritti e priorità per gli enti locali di Stefano Lepri<br />

<strong>Diritti</strong> sociali e legislazione in italia pag. 27<br />

nell’area dei servizi alla persona di Franco Dalla Mura<br />

Persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> e diritto alla salute di Raffaele Gnocchi pag. 42<br />

Accoglienza e gestione di un processo pag. 64<br />

di aggancio per soggetti<br />

in condizione di grave marginalità di Giacomo Invernizzi<br />

Tavolo “Grave emarginazione” Legge 328 pag. 79<br />

del Distretto di Bergamo di Giacomo Invernizzi<br />

Il “Punto d’incontro” di via del Leone, pag. 88<br />

nel quartiere 1 a Firenze di Anna Maria De Rosa<br />

Normativa sulla residenza anagrafica in Italia pag. 91


EDITORIALE<br />

IL DIRITTO RINASCE DAL DESIDERIO<br />

Stefano Galliani - Presidente FIO.psd.<br />

<strong>Diritti</strong> e servizi sono un costante richiamo<br />

per chi si occupa di “sociale”.<br />

Per questo binomio si sono spese generazioni<br />

di operatori e cittadini.<br />

Oggi ampi movimenti di massa lottano,<br />

con decisione, per il riconoscimento<br />

di diritti politici, economici e sociali<br />

ad ogni latitudine. E perché questi<br />

diritti diventino servizi e beni di cui<br />

ciascuno possa godere in forma sostenibile,<br />

equa e non onerosa.<br />

Sulla stessa linea si pone Fiopsd che,<br />

da anni, tenta di costruire, con pazienza<br />

e tenacia, un orizzonte capace di assicurare<br />

il riconoscimento del diritto<br />

a tutte le persone. Nell’insieme delle<br />

persone naturalmente sono compresi<br />

gli adulti che vivono una condizione<br />

di disagio estremo e sono <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>.<br />

E, davvero, la lotta per i diritti pare<br />

essere <strong>senza</strong> fine.<br />

Sembra paradossale ma, ancora oggi,<br />

parlare di diritti nell’ambito di interesse<br />

specifico di FIOpsd rimanda a categorie<br />

di pensiero che sembrano appartenere<br />

ad epoche o territori geografici<br />

lontani.<br />

Iniziamo dal più elementare dei diritti:<br />

il diritto di esistere.<br />

Questo diritto sembra legato solo alla<br />

condizione di “dimenticati” che vivono<br />

in terre lontane, gli abitanti dei “sotterranei<br />

della Terra” (come li definisce<br />

p. A. Zanotelli). Ma, molto più vicino<br />

a noi, vivono gli “invisibili” che<br />

abitano i quartieri delle città e dei più<br />

piccoli tra i villaggi italiani. Nella cor-<br />

Editoriale<br />

sa che tutti travolge, sotto lo stimolo<br />

degli idoli propri della nostra società<br />

- profitto e tempo - non c’è posto per<br />

i “fragili” o, semplicemente, per chi<br />

sbaglia qualcuna delle tante mosse a<br />

cui ogni giorno siamo chiamati. E diventa<br />

facile perdersi nei meandri dell’anonimato<br />

più profondo fino a sprofondare<br />

in una territorio dal nome “sinistro”<br />

e pericoloso - marginalità grave<br />

- da cui è difficile emanciparsi.<br />

Prima di tutto perché non è terreno<br />

riconosciuto dal diritto.<br />

Nella società dell’apparire ciò che non<br />

è visibile diventa frontiera anche per<br />

i pochi (o tanti) che osano avventurarsi<br />

in cerca di coloro che rischiano<br />

uno smarrimento estremo ai confini<br />

del pianeta globale. Ma questo percorso,<br />

degli uni in ricerca, degli altri<br />

in deriva, non è patrimonio condiviso<br />

della società. E’ riservato ad una minoranza<br />

di persone: e chi cerca rischia,<br />

a sua volta, di essere emarginato<br />

dal diritto come già lo sono molte<br />

delle persone in deriva. Infatti anche<br />

per le organizzazioni che operano nell’ambito<br />

della grave marginalità tutto<br />

ciò si tramuta, spesso, in terreno non<br />

riconosciuto per il mancato riconoscimento<br />

anche di chi lo pratica.<br />

In questo terreno vischioso, dove il diritto<br />

rimane esso stesso ai margini, vanno<br />

a perdersi le caratteristiche individuali,<br />

l’identità, lo stesso nome. Tutto<br />

rischia di essere indistinto e segnato<br />

dall’indifferenza di chi governa la ma-<br />

3


Editoriale<br />

teria del diritto. E di questo ne soffrono<br />

le persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> così come<br />

i molti interventi; nella mancanza di<br />

diritto gli interventi appaiono isolati,<br />

<strong>senza</strong> criteri preordinati e <strong>senza</strong> linee<br />

guida che diano valore e contenuto allo<br />

sforzo, enorme e continuo, che si<br />

realizza in questo terreno <strong>senza</strong> nome.<br />

Eppure un nome ed uno stile esistono:<br />

quello di ogni persona incontrata,<br />

quello di ogni servizio costruito<br />

su di una storia e una passione propri<br />

e irripetibili.<br />

Ecco quindi che si delinea un secondo<br />

diritto: il diritto al riconoscimento.<br />

L’area della marginalità grave non desidera<br />

un riconoscimento generico all’esistenza.<br />

Ma il diritto di ogni persona<br />

ad essere riconosciuta per come<br />

vive la condizione di marginalità. Ed<br />

il diritto di riconoscere le organizzazioni<br />

che operano in questo campo<br />

come espressione della società stessa<br />

attenta alle dimensioni più umane dell’uomo.<br />

Si, questo diritto oggi più di<br />

ieri fatica a farsi largo tra le categorie<br />

di pensiero.<br />

In questo nostro contesto storico ciò<br />

che non appartiene a categorie riconosciute<br />

e riconducibili ad oggetti e<br />

proprietà - casa, <strong>dimora</strong>, lavoro, reddito<br />

- diventa qualcosa di “altro” da<br />

escludere nella considerazione del politico,<br />

del legislatore e, qualche volta,<br />

anche agli occhi del semplice cittadino.<br />

Nell’aria e nei “media” si aggira, pericoloso<br />

e ambiguo, lo stereotipo del<br />

<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> per scelta. Chi scrive,<br />

nei (molti) anni di lavoro, mai ne ha<br />

incontrati e pochi ne ha visti che potevano,<br />

in qualche modo, confermare<br />

lo stereotipo. In relazione all’area dei<br />

4<br />

diritti questo stereotipo è utilizzato<br />

per affermare l’inutilità di estendere<br />

(o meglio: includere) nell’orizzonte del<br />

diritto chi manifesta un disagio grave.<br />

Probabilmente per non mettere in<br />

discussione lo “status quo” di una società<br />

che vive una crisi profonda nella<br />

quale i molti che godono del potere<br />

manifestano una estrema resistenza<br />

nell’interrogarsi sul modello attuale<br />

di sviluppo e sulle ricadute che esercita<br />

su vasti strati di popolazione, sia<br />

nel ricco occidente sia negli angoli più<br />

sfruttati del globo. Le persone <strong>senza</strong><br />

<strong>dimora</strong> sono per noi il più prossimo<br />

indicatore, insieme ad immigrati ed<br />

anziani, degli effetti del nostro comune<br />

vivere nella società occidentale.<br />

Non a caso queste tre fasce di persone<br />

vengono segregate, allontanate o cancellate<br />

perché testimoni scomodi.<br />

Una dimensione interessante nell’incontro<br />

con le persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>,<br />

se appena scaviamo sotto la “corazza”<br />

tipica della condizione, è la dimensione<br />

del “desiderio” lasciando,<br />

per una volta, in secondo piano ciò<br />

che è più ovvia e comune, il “bisogno”.<br />

Tra desiderio e bisogno ci può<br />

stare, abbastanza comoda e ben legata,<br />

la parola “diritto”.<br />

Perché il bisogno si può, talvolta, collocare<br />

dopo il desiderio? Infatti nel<br />

leggere la situazione di una persona<br />

in disagio estremo emergono con prepotenza<br />

i bisogni che segnano un’esistenza<br />

precaria, insicura, talvolta devastata<br />

nel fisico e nella profondità<br />

dell’animo. Questa lettura, per quanto<br />

corretta, appartiene troppo ad una<br />

scala di riferimento basata su un’economia<br />

di scambio. “Io che vivo il disa-


gio ti comunico ciò che mi manca, io<br />

operatore utilizzo una serie di strumenti<br />

e risorse per risponderti”. In ciò<br />

non c’è nulla di dannoso o fuori posto.<br />

Ma…forse c’è un ma… nelle storie<br />

di persone in condizione estrema di<br />

disagio e precarietà, flebile ma presente,<br />

emerge la dimensione del “desiderio”.<br />

Anzi la molteplicità dei desideri.<br />

Il desiderio di tornare ciò che si era;<br />

il desiderio di essere diversi, “nuovi”<br />

quando alle spalle c’è sofferenza e tristezza;<br />

il desiderio di ritrovare unità<br />

con sé stessi dopo una vita passata a<br />

rincorrere chimere o la propria vera<br />

identità; il desiderio di appartenere ad<br />

una relazione, un ambiente, finalmente<br />

vivibile e commisurato alle reali<br />

possibilità del soggetto. Insomma, un<br />

progetto di vita legato ai desideri più<br />

profondi dell’animo umano.<br />

Una gamma di desideri che dicono la<br />

profonda umanità che definisce il disagio,<br />

dicono la sconcertante “normalità”<br />

di queste persone, purtroppo invisibile<br />

agli occhi dei più. E forse proprio<br />

qui sta il paradosso: le persone<br />

in grave marginalità, contemporaneamente<br />

vittime e carnefici di sé stessi,<br />

attraverso le loro corde profonde ci<br />

parlano di un vivere e di una società<br />

che, per molti versi, non ci appartiene<br />

più. E la società occidentale e italiana<br />

oggi fa sempre più fatica a rispondere<br />

a desideri di umanità: sia nel correre<br />

della quotidianità di ciascuno, sia<br />

dentro le scelte del legislatore.<br />

Uno dei fili, nemmeno il più sottile,<br />

che lega bisogno e desiderio è rappresentato<br />

dal “diritto”. Il diritto come riconoscimento<br />

dell’esistere secondo un<br />

proprio stile, il diritto/dovere di co-<br />

Editoriale<br />

struire una società più giusta ed equa,<br />

il diritto di avere strumenti indispensabili<br />

come residenza e cittadinanza,<br />

cittadinanza attiva.<br />

Al desiderio non si può rispondere solo<br />

e sempre con un “servizio”. Al desiderio<br />

non si può rispondere con l’erogazione<br />

di una prestazione. Questo<br />

vale forse per il bisogno. Non vale per<br />

il desiderio. La risposta possibile si trova<br />

dentro una società intera fondata<br />

su basi diverse, capace di accogliere e<br />

condividere, costruita su ambienti vivibili<br />

e promozionali, attenta alla persona<br />

vissuta come portatrice di risorse<br />

e non come accumulo di bisogni.<br />

Insomma il tentativo perpetrato ogni<br />

giorno dalle numerose organizzazioni<br />

associate a FIOpsd, pur nel limite<br />

delle risorse disponibili.<br />

Per questa opera fondamentale, il diritto<br />

permette di costruire gli spazi di<br />

manovra in grado di orientare, supportare<br />

e gestire una convivenza sociale<br />

capace di generare appartenenza<br />

piuttosto che di escludere.<br />

Questi sono alcuni dei motivi per i<br />

quali non è mai conclusa la lotta per i<br />

diritti. E questo è ancor più vero se si<br />

parla di diritti per le persone maggiormente<br />

escluse: gli adulti in grave<br />

marginalità e <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>.<br />

Queste poche righe servono come preambolo<br />

per una riflessione ampia sul<br />

tema dei diritti sviluppata in questo<br />

numero monografico di TRA. Lo spunto,<br />

anzi, il “nocciolo” è dato dal Convegno<br />

nazionale FIOpsd “Accesso ai<br />

diritti ed ai servizi per le persone <strong>senza</strong><br />

<strong>dimora</strong>” (Torino, marzo 2003). In<br />

quell’ambito sono stati trattati alcuni<br />

dei più evidenti diritti “negati” alle<br />

5


Editoriale<br />

persone in grave marginalità: il diritto<br />

alla residenza (chiave di accesso a<br />

tutti gli altri diritti), il diritto all’alloggio,<br />

al reddito ed alla salute. Questo<br />

numero riprende e rielabora alcuni degli<br />

argomenti più importanti, consapevoli<br />

che molto più si potrebbe scrivere<br />

e molto strada deve essere ancora<br />

percorsa.<br />

Certo, una sensazione rimane dopo il<br />

Convegno FIO.psd di Torino e rimanda<br />

alla stretta connessione tra i diritti<br />

a favore dei cittadini appartenenti alla<br />

società cosiddetta “normale” e l’area<br />

del disagio estremo; in estrema<br />

sintesi possono essere individuati due<br />

livelli di problema:<br />

- ciò che pensiamo abituale per ogni<br />

cittadino rimane ancora inevaso per<br />

persone in grave marginalità e <strong>senza</strong><br />

<strong>dimora</strong>;<br />

- ma, ancor peggio, possiamo affermare<br />

che i diritti citati (casa, reddito, salute)<br />

ed ogni altro diritto fondamentale<br />

(sicurezza, giustizia, lavoro) sono<br />

sotto minaccia sia per le persone<br />

<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> sia per l’intera collettività.<br />

Non si tratta di una visione pessimistica,<br />

non è lo spirito di FIOpsd. Ma<br />

riesce difficile considerare questo momento<br />

storico tra i migliori della nostra<br />

recente epoca nell’ambito del diritto.<br />

Dalle parole dei relatori, dagli interventi<br />

dei partecipanti nei gruppi di lavoro<br />

al Convegno FIOpsd di Torino,<br />

emerge una generale preoccupazione<br />

di avere pochi strumenti utili tra la mani<br />

per poter effettivamente assicurare<br />

possibilità di accesso ai diritti ed ai servizi<br />

necessari per emergere da una condizione<br />

di grave e, in questi termini,<br />

irreversibile esclusione.<br />

6<br />

Questo perché è l’intera società che sta<br />

attraversando un momento di crisi anche<br />

nei diritti che sembravano ormai<br />

acquisiti per tutti e produce, in modo<br />

continuativo ed evidente, processi di<br />

esclusione. Inoltre, entrando nello specifico<br />

delle persone in grave marginalità,<br />

rimane la difficoltà, culturale e<br />

politica al tempo stesso, diffusa nella<br />

nostra società di riconoscere come anche<br />

la persona adulta abbia momenti<br />

di crisi ai quali far fronte anche attraverso<br />

la messa in atto di strumenti del<br />

diritto che assicurino promozione e<br />

non pura assistenza.<br />

Lo stesso tema del Convegno FIOpsd<br />

può rimandare ad un pericolo paradosso<br />

se male interpretato: l’accesso a<br />

servizi particolari per “categorie” di<br />

persone sottolinea la specificità di un<br />

tema che merita attenzioni e competenze<br />

fortemente orientate.<br />

Di contrapposto rischia di mettere in<br />

atto processi particolaristici anche nel<br />

campo del diritto ponendo in secondo<br />

piano il tema dei diritti e della loro accessibilità<br />

come garantiti a tutti i cittadini<br />

<strong>senza</strong> distinzioni di reddito o condizione<br />

di vita.<br />

Questo è un dilemma fondamentale a<br />

cui, probabilmente, non si può rispondere<br />

con un solo Convegno, seppure<br />

di ottimo livello come è stato a Torino.<br />

Da tutto quanto detto emergono due<br />

domande di fondo:<br />

- quale riconoscimento per la persona<br />

che manifesta, in modo, così evidente,<br />

una situazione di crisi tale da farle<br />

perdere, addirittura i diritti acquisiti<br />

di ogni cittadino? Quali percorsi<br />

di ri-accesso ai diritti sono già patrimonio<br />

della nostra società italiana ed<br />

europea?


- quale lo spazio riconosciuto ai servizi,<br />

pubblici o privati, che si offrono<br />

come luogo di mediazione tra una<br />

situazione di crisi estrema che produce<br />

incapacità di accesso ai diritti e<br />

la possibilità per la persona di riprenderne<br />

il godimento?<br />

La prima domanda rimanda alla sfera<br />

individuale di cui già si è fatto cenno<br />

(sul tema descritto tra desiderio e<br />

bisogno). Ma può essere ulteriormente<br />

problematizzata riferendosi all’incapacità<br />

del nostro mondo occidentale<br />

di concepire “fragilità e dipendenza”<br />

come termini appropriati al vivere<br />

umano. I diritti infatti sono riconosciuti<br />

soprattutto a chi sa esigerli, a chi è<br />

in possesso di competenze, strumenti<br />

e motivazioni sufficienti ed adatte ad<br />

ottenerli. L’accesso a diritti e servizi<br />

diventa, quindi, un’autentica chimera<br />

per la persona in grave marginalità.<br />

Laddove il concetto di distacco della<br />

persona dalla società è più forte (spesso<br />

è utilizzato il termine “desaffiliation”<br />

descritto dal noto sociologo francese<br />

R. Castel), il significato stesso di<br />

un diritto possibile e accessibile perde<br />

interesse parimenti all’aumentare della<br />

difficoltà a utilizzarlo per migliorare<br />

la propria condizione di vita.<br />

Il tema dell’accesso a diritti e servizi,<br />

quindi, non si colloca solo come baluardo<br />

di un percorso di deriva sociale<br />

e individuale. Rimanda anche alla<br />

flessibilità necessaria nel godimento<br />

dei diritti in riferimento ai diversi momenti<br />

di vita della persona e, soprattutto,<br />

alle possibilità di effettiva esigibilità.<br />

In questi anni è usuale parlare<br />

di diritto come opportunità di base<br />

offerta a tutti i cittadini. Ma l’effetto<br />

Editoriale<br />

che deriva dall’opportunità garantita<br />

in una forma impersonale è la trasformazione,<br />

di fatto, in percorsi di<br />

non accessibilità proprio nei momenti<br />

di maggiore difficoltà del soggetto.<br />

E le persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> ne sono la<br />

dimostrazione più evidente, non solo<br />

in Italia.<br />

In questo senso è emblematico il tema<br />

del diritto alla residenza e delle<br />

conseguenze che derivano dalla condizione<br />

di <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> anagrafica che<br />

rende inesigibile ogni diritto proprio<br />

nel momento di massima fragilità individuale.<br />

Nell’ambito del lavoro di FIOpsd possiamo<br />

utilizzare, a questo proposito,<br />

l’esempio fornito da uno dei diritti meno<br />

frequentati da codici, leggi e… amministratori<br />

pubblici italiani: il diritto<br />

alla casa.<br />

Di per sé il diritto alla casa è poco<br />

praticato dal cittadino italiano, spinto<br />

da leggi, governanti e potenti lobby<br />

affaristiche ad esercitarlo in forma privatistica<br />

mediante acquisto di proprietà<br />

immobiliare.<br />

Rispetto alla dimensione di esclusione<br />

sociale questo si traduce in:<br />

- scarsi ed isolati interventi a contrasto<br />

del disagio abitativo (a partire<br />

dalla prevenzione degli sfratti);<br />

- politiche pubbliche di sviluppo territoriale<br />

e sociale volte, nel migliore<br />

dei casi, al recupero di immobili pubblici<br />

(sociali) deteriorati <strong>senza</strong> troppo<br />

curarsi di promuovere e migliorare<br />

il tessuto sociale urbano nel quale vivono<br />

gli abitanti.<br />

Riferendoci in particolare alle persone<br />

<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> abbiamo due chiari esempi<br />

di scarsa rilevanza del diritto alla<br />

casa:<br />

7


Editoriale<br />

- scarsità e precarietà di soluzioni alloggiative<br />

sul territorio al momento<br />

della caduta nella condizione estrema<br />

di <strong>senza</strong> casa e <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>;<br />

- impossibilità per la persona al termine<br />

di un periodo di accompagnamento<br />

sociale di avere un’abitazione<br />

sociale che risponda anche a criteri di<br />

“desiderio” (di legame, di socialità) negati<br />

dai regolamenti che impediscono<br />

convivenze non formalizzate (legate<br />

cioè a parentela, matrimonio)<br />

con il risultato di costruire un binomio<br />

(paradossale) tra casa e solitudine.<br />

Abbiamo quindi un percorso di progressiva<br />

e, sembra, irreversibile negazione<br />

della casa come diritto nell’ambito<br />

della società “normale” e di estrema<br />

difficoltà ad usufruire del diritto<br />

in atto per vivere in una condizione<br />

sostenibile e soddisfacente a partire da<br />

una condizione di marginalità.<br />

Il secondo interrogativo, come detto,<br />

emerso anche nel Convegno FIOpsd<br />

rimanda al riconoscimento da parte<br />

del legislatore e dell’amministratore locale<br />

del ruolo di mediazione offerto dai<br />

servizi per le persone in grave marginalità<br />

adulta.<br />

I servizi, pubblici e privati, in questo<br />

campo hanno, tra le diverse funzioni,<br />

quella di essere mediatori tra il bisogno<br />

(e desiderio) inespresso o mal definito<br />

da parte dell’utente e le risorse<br />

offerte dal territorio (diritti, garanzie,<br />

beni e servizi). In questo modo i servizi<br />

cercano di realizzare quel sistema<br />

di accesso ai diritti che non è costruito<br />

sulle opportunità nelle mani del singolo<br />

ma sull’effettivo godimento da parte<br />

della persona.<br />

8<br />

Proprio questi servizi sono messi a dura<br />

prova dalla continua erosione di<br />

risorse economiche (e quindi umane)<br />

a cui sono sottoposti dalle scelte ultime<br />

del legislatore.<br />

E’ un capitolo grave e preoccupante<br />

dove le promesse di una società giusta<br />

ed equa si scontrano con la deleteria<br />

concretezza di tagli alle risorse e la discesa<br />

del tema della grave marginalità<br />

nella scala delle priorità di intervento<br />

e finanziamento pubblico (specie a<br />

livello nazionale).<br />

Possiamo porci due domande: C’è una<br />

intenzionalità escludente nel modo in<br />

cui, ancor oggi, il tema dei diritti a livello<br />

nazionale è accostato alle persone<br />

<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> ? E’ inevitabile definire<br />

contraddittorio lo stile di promozione<br />

dell’intervento espresso nella più recente<br />

legislazione (L. 328/00) con quanto<br />

accade ora a livello nazionale (proposta<br />

di Reddito di Ultima Istanza come<br />

unica misura per le povertà estreme)?<br />

FIOpsd crede che la situazione sia davvero<br />

critica intorno all’affermazione<br />

del diritto per i cittadini meno privilegiati.<br />

Lo stesso iter di definizione dei<br />

cosiddetti LIVEAS, tuttora irrisolto,<br />

sottolinea quanto sia difficile giungere<br />

a provvedimenti fondamentali se manca<br />

una volontà politica di fondo a favore<br />

dei cittadini, specie i più esclusi.<br />

E non sembra che servizi e organizzazioni<br />

strutturate nel campo della grave<br />

marginalità godano di particolare<br />

riconoscimento da parte delle più alte<br />

espressioni istituzionali nell’ambito dell’esclusione<br />

sociale come dimostra l’ultimo<br />

e recentissimo Rapporto sulla Povertà<br />

in Italia appena licenziato dalla<br />

Commissione Governativa presso il<br />

Ministero del Welfare.


Questo <strong>senza</strong> dimenticare la lotta per<br />

il mantenimento di beni e servizi di<br />

pubblica utilità e di interesse generale<br />

(acqua, energia, salute, alloggio) nell’ambito<br />

delle competenze pubbliche<br />

e non acquisito dal comparto privato.<br />

Un tema di grande rilevanza che vede<br />

FIOpsd sostenere l’impegno di<br />

FEANTSA nelle apposite sedi europee<br />

e di chiara incidenza sulle fasce<br />

di popolazione più in difficoltà.<br />

Con queste considerazioni è evidente<br />

Editoriale<br />

quanto FIOpsd ed i suoi associati (pubblici<br />

e privati) abbiano molto da lavorare<br />

anche nel campo dell’affermazione<br />

dei diritti per tutti.<br />

Confidiamo che questo numero monografico<br />

di TRA sia capace di creare ulteriore<br />

riflessione e stimoli pratici per<br />

intraprendere un percorso di difesa dei<br />

diritti esistenti e, soprattutto, calibrato<br />

sulle esigenze e desideri delle persone<br />

<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> e dei servizi che se ne<br />

prendono cura ogni giorno.<br />

9


Tematica<br />

L’ACCESSO AI SERVIZI DA PARTE<br />

DI PERSONE IN CONDIZIONE<br />

DI ESCLUSIONE<br />

Luigi Gui - Sociologo docente Università di Trieste.<br />

Le leggi, i problemi e le politiche assistenziali<br />

sembrano rincorrersi in un interminabile<br />

gioco a rimpiattino: mutano<br />

costantemente la scena sociale, l’emergenza<br />

dei bisogni rappresentati,<br />

la forma organizzativa dei servizi, la<br />

legislazione nazionale e regionale, la<br />

quota di risorse disponibili; in tutto<br />

questo, ciò che più impegna la capacità<br />

di comprensione e di intervento degli<br />

operatori sociali è il costante arrangiamento<br />

delle combinazioni fra gli<br />

elementi: non appena, infatti, si crede<br />

di aver stabilito come vanno (o come<br />

dovrebbero andare) le cose, già il quadro<br />

va rivisto e ricomposto.<br />

Si tenta qui, dunque, di tratteggiare<br />

per linee essenziali i mutamenti di immagine<br />

e le differenti composizioni tra<br />

la condizione di molte persone colte<br />

nella loro condizione di grave emarginazione,<br />

le forme sociali ed istituzionali<br />

di risposta a tale disagio e il “telaio”<br />

normativo a cui ricondursi, consideriamo<br />

in particolare la realtà di<br />

coloro che, scivolati fuori dalla condizione<br />

di normalità, si sono trovati a<br />

popolare il mondo degli “spiantati”,<br />

delle persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>, degli<br />

ospiti cronici dei dormitori, dei questuanti<br />

per “professione”.<br />

Nel corso dell’ultimo trentennio, com’è<br />

noto, i tratti di questa popolazione si<br />

sono modificati, vedendo irrobustirsi<br />

le fila dei giovani, delle donne, degli<br />

10<br />

stranieri, moltiplicarsi le espressioni<br />

esteriori (è sempre più difficile riconoscere<br />

la stereotipata immagine del<br />

barbone, per indicare quelli che dormono<br />

all’aperto e vivono di elemosine<br />

e di espedienti), complicarsi fino a<br />

confondersi le diagnosi mediche e sociali.<br />

Gli “emarginati gravi”, comunque li si<br />

voglia chiamare, mai sono stati facilmente<br />

riconducibili ad una chiara tipologia<br />

o ad una precisa subcultura, ancor<br />

meno ad una categoria a rappresentanza<br />

consolidata capace di rivendicare<br />

prestazioni e servizi particolari<br />

per sé; il loro esistere rappresenta visivamente<br />

lo scacco teso a quel sistema<br />

di servizi che ambiva a sviluppare una<br />

capacità di risposta sempre più diffusa<br />

e sempre più tecnicamente competente,<br />

per “trattare” il residuo patologico<br />

della società del benessere.<br />

SERVIZI PER LA NORMA<br />

Dagli anni ’70 sino ai primi anni ’90,<br />

nella fase di ascesa politico-culturale<br />

dell’ideologia del welfare state, l’affermarsi<br />

dei principi generali di universalizzazione<br />

dei diritti sociali e della<br />

relativa ridistribuzione universalistica<br />

di servizi e prestazioni, ed il prevalere<br />

di politiche sociali in una prospettiva<br />

di egemonia pubblica, hanno orientato<br />

lo sforzo capillare di “riordino” e “normalizzazione”<br />

della vita sociale, attra-


verso il decentramento dei servizi negli<br />

Enti Locali e nelle Unità sanitarie<br />

locali, divenute poi “aziende” sanitarie.<br />

La “normalità”, in quella prospettiva,<br />

costituiva il parametro del benessere:<br />

quegli stili di consumo, quelle soglie<br />

di reddito, quelle forme di organizzazione<br />

lavorativa, familiare, abitativa,<br />

rappresentavano per gli amministratori<br />

pubblici e per gli operatori sociali,<br />

l’ambiente entro cui ogni cittadino<br />

doveva poter star bene.<br />

Chi non ne avesse avuto o ne avesse<br />

perso l'abilità (fosse appunto, “disabile”<br />

alle performance normali) rischiava<br />

la fuoriuscita da quello spazio sociale;<br />

le politiche di welfare, perciò, miravano<br />

a prevenirne il rischio (con politiche<br />

di sicurezza sociale e di assicurazione<br />

previdenziale), rimuoverne gli ostacoli<br />

e “trattare” le forma acute del disagio<br />

(attraverso il sistema dei servizi socioassistenziali)<br />

nella direzione del “reinserimento”.<br />

Il disegno “astratto” poteva risultare relativamente<br />

chiaro: linee nette di inclusione/esclusione<br />

attraverso il titolo<br />

di cittadinanza (è riconosciuto utente<br />

potenziale del sistema pubblico il cittadino<br />

italiano, residente in un Comune,<br />

potenziale contribuente del fisco),<br />

linee precise di competenza socioassistenziale<br />

legate dall’iscrizione anagrafica<br />

e al Sistema sanitario nazionale<br />

(inclusione istituzionale entro definiti<br />

“bacini-d’utenza”), linee di competenza<br />

tecnica ed organizzativa (erogazione<br />

di prestazioni e servizi codificati in<br />

base al bisogno esibito dal cittadinoutente,<br />

secondo categorie di problemi<br />

definite, perlopiù socialmente rappresentate).<br />

Senza dilungarci nell’analisi più det-<br />

Tematica<br />

tagliata di questo quadro e consapevoli<br />

della drastica riduttività di tale<br />

schematizzazione, pare possibile tuttavia<br />

riferirvisi per rileggere il rapporto<br />

tra emarginati gravi e servizi: le persone<br />

<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> di origine italiana,<br />

spesso adulti in gravi condizioni di vita<br />

e di abbandono, come un’immagine in<br />

negativo potevano costituire l’emblema<br />

di quanto il sistema pubblico di<br />

protezione sociale e di tutela dei diritti<br />

incontrasse alcune falle, nell’impotenza<br />

delle istituzioni a “trattare” ciò<br />

che uscisse troppo marcatamente dai<br />

criteri di regolarità e codificazione.<br />

Tali persone, pur provenienti da quella<br />

società “normale” che avrebbe dovuto<br />

contenere e custodire i suoi membri<br />

entro prassi di vita adeguate a sé stessa,<br />

incontravano invece una serie di<br />

“barriere all'accesso” dei servizi e sostanziali<br />

ostacoli all’inclusione sociale 1 .<br />

La loro perdita di titolarità alle prestazioni<br />

pubbliche di assistenza 2 , l’impossibile<br />

collocazione in un’unica e prevalente<br />

definizione diagnostica e prognostica<br />

(data dalla multiproblematicità<br />

che implica simultaneamente molte<br />

e sovrapposte dimensioni della vita),<br />

l’inadeguatezza nel loro modo di<br />

porsi e di interrogare le organizzazioni<br />

erogatrici di servizi, la sfasatura dei<br />

tempi fra la percezione soggettiva dell’urgenza<br />

e i ritmi di funzionamento<br />

dei servizi istituzionali, l’insubordinazione<br />

ai programmi trattamentali, la<br />

loro non-contrattualità nei progetti<br />

d'aiuto, hanno reso evidente l’incapacità/impossibilità<br />

“pubblica” di ri-ordinare<br />

e re-inserire nella normalità sociale<br />

un’incerta parte di soggetti “a rischio<br />

di cittadinanza”.<br />

In questa rappresentazione, nel corso<br />

11


Tematica<br />

degli ultimi vent’anni, si è reso particolarmente<br />

visibile il cosiddetto terzo<br />

settore 3 . Gruppi di volontari, associazioni<br />

solidali ed ecclesiali, fondazioni<br />

caritative e cooperative sociali sembravano<br />

poter contribuire a saldare lo<br />

scollamento fra welfare pubblico e cittadini<br />

non-utenti 4 . Assumendo una delega<br />

di intervento assistenziale e riparativo,<br />

molti organismi di terzo settore<br />

si sono candidati a “gestire” l’invisibilità<br />

istituzionale di questa parte di popolazione.<br />

Si è sviluppata una diffusa<br />

capacità di intervento assistenziale e<br />

di emergenza che riusciva ad incontrare<br />

le persone immerse nel disagio<br />

<strong>senza</strong> attendere la loro capacità-possibilità<br />

di esigere aiuto. Sono sorti progetti,<br />

competenze “quasi professionali”,<br />

richieste di finanziamenti agli Enti<br />

Locali, conquista di appalti per la gestione<br />

esternalizzata dei servizi pubblici<br />

rivolti all’emarginazione.<br />

Se non si esprimeva in prima persona<br />

una vera e propria categoria assistibile<br />

(la categoria dei <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>), è<br />

emersa così una domanda sociale “mediata”<br />

da organizzazioni di “privato<br />

sociale” (chiamate, in fine, “non lucrative”)<br />

che interpretavano un bisogno<br />

crescente di riconoscimento e di investimento<br />

assistenziale e riabilitativo.<br />

In tal senso, l’affermarsi anche in Italia<br />

di una Federazione degli Organismi<br />

per le Persone Senza Dimora, pare<br />

mostrare con evidenza questa funzione<br />

di advocacy (sostegno, rivendicazione<br />

e tutela dei diritti a favore dei più<br />

deboli) ed insieme di strutturazione di<br />

una capacità rappresentativa sia sul<br />

versante socio-culturale che sul versante<br />

latamente politico (o, più propriamente,<br />

di lobbing).<br />

12<br />

Mentre, però, questo accadeva al volgere<br />

dello scorso millennio, al contempo<br />

mutavano la cultura politica nel<br />

Paese, le formazioni sociali, le forme<br />

del disagio.<br />

CAMBIO DI SECOLO<br />

Come è noto, gli anni novanta anno segnato<br />

il tramonto del mito universalistico<br />

del welfare pubblico, messo sotto<br />

accusa sul versante economico, per la<br />

gravosità dei costi secondo la cosiddetta<br />

spirale della domanda (pressione<br />

sociale verso un aumento quantitativo<br />

e qualitativo di servizi collegato alla<br />

particolarizzazione e moltiplicazione<br />

delle domande sociali, congiunta all’effetto<br />

paradossale di una maggiore<br />

insoddisfazione soggettiva dei cittadini-utenti<br />

a fronte di crescenti costi gestionali),<br />

e sul versante politico per l’accusa<br />

di uno statalismo egemone ed insufficiente,<br />

che sembrava non saper riconoscere<br />

la pre<strong>senza</strong> e la capacità dei<br />

diversi soggetti presenti nella società<br />

civile e nel mercato. I concetti di sussidiarietà<br />

verticale ed orizzontale, sono<br />

sembrati guidare la nuova impostazione<br />

dei servizi, le idee di pianificazione,<br />

decentramento e fornitura<br />

pubblica dei servizi, hanno lasciato il<br />

posto alle idee di valorizzazione dei<br />

diversi soggetti sociali presenti nella<br />

società civile, di competizione sul piano<br />

dell'innovazione e dei costi fra differenti<br />

fornitori di servizi, di concertazione<br />

dei piani di intervento zona per<br />

zona, di valorizzazione della “libertà<br />

di scelta” dei cittadini fra la gamma<br />

delle prestazioni del “quasi mercato” 5<br />

dei servizi sociali.<br />

Una linea di frontiera sul piano normativo,<br />

fra i due orizzonti di politica


sociale nazionale tra il ’900 e il 2000,<br />

pare essere rappresentata dalla legge<br />

quadro sui “sistemi integrati di interventi<br />

e servizi sociali” n.328/2000. In<br />

essa si riordina il frastagliato corpo<br />

delle leggi assistenziali di settore (per<br />

ogni area di problema una legge ad<br />

hoc) riconducendo ad una “logica di<br />

sistema” la programmazione e la gestione<br />

degli interventi socio assistenziali,<br />

secondo le coordinate della sussidiarietà<br />

verticale, per la quale primo<br />

titolare e responsabile dei servizi assistenziali<br />

è l’Ente Locale più decentrato<br />

(il Comune) “sussidiato” in successiva<br />

istanza dei livelli istituzionali via via<br />

superiori (Province, Regioni, Stato), e<br />

della sussidiarietà orizzontale, per cui<br />

primi titolari e responsabili del loro<br />

benessere (e delle forme organizzate<br />

per conseguirlo) sono i cittadini, “sussidiati”<br />

dagli enti, dalle associazioni e<br />

dalle agenzie che compongono e programmano<br />

in forma concertata l’articolazione<br />

dei servizi nel territorio (circoscritto<br />

in “ambiti” o “zone”).<br />

In questa prospettiva, pare cadere definitivamente<br />

ogni categorizzazione<br />

assistenziale, cioè la risposta settoriale<br />

a categorie di cittadini definiti dalla<br />

specificità dei loro problemi, ed invece<br />

si conferma il diritto alle prestazioni<br />

di aiuto alle persone in quanto cittadini,<br />

garantendo (almeno nell'enunciato)<br />

sia livelli essenziali di “protezione”<br />

dal disagio, sia il diritto di scelta<br />

fra la pluralità dei servizi offerti.<br />

Ebbene, proprio sul crinale di una norma<br />

che abbandona il riferimento alle<br />

tipologie di utenti assistibili, appare invece<br />

specificatamente (agli artt.22 comma<br />

2, e 28 comma 1), come categoria<br />

particolare, quella delle “persone sen-<br />

Tematica<br />

za fissa <strong>dimora</strong>”.<br />

Parrebbe quasi, ironia della sorte, che<br />

nella lunga maratona del welfare state<br />

gli emarginati-gravi abbiano raggiunto<br />

il traguardo di un riconoscimento<br />

normativo “a corsa finita”, quando ormai<br />

è partita la nuova marcia del welfare<br />

mix!<br />

A ri-confondere la scena delle politiche<br />

e delle norme, poi, è seguita “a ruota”<br />

la modifica del titolo quinto della<br />

Costituzione italiana, che consegna interamente<br />

alle Regioni ogni potestà<br />

normativa in merito alle politiche sociali,<br />

esonerando lo Stato dall’intervenire<br />

a tal proposito (se non nel garantire,<br />

non si comprende ancora come,<br />

livelli essenziali di assistenza in tutto<br />

il territorio nazionale). Dunque, anche<br />

quei finanziamenti “particolari” destinati<br />

alle “situazioni di povertà estrema”<br />

indicati nella legge quadro 328/00,<br />

vanno rimessi in gioco Regione per Regione,<br />

politica locale per politica locale.<br />

Come in un interminabile “giro dell’oca”<br />

6 , ora si possono rimettere in discussione<br />

i livelli di riconoscimento<br />

raggiunti, la “mano” torna agli Enti Locali<br />

ed alla loro capacità di “mix” (concertazione/composizione/coordinamento<br />

del sistema assistenziale) pubblico-privato.<br />

Intanto lo Stato, uscito<br />

dalla partita (per restare nella metafora)<br />

e assillato dal problema di riequilibrio<br />

dei suoi bilanci, non solo non<br />

emana più leggi di settore (che finanzino<br />

progetti specifici di contrasto al<br />

disagio) ma erode anche le quote destinate<br />

complessivamente ai Comuni,<br />

i quali si trovano a stiracchiare la coperta<br />

sempre più corta delle quote di<br />

bilancio destinate ai servizi sociali.<br />

Se da un lato, quindi, si vanno moltipli-<br />

13


Tematica<br />

cando le possibili “offerte” di servizi,<br />

pubblici, privati o di terzo-settore, le<br />

forme di erogazione e la personalizzazione<br />

delle prestazioni, d’altro lato il<br />

cittadino in condizioni di difficoltà vede<br />

crescere la sua incertezza sull’esigibilità<br />

dei servizi e le modalità concrete<br />

per ottenerli.<br />

Si va riproponendo, nel nostro Paese,<br />

un welfare “a macchia di leopardo” 7 , in<br />

base alle amministrazioni locali, alla<br />

cultura cooperativa e solidale espressa<br />

dai diversi territori, alle risorse economiche<br />

messe in campo da aree geografiche<br />

più o meno floride.<br />

Un ulteriore mutamento, nella prospettiva<br />

dell’esclusione, pare proporsi<br />

anche sul piano socio-culturale: la presunta<br />

separazione fra normalità e devianza,<br />

benessere e malessere, salute<br />

e malattia, ricchezza e povertà, lascia<br />

il posto alla miscela di insicurezza e<br />

vulnerabilità diffuse.<br />

Pare ormai imporsi una nuova accezione<br />

del termine “disagio sociale”,<br />

abbandonando i vecchi stereotipi sulla<br />

povertà come mera mancanza di reddito<br />

e sulla sofferenza “nota” di fasce di<br />

popolazione tradizionalmente considerate<br />

marginali.<br />

IDENTITÀ IN MOVIMENTO<br />

Si è culturalmente raggiunta la consapevolezza<br />

che la nozione di disagio<br />

non riguarda solamente l’as<strong>senza</strong> di<br />

beni materiali (povertà assoluta) quanto<br />

piuttosto i parametri di reddito medio<br />

e di consumi (povertà relativa) ed<br />

ancor più l’insieme globale dell’esperienza<br />

soggettiva e dei significati che<br />

le persone attribuiscono ad essa, rispetto<br />

al contesto di relazioni in cui<br />

sono inserite.<br />

14<br />

In altri termini, quando si consideri il<br />

bisogno socio-assistenziale, pur non<br />

sottovalutando il valore co-determinante<br />

di alcune concrete carenze materiali,<br />

lo si può comprendere appieno<br />

solo in una prospettiva di relativa “immaterialità”,<br />

fatta anche di sentimenti,<br />

di interrogativi esistenziali, di stima di<br />

sé, di significati culturali, di attribuzioni<br />

di status, di appartenenza a reti<br />

di relazione, in definitiva, di quell’insieme<br />

di “beni relazionali” cui fa cenno<br />

Pierpaolo Donati con riferimento al<br />

concetto di well-being 8 .<br />

In tal senso, il disagio espresso in maniera<br />

più evidente dagli utenti dei servizi<br />

sociali, si può interpretare come<br />

un segnale delle difficoltà a far fronte<br />

all’impegno di realizzazione di sé in<br />

contesti sfavorevoli ad un benessere<br />

condiviso.<br />

L’intreccio inscindibile tra caratteristiche<br />

e condizioni soggettive da un lato<br />

e realtà materiale, sociale e culturale<br />

dall’altro lato, induce ad interrogarsi<br />

contemporaneamente sui fattori di debolezza<br />

personale di chi chiede aiuto<br />

e sui fattori di “sofferenza sociale” che<br />

ne aggravano la condizione; per questo,<br />

è plausibile affermare che nella<br />

“normalità problematica” e non in una<br />

presunta “residualità patologica” è necessario<br />

rintracciare le coordinate di<br />

interventi di contrasto del disagio,<br />

presente e potenziale.<br />

Va stringendosi sempre di più il rapporto<br />

fra aspetti soggettivi delle persone<br />

che accedono alle risposte d’aiuto<br />

organizzate (pubbliche, delle organizzazioni<br />

della Chiesa cattolica o da altre<br />

agenzie private) e la realtà sociale<br />

di crescente e diffusa debolezza 9 .<br />

La realtà socio-demografica degli anni


ecenti mostra modificazioni della famiglia<br />

sia nella dimensione formale che<br />

nella realtà sostanziale 10 : famiglie sempre<br />

più spesso “istituzioni guscio” 11 ,<br />

che mantengono l’etichetta formale ma<br />

restano prive al loro interno degli elementi<br />

rassicuranti di stabilità e di garanzia<br />

protettiva (forte riduzione del<br />

numero dei componenti 12 , aumento di<br />

famiglie unipersonali 13 e di coppie con<br />

età avanzata 14 ), l’affermarsi di legami<br />

più estesi ma più deboli di quanto non<br />

apparisse nelle società del passato, crescente<br />

instabilità delle coppie sposate,<br />

l’affermarsi di forme di convivenza para-familiare<br />

<strong>senza</strong> l’assunzione di impegno<br />

formale nel garantire continuità<br />

e reciproca responsabilità nei legami.<br />

Un altro elemento di relativa instabilità<br />

riguarda la sfera del lavoro. Sempre<br />

più, l’enfasi culturale economico-mercantilista<br />

legata alla globalizzazione,<br />

sottolinea la necessità di un approccio<br />

“flessibile” all’occupazione, avviando<br />

processi di forte deregolazione del mercato<br />

in funzione di crescenti spazi di<br />

“mobilità” della forza lavoro 15 , tanto<br />

geografica che di ceto economico e di<br />

status sociale. Sia sul piano delle garanzie<br />

per i singoli occupati, sia sul piano<br />

delle risorse previdenziali accantonabili,<br />

sia, ancora, sul piano delle “riconversioni”<br />

produttive, sembra ridursi<br />

per il futuro un impegno pubblico<br />

ritenuto da molte forze politiche troppo<br />

gravoso e vincolante. La competizione<br />

economica “spinta”, vista dai<br />

pensatori neo-liberisti come un propellente<br />

sociale per il continuo miglioramento<br />

dei singoli soggetti con ricaduta<br />

benefica su tutti, nei fatti va mostrando<br />

i suoi esiti di individualizzazionesolitaria<br />

sia delle strategie di successo<br />

Tematica<br />

personale, che delle vicende di fallimento<br />

e frustrazione. Accade sempre<br />

più, dunque, che se alcuni riescono a<br />

promuovere la loro condizione, altrettanti<br />

vedono precarizzate le posizioni<br />

di agio raggiunte 16 .<br />

Il volto nascosto (neppure tanto) dell’assoluta<br />

libertà individuale nella ricerca<br />

di autosufficienza ed autorealizzazione,<br />

pare dunque essere la solitudine<br />

17 e l'abbandono.<br />

Anche sul fronte dei legami comunitari,<br />

sembra di assistere ad una rarefazione<br />

dei vincoli significativi all’insegna<br />

di un crescente anonimato.<br />

L’esasperazione di atteggiamenti individualisti,<br />

all’insegna della difesa della<br />

propria privacy, in quel processo di<br />

“spersonalizzazione” delle interdipendenze<br />

proprie delle società tecnicamente<br />

evolute 18 , per cui ciascuno è spinto<br />

ad allacciare con gli altri relazioni<br />

strumentali finalizzate alla condivisione<br />

di obiettivi settoriali, entro “comunità<br />

a responsabilità limitata” 19 , coese<br />

solamente per alcuni aspetti dell’esperienza<br />

dei singoli ma disinteressate<br />

agli altri aspetti della loro vita. Quando<br />

viene meno il motivo strumentale<br />

che tiene unito ogni singolo membro a<br />

questo tipo di comunità “mono-dimensionali”,<br />

più che affermarsi una condizione<br />

di “marginalità” per i soggetti<br />

esclusi, “semplicemente” essi scompaiono<br />

dalla percezione (divengono “invisibili”),<br />

escono dalle reti di relazione<br />

e scivolano nell’oblio.<br />

Tali aggregazioni a “specializzazione<br />

funzionale” (ambiente di lavoro, reti<br />

amicali, circoli culturali e ricreativi, associazioni<br />

politiche o di categoria ecc.)<br />

spesso svincolate da un riferimento<br />

geografico comune, rendono tenue il<br />

15


Tematica<br />

senso d’appartenenza alla comunità locale<br />

e labile l’identità.<br />

Dunque, la nostra società post-moderna<br />

e post-industriale, pare provocare i<br />

suoi membri ad una continua mobilizzazione<br />

dell'equilibrio in cui si assesta<br />

l’identità personale.<br />

Nella ricerca di una definizione di sé,<br />

le persone si trovano a fare i conti con<br />

un “Io” sempre più frammentato, quanto<br />

frammentate sono le reti di relazione<br />

nelle quali va esibita la propria adeguatezza<br />

di ruolo, complesso e composto<br />

di messaggi sovrapposti quanto<br />

sovrapposte e incongruenti sono le richieste<br />

di competenza e di adesione ai<br />

valori nelle diverse comunità frequentate.<br />

L’uomo d’oggi, proiettato in una società<br />

multiculturale, poliglotta ma omogeneizzata<br />

negli stili di consumo 20 , aggregata<br />

nelle forme effimere della comunanza<br />

estetica 21 provocata dalla celebrazione<br />

mass-mediale di eventispettacolo<br />

e dei suoi miti, rischia di<br />

trovarsi gravemente solo, nell’impegno<br />

quotidiano di riproporre se stesso<br />

secondo le richieste dei tanti “altri” che<br />

lo interpellano; tanto più solo, quanto<br />

più il suo costante riequilibrarsi fatichi<br />

a trovare assestamenti soddisfacenti.<br />

L’allentamento dei legami, il dissolversi<br />

della tradizione e di un comune credo<br />

religioso, l’attenuarsi dell’intensità<br />

dei sentimenti collettivi, sembrano accompagnare<br />

la caduta di ciò che Durkheim<br />

ebbe a definire “densità morale”<br />

22 , riferendosi alla pregnanza di una<br />

coscienza collettiva che nella società<br />

fornisce ad ogni singolo membro i criteri<br />

di moralità ed i punti di riferimento,<br />

i simboli e i valori condivisi utili a<br />

segnare le linee dell’inclusione e della<br />

16<br />

comune appartenenza.<br />

Coerente con questa lettura, può apparire<br />

utile il concetto di “demoralizzazione”,<br />

proposto da William I.<br />

Thomas, come risultato del processo di<br />

disorganizzazione sociale. In as<strong>senza</strong><br />

di regole stabili ed interiorizzate, “l’individuo<br />

diventa demoralizzato e incapace<br />

di definire un progetto di vita” 23 ;<br />

si può assistere, così, al contemporaneo<br />

declino “del gruppo primario che<br />

dà all’individuo un senso di responsabilità<br />

e di sicurezza” e “dell’organizzazione<br />

personale di vita di un individuo<br />

membro di (quel) gruppo sociale”<br />

24 . Un rischio, questo, più vicino alla<br />

reattività “normale” che ad una particolare<br />

patologia.<br />

Contrariamente alla semplificazione<br />

culturale secondo cui chi versa in gravi<br />

condizioni di degrado o di emarginazione,<br />

sarebbe in qualche modo coartefice<br />

meritevole del suo destino, o,<br />

almeno, carente e patologico, appartenente<br />

ad una categoria marginale, necessariamente<br />

minoritaria rispetto alla<br />

“norma” dei sani e degli agiati, pare<br />

ormai evidente, invece, un’esposizione<br />

diffusa ai rischi di marginalizzazione,<br />

quasi incombesse su tutti un<br />

processo di “neo-darwinismo sociale” 25<br />

che seleziona positivamente solo chi è<br />

dotato di maggiori risorse personali e<br />

materiali, maggior capacità di adattamento,<br />

particolari abilità di riconversione<br />

delle proprie competenze sociali.<br />

ACCESSO “DEI” SERVIZI<br />

Per comprendere la condizione di coloro<br />

che si collocano ai livelli più profondi<br />

della deprivazione e della devianza,<br />

popolando l’universo dei frequentatori<br />

dei centri d’ascolto della Ca-


itas, delle strutture di ospitalità diurna<br />

e notturna, delle mense, coloro che<br />

attingono all’assistenza delle parrocchie,<br />

dei gruppi informali di volontari<br />

e di quelle istituzioni socio-assistenziali<br />

definite “a bassa soglia”, perché<br />

recettive anche di chi non supererebbe<br />

le barriere culturali e pragmatiche<br />

dei servizi terapeutici specializzati o<br />

delle istituzioni burocratiche pubbliche,<br />

può essere utile adottare ulteriori<br />

concetti proposti da Robert K. Merton<br />

nell’analisi dei comportamenti di adattamento<br />

sociale. Egli distingue le “mete<br />

culturali”, cioè le prospettive di realizzazione<br />

a cui sono sollecitati i membri<br />

di una società, dai “mezzi istituzionalizzati”,<br />

cioè l’insieme delle risorse,<br />

delle regole e delle strategie di comportamento<br />

considerate legittime per<br />

ottenere gli obiettivi ambiti.<br />

Secondo questo autore, la concordanza<br />

o meno tra mete e mezzi e le diverse<br />

combinazioni tra essi, danno luogo<br />

a comportamenti “tipizzabili” quali:<br />

conformità, innovazione, ritualismo, rinuncia,<br />

ribellione. I primi comportamenti,<br />

come è facile intuire, sono sbilanciati<br />

sul versante dell’adattamento<br />

sociale, gli ultimi, al contrario, riguardano<br />

i “dis-adattati”. Tale schema è stato<br />

ulteriormente arricchito dall’analisi<br />

di Talcott Parsons, il quale introduce<br />

le dimensioni di “attività” o “passività”<br />

e considera l’atteggiamento assunto<br />

dalle persone nella direzione della<br />

conformità alle “mete culturali” e all’adesione<br />

sociale, oppure, invece, verso<br />

un atteggiamento di distacco.<br />

In tal modo, vengono proposti otto tipi<br />

di “devianti”, tra i quali, per quanto<br />

interessa questa riflessione, si distinguono<br />

come “aggressivi” e “incorreg-<br />

Tematica<br />

gibili” coloro che nel loro distacco sociale<br />

assumono un atteggiamento “attivo”,<br />

e come “indipendenti compulsivi”<br />

e “uomini in fuga” coloro che adottano<br />

un atteggiamento passivo. Se si<br />

utilizza questa tipizzazione (pur attenti<br />

a non cadere in riduttivi stereotipi e<br />

forme deterministiche) i più emarginati,<br />

le persone alla deriva, coloro che<br />

incontrano solo i servizi capaci di accogliere<br />

gli “sconfitti della vita”, si possono<br />

riconoscere quegli atteggiamenti<br />

rinunciatari e di passività assistenziale<br />

che lo schema Parsonsiano chiama<br />

“di fuga”. Si tratta di persone che, a<br />

fronte dell’impossibilità ripetutamente<br />

sperimentata di conciliare le mete<br />

sociali con i mezzi di cui sono dotate,<br />

anziché rinnovare un atteggiamento<br />

attivo che “aggredisce” le difficoltà, recedono<br />

rinunciando a scommettere sulla<br />

propria “riuscita”. Si può parlare,<br />

allora, di quella sorta di “adattamento<br />

per rinuncia” 26 che, accompagnato alle<br />

varie etichette negative che inesorabilmente<br />

la società giunge ad imprimere<br />

(“povero”, “emarginato”, “fallito”,<br />

“balordo”, “barbone”, “clandestino”<br />

ecc.), conferma le persone stigmatizzate<br />

negli stili di una sopravvivenza<br />

dall’orizzonte corto, <strong>senza</strong> progetto.<br />

E’ noto che molti, soverchiati da “catene<br />

cumulative di eventi traumatici” 27<br />

su molte dimensioni dell’esperienza<br />

(sui piani affettivo, psicologico, fisico,<br />

economico, sociale, culturale ecc.) lasciano<br />

gli ormeggi di una routine “normale”<br />

precipitando nella chiusura a<br />

quei rapporti con la realtà esterna vissuti<br />

sempre più come minacciosi per<br />

proprio fragile equilibrio: il cambiamento,<br />

infine, è temuto piuttosto che<br />

sperato.<br />

17


Tematica<br />

Se quanto detto ha un qualche fondamento,<br />

il problema dell’accesso ai servizi<br />

(nell’accezione più nota di “capacità<br />

di chiedere ed ottenere prestazioni<br />

d’aiuto standardizzate”) non si pone<br />

come primo e reale problema degli<br />

emarginati più gravi, poiché l’interazione<br />

con il sistema assistenziale si<br />

pone ad un livello di motivazione al<br />

cambiamento e di adesione alle mete<br />

socio-culturali del contesto “normale”,<br />

che gli esclusi più “profondi” non percepiscono<br />

più. Per “uomini in fuga” segnati<br />

dalla “rinuncia” della realizzazione<br />

di sé sentita come impresa impossibile,<br />

la questione dell’inclusione sociale<br />

non si pone più in termini di prestazioni<br />

e servizi da richiedere ma piuttosto<br />

di riconoscimento interpersonale<br />

come primo fattore di conferma positiva<br />

dell’identità, di restituzione di<br />

“senso” 28 e, solo successivamente, di<br />

"prospettiva".<br />

Non vi è ripresa della dignità personale,<br />

della proiezione di sé in un futuro<br />

auspicato, della rimotivazione alla<br />

progettualità, se non a partire dal riconoscimento<br />

della propria particolarità<br />

originale e del proprio valore esistenziale,<br />

a prescindere dalla contrattualità<br />

o dai bisogni manifestati apertamente.<br />

Inoltre, non vi è autentico riconoscimento<br />

se non in contesti comunicativi<br />

ricchi di attenzione e di ascolto; dove<br />

ascoltare possa significare comprendere<br />

l’universo interiore e simbolico di<br />

ogni interlocutore 29 , cioè “accedere” ai<br />

suoi spazi di relazionalità autodeterminata<br />

ed autentica.<br />

Ecco, dunque, che la scena si rovescia<br />

e ed i confini si confondono: il vecchio<br />

tema “accesso ai servizi” introduce il<br />

18<br />

nuovo tema “accesso dei servizi”.<br />

Forse, andrebbe invertita la direzione<br />

comunicativa, od almeno sviluppata<br />

nei due sensi, tra esclusi e servizi, sviluppando<br />

capacità (e forme organizzative)<br />

di maggiore condivisione: non<br />

solo e non tanto persone “bisognose”<br />

che accedono alle “agenzie dell'aiuto”,<br />

ma persone (operatori e servizi) determinate<br />

all’aiuto che accedono alla<br />

condizione di chi patisce il disagio. In<br />

tal senso, ogni agenzia ed istituzione<br />

che si candidi a prestare “servizi sociali”<br />

in forma organizzata deve misurarsi<br />

con la capacità di entrare in relazione<br />

costruttiva (e ri-costruttiva) con chi soffre<br />

un particolare disagio, e con la capacità<br />

di dilatare uno stile relazionale<br />

corresponsabile, entro le reti sociali<br />

della “normalità”. E’ in esse che si producono<br />

e si sviluppano sia il disagio<br />

che l’agio, in esse si prospettano e si<br />

condividono le mete esistenziali ed i<br />

mezzi per conseguirle.<br />

Se, come si è detto, fattori di esclusione<br />

possono legarsi alla frammentazione<br />

dell’identità e dei legami, accompagnati<br />

da catene di eventi traumatici<br />

e carenza di risorse, all’opposto, fattori<br />

di agio sono collegati a relazioni significative,<br />

alla pre<strong>senza</strong> di reti sociali<br />

“dense” 30 , a rapporti primari affidabili<br />

nel tempo e affettivamente “nutritivi”,<br />

opportunità materiali per esprimere<br />

potenzialità e progetti di auto ed<br />

etero realizzazione 31 .<br />

Non si tratta, in questa linea, di sviluppare<br />

nel sistema dei servizi sociali particolari<br />

accorgimenti per agevolarne<br />

l’accesso a partire da un atteggiamento<br />

selettivo e strumentale (cioè finalizzato<br />

ad un risultato precostituito, quale la<br />

normalizzazione dei comportamenti,


il reinserimento formale, il corretto utilizzo<br />

delle prestazioni assistenziali o<br />

terapeutiche), ma di assumere iniziative<br />

di incontro e di ascolto, in particolare<br />

per coloro che altrimenti non<br />

saprebbero o non potrebbero farsi ascoltare.<br />

Per queste ragioni, probabilmente, va<br />

crescendo l’attenzione tra gli operatori<br />

sociali alla prospettiva dell’“accompagnamento<br />

sociale”, nella valenza di<br />

“affiancamento” ai soggetti in grave<br />

difficoltà 32 . L’intervento “civile” ed istituzionale<br />

nei confronti di persone che<br />

si collocano nella parte estrema della<br />

linea di debolezza sociale, può dunque<br />

indirizzarsi all’ampliamento di<br />

spazi di comunicazione e di condivisione<br />

fra cittadini-utenti e servizi 33 , fra<br />

persone in difficoltà e operatori sociali<br />

(professionisti e volontari), ove non<br />

rimanga implicita e immutabile la direzione<br />

secondo cui ci si attende che<br />

gli uni procedano verso gli altri, ma<br />

si tenda ad una convergenza che porti<br />

all’“accesso” reciproco.<br />

1 Si veda al tal proposito Guidicini P. e Pieretti G. (a<br />

cura di) (1988), I volti della povertà urbana, Franco<br />

Angeli, Milano.<br />

2 Come si è detto, chi non abbia la residenza esce<br />

dalla competenza di un Ente Locale e quindi dall’esigibilità<br />

di ogni pubblica provvidenza riconducibile<br />

all’iscrizione anagrafica.<br />

3 Boccacin L. (1993), La sinergia della differenza.<br />

Un’analisi del terzo settore in Italia, FrancoAngeli, Milano<br />

e Donati P. (a cura di) (1996), La sociologia del<br />

terzo settore, NIS, Roma.<br />

4 Vedi a tal proposito Gui L. (a cura di) (1995), L’utente<br />

che non c’è. Emarginazione grave, persone <strong>senza</strong><br />

<strong>dimora</strong> e servizi sociali, FrancoAngeli, Milano.<br />

5 Payne M. (1995) , trad it Case management e servizio<br />

sociale, Erickson, Trento, 1998.<br />

Tematica<br />

6 Noto gioco di società nel quale si procede o si retrocede,<br />

di casella in casella, tirando a sorte con i<br />

dadi.<br />

7 Gui L. (2003), <strong>Servizi</strong>o sociale e politiche regionali: una<br />

visione di sintesi, in Rizza S. (a cura di), 2° Rapporto<br />

sulla situazione del servizio sociale, EISS, Roma, pp.<br />

467-481.<br />

8 Si evoca, qui, il concetto ampio di “benessere” come<br />

well being, la percezione, cioè di “viver bene”<br />

in termini soggettivi globali. Si veda a tal proposito<br />

P. Donati e F. Folgheraiter (a cura di) (1999), Gli<br />

operatori sociali nel welfare mix, Erickson, Trento,<br />

p. 29.<br />

9 Indicata da alcuni sociologi come “aumento di<br />

vulnerabilità sociale”. Meo A. e Negri N. (2002),<br />

Carriere di povertà in un tempo di fragilizzazione della<br />

cittadinanza, in “Animazione sociale”, 5/2002,<br />

pp. 26-36.<br />

10 Fruggeri L. (1997), Famiglie. Dinamiche interpersonali<br />

e processi psico-sociali, NIS, Roma.<br />

11 Giddens A. (1999, London, trad. it. Il mondo che<br />

cambia, Il Mulino, p. 75.<br />

12<br />

L’Italia è scesa a 2,6 membri per unità familiare.<br />

Dati ISTAT 2001.<br />

13<br />

Rappresentano già il 22% delle famiglie italiane.<br />

Dati ISTAT 1998.<br />

14 L’indice di vecchiaia (numero di ultrasessantacinquenni<br />

ogni 100 minori di 14 anni) nel Paese è pari<br />

a 127,1.<br />

15<br />

ISTAT (2002), “Rapporto annuale. La situazione del paese”,<br />

pp. 54 e ss.<br />

16 Bauman Z. (2001), Voglia di comunità, trad. it. Minacci<br />

S., Laterza, Roma-Bari, p. 45.<br />

17 Secondulfo D. (2003), La comunità fra postmodernità<br />

e globalizzazione, in Lazzari F. Merler A. (a cura di),<br />

La sociologia delle solidarietà, Franco Angeli, Milano,<br />

pp. 66 ss.<br />

18 Ciò che Tonnies chiamò l’evoluzione da comunità<br />

indifferenziata, Gemeinschaft, a società moderna,<br />

Gesellschaft. Tonnies F. (1887, Leipzig), trad. it. Comunità<br />

e società, Cortina, Milano, 1963.<br />

19 Janovitz M. (1952, Glencoe), The Community Press<br />

in an Urban Setting, Press Free, riportato da Bulmer<br />

M. (1987, London), trad. it. Le basi della Communiy<br />

Care, Erickson, Trento, 1992, p. 136.<br />

20 Marcuse H. (1964, Boston), L’Uomo ad una dimensione,<br />

Einaudi, Torino 1967.<br />

19


Tematica<br />

21 Bauman Z., op. cit. pp. 51 e ss.<br />

22 Durkheim E. (1912), Le forme elementari della vita religiosa,<br />

Ed, Comunità, Milano, 1971.<br />

23 Berzano L. e Prina F. (2003), Sociologia della devianza,<br />

Carocci, Roma, 8^ rist., p. 68.<br />

24 Ibidem.<br />

25 Berzano L.(1987), Uomini <strong>senza</strong> territorio, Atti Convegno<br />

Diocesano, Torino, p. 28.<br />

Amplius Pellegrino M. e Verzieri V. (a cura di)<br />

(1991), Né tetto né legge. L’emarginazione grave, le nuove<br />

povertà, i “<strong>senza</strong> fissa <strong>dimora</strong>”, Ed. Gruppo Abele,<br />

Torino.<br />

26 Gui L. (1995), op. cit., pp. 24 e ss.<br />

27 Berzano L. (1991), Introduzione, in Pellegrino M. e<br />

Verzieri V. (a cura di), op. cit., p. 10.<br />

20<br />

28 Gui L. (2003), Una ricerca di nuovi percorsi d’aiuto, in<br />

Landuzzi C. e Pieretti G. (a cura di), <strong>Servizi</strong>o sociale e<br />

povertà estreme, Franco Angeli, Milano, pp. 107 e ss.<br />

29 Lazzari F. (2003), Osservazione e promozione umana,<br />

in Caritas Diocesana di Trieste (a cura di), Rapporto<br />

sull'esclusione 2003, pp. 16-26.<br />

30 Si veda Serra R. (2001), Logiche di rete. Dalla teoria<br />

all’intervento sociale, FrancoAngeli, Milano.<br />

31 Folgheraiter F. (1998), Teoria e Metodologia del servizio<br />

sociale, FrancoAngeli, Milano, pp. 129 e ss.<br />

32 Si veda a tal propostio il testo Landuzzi C. e Pieretti<br />

G. (a cura di), op. cit.<br />

33 Potenziando luoghi e forme di incontro ma anche<br />

la quantità di ore/lavoro impiegate da operatori<br />

qualificati, iniziative volontarie o convenzionate<br />

ecc.


Tematica<br />

PERSONE SENZA DIMORA, DIRITTI<br />

*<br />

E PRIORITÀ PER GLI ENTI LOCALI<br />

Stefano Lepri - Assessore ai <strong>Servizi</strong> Sociali del comune di Torino.<br />

Il Convegno FIOpsd di Torino è un<br />

utile momento per un confronto tra<br />

esperienze e la possibilità di approfondire<br />

gli aspetti giuridico-normativi<br />

in modo da riportare il tema delle<br />

persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> nell’agenda della<br />

politica. Il fatto di aver voluto ospitare<br />

il Convegno proprio in questa città<br />

sottolinea l’attenzione che questa amministrazione<br />

ha sempre posto verso<br />

questa particolare fascia di popolazione,<br />

facendo della città di Torino uno<br />

dei primi soci aderenti a FIOpsd per<br />

condividere con le realtà del privato<br />

sociale e altre amministrazioni locali la<br />

sfida che affrontiamo ogni giorno per<br />

rispondere con efficacia al disagio estremo<br />

delle persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>.<br />

Torino è certamente una città interessante<br />

per gli interventi verso questa<br />

fascia di persone sia per la quantità<br />

che la qualità della rete di servizi presenti.<br />

Chiaramente una delle esigenze per un<br />

amministratore è quello di avere una<br />

città vivibile per tutta la cittadinanza,<br />

garantire un “decoro” della città e non<br />

avere zone e persone abbandonate a<br />

se stesse per evitare pericolose derive<br />

dal punto di vista sociale e della convivenza.<br />

Per questo da anni sono attivi<br />

servizi specifici nell’ambito delle istituzioni<br />

cittadine ed esiste una stretta<br />

alleanza con le organizzazioni del<br />

privato sociale che operano sul nostro<br />

territorio.<br />

Devo dire, però, che la città di Torino<br />

non incentra tutti i suoi sforzi solo per<br />

garantire il controllo e la sicurezza della<br />

città ma soprattutto per offrire concrete<br />

opportunità di promozione sociale<br />

e di riscatto per coloro che versano<br />

in condizione di grave marginalità.<br />

Attraverso i finanziamenti del decreto<br />

D’Alema sono state aperte numerose<br />

strutture, soprattutto di prima accoglienza<br />

per aumentare il grado di protezione<br />

sociale di queste persone.<br />

Oggi, però, la fase di emergenza sembra<br />

passata e siamo entrati nell’ottica<br />

dell’innovazione e dell’intervento attuato<br />

nelle strutture di seconda accoglienza,<br />

frutto anche del dinamismo<br />

del terzo settore. In queste strutture sono<br />

attivati percorsi di recupero specifici<br />

che permettono un pieno reinserimento<br />

nel tessuto sociale delle persone<br />

seguite dai servizi.<br />

In termini generali, però, la soluzione<br />

del problema delle persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong><br />

mi sembra ancora lontana; anzi<br />

continuo a ritenere che il problema sia<br />

davvero di difficile soluzione. La quantità<br />

di persone che affluiscono sul nostro<br />

territorio anche da altre zone del<br />

Piemonte e d’Italia mette sempre a dura<br />

prova le strutture attivate. E gli strumenti<br />

a disposizione, specie in termini<br />

di risorse economiche, sembrano<br />

sempre più limitati e insufficienti.<br />

Questo nonostante esista un accordo<br />

ormai consolidato tra l’Amministrazione<br />

Comunale, le organizzazioni del<br />

terzo settore e le ASL di competenza<br />

21


Tematica<br />

per intervenire in questa area di disagio.<br />

Mi sembra fondamentale citare<br />

il Tavolo di lavoro sulla grave marginalità<br />

che da anni è attivo sotto il coordinamento<br />

del <strong>Servizi</strong>o Adulti in difficoltà<br />

ed i vari progetti, anche con il<br />

co-finanziamento europeo, che sono<br />

attivi nei punti nevralgici in cui pare<br />

concentrarsi la popolazione a disagio<br />

(come il progetto sulla stazione Porta<br />

Nuova).<br />

Ripeto: nel prossimo futuro sarà sempre<br />

più difficile intervenire appropriatamente<br />

perché le risorse economiche<br />

a disposizione per il sostegno agli interventi<br />

nel sociale e, in particolare sulle<br />

persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>, nella migliore<br />

delle ipotesi, rimarranno quelle attuali.<br />

Questo è causato dalla diminuzione<br />

dei trasferimenti dallo Stato centrale<br />

alle Amministrazioni locali rispetto<br />

agli stanziamenti specifici nell’ambito<br />

sociale; più in generale di vincoli<br />

di spesa a cui ogni Comune è sottoposto<br />

dalle disposizioni governative.<br />

Quindi ogni Comune si trova sempre<br />

più a dover attingere dalle proprie risorse,<br />

con budget sempre più risicati<br />

e l’impossibilità di far leva su nuove<br />

entrate. Questo processo in atto negli<br />

ultimi anni credo avrà delle inevitabili<br />

ricadute laddove già sono difficili e,<br />

talvolta, ritenuti poco produttivi gli interventi<br />

nell’ambito territoriale di competenza,<br />

specie per quanto riguarda le<br />

politiche sociali riferite alla marginalità<br />

estrema.<br />

Per quanto ci riguarda, e credo la cosa<br />

interessi ogni Comune con popolazione<br />

di una certa rilevanza quantitativa,<br />

esiste anche un problema legato alle<br />

residenze “fittizie”. Torino è stata tra<br />

le prime città che ha riconosciuto a tan-<br />

22<br />

te, potrei dire, tutte le persone che ne<br />

hanno fatto richiesta la possibilità di<br />

riottenere la residenza anagrafica.<br />

Come sapete meglio di me la residenza<br />

permette di accedere ad ogni altro<br />

diritto e abbiamo sempre ritenuto, come<br />

Amministrazione, che questa azione<br />

fosse fondamentale per garantire il<br />

diritto di cittadinanza a tutti, anche i<br />

più svantaggiati. La possibilità di ottenere<br />

la residenza “fittizia” rimanda,<br />

in larga parte, alle persone che accedono<br />

ai servizi di prima accoglienza;<br />

molti tra di loro abbisognano di un riconoscimento<br />

anagrafico (questo tanto<br />

più dopo l’ultimo censimento che ha<br />

cancellato molte persone considerate<br />

irreperibili nella loro abituale abitazione).<br />

Il problema nasce dal fatto che molti<br />

provengono da altre città e trovano<br />

appoggio, fino ad ora, solo nella nostra<br />

amministrazione.<br />

Nel resto della Regione Piemonte non<br />

sembra esserci ancora questa sensibilità.<br />

Ma questo chiaramente genera dei<br />

problemi, sovraccarica i servizi, richiede<br />

un dispendio economico e di risorse<br />

umane non indifferente, riduce la<br />

capacità di erogare servizi di accompagnamento<br />

più accurati e personalizzati.<br />

Sottolineo quindi la necessità che anche<br />

le città più piccole ed i comuni minori<br />

si riapproprino delle proprie responsabilità,<br />

evitando di delegare alle<br />

aree metropolitane la soluzione dei problemi<br />

originati nel loro specifico contesto.<br />

Questo mi sento di dire è un problema<br />

di base che deve essere affrontato,<br />

condiviso e risolto per evitare il<br />

rischio che il nostro stesso Comune interrompa<br />

questa pratica usuale ma non<br />

più sostenibile in questa misura.


Cercherò ora di fissare alcuni punti fondamentali<br />

che riguardano le amministrazioni<br />

locali in genere, cercando un<br />

compromesso tra sintesi e chiarezza.<br />

1. E’ necessario che Governo e Regioni<br />

riprendano in mano la questione<br />

delle persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>. Dopo il<br />

decreto D’Alema ed i finanziamenti fissati<br />

dalla L. 328/00 non ci sono più stati<br />

interventi “ad hoc” nonostante l’evidenza<br />

del fenomeno: il tema sembra<br />

scomparso dalle priorità di Stato e Regioni.<br />

E’ difficile dire oggi come saranno<br />

sostenuti tutti i servizi nati in base<br />

a questi finanziamenti. Io ritengo che<br />

il fenomeno della grave marginalità<br />

rimanga prevalentemente legato alle<br />

grandi aree urbane; sono convinto che<br />

le risorse economiche devono essere<br />

indirizzate alle medie e grandi città<br />

perché in queste aree si riscontra principalmente<br />

il problema. Purtroppo, come<br />

dicevo, non c’è più un fondo specifico<br />

per questi interventi a livello centrale.<br />

Il Fondo sociale è oggi indistinto<br />

e quindi è facile che le risorse limitate<br />

a disposizione siano orientate alle aree<br />

di bisogno più tradizionali e maggiormente<br />

visibili nell’ambito sociale.<br />

Quindi, secondo me, l’ANCI dovrebbe<br />

riproporre la necessità di un Fondo<br />

specifico al Governo a favore degli interventi<br />

per le persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong><br />

per evitare che questo settore sia messo<br />

ancora più ai margini.<br />

2. Ritorno sul tema del diritto alla residenza<br />

come diritto fondamentale che<br />

va riproposto per quello che è: un diritto<br />

sancito dalla legge e non negabile<br />

alla persona. E’ un tema poco riconosciuto,<br />

sia in ambito nazionale sia<br />

Tematica<br />

in quello locale. Ma <strong>senza</strong> una battaglia<br />

forte su questo tema credo sia difficile<br />

ottenere interventi appropriati per<br />

la persona e riconoscimento per i servizi,<br />

anche in termini di facilità di intervento<br />

con le persone in disagio.<br />

3. Un’altra priorità fondamentale per<br />

le politiche sociali e per la definizione<br />

degli interventi in ambito locale riguarda<br />

la definizione dei LIVEAS (Livelli<br />

di Assistenza Sociale), la sola competenza<br />

in campo sociale rimasta al Governo<br />

centrale dopo la modifica del<br />

Titolo quinto della Costituzione.<br />

I LIVEAS sono lo strumento fondamentale<br />

per individuare i livelli e criteri<br />

di prestazione, accoglienza e reinserimento<br />

sociale per le psd.<br />

E’ una partita che segue quella relativa<br />

ai LEA (Livelli di Assistenza in campo<br />

sanitario) ma che non sta trovando<br />

soluzione per la grande differenza<br />

che esiste tra la posizione del Governo<br />

e quella delle Regioni, riunite in<br />

Conferenza, dalla cui dialettica e, presumibilmente,<br />

dalla compartecipazione<br />

di risorse deve scaturire l’accordo.<br />

Senza questo accordo, che sembra non<br />

voler arrivare, non è possibile agire strategie<br />

su tempi lunghi in quanto non<br />

sono chiari i confini ed i diritti esigibili<br />

dai cittadini che richiedono una<br />

prestazione di carattere sociale. Senza<br />

la definizione dei LIVEAS non è possibile<br />

nemmeno sapere quante risorse<br />

saranno a disposizione delle amministrazioni<br />

locali per soddisfare il diritto<br />

sancito.<br />

Quindi ogni Comune sta aspettando la<br />

soluzione di questo problema. Come<br />

detto a Roma c’è un tavolo che si sta<br />

occupando dei LIVEAS; nell’agenda<br />

23


Tematica<br />

di questo tavolo è chiaro che non possono<br />

mancare le persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>.<br />

Devo dire, però, che in questo momento<br />

le istanze di queste persone e<br />

del settore di servizi che se ne occupa<br />

sono poco rappresentate.<br />

E’ una lacuna che va colmata quanto<br />

prima per evitare, ancora una volta, la<br />

messa ai margini di questo specifico<br />

settore.<br />

4. Un tema fortemente scottante nell’ambito<br />

delle politiche sociali a livello<br />

locale è rappresentato dalla relazione<br />

tra Ente pubblico e Terzo settore.<br />

Sappiamo tutti che la strategia più utilizzata<br />

è quella di affidare tutti i servizi<br />

sociali alle organizzazioni del Terzo<br />

settore. Questo a mio parere, però, non<br />

risolve i problemi che abbiamo.<br />

Ritengo che sia necessario riflettere sui<br />

modelli e criteri di accreditamento per<br />

individuare una buona sintesi tra efficienza<br />

in termini di risorse impiegate<br />

e qualità del servizio a garanzia del<br />

cittadino e dello svolgimento delle politiche<br />

sociali così come concepite dagli<br />

amministratori.<br />

Inoltre ritengo che sia necessario definire<br />

quale ruolo intende giocare il Terzo<br />

settore nell’evoluzione dei servizi<br />

alla persona e quali risorse intende mettere<br />

a disposizione in questo spazio<br />

di collaborazione e costruzione degli<br />

interventi nel sociale. Infatti credo deve<br />

trovare una soluzione il problema di<br />

un Terzo settore che gioca sempre un<br />

ruolo subalterno rispetto all’Ente pubblico<br />

trovandosi così a vivere in una<br />

condizione di precarietà continua e determinando<br />

anche un vincolo importante<br />

per la stessa Amministrazione<br />

pubblica.<br />

24<br />

5. Infine poche parole su due diritti<br />

estremamente importanti: il diritto al<br />

reddito ed alla casa. Penso sia importante<br />

ribadire che non esiste uno specifico<br />

per le persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> perchè<br />

questi temi devono essere trattati<br />

per andare nell’interesse di tutti i cittadini.<br />

Il diritto al reddito così come<br />

ciò che è relativo alla casa, secondo me,<br />

non sono collocabili come problemi che<br />

interessano direttamente la responsabilità<br />

dell’Ente locale: riguardano piuttosto<br />

le Amministrazioni centrali (secondo<br />

una agenda legata a responsabilità<br />

e competenze). Questo nonostante<br />

il tema degli alloggi sociali sia ora<br />

demandato specificamente alle Regioni.<br />

Ma tutto diventa arduo se a livello<br />

centrale non vengono intraprese politiche<br />

e attuati provvedimenti legislativi<br />

che investono le Amministrazioni<br />

locali di poteri effettivamente spendibili<br />

in quanto legati a progetti di ampio<br />

respiro e di chiare risorse economiche.<br />

Per quanto riguarda il diritto<br />

al reddito a Torino abbiamo sperimentato<br />

un forma di “reddito di inserimento”,<br />

misura interessante ed onerosa ma<br />

ancora insufficiente rispetto ai bisogni<br />

espressi dalle persone. Credo si tratti<br />

di una misura che va accompagnata<br />

da un insieme di interventi attivati da<br />

una rete che raccolga la multidimensionalità<br />

del problema e permetta un<br />

effettivo utilizzo di questa misura e,<br />

quindi, della dimensione di diritto.<br />

Concludo questo mio sintetico intervento<br />

ringraziando i molti partecipanti<br />

a questo Convegno FIOpsd e auspico<br />

che su questi temi si apra un dibattito<br />

forte e generale ad ogni livello istituzionale.<br />

*Testo non rivisto dal relatore.


Tematica<br />

DIRITTI SOCIALI E LEGISLAZIONE<br />

IN ITALIA NELL’AREA<br />

DEI SERVIZI ALLA PERSONA<br />

Franco Dalla Mura - Docente di diritto amministrativo all’Università di Verona.<br />

In questo testo riprenderò alcuni dei<br />

principali temi che ho trattato nella mia<br />

relazione al Convegno FIOpsd di Torino,<br />

includendo alcuni interrogativi e<br />

questioni sollevate dai partecipanti e<br />

raccolte anche nelle fasi di preparazione<br />

del Convegno.<br />

Inizierò questo mio intervento sul tema<br />

dei diritti prendendo spunto da una<br />

metafora usata da un amico della<br />

FIOpsd. Diceva: “Se penso al diritto mi<br />

viene in mente un treno, fatto da più<br />

vagoni e più classi: ciascuna è un possibile<br />

diritto esistente, come è concreta<br />

l’esistenza del treno, ma ciascuno<br />

passeggero ne usufruisce in modo diverso…<br />

ricordandoci comunque che il<br />

treno continua a viaggiare”<br />

Prendendo spunto dalla metafora usata,<br />

il concetto di diritto non si riferisce<br />

alla meta raggiunta dal treno ma alla<br />

disponibilità del treno per raggiungere<br />

qualunque destinazione, e sul diritto<br />

di ogni persona di salire sul treno<br />

per andare dove desidera. Parlare di<br />

classi sul treno (1a e 2a), seguendo la<br />

metafora, non toglie la possibilità di<br />

godere del diritto. Anzi la differenziazione<br />

può avere un significato positivo<br />

nel godimento del diritto perché<br />

può essere sinonimo di fruibilità secondo<br />

le diverse condizioni della persona.<br />

In questo senso “diritto sociale” è ciò<br />

che la società garantisce in modo equo<br />

a tutte le persone. La differenziazione<br />

è espressione di equità: cioè come capacità<br />

della società nel distribuire risposte<br />

diverse a bisogni diversi; lo stessa<br />

equità che possiamo riconoscere nel<br />

modello che chiede una diversa contribuzione<br />

ai diversi cittadini per assicurare<br />

il diritto a un uguale servizio<br />

per tutti. E’ il tema della solidarietà e<br />

universalità di prestazioni e servizi dove<br />

il maggior contributo va a beneficio<br />

di chi può dare meno.<br />

Naturalmente l’applicazione concreta<br />

di questo principio non è facile e oggi<br />

è spesso in discussione.<br />

Voglio però spendere qualche parola<br />

sul concetto di diritto. Che cosa è un<br />

diritto dal punto di vista giuridico?<br />

Per comprenderlo meglio è necessario<br />

crearci un piccolo “glossario”.<br />

Breve glossario sul diritto.<br />

Parlare di diritti è parlare di INTE-<br />

RESSE GIURIDICO che ciascuna persona<br />

possiede. L’interesse giuridico è<br />

necessariamente collegato ad una entità<br />

esterna al soggetto: ossia è l’interesse<br />

o l’aspirazione ad un bene della<br />

vita ritenuto tale dall’ordinamento, oggetto<br />

di interesse giuridicamente rilevante.<br />

Non tutti gli interessi sono considerati<br />

rilevanti in senso giuridico ma la<br />

funzione del diritto è quella di tutela-<br />

25


Tematica<br />

re gli interessi umani. Quindi, semplificando,<br />

l’interesse può essere positivo<br />

(quindi suscettibile di essere tutelato)<br />

ma anche negativo, quindi contrastato<br />

(ad es. l’interesse a uccidere una persona).<br />

Il tutto si riconduce a valori,<br />

positivi o negativi che siano.<br />

Altro termine importante di questo<br />

breve glossario è il DIRITTO SOGGET-<br />

TIVO, ossia l’interesse tutelato in modo<br />

diretto e pieno dall’ordinamento.<br />

Questo non significa che il diritto soggettivo<br />

possa essere illimitato.<br />

Utilizzando un’altra metafora che ho<br />

raccolto tra i presenti al Convegno<br />

FIOpsd a proposito dei diritti (“i diritti<br />

sembrano un sacco pieno ma, in realtà,<br />

il sacco è vuoto per le psd”), ecco<br />

posso dire che un sacco infinito sarebbe<br />

destinato a rimanere vuoto!<br />

Quindi possiamo parlare di un valore<br />

come illimitato (ad es. la salute) ma<br />

limitato nel diritto (diritto alla salute è<br />

meglio precisato come diritto alla prevenzione,<br />

alla cura, ecc.). Nel concreto<br />

ciascuno di noi non ha diritto alla<br />

salute ma a quelle misure che garantiscono<br />

il rispetto di un valore citato<br />

anche nella Costituzione e ripreso nella<br />

legge 833 (la riforma sanitaria fatta<br />

in un periodo di grandi produzioni<br />

giuridiche - gli anni ’70 - legge che, appunto,<br />

nel suo primo articolo afferma<br />

che esiste il diritto alla salute perché<br />

riconosciuto dalla nostra Costituzione).<br />

Il diritto soggettivo ha una definizione<br />

“statica”, in quanto attribuisce al<br />

soggetto il potere di esercitare la propria<br />

volontà per conseguire un interesse,<br />

ed una definizione “dinamica”<br />

nel momento in cui il soggetto è garantito<br />

dall’ordinamento giuridico af-<br />

26<br />

finché possa conseguire il soddisfacimento<br />

del propri interesse. Nel primo<br />

caso parliamo di TUTELA, nel secondo<br />

caso di GARANZIA.<br />

Attenzione la garanzia non significa<br />

sempre il raggiungimento dell’interesse<br />

soggettivo.<br />

Faccio un semplice esempio: se facciamo<br />

un contratto con un imbianchino<br />

per la tinteggiatura della nostra abitazione<br />

ma lui non esegue il lavoro, anche<br />

se c’era un contratto stipulato il diritto<br />

non mi garantisce l’esecuzione.<br />

Piuttosto mi permette di far leva sul<br />

contratto per ottenere il soddisfacimento<br />

del mio diritto: cioè posso far causa<br />

all’imbianchino e chiedere al giudice<br />

che ci sia una condanna. Viceversa non<br />

posso pretendere che i Carabinieri lo<br />

portino a casa mia con la forza per eseguire<br />

il lavoro previsto.<br />

Per questo possiamo dire che ci sono<br />

dei diritti garantiti in forma specifica<br />

ed altri no. Faccio un altro esempio di<br />

garanzia: un negoziante mi vende una<br />

lavagna luminosa ma la rovina, magari<br />

volutamente, prima di consegnarmela;<br />

in questo caso io ho diritto non a<br />

riavere la lavagna rovinata ma posso<br />

pretendere di avere un’altra lavagna<br />

uguale o equivalente. Ho diritto quindi<br />

ad un risarcimento.<br />

Cerchiamo di calarci dentro l’area delle<br />

psd.<br />

Specie per una psd andare dall’avvocato<br />

è cosa difficile (perché non è capace,<br />

non può) e il risarcimento non<br />

sempre è esaustivo del diritto.<br />

Facciamo un esempio concreto: ho diritto<br />

ad un posto ma il dormitorio è<br />

pieno: come faccio a dar soddisfazione<br />

al mio diritto? Ci vuole un risarcimento<br />

equivalente.


Cosa significa questo: che la soddisfazione<br />

di un diritto sociale passa dalla<br />

concreta disponibilità della risposta!<br />

Anche ammettendo che si tratti di diritti<br />

riconosciuti, la risposta indiretta<br />

ad un diritto sociale spesso non va a<br />

soddisfare la richiesta delle persona.<br />

Per comprendere meglio la materia è<br />

allora necessario introdurre altri due<br />

concetti: facoltà e potestà.<br />

FACOLTA’ è la manifestazione di un<br />

diritto cioè, nel caso della psd, se sono<br />

titolare del diritto che il Comune mi<br />

conceda un ricovero per la notte, ho la<br />

facoltà di esercitare il mio diritto.<br />

POTESTA’ è, sul versante del diritto<br />

privato, il potere che viene attribuito<br />

ad una persona per soddisfare i bisogni<br />

di qualcun altro (l’esempio più classico<br />

è la potestà del genitore attribuita<br />

non per raggiungere i suoi interessi ma<br />

gli interessi del figlio).<br />

Molto spesso nel diritto privato, sempre<br />

nel diritto pubblico, la potestà non<br />

è solo un potere ma anche un dovere.<br />

Nel diritto pubblico se l’Ente pubblico<br />

ha il dovere di tutelare degli interessi<br />

pubblici deve avere un potere riconosciuto<br />

per il suo ruolo, quindi una supremazia<br />

in termini di potere.<br />

Che cosa è un potere? E’ un dato di fatto?<br />

Oppure è un contratto sociale?<br />

Deve scendere dall’alto o salire dal basso?<br />

Oppure è espressione della base<br />

che si organizza sul diritto di ciascuno<br />

(come nella visione anarchica).<br />

Nella nostra realtà di oggi autorità/<br />

potere/funzione sono un tutt’uno.<br />

Questo è il modello che permette oggi<br />

agli Enti Pubblici di realizzare i propri<br />

obiettivi che corrispondono alla tutela<br />

dei valori sociali.<br />

Come fa un Comune a esercitare la sua<br />

Tematica<br />

autorità nell’agire? Può intraprendere<br />

sia una strada pubblicistica sia privatistica?<br />

Come fa a esercitare un potere verso il<br />

cittadino? e quale è la condizione giuridica<br />

del cittadino (paritaria o subordinata?)<br />

Per comprendere dobbiamo rifarci al<br />

concetto di INTERESSE LEGITTIMO.<br />

Si tratta di un interesse che è tutelato<br />

dalla legge non direttamente ma indirettamente.<br />

Il cittadino pur non avendo<br />

un diritto vero e proprio nei confronti<br />

di una determinata Amministrazione<br />

pubblica ha interesse che sia rispettato<br />

l’ordinamento giuridico.<br />

Un esempio concreto: una Cooperativa<br />

partecipa ad una gara d’appalto,<br />

perde l’appalto ma la gara non è stata<br />

regolare; la Cooperativa in questione<br />

ha il diritto di tutelarsi non per il suo<br />

rapporto con il Comune ma per il fatto<br />

che il Comune non ha rispettato le<br />

regole.<br />

Per la situazione di una psd non è irrilevante<br />

che si parli di diritto o di interesse,<br />

anche se nel corso del tempo la<br />

diversità tra queste due definizioni ha<br />

perso importanza.<br />

Per quanto riguarda il diritto ad essere<br />

risarciti e il diritto ad ottenere le esecuzioni<br />

in forma specifica devo dire<br />

che le due cose sono sempre state legate<br />

in caso di interesse legittimo.<br />

Quindi se una persone è portatrice di<br />

un interesse verso un certo servizio sociale<br />

ha il diritto di ottenere una risposta<br />

specifica.<br />

Se il diritto è soggettivo la psd ha diritto<br />

a quella specifica risposta e a risarcimento.<br />

Negli anni passati se la richiesta fosse<br />

stata classificata come interesse legitti-<br />

27


Tematica<br />

mo non c’era il diritto al risarcimento<br />

ma solo una sentenza che annullava il<br />

rifiuto del Comune a offrire un servizio<br />

alla persona, ad es. la capacità di<br />

dare un posto letto.<br />

Da qualche anno le cose sono cambiate<br />

perché il giudice può condannare<br />

l’E.P. e stabilire un risarcimento concreto.<br />

Desidero ora entrare in alcune questioni<br />

sostanziali:<br />

- esistono diritti sociali?<br />

- sono veri diritti?<br />

I diritti sociali nei diversi modelli di<br />

Stato<br />

Per cercare di rispondere a queste due<br />

domande devo affrontare un piccolo<br />

percorso storico su questo tema.<br />

Infatti ci sono determinati assetti socio-politici<br />

che per loro natura escludono<br />

la possibilità di riconoscere dei<br />

diritti sociali.<br />

Per lo Stato liberale il concetto di diritti<br />

sociali è incomprensibile: per propria<br />

natura non riconosceva diritti sociali,<br />

ne per ordinamento e nemmeno<br />

per il proprio retroterra culturale.<br />

Infatti il diritto garantito era quello dell’individuo<br />

come singolo; a prevalere<br />

era un diritto alla libertà di ciascuno.<br />

Quindi lo Stato liberale poteva solo stabilire<br />

delle norme che fossero neutrali<br />

in modo che ciascuno potesse esercitare<br />

i propri diritti <strong>senza</strong> entrare in conflitto<br />

con un altro individuo. In questo<br />

modello lo Stato si poneva in una posizione<br />

simile a quella di un arbitro che<br />

governa una partita dove ogni giocatore<br />

gioca secondo le sue possibilità.<br />

In questo modo si riteneva che automaticamente<br />

il sistema complessivo<br />

avrebbe raggiunto un suo equilibrio e<br />

28<br />

che qualsiasi disturbo a questo processo<br />

fosse negativo. In questo sistema<br />

non c’era posto per i diritti sociali.<br />

Nel secolo XIX° anche la sinistra politica<br />

condivideva questa impostazione.<br />

Nessuno credeva alla ridistribuzione<br />

della ricchezza come elemento di equità.<br />

I liberali per le ragioni sopraddette,<br />

la sinistra perché credeva che il solo<br />

mezzo di riscatto per il proletariato fosse<br />

l’appropriazione dei mezzi di produzione<br />

da parte dei proletari e lo Stato<br />

dovesse intervenire solo sui processi<br />

distributivi.<br />

Solo verso la fine dell’800 si apre il concetto<br />

di diritto sociale perché si capisce<br />

che il sistema liberale non funziona.<br />

In questo momento convergono tre<br />

diversi interessi:<br />

la borghesia e gli imprenditori hanno<br />

paura di rivoluzioni del proletariato,<br />

quindi di conflittualità sociale e alti<br />

costi economici; a sinistra qualcuno comincia<br />

a pensare che qualcosa bisogna<br />

fare per i più poveri, specie questo pensiero<br />

circola nel sindacato impegnato<br />

a dar risposte a masse tumultuose di<br />

lavoratori; infine nell’apparato burocratico<br />

degli EE.PP. c’è chi pensa che<br />

attraverso nuovi compiti possa aumentare<br />

il proprio potere.<br />

Ecco che nel 1870, nella Germania governata<br />

dall’ultra conservatore Bismark<br />

vengono promulgate le prime leggi<br />

sull’assicurazione obbligatoria.<br />

Questo per dire che il primo Stato sociale<br />

è indipendentemente dal concetto<br />

di destra o sinistra. Quello iniziato<br />

nel 1870 è un processo che si chiuderà<br />

alla fine del XX°secolo.<br />

Prima di quella data, infatti, non possiamo<br />

parlare di diritti sociali ma di<br />

doveri unilaterali; cioè lo stato sociale


non si pone in rapporto con il cittadino<br />

ma si assume solo un dovere.<br />

Questo ci spiega come ad affermazione<br />

fortissime di Leggi e Costituzioni<br />

in realtà non corrisponda un vero stato<br />

sociale.<br />

Per esempio nel 1793 viene promulgata<br />

la Costituzione Giacobina in Francia;<br />

gli art. 21, 22 e 23 sono di grande<br />

attualità perché prevedono che gli aiuti<br />

pubblici siano un sacro dovere e che<br />

debbano essere assicurati ai cittadini<br />

sia il lavoro sia i mezzi di sussistenza.<br />

La garanzia sociale consiste nell’azione<br />

di tutti per consentire il godimento<br />

di questi diritti a tutti e riposa nella<br />

sovranità dello Stato (art. 23). Questo<br />

concetto somiglia molto all’art.118 della<br />

nostra Costituzione così come all’art.<br />

3 (rimozione di ogni ostacolo all’espressione<br />

delle proprie potenzialità).<br />

In particolare l’art. 118 dice che<br />

questa garanzia è funzione di tutti i<br />

soggetti, quindi anche delle organizzazioni<br />

sociali. Si tratta, cioè, di un articolo<br />

che interpella concretamente anche<br />

una organizzazione come FIO.psd.<br />

Quindi lo Stato è il soggetto garante<br />

ultimo, e questo è stato detto nel 1793!!<br />

Ma si tratta di una missione perché i<br />

cittadini in questo modo nulla possono<br />

rivendicare.<br />

Dicevo che il terreno di partenza ero<br />

lo Stato liberale al quale si rifaceva anche<br />

la Costituzione italiana del 1862.<br />

Dello stesso anno è la prima legge in<br />

Italia sulla beneficenza. Quando nel<br />

1890 viene emanata la Legge Crispi siamo<br />

ancora nel campo del dovere unilaterale<br />

(lo Stato “deve fare”), mentre<br />

i cittadini possono, solo in taluni casi,<br />

esercitare degli interessi legittimi. Ciò<br />

significa che il cittadino in questa si-<br />

Tematica<br />

tuazione può solo pretendere che gli<br />

sia riconosciuto il diritto ma non la risposta<br />

concreta.<br />

Il graduale riconoscimento dei diritti<br />

sociali è frutto di molteplici spinte contrastanti<br />

e non di uno specifico movimento<br />

politico o sociale.<br />

È un processo a cavallo tra il XIX° ed<br />

il XX° secolo che vede coinvolti i conservatori<br />

Bismark e Crispi, i governi<br />

socialisti di Inghilterra e Francia, anche<br />

Roosvelt (liberal-progressista) negli<br />

USA.<br />

Il tutto è conseguenza dei processi di<br />

industrializzazione e di una democratizzazione<br />

dei processi decisionali.<br />

Ma il frutto di questo movimento è un<br />

compromesso tra esigenze contrastanti<br />

quali il bisogno di libertà e di uguaglianza,<br />

oppure spinte decisionistiche<br />

e autoritarie contrapposte a quelle di<br />

pluralismo.<br />

Nella seconda metà degli anni ’80 (XX°<br />

secolo) qualche economista sente il bisogno<br />

di uno Stato che detti nuove regole<br />

per lo stato sociale (in particolare<br />

il ritorno al dovere unilaterale). Si sviluppano<br />

nuove opinioni politico-culturali<br />

che dicono di una società cambiata,<br />

dove il potere è più diffuso. Per<br />

questo il potere dello Stato dovrebbe<br />

regredire, si dovrebbe dare spazio al<br />

binomio “solidarietà e libertà” (Friedman).<br />

Si parla nuovamente di uno Stato<br />

che deve fare da arbitro perché la<br />

risposta ai bisogni sociali sta al mercato,<br />

regolato dallo Stato, ma libero di<br />

esprimersi.<br />

Si dice che le condizioni sono cambiate<br />

ed il modello di Stato sociale costruito<br />

nel XX° secolo è un episodio<br />

della storia della civiltà che oggi va<br />

smantellato. Io credo che oggi possia-<br />

29


Tematica<br />

mo notare che ci sono elementi molto<br />

discutibili intorno a questa teoria.<br />

Citando solo i principali: una crescente<br />

insicurezza sociale, l’instabilità del<br />

mercato, l’instabilità dei valori, il rapido<br />

invecchiamento della popolazione<br />

in Europa.<br />

E’ evidente che dentro queste teorie si<br />

va perdendo la possibilità di esercitare<br />

il diritto soggettivo. Queste opinioni<br />

si scontrano con altri che cercano di<br />

reagire alla crisi dello stato sociale; ecco,<br />

ad esempio, il decreto De Lorenzo<br />

all’inizio degli anni ’90 che riguarda la<br />

sanità; ma, devo dire, nel campo sanitario<br />

nessuno mette in dubbio che si<br />

debbano conservare dei diritti (ad es.<br />

il diritto alla cura), ma che ne è dei diritti<br />

in campo sociale?<br />

Ecco la straordinaria idea del bisogno<br />

in Italia di una legge sullo stato sociale,<br />

che diventa la L. 328/00.<br />

La Legge 328/2000<br />

Innanzitutto questa Legge riprende i<br />

concetti fondamentali della Costituzione<br />

Italiana.<br />

Voglio ricordare ciò che la Costituzione<br />

fissa come concetti fondamentali interessanti<br />

per il nostro tema:<br />

- il superamento del contrasto tra stato<br />

di diritto e stato sociale con la sintesi<br />

tra libertà e uguaglianza;<br />

- l’individuazione dell’uomo non più<br />

come singolo isolato ma come persona<br />

singola all’interno di un contesto<br />

relazionale sociale;<br />

- l’uguaglianza dei cittadini come possibilità<br />

di auto-realizzazione, dove i<br />

diritti sociali sono una componente<br />

essenziale di democrazia e libertà;<br />

- lo Stato come autorità che non distribuisce<br />

solo benefici ma anche sa-<br />

30<br />

crifici;<br />

- infine la Costituzione italiana definisce<br />

la divisione dei poteri (autonomia,<br />

federalismo) e la moltiplicazione<br />

dei poteri (non solo quelli pubblici<br />

compongono lo Stato ma c’è uno<br />

specifico anche alle formazioni sociali);<br />

in questo quadro le funzioni pubbliche<br />

corrispondono a valori tutelati<br />

dalla Costituzione.<br />

La legge 328/00 si rifà in particolare<br />

agli art. 2, 3 e 38 della Costituzione.<br />

In realtà l’art. 38 è un sorta di trabocchetto:<br />

afferma che ogni cittadino inabile<br />

al lavoro e <strong>senza</strong> mezzi ha diritto<br />

al mantenimento; viene posta, cioè,<br />

una condizione (deve essere inabile al<br />

lavoro) per aver garantiti i propri diritti<br />

sociali…<br />

Per questo è molto meglio guardare<br />

agli art. 2 (principio di uguaglianza sostanziale<br />

dei cittadini anche se diversi<br />

e quindi con risposte diverse secondo<br />

le loro necessità) e art. 3 (rimozione degli<br />

ostacoli che limitano di fatto l’espressione<br />

della persona). Cioè libertà<br />

e uguaglianza non sono solo collegate<br />

ma contemporaneamente assicurate.<br />

Questo è un punto molto delicato: nel<br />

1860 Bakunin aveva previsto quale esito<br />

avrebbe avuto la dittatura del proletariato<br />

(con una grande disputa e differenza<br />

tra Marx e Bakunin).<br />

La Costituzione italiana condivide il<br />

pensiero di Bakunin e afferma questo<br />

concetto (voluto da Aldo Moro nella<br />

Costituente) sostituendo al concetto di<br />

egualitarismo (uguaglianza solo formale<br />

che cancella la libertà) con una libertà<br />

espressa in positivo, dove solo<br />

con uguaglianza e impegno di tutti si<br />

può parlare di vera libertà.<br />

Ora però possiamo chiederci: la legge


328/00 ha effettivamente affermato e<br />

rinforzato i diritti sociali?<br />

In Parlamento per deliberare questa<br />

Legge c’è stata una battaglia incredibile.<br />

Alcune forze politiche sostenevano<br />

che i cittadini sono portatori dei diritti<br />

sociali attraverso l’indicazione dei<br />

valori a cui riferirsi. Altri partiti dicevano<br />

che non ha senso parlare di una<br />

estensione infinita dei diritti perché i<br />

valori a cui si intendeva far riferimento<br />

non sarebbero mai stati soddisfatti<br />

interamente; quindi, i diritti dovevano<br />

essere ragionevolmente limitati per essere<br />

concretamente soddisfatti.<br />

Quindi emergeva la necessità di precisare<br />

“come” e “quando” i diritti possono<br />

essere soddisfatti per evitare un<br />

continuo impegno di risorse <strong>senza</strong> trovare<br />

mai soluzione.<br />

Nella battaglia parlamentare vince il<br />

secondo schieramento… ma vince malamente!<br />

Ottiene che nel testo ci sia<br />

l’esplicita affermazione dei diritti sociali,cioè<br />

del “se” e del “quid”…ma nella<br />

L. 328/00 manca una chiara espressione<br />

del “come” e del “quando”!<br />

Come mai si è caduti in questo tranello?<br />

Io indico tre motivi:<br />

1. ignoranza<br />

2. fretta<br />

3. lo strapotere di alcuni ministeri<br />

1. sul primo motivo… non chiedetemi<br />

ulteriori commenti;<br />

2. la fretta è diretta conseguenza del<br />

periodo nel quale è stata promulgata<br />

la Legge: eravamo a fine legislazione;<br />

3 sul terzo motivo, intendo riferirmi<br />

allo “strapotere” del Ministero del<br />

Tesoro, il quale temeva che questa<br />

Tematica<br />

legge avrebbe portato ad una “debacle”<br />

delle sostanze pubbliche (lo<br />

stesso accadde nella legge 104 - la<br />

legge sull’handicap - curiosa perché<br />

due frasi ricorrono continuamente<br />

dopo ogni principio/diritto dichiarato:<br />

“…che può fare…” … “nei limiti<br />

delle risorse disponibili”…)<br />

La L. 328/00 ha rischiato di essere “sacco<br />

vuoto” (rifacendosi alla metafora<br />

citata) ma, per fortuna, non è così: é<br />

solo fatta male…<br />

Alcune caratteristiche significative<br />

della L. 328/00<br />

L’art. 2 della Legge pare affermare che<br />

i diritti sono legati solo ad una prestazione<br />

economica; qualcuno quindi afferma<br />

che, interpretando questo art. 2<br />

della legge, i diritti sociali non sono,<br />

in realtà, veri diritti. In effetti l’art 2<br />

rinvia all’art. 22 della L. 328/00 dove<br />

sono elencati gli interventi che costituiscono<br />

il livello essenziale e l’elenco<br />

delle prestazioni; ma, si dice, che i LEA<br />

sono definiti in base alle risorse… quindi<br />

non si tratta di veri diritti perché se<br />

le risorse sono esaurite o indisponibili<br />

non c’è più diritto esigibile.<br />

Io, comunque, penso che questa non<br />

sia l’interpretazione corretta, ma precisare<br />

il “quando” e il “come” avrebbe<br />

fatto più chiarezza.<br />

Per dar valore alla mia interpretazione<br />

mi riferisco a quanto cita la legge<br />

quando parla del Piano sociale nazionale<br />

(che garantisce un quadro complessivo),<br />

di un Piano sociale regionale<br />

(garantisce interventi più specifici),<br />

di un Piano di zona (che garantisce ulteriori<br />

risorse pubbliche, la condivisone<br />

comunitaria di responsabilità e con<br />

essa l’elevazione della quantità e qua-<br />

31


Tematica<br />

lità della risposta ai diritti sociali).<br />

Però per avere una definitiva chiarezza<br />

ci possiamo agganciare all’art. 117<br />

della Costituzione, così come modificata<br />

recentemente, che dichiara essere<br />

“compito dello Stato definire i livelli<br />

essenziali delle prestazioni dei diritti<br />

civili e sociali su tutti il territorio nazionale”.<br />

C’è, quindi, l’affermazione<br />

non solo del “quid” ma anche di “come”<br />

e “quando” perché fa riferimento<br />

ad un processo basato su norme di legge,<br />

proprio perché la Costituzione parla<br />

di leggi, non di poteri amministrativi.<br />

I diritti, cioè le prestazioni essenziali<br />

da erogare, devono essere garantiti<br />

per legge dallo Stato su tutto il territorio<br />

nazionale (questo consapevoli<br />

degli aspetti positivi e negativi in rapporto<br />

alle differenze esistenti tra le diverse<br />

aree territoriali).<br />

Ricapitolando: per capire il reale contenuto<br />

della L. 328/00 rispetto ai diritti<br />

dove dobbiamo guardare?<br />

Nella Legge ci sono un paio di articoli<br />

verso il termine del testo dove viene<br />

spiegato l’oggetto dei diritti sociali (ad<br />

es. pronto l’intervento) ma non si dice<br />

“come” e “quando” vengono esercitati;<br />

allora è necessario, come detto sopra,<br />

cercare in altri provvedimenti, quali:<br />

1. Atti dello Stato in cui vengono definiti<br />

i livelli essenziali di assistenza<br />

(LEA); oggi i LEA sono di tipo sanitario<br />

ma non esistono ancora quelli<br />

di tipo sociale (detti LIVEAS); è importante<br />

ricordare che i LEA sono<br />

stati definiti in coerenza con il modello<br />

propugnato dall’attuale maggioranza<br />

di Governo (ma questo è<br />

un problema politico non giuridico…)<br />

2. Le leggi regionali e i piani sociali re-<br />

32<br />

gionali che non possono fare altro<br />

che elevare e mai diminuire i LEA<br />

nazionali;<br />

3. Gli ordinamenti locali e una legge di<br />

pochi mesi fa (L.131 del Giugno 2003)<br />

che da attuazione alla riforma del<br />

Titolo V della Costituzione; all’art. 4<br />

della Legge 131/03 si dice che il potere<br />

di disciplinare le funzioni è affidato<br />

ai Comuni mentre le Regioni<br />

possono solo garantite un minimo<br />

di livelli di uniformità. Quindi ogni<br />

Ente Locale può modificare l’ordinamento<br />

nel proprio territorio, cioè togliere<br />

o aggiungere dal proprio Comune<br />

o Provincia tutto ciò che viene<br />

ritenuto ottimale per quel territorio.<br />

Questo è molto importante anche per<br />

l’ambito delle psd perché ci sono due<br />

possibili riferimenti giuridici:<br />

1. i (futuri) LIVEAS<br />

2. Regolamenti e disposizioni dei Comuni.<br />

Da questi due strumenti possiamo capire<br />

che cosa pretendere per intervenire<br />

a favore delle psd.<br />

In concreto: se un dato Ente locale ha<br />

stabilito alcune norme o direttive significa<br />

che quando queste sono fissate<br />

sono “obbligatorie”, anche se le risorse<br />

sono finite; quindi, per es. anche<br />

la psd può pretendere il posto presso<br />

un determinato servizio oppure il risarcimento<br />

del danno subito.<br />

Qui si gioca il ruolo di “advocacy” delle<br />

formazioni sociali perché è assurdo<br />

pensare che la psd sappia esercitare<br />

questo diritto in proprio; facendo riferimento<br />

a quanto ho detto, io credo<br />

che la necessità di tutela dei più debo-


li propone sufficienti strumenti: spesso<br />

manca la capacità di usarli.<br />

Certo, spesso, il problema non è giuridico<br />

ma politico, perché se il “sacco”<br />

non viene riempito la strada è sempre<br />

in salita; quindi una delle azioni fondamentali<br />

è quella politica.<br />

Vorrei però tornare un momento sui<br />

Livelli di assistenza. Innanzitutto meglio<br />

parlare di LIVEAS per distinguerli<br />

dai LEA sanitari; ci sta lavorando una<br />

commissione con il sottosegretario Sestini<br />

in collegamento con la Conferenza<br />

“Stato-Regioni”; M.G. Sestini, a suo<br />

tempo, aveva votato a favore della L.<br />

328/00, ma oggi afferma di volere dei<br />

LIVEAS definiti in modo molto generico<br />

con la scusa di lasciare spazio alle<br />

Regioni; in realtà lo Stato non si vuole<br />

assumere l’onere di dover integrare i<br />

LIVEAS e di doversi sobbarcare la spesa.<br />

Per quanto riguarda i Comuni ricordiamoci<br />

che possono solo aumentare i<br />

LIVEAS, mai ridurli.<br />

Nella L. 328/00 i LIVEAS sono citati<br />

ma nel “quando” e nel “come” devono<br />

ancora trovare una definizione nazionale;<br />

oggi il “quando” e “come” va specificato<br />

a livello locale per il potere che<br />

gli viene attribuito (riforma del Titolo<br />

V) attraverso la legge “La Loggia” che<br />

lo riserva ai Comuni.<br />

Aggiungo la mia opinione su come fare<br />

“advocacy” intorno a questi temi.<br />

Bisogna distinguere tra percorso amministrativo<br />

e quello giurisdizionale.<br />

La L. 328/00 prevede che ci siano delle<br />

Carte dei servizi e che gli Enti locali<br />

devono disciplinare percorsi amministrativi<br />

semplici e rapidi che assicurino<br />

risposte efficaci; la strada amministrativa<br />

dovrebbe essere codificata<br />

in Regolamenti comunali e/o Carte dei<br />

Tematica<br />

servizi; quindi se un Assessorato al sociale<br />

non eroga un certo tipo di servizio<br />

dovrebbe essere previsto un ricorso<br />

amministrativo.<br />

La tutela giurisdizionale esiste ma c’è<br />

un dilemma: la riforma dice che per i<br />

pubblici servizi il giudice è il TAR (giudice<br />

amministrativo) che oggi comincia<br />

a funzionare (si parla di decisioni<br />

prese in poche ore!). Purtroppo questa<br />

norma contiene una eccezione: “fatta<br />

eccezione per i rapporti di utenza finale<br />

con soggetti privati rispetto ai<br />

quali rimane il giudice ordinario” che<br />

significa tutto e niente. Essendo contraddittoria<br />

viene interpretata dai vari<br />

TAR in modo diverso; per alcuni il<br />

termine “privati” significa l’utente, altri<br />

dicono che si riferisce agli erogatori<br />

dei servizi e quindi la competenza<br />

appartiene al giudice ordinario.<br />

Lo stesso TAR per certe cose dice che<br />

è competente il TAR stesso (ad esempio<br />

sulla definizione di una retta per<br />

accoglienza) mentre in altri casi dice<br />

di no.<br />

Quindi nelle singole Regioni si tratta<br />

di capire come la pensa il TAR di<br />

quella Regione, al quale è possibile adire<br />

con richiesta di un provvedimento<br />

urgente che, occorre ricordarlo, oggi<br />

non è più solo di revoca o annullamento<br />

ma è sentenza anche in senso positivo,<br />

cioè di ripristino di uno specifico<br />

servizio.<br />

Qui può nascere una domanda: è possibile<br />

per un servizio in convenzione,<br />

non in concessione, andare da un giudice<br />

ordinario per avere soddisfazione?<br />

Questa domanda è importante per agganciare<br />

il tema dei diritti al ruolo delle<br />

organizzazioni <strong>senza</strong> finalità di lucro.<br />

33


Tematica<br />

Funzione pubblica e sussidiarietà<br />

Concetto chiave per questo discorso: il<br />

significato di FUNZIONE PUBBLICA.<br />

Ci sono tanti modi di considerare la<br />

funzione pubblica (es. funzione sanitaria<br />

riferita all’ambito di materia); bisogna<br />

invece partire dal concetto di<br />

VALORE IMPORTANTE per l’ordinamento<br />

giuridico.<br />

Dove si guarda per capire se il valore<br />

è rilevante? Nella Costituzione e nelle<br />

leggi che la specificano e la articolano.<br />

Oggi nel sociale abbiamo, nonostante<br />

tutti i miei appunti, una buona legge,<br />

la L. 328/00 che è fatta bene con riferimento<br />

alla Costituzione.<br />

Le leggi che, come questa, riprendono<br />

i valori non si limitano ad una soluzione<br />

estetica ma attribuiscono la cura<br />

di certi valori ad un soggetto, a qualche<br />

Istituzione pubblica. Una volta che<br />

sono affidati, la Istituzione ha il dovere<br />

di perseguire questi valori. Per poterlo<br />

fare questa Istituzione è dotata<br />

di poteri che permettono di sostenere<br />

i doveri: possono essere doveri unilaterali<br />

di stampo ottocentesco o doveri<br />

a cui corrispondono diritti di qualcuno<br />

come nel nostro caso.<br />

Per capire questo percorso bisogna<br />

considerare che l’attribuzione del dovere<br />

è tipico degli Enti pubblici perché,<br />

per loro, la norma viene prima dell’azione<br />

mentre per i privati la norma<br />

viene dopo l’azione; questa differenza<br />

è fondamentale perché l’E.P. agisce perché<br />

la norma attribuisce sempre responsabilità<br />

mentre per i privati questo<br />

meccanismo è eccezione e corrisponde<br />

alla potestà (genitoriale), momento<br />

nel quale il privato agisce doverosamente.<br />

Voglio ricordare che questo<br />

è anche il caso delle Coop. sociali<br />

34<br />

in quanto la legge dice che le Coop.<br />

operano per finalità sociali.<br />

Questo processo visto come fosse un<br />

film si chiama “funzione pubblica”,<br />

cioè risposta con azioni concrete a doveri<br />

che sono stati affidati a quelle Istituzioni<br />

perché perseguano valori costituzionali<br />

ed abbiano i poteri che sono<br />

attribuiti solo per quella funzione<br />

così da raggiungere quel determinato<br />

obiettivo. Questo garantisce lo stato di<br />

diritto per evitare soprusi da parte delle<br />

PP.AA.<br />

Introduco adesso un tema chiave: il<br />

principio di sussidiarietà. Questo principio<br />

ruota intorno ad una domanda<br />

specifica: come può una formazione sociale<br />

privata entrare nel meccanismo<br />

del dovere?<br />

Attenzione: non è semplicemente attraverso<br />

l’esistenza di obblighi che una<br />

formazione sociale svolge una funzione<br />

pubblica; non è solo perché ha obblighi<br />

e doveri (contratto o convenzione<br />

con Comune con corresponsione di<br />

rette o emolumenti) perché questo significa<br />

solo entrare nella dimensione<br />

del potere esercitato rispetto ad un’azione.<br />

Questo non è ancora una funzione<br />

pubblica perché rimane l’Amministrazione<br />

comunale l’Ente che eroga<br />

il servizio attraverso la coop./associazione<br />

che incarica; voglio dire che con<br />

questo rapporto non siamo ancora in<br />

ambito pubblicistico.<br />

Il nostro problema allora è capire quali<br />

strumenti giuridici utilizzare per uscire<br />

dalla dimensione di compravendita<br />

e diventare, come terzo settore, partecipi<br />

di doveri pubblici <strong>senza</strong> sottostare<br />

a obbligazioni commerciali nei<br />

confronti dell’E.P. Cioè come pensare<br />

ad una funzione pubblica diffusa in op-


posizione alle teorie della privatizzazione,<br />

modello che ha come concetto<br />

concreto l’arretramento della funzione<br />

pubblica lasciando spazio al mercato,<br />

ancorché tutelato o protetto.<br />

Io sostengo che applicando l’art. 118<br />

della Costituzione noi possiamo pensare<br />

ad un allargamento democratico<br />

della responsabilità <strong>senza</strong>, naturalmente,<br />

nazionalizzare il privato; il problema<br />

è capire come è possibile che avvenga<br />

questo. Propongo tre aree di pensiero:<br />

1. i rapporti : è possibile pensare che<br />

la sussidiarietà si possa realizzare<br />

fuori da un rapporto con la PP.AA.?<br />

La risposta è no. Non è possibile nel<br />

nostro sistema di stato sociale, non<br />

è possibile pensare a sussidiarietà<br />

fuori da un rapporto giuridicamente<br />

rilevante tra privato e pubblico.<br />

La questione nodale è che il primo<br />

obiettivo della funzione sociale è la<br />

GARANZIA; se lo scopo è allargare<br />

la funzione sociale di garanzia è importante<br />

per un Ente locale sapere<br />

di poter contare sulle formazioni sociali.<br />

L’importanza di contare sulle<br />

formazioni sociali è possibile quando<br />

è stato stipulato un contratto che<br />

va oltre la speranza e la fiducia tra<br />

soggetti. Quindi in uno stato sociale<br />

come oggi in Italia c’è bisogno di un<br />

rapporto giuridicamente rilevante<br />

per definire un vero rapporto si sussidiarietà.<br />

E questo è il punto di volta<br />

di tutto: premesso che occorre, è<br />

possibile arrivare ad una forma di<br />

accordo plausibile (cioè non sto parlando<br />

di appalto)? Qual’è lo strumento<br />

giuridico contrattuale che permette,<br />

da un lato, alla formazione sociale<br />

di impegnarsi nell’ambito del-<br />

Tematica<br />

la doverosità tipica della funzione<br />

pubblica (cioè la condivisione nel<br />

progettare, gestire, fare consulenza<br />

ecc,.) e dall’altro lato pone la PP.AA.<br />

a rispondere a questo impegno attraverso<br />

delle misure a favore della<br />

formazione sociale (sostenerla, collaborare,<br />

dare risorse in denaro o organizzative)?<br />

Questo infatti è quanto<br />

prescritto dall’art 118 “le AA.PP.<br />

devono favorire l’autonoma iniziativa<br />

dei cittadini singoli e associati<br />

sulla base dei principi di sussidiarietà”.<br />

2. Dicevamo: quale strumento? nel Codice<br />

civile non c’è perché non si<br />

tratta di un contratto di diritto privato<br />

ma pubblico… Io credo, però,<br />

che lo strumento ci sia: lo possiamo<br />

trovare nella L. 241/90, legge sulla<br />

trasparenza nei procedimenti amministrativi.<br />

L’art 11 di questa legge<br />

prevede che AA.PP e soggetti privati<br />

possano stipulare accordi nell’ambito<br />

di un procedimento amministrativo;<br />

inoltre dice che, in via di principio,<br />

questa dovrebbe essere sempre<br />

la procedura e solo quando non è<br />

possibile mettersi d’accordo si deve<br />

procedere con altri strumenti di rapporto!!!<br />

Cioè solo se non c’è consenso<br />

si può cambiare, altrimenti questo<br />

è il modello di rapporto tra pubblico<br />

e privato. Significa un accordo<br />

attraverso il quale si aggrega la formazione<br />

sociale alla funzione pubblica<br />

del Comune e dove dentro<br />

questo tipo di accordo vengono definiti<br />

i doveri propri di ciascuno e come<br />

l’Amministrazione pubblica si<br />

impegna a sostenere la formazione<br />

sociale per il dovere che si è data.<br />

3. Il problema è che questo tipo di con-<br />

35


Tematica<br />

tratto non è ancora disciplinato in<br />

modo analitico come i contratti privati<br />

nel codice civile, non esiste ancora<br />

un codice dei contratti di sussidiarietà;<br />

spero che la riforma dia<br />

valore a questi accordi. Quindi dove<br />

li troveremo? Io credo nelle leggi Regionali<br />

e nei Regolamenti di Enti locali<br />

che si occupano di servizi sociali.<br />

Oggi, però, anche se non ci sono, è possibile<br />

inventarli di volta in volta.<br />

Possiamo organizzare le idee per una<br />

possibile tipologia di contratto di sussidiarietà<br />

avendo come riferimento il<br />

criterio del grado di coinvolgimento<br />

della Pubblica Amministrazione.<br />

Sinteticamente possiamo elencare in<br />

questo modo:<br />

a. può essere che la PP.AA. non sia coinvolta<br />

per niente perché la formazione<br />

sociale non ha bisogno di chiedere<br />

niente; nonostante il coinvolgimento<br />

nullo della PP.AA. nell’erogare<br />

risorse dirette, anche solo entrare<br />

nella funzione pubblica è importante<br />

per una formazione sociale.<br />

b. salendo in una ipotetica scala si può<br />

pensare che il dovere nel rapporto<br />

sia quello di dare aiuto (ad es. la formazione<br />

sociale richiede la donazione<br />

di un pulmino così da fornire un<br />

sostegno alle responsabilità pubbliche<br />

che decide di assumere); può<br />

darsi che non sia un sostegno ma<br />

diventi una integrazione tra Comune<br />

e formazione sociale attraverso i<br />

servizi sociali comunali: in questo<br />

senso andiamo in una logica di collaborazione<br />

differente dal considerare<br />

risorse pubbliche e private in<br />

modo separato perché diventano risorse<br />

pubbliche anche quelle priva-<br />

36<br />

te perché sono collocate nella funzione<br />

pubblica.<br />

c. Infine possiamo parlare di un terzo<br />

gradino, la concessione amministrativa,<br />

nella quale è più evidente il ruolo<br />

di progettazione della formazione<br />

sociale nella funzione pubblica del<br />

Comune. Un esempio è l’accreditamento,<br />

cioè concessione di pubblici<br />

servizi fatta da una PP.AA. ad una<br />

formazione privata (questo lo affermo<br />

facendomi forza di una sentenza<br />

della Cassazione emessa in riferimento<br />

all’ambito sanitario).<br />

Un aspetto fondamentale di interazione<br />

tra EE.PP e privato sociale riguarda,<br />

quindi, i tipi di rapporto. Come dicevo<br />

non esistono tipologie formalizzate<br />

di rapporto: credo che la differenza<br />

di base è dove si colloca l’accordo<br />

(dentro o fuori il principio di sussidiarietà).<br />

In gergo tecnico si parla di serie<br />

procedurale e serie contrattuale.<br />

Per spiegare brevemente: dal momento<br />

in cui l’AA.PP decide di adempiere<br />

il proprio dovere con strumenti privatistici<br />

(appalto) fino a quando lo ha individuato<br />

si svolge il procedimento<br />

amministrativo, diretta funzione della<br />

funzione pubblica; nel momento in cui<br />

il Comune stipula il contratto si apre<br />

la fase contrattuale in cui i due attori<br />

si collocano in una situazione di tipo<br />

privatistico, cioè come se il Comune<br />

fosse un privato cittadino. Questo con<br />

l’aggravante che il contratto stipulato,<br />

in questo caso, non si può cambiare<br />

perché altrimenti dovrebbe essere fatta<br />

un’altra gara d’appalto. Questo significa<br />

che il rapporto è cristallizzato,<br />

non permette di cambiare ne riprogettare<br />

l’oggetto dell’intervento; nemmeno<br />

la formazione sociale, parte dell’ac-


cordo siffatto, può cambiare le azioni<br />

previste (ad es. un contratto per la<br />

gestione di un dormitorio attraverso<br />

l’appalto non da potere alla formazione<br />

sociale di stabilire i criteri di accesso<br />

al dormitorio). Nel caso dell’uso di<br />

una concessione la situazione cambia<br />

radicalmente: si applicano altri criteri<br />

in quanto la formazione sociale svolge<br />

una funzione pubblica (quindi, tornando<br />

all’es. di prima la formazione sociale<br />

può accogliere/dimettere secondo<br />

propri criteri).<br />

Per questo lo strumento giuridico è importante<br />

che sia omogeneo alla volontà<br />

degli attori per garantirsi rispetto<br />

alla progettualità, ai cambiamenti o, anche,<br />

per conseguenze di tipo fiscale (es.<br />

in una concessione è possibile erogare<br />

soldi come funzione pubblica mentre<br />

con appalto devo fare ritenute, ecc.)<br />

La concessione ha valore soprattutto<br />

nella funzione di progettazione condivisa<br />

che è garantita da questo e non<br />

da un appalto che è contratto “ingessato”.<br />

Ma allora se questa è la forma utile per<br />

la co-progettazione, non rappresenta<br />

una rischiosa delega da parte degli<br />

EE.PP. al privato? Quanto la forma in<br />

sè può garantire di esigere una forma<br />

di partnership? Nella convenzione ci<br />

sono criteri e variabili e, quindi, rispetto<br />

alla possibilità di concessione che<br />

differenza c’è?<br />

Per chiarire il tema riprendo il concetto<br />

di accreditamento che, sappiamo bene,<br />

nella sanità è peculiare. Invece nel<br />

sociale all’interno della L. 328/00 non<br />

troviamo indicazioni. Ma se esiste una<br />

analogia tra sanitario e sociale possiamo<br />

affermare che l’accreditamento attribuisce<br />

una funzione pubblica. Non<br />

Tematica<br />

sto parlando dell’accreditamento per<br />

come è stato fatto in sanità, che è una<br />

svendita legata a interessi e potere.<br />

Spero e credo che nell’ambito sociale<br />

sia qualcosa di diverso.<br />

La differenza tra accreditamento e appalto<br />

è data dalla PROGRAMMAZIO-<br />

NE perché non esiste accreditamento<br />

<strong>senza</strong> collaborazione e co-progettazione.<br />

E quando questa disponibilità si deve<br />

realizzare? Ripeto, non nella erogazione<br />

ma nella progettazione perché in<br />

quel momento l’E.P. può/deve sapere<br />

su quanti e quali attori e formazioni<br />

sociali potero contare nel programmare<br />

il piano degli interventi.<br />

Si pone quindi un altro quesito. Le<br />

PP.AA. come devono scegliere i loro<br />

interlocutori?<br />

Non è detto che la PP.AA. debba operare<br />

la scelta (v. art. 11 L. 241) in base<br />

alla convocazione di tutti i soggetti. E’<br />

importante che i soggetti privati sappiano<br />

aggregarsi. Non è obbligatorio<br />

fare una scelta ma in pre<strong>senza</strong> di un<br />

unico intervento è chiaro che l’E.P. deve<br />

fare una scelta. Come fare, con che<br />

discrezione? Attenzione, non c’è niente<br />

che la PP.AA. possa fare discrezionalmente<br />

perché quando si trova di<br />

fronte a scelte deve rispettare principi<br />

di trasparenza, par condicio, buona amministrazione.<br />

Un esempio è fornito dalle graduatorie<br />

per un asilo nido, procedura di evidenza<br />

pubblica, cioè con criteri dichiarati<br />

e visibili, ragionevoli, rispettosi della<br />

parità e dei principi di buona amministrazione.<br />

Come si consolidano<br />

questi principi: con regole di volta in<br />

volta stabilite o con regolamenti, non<br />

con una gara.<br />

37


Tematica<br />

Questo è importante: sto personalmente<br />

sperimentando un procedimento<br />

che si fonda sulla valutazione dei progetti<br />

utilizzando i criteri del valore intrinseco<br />

e non del costo; una Amministrazione<br />

comunale di una località<br />

vicino a Milano ha deciso di scegliere<br />

solo in base al progetto secondo concessione<br />

e non secondo offerta al ribasso.<br />

Certo quanto sto dicendo definisce una<br />

forma di accreditamento che in questa<br />

funzione ribalta la logica da “selezione<br />

di potenziali clienti” a “modo per<br />

entrare dentro”. Allora anche il cosiddetto<br />

voucher come si colloca dentro<br />

questa logica? Il voucher si colloca analogamente<br />

ma ha significato diverso<br />

da come penso la sua funzione. Se è<br />

fuori dal modello di sussidiarietà diventa<br />

contratto privato.<br />

Faccio un esempio: il voucher può essere<br />

inteso come il controvalore dato a<br />

un droghiere per rimborsarlo di quello<br />

che un cliente bisognoso prende nel<br />

suo negozio; il negoziante da uno scontrino<br />

ogni volta e alla fine del mese<br />

avrà un rimborso. Il voucher è quindi<br />

un titolo di servizio che permette l’acquisto<br />

di un servizio in regime privatistico.<br />

Invece se il rapporto si trasforma in<br />

pubblicistico il voucher non è più solo<br />

strumento tecnico ma è sostegno del<br />

pubblico al privato nella sua libera volontà<br />

di svolgere questa pubblica funzione.<br />

Questa è una interpretazione opposta<br />

al “Bonus” della Regione Lombardia<br />

che è strumento tecnico che<br />

da più soldi ad una persona per acquistare<br />

più beni; questo metodo non è<br />

negativo in assoluto ma non c’entra<br />

con la sussidiarietà.<br />

38<br />

In definitiva anche quanto detto sul<br />

voucher dice che il progetto andrebbe<br />

costruito assieme, dalle linee politiche<br />

partecipate alla progettazione di massima<br />

partecipata collegialmente dal terzo<br />

settore (che, voglio ricordare di nuovo,<br />

non significa che ogni formazione<br />

sociale va al tavolo con il suo progetto).<br />

Certo, attualmente, spesso succede che<br />

il terzo settore è considerato solo nella<br />

fase finale: allora come fare?<br />

Non ci sono ricorsi al giudice possibili<br />

ma è necessaria una assimilazione<br />

politico-culturale e, in altro modo, farsi<br />

sentire, creare un caso pubblico intorno<br />

a questo tema.<br />

Certo sarebbe possibile per un Coordinamento<br />

di formazioni sociali andare<br />

dal giudice dicendo che il Comune<br />

non lo fa partecipare alla progettazione;<br />

nel rispetto degli interessi del terzo<br />

settore probabilmente non sarebbe<br />

la maniera migliore per collaborare con<br />

un Comune.<br />

Per far ricorso bisogna partire dalla<br />

progettualità di base, cioè dai piani di<br />

zona.<br />

Fino ad oggi solo in Emilia Romagna<br />

c’è una legge regionale che ricalca la<br />

L. 328/00, ed un’altra in itinere qui in<br />

Piemonte dove si attribuisce un significativo<br />

valore alla sussidiarietà come<br />

progettazione, questo anche se la Regione<br />

è amministrata da una coalizione<br />

di destra; ma, in questo caso si tratta<br />

di una questione culturale che prevale<br />

sugli orientamenti politici..<br />

Un ultima questione. Possono nascere<br />

problemi per il terzo settore da questo<br />

modello di compartecipazione alla funzione<br />

pubblica? La funzione di advocacy<br />

è dentro o fuori questo modello?


È evidente che essere partecipe di una<br />

funzione e nello stesso tempo contestare<br />

un certo modo di fare “cosa pubblica”<br />

può creare una conflittualità paradossale.<br />

Certo qui si crea un problema<br />

in più per il Terzo settore: se, per<br />

es. una Coop. sociale fa servizio ma<br />

vuole assumersi anche il ruolo di advocacy,<br />

non corre il rischio di conflitto di<br />

interessi? Non sarebbe più opportuno<br />

che ci siano osservatori o altre formazioni<br />

sociali che operano questa tutela?<br />

Io rispondo sicuramente si, è un problema<br />

etico. Credo però che assumere<br />

il ruolo di advocacy è la “funzione delle<br />

funzioni”; per questo sarebbe corretto<br />

che, in un regime democratico,<br />

venisse sostenuto anch’esso dall’Istituzione.<br />

Penso sarebbe importante chiedere<br />

il sostegno proprio all’Istituzione<br />

sotto possibile contestazione. Ritengo<br />

Tematica<br />

che il sostegno della Istituzione sia<br />

azione molto etica e democratica, consapevole<br />

del fatto che da qui nasce anche<br />

il problema di come la formazione<br />

sociale che fa “advocacy” si rapporta<br />

al finanziatore. Però è tema molto importante,<br />

ricordando che il difensore<br />

civico, in Italia, non è decollato perché<br />

appartenente all’AA.PP.<br />

Concludo affermando che laddove una<br />

organizzazione è capace di costruire<br />

cultura attraverso significati e prassi<br />

anche il tema dei diritti ne è fortemente<br />

influenzato. Credo sia uno spazio<br />

importante per FIOpsd ed i suoi associati<br />

per garantire i diritti a cui tutti<br />

aspiriamo, per noi e le psd.<br />

Per ulteriori informazioni vedi “PUBBLICA<br />

AMMINISTRAZIONE E NON PROFIT”<br />

Franco Dalla Mura - Edizioni Carocci Faber.<br />

39


Tematica<br />

PERSONE SENZA DIMORA<br />

E DIRITTO ALLA SALUTE<br />

Raffaele Gnocchi - Pedagogista Caritas Ambrosiana - Milano.<br />

L’insieme delle persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong><br />

è considerato da molti come un gruppo<br />

di soggetti sostanzialmente eterogeneo<br />

e multiforme, le problematiche<br />

di cui inoltre sono portatori incrementa,<br />

peraltro, questo livello di percezione.<br />

Il risultato di questo e altri processi<br />

conducono a forme sempre più evidenti<br />

di marginalizzazione ed esclusione<br />

da tutti i percorsi di relazione e<br />

godimento dei diritti di cui ogni persona<br />

è portatrice.<br />

Ci accingiamo a condurre un breve<br />

percorso di analisi dei diritti delle persone<br />

<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> in rapporto al tema<br />

della salute con l’auspicio che le forme<br />

di supporto e ausilio, ad un tema<br />

così importante, siano debitamente<br />

percepite come imprescindibili, sia da<br />

chi propone ed è chiamato a disporre<br />

interventi sanitari pubblici, sia da chi<br />

è chiamato ad agevolare il loro utilizzo<br />

in una logica di supporto; non vogliamo<br />

però dimenticare le persone<br />

gravemente emarginate stesse affinché<br />

riconoscano i loro diritti e li possano<br />

esercitare con piena responsabilità.<br />

Una prima questione sottesa all’argomento<br />

in esame riguarda la stessa nozione<br />

di diritto. Più volte citato e richiamato<br />

per riaffermare priorità e urgenze<br />

ha da essere necessariamente<br />

declinato in rapporto al tema della persona<br />

che noi definiamo 1 gravemente<br />

emarginata ossia priva di risorse materiali<br />

ma anche di quelle relazionali<br />

fra loro aggrovigliate in un cumulo dif-<br />

40<br />

ficilmente gestibile. Prendendo spunto<br />

dalla Dichiarazione Universale dei <strong>Diritti</strong><br />

Umani (ONU, Parigi, 10 Dicembre<br />

1948) 2 ma anche dal dettato costituzionale<br />

3 siamo resi partecipi di un<br />

chiaro orientamento di natura storico<br />

antropologico teso ad affermare il valore<br />

imprescindibile della persona nella<br />

sua unicità storica. Tale affermazione<br />

rimane peraltro disattesa nel confronto<br />

con modelli e stili di governo<br />

sviluppatisi nel corso della storia contemporanea<br />

e diffusi nell’attuale società.<br />

Metodologicamente è necessario, oltre<br />

che opportuno, delimitare la riflessione<br />

al solo territorio nazionale peraltro<br />

sottoposto a spinte devoluzionistiche<br />

che potrebbero, nel prossimo futuro,<br />

concorrere a ridefinire ulteriormente<br />

in chiave locale il panorama dei diritti<br />

di cittadinanza 4 .<br />

La pericolosità di alcuni processi in<br />

atto è evidente; il tentativo di sostituire<br />

alla parola diritti un’altra locuzione<br />

come bisogni sposta radicalmente<br />

la prospettiva dell’intervento mutando<br />

il presupposto da necessità a possibilità<br />

accessoria.<br />

Questo può significare molte cose anche<br />

nella pratica quotidiana di garanzia<br />

del diritto alla salute; difatti predisponendo<br />

interventi a tutela delle situazioni<br />

di urgenza si opta coscientemente<br />

per una cura delle acuzie sanitarie,<br />

tralasciando un diritto al benessere<br />

inteso secondo un’accezione più


ampia come più volte ribadito dall’OMS<br />

5 .<br />

Ancora una volta è opportuno ricordare<br />

che "parlare di diritti significa affermare<br />

le indicazioni, in termini di valori,<br />

che sostanziano e non solo caratterizzano<br />

la democrazia come sistema"<br />

(Bertolini, 2003:53). Ancor più potremmo<br />

aggiungere che una siffatta prospettiva<br />

rende evidente la trama economicista<br />

che sostanzia un ordito chiaramente<br />

ispirato alla libera concorrenza<br />

e alla economia di mercato come valore<br />

fondativi delle odierne società occidentali.<br />

Assistiamo all’allargamento<br />

del potere economico capace sempre<br />

più di sottomettere ad esso altre forme<br />

di potere, non ultimo quello politico.<br />

Ci domandiamo, allora, se è auspicabile<br />

una qualche forma di intervento<br />

promossa secondo una logica bottom<br />

up capace di riportare e ridare senso<br />

all’azione politica a tutela del diritto<br />

dell’uomo ad essere riconosciuto portatore<br />

di diritti.<br />

Se da un lato si pone il problema della<br />

predisposizione degli strumenti di<br />

cura, dall’altro è evidente la questione<br />

della esigibilità e della fruizione o<br />

per dirla con altre parole della coscientizzazione<br />

6 dei soggetti titolari di diritto.<br />

L’AMBITO DEI DIRITTI<br />

Nell’incerta prospettiva di modifica<br />

delle politiche di Welfare, della quale<br />

si faceva cenno, e nel travagliato percorso<br />

di definizione dei confini dei<br />

diritti vi sono alcune certezze vieppiù<br />

dimenticate e disattese. Proviamo brevemente<br />

a tracciare un possibile percorso<br />

per la definizione di quello che<br />

potrebbe essere il tema della salute in<br />

Tematica<br />

una logica di diritto.<br />

Un primo orizzonte interpretativo,<br />

muove dal concetto di diritto soggettivo,<br />

la seconda da quello di interesse<br />

legittimo, entrambi convergono verso<br />

una prospettiva tesa al pieno affermarsi<br />

degli stessi e del loro concreto godimento.<br />

Partendo dal presupposto che ogni cittadino<br />

gode di un diritto soggettivo, che<br />

è espressione di garanzia della propria<br />

libertà, ma è anche riconosciuto all’uomo<br />

come singolo (ma invero in alcuni<br />

casi come membro di un gruppo) e attiene<br />

alle sfere civili, politiche e sociali,<br />

possiamo declinarlo come il luogo<br />

giuridico affinché il proprio bisogno<br />

venga soddisfatto.<br />

Ad esempio, proprio in virtù di questo<br />

diritto soggettivo che normalmente<br />

attiene al rapporto fra privati, la persona<br />

può richiedere e godere della prestazione<br />

erogabile dalla Pubblica Amministrazione<br />

7 ; in effetti, attraverso l’accesso<br />

alla prestazione sanitaria, siamo<br />

in pre<strong>senza</strong> di un semplice soddisfacimento<br />

del bisogno del soggetto di<br />

vedere risolte le problematiche sanitarie<br />

di cui è portatore.<br />

Questo avviene, a nostro modo di vedere,<br />

in virtù di un generico interesse oggettivo<br />

perseguito dalla stessa Pubblica<br />

Amministrazione: la struttura sanitaria,<br />

il servizio interpellato, concedono<br />

la prestazione semplicemente perché<br />

attraverso questa si realizza un<br />

principio di interesse oggettivo. Il concetto<br />

di interesse oggettivo potrebbe,<br />

in una estremizzazione a noi utile, essere<br />

declinato come orientato alla tutela<br />

del benessere socio sanitario della<br />

popolazione più in generale; in definitiva<br />

accade che "l’azione maschera-<br />

41


Tematica<br />

ta da intervento che persegue il beneficio<br />

individuale massimizza al tempo<br />

stesso il beneficio collettivo" (Vineis<br />

Capri, 1994:96).<br />

La lettura della questione ed un simile<br />

orientamento attengono al concetto<br />

utilitaristico secondo il quale il fine,<br />

ad esempio economico orientato al risparmio,<br />

giustifica i mezzi adottati per<br />

perseguirlo; ci confrontiamo con un<br />

modello che postula il possibile sacrificio<br />

di una “minoranza” per il bene<br />

della maggioranza 8 .<br />

Ci troviamo in definitiva di fronte ad<br />

una posizione, il diritto (soggettivo) alla<br />

salute, subordinato ad un’altra posizione,<br />

l’interesse oggettivo, a tutela degli<br />

interessi della collettività. Più in<br />

generale, ravvediamo in tale prospettiva<br />

la pre<strong>senza</strong> di elementi di disparità,<br />

dipendenza, vincolo ed anche di<br />

sudditanza.<br />

Il secondo orizzonte, attiene al concetto<br />

di interesse legittimo.<br />

Esso è materia del rapporto che intercorre<br />

fra singolo cittadino e Pubblica<br />

Amministrazione, si manifesta attraverso<br />

l’esercizio dei poteri, della P.A.,<br />

e si collega alla necessità che venga<br />

erogata e assicurata la prestazione sanitaria<br />

a tutti. Questa logica, che unisce<br />

diritto alla prestazione e risposta al bisogno,<br />

affermare la possibilità del singolo<br />

individuo di richiedere l’assolvimento<br />

delle pratiche volte all’attivazione<br />

del servizio orientato alla cancellazione<br />

del bisogno.<br />

Entrambe questi due orizzonti, evidenziano<br />

una duplice problematica: da<br />

un lato il tema circa l’esercizio del diritto<br />

da parte del soggetto gravemente<br />

emarginato, dall’altra la necessità<br />

affinché si pervenga ad uno stato di<br />

42<br />

diritto esigibile e generalizzato non<br />

condizionato da particolari azioni legislative<br />

successive a quelle precedenti.<br />

La prima questione evidenzia il problema<br />

sotteso alla condizione della persona<br />

<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> che ne caratterizza<br />

il suo divenire a la sua relazione<br />

con i servizi del territorio, affermare<br />

che queste hanno pari diritti, e possono<br />

in tal modo esigerli alla pari delle<br />

persone con presenze e appartenenze<br />

sociali “normali” e strutturate, significa<br />

affermare, di fatto, una disparità.<br />

Si conferma in questo modo che la<br />

condizione del soggetto in stato di povertà<br />

è tale non per scelta ed autodeterminazione<br />

ma a causa del prodotto<br />

dell’incrocio fra questioni strutturali<br />

esogene (macro) e questioni personali<br />

endogene (micro) 9 . Situazioni di confine<br />

che producono fratture aggravate<br />

dall’as<strong>senza</strong> di una politica di sostegno<br />

all’evoluzione dello stato di<br />

bisogno e alla formalizzazione dello<br />

stesso 10 .<br />

Nonostante si ribadisca da più parti 11<br />

che la salute è un bene collettivo e<br />

non solo un bene individuale ritroviamo<br />

elementi in base ai quali è possibile<br />

affermare che "la salute non può<br />

essere trattata come una merce poiché<br />

sul versante della domanda bisognerebbe<br />

supporre che gli utenti siano in<br />

grado di decifrare chiaramente il proprio<br />

bisogno e possiedano le informazioni<br />

sufficienti per poter agire sul mercato"<br />

(Vineis Capri, 1994:109) 12 .<br />

La seconda questione ci ricorda della<br />

possibilità che, nel corso del processo<br />

di definizione e revisione legislativa,<br />

si precisino nuove leggi sullo stesso<br />

tema dissimili se non in opposizione<br />

con quelle precedenti.


In effetti i diritti delle persone sono<br />

legati a precisi momenti storici o a particolari<br />

condizioni macro e microeconomiche,<br />

ma è anche immaginabile<br />

l’esistenza di una forma di permanenza<br />

del diritto secondo una logica capace<br />

di superare la fattualità storica.<br />

Se è vero che "i diritti dell’uomo costituiscono<br />

una classe variabile come la<br />

storia di questi ultimi secoli dimostra"<br />

(Bobbio, 1990:9) è anche vero che<br />

l’Amato 13 parla di generazioni di diritti<br />

intesi come l’evoluzione che gli stessi<br />

hanno subito stante lo sviluppo storico<br />

e culturale che ne ha richiesto la<br />

definizione di nuovi oltre che la conferma<br />

di altri 14 . Fra i diritti dell’uomo<br />

ci pare sia possibile, <strong>senza</strong> commettere<br />

forzature ed omissioni, collocare il<br />

diritto alla salute inteso come diritto di<br />

seconda generazione. In questo senso<br />

è importante ribadire che la questione<br />

sottesa alla definizione dei diritti<br />

subisce nella storia una modificazione<br />

dettata dalle contingenze storiche<br />

e da queste ne deriva la loro definizione;<br />

oggigiorno il problema è riconoscere<br />

questo e impegnarsi perché<br />

essi siano protetti.<br />

Grazie a questo percorso in convergenza<br />

crediamo di poter beneficiare di un<br />

duplice pregio: dall’uno considerare il<br />

diritto all’accesso alla prestazione sanitaria<br />

per la p.s.d. come uno dei diritti<br />

dell’uomo (diritti dell’uomo sociali),<br />

il che significa ed esplicita un diritto<br />

soggettivo (primo pregio) dall’altro,<br />

al tempo stesso, lo eleva a rango di diritto<br />

soggettivo pubblico (secondo pregio).<br />

Traendo fonte dai principi costituzionali<br />

e dalla valenza, come già<br />

anticipato, ultra-storica dei diritti dell’uomo<br />

15 .<br />

Tematica<br />

Questa lettura orienta l’intervento ed<br />

il ruolo di tutela e advocacy esplicitato<br />

dai servizi che offrono attenzioni e<br />

prestazioni alle persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>.<br />

Le stesse peraltro si trovano nella<br />

condizione di godere di nuove possibilità<br />

originate da questa uguaglianza<br />

sostanziale, ovvero potrebbero richiedere,<br />

in un prossimo orizzonte di possibilità,<br />

di beneficiare di risposte plurime<br />

e diversificate anche sul piano specialistico<br />

16 .<br />

In questa prospettiva si chiarisce il percorso<br />

teso a riaffermare e sancire la dignità<br />

della persona di fronte alla società<br />

che è chiamata a tutelare e a offrire<br />

le sue competenze, per un benessere<br />

(sanitario) diffuso e partecipato a<br />

tutti.<br />

IL TERRITORIO DEI DIRITTI<br />

Nell’incerta e costante provvisorietà<br />

del concetto di territorio e nell’assunzione<br />

che esso può essere efficacemente<br />

declinato come un luogo dove si esplicitano<br />

legami sociali e azioni di solidarietà<br />

reciproca, operiamo una rilettura<br />

a partire dalle opportunità che offre;<br />

tutto ciò in relazione alla risposta<br />

ai bisogni e nell’offerta di occasioni<br />

orientate a garantire il pieno godimento<br />

dei diritti di cittadinanza. Siamo peraltro<br />

concordi che, nell’analisi previa<br />

del rapporto individuo - territorio, "esso<br />

è determinato dalle rappresentazioni<br />

simboliche che vengono prodotte<br />

nel corso della storia" (Callari Galli,<br />

1978) e che esse, anche indirettamente,<br />

influiscono sui processi e sugli accadimenti<br />

che in esso avvengono.<br />

Ma andiamo per ordine, innanzitutto<br />

mantenendo fisso lo sguardo sulla condizione<br />

marginale dei nostri; davvero<br />

43


Tematica<br />

è possibile affermare, quasi come provocazione,<br />

che il territorio è lo spazio<br />

degli affetti, il luogo degli scambi sia<br />

materiali sia relazionali, e questo, se è<br />

vero per la maggior parte delle persone,<br />

può esserlo ancor più per le<br />

quelle <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>. Questa induzione<br />

muove dal significato primo ed immediato<br />

che lo scambio, il possesso, i<br />

cosiddetti beni materiali assolvono,<br />

nella vita di strada, ad una funzione<br />

non tanto simbolica ma pratica. Tutto<br />

ciò avviene grazie alle relazioni, ai<br />

contatti, alle pratiche di commercio,<br />

a quanto può essere utile al sostentamento<br />

quotidiano, finanche alla mercificazione<br />

della propria identità e del<br />

sacro 17 .<br />

Il territorio non è solo il luogo dello<br />

scambio ma anche lo spazio della costruzione<br />

di rapporti di donazione e<br />

ricezione, dove l’oggetto di scambio<br />

non è più il bene singolo, dotato di<br />

una sua materialità, ma è la persona<br />

stessa 18 . La difficoltà è riconoscere come<br />

la persona <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> possa<br />

rientrare in una logica di questo genere,<br />

nonostante l’attuale dimensione<br />

economicista e mercificante della vita<br />

che richiede, come vincolo di cittadinanza,<br />

la disponibilità economica<br />

orientata all’acquisto di beni mobili<br />

od immobili, durevoli o meno. Anche<br />

sul piano dell’identità lavorativa ritroviamo<br />

la persona costretta ad assumere<br />

schemi di vita alienanti e illiberali.<br />

Tutto ciò è presumibile che sia l’effetto<br />

disatteso di una più ampia concezione<br />

del lavoro, quindi della vita, di<br />

stampo flessibilista 19 . Questa non è una<br />

forzatura e neanche l’utopico desiderio<br />

che le persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> possano<br />

essere riconosciute all’interno del-<br />

44<br />

la società: esse sono la società. Per dirla<br />

con altre parole la polarizzazione<br />

fra i termini incluso - escluso conferma<br />

un’azione tesa alla rimozione della<br />

povertà. Essa peraltro viene vista e<br />

percepita come minaccia ma ancor più<br />

come dato di realtà capace di interrogare<br />

ciascuno, nessuno escluso.<br />

Il territorio è luogo di appartenenza,<br />

luogo dove la persona esprime se stessa<br />

e dove può essere possibile esigere<br />

il diritto (auspicabile ma improbabile)<br />

di definire una nuova etica delle relazioni.<br />

Non è impossibile superare la<br />

dialettica dentro - fuori purché si espliciti<br />

fra le varie possibilità anche l’obiettivo<br />

perseguito dal territorio di superare<br />

un deficit di socialità, perseguendo<br />

politiche ed interventi volte a diminuire<br />

la sofferenza delle persone che<br />

hanno come denominatore comune l’esperienza<br />

della strada attraverso idee<br />

ed azioni volte al coinvolgimento ed<br />

alla corresponsabilità.<br />

La spinta al coinvolgimento del territorio<br />

per un politica della salute per<br />

le persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> dice la necessità<br />

di strutturare percorsi di promozione<br />

della salute affinché nel novero<br />

dei beni ritenuti necessari alla sopravvivenza<br />

vi sia, in coloro che stanno in<br />

strada, una coscienza del proprio benessere<br />

capace di includere la dimensione<br />

igienico sanitaria 20 . Inoltre auspichiamo<br />

che questo processo fornisca,<br />

sia sul breve che sul medio periodo,<br />

consapevolezza sia delle necessità immediate<br />

sia dei presupposti per un<br />

maggior benessere 21 .<br />

Superando l’effetto prodotto dai servizi<br />

che talvolta costringono la persona<br />

ad una dipendenza dalle prestazioni,<br />

occorrerebbe operare per un effi-


cace empowerment orientato a consentire<br />

un passaggio dalla dipendenza<br />

all’autonomia, dall’inefficacia all’efficacia<br />

dalla superficialità alla profondità<br />

delle ragioni e dei desideri esistenziali.<br />

A fronte di questi orientamenti, vieppiù<br />

ipotetici, il reale vincolo di fronte<br />

al quale ci si deve arrestare è l’organizzazione<br />

territoriale dei servizi sanitari;<br />

difatti, essi non permettono l’accesso<br />

alla prestazione a fronte di vincoli<br />

burocratici quale, ad esempio, la certificazione<br />

della residenzialità del soggetto<br />

sul territorio di competenza del<br />

servizio stesso 22 . A fronte di questo ci<br />

chiediamo se la persona <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong><br />

(e per definizione <strong>senza</strong> una domiciliazione<br />

fissa) debba essere considerata<br />

nel territorio, quindi con un vincolo<br />

maggiormente labile, oppure essa debba<br />

essere considerata del territorio,<br />

quindi con una serie di relazioni e di<br />

appartenenze per essa significative.<br />

Ai più crediamo che, indubbiamente,<br />

sfuggano gli elementi che possono rendere<br />

significative alcune storie di pre<strong>senza</strong><br />

e di radicamento sul territorio<br />

ma quello che resta come questione<br />

centrale è l’esistenza del diritto della<br />

persona <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> di scegliere un<br />

territorio e renderlo per essa significativo<br />

sia sul piano delle relazioni, sia<br />

sul piano dei benefici materiali che ne<br />

possono derivare.<br />

A nostro modo di vedere tutti i soggetti,<br />

non solo quelli che dispongono<br />

di risorse economiche allocabili e orientabili<br />

a piacimento, devono poter godere<br />

ed esercitare il diritto a localizzare<br />

le proprie attese, a strutturare le proprie<br />

relazioni, a pensare e progettare<br />

il proprio futuro dove lo ritengono<br />

Tematica<br />

significativo, utile e finanche possibile.<br />

Secondo questa logica potremmo<br />

passare da una libertà spesso formale<br />

perché formalizzata ad una libertà sostanziale<br />

purché definita in primo luogo<br />

dalla persona e non da un sistema<br />

eteronomo.<br />

Con la prospettiva di un intervento a<br />

favore delle persone in stato di grave<br />

emarginazione, i servizi del territorio<br />

potrebbero assicurare, a tutti, l’accesso<br />

alle prestazioni predisponendo limitati<br />

vincoli d’accesso cercando al tempo<br />

stesso opportune mediazioni e declinazioni<br />

circa gli obiettivi definiti dalla<br />

loro mission; ciò anche grazie ad un<br />

confronto con gli operatori territoriali<br />

e con tutte le strutture di prossimità<br />

che storicamente progettano e implementano<br />

interventi rivolti alle persone<br />

adulte gravemente emarginate.<br />

In questo senso si riannodano i fili di<br />

una cittadinanza capace di ribadire a<br />

tutti la necessità di essere e sentirsi attivi<br />

per quello che si è ma anche destinatari<br />

di una socialità diffusa e reale<br />

in grado di inglobare al suo interno<br />

la tutela della salute. Ribadiamo che,<br />

oltre la necessaria pre<strong>senza</strong>, v’è la necessità<br />

di un diritto alla partecipazione<br />

al benessere sociale esteso a tutti, quindi<br />

anche alle persone in stato di estrema<br />

povertà.<br />

Intravediamo la necessità che si operi<br />

per una (ri)collocazione dei diritti sociali,<br />

e quindi anche quello della salute,<br />

all’interno sia del contesto (il territorio)<br />

sia negli spazi di relazione (la<br />

società); è forse una sfida 23 , ma certamente,<br />

in questa, la comunità può giocare<br />

un ruolo orientato all’assunzione<br />

di diverse modalità di pre<strong>senza</strong> e relazione<br />

orientate al prendersi cura.<br />

45


Tematica<br />

Community Care, il cui significato è appunto<br />

quello di teorizzare una comunità<br />

capace di farsi carico dei soggetti<br />

deboli, diventa modello operativo,<br />

spazio interpretativo ed esigenza imprescindibile<br />

perché si superino sia i<br />

precedenti schemi di analisi del bisogno<br />

sia i vetusti modelli settoriali di<br />

intervento.<br />

Tutto ciò è possibile realizzarlo attraverso<br />

il coinvolgimento, l’orientamento,<br />

e quanto altro può efficacemente<br />

promuovere reti di supporto e di sostegno<br />

superando la separazione tra formale<br />

ed informale. In sintesi potremmo<br />

dire che l’operazione è volta a fornire<br />

cittadinanza ai diritti.<br />

POLITICHE SANITARIE E DIRITTO<br />

ALLA SALUTE<br />

Nel paragrafo precedente abbiamo accennato<br />

al fatto che non può esserci<br />

tutela del diritto alla salute <strong>senza</strong> un<br />

riferimento territoriale che ne sancisca<br />

vincoli e opportunità, scorriamo ora le<br />

politiche sanitarie che hanno caratterizzato<br />

gli interventi negli ultimi anni<br />

della nostra storia.<br />

Il riferimento alla costituzione italiana,<br />

come accennato nel §1, altro non fa che<br />

ricordarci l’interesse dello Stato di garantire<br />

l’uguaglianza di tutti i cittadini<br />

a fronte della loro diversa collocazione<br />

territoriale. A partire dalla legge di riforma<br />

del servizio sanitario attuata nel<br />

1978 (n°833), nella quale le casse e mutue<br />

assicurazioni lasciavano il posto ad un<br />

servizio sanitario nazionale, viene ribadito<br />

il concetto di sostanziale uguaglianza<br />

e si perviene ad un principio<br />

universalistico. A seguito della seconda<br />

riforma iniziata con la legge delega<br />

del 1992 (n° 421) proseguita con<br />

46<br />

i dd.ll. del 30 Dicembre 1992 (n° 502)<br />

e del 7 Dicembre 1993 (n° 517) si vengono<br />

a creare nuove condizioni circa<br />

il rapporto tra il paziente, la struttura<br />

sanitaria, il territorio e lo Stato.<br />

Il modello che ne esce è definito particolaristico/meritocratico<br />

24 ovvero orientato<br />

a limitare il diritto della persona alla<br />

cura collegandolo alla compatibilità<br />

della spesa. Se è vero che negli anni<br />

precedenti il deficit prodotto nel campo<br />

della spesa sanitaria era eccessivo,<br />

anche in relazione alla quantità e alla<br />

qualità delle prestazioni erogate, la riforma<br />

sollecita una diversa organizzazione<br />

del sistema e ne definisce gli strumenti<br />

per il suo controllo 25 . Questo processo<br />

di aziendalizzazione (appunto<br />

non più il Comune bensì l’Azienda Sanitaria<br />

Locale) condurrà ben presto all’assunzione<br />

di nuovi criteri di funzionamento<br />

quali efficienza, verifica, controllo,<br />

e qualità. Nel passaggio di competenze,<br />

di programmazione e definizione<br />

degli obiettivi, si aprono nuovi<br />

spazi e nuove opportunità per un privato<br />

non solo solidaristico ma anche<br />

profit, quindi orientato al guadagno.<br />

Siamo nello spazio della salute mercanteggiata<br />

la quale in un circolo bisogno<br />

-> richiesta -> prestazione -> erogazione,<br />

rimane vittima della mercificazione<br />

indotta dallo scopo di incanalare<br />

questa nuova corrente di denaro e<br />

sovvenzionamenti 26 . Affermare che sulla<br />

salute non ci si può guadagnare e<br />

che le forme di presunta eccellenza<br />

spostano l’orizzonte sia dell’intervento<br />

che del suo senso verso un individualismo<br />

e un mercanteggiamento del<br />

benessere, significa riaffermare la necessità<br />

circa l’espressione di un diritto<br />

soggettivo alla cura e all’intervento


sanitario quando richiesto in accordo<br />

con tempi che non siano di aggravio<br />

alla situazione. Ma chi può dirsi tutelato<br />

in questa che era ed è per alcuni<br />

aspetti la situazione a fronte della riforma<br />

del ‘92? Un tentativo di risposta<br />

ci arriva dalla terza riforma sanitaria<br />

del 1998 (Legge Delega n° 419) che ribadisce<br />

con forza e chiarezza il diritto<br />

alla tutela della salute con una riaffermazione<br />

del diritto soggettivo alla stessa.<br />

Sono però altre le novità della Legge,<br />

fra esse vogliamo ricordare: il tema<br />

della programmazione (sia a livello nazionale<br />

che a livello regionale secondo<br />

un principio di sussidiarietà verticale<br />

che permette alla regione stessa di pensare<br />

e progettare e programmare le modalità<br />

ritenute maggiormente corrette<br />

di realizzare gli obiettivi definiti a livello<br />

macro dallo stato), il ruolo dei comuni<br />

rafforzato e reinclusi dopo l’esclusione<br />

prodotta dalla L.833/78, la definizione<br />

dei Livelli Essenziali ed uniformi<br />

di Assistenza (abbr. L.E.A.) a livello nazionale<br />

che dicono un possibile universalismo<br />

dei bisogni ma anche la considerazione<br />

della difficile priorità riconosciuta<br />

e fornita alle necessità nazionali<br />

27 , il tema della formazione del personale<br />

sanitario e l’aggiornamento relativo<br />

alle professionalità con l’introduzione<br />

dei crediti di Educazione Continua<br />

in Medicina (abbr. E.C.M.), l’esercizio<br />

della libera scelta circa gli interventi nei<br />

luoghi dove godere della prestazione,<br />

la relazione fra pubblico e privato profit<br />

con la definizione dei parametri e dei<br />

vincoli del rapporto caratterizzati per<br />

le cosiddette quattro A: Autorizzazione<br />

alla localizzazione, Autorizzazione<br />

all’esercizio, Accreditamento istituzionale,<br />

Accordo contrattuale.<br />

Tematica<br />

Tutto ciò comunica da un lato lo sforzo<br />

per una politica sanitaria capace di<br />

ricentrare la tutela della salute 28 , evitando<br />

una sua sanitarizzazione ed una<br />

medicalizzazione estrema, dall’altro un<br />

processo di riforma caratterizzato da<br />

una paradossale riconferma della disattenzione<br />

portata alle persone che non<br />

sono in grado di esercitare appieno il<br />

diritto soggettivo di scelta, ovvero l’impossibilità<br />

perché si strutturi un percorso<br />

capace di ridare alla salute la caratteristica<br />

di luogo di espressione di<br />

tutta la persona e non solo della parte<br />

malata riconsegnandole sia i mezzi per<br />

accedervi che i necessari strumenti di<br />

senso 29 .<br />

Al di là di possibili strumentalizzazioni<br />

ideologiche non possiamo non cogliere<br />

tutte le difficoltà circa l’ integrazione<br />

tra sociale e sanitario nel quale<br />

chi è povero (di risorse, oltre che di strumenti<br />

e cognizione circa il loro utilizzo)<br />

scarsamente accede alla prestazione,<br />

anche laddove essa può essere erogata.<br />

La tanto richiamata libertà di scelta<br />

è ancora prima una difficoltà ad essere<br />

davvero liberi circa la scelta degli<br />

strumenti. Non è, come risulta peraltro<br />

evidente, un problema di risorse<br />

quanto una questione di educazione<br />

al loro utilizzo e la necessaria definizione<br />

di percorsi di accompagnamento,<br />

di tutela e di advocacy; la questione<br />

postula il chiarimento su chi sono<br />

i soggetti chiamati a fornire una possibile<br />

risposta al bisogno espresso.<br />

Siamo peraltro testimoni di una questione<br />

altamente problematica: la situazione<br />

delle persone irregolarmente presenti<br />

sul territorio nazionale. Per irregolari<br />

intendiamo sia coloro i quali si<br />

trovano in difetto rispetto alle leggi<br />

47


Tematica<br />

vigenti in tema di immigrazione 30 sia<br />

tutta una fascia di popolazione di italiani<br />

<strong>senza</strong> una <strong>dimora</strong> fissa certificata<br />

sul documento di identità. Quali azioni<br />

sono promosse a loro favore ?<br />

La L. 40/1998 31 , il D.L. 286/1998 ed in<br />

particolare la Circolare n°5 del Ministero<br />

della Sanità del 24 Marzo 2000, affermano<br />

alcuni principi di tutela sanitaria<br />

degli stranieri presenti sul territorio italiano,<br />

peraltro già specificati molto più<br />

ampiamente dal D.L.18 novembre 1995,<br />

n° 489 32 , sottolineando che la salute, almeno<br />

nel nostro ordinamento, è un bene<br />

ascrivibile all’uomo in quanto persona,<br />

oltremodo in essi si riconoscono<br />

quei tratti di egualitarismo i quali, già<br />

definiti dalla nostra costituzione, pongono<br />

sullo stesso piano dei diritti e dei<br />

doveri, italiani e stranieri. Una affermazione<br />

di civiltà che corre il rischio di<br />

rimanere un principio poco praticabile<br />

per alcuni (gli italiani <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>) e<br />

inapplicabile per altri (gli extracomunitari<br />

irregolari). Non dobbiamo infatti<br />

dimenticare che l’affermazione di un<br />

principio deve coniugarsi con il vissuto<br />

del singolo, ovvero con una percezione<br />

del sé e del proprio bisogno in misura<br />

sufficiente per l’attivazione delle risorse<br />

personali o sociali orientate ad un<br />

benessere oggettivo, situazione questa<br />

peraltro non realizzabile nelle persone<br />

<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> e nelle persone extracomunitarie<br />

in situazione di emarginazione.<br />

Le prime, difatti, vivono il loro<br />

rapporto con il servizio o la struttura<br />

che potrebbe erogare loro una prestazione,<br />

secondo una logica di diffidenza<br />

e rassegnazione, le seconde perché, non<br />

conoscendo i loro diritti e generando<br />

una diffidenza verso tutto ciò che potrebbe<br />

rendere irrealizzabile il proprio<br />

48<br />

progetto migratorio, orientano la richiesta<br />

verso altri luoghi, spesso appartenenti<br />

alla sfera del privato sociale.<br />

Tutti questi elementi di precarietà producono<br />

cronicità più che sviluppo ma<br />

anche dipendenza più che autonomia<br />

e promozione.<br />

In conclusione, prima di affrontare la<br />

questione di come il privato sociale<br />

possa svolgere alcuni possibili compiti<br />

rivolti alla tutela della salute, confermiamo<br />

la preoccupazione circa l’impossibilità<br />

reale di alcune fasce di popolazione<br />

ad accedere ai servizi, nell’attivarli<br />

propriamente, finanche di avvicinarsi<br />

confermando di fatto l’evoluzione<br />

verso una società dove vige una<br />

parzialità del benessere la cui ricomposizione<br />

è affidata e riconsegnata al profit<br />

capace di imporre le sue regole di<br />

mercato in una logica di concorrenza<br />

dove il diritto alla scelta è diritto a remunerare<br />

economicamente qualcuno<br />

perché scelga al nostro posto.<br />

TERZO SETTORE E DIRITTO ALLA<br />

SALUTE<br />

Ad una domanda sono possibili molteplici<br />

risposte, fra queste alcune attengono,<br />

per competenza, al settore pubblico<br />

altre al settore privato; chi definisce<br />

i limiti dell’uno per lasciare spazio<br />

all’altro ? La risposta la lasciamo<br />

aperta, pur tuttavia sottolineiamo come<br />

il privato sociale ha da sempre risposto<br />

ai bisogni e alle urgenze promuovendo<br />

una cultura della responsabilità delle<br />

istituzioni e del territorio. La domanda<br />

precedente circa il senso e il significato<br />

che potrebbe essere fornito al tema<br />

dell’accompagnamento delle persone<br />

in stato di grave emarginazione, trova<br />

ora alcune risposte attraverso la lettura


dei dati circa l’intervento a livello nazionale.<br />

Dalla ricerca promossa nell’anno<br />

duemila dal Dipartimento degli Affari<br />

Sociali 33 emerge una cospicua pre<strong>senza</strong><br />

di servizi che forniscono prestazioni<br />

sanitarie a favore di persone in<br />

stato di emarginazione. La ricerca mostra<br />

come in 96 delle 103 città campionate<br />

34 esistono servizi per le persone<br />

<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> e come fra queste (ne sono<br />

state censite 499) 173 forniscono (anche)<br />

assistenza sanitaria. Circa le tipologie<br />

dei servizi offerti si evidenzia la<br />

strutturazione di interventi a diverso<br />

livello: dalla consulenza medica generica,<br />

alle visite specialistiche, alle prestazioni<br />

ambulatoriali di tipo infermieristico,<br />

alle cure dentarie, alla distribuzione<br />

di farmaci, alla mediazione con<br />

i servizi del territorio, alla diagnostica<br />

in collaborazione con i laboratori delle<br />

Aziende sanitarie per finire con un<br />

livello più ampio di prevenzione circa<br />

alcune malattie infettive come TBC ed<br />

epatiti.<br />

Questo dato, oltre che comunicare l’impegno<br />

rilevante a favore di questo diritto,<br />

dice anche l’importanza data al<br />

fenomeno della emarginazione grave<br />

che assume in sé caratteri differenti<br />

poiché se è vero che le persone <strong>senza</strong><br />

<strong>dimora</strong> non possono essere collocate<br />

in una categoria tipologica prevalente<br />

è anche vero che i servizi vengono offerti<br />

ad una fascia indistinta di popolazione<br />

più ampia. Difatti nel 85% dei<br />

casi i servizi affermavano di occuparsi<br />

indistintamente sia di italiani sia di<br />

stranieri. Questo dato consente di cogliere<br />

come diverse fasce di popolazione<br />

intendono e vivono il rapporto con<br />

la propria salute ma anche la relazione<br />

con il territorio ed i servizi di natura<br />

Tematica<br />

medico - sanitaria. Le persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong><br />

hanno una bassa compliance alla<br />

cura poiché godono una percezione<br />

della propria salute che potremmo definire<br />

distorta, ovvero vi è gap tra bisogno<br />

reale di cura e necessità manifestata<br />

tanto che solo una bassissima percentuale,<br />

stimata nell’ordine dell’1% 35 ,<br />

formula una richiesta, non necessariamente<br />

precisa, di assistenza medico sanitaria.<br />

Normalmente la salute viene<br />

considerata secondaria rispetto ai problemi<br />

che caratterizzano la vita in strada<br />

e alle risposte ad essa necessarie (un<br />

giaciglio, del cibo, delle coperte o degli<br />

indumenti puliti); a questo si collega anche<br />

il tema della igiene personale che si<br />

aggrava assai nei casi in cui è presente<br />

una distanza percettiva da se stessi ed<br />

un abbandono determinato da sofferenze<br />

psicologiche.<br />

Nel caso delle persone extracomunitarie,<br />

poi, si coglie la tendenza ad usufruire<br />

del servizio sanitario per dare<br />

risposte a problemi che sono spesso di<br />

natura sociale 36 , intendendo con questa<br />

la somma di questioni legate al progetto<br />

migratorio, in atto o fallito, al confronto<br />

fra la cultura di provenienza e<br />

quella del luogo in cui vivono, ma anche<br />

alla mutate condizioni di vita caratterizzate<br />

paradossalmente da maggior<br />

benessere.<br />

Il sintomo di un malessere percepito ed<br />

esibito dalle persone in stato di grave<br />

emarginazione, italiane e straniere, somatizza,<br />

in realtà, un reale stato di disagio<br />

esistenziale di fronte al quale la<br />

persona, talvolta, si “arrende”.<br />

Nell’ambito di questa analisi, che chiariamo<br />

non è un confronto fra le fasce<br />

di popolazione italiana e straniera, è<br />

necessario introdurre ulteriori variabi-<br />

49


Tematica<br />

li che complessificano la questione del<br />

godimento del diritto alla salute.<br />

Oltre alla difficoltà circa l’accesso ai servizi<br />

sia per motivi burocratici, come la<br />

mancanza della residenza anagrafica<br />

accennata precedentemente, sia per la<br />

scarsa visibilità e vivibilità degli stessi<br />

37 , è necessario considerare l’as<strong>senza</strong><br />

di altri elementi che riteniamo necessari:<br />

essi sono un luogo dove fisicamente<br />

è possibile curarsi e la mancanza<br />

del denaro eventualmente necessario<br />

per l’acquisto delle medicine.<br />

A fronte di una percentuale molto alta<br />

di afflusso alle strutture ci sembra sia<br />

possibile individuare con precisione i<br />

servizi erogati, le prestazioni specialistiche<br />

ed i farmaci distribuiti, di meno<br />

tutto il percorso che si presume caratterizzi<br />

il post intervento sanitario.<br />

Cogliamo un “abbandono” a loro stessi<br />

che richiama e richiede alle associazioni<br />

di promuovere percorsi diversi,<br />

orientati ad una educazione sanitaria<br />

che prepari l’intervento ridando al soggetto<br />

la coscienza del bisogno, strutturi<br />

forme di accoglienza e di risposta flessibili<br />

e progetti un dopo per il mantenimento<br />

delle relazioni e la prosecuzione<br />

delle eventuali terapie ad un livello<br />

qualitativamente alto.<br />

CENNI CIRCA LO STATO DI SA-<br />

LUTE DEI SENZA DIMORA<br />

Una indagine epidemiologica, di natura<br />

longitudinale, circa le patologie<br />

delle persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> non è ancora<br />

stata prodotta; ribadendone la necessità<br />

analizziamo alcune informazioni<br />

provenienti da una ricerca promossa<br />

e condotta nell’anno duemila dal<br />

<strong>Servizi</strong>o di Medicina Preventiva delle<br />

Migrazioni, del Turismo e di Derma-<br />

50<br />

tologia Tropicale dell’Istituto San Gallicano<br />

(IRCCS) di Roma.<br />

Sinteticamente i dati confermano che<br />

la condizione di salute delle persone<br />

<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> è spesso determinata da<br />

un’alta esposizione a fattori di rischio<br />

nocivi per la salute, un’alta esposizione<br />

a traumi, incidenti e violenze, un’alta<br />

prevalenza di malattie, un insufficiente<br />

accesso all’assistenza sanitaria,<br />

un’alta mortalità. Tutto questo orienta<br />

la riflessione e ci permette di cogliere<br />

come l’elemento strada sia per chi vi<br />

è da lungo tempo, sia per chi vi è da<br />

poco arrivato è uno spazio dove il corpo,<br />

diventa sempre più oggetto sottoposto<br />

alle avversità e alle vicissitudini<br />

di un quotidiano orientato alla sopravvivenza.<br />

Non vanno dimenticati alcuni<br />

comportamenti dannosi per la salute<br />

quali il fumo, l’alcool e le droghe<br />

che incrementano lo stato di disagio<br />

sanitario della persona creando le condizioni<br />

perché un circolo vizioso determini,<br />

secondo modalità cicliche, una<br />

evoluzione dello stato di salute sempre<br />

più precario 38 .<br />

Le patologie di cui sono portatori i soggetti<br />

<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> alcune volte non sono<br />

particolarmente gravi, fra queste<br />

troviamo problemi cutanei, gastrointestinali<br />

e infettivi, evidentemente prodotti<br />

da fattori quali l’impossibilità di<br />

gestire la propria nutrizione in modo<br />

adeguato e controllato, la possibilità di<br />

vedere garantita la propria igiene personale<br />

attraverso l’accesso non sporadico<br />

ai servizi doccia, il contatto con la<br />

strada e i suoi spazi i quali, veicolano<br />

numerosi agenti patogeni. Altre situazioni<br />

patologiche caratterizzano diversamente<br />

lo stato di salute del <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>,<br />

fra esse ricordiamo tutte le situa-


zioni di disabilità fisica come la mancanza<br />

di un arto o l’utilizzo di ausili<br />

ortopedici.<br />

Una classificazione delle principali patologie<br />

evidenzia importanti informazioni.<br />

Gruppi di patologie più frequenti per genere<br />

- (valori percentuali)<br />

Gruppi di patologie<br />

Infettive<br />

Gastrointestinali<br />

Psichiche<br />

+ Sistema nervoso<br />

Cutanee<br />

Malesseri a specifici<br />

Respiratori<br />

Traumi<br />

Ematologiche<br />

+ ormonali<br />

Genitourinario<br />

Circolatorie<br />

Osteomuscolari<br />

Tumorali<br />

TOTALI<br />

Uomini<br />

14,8<br />

3,3<br />

1,6<br />

0,6<br />

1,6<br />

0,4<br />

0,6<br />

0,8<br />

1,9<br />

1,0<br />

0,4<br />

0,2<br />

27,4<br />

Donne<br />

28,8<br />

8,8<br />

10,7<br />

3,9<br />

4,3<br />

3,1<br />

3,5<br />

3,3<br />

2,1<br />

2,3<br />

1,4<br />

0,4<br />

72,6<br />

Totale<br />

43,6<br />

12,1<br />

12,3<br />

4,5<br />

6,0<br />

3,5<br />

4,1<br />

4,1<br />

3,9<br />

3,3<br />

1,9<br />

0,6<br />

100<br />

Fonte: <strong>Servizi</strong>o di Medicina Preventiva delle Migrazioni,<br />

del Turismo e di Dermatologia Tropicale dell’Istituto<br />

San Gallicano (IRCCS) di Roma<br />

Un primo aspetto di grande impatto,<br />

che avrebbe bisogno di una indagine<br />

supplementare di natura qualitativa,<br />

riguarda il dato di genere; la tabella<br />

precedente mostra una percentuale assolutamente<br />

sbilanciata sul disagio femminile<br />

39 . I dati raccolti, incrociati con le<br />

statistiche circa le diagnosi effettuate,<br />

rivelano la netta prevalenza di patologie<br />

infettive contratte presumibilmente<br />

dalla stretta relazione vissuta in<br />

spazi della strada con soggetti a loro<br />

volta portatori di infezioni nonché dal-<br />

Tematica<br />

lo scambio di beni e oggetti personali<br />

che diventano veicolo di infezione (siringhe<br />

e arnesi metallici nel caso dell’epatite<br />

ma anche piatti, bicchieri, abiti<br />

ed indumenti non puliti, ecc…). Altre<br />

informazioni ci provengono dall’analisi<br />

delle diagnosi effettuate presso gli<br />

ambulatori collegati all’Istituto san Gallicano.<br />

Prime dieci diagnosi più frequenti per genere<br />

- (valori percentuali)<br />

Diagnosi<br />

Epatite virale A<br />

Epatite virale B<br />

Dipendenza<br />

da eroina<br />

Epatite virale C<br />

Infezione<br />

delle vie urinarie<br />

Epatomegalia<br />

Dipendenza<br />

da Alcool<br />

Dermatofitosi<br />

Dipendenza<br />

da Cocaina<br />

Gastrite e duodenite<br />

Uomini<br />

30,0<br />

18,6<br />

5,9<br />

5,7<br />

2,8<br />

2,8<br />

3,6<br />

1,6<br />

2,0<br />

1,6<br />

Donne<br />

12,6<br />

6,3<br />

1,2<br />

0,6<br />

1,8<br />

1,0<br />

0,0<br />

0,8<br />

0,4<br />

0,6<br />

Totale<br />

42,5<br />

24,9<br />

7,1<br />

6,3<br />

4,7<br />

3,8<br />

3,6<br />

2,4<br />

2,4<br />

2,2<br />

Fonte: <strong>Servizi</strong>o di Medicina Preventiva delle Migrazioni,<br />

del Turismo e di Dermatologia Tropicale dell’Istituto<br />

San Gallicano (IRCCS) di Roma<br />

Fra le informazioni riportate notiamo<br />

come la patologia psichiatrica 40 , seppur<br />

presente in misura significativa nella<br />

tabella dei gruppi di patologie più frequenti<br />

(12,3 %), non rientra fra le prime<br />

dieci diagnosi effettuate, questo ad<br />

una prima interpretazione può significare<br />

che l’insorgenza di manifestazioni<br />

psichiatriche lievi ascrivibili alla sopraccitata<br />

categoria può essere il frutto<br />

di una più stretta relazione fra medico<br />

e paziente volta a riconsiderare tutto<br />

l’insieme della persona e non solo le<br />

51


Tematica<br />

acuzie a carattere infettivo o dermatologico.<br />

Ancora una volta riscopriamo<br />

come il modello medico sanitarizzante<br />

rischia di essere deficitario in confronto<br />

ad un modello capace di salvaguardare<br />

tutte le dimensioni esistenziali del<br />

soggetto (psichica, biologica e sociale)<br />

che pone al tempo stesso le condizioni<br />

perché esse si esprimano.<br />

Il tema appena accennato circa la<br />

coscienza dell’essere malati, o forse dovremmo<br />

dire della necessità di mantenersi<br />

in salute, è un dato che assume<br />

caratteristiche diverse a seconda<br />

del livello di istruzione. Come hanno<br />

rilevato Vinei e Capri (1994) la modalità<br />

d’uso dei servizi sanitari, siano essi<br />

pubblici o sanitari, variano a seconda<br />

del livello di istruzione, ma ancora<br />

più si evidenzia l’esistenza di una<br />

chiara associazione tra la classe sociale<br />

(misurata a partire dalla condizione<br />

professionale e dal titolo di studio) e<br />

la probabilità di avere una malattia in<br />

stadio più avanzato al momento del<br />

ricovero. Non solo, dobbiamo rilevare<br />

anche come le persone sono diversamente<br />

curate ed hanno un diverso accesso<br />

ai servizi sanitari a seconda del<br />

livello di reddito ed ancora, del diverso<br />

livello di istruzione. Poiché la maggior<br />

parte dei <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> ha un livello<br />

di istruzione medio basso (le statistiche<br />

ci dicono che solo il 12% ha una<br />

licenza media superiore o una laurea<br />

41 ) vediamo realizzata un nefasta<br />

profezia che si auto avvera capace di condurre<br />

la persona a rinunciare all’accesso<br />

secondo quella pratica tipica dei<br />

<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> definita "adattamento<br />

per rinuncia" (Gui, 1995). In realtà tale<br />

“scacco” è anche determinato da altri<br />

fattori e dall’intreccio di storie e fatti<br />

52<br />

che hanno caratterizzato e caratterizzano<br />

la relazione del soggetto con il<br />

mondo esterno. Dinieghi, mancanza<br />

di flessibilità e disponibilità ad una presa<br />

in carico di natura olistica conducono<br />

inevitabilmente la persona ad una<br />

resa che si specifica su ogni piano: su<br />

quello sociale, su quello della salute<br />

mentale su quello del benessere più in<br />

generale.<br />

Credo sia possibile affermare che per le<br />

persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>, anche quelle<br />

maggiormente strutturate, la percezione<br />

del proprio corpo sia sempre oggettivamente<br />

difficile nel confronto con<br />

una “normalità” ed una diffusa “percezione<br />

sociale” che fa del proprio corpo<br />

oltre che il mezzo per la relazione<br />

con gli altri anche la sede di un benessere<br />

visibile. Ci troviamo in un clima<br />

di società del fitness nella quale c’è un<br />

paradossale bisogno di esorcizzare<br />

qualcosa o qualcuno allo scopo di affermare<br />

e confermare un generale<br />

“ben-essere”. La marginalizzazione, vale<br />

la pena ricordarlo, è anche un processo<br />

eteroindotto nel quale chi ha meno<br />

strumenti di interpretazione critica<br />

vi soccombe.<br />

Il corpo, nella visione del <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>,<br />

che diventa oggetto è ciò che può<br />

essere sottoposto ad altre regole. Dal<br />

momento che gli oggetti possono essere<br />

alienati, manipolati, scambiati, venduti<br />

o comperati non c’è da stupirsi<br />

che in alcuni casi avvenga questa trasformazione:<br />

la persona <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong><br />

arriva a considerare il proprio corpo come<br />

puro oggetto, con pura oggettualità.<br />

Prostituzione, esercizio della sessualità<br />

in luoghi pubblici, assolvimento<br />

dei bisogni fisiologici dove capita,<br />

superano il problema del pudore e del


vincolo morale e accedono alla sfera<br />

della pura espressione istintuale della<br />

risposta ad un bisogno di natura fisiologica<br />

o pulsionale in quel momento<br />

impellente. Non è fuori luogo domandarsi,<br />

in conclusione di questi brevi<br />

cenni sulla salute dei <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>,<br />

quale percorso riabilitativo ed educativo<br />

debba essere pensato o quali spazi<br />

debbano essere strutturati per rispondere<br />

ad una domanda, inespressa quanto<br />

inevasa, di maggiore dignità.<br />

UN’AREA PROBLEMATICA: LA SA-<br />

LUTE MENTALE<br />

Fra i vari interventi sanitari il tema della<br />

salute mentale è vieppiù considerato,<br />

nella situazione delle persone <strong>senza</strong><br />

<strong>dimora</strong>, come un dato che appartiene<br />

alla normalità della condizione esistenziale<br />

di chi vive in strada; in questo<br />

approccio peraltro un equivoco è presente.<br />

Innanzitutto dobbiamo rilevare<br />

che prima di parlare di malattia mentale<br />

è più corretto considerare il percorso<br />

progressivo che caratterizza l’evoluzione<br />

o la involuzione del benessere<br />

del soggetto 42 . Parlare quindi di malattia<br />

mentale significa spesso, nel caso<br />

delle persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>, riconoscere<br />

un processo in atto e non solo una<br />

situazione cronica definibile tramite gli<br />

strumenti diagnostici ad oggi in uso.<br />

Spesso si equivoca ritenendo che la malattia<br />

mentale possa essere un dato precedente<br />

all’arrivo in strada, la cui genesi<br />

complessa assomma fattori biologici,<br />

economici, educativi, familiari, sociali<br />

43 . È più probabile invece che, la<br />

strada ponga il soggetto nella condizione<br />

di difendersi, peraltro con scarsi risultati,<br />

dagli attacchi e dalle sollecitazioni<br />

del mondo, e crei le condizioni<br />

Tematica<br />

per l’insorgere di disturbi progressivamente<br />

cronici. In entrambi le situazioni<br />

c’è un innalzamento delle barriere<br />

dell’Io così serio da diventare in alcuni<br />

casi realmente fisico 44 .<br />

La questione si rende complessa se pensiamo<br />

che l’intervento, a favore delle<br />

persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>, assume carattere<br />

residuale nel momento in cui i servizi<br />

non offrono garanzie in termini di<br />

presa in carico e continuità nella relazione<br />

e nella cura che deve essere promossa<br />

e attivata. L’adduzione di motivazioni<br />

quali l’impossibilità di seguire la<br />

persona perché non in possesso di un<br />

domicilio (un giaciglio) fisso o perché<br />

incapace di mantenere tempi e modalità<br />

della relazione (ancora una volta<br />

ci scontriamo con la richiesta che l’utente<br />

assuma gli schemi di relazione<br />

definiti dalla struttura) hanno condotto<br />

nel corso di alcuni anni di pratica e<br />

riflessione a pensare a nuove modalità<br />

e a nuove strategie di intervento capaci<br />

di avvicinare e supportare il <strong>senza</strong><br />

<strong>dimora</strong> nel suo percorso di progressivo<br />

benessere esistenziale e psicologico.<br />

E’ importante comunque chiarire che<br />

proporre un intervento a carattere altamente<br />

professionale, promosso spesso<br />

dal privato sociale, non significa necessariamente<br />

assumersi una responsabilità<br />

che spetta di competenza al settore<br />

pubblico, semmai si evidenzia<br />

quanto deve poter essere flessibile un<br />

intervento che nella sua complessità<br />

richiede l’integrazione di diverse competenze<br />

sia di natura medica che di natura<br />

sociale. Appunto parliamo di Psichiatria<br />

Sociale 45 come una lettura dell’intervento<br />

che ha promosso l’azione, per<br />

alcuni aspetti innovativa, chiamata Psichiatria<br />

di Strada.<br />

53


Tematica<br />

L’esperienza condotta sul territorio Milanese<br />

da alcuni operatori professionali<br />

46 comunica principalmente la concreta<br />

possibilità di una integrazione sociosanitaria<br />

capace di programmare ed<br />

articolare un intervento a partire da<br />

una collocazione reticolare delle risorse<br />

e degli strumenti a disposizione.<br />

Questa esperienza nasce anche dalla<br />

convinzione che "alcune prassi psichiatriche<br />

sono efficaci ma possono esserlo<br />

ancor più se integrate con il diritto<br />

della persona di vedere promossa la<br />

propria dignità". Si riconosce infatti da<br />

più parti che "usare psicofarmaci va bene<br />

solo se contemporaneamente ad altre<br />

strategie terapeutiche, che l’ospedalizzazione<br />

se si protrae oltre lo stretto<br />

limite del contenimento produce<br />

danni difficilmente correggibili",ma ancora<br />

che "i diversi approcci alla malattia<br />

risultano validi ed efficaci purché<br />

inseriti in un piano d’azione orientato<br />

a fornire un aiuto globale e che il<br />

carattere multicausale della malattia<br />

deve condurre gli operatori ad evitare<br />

analisi di semplice causa - effetto<br />

orientandosi viceversa verso una interpretazione<br />

della storia della persona e<br />

della sua evoluzione psichica" (Battiston<br />

, 2003).<br />

Il fine dell’intervento promosso muove<br />

anche da un secondo ordine di premesse:<br />

la persona <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> debolmente<br />

strutturata difficilmente si rivolge<br />

ad un servizio neanche quando è in<br />

pericolo la sua vita, se allora si ravvisa<br />

la necessità, oltre che la possibilità,<br />

di un intervento che tuteli il soggetto<br />

è auspicabile disporre di nuove strategie<br />

di intervento capaci di andare incontro<br />

al soggetto laddove esso “<strong>dimora</strong>”.<br />

La pratica del contatto in strada,<br />

54<br />

della relazione che gradatamente diventa<br />

significativa, che apre a spazi di<br />

relazione nei quali è possibile intravedere<br />

una espressione di sé dice nuovi<br />

e reali criteri di intervento orientati al<br />

benessere del soggetto <strong>dimora</strong>nte in<br />

strada.<br />

Riassumendo gli obiettivi dell’intervento<br />

possono essere ricondotti ai seguenti<br />

punti:<br />

• ricercare e contattare le p.s.d. sul territorio<br />

laddove esse si trovano;<br />

• offrire uno spazio relazionale strutturato<br />

in spazi e luoghi de-strutturati;<br />

• agganciare la p.s.d. e progettare insieme<br />

un percorso capace di aumentare<br />

la consapevolezza del disagio psichiatrico<br />

favorendo al tempo stesso<br />

la strutturazione di un rapporto;<br />

• fornire un servizio di “appoggio” ai<br />

servizi territoriali garantendo il mantenimento<br />

della relazione in strada<br />

anche a coloro che già frequentano<br />

i servizi stessi;<br />

• elaborare una strategia consensuale<br />

e condivisa di Community Care.<br />

In questi obiettivi ritroviamo una più<br />

ampia prospettiva di intervento che il<br />

Battiston riassume in due punti: il primo<br />

comunica l’urgenza di liberare le risorse,<br />

spesso sconosciute dal paziente<br />

stesso, così che la persona recuperi o<br />

scopra la capacità di attribuire senso<br />

e significato alle proprie attività assumendone<br />

la responsabilità e l’autonomia<br />

come dimensioni costitutive del<br />

suo agire, il tutto verso traguardi raggiungibili.<br />

Il secondo prospetta la necessità<br />

di avere soggetti capaci di vivere<br />

la loro reale condizione all’interno di<br />

una comunità di persone <strong>senza</strong> ricer-


care necessariamente lucidità e genialità<br />

irraggiungibili. Questo movimento<br />

chiede al territorio di farsi carico di questi<br />

malati, riconoscendo che i servizi sanitari<br />

sono solo uno dei soggetti chiamati<br />

ad intervenire per affrontare questa<br />

patologia.<br />

Tutto questo amplifica la questione riportando<br />

al centro l’autenticità e la dignità<br />

della persona soggetto e non oggetto<br />

di terapie avulse dalla realtà e<br />

orientate ad un semplice contenimento.<br />

L’esperienza citata ha avuto una valutazione<br />

positiva anche da parte delle<br />

persone coinvolte nel processo soprattutto<br />

grazie al fatto che hanno potuto<br />

ritrovare con l’ausilio degli operatori<br />

tempi e spazi di relazione maggiormente<br />

(ri)creativi della propria dimensione<br />

esistenziale e progettuale.<br />

PERCORSI DI ACCOMPAGNAMEN-<br />

TO AL DIRITTO E BUONE PRASSI<br />

Nel ripercorrere il tema del diritto alla<br />

salute si sono cercati quegli elementi<br />

che, nei presupposti e nella pratica, mostrassero<br />

limiti e potenzialità di un intervento<br />

tanto più urgente quanto imprescindibile<br />

nell’azione di aiuto e supporto<br />

alle persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>; ci accorgiamo<br />

peraltro di alcune contrapposizioni<br />

che vedono da un lato, pratiche<br />

di natura tipicamente assistenziale,<br />

supportate peraltro da una logica<br />

che vede i poveri come destinatari di<br />

quel “più” che viene prodotto in misura<br />

sovrabbondante rispetto alle necessità,<br />

e dall’altro pratiche orientate<br />

dal desiderio di promozione, ovvero<br />

capaci di conservare il desiderio dell’essere<br />

con oltre un generico essere per.<br />

Il tema della salute in un certo qual<br />

modo li supera entrambe e chiede una<br />

Tematica<br />

ricentratura sul soggetto e sulla singolarità<br />

affinché emerga una dignità spesso<br />

sottaciuta e marginalizzata.<br />

In questo è opportuno prospettare un<br />

duplice orientamento: da un lato il favorire<br />

politiche sociali in grado di<br />

aumentare protagonismo e partecipazione<br />

dei soggetti che vivono in stato<br />

di povertà, dall’altro identificare buone<br />

prassi circa il funzionamento delle<br />

strutture sanitarie rivolte alle persone<br />

<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>.<br />

Circa il primo aspetto, qui accennato<br />

brevemente, emerge il dibattito su quale<br />

forma di Welfare sia possibile investire<br />

perché alcuni diritti siano garantititi;<br />

da almeno quindici si teorizza da<br />

un lato la fine della conosciuta forma<br />

di Welfare State 47 , dall’altro si stenta a<br />

trovare una valida alternativa, si parla<br />

infatti di Welfare Mix, Welfare Community,<br />

Community Care, ecc… Non intendiamo,<br />

in questa sede, proporre nuovi<br />

paradigmi interpretativi circa future<br />

politiche orientate al benessere personale<br />

e collettivo ma desideriamo recuperare<br />

ciò che riteniamo valido per<br />

un efficace intervento in materia di tutela<br />

della salute delle persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>.<br />

Siamo concordi con l’assioma che attualmente<br />

tutto il tema delle vecchie<br />

povertà si lega fondamentalmente alla<br />

dimensione interrelazionale, anche detta<br />

nuova povertà, o per dirla in altro<br />

modo alle relazioni interpersonali, e che<br />

questa subisce quello che potremmo<br />

definire un deficit di socialità.<br />

Con deficit di socialità crediamo si esprima<br />

un sottoprodotto degli stili sia<br />

di vita sia di relazione capace di generare<br />

disagio per poi abbandonarlo a se<br />

stesso.<br />

55


Tematica<br />

In questo senso possiamo ribadire l’urgenza<br />

di prassi di (ri)connessione, di<br />

(ri)socializzazione, di (ri)attivazione di<br />

spazi di socialità capaci di (ri)centrare<br />

il soggetto nel proprio contesto di vita.<br />

Ci si accorge peraltro di una questione<br />

che pronuncia la possibilità, considerando<br />

tipologia ed abitudini delle persone<br />

<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>, di beneficiare di<br />

uno spazio attivo dove vedere promosse<br />

queste istanze. La possibile risposta<br />

lascia intravedere luoghi dove, attraverso<br />

un processo attivo e partecipato,<br />

la persona <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> possa (ri)conoscersi<br />

giungendo alla fine a cogliersi<br />

realmente membro di una comunità.<br />

Una comunità di relazioni e quindi<br />

una comunità di persone attive o passive<br />

secondo il grado di partecipazione<br />

che sono in grado di attivare.<br />

Orientando quanto detto, oltre una<br />

semplice soddisfazione del bisogno che<br />

comunque è necessario e imprescindibile,<br />

intravediamo la diffusione di<br />

una cultura della prossimità. Questo significa<br />

che un nuovo modello di Welfare<br />

non deve solo dirigersi verso una<br />

ri-organizzazione dei servizi o delle<br />

pratiche di controllo o ancora verso una<br />

Costumer Satisfaction ma anche corresponsabilizzando<br />

gli attori del territorio<br />

qualunque sia la loro professionalità<br />

implementando strategie di sussidiarietà<br />

verticale positiva. In definitiva<br />

ci sentiamo coinvolti in un percorso che<br />

ci vede tutti protagonisti e responsabili<br />

del bene(essere) comune nella convinzione<br />

che è possibile pensare a definire<br />

strategie di contrasto alla povertà<br />

all’interno di una riflessione programmatica<br />

più ampia includendo, in modo<br />

imprescindibile, gli attori e i destinatari<br />

di quanto pensato.<br />

56<br />

Crediamo inoltre che anche la persona<br />

<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> dovrebbe incrementare<br />

il proprio ruolo nel processo di definizione<br />

delle strutture di supporto al benessere;<br />

la già citata forma dell’associazionismo<br />

fra persone con una passata<br />

esperienza di vita in strada promuove<br />

questa direzione assumendo,<br />

di fatto, una logica già sperimentata e,<br />

spesso, vincente quale il mutual help 48 .<br />

Riconosciamo l’esistenza e la bontà di<br />

questo strumento affinché la solidarietà,<br />

la prossimità e la condivisione emergano<br />

con forza e orientino il soggetto<br />

verso la definizione di obiettivi di tutela<br />

del sé; difatti il superamento della<br />

dipendenza al tempo stesso pone la<br />

persona nella condizione di essere maggiormente<br />

consapevole delle proprie<br />

risorse, finanche in misura scarsa o dimenticate.<br />

L’altro versante della nostra riflessione<br />

invece desidera concludere con quelle<br />

che proviamo a definire buone prassi<br />

per la tutela e la promozione del diritto<br />

alla salute in soggetti in stato di<br />

povertà. Crediamo, cioè, che alcune politiche<br />

di intervento potranno acquisire<br />

maggiore forza solo se accompagnate<br />

da interventi che, pur non essendo<br />

di natura medico sanitaria, saranno<br />

in grado di impostare la questione in<br />

un ambito decisamente ampio ed integrato.<br />

Ragionando per fasi, non necessariamente<br />

sequenziali fra loro, intravediamo<br />

alcuni passaggi obbligati.<br />

Un primo riguarda l’azione concreta di<br />

aiuto (di assistenza sanitaria) prodotta<br />

a favore del soggetto che chiede.<br />

Essa deve potersi strutturare certamente<br />

a seconda delle risorse disponibili ma<br />

anche caratterizzandosi per professio-


nalità ed efficienza; evitando, il più possibile,<br />

la strutturazione di interventi secondo<br />

logiche residuali dettate dalla<br />

scarsità delle risorse o dalla convinzione<br />

che, ad esempio, la semplice visita<br />

generica possa essere condotta <strong>senza</strong><br />

che sia previsto un eventuale proseguimento<br />

dell’azione terapeutica o diagnostica.<br />

Un secondo dice che il supporto alla<br />

persona deve poter allora comprendere<br />

l’accompagnamento ai servizi territoriali<br />

facendo, laddove è necessario, da<br />

ponte con il sistema sanitario strutturando<br />

alleanze e strategie capaci di considerare<br />

la salute come un bene comune<br />

e non solo come l’as<strong>senza</strong> di malattia<br />

del singolo.<br />

Il terzo comunica l’urgenza di agevolare<br />

una rete di interventi a supporto della<br />

persona in grado di promuovere una<br />

evoluzione dell’integrità psicofisica ponendo<br />

attenzione affinché ciò che viene<br />

proposto e scelto sia articolato ed integrato.<br />

Ultimo, ma non meno importante, la<br />

questione dell’intervento considerando<br />

che gli operatori sia del pubblico sia<br />

del privato sociale debbono possedere<br />

sufficienti competenze sociali da affiancare<br />

a quelle medico sanitarie perché l’integrazione<br />

dei bisogni parte dalla capacità<br />

che essi vengano accolti nella loro<br />

complessità.<br />

Tutto quanto prospettato rischia di essere<br />

solo una possibilità fra le tante<br />

poiché ci accorgiamo come le ragioni<br />

della politica e quelle dell’economia<br />

orientano una politica sanitaria disattenta<br />

e fratturante tra valori sociali attesi<br />

e pratiche di welfare disattese.<br />

In conclusione vorremmo ricordare che<br />

il dibattito si pone non solo sul piano<br />

Tematica<br />

della salute ma anche su altri temi quali<br />

il diritto alla casa, il diritto al lavoro,<br />

il diritto all’istruzione e non ultimo<br />

quello all’assistenza. Essi sono peraltro<br />

posti sotto attacco e continuamente ridiscussi<br />

a seconda degli orientamenti e<br />

delle scelte economiche del momento.<br />

Ciò di cui c’è invece bisogno è una<br />

prospettiva (etica) che (ri)centri le dinamiche<br />

che intercorrono fra soggetto e<br />

Stato secondo una ratio rispettosa della<br />

singolarità e della imprescindibile valenza<br />

fondativa del soggetto umano.<br />

1 Circa la definizione di Persona <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> è necessario<br />

premettere che non esiste una definizione<br />

unica e condivisa; possiamo comunque riassumere<br />

le interpretazioni maggiormente utilizzate dicendo<br />

che individuiamo situazioni di disagio nelle<br />

quali cause o eventi di carattere soggettivo, sommati<br />

ad altri di tipo oggettivo, provocano nel tempo<br />

rotture e isolamento dalle reti sociali; per questo,<br />

quando parliamo delle Persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> par<br />

tiamo dalla peculiarità multidimensionale di questo<br />

disagio. Si assiste frequentemente ad una condizione<br />

di cronicità ma rispetto a questo v’è da<br />

chiarire che l’approfondimento delle relazioni di<br />

aiuto e conoscenza fra gli operatori e le persone<br />

<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> evidenzia l’esatto contrario. La definizione<br />

di Persona <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> contiene tre<br />

aspetti che si integrano e si autoalimentano: pre<strong>senza</strong><br />

contemporanea di bisogni e problemi diversi:<br />

in queste persone si sommano condizioni di<br />

malattia, tossicodipendenza o alcoolismo, isolamento<br />

dalle reti familiari e sociali, difficoltà nelle relazioni<br />

interpersonali; progressività del percorso: nel<br />

tempo le condizioni di disagio interagiscono, si<br />

consolidano e si aggravano, diventando un processo<br />

che si autoalimenta anche attraverso successive<br />

rotture e perdite progressive di ruolo e di riconoscimento,<br />

nel lavoro, in famiglia, nel territorio,<br />

e a fronte di scarsità di risorse economiche,<br />

ma anche affettivo-relazionali, ciò genera condizioni<br />

di fragilità tali da rendere la persona non più<br />

in grado di contrastare il processo di espulsione;<br />

difficoltà nel trovare accoglienza e risposte appropriate<br />

nei servizi istituzionali per le elevate barriere<br />

di accesso.<br />

2 La Dichiarazione non costituisce un documento<br />

giuridicamente vincolante, ma i suoi contenuti sono<br />

stati tradotti in forma giuridicamente vincolante in<br />

due trattati adottati nel 1966: il Patto Internazio-<br />

57


Tematica<br />

58<br />

nale sui diritti economici, sociali e culturali e il<br />

Patto Internazionale sui diritti civili e politici.<br />

Insieme alla Dichiarazione Universale, tali Patti<br />

Umani. L’art.25 della Dichiarazione Universale dei<br />

diritti umani, cita testualmente: "Ogni individuo<br />

ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire<br />

la salute e il benessere proprio e della sua famiglia<br />

con particolare riguardo all'alimentazione,<br />

al vestiario, all'abitazione, e alle cure mediche e ai<br />

servizi sociali necessari; ed ha diritto alla sicurezza<br />

in caso di disoccupazione, malattia, invalidità vedovanza,<br />

vecchiaia o in ogni altro caso di perdita<br />

dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti<br />

dalla sua volontà".<br />

3 Art. 2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti<br />

inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle<br />

formazioni sociali ove si svolge la sua personalità,<br />

e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili<br />

di solidarietà politica, economica e sociale.<br />

Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e<br />

sono eguali davanti alla legge, <strong>senza</strong> distinzione<br />

di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni<br />

politiche, di condizioni personali e sociali. È<br />

compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli<br />

di ordine economico e sociale, che, limitando di<br />

fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono<br />

il pieno sviluppo della persona umana e<br />

l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione<br />

politica, economica e sociale del Paese.<br />

Art. 32. La Repubblica tutela la salute come fondamentale<br />

diritto dell'individuo e interesse della<br />

collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.<br />

Nessuno può essere obbligato a un determinato<br />

trattamento sanitario se non per disposizione di<br />

legge. La legge non può in nessun caso violare i<br />

limiti imposti dal rispetto della persona umana.<br />

4 Esemplifichiamo il processo di desatellizazione delle<br />

competenze / prestazioni dallo stato alle regioni<br />

in materia sanitaria prendendo come riferimento<br />

i Livelli Essenziali di Assistenza sanitaria (LEA).<br />

Questi sono le prestazioni e i servizi che il <strong>Servizi</strong>o<br />

Sanitario Nazionale (SSN) è tenuto a garantire<br />

a tutti i cittadini, gratuitamente o in compartecipazione,<br />

grazie alle risorse raccolte attraverso il sistema<br />

fiscale; ricordiamo che le prestazioni e i servizi<br />

inclusi nei LEA rappresentano il livello “essenziale”<br />

garantito a tutti i cittadini ma le Regioni<br />

possono utilizzare risorse proprie per garantire servizi<br />

e prestazioni ulteriori rispetto a quelle incluse<br />

nei LEA. Il percorso che ha condotto alla definizione<br />

dei LEA prende spunto dall'articolo articolo<br />

1 del decreto legislativo 19 giugno 1999, n.229;<br />

preceduto da altri atti formali e da un confronto<br />

con la Conferenza Stato Regioni, il 29 novembre<br />

2001 è stato emanato un D.P.C.M. avente per oggetto<br />

la Definizione dei livelli essenziali di assistenza.<br />

5 L’OMS afferma testualmente all’art.1 del proprio<br />

atto costitutivo che l’obiettivo è quello del raggiungimento,<br />

da parte di tutti i popoli, del più alto<br />

livello possibile di salute. E nel preambolo si<br />

dice che: "la salute (…) è uno stato di completo<br />

benessere fisico, mentale e sociale e non meramente<br />

as<strong>senza</strong> di malattie o infermità".<br />

6 Il termine è usato da P. Freire come elemento tipico<br />

all’interno della sua visione pedagogica.<br />

7 Se vogliamo è un esempio strano ma anche moderno<br />

poiché nel rapporto con la Pubblica Amministrazione<br />

essa esprime di norma un potere che<br />

sovrasta il diritto soggettivo. In questo caso si è<br />

voluto mostrare l’esistenza di un diritto soggettivo<br />

(alla salute) nei confronti del quale il potere della<br />

P.A. deve sottostare.<br />

8 Gli assunti di una simile prospettiva sono confutati<br />

efficacemente da Rawls J. (1971), A theory of<br />

Justice, Harvard University Press, Cambridge [trad.<br />

it. (1982), Una teoria della giustizia, Feltrinelli, Milano].<br />

9<br />

Si veda l’interessante approfondimento di Benassi<br />

(1995).<br />

10 Quasi potremmo dire che l’azione di codifica operata<br />

dai servizi circa l’individuazione di una struttura<br />

nella condizione di fornire una risposta al bisogno<br />

non è affiancata da un’opera di mediazione<br />

interpretativa degli stili e dai tempi richiesti ai soggetti<br />

in stato di povertà per accedere alle prestazioni<br />

stesse.<br />

11 I piani socio sanitari di alcune regioni confermano<br />

in questo senso l’attenzione alle persone in stato<br />

di marginalità grave. Si confronti ad esempio il<br />

piano della Regione Lombardia alle pagg. 159-161.<br />

12 In tal senso occorre ricordare che il messaggio liberista<br />

attualmente in voga tende a confondere le<br />

opportunità con gli strumenti per accedervi.<br />

13 Invitiamo alla visione del testo di Amato (1999).<br />

14 Oggi siamo arrivati alla quinta generazione di diritti<br />

(ad esempio quelli legati alla comunicazione)<br />

<strong>senza</strong> che vengano negati o disattesi diritti come<br />

quelli appartenenti alla sfera della inviolabilità della<br />

persona o quelli che sono anche chiamati diritti<br />

dell’uomo.<br />

15 Per un rapido approfondimento si veda anche Bobbio<br />

(1990), Levinas (1992).<br />

16 Come non ricordare il diritto negato a vedere garantite<br />

le pratiche curative nell’ambito degli interventi<br />

odontoiatrici.


17 Un esempio ben noto è la questua, dove il bene che<br />

viene venduto è l’immagine (pietistica) della persona.<br />

Talvolta questa è accompagnata da giaculatorie<br />

e benedizioni, con il relativo coinvolgimento<br />

del sacro.<br />

18 A tal proposito, sempre rileggendo la questione con<br />

un taglio sui diritti, rimandiamo all’art. 3 D.Lgs.<br />

267/2000 il quale ribadisce un concetto di territorio<br />

quale spazio fisico, cognitivo, affettivo relazionale<br />

ed esistenziale.<br />

19 Un interessante lettura della questione è efficacemente<br />

affrontata da Ceri (2003:5-35).<br />

20 In questo senso desideriamo recuperare alcune intuizioni<br />

enunciate nella L.833/78 per un interesse<br />

affinché si realizzi su vasta scala, attraverso l’educazione<br />

sanitaria, una azione orientata alla promozione<br />

e alla partecipazione sia del singolo sia della<br />

collettività sul tema della salute e della prevenzione.<br />

Questo a maggior ragione potrebbe rientrare<br />

efficacemente negli obiettivi e nei progetti di incontro<br />

e sostegno con le persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>.<br />

21 Desideriamo ricordare che il benessere è tanto maggiore<br />

quanto più significative e funzionali sono le<br />

reti di sostegno alla persona.<br />

22 E’ importante ricordare lo stretto vincolo esistente<br />

fra politiche, interventi sanitari e regionalizzazione<br />

degli stessi; a fronte di questo diverse sono<br />

i vincoli burocratici circa l’accesso ai servizi ed alle<br />

risorse.<br />

23 Per un approfondimento sul tema si veda Mozzanica<br />

(2002), Fogheraiter Donati (1993).<br />

24 La definizione è di M. Tognetti Bordogna (1994).<br />

25 Ricordiamo i Diagnostic Related Group (abbr. D.R.G.)<br />

come un ben noto strumento attraverso il quale avviene<br />

la remunerazione delle strutture sulla base<br />

degli interventi effettuati.<br />

26 Gli scandali contestati a ex ministri e le vicende legate<br />

all’attività di alcuni laboratori di analisi, che<br />

richiedevano rimborsi a fronte di prestazioni non<br />

necessarie con il correo di alcuni medici di famiglia,<br />

altro non fanno che mostrare la fallace organizzazione<br />

del settore sanitario, soprattutto nel rapporto<br />

con il mondo del profit. Queste esperienze<br />

ci suggeriscono come il profilo etico della professione<br />

medica rischia di conciliarsi malamente con<br />

la necessaria moralità di chi è chiamato a gestire<br />

denaro pubblico in un campo come quello della sanità.<br />

27 Definiti peraltro con strumenti di legge quali i piani<br />

sanitari nazionali.<br />

Tematica<br />

28 Lo stato Italiano cita fra i documenti ispiratori delle<br />

proprie politiche sanitarie i cosiddetti Sette principi<br />

di Tavistock: nel 1999 un gruppo di esperti anglosassoni,<br />

il cosiddetto "Gruppo di Tavistock", ha<br />

sviluppato alcuni principi etici di massima che si<br />

rivolgono a tutti coloro che hanno a che fare con<br />

la sanità e la salute e che, non essendo settoriali si<br />

distinguono dai codici etici elaborati dalle singole<br />

componenti del sistema (medici, enti, ecc.). Nel 2000<br />

i cosiddetti 7 principi di Tavistock di seguito riportati<br />

sono stati aggiornati e offerti alla considerazione<br />

internazionale.<br />

a. <strong>Diritti</strong>: i cittadini hanno diritto alla salute e alle<br />

azioni conseguenti per la tutela.<br />

b. Equilibrio: la cura del singolo paziente è centrale,<br />

ma anche la salute e gli interessi della collettività<br />

vanno tutelati. In altri termini non si può evitare<br />

il conflitto tra interesse dei singoli e interesse della<br />

collettività. Ad esempio, la somministrazione di<br />

antibiotici per infezioni minori può giovare al singolo<br />

paziente, ma nuoce alla collettività, in quanto<br />

aumenta la resistenza dei batteri agli antibiotici.<br />

c. Visione olistica del paziente: significa prendersi<br />

cura di tutti i suoi problemi e assicurargli continuità<br />

di assistenza (dobbiamo sforzarci continuamente<br />

di essere ad un tempo specialisti e generalisti).<br />

d. Collaborazione: degli operatori della sanità tra<br />

loro e con il paziente, con il quale è indispensabile<br />

stabilire un rapporto di partenariato.<br />

e. Miglioramento: non è sufficiente fare bene, dobbiamo<br />

fare meglio, accettando il nuovo e incoraggiando<br />

i cambiamenti migliorativi. Vi è sempre ampio<br />

spazio per migliorare, giacché tutti i sistemi<br />

sanitari soffrono di "overuse, underuse, misuse" delle<br />

prestazioni (uso eccessivo, uso insufficiente, uso<br />

improprio).<br />

f. Sicurezza: il principio moderno di "primum non<br />

nocere" significa lavorare quotidianamente per massimizzare<br />

i benefici delle prestazioni, minimizzare<br />

i danni, ridurre gli errori in medicina.<br />

g. Onestà, trasparenza, affidabilità: rispetto della dignità<br />

personale sono essenziali a qualunque sistema<br />

sanitario e a qualunque rapporto tra medico<br />

e paziente.<br />

29 Ricordiamo l’esistenza di un dato relativo alla mortalità<br />

differenziale. Essa colpisce a seconda della<br />

classe sociale; è un fatto già documentato da secoli<br />

che accentua la preoccupazione che il problema<br />

si aggravi a fronte di una gestione privatistica della<br />

sanità, cosa peraltro verificatasi e provata in paesi<br />

come gli Stati Uniti. Questa evidenza, cioè il<br />

fatto che i poveri si ammalano di più e muoiono<br />

più precocemente, potrebbe non essere sufficiente<br />

per garantire uno sviluppo egualitario.<br />

30 Al momento in cui scriviamo è in vigore la L. 189/<br />

2002 (cosiddetta Bossi/Fini).<br />

59


Tematica<br />

31 In particolare art. 33 definisce l’Assistenza sanitaria<br />

per gli stranieri non iscritti al <strong>Servizi</strong>o sanitario<br />

nazionale:<br />

(…) 3. Ai cittadini stranieri presenti sul territorio<br />

nazionale, non in regola con le norme relative all'ingresso<br />

ed al soggiorno, sono assicurate, nei presidi<br />

pubblici ed accreditati, le cure ambulatoriali<br />

ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché<br />

continuative, per malattia ed infortunio e<br />

sono estesi i programmi di medicina preventiva a<br />

salvaguardia della salute individuale e collettiva.<br />

Sono, in particolare, garantiti: la tutela sociale della<br />

gravidanza e della maternità, la tutela della salute<br />

del minore, le vaccinazioni, gli interventi di<br />

profilassi internazionale, la profilassi, la diagnosi<br />

e la cura delle malattie infettive ed eventuale bonifica<br />

dei relativi focolai. (…). 5.<br />

L'accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero<br />

non in regola con le norme sul soggiorno non<br />

può comportare alcun tipo di segnalazione all'autorità'<br />

(…).<br />

32 Esso consentiva di estendere il diritto alle cure ordinarie<br />

e continuative, ed ai programmi di medicina<br />

preventiva, anche gli immigrati irregolari e<br />

clandestini. Tali interventi però non sono mai stati<br />

posti in essere.<br />

33 La ricerca è stata promossa dal Dipartimento degli<br />

Affari Sociali e svolta dalla FIO.psd. Essa è stata<br />

pubblicata su Rapporto biennale sul volontariato<br />

nell’anno duemila.<br />

34 Le città sono state selezionate in base a due criteri:<br />

essere capoluogo di Provincia o Comune superiore<br />

a 100.000 abitanti anche se non capoluogo.<br />

35 Fonte Caritas Ambrosiana (2003).<br />

36 Vogliamo ricordare il tipo di approccio promosso<br />

da alcuni ambulatori del privato sociale i quali,<br />

come nel caso dell’ambulatorio di Roma della Caritas<br />

Diocesana, affiancano ad una competenza medica<br />

una provata capacità di ascolto delle problematiche<br />

di cui sono portatori gli utenti, optando<br />

quindi per la (ri)connessione dei piani biologico,<br />

fisico e sociale.<br />

37 Vogliamo ricordare una concreta difficoltà ad avere<br />

interlocutori in grado di “accogliere” la doman-<br />

60<br />

da che spesso non è ben formulata o non lo è del<br />

tutto creando in tal modo una frattura comunicativa<br />

e la fine di ogni possibile premessa relazionale.<br />

38 In base a recenti studi la commorbilità di malattia<br />

mentale e tossicodipendenza è un dato presente<br />

nel 60% delle persone <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>. Per un utile<br />

approfondimento si veda a riguardo Rigliano, Rancilio<br />

(2003).<br />

39 Il fenomeno qui accennato circa il disagio di genere<br />

comunica altresì l’urgenza di interpretare e<br />

comprendere in quali forme la donna riesca a tutelare<br />

il proprio corpo in risposta alle sollecitazioni<br />

esterne.<br />

40 Qui richiamata in senso ampio <strong>senza</strong> una specificazione<br />

puntuale sulla natura, sul grado e l’intensità.<br />

41 Fonte Caritas Ambrosiana (2003).<br />

42 La malattia mentale è intesa come un esito problematico<br />

di un percorso progressivo caratterizzato<br />

da una sua complessità esistenziale. In questa<br />

progressività sono presenti una situazione generale<br />

di benessere perturbata da un disturbo, con<br />

una eventuale successiva fase di disagio che può<br />

sfociare in una cronicità.<br />

43 La strada anche se non è la causa rende esplicite<br />

ed evidenti alcune acuzie; è questo uno spazio di<br />

natura pubblica, dove esse si manifestano, amplificandone<br />

la portata.<br />

44 Dire fisico dice la stimolazione di almeno tre dei<br />

5 sensi dell’uomo: olfatto, tatto, vista.<br />

45 Per un approfondimento si veda anche AA.VV.<br />

(1980), Perris (1986), De Martis, Putrella, Ambrosi<br />

(1987).<br />

46 Per approfondimenti sul tema è possibile vedere<br />

Caritas Italiana (2003).<br />

47<br />

Per approfondimenti in ambito italiano si veda Girotti<br />

(1998).<br />

48<br />

Per un approfondimento sul tema si veda Tognetti<br />

Bordogna (1994).


BIBLIOGRAFIA<br />

• AA.VV. (1980), Malattia mentale e società, Il Pensiero<br />

Scientifico, Roma.<br />

• Amato S. (1999), “Il Nichilismo e costruzione giuridica<br />

della libertà”, in AA.VV., Spicchi di novecento,<br />

Giappichelli, Torino.<br />

• Battiston F. (2003), “L’assistenza ai malati psichiatrici”,<br />

in Prospettive sociali e sanitarie n°3.<br />

• Benassi D. (1995), “I percorsi di formazione del bisogno”,<br />

in Iard (a cura di), I nuovi poveri in Lombardia,<br />

Quaderni Regionali di <strong>Ricerca</strong>, Regione Lombardia,<br />

n. 1.<br />

• Bertolini P. (2003), Educazione e politica, Raffaello<br />

Cortina, Milano.<br />

• Bobbio N. (1990), L’età dei diritti, Einaudi, Milano.<br />

• Callari Galli M. (1978), “Cultura e territorio”, in Bertolini<br />

P. e Farnè R. (a cura di), Territorio e intervento<br />

culturale, Cappelli, Bologna.<br />

• Caritas Ambrosiana (2003), Rapporto sulle povertà<br />

in diocesi, policopiato, Milano.<br />

• Caritas Italiana (2003), Un dolore disabitato. Sofferenza<br />

mentale e comunità cristiana, E.D.B., Bologna.<br />

• Ceri P. (2003), La società vulnerabile. Quale sicurezza,<br />

quale libertà, Laterza, Bari.<br />

• Comune di Roma (a cura di) (2000), Storie di Barboni<br />

rasati a secco, Armando, Roma.<br />

Tematica<br />

• De Martis, D. Putrella, F. Ambrosi P. (a cura di)<br />

(1987), Fare e pensare in psichiatria - Relazione e istituzione,<br />

Raffaello Cortina, Milano.<br />

• Folgheraiter F., Donati P. (a cura di) (1993), Community<br />

Care. Teoria e pratica del lavoro di rete,<br />

Erickson, Trento.<br />

• Girotti F. (1998), Welfare State. Storia, modelli, critica,<br />

Carocci, Roma.<br />

• Gui L. (1994), L’utente che non c’è, Franco Angeli,<br />

Milano.<br />

• Levinas E. (1992), “I diritti umani e i diritti altrui”,<br />

in Fuori dal soggetto, Marietti, Genova.<br />

• Mozzanica C. M. (2002), Marginalità e devianza. Itinerari<br />

educativi e percorsi legislativi, Monti, Saronno<br />

(Varese).<br />

• Perris C. (1986), Psichiatria sociale, Idelson, Napoli.<br />

• Rawls J. (1971), A theory of Justice, Harvard University<br />

Press, Cambridge, Mass. [trad. it. Una teoria<br />

della giustizia, Feltrinelli, Milano 1982].<br />

• Rigliano P., Rancilio L. (a cura di) (2003), Tossicomania<br />

e sofferenza psichica. Le buone prassi nella<br />

“doppia diagnosi”, Franco Angeli, Milano.<br />

• Tognetti Bordogna M. (1994), “Nuovi attori e nuovi<br />

destinatari delle politiche sociali”, in Ingrosso<br />

M. (a cura di), La salute come costruzione sociale.<br />

Teorie, pratiche, politiche., Franco Angeli, Milano.<br />

• Vineis P., Capri S. (1994), La Salute non è una merce.<br />

Efficacia della medicina e delle politiche sanitarie,<br />

Bollati Boringhieri, Torino.<br />

61


Tematica<br />

ACCOGLIENZA E GESTIONE DI UN<br />

PROCESSO DI AGGANCIO PER<br />

SOGGETTI IN CONDIZIONE GRAVE<br />

MARGINALITÀ<br />

Giacomo Invernizzi - Responsabile Nuovo Albergo Popolare - Bergamo.<br />

Utilizzando il modello organizzativo<br />

per la gestione della prima accoglienza<br />

presente presso il Nuovo Albergo<br />

Popolare si intende mostrare l’evoluzione<br />

dello stato psichico delle persone<br />

che in condizione di grave marginalità<br />

decidono di intraprendere un processo<br />

di lavoro sul sè che li ponga in<br />

condizione di recuperare capacità relazionale<br />

con il contesto di appartenenza.<br />

Il punto di inizio del percorso analizzato<br />

è la situazione di arrivo del soggetto<br />

presso la struttura caratterizzato<br />

da un evidente necessità di supporto<br />

per quanto riguarda la risposta ai bisogni<br />

primari e da uno stato confusionale<br />

rispetto alla capacità di lettura della<br />

sua situazione.<br />

Spesso la persona si riduce a vivere il<br />

contesto come persecutorio ed escludente.<br />

Il punto di arrivo del percorso,<br />

che con il nostro intervento tentiamo<br />

di costruire, è rappresentato dalla condizione<br />

di consapevolezza della propria<br />

situazione che si esplicita nella capacità<br />

di nominare le proprie difficoltà,<br />

e in una capacità decisionale nell’avviare<br />

un percorso di supporto, dentro<br />

una relazione di aiuto.<br />

Quest’ultima rafforzata da una consapevole<br />

fiducia in un possibile esito positivo<br />

rispetto al futuro.<br />

62<br />

Il luogo di osservazione delle evoluzioni<br />

delle rappresentazioni psichiche<br />

è l’incontro di gruppo degli ospiti presenti<br />

nella comunità di prima accoglienza.<br />

Si tratta di un incontro giornaliero<br />

dalla durata di un ora e mezza.<br />

La conduzione è affidata a giorni<br />

alterni al responsabile della comunità,<br />

allo psicologo e all’educatore della prima<br />

accoglienza.<br />

Nella narrazione del processo, accanto<br />

alla riflessione che ha lo scopo di<br />

concettualizzare l’esperienza del gruppo<br />

vengono affiancate delle citazioni<br />

di ospiti tratte dai verbali degli incontri<br />

redatti dall’operatore. Questo oltre<br />

che per avvalorare le riflessioni dello<br />

scritto anche per fornire esempi agli<br />

operatori interessati alla lettura dello<br />

scritto.<br />

Si evidenzia inoltre che il taglio dato<br />

alla lettura evolutiva dell’universo psichico<br />

di soggetti in condizione di grave<br />

marginalità è un taglio pedagogico<br />

che acconsente di rappresentare i vari<br />

passaggi dell’evoluzione psichica e di<br />

dotarsi di strumenti educativi.<br />

In questo modo alla fine di ogni paragrafo,<br />

che rappresenta concettualmente<br />

un nuovo stadio dell’evoluzione psichica,<br />

verranno evidenziati alcuni contenuti<br />

e strumenti educativi particolarmente<br />

significativi per l’intervento.


BREVE DESCRIZIONE DEL SER-<br />

VIZIO<br />

Il servizio di Prima Accoglienza presso<br />

il Nuovo Albergo Popolare è una<br />

comunità alloggio con possibilità di<br />

ospitare 15 persone. Le modalità di accesso<br />

al servizio sono vincolate al colloquio<br />

con l’operatore che gestisce il<br />

flusso delle accoglienze che restano indipendenti<br />

dai tempi di permanenza<br />

dei soggetti. Per cui si possono trovare<br />

soggetti che rimangono nel servizio<br />

pochi giorni e soggetti che fanno una<br />

richiesta indifferenziata di permanenza<br />

legata alla confusa percezione del<br />

loro disagio. Questi ultimi rappresentano<br />

il maggior numero di persone e<br />

sono quelle a cui si rivolge in modo<br />

privilegiato il nostro intervento.<br />

Nel periodo dell’accoglienza, della durata<br />

di 30-45 giorni, alla persona viene<br />

fatto uno screening medico e una<br />

diagnosi psicologica e colloqui con l’educatore.<br />

La quotidianità è gestita prevalentemente<br />

a livello educativo con<br />

un gruppo di discussione giornaliero,<br />

attività creative (atelier), attività lavorative<br />

(laboratorio) e comunitarie (pulizie,<br />

preparazione dei pasti, attività di<br />

socializzazione). Finalità ultima del periodo<br />

di accoglienza e quella di aiutare<br />

la persona a prendere consapevolezza<br />

della sua situazione e di conseguenza<br />

attivare una motivazione al cambiamento<br />

fondata sulla possibilità di alternative<br />

che migliorino la sua situazione.<br />

L’INGRESSO, LA COSTRUZIONE<br />

DELLA NUOVA APPARTENENZA,<br />

I LEGAMI CON LE VECCHIE AP-<br />

PARTENENZE<br />

L’arrivo all’interno di un centro di accoglienza<br />

per una persona in condizio-<br />

Tematica<br />

ne di grave marginalità ha come significato<br />

simbolico e reale l’ingresso in<br />

una nuova realtà di appartenenza. La<br />

nuova realtà residenziale significa infatti<br />

per la persona che si trova in un<br />

processo di esclusione la condizione<br />

di chiusura della rete relazionale di appartenenza.<br />

Sia essa rappresentato dalla<br />

strada, come ultimo luogo dell’esclusione,<br />

o dal contesto famigliare.<br />

A livello simbolico l’accoglienza può<br />

rappresentare il luogo della nuova appartenenza<br />

intesa come percorso di riappropriazione<br />

di una identità capace<br />

di contrattualità sul piano sociale.<br />

La nuova residenzialità non meccanicamente<br />

la nuova appartenenza, infatti<br />

permangono, all’interno del nuovo<br />

spazio, le dipendenze rispetto al vecchio<br />

contesto che si vuole o si deve lasciare.<br />

Tra le persone provenienti da una situazione<br />

di lunga permanenza in un<br />

contesto di grave emarginazione, che<br />

hanno acquisito nel tempo una identità<br />

sociale legata al contesto, permangono<br />

forti i legami con la strada. Lo dimostrano<br />

alcune testimonianze dirette<br />

“U. io sto facendo una grande fatica.<br />

Ho in testa degli obiettivi e non ce<br />

la faccio più a portarmi dei pesi tipo<br />

intrallazzi o altro. Io faccio anche molta<br />

fatica a stare qui dentro, ad affrontare<br />

le relazioni di un tipo diverso da<br />

quelle che conoscevo prima” 1 .<br />

Gli stili di vita, le regole di comportamento<br />

sono acquisite dal contesto marginale<br />

che in modo parallelo al contesto<br />

sociale ufficiale ha una sua etica<br />

dei comportamenti e della solidarietà<br />

tra individui. “M. dice che sta cercando<br />

di avvicinarsi alla struttura e ai suoi<br />

ritmi visto che è dal primo giorno che<br />

63


Tematica<br />

trascorre le giornate fuori”, “G. dice che<br />

non sta bene e che sta continuando a<br />

fare uso di cocaina insieme alla terapia<br />

alcologica per sentire meno la scoppiatura<br />

dell’eroina”.<br />

Siamo in pre<strong>senza</strong>, per coloro che non<br />

provengono dalla strada di legami affettivi<br />

con l’ultima realtà di appartenenza<br />

“M. dice che è in conflitto con<br />

la famiglia e benché lui non provi un<br />

legame nei loro confronti loro lo rifiutano.<br />

Dice anche che per lui adesso la<br />

famiglia è rappresentata dal gruppo<br />

conosciuto al Nap”, “M. io faccio molta<br />

fatica a fermarmi qui, sono attratto continuamente<br />

dall’alcool, da cose esterne<br />

e nemmeno io so cosa devo fare in<br />

questo momento”.<br />

Il processo di avvicinamento alla struttura<br />

è lento e la nuova appartenenza<br />

è frutto di un processo graduale “D.<br />

esplicita il perché non vuole andare in<br />

settore 2 . Dice che ha paura di affrontare<br />

nuove situazioni e nuove persone,<br />

perché complicarsi la vita?”<br />

Il processo di avvicinamento alla struttura<br />

implica per le persone l’abbandono<br />

di un contesto che, anche se problematico,<br />

offre delle sicurezze e delle garanzie.<br />

Infatti il contesto della strada è organizzato<br />

secondo regole e alleanze che<br />

permettono di dare una relativa sicurezza<br />

ai soggetti entro una situazione<br />

che ha nell’insicurezza un l’elemento<br />

fondamentale Vi è inoltre la consapevolezza<br />

che entrare in contatto con servizi<br />

strutturati significa riaprire il tema<br />

della propria condizione. Questo non<br />

comporta solo l’accesso a una serie diversa<br />

di tutele ma riaprire a un livello<br />

relazionale la narrazione della proprie<br />

storia.<br />

E’ in questa situazione che si può par-<br />

64<br />

lare di inizio di “rottura dell’equilibrio<br />

psichico legato alla marginalità”.<br />

Contenuti educativi<br />

In questa fase la relazione educativa<br />

può trovare un suo significato specifico<br />

sia sotto l’aspetto “affettivo” che dei<br />

“contenuti”. Un incentivo per ricostruire<br />

un nuovo contesto di appartenenza<br />

può essere dato ai soggetti da un<br />

luogo accogliente che facilita l’acquisizione<br />

di regole di comportamento<br />

non legato ai contesto marginali.<br />

Il gruppo, dove le persone possono raccontare<br />

la loro storia, nella consapevolezza<br />

che questa non diviene il mezzo<br />

per rendere esplicite le proprie capacità<br />

antisociali ma per riconoscere la<br />

comune necessità e bisogno di aiuto,<br />

diviene il luogo che favorisce la possibilità<br />

per il soggetto di passare da una<br />

organizzazione esistenziale di sopravvivenza<br />

a una organizzazione aperta<br />

alle prospettive di elaborazione della<br />

propria storia.<br />

In questo modo una salutare dipendenza<br />

affettiva dall’operatore e dal nuovo<br />

contesto sono una buono strumento<br />

da contrapporre alle vecchie dipendenze.<br />

“Io sono disposto a parlare di<br />

me e a mettere sul tavolo tutte le mie<br />

problematiche solo quando ci sono delle<br />

basi per accogliere la sofferenza di<br />

tutti e quando tutti sono disposti a parlare<br />

di sé”.<br />

Sotto l’aspetto dei contenuti è di grande<br />

importanza che l’operatore si presenti<br />

come esperto nel trattare le situazioni<br />

in cui il soggetto si trova a dover<br />

vivere la propria situazione di marginalità.<br />

E’ infatti abbastanza frequente<br />

che i soggetti in condizione di esclusione<br />

abbiano alle spalle più tentati-


vi di soluzione della loro condizione.<br />

Tentativi generalmente finiti con esito<br />

negativo. Per questo i soggetti trasferiscono<br />

la loro storia di fallimenti sulla<br />

percezione del potere di intervento<br />

dell’operatore che non può presentarsi<br />

come fragile.<br />

LA DIFFICILE PERCEZIONE DEL<br />

DISAGIO E LA NEGAZIONE DEL<br />

BISOGNO DI AIUTO<br />

“M. riprende il discorso dicendo che<br />

dopo la separazione dalla moglie e dalla<br />

figlia di 10 anni ha cominciato a fare<br />

uso di alcool e a vivere per strada.<br />

Si sente depresso e non è sereno. Dice<br />

che il suo problema più grosso è non<br />

avere un lavoro e soldi”.<br />

“Il suo lavoro resta ancora vivo e presente<br />

nella sua mente, è come se lui si<br />

identificasse nella sua professione”.<br />

“A. dice che entro la fine della settimana<br />

se ne vuole andare, cita come motivazione<br />

l’incontro con i genitori e la<br />

comunicazione che il Comune gli darà<br />

la casa. Si è fissato che avere la casa<br />

popolare è un suo diritto e il Comune<br />

gliela deve dare, sembra che faccia fatica<br />

a vedere la realtà”.<br />

“Sembra che V., M., M. siano abbastanza<br />

consapevoli che hanno problemi psichici<br />

e fisici che non dipendono solo<br />

dalla mancanza di un tetto, mentre D.<br />

non appare per niente consapevole di<br />

avere problemi che non siano la casa,<br />

il lavoro, o almeno non lo esplicita”.<br />

Se il nuovo ambiente di appartenenza<br />

aiuta la motivazione a farsi forte nel<br />

riprendere in considerazione la possibilità<br />

di uscita dalla condizione di grave<br />

marginalità non è così scontata la scelta<br />

del percorso necessario. Non è immediata,<br />

infatti, la comprensione di un<br />

Tematica<br />

lavoro che riguarda il sé, ne che questo<br />

lavoro è necessario farlo con persone<br />

capaci per questo aiuto.<br />

Il riconoscimento di un intervento sulla<br />

propria persona presuppone una rivisitazione<br />

della propria storia dove<br />

vengono evidenziate le responsabilità<br />

soggettive nel percorso che a portato<br />

alla marginalità, accanto a quelle sociali.<br />

Il risultato però di questa presa di<br />

consapevolezza è una crisi depressiva.<br />

“D. dice che è triste e arrabbiato per<br />

quello che è successo in passato, non<br />

riesce a farsi una ragione del perchè<br />

ha perso il lavoro”. “Tutti gli ospiti riconoscono<br />

che vivono un angoscia data<br />

dai fallimenti passati e presenti”.<br />

Come conseguenza di questo viene<br />

messo in atto il tentativo di semplificare<br />

la situazione affinchè non si metta<br />

in moto la coscienza della propria responsabilità.<br />

Inoltre la difficoltà di reggere<br />

l’immagine di emarginato tende<br />

a fare percepire sempre come lunghi<br />

e inutili i tempi dedicati a un maggior<br />

investimento sulla propria persona.<br />

Solamente quando scatta la percezione<br />

della difficoltà soggettiva a reggere il<br />

confronto con la realtà viene formulata<br />

la richiesta di aiuto. Vi è in questo<br />

una grande capacità dell’operatore nel<br />

saper rendere visibile e significativa rispetto<br />

ai processi di reinserimento la<br />

realtà del disagio soggettivo. Tema questo<br />

che verrà ripreso nella parte dedicata<br />

ai contenuti educativi.<br />

La nascita della richiesta di aiuto corrisponde<br />

non solo all’incrinarsi del sistema<br />

psichico legato alla marginalità<br />

ma al costituirsi della precondizione<br />

sostanziale per la nascita di un nuovo<br />

universo psichico individuale.<br />

Vengono meno le paure determinate<br />

65


Tematica<br />

dal vuoto causato dal destrutturarsi di<br />

una organizzazione psichica che malgrado<br />

le difficoltà che crea al soggetto<br />

resta l’unica che, in mancanza di interventi<br />

esterni, gli offre una garanzia di<br />

sicurezza individuale.<br />

“G. dice che si è reso conto che non<br />

starebbe bene da nessuna parte, nelle<br />

condizioni in cui si trova. E che da solo<br />

non riesce a venirne fuori”.<br />

“M. parla anche dell’importanza di farsi<br />

aiutare. G.dice che anche lui è qui<br />

per farsi aiutare. G. dice che qui non<br />

si è mai sentito aiutato, poi ammette<br />

che forse lui non ha fatto nulla per farsi<br />

aiutare, per stare meglio”.<br />

“M., M., V. esprimono il bisogno, la necessità<br />

di avere un aiuto per risalire, in<br />

quanto moralmente e fisicamente sentono<br />

di avere toccato il fondo. Per V. farsi<br />

aiutare significa affrontare i problemi<br />

uno per volta con il sostegno di una<br />

guida. Secondo M. significa dare fiducia,<br />

non commettere gli stessi errori…”.<br />

Contenuti educativi<br />

L’accesso al mondo invisibile del disagio<br />

soggettivo si gioca all’interno di<br />

una gamma di possibilità tutte racchiuse<br />

tra due estremi o derive. La prima<br />

è quella della negazione. Questo atteggiamento<br />

a livello psichico corrisponde<br />

alla difficoltà del soggetto a dare rilevanza<br />

a cause del proprio disagio ritenute<br />

reali ma insignificanti. Questo<br />

giudizio di valore può essere la conseguenza<br />

di una consapevolezza rimossa<br />

per quanto riguarda la difficoltà individuale<br />

a rapportarsi con dati problematici<br />

o di una reale incapacità a misursi<br />

con l’aspetto psichico perché nuovo<br />

o inimmaginabile dentro la propria<br />

storia.<br />

66<br />

Nella prima situazione il lavoro educativo<br />

mirerà a lavorare sull’evidenziazione<br />

e accettazione del limite, di<br />

cui il soggetto è portatore, inteso come<br />

condizione esistenziale e non come giudizio<br />

di valore sulla persona. A individuare<br />

le aree della propria fragilità<br />

come presupposto per dotarsi di strumenti<br />

adatti per affrontarle o per scegliere<br />

volutamente di non misurarsi<br />

con ciò che rappresenta un problema<br />

troppo grosso da affrontare.<br />

Nella seconda situazione il lavoro educativo<br />

dovrà porsi la finalità di aiutare<br />

il soggetto a ridefinire il valore dato ad<br />

alcuni oggetti psichici. In questo modo<br />

il lavoro relazionale si strutturerà come<br />

aiuto per ridefinire l’universo psichico<br />

individuale. È emblematica al riguardo<br />

la consapevolezza di quanto<br />

poco peso sia dato alla capacità riflessiva<br />

come strumento di tutela della propria<br />

interiorità e quanto questa mancanza<br />

pesi sulla disponibilità dei soggetti<br />

a prendersi cura di se stessi.<br />

La seconda deriva è rappresentata dalla<br />

devastazione psichica. “M. la mia<br />

situazione psico-fisica è devastata, è meglio<br />

che mi butti subito dal 3° piano<br />

perché comunque mi sto ammazzando<br />

lentamente”. Con questa denominazione<br />

si allude all’atteggiamento individuale<br />

di riconoscere su di se tutti<br />

i mali possibili. Sfortune, sventure, responsabilità<br />

sociali e individuali, tutto<br />

viene riconosciuto come parte della<br />

propria storia. Questo atteggiamento<br />

oltre che demotivante rende impossibile<br />

una reale valutazione della situazione<br />

soggettiva causando una indifferenziata<br />

possibilità progettuale.<br />

Il risultato è spesso un buon percorso<br />

del soggetto nella fase iniziale ma con


una tendenza al fallimento sui tempi<br />

lunghi in cui emergono le reali problematiche<br />

del soggetto e la necessità di<br />

un percorso soggettivo mirato.<br />

In questa situazione il compito educativo<br />

mira, aiutato da brevi sperimentazioni,<br />

a svolgere un fondamentale compito<br />

di orientamento dell’universo psichico<br />

soggettivo.<br />

LA NARRAZIONE DELLA PROPRIA<br />

STORIA COME CONDIZIONE DEL-<br />

LA COMPRENSIONE DEL PROPRIO<br />

UNIVERSO PSICHICO<br />

Qualsiasi colloquio di prima accoglienza<br />

va direttamente o indirettamente a<br />

toccare alcuni aspetti della storia individuale<br />

dei soggetti che chiedono<br />

aiuto.<br />

Generalmente la storia individuale in<br />

questi primi incontri si focalizzano attorno<br />

agli avvenimenti ultimi che hanno<br />

provocato l’estromissione da un alloggio<br />

o hanno provocato al soggetto<br />

che viveva in strada una situazione di<br />

malessere da farlo decidere per la richiesta<br />

di accoglienza. Vi è frequentemente<br />

in queste narrazioni o una cronaca<br />

distanziata dai fatti quasi appartenessero<br />

alla vita di un'altra persona<br />

o un racconto rancoroso verso qualcuno<br />

individuato come la causa delle disgrazie<br />

individuali.<br />

In entrambi i casi vi è tuttavia un tentativo<br />

di narrare la propria storia.<br />

“M. racconta di avere avuto una ricaduta<br />

3 mesi fa dopo aver fatto un percorso<br />

di comunità. La ricaduta è avvenuta<br />

a Bergamo dove lui abitava; in<br />

breve tempo ha perso tutto. Lavoro, casa.<br />

Poi è stato ospite di un amico il quale<br />

non conosceva la droga e le sue conseguenze,<br />

dopo la lite con l’amico si è<br />

Tematica<br />

ritrovato sulla strada e dopo due settimane<br />

è arrivato al Nap”.<br />

“M. arriva dall’ospedale dove era stato<br />

ricoverato perché investito da una macchina.<br />

Abitava da solo in una cascina<br />

di Cantù. Lavorava occasionalmente<br />

come posatore di moquettes. Dice di<br />

avere avuto problemi di alcool ma di<br />

averli superati. Dice di trovarsi al Nap<br />

solo per avere un sostegno rispetto alla<br />

convalescenza”.<br />

Attraverso gli stimoli dell’operatore all’interno<br />

del gruppo e attraverso la funzione<br />

di “specchio” 3 svolta dallo stesso,<br />

si nota come con il passare dei giorni la<br />

narrazione dei soggetti abbia una evoluzione.<br />

Trovano spazio nella narrazione<br />

nuovi contenuti in precedenza<br />

elusi, nuovi soggetti prima dimenticati,<br />

nuovi modi di distribuire le responsabilità<br />

degli avvenimenti.<br />

Attraverso un processo di sedimentazione<br />

affiancato a un processo di lento<br />

rimescolamento delle situazione inizia<br />

a prendere forma un nuovo panorama<br />

dell’universo individuale “M. interviene<br />

dicendo che forse il problema<br />

non è solo il denaro ma anche la solitudine.<br />

MT. alla domanda di M. (posso<br />

lavorare?) risponde che prima di tutto<br />

bisogna trovare la serenità dentro di<br />

sé, dice che la vita non è il lavoro ma<br />

altro”.<br />

In questo processo che assume la sembianze<br />

di un dipinto ad acquarello, una<br />

continua evoluzione di colori causata<br />

dall’acqua e dal pennello, alla fine del<br />

quale appare la forma. Questa è costituita<br />

da situazioni individuali rielaborate<br />

o riformate dal lavoro soggettivo,<br />

che rappresentano “il materiale” su cui<br />

intraprendere un lavoro per ridefinire<br />

un nuovo universo della persona.<br />

67


Tematica<br />

Queste situazioni, per la forma in cui<br />

si presentano, hanno la caratteristica<br />

di essere molto vincolate alla dimensione<br />

emotiva (presuppongono quindi<br />

resistenze, sofferenza o fissazioni)<br />

che richiamano alcuni bisogni primari<br />

del soggetto e costituiscono modalità<br />

comportamentali poco efficaci per<br />

un processo di riappartenenza sociale.<br />

Possiamo parlare in questa fase dell’intervento<br />

di “svelamento dell’organizzazione<br />

psichica del soggetto”.<br />

Contenuti educativi<br />

Il percorso di aiuto in questa fase segue<br />

l’iter pedagogico che vede collocati<br />

in modo consecutivo tre momenti del<br />

rapporto individuale con il proprio stato<br />

interiore.<br />

Questi sono lo stato di svelamento, riconoscimento,<br />

orientamento.<br />

Prima di entrare nel merito di ogni stato<br />

è importante sottolineare come l’intervento<br />

in questo ambito sia generalmente<br />

reso difficile dal contesto culturale<br />

che non offre strumenti di lettura<br />

della condizione interiore dei soggetti.<br />

Ci troviamo in questa situazione di<br />

fronte a un problema che si colloca in<br />

ambito individuale come difficoltà del<br />

soggetto ma che non trova strumenti<br />

nell’ambito sociale culturale, ambito<br />

da cui lo stesso dovrebbe attingere risorse<br />

per la conoscenza dell’interiorità.<br />

Può diventare utile in questo senso consigliare<br />

ai soggetti in una fase di accoglienza,<br />

la lettura di racconti di altre<br />

biografie di soggetti in condizione di<br />

grave marginalità o racconti letterari<br />

che permettano una visibilità dell’interiorità.<br />

Accanto alle letture possono essere di<br />

grande utilità la visione di films che<br />

68<br />

abbiano come oggetto viaggi nel mondo<br />

interiore e nelle sue difficoltà e sofferenze.<br />

In riferimento alla situazione dello “svelamento”<br />

diverse sono le cause che rendono<br />

difficile l’accoglimento nel proprio<br />

orizzonte psichico di dati della<br />

propria biografia. Questi o non vengono<br />

per niente tenuti in considerazione<br />

o rimangono offuscati all’ombra di<br />

sentimenti derivanti dalle diverse esperienze<br />

personali.<br />

Una prima causa è data dalle resistenze.<br />

Questa situazione si presenta con<br />

un comportamento del soggetto volto<br />

a negare l’appartenenza alla propria<br />

biografia di avvenimenti che fanno<br />

spesso riferimento a situazioni di sofferenza<br />

o di identità. Un classico esempio<br />

di queste situazioni è il tentativo<br />

di sottovalutare la sofferenza derivante<br />

da una frattura relazionare significativa.<br />

Obiettivo del soggetto è quello<br />

di manifestare la sua superiorità alla<br />

situazione. Necessità questa spesso derivante<br />

da un contesto sociale che giudica<br />

debole il soggetto che si perde in<br />

“queste situazioni”.<br />

Altra situazione frequente è la negazione<br />

della dubbia identità sessuale del<br />

soggetto. Questa accanto alla preoccupazione<br />

dell’impatto o giudizio sociale<br />

nasconde una fragilità identitaria non<br />

risolta.<br />

In questa situazione e di estrema importanza<br />

il dato di accoglienza, da parte<br />

dell’operatore e del gruppo, dell’alterità<br />

non riconosciuta dal soggetto.<br />

Questa valorizzazione “esterna” diviene<br />

lo strumento importante perchè il<br />

soggetto la “riveda” con occhi diversi<br />

e se ne riappropri con un nuovo significato.


Una seconda causa dei vuoti psichici<br />

fa riferimento alla memoria. E’ situazione<br />

frequente all’interno del gruppo<br />

di ricordi a catena che da un soggetto<br />

narrante passano a soggetti in<br />

quel momento ascoltatori. E’ come se<br />

l’avvenimento narrato da una persona<br />

o più ancora l’impatto emotivo con<br />

cui viene narrato accendesse un ricordo<br />

e una emozione collegata. Non sempre<br />

questo da parte della persona viene<br />

esplicitato ma è evidente leggere<br />

sui visi, nelle pose e nelle espressioni<br />

i movimenti interiori che vengono attivati.<br />

Si può dire che in queste situazione anche<br />

la memoria è condizionata dal sistema<br />

psichico marginale e che la stessa<br />

si focalizza attorno a degli avvenimenti<br />

funzionali alla sopravvivenza<br />

dell’equilibrio personale.<br />

Nel momento in cui nella situazione<br />

di nuova accoglienza l’unità psichica<br />

del soggetto aggregata attorno al vissuto<br />

di marginalità si allenta diviene<br />

più facile che la stessa memoria divenga<br />

accessibile a nuovi riferimenti storici<br />

o sia disponibile a rilettura di avvenimenti<br />

interpretati, fino a quel momento,<br />

in modo chiuso.<br />

A livello educativo potrebbe essere interessante<br />

l’utilizzo del diario come forma<br />

per visualizzare la propria evoluzione<br />

psichica ma anche come strumento<br />

per portare alla consapevolezza i<br />

nuovi vissuti che il contesto sta evidenziando.<br />

E vera che la scrittura può<br />

rappresentare un vincolo selettivo per<br />

alcune persone, si tratta di individuare<br />

in questo caso strumenti alternativi<br />

ma ugualmente efficaci.<br />

Vi sono infine situazioni in cui i soggetti<br />

sono incapaci di nominare alcu-<br />

Tematica<br />

ne situazioni personali perché non hanno<br />

mai avuto l’abitudine. Vi è in questo<br />

una grossa lacuna culturale nel dare<br />

voce ai vissuti e nel dare valore a situazioni<br />

che spesso vengono ritenute<br />

marginali, mentre hanno un grande<br />

impatto sulla struttura psichica individuale.<br />

Esempio emblematico di questa<br />

situazione è spesso la scarsa attenzione<br />

che viene data dai servizi che si<br />

occupano di grave marginalità a tutto<br />

quanto riguarda la cura della propria<br />

interiorità. La semplice valutazione che<br />

questa possa determinare situazioni di<br />

crisi individuale grave non è minimamente<br />

tenuta in considerazione.<br />

Di conseguenza il tempo dedicato alla<br />

cura del se è ritenuto tempo perso.<br />

Con il termine “riconoscimento” si intende<br />

accanto alla capacità di nominare<br />

il dato psichico, l’attribuzione di valore<br />

in funzione di un proprio benessere.<br />

Il riconoscimento avviene attraverso<br />

la possibilità di poter immaginare<br />

una realtà praticabile diversa dalla<br />

situazione di soppravvivenza.<br />

Questa attribuzione di valore determina<br />

la fuoriuscita del soggetto dal suo<br />

stato psichico in precedenza incrinato.<br />

E’ questa una situazione particolare.<br />

Infatti il soggetto generalmente si trova<br />

in uno stato emotivo positivo determinato<br />

dalle nuove prospettive che riesce<br />

a intravedere. Ma questa nuova<br />

situazione è anche di estrema fragilità.<br />

Infatti la mancanza di una condizione<br />

psichica non consolidata pone<br />

il soggetto in balia degli avvenimenti.<br />

In questa situazione l’intervento educativo<br />

oltre che supportare il soggetto<br />

nello sforzo ideativo, deve mantenere<br />

una grande attenzione e una tutela delle<br />

fragilità del soggetto. Infatti troppo<br />

69


Tematica<br />

spesso in queste situazioni si tende a<br />

caricare il soggetto di responsabilità alte<br />

ritenendolo in condizione di reggerle.<br />

La condizione psichica non consolidata<br />

può crollare confermando lo stato<br />

psichico precedente.<br />

Quanto detto appena sopra ci introduce<br />

nel terzo livello del processo di costituzione<br />

di un nuovo universo identitario<br />

non fondato sulla condizione di<br />

marginalità. La realizzazione di un nuovo<br />

universo individuale non è un prodotto<br />

casuale. Esso, attorno al perno<br />

portante rappresentato dalla adesione<br />

individuale (libertà), è il frutto di un<br />

processo di interazione con il contesto<br />

di appartenenza. In un contesto di<br />

appartenenza residenziale finalizzato<br />

al supporto per la riappropriazione della<br />

appartenenza sociale il nuovo universo<br />

individuale è il frutto di una pedagogia<br />

capace di orientare il soggetto<br />

verso una nuova identità<br />

I CONTENUTI PSICHICI PROBLE-<br />

MATICI E LA LORO PROSPETTIVA<br />

ESISTENZIALE -PAROLE CHIAVE-<br />

Nel film “Sostiene Pereira” 4 un amico<br />

medico del protagonista cercando di<br />

spiegare a Pereira cosa sta succedendo<br />

nella sua vita utilizza l’immagine della<br />

congregazione di anime per descrivere<br />

la molteplice realtà dell’interiorità.<br />

Per descrivere l’evoluzione che avviene<br />

nel soggetto parla della pre<strong>senza</strong><br />

di anime dominanti e anime con minore<br />

influenza. Il rapporto che esiste<br />

tra le anime diverse è di forza in un<br />

preciso periodo della storia individuale,<br />

ma evolutivo sui tempi lunghi. E’<br />

infatti possibile, che in particolari situazioni<br />

sociali, nell’individuo l’anima dominante<br />

ceda il posto a un anima se-<br />

70<br />

condaria che aveva fino a quel momento<br />

un ruolo minoritario o inesistenti<br />

nella storia individuale.<br />

L’esempio cinematografico è significativo<br />

per descrivere il ruolo che possono<br />

svolgere alcune parole chiave nel<br />

definire, fare emergere o ridimensionare<br />

alcuni contenuti psichici nel contesto<br />

della grave marginalità. Le parole<br />

individuate fanno riferimento non tanto<br />

alla genericità dell’universo psichico<br />

ma alla particolare condizione di<br />

grave marginalità in cui la persona si<br />

trova o ha costruito la sua storia.<br />

È inoltre importante sottolineare il particolare<br />

significato di riflessività che<br />

queste parole acquisiscono in un contesto<br />

di gruppo di pari, mediato dalla<br />

pre<strong>senza</strong> di un conduttore. Il contesto<br />

di gruppo apporta alla riflessività una<br />

caratteristica particolare di esemplarità<br />

e di molteplicità degli sviluppi delle<br />

storie individuali. La mediazione dell’operatore<br />

garantisce una continuità<br />

pedagogica nel trattamento dei contenuti<br />

psichici.<br />

Fragilità fallimento<br />

“M. ci dice che si sente in colpa e si sente<br />

addosso un fallimento. Ha vissuto<br />

di fallimenti, relativi non solo a ieri sera,<br />

ma più in generale, per tutta la situazione<br />

che si è venuta a creare…<br />

Tutti gli ospiti esprimono l’angoscia che<br />

vivono per i fallimenti passati e presenti.”<br />

“G. dice di sentirsi fallito. Anche<br />

M. dice che sta vivendo molto male il<br />

suo ultimo fallimento perché nel giro<br />

di pochi mesi ha perso casa, lavoro,<br />

affetti e dice che forse non ha ancora<br />

accettato di aver fallito.”<br />

Per poter reggere una situazione di marginalità<br />

estrema il soggetto costruisce


delle barriere di difesa dell’integrità individuale.<br />

Nessun individuo in un contesto<br />

di minaccia della propria identità,<br />

come quello costituito da una realtà<br />

di esclusione, riuscirebbe a reggere<br />

<strong>senza</strong> dotarsi di meccanismi psichici<br />

di protezione. Questi meccanismi sono<br />

costituiti fondamentalmente dalla “proiezione”,<br />

dalla “negazione” e dalle “resistenze”.<br />

Questi meccanismi possono<br />

esistere come componente psichica anche<br />

prima del percorso di marginalità<br />

ma è indubbio che questo li rinforza o<br />

li fa nascere. Allo stesso modo per poter<br />

affrontare questi meccanismi è fondamentale<br />

intervenire con una situazione<br />

di contesto. Cioè offrire ai soggetti<br />

situazioni esistenziali dove la minaccia<br />

dell’individualità sia attenuata<br />

e dove la riflessività sull’interiorità non<br />

venga percepita come un ulteriore vissuto<br />

di esclusione. Data questa condizione<br />

è possibile che il soggetto prenda<br />

in considerazione le sue “anime”<br />

con maggior obiettività.<br />

In modo particolare la chiave del fallimento<br />

permette l’accesso all’interiorità<br />

dove “l’anima dominante” è schiacciata<br />

dall’essere identificata con l’immagine<br />

fallimentare sia essa dovuta al<br />

soggetto stesso o ad altri. Questo processo<br />

aiuta il soggetto a cogliere la responsabilità<br />

individuale presente nel<br />

percorso di marginalità ma a di distanziarla<br />

dall’identità. Aiuta in questo<br />

modo l’io a rapportarsi allo sbaglio non<br />

solo a viverlo come peso.<br />

Aiuta a vivere la finitezza dello sbaglio,<br />

anche se sbaglio carico di responsabilità<br />

pesanti.<br />

Sotto l’altro versante questo processo<br />

aiuta l’io a cogliersi distanziato dalle<br />

responsabilità altrui anche se pesan-<br />

Tematica<br />

temente condizionato da queste. Si aiuta<br />

in questo modo il soggetto a cogliere<br />

la distanza da una storia determinata<br />

schiacciata dal fato e a cogliere<br />

gli spazio di azione individuale.<br />

Relazioni e abbandono<br />

“M. riprende il discorso dicendo che<br />

dopo la separazione dalla moglie (7 anni<br />

fa) e dalla figlia di 10 anni ha cominciato<br />

a fare uso di alcool e a vivere<br />

per la strada.”<br />

“M. accenna al fatto che adesso non ha<br />

il coraggio di chiamare la sua famiglia,<br />

ha pensato che sarebbe meglio<br />

chiamarli solo nel momento in cui veramente<br />

sta meglio e sta facendo qualcosa<br />

di concreto.”<br />

Vivere una situazione di marginalità<br />

estrema significa avere la testa occupata<br />

da pensieri che riguardano la necessità<br />

di trovare soluzioni a tutto.<br />

Ma questo è un aspetto della pesantezza<br />

della vita delle persone in condizione<br />

di marginalità. Appena vi è la<br />

condizione, rappresentata da un luogo<br />

accogliente o da persone che condividono<br />

la stessa esperienza emerge con<br />

tutta la sua pesantezza il sentimento<br />

di abbandono che la persona vive.<br />

Narrato nella forma di un dolore che<br />

ancora porta le lacrime agli occhi delle<br />

persone o narrato nella forma di una<br />

storia ormai lontana ma che ha ancora<br />

potere di bloccare la progettualità<br />

individuale, il sentimento di perdita del<br />

luogo affettivo ritorna costantemente<br />

nelle narrazioni della storie individuali.<br />

Tutte le persone che hanno percorsi più<br />

o meno lunghi di marginalità hanno<br />

luoghi di appartenenza affettivi antecedenti<br />

la condizione di estremo disagio.<br />

Il contesto di marginalità acqui-<br />

71


Tematica<br />

sisce lungo il tempo un significato di<br />

appartenenza ma è spesso una condizione<br />

di appartenenza non scelta, diviene<br />

lungo l’itinerario personale il luogo<br />

dove il soggetto trova un contesto<br />

di appartenenza perchè necessario al<br />

bisogno di socialità e sicurezza del soggetto.<br />

Per una quantità di persone in condizione<br />

di grave marginalità il passaggio<br />

dal luogo ereditato o costruito di<br />

appartenenza affettiva al contesto di<br />

appartenenza marginale non è mai avvenuto<br />

in modo indolore. Spesso le storie<br />

personali sono cariche di rotture violente,<br />

di abbandoni, di espulsioni.<br />

Il luogo della nuova accoglienza comunitaria<br />

mentre allontana l’appartenenza<br />

marginale ripropone l’appartenenza<br />

affettiva antecedente.<br />

Riproponendo questo tema viene riproposto<br />

necessariamente il problema del<br />

trattamento del rapporto tra il soggetto<br />

e una parte della sua storia che si è<br />

interrotta.<br />

È in questo contesto che la parola chiave<br />

delle relazioni affettive apre lo spazio<br />

a un grappolo di parole che trovano<br />

una diversa concatenazione nelle<br />

storie individuali. Aprire il luogo della<br />

sofferenza affettiva significa incontrarsi<br />

con il tema del rancore per il proprio<br />

orgoglio ferito, significa confrontarsi<br />

con la necessità di essere perdonati,<br />

significa ammettere la fragilità determinata<br />

dalla mancanza dell’altro, significa<br />

assumersi la responsabilità dei<br />

propri sbagli.<br />

E’ all’interno di un contesto affettivo<br />

che il soggetto può lenire e curare le<br />

sofferenze che ricompongono il collante<br />

affettivo del se che costituisce un pilastro<br />

dell’identità individuale.<br />

72<br />

Questo è possibile qualora la storia del<br />

soggetto non ha incontrato esperienze<br />

che abbiano leso irrimediabilmente<br />

questa dimensione dell’identità. 5<br />

EVOLUZIONE DELLE FORME DI<br />

RAPPRESENTAZIONE INDIVIDUA-<br />

LE NELLA FASE DI PASSAGGIO<br />

DALLA CONDIZIONE DI MARGI-<br />

NALITÀ ALLA FASE DI RADICA-<br />

MENTO PROGETTUALE.<br />

Cercando di svolgere un tentativo di<br />

sintesi delle riflessioni sopra esposte<br />

si possono individuare tre livelli evolutivi<br />

dell’universo psichico del soggetto<br />

in condizione di esclusione:<br />

1° ridefinizione della appartenenza sociale in un<br />

contesto protetto<br />

2° scomposizione delle rappresentazioni marginali<br />

e ricomposizione dei contenuti biografici<br />

3° rinascita delle capacità rappresentative e riorientamento<br />

nel tempo<br />

1) E’ facile immaginare la condizione<br />

di esclusione come uno stato individuale<br />

dove la persona non fa riferimento<br />

a nessuna appartenenza. Di fatto<br />

la definizione di questa situazione<br />

come condizione di esclusione indica<br />

uno stato dove le appartenenze sono<br />

inesistenti. Questo modo di pensare o<br />

di immaginare l’esclusione fa riferimento<br />

a un immaginario dove l’ambito<br />

dell’inclusione è rappresentato come<br />

il “luogo dei legami” e quello dell’esclusione<br />

come “luogo di as<strong>senza</strong> di<br />

appartenenze”.<br />

In realtà ciò non è vero in quanto i<br />

luoghi di inclusione e di esclusione<br />

condividono nel nostro contesto sociale<br />

la stessa penuria di relazioni e di significati<br />

di appartenenza.


I luoghi di esclusione possono essere<br />

definiti tali perché creano relazioni e<br />

appartenenze e si rapportano ai luoghi<br />

di inclusione in riferimento alla<br />

pre<strong>senza</strong> di minori risorse e in rapporto<br />

ai modi di stare entro la legalità<br />

o ai confini dei significati dei luoghi<br />

inclusivi.<br />

Questo dato di fatto è interessante per<br />

cogliere la motivazione per cui il cambio<br />

di luogo di un soggetto (in questo<br />

caso il passaggio dalla strada a una<br />

accoglienza) non significa automaticamente<br />

il cambio di appartenenza.<br />

Ciò che viene spesso chiamato cronicità<br />

all’interno del disagio grave non<br />

è altro che il consolidarsi di un appartenenza<br />

caratterizzata sempre più dallo<br />

stato di necessità e sempre meno<br />

dalla consapevolezza decisionale del<br />

soggetto.<br />

Questo ci permette di aprire una parentesi<br />

sulla falsità di alcune rappresentazioni<br />

che vanno di moda nell’interpretazione<br />

del fenomeno della grave<br />

marginalità, che lo tratteggiano come<br />

il luogo romantico dell’esercizio della<br />

libertà incondizionata. Non vi è niente<br />

di più falso in queste rappresentazioni<br />

e di violento rispetto alle pratiche che<br />

questo modo di pensare veicola. 6<br />

Il luogo dell’accoglienza, così come è<br />

concepito nell’esperienza del Nuovo Albergo<br />

Popolare, diviene nel suo aspetto<br />

particolare il potenziamento delle<br />

risorse e capacità individuali attraverso<br />

la mediazione di un altro soggetto<br />

o di altri soggetti che condividono la<br />

stessa decapacitazione. All’interno del<br />

gruppo di pari non funziona la legge<br />

matematica della somma, ma un gruppo<br />

esprime più della somma delle capacità<br />

individuali.<br />

Tematica<br />

L’effetto di questa capacitazione mediata<br />

è il presupposto della costruzione<br />

di nuove appartenenze.<br />

2) Gli avvenimenti e gli accadimenti<br />

coniugati con le percezioni soggettive<br />

formano le rappresentazioni della realtà<br />

dei soggetti.<br />

Una serie di avvenimenti contribuiscono<br />

a formare una sensibilità orientata<br />

e predisposta a costruire particolari<br />

rappresentazioni.<br />

Gli avvenimenti che costituiscono nelle<br />

storie delle persone le condizioni di<br />

fragilità unite agli avvenimenti che le<br />

stesse persone incontrano nei successivi<br />

percorsi di marginalità contribuiscono<br />

a determinare nei soggetti delle<br />

sensibilità che predispongono una<br />

particolare rappresentazione del reale.<br />

In questo modo nei soggetti in condizione<br />

di grave esclusione si può parlare<br />

di cronicità delle rappresentazioni<br />

intendendo in questo modo parlare di<br />

una incapacitazione soggettiva alla libertà<br />

rappresentativa del reale.<br />

In questo modo la condizione di esclusione<br />

oltre che essere una reale as<strong>senza</strong><br />

di risorse sociali ed economiche<br />

definisce una reale as<strong>senza</strong> e privazione<br />

di risorse ideative.<br />

Il luogo dell’accoglienza nel suo modo<br />

di proporsi e di organizzarsi può<br />

riproporre il contesto di emarginazione<br />

(la strada) o può divenire un reale<br />

contesto che provoca il cambiamento.<br />

In modo particolare se gli oggetti della<br />

storia personale diventano il luogo<br />

di principale attenzione del luogo dell’accoglienza<br />

si assiste a un passaggio<br />

reale di condizione dei soggetti che da<br />

oggetti di attenzione divengono attori<br />

della loro condizione.<br />

La narrazione dei contenuti biografici<br />

73


Tematica<br />

all’interno di un centro di accoglienza<br />

svolge una funzione determinante per<br />

la riattivazione delle capacità ideative<br />

del soggetto in modo particolare contribuisce<br />

a<br />

• Riattivare risorse e modalità operative<br />

che appartenevano al soggetto<br />

nella fase precedente il percorso di<br />

esclusione. In questo senso è stupefacente<br />

notare come le persone in un<br />

tempo breve dopo l’accoglienza manifestano<br />

capacità e abilità in un primo<br />

tempo impensabili.<br />

• Recuperare un identità personale non<br />

solo definita dall’as<strong>senza</strong> di risorse<br />

o dalla percezione di esclusione ma<br />

di persona in condizione di disagio<br />

o ferita da avvenimenti che costituiscono<br />

la storia personale.<br />

Questo passaggio è di fondamentale<br />

importanza perché porta il soggetto<br />

a individuale nella sua situazione<br />

confusa un inizio del percorso di soluzione<br />

della stessa. Questo punto<br />

di inizio è rappresentato dalla sua<br />

soggettività riconosciuta come fragile<br />

ma nello stesso tempo come capace<br />

di scelte efficaci per migliorare la<br />

propria situazione.<br />

• Elaborare resistenze nella narrazione<br />

della propria storia.<br />

Questo passaggio è di fondamentale<br />

importanza perchè permette di ipotizzate<br />

la narrazione della propria<br />

biografia aperta a più variabili che<br />

possano comportare la possibilità di<br />

prevedere degli inizi con cause diverse,<br />

delle conclusioni con motivazioni<br />

impensabili e dei contenuti (avvenimenti)<br />

non cosi rigidamente definiti<br />

individuando responsabilità sacralizzate<br />

dal proprio immaginario<br />

sofferente o rancoroso.<br />

74<br />

3) Il lavoro svolto nella fase precedente<br />

determina la rinascita della capacità<br />

ideativa del soggetto. Si intende con<br />

questo definire la recuperata emancipazione<br />

del soggetto dalla condizione<br />

di persona chiusa nella rappresentazione<br />

di un proprio spazio definito<br />

dalla marginalità. E’ in questa nuova<br />

condizione che il soggetto inizia a individuare<br />

responsabilità, diritti, opportunità<br />

e a collocarle all’interno di una<br />

prospettiva futura.<br />

Questo processo non è esente da pericoli.<br />

Infatti la nuova situazione di benessere<br />

e di entusiasmo recuperata con<br />

l’iniziale periodo di accoglienza porta<br />

spesso le persone ad accelerare i tempi<br />

di reinserimento <strong>senza</strong> cogliere la<br />

necessità di consolidare a livello psichico<br />

la situazione di fragile equilibrio<br />

raggiunto.<br />

E’ necessario di conseguenza aiutare i<br />

soggetti in condizione di esclusione a<br />

orientare la loro capacità ideativa perchè<br />

si traduca in un processo capace<br />

di rispettare le fragilità e le risorse soggettive.<br />

Questo avviene attraverso una<br />

organizzazione che abbia alla base un<br />

buon impianto pedagogico che a partire<br />

dalla lettura della condizione di<br />

grave emarginazione sappia coniugare<br />

attivazione delle risorse individuali e<br />

tempi all’interno di una relazione di<br />

aiuto.<br />

OLTRE LA CRONICITÀ UNA QUE-<br />

STIONE DI ORGANIZZAZIONE E<br />

DI INTENZIONALITÀ, OVVERO<br />

AGIRE LA GIUSTIZIA E SPERARE<br />

LA LIBERTÀ<br />

Il discorso fin qui fatto, oltre alle varie<br />

consapevolezze legate all’azione con<br />

le persone in condizione di esclusione


ci permette di fare alcune considerazioni<br />

su un tema centrale dei servizi<br />

rivolti ai <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> : il tema dell’organizzazione.<br />

Innanzi tutto si deve dire con chiarezza<br />

che il modo in cui un servizio si organizza<br />

non è indifferente rispetto all’esito<br />

del rapporto con persone in condizione<br />

di esclusione.<br />

L’intenzionalità del servizio non racchiude<br />

in se solo una modalità di intervento<br />

ma è portatrice di una lettura<br />

sociale e politica del fenomeno esclusione<br />

sociale. Lavorare con un servizio<br />

che ha come finalità il reinserimento<br />

sociale dei soggetti svantaggiati significa<br />

avere una visione delle società dove<br />

il valore del singolo non è dato solo<br />

dal singolo stesso ma dal singolo e<br />

dalla rete di supporto. Significa avere<br />

una visione della politica dove il diritto<br />

significa anche un investimento di<br />

risorse perché i cittadini sappiano esercitare<br />

i diritti.<br />

Viceversa organizzare un servizio che<br />

si ponga una finalità deliberatamente<br />

assistenziale significa ipotizzare una società<br />

che si prende a cura il tema della<br />

povertà e persegue una politica dei bisogni<br />

legata ad essa.<br />

L’intenzionalità di un servizio va però<br />

tradotta in una organizzazione che sia<br />

rispettosa dei contenuti insiti nella intenzionalità.<br />

Non si può parlare di attenzione<br />

all’interiorità dei soggetti dentro<br />

organizzazioni che non prevedono<br />

luoghi e professionalità capaci di accogliere<br />

e accompagnare l’evoluzione<br />

interiore delle persone. Allo stesso modo<br />

non si possono aspettare decisioni<br />

da parte dei soggetti quando non si<br />

sono offerti strumenti affinchè il soggetto<br />

stesso sia capace delle decisioni.<br />

Tematica<br />

Ancora non si può credere nelle risorse<br />

dei singoli e nella loro attivazione<br />

all’interno di un servizio che si regge<br />

esclusivamente su delle regole astratte.<br />

Infine non si può parlare di reinserimento<br />

quando il percorso di una persona<br />

non ha come esito finale la possibilità<br />

di un accesso a un alloggio, a<br />

un reddito, alla cura della salute psico-fisica,<br />

all’iscrizione a un registro anagrafico<br />

come base di accesso a qualsiasi<br />

ulteriore diritto.<br />

Il tema dell’aggancio di soggetti in condizione<br />

di esclusione per una motivazione<br />

al cambiamento, da quanto emerge<br />

in questo scritto, non è mai un fatto<br />

che accade nel momento in cui una<br />

persona entra in una struttura di accoglienza<br />

o fa un colloquio con un operatore,<br />

ma è un processo che coniuga<br />

servizi offerti (alloggio, mensa, servizi<br />

igenico-sanitari) e relazioni professionali<br />

di aiuto (colloqui di diagnosi,<br />

di orientamento, gruppi di discussione<br />

tra pari). Tutto questo all’interno di<br />

una pedagogia di intervento che ha la<br />

finalità di supportare il soggetto a riprendere<br />

in mano la sua capacità ideativa<br />

e di speranza di futuro.<br />

In chiusura va tuttavia ribadito che in<br />

qualsiasi situazione di marginalità, seppur<br />

molto ridotti, permangono degli<br />

spazi di libertà dei soggetti.<br />

Anche questo dato è un elemento di<br />

fondamentale importanza perché un<br />

percorso di aiuto non può prescindere<br />

dal rispettare e dal rendere sempre<br />

più ampi gli spazi decisionali dei soggetti<br />

in condizione di esclusione.<br />

In questo senso agire la giustizia significa<br />

porre il soggetto nella condizione<br />

in cui sia libero di poter decidere<br />

del suo futuro accettando anche il<br />

75


Tematica<br />

fatto che le prospettive del soggetto<br />

non corrispondano a quelle dell’operatore<br />

o dell’organizzazione che ha attivato<br />

il percorso di aiuto.<br />

1 La parte centrale del testo contiene citazioni tratte<br />

integralmente dai verbali redatti dagli operatori<br />

che, giornalmente nella comunità di Prima accoglienza,<br />

conducono il gruppo degli ospiti. Viene<br />

riportata l’iniziale del nome dell’ospite, da cui si<br />

prende la citazione, per una migliore lettura dei<br />

testi.<br />

2 Dopo la permanenza nella Comunità di accoglienza,<br />

che dura mediamente 1-2 mesi, le persone passano<br />

all’interno di uno dei quattro settori, presenti<br />

nella struttura del Nuovo Albergo Popolare, dove<br />

intraprendono un percorso progettuale individualizzato.<br />

I settori, organizzati in comunità, accolgono<br />

in specifico persone in condizione di esclusione<br />

con particolari problemi di tossicodipendenza, di<br />

76<br />

alcolismo, di disagio psichiatrico e di disagio generico.<br />

I quattro settori hanno alla base una comune<br />

filosofia di intervento tradotta in specifico per<br />

le forme particolari di disagio.<br />

3 La tecnica dello specchio indica l’intervento svolto<br />

dall’operatore o dal gruppo attraverso il quale<br />

gli stessi svolgono una funzione di rappresentazione<br />

e di rimando al soggetto delle sue emozioni<br />

dei suoi modi di rappresentare la realtà evidenziandone<br />

la percezione che ne ha l’esterno.<br />

4 Film interpretato da Marcello Mastroianni tratto<br />

dall’omonimo romanzo di Antonio Tabucchi.<br />

5 E’ possibile incontrare all’interno dei centri di accoglienza<br />

persone che hanno subito nelle loro storia,<br />

in modo particolare nel periodo dell’infanzia,<br />

traumi che sono di difficile ricomposizione in modo<br />

particolare con gli strumenti che possono essere<br />

messi a disposizione da un servizio rivolto alla grave<br />

marginalità.<br />

6 Questo modello interpretativo del fenomeno grave<br />

marginalità è quello che maggiormente veicola<br />

interventi caratterizzati da modalità normative.


Didattica<br />

TAVOLO “GRAVE EMARGINAZIONE”<br />

LEGGE 328<br />

DEL DISTRETTO DI BERGAMO<br />

ELABORAZIONE DI UNA PROGETTUALITÀ GENERALE NELL’AM-<br />

BITO E INDICAZIONI OPERATIVE PER L’ANNO SOCIALE 2003-2004<br />

A cura di Giacomo Invernizzi - Coordinatore del tavolo.<br />

PREMESSA<br />

L’apparente as<strong>senza</strong> di relazioni tende<br />

a connotare il fenomeno della grave<br />

marginalità come realtà aterritoriale.<br />

In letteratura l’unica caratteristica territoriale<br />

spesso presa in considerazione<br />

è la dimensione urbana. Non esiste<br />

luogo in cui si tratti la grave marginalità<br />

bergamasca connotandola diversamente<br />

da quella bresciana o la grave<br />

marginalità lombarda connotandola<br />

con caratteristiche diverse da quella<br />

toscana e, per finire, di marginalità<br />

italiana con processi di esclusione diversi<br />

da quella francese.<br />

La particolarità del presente piano operativo<br />

è il tentativo di connotare l’intervento<br />

a favore dei soggetti deboli<br />

come intervento territoriale assumendo<br />

in questo modo le caratteristiche<br />

sociali, economiche e culturali del nostro<br />

contesto. Non vi è qui lo spazio<br />

per motivare questa scelta, ma viene<br />

indicata come presupposto fondamentale<br />

di un intervento che abbia come<br />

finalità la lotta all’esclusione sociale.<br />

Questa finalità viene perseguita cercando<br />

di coniugare le diverse interpretazioni<br />

che hanno caratterizzato la lettura<br />

del fenomeno in questi ultimi 30<br />

anni: da quella più sociale che individua<br />

le cause della grave marginalità<br />

nella iniqua redistribuzione delle risor-<br />

se, a quella che individua la cause in<br />

fattori endogeni, causa scatenante, o endogeni<br />

alla soggettività malattia mentale,<br />

tossicodipendenza, per arrivare a<br />

quella che attualmente è più osservata<br />

nella ricerca, che riguarda il venir<br />

meno delle relazioni sociali e l’indebolirsi<br />

delle capacita individuali nell’appropriarsi<br />

delle risorse messe a disposizione<br />

dal contesto sociale. Lungi<br />

dall’optare per una di queste letture,<br />

la riflessione del tavolo si muoverà tenendo<br />

ben presente i diversi fuochi di<br />

lettura del fenomeno trovando nel modo<br />

in cui si coniugano sul territorio bergamasco<br />

il filo conduttore dell’analisi.<br />

1. DESCRIZIONE DEL CONTESTO<br />

Caratteristiche del territorio bergamasco<br />

in riferimento ai processsi di esclusione<br />

sociale.<br />

1.1. La posizione geografica colloca Bergamo<br />

fuori dai grandi svincoli ferroviari<br />

o stradali. Questo fa sì che<br />

solo una piccola parte della popolazione<br />

di persone in condizione<br />

di marginalità sia costituita da soggetti<br />

girovaghi. Tale aspetto è stato<br />

ben evidenziato da una ricerca<br />

condotta dalla Provincia di Bergamo<br />

in collaborazione con Comune<br />

di Bergamo, Caritas e Nuovo Albergo<br />

Popolare nel 1992. Sul totale<br />

77


Didattica<br />

della popolazione censita in un anno<br />

di attività dai tre servizi, l’80%<br />

delle persone era residente nella città<br />

e provincia. Questo dato ha avuto<br />

la riconferma pure negli anni<br />

successivi anche se non esistono<br />

ricerche simili a quella del 1992.<br />

Bergamo mantiene una attrattiva<br />

verso la popolazione in condizione<br />

di marginalità perché, nella rete<br />

conoscitiva informale, è conosciuta<br />

come città ricca di opportunità lavorative<br />

e di risorse per la risposta<br />

ai bisogni primari. In tal modo se<br />

non viene presa in considerazione,<br />

perché fenomeno diverso, la condizione<br />

degli stranieri si può definire<br />

la grave marginalità bergamasca<br />

come fenomeno territoriale.<br />

1.2. Per quanto riguarda l’offerta di opportunità<br />

lavorative a Bergamo, come<br />

nel più generale Nord Italia, si<br />

ha un tasso di disoccupazione che<br />

si attesta attorno al 2%. Non è quindi<br />

un indice estremamente significativo<br />

per essere collocato tra le<br />

possibili cause dei processi di esclusione.<br />

Divengono sempre più problematici,<br />

anche sul territorio bergamasco,<br />

i nuovi modelli organizzativi<br />

del lavoro volti ad una maggior<br />

flessibilità. In particolare, nel<br />

processo di reinserimento sociale<br />

la strutturale fragilità soggettiva di<br />

alcune persone, unita all’età non<br />

più giovane, si connotano come elementi<br />

penalizzanti il processo di<br />

reinserimento lavorativo. Il dato lavorativo<br />

è anche un indice di lettura<br />

della situazione soggettiva di<br />

grave marginalità. Infatti, se le risorse<br />

sociali hanno un peso non<br />

esclusivo nel determinare i percor-<br />

78<br />

si di esclusione ciò significa che gli<br />

interventi a favore delle persone<br />

in condizione di disagio devono tenere<br />

in seria considerazione le dinamiche<br />

relazionali ed i vissuti soggettivi<br />

come elemento riabilitativo.<br />

1.3.Il contesto sociale bergamasco è<br />

storicamente generoso e ricco di<br />

iniziative rivolte alla cura di soggetti<br />

in difficoltà. E’ una attenzione<br />

questa che si riscontra in iniziative<br />

pubbliche ma, soprattutto, provenienti<br />

dal privato sociale, di matrice<br />

cattolica, per l’area in analisi.<br />

Questa attenzione non si è però<br />

mai concretizzata in una progettualità<br />

politica di intervento a favore<br />

delle fasce deboli, privilegiando<br />

gli interventi nati dalla buona<br />

volontà dei cittadini a fronte di esigenze<br />

concrete. Si è in questo modo<br />

realizzata negli anni una rete<br />

di servizi spesso poco coordinati<br />

tra loro e prevalentemente rivolti<br />

agli interventi di emergenza.<br />

2. LA POPOLAZIONE IN CONDI-<br />

ZIONE DI GRAVE MARGINALITÀ<br />

NEL DISTRETTO DI BERGAMO<br />

Non è facile fare il punto della situazione<br />

della popolazione marginale a<br />

Bergamo. Questo è dovuto da una parte<br />

alla rapida evoluzione che caratterizza<br />

il fenomeno ma, in particolare,<br />

alla mancanza di esaustive ricerche sul<br />

territorio. Essendo però il contesto cittadino<br />

e del distretto quello sicuramente<br />

non di una metropoli ma di una media<br />

città italiana si possono raccogliere<br />

indicazioni a partire dai dati settoriali<br />

dei singoli servizi.<br />

Innanzitutto, questi dati confermano alcune<br />

linee di tendenza presenti in ri-


cerche di tipo nazionale. In particolare,<br />

la caratterizzazione di genere maschile<br />

del fenomeno rappresentata dall’80-90%<br />

della popolazione. Inoltre, viene<br />

confermato anche sul territorio bergamasco<br />

l’abbassamento dell’età media<br />

delle parsone. Si diversifica rispetto ai<br />

dati nazionali e in modo particolare rispetto<br />

alle grosse città il dato residenziale.<br />

Infatti, a Bergamo circa l’80% della<br />

popolazione accolta è residente nella<br />

Provincia di Bergamo equamente distribuita<br />

tra, 50% e 50%, capoluogo e<br />

territorio provinciale. Se cerchiamo di<br />

fare una valutazione numerica delle<br />

persone in condizione di grave esclusione<br />

prendendo come riferimento l’as<strong>senza</strong><br />

di un alloggio, possiamo ipotizzare<br />

una pre<strong>senza</strong> per eccesso di 150<br />

persone. Il numero è ricostruito calcolando<br />

i posti disponibili (NAP 70, Caritas<br />

7+10+6, Patronato 10, Comunità 20)<br />

e ipotizzando circa 30 persone in strada.<br />

Se cerchiamo ulteriormente di fare una<br />

valutazione dei flussi annuali delle persone<br />

in condizione di grave marginalità,<br />

possiamo fare le seguenti ipotesi.<br />

Durante l’anno 2002 il Nap ha accolto<br />

102 persone nuove, il Centro di primo<br />

ascolto della Caritas durante lo stesso<br />

anno ha contattato 361 persone, il Punto<br />

durante il periodo settembre 2002maggio<br />

2003 ha contattato139 persone<br />

e il servizio Esodo ha accolto 102<br />

persone. Sapendo che una parte delle<br />

persone contattate dalla Caritas e dal<br />

Punto non sono in condizione di grave<br />

marginalità con as<strong>senza</strong> di abitazione<br />

e che parte dei soggetti sono contemporaneamente<br />

contattati dai quattro<br />

servizi, si può ipotizzare un flusso<br />

annuale di 200-300 persone.<br />

E’ molto più difficile quantificare il nu-<br />

Didattica<br />

mero di persone in condizione di grave<br />

marginalità con una sistemazione alloggiativa.<br />

Sarebbe necessario riuscire<br />

ad incrociare alcuni dati raccolti da diversi<br />

servizi cosa che in questo momento<br />

non è possibile fare. Vi è tuttavia<br />

la percezione dell’aumento delle<br />

condizione di marginalità. Questa valutazione<br />

numerica non prende in considerazione<br />

la popolazione immigrata.<br />

Ciò perché è difficile quantificare<br />

in generale la popolazione immigrata<br />

presente sul territorio; inoltre, la situazione<br />

di clandestinità di parte dei soggetti<br />

immigrati rende difficile l’accesso<br />

ai servizi e lo stesso intervento dei<br />

servizi. Rimane questo tuttavia un serio<br />

problema da prendere in considerazione,<br />

anche per l’aumento delle condizioni<br />

di grave marginalità che si stanno<br />

creando. Al riguardo si citano alcuni<br />

dati provenienti dal <strong>Servizi</strong>o Esodo,<br />

dalla Caritas e dal Punto.<br />

Al Centro di primo Ascolto della Caritas<br />

si sono rivolti durante l’anno 2002<br />

circa 1625 persone, con un aumento rispetto<br />

all’anno precedente dell’80%. Il<br />

servizio Punto ha contattato 10 persone<br />

con problemi di abuso di sostanze.<br />

Il servizio Esodo ha dato nello stesso<br />

anno accoglienza a 103 stranieri con un<br />

incremento rispetto all’anno precedente<br />

del 200%. Rispetto alla pre<strong>senza</strong> di<br />

donne in situazione di marginalità, si<br />

nota un tendenziale aumento del numero.<br />

Rimane molto problematico l’aggancio<br />

e l’inserimento in progetti riabilitativi<br />

anche per l’as<strong>senza</strong> di servizi<br />

organizzati in modo mirato ad una<br />

loro accoglienza. Una valutazione della<br />

rete sociale di appartenenza evidenzia<br />

alcuni fenomeni in evoluzione.<br />

Si nota una evoluzione dei servizi so-<br />

79


Didattica<br />

ciali territoriali nella direzione di una<br />

maggiore presa in carico delle persone,<br />

dovuta probabilmente ad un aumento<br />

degli stessi servizi sul territorio.<br />

La maggior presa in carico è evidenziata<br />

dall’aumentato numero di persone<br />

che vengono inviate ai servizi di accoglienza<br />

dai servizi sociali. Nel passato<br />

era maggiore la richiesta diretta dei soggetti<br />

in condizione di marginalità.<br />

Viceversa, oggi, si assiste ad una inversione<br />

di tendenza della pre<strong>senza</strong> delle<br />

Asl sul territorio mediante servizi specialistici<br />

ed una situazione ambivalente<br />

si è venuta a creare anche con la psichiatria<br />

che ha aumentato i servizi residenziali<br />

sul territorio e ridotto quelli<br />

territoriali. Molto più fragile sta diventando<br />

la rete sociale di appartenenza<br />

di tipo parentale, amicale e comunitario.<br />

Questo viene evidenziato nei tempi<br />

più brevi tra l’insorgenza dei primi fenomeni<br />

di crisi e la condizione di marginalità<br />

con esclusione abitativa. Una<br />

valutazione del fenomeno di tipo soggettivo<br />

evidenzia un aumento della<br />

condizione di fragilità dei soggetti che<br />

diviene nella condizione di marginalità,<br />

oltre che esclusione all’accesso alle<br />

risorse, incapacitazione soggettiva di<br />

utilizzo delle risorse individuali e sociali.<br />

Il dato che evidenzia nel momento<br />

attuale tale fenomeno è l’aumento<br />

delle forme di dipendenza nei soggetti<br />

in condizione di grave marginalità.<br />

3. LA “LEGGE QUADRO PER LA<br />

REALIZZAZIONE DEL SISTEMA<br />

INTEGRATO DI INTERVENTI E<br />

SERVIZI SOCIALI”<br />

Il 31 maggio 2000 il governo italiano ha<br />

approvato la legge sui servizi sociali<br />

titolata “Legge quadro per la realizza-<br />

80<br />

zione del sistema integrato di interventi<br />

e servizi sociali”. Tale legge, per<br />

la prima volta nell’ambito legislativo<br />

italiano, in modo esplicito, propone interventi<br />

a favore dei soggetti in condizione<br />

di grave marginalità (art.28).<br />

Inoltre, pone alcuni criteri e vincoli nell’organizzazione<br />

dei servi sociali di fondamentale<br />

importanza:<br />

• Definisce la territorialità dell’organizzazione<br />

dei servizi attribuendo<br />

A) ai comuni la funzione di “… programmazione,<br />

progettazione, realizzazione<br />

del sistema locale dei servizi<br />

sociali a rete, indicazione delle priorità<br />

e dei settori di innovazione attraverso<br />

la concertazione delle risorse<br />

umane e finanziarie locali, con il<br />

coinvolgimento…”: “..degli organismi<br />

non lucrativi di utilità sociale,<br />

delle associazioni e degli enti di promozione<br />

sciale, delle fondazioni e degli<br />

enti di patronato, delle organizzazioni<br />

di volontariato, degli enti riconosciuti<br />

delle confessioni religiose…”;<br />

B) ai comuni associati, negli<br />

ambiti territoriali, la definizione del<br />

piano di zona.<br />

• Definisce i servizi essenziali in ambito<br />

territoriale per la realizzazione<br />

dei piani di zona. In specifico si cita,<br />

perché direttamente attinenti alle situazioni<br />

di grave marginalità: a) il segretariato<br />

sociale, b) servizio di pronto<br />

intervento sociale per situazioni di<br />

emergenza, c) centri di accoglienza<br />

residenziali o diurni a carattere comunitario.<br />

4. IL TAVOLO “ GRAVE EMARGINA-<br />

ZIONE”<br />

Partecipanti al Tavolo<br />

Rubich Antonella (Comune di Berga-


mo), Gotti Marzia (Ass. Melarancia),<br />

Persico Michela (Provincia di Bergamo),<br />

Ninfo Eleonora, Manenti Lucia<br />

(Centro <strong>Servizi</strong> Sociale Adulti), Invernizzi<br />

Giacomo (Nuovo Albergo Popolare),<br />

Stentella Ivano (Caritas), Frigeni<br />

Giuseppe (Ser.t), Mascheretti (CIF), Viviani<br />

Renata ( Centro Psico Sociale),<br />

Frigeni Filippo (Comitato Carcere Territorio),<br />

Sperandio Katia (<strong>Servizi</strong>o Migrazione<br />

e Cooperazione Internazionale),<br />

Basile Natale (Comunità Prima<br />

Accoglienza), Calamandrei Manuela<br />

(Questura), Lazzari Maurizio (Distretto<br />

di Bergamo), Romagnoli Rina (CSV-<br />

Bottega del Volontariato), Defendi Fabio<br />

(Patronato S.Vincenzo e Ass. In Strada),<br />

Venezia Angela (Casa Circondariale),<br />

Modora Sara (Pronto Intervento<br />

Palazzolo), Rota Ilaria (Comuni del<br />

Distretto di Bergamo).<br />

4.1. PREMESSA<br />

Durante i mesi di giugno e luglio 2003<br />

si sono svolti i primi incontri del folto<br />

gruppo di partecipanti al tavolo della<br />

328. Per tante realtà questi incontri costituivano<br />

“una prima volta” in riferimento<br />

alla conoscenza di altri servizi<br />

e rispetto alla condivisione di riflessioni<br />

e valutazioni sul fenomeno della<br />

grave marginalità. In questo modo alla<br />

prioritaria finalità del gruppo, che è<br />

la programmazione di una progettualità<br />

per l’anno sociale 2003-2004, si è affiancata<br />

la necessità di curare la costituzione<br />

di un gruppo che abbia tempi<br />

di lavoro ben più lunghi per avviare<br />

una condivisione delle interpretazioni<br />

che i singoli soggetti e servizi hanno a<br />

riguardo dell’esclusione sociale.<br />

In riferimento a quest’ultima finalità gli<br />

incontri hanno evidenziato la ricchez-<br />

Didattica<br />

za di esperienza e patrimonio culturale<br />

presenti sul territorio che si traducono<br />

nella pre<strong>senza</strong> di numerosi servizi<br />

rivolti alla grave marginalità. E’ però<br />

anche stata evidenziata la frammentazione<br />

degli interventi frutto di una<br />

storia dove, in pari modo, hanno giocato<br />

la mancanza di una progettualità generale,<br />

le conflittualità tra servizi e, non<br />

ultimo, i diversi modelli interpretativi<br />

del fenomeno, spesso ideologizzati.<br />

Si è cercato in questo modo di avviare<br />

un lavoro di condivisione di alcuni<br />

obiettivi che salvaguardassero la storia<br />

di tutti i servizi ma che fossero anche<br />

un tentativo concreto di tradurre sul<br />

territorio del Distretto di Bergamo quella<br />

che è la grande finalità sociale del<br />

tavolo di lavoro: la lotta all’esclusione<br />

sociale. Finalità questa che sul nostro<br />

territorio si traduce nella riduzionescomparsa<br />

delle presenze in strada di<br />

soggetti con situazioni di disagio e nella<br />

riaffermazione-accesso ad alcuni diritti<br />

di cittadinanza per le fasce deboli<br />

della popolazione.<br />

4.2 OBIETTIVI DEL TAVOLO<br />

• Favorire una lettura condivisa tra i<br />

servizi del fenomeno della grave marginalità.<br />

• Realizzare un progetto generale (riferito<br />

alla città e al distretto) di intervento<br />

nei confronti dell’esclusione sociale.<br />

• Realizzare un coordinamento operativo<br />

tra i servizi per una più efficace<br />

e migliore risposta ai bisogni dell’utenza.<br />

• Garantire una pre<strong>senza</strong> di servizi ai<br />

diversi livelli di intervento, in modo<br />

che venga garantito un reale processo<br />

di fuoriuscita dalla situazione di<br />

81


Didattica<br />

esclusione sociale.<br />

• Supportare i servizi nella definizione<br />

di una loro specificità di intervento<br />

all’interno di una rete condivisa<br />

di servizi.<br />

• Promuovere la nascita di nuovi servizi<br />

che diano risposta a situazioni attualmente<br />

non prese in considerazione<br />

dalla rete di servizi.<br />

• Favorire un processo di integrazione<br />

dei servizi rivolti alla grave marginalità<br />

nella più ampia rete di servizi<br />

sociali rivolti alla persona.<br />

4.3 SERVIZI PRESENTI SUL TERRI-<br />

TORIO: DESCRIZIONE E SITUA-<br />

ZIONE AMMINISTRATIVA<br />

NAP<br />

Pronto Intervento e 4 comunità<br />

alloggio<br />

<strong>Servizi</strong>o di accoglienza<br />

con finalità di osservazione<br />

e gestione di programmi<br />

individualizzati in<br />

contesto comunitario<br />

NAP-Leonardo<br />

<strong>Servizi</strong>o di accompagnamento<br />

e reinserimento<br />

sociale per soggetti in<br />

condizione di grave marginalità<br />

e con problematiche<br />

di dipendenza.<br />

Centro Primo Ascolto<br />

Caritas<br />

<strong>Servizi</strong>o di ascolto, orientamento,<br />

segretariato sociale<br />

Progetto Esodo Caritas-<br />

Patronato<br />

<strong>Servizi</strong>o di intervento di<br />

strada e accoglienza notturna<br />

Progetto Emergenza Freddo<br />

Caritas Sert Nap<br />

<strong>Servizi</strong>o di prima accoglienza<br />

per soggetti in<br />

condizione di grave marginalità<br />

con problematiche<br />

di dipendenza<br />

82<br />

• Convenzione con Comune<br />

di Bergamo fino<br />

gennaio 2004<br />

• Riconoscimento regionale<br />

• Progetto legge 45 fino<br />

a giugno 2004<br />

• Convenzione con Comune<br />

di Bergamo fino<br />

gennaio 2004<br />

• Convenzione con Comune<br />

di Bergamo fino<br />

gennaio 2004<br />

• Progetto legge 45 fino<br />

a giugno 2004<br />

Progetto Punto Bessimo<br />

Sert Nap<br />

<strong>Servizi</strong>o di intervento di<br />

strada e centro diurno per<br />

soggetti in condizione di<br />

grave marginalità con<br />

problematiche di dipendenza<br />

Dalla Strada alla Casa<br />

Caritas<br />

<strong>Servizi</strong>o di sperimentazione<br />

protetta e accompagnamentoall’autonomia<br />

Accoglienza via Elba Caritas<br />

<strong>Servizi</strong>o di accoglienza<br />

con finalità di osservazione<br />

e accompagnamento<br />

progettuale<br />

Casa Sofia<br />

<strong>Servizi</strong>o di pronto intervento<br />

per donne maltrattate<br />

Progetto reinserimento<br />

Carcere Territorio<br />

<strong>Servizi</strong>o di reinserimento<br />

abitativo e lavorativo<br />

per ex carcerati<br />

Intervento di strada Ass.<br />

La Melarancia<br />

<strong>Servizi</strong>o di accompagnamento<br />

per donne straniere<br />

in condizione di “tratta”<br />

Comunità di prima accoglienza<br />

(NAP, Gasparina,<br />

Famiglia Nuova)<br />

<strong>Servizi</strong> di prima accoglienza<br />

per persone con<br />

problematiche di dipendenza<br />

Centro accoglienza Palazzolo<br />

<strong>Servizi</strong>o di prima accoglienza<br />

per donne in condizione<br />

di marginalità<br />

• Doppio progetto legge<br />

45 fino ottobre<br />

2004<br />

• Progetto legge 328 fino<br />

a giugno 2004 (non<br />

prorogabile)<br />

• Nessun finanziamento<br />

(a totale carico della<br />

Caritas)<br />

• Rette<br />

• Contributo regionale<br />

• Finanziamento Asl<br />

• Convenzione Asl<br />

• Accreditamento Regione<br />

• Finanziamento legge<br />

45<br />

• Nessun finanziamento<br />

(a totale carico della<br />

Caritas)<br />

5. PROGETTUALITÀ PER L’ANNO<br />

2004<br />

La traduzione operativa degli obiettivi<br />

sopra elencati durante l’anno sociale


2003-2004 verrà perseguita attraverso<br />

le seguenti attività :<br />

• Ridefinizione del servizio di ascolto<br />

e segretariato sociale (Ob.6)<br />

• Percorso di coordinamento delle risorse<br />

e di formazione degli operatori<br />

(Ob.1-2-3)<br />

• Verifica e consolidamento delle risorse<br />

esistenti (Ob.4-5)<br />

• Attivazione di gruppi di lavoro per<br />

aree di intervento (Ob.6-7)<br />

5.1. SERVIZIO DI ASCOLTO E SE-<br />

GRETARIATO SOCIALE<br />

Il tema dell’accesso ai servizi è storicamente<br />

un problema dibattuto nell’ambito<br />

della grave marginalità. In particolare,<br />

la mancanza di una diagnosi<br />

specifica e spesso l’as<strong>senza</strong> di residenza<br />

contribuiscono al ritrarsi dei servizi<br />

di fronte alla necessità di aggancio<br />

di soggetti in condizione di grave marginalità.<br />

Se a questo si aggiunge la poca<br />

disponibilità o consapevolezza dei<br />

soggetti nel riconoscere la reale situazione<br />

di disagio, si completa il quadro<br />

di una realtà che giustamente è stata<br />

definita “<strong>senza</strong> tetto ne legge”.<br />

La riflessione del tavolo ha evidenziato<br />

questo problema in modo particolare<br />

riferendolo alla situazione del distretto.<br />

Si è così ipotizzato di avviare<br />

un servizio che unisse la capacità contrattuale<br />

di un ente pubblico e l’esperienza<br />

storica di un servizio del privato<br />

sociale che da anni lavora nell’ambito<br />

dell’ascolto: il Centro di Primo Ascolto<br />

e Coinvolgimento della Caritas.<br />

In un comodato particolare la dimensione<br />

pubblica del servizio dovrebbe<br />

essere garante di una forte contrattualità<br />

con i servizi territoriali, enti di riferimento<br />

residenziale per persone in<br />

Didattica<br />

condizione di marginalità, e con i servizi<br />

specialistici. Questi ultimi in particolare<br />

di fronte alla multiproblematicità<br />

dei soggetti tendono a rimandarsi<br />

le situazioni <strong>senza</strong> una reale presa<br />

in carico.<br />

Per l’organizzazione di questo servizio<br />

sono previste le seguenti azioni :<br />

• Coinvolgimento del tavolo “Segretariato<br />

sociale legge 328” per verificare<br />

la possibilità di poter usufruire di un<br />

assistente sociale.<br />

• Coinvolgimento della Caritas e ridefinizione<br />

della convenzione con il Comune<br />

di Bergamo.<br />

• Individuazione di uno spazio per<br />

l’apertura del servizio.<br />

• Definizione dell’organizzazione e dei<br />

compiti del nuovo servizio di ascolto<br />

segretariato sociale.<br />

5.2. TEMPI PREVISTI<br />

Inizio anno 2004.<br />

5.3. COORDINAMENTO DELLE RI-<br />

SORSE E FORMAZIONE DEGLI<br />

OPERATORI<br />

Nel lavoro di riflessione svolto per preparare<br />

il presente progetto da più realtà<br />

è stata sottolineata la necessita di<br />

un lavoro nell’ambito della grave marginalità<br />

maggiormente condiviso.<br />

In un ambito come questo il lavoro di<br />

rete è elemento fondamentale per la<br />

riuscita dei progetti di accoglienza e reinserimento<br />

dei soggetti svantaggiati.<br />

Ogni servizio, anche se con un lavoro<br />

ben fatto, risulta insufficiente per accogliere<br />

la varietà delle richieste e per<br />

supportare i soggetti nel lungo percorso<br />

di regresso nel contesto sociale.<br />

Al fine di realizzare questo processo di<br />

coordinamento delle risorse che abbia<br />

83


Didattica<br />

alla base una condivisione delle interpretazioni<br />

sul fenomeno dell’esclusione<br />

e un comune accordo sui processi<br />

di ricapacitazione dei soggetti e della<br />

ricostruzione delle reti sociali, verranno<br />

realizzati due moduli di coordinamento-formazione<br />

:<br />

a) Il primo modulo è rivolto agli operatori<br />

dei servizi che si collocano nell’area<br />

degli interventi di bassa soglia, riduzione<br />

del danno, pronta accoglienza.<br />

In questa area si colloca il maggior numero<br />

di servizi che attualmente operano<br />

sul territorio. <strong>Servizi</strong> spesso nati di<br />

fronte a situazioni di necessità, legittimati<br />

più dall’urgenza delle situazioni<br />

che da una programmazione degli interventi.<br />

Se questa situazione anagrafica<br />

dei servizi ha favorito la pre<strong>senza</strong><br />

sul territorio di numerose occasioni di<br />

intervento di fronte alle situazioni di<br />

marginalità, non ha favorito un intervento<br />

dove tempi, modalità, relazioni<br />

tra servizi, definizione di specificità dei<br />

servizi hanno avuto possibilità di essere<br />

condivise. In questo senso il modulo<br />

intende avviare un percorso di coordinamento<br />

dei servizi dove attraverso<br />

momenti formativi si condividono<br />

gli strumenti e le modalità di intervento.<br />

b) Il secondo modulo formativo è rivolto<br />

agli operatori dei servizi che si<br />

collocano nell’area dell’ intervento progettuale.<br />

In questo ambito si intende<br />

avviare alcuni momenti seminariali<br />

che favoriscano l’acquisizione di contenuti<br />

inerenti l’intervento con soggetti<br />

in condizione di disagio e lo scambio<br />

tra operatori.<br />

Tempi previsti<br />

Quattro seminari da distribuirsi durante<br />

l’anno sociale 2004.<br />

84<br />

5.4. VERIFICA E CONSOLIDAMEN-<br />

TO DELLE RISORSE ESISTENTI<br />

I servizi presenti sul territorio sono alcuni<br />

attivi da lunga data e con una situazione<br />

amministrativa consolidata,<br />

altri sono stati attivati attraverso la presentazione<br />

di progetti su leggi di settore<br />

quindi con tempi legati alle scadenze<br />

dei progetti.<br />

Durante l’anno il tavolo, in base anche<br />

alle riflessioni che scaturiranno dai<br />

gruppi per aree, attiverà un lavoro di<br />

monitoraggio, verifica e supporto amministrativo<br />

ai servizi operanti sul territorio.<br />

Questo affinché venga data stabilità<br />

funzionale e temporale alla rete<br />

di servizi indispensabili per un buon<br />

intervento di contrasto alla marginalità<br />

presente sul territorio.<br />

Le azioni previste sono :<br />

• Definizione di una rete ideale di servizi.<br />

• Supporto ai servizi per una verifica<br />

della loro funzione all’interno di una<br />

rete integrata di risorse.<br />

• Supporto amministrativo nella presentazione<br />

di progetti su leggi di settore<br />

o attraverso il recupero di risorse<br />

economiche dalla legge 328.<br />

5.5. GRUPPI DI LAVORO PER AREE<br />

DI INTERVENTO<br />

Il lavoro svolto dal tavolo in questi primi<br />

mesi di attività ha privilegiato un<br />

percorso di costituzione del gruppo e<br />

di razionalizzazione delle risorse già<br />

esistenti.<br />

E’ necessario tuttavia, per un efficace<br />

lavoro a favore dei soggetti svantaggiati,<br />

approfondire i vari ambiti di intervento<br />

in modo che a tipologie di<br />

soggetti e di bisogni corrispondano risposte<br />

diversificate.


Questa attività verrà perseguita tramite<br />

la costituzione di quattro gruppi di<br />

lavoro: ogni gruppo su mandato e compiti<br />

del tavolo svolgerà un’attività di<br />

ricerca e programmazione di interventi<br />

nell’ambito di appartenenza del<br />

gruppo.<br />

Gruppo bassa soglia<br />

Il gruppo avrà il compito di ricerca<br />

approfondimento progettazione di interventi<br />

inerenti la condizione di marginalità<br />

legate alla strada o ai centri di<br />

prima accoglienza. Gli interventi potranno<br />

riferirsi a zone particolari del<br />

contesto cittadino (es. stazione ) o a bisogni<br />

particolari in questo ambito di<br />

intervento. Saranno aggetto di attenzione<br />

:<br />

• Gli interventi di tutela sanitaria.<br />

• Gli interventi di tutela legale.<br />

• Monitoraggio di servizi per i bisogni<br />

primari (docce, mense).<br />

Gruppo interventi progettuali<br />

Il gruppo avrà il compito di individuare<br />

e proporre interventi differenziati<br />

per il supporto individuale ai soggetti<br />

in condizione di grave emarginazione.<br />

In particolare, si porrà il compito di come<br />

garantire a soggetti adulti il diritto<br />

di un periodo di ricomposizione di una<br />

soggettività e progettualità spesso frantumata<br />

dalle esperienze di storia individuale.<br />

I soggetti possono provenire<br />

da situazione di strada, di prima accoglienza,<br />

dal carcere, da contesti di esclusione.<br />

Gruppo reinserimento<br />

Il gruppo avrà il compito di riflettere<br />

sul modo di ricomporre la frattura tra<br />

Didattica<br />

il contesto sociale e il contesto marginale<br />

in modo che venga meno il processo<br />

di esclusione, e la partecipazione<br />

ai diritti di alcuni soggetti della popolazione.<br />

In modo particolare diverrà oggetto<br />

di attenzione:<br />

• Individuazione di forme di accesso<br />

alla casa<br />

• Individuazione di forme di accesso<br />

al lavoro<br />

• L’accompagnamento sociale<br />

• Le reti sociali di appartenenza e il volontariato<br />

In particolare sarà importante ricomporre<br />

il legame tra diritto alla residenza,<br />

al lavoro, alla casa e servizio sociale.<br />

Gruppo formazione<br />

Vista la complessità del fenomeno, la<br />

molteplicità di servizi coinvolti e la diversità<br />

di figure professionali operanti<br />

nel settore, risulta di fondamentale<br />

importanza, per il buon funzionamento<br />

e l’efficacia dell’intervento, la programmazione<br />

formativa.<br />

Un gruppo di operatori coordinati dalla<br />

Provincia si assumerà il compito di<br />

programmare annualmente gli interventi<br />

formativi, di ricerca e di informazione<br />

mirati a aree di intervento o al più<br />

ampio piano del progetto.<br />

Tempi<br />

I gruppi lavorano su compiti definiti<br />

dal tavolo in cui vengono anche stabiliti<br />

i tempi di restituzione del lavoro<br />

di ricerca e progettazione.<br />

Modalità<br />

1. Ogni gruppo verrà coordinato da un<br />

operatore di un servizio su un tempo<br />

determinato dal tavolo.<br />

85


Didattica<br />

IL “PUNTO D’INCONTRO” DI VIA DEL<br />

LEONE, NEL QUARTIERE 1 A FIRENZE<br />

UN LUOGO DOVE SI LAVORA “CON” E NON “PER” I SENZA DIMORA<br />

Anna Maria De Rosa-Rappresentante FIO.psd per il Consiglio di Quartiere 1-Comune di Firenze.<br />

Referente per il Quartiere 1 del progetto “Punto di Incontro per i <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong> di via del leone”.<br />

Quando nel 1998 abbiamo incominciato<br />

la nostra avventura con i <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong><br />

del quartiere del Centro Storico,<br />

non avevamo le idee molto chiare riguardo<br />

gli obiettivi da raggiungere.<br />

Ci siamo presi tempo, e abbiamo cercato,<br />

prima di tutto, di “capire”.<br />

Uno psicologo, Maurizio Mordini, incaricato<br />

dal Quartiere 1, ha effettuato<br />

una ricerca sui <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>, stando<br />

con loro, andandoli a cercare nelle<br />

piazze storiche da loro frequentate, cercando<br />

di entrare nel loro mondo e nella<br />

loro quotidianità, nelle loro storie<br />

passate che li hanno portati alla vita<br />

in strada.<br />

Capire è stato il motivo conduttore di<br />

tutto il nostro lavoro, capire e rispettare<br />

le storie individuali.<br />

L’impegno del Quartiere verso questa<br />

problematica, infatti, è iniziato proprio<br />

per rompere il circolo vizioso creatosi<br />

tra i marginali che causano disagio agli<br />

abitanti e la risposta repressiva e di<br />

chiusura da parte di residenti e forze<br />

dell’ordine, che a sua volta creava nuove<br />

e peggiori situazioni di marginalità.<br />

Il “capire” ci ha portato subito ad evidenziare<br />

la necessità di aprire un “Punto<br />

di Incontro” nel quale lavorare non<br />

“per” i <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>, ma piuttosto<br />

“con” loro. Era evidente che un “Punto”<br />

diurno fosse più necessario e più<br />

urgente anche del “posto letto”.<br />

86<br />

Il dormire, bene o male, veniva risolto<br />

in qualche modo; il problema restava<br />

quello di avere un punto di riferimento<br />

durante l’arco della giornata, che,<br />

per chi vive in strada, diventa veramente<br />

lunga e vuota.<br />

Così, nell’ottobre del 2002, con il finanziamento<br />

dei Piani di Zona per la marginalità,<br />

abbiamo aperto il “Punto di<br />

Incontro”, in centro, nel rione di Oltrarno,<br />

adiacente all’Albergo Popolare,<br />

coordinato dallo stesso psicologo<br />

che aveva effettuato la ricerca, e gestito<br />

da alcuni operatori di una cooperativa;<br />

è aperto dal lunedì al venerdì<br />

dalle 15 alle 18, l’accesso è a bassa soglia.<br />

L’informazione della sua apertura è<br />

stata affidata alle associazioni di volontariato<br />

che operano in strada, abbiamo<br />

scelto, infatti, di non fare troppa pubblicità,<br />

niente manifesti, niente inaugurazioni,<br />

ma di partire “sottotono”,<br />

raggiungendo essenzialmente solo le<br />

persone strettamente interessate.<br />

Chi viene al “Punto” trova una stanza<br />

ben arredata, divani, sedie, tavoli, la televisione,<br />

lo stereo, la lavatrice, la doccia,<br />

la cucina, i giornali, gli operatori<br />

con cui parlare, e anche un’assistente<br />

sociale una volta alla settimana.<br />

Nessuno è costretto a parlare di sé,<br />

ma è libero di incontrare gli altri o stare<br />

per conto suo. Subito si è creato un


clima di “appartenenza” alla struttura<br />

che ha permesso una gestione partecipata<br />

e condivisa con gli ospiti, anche<br />

se non esente da difficoltà e problemi.<br />

Il Punto d’incontro raggiungerà tra<br />

poco più di un mese l’anno di vita.<br />

Attualmente abbiamo più di 100 iscritti<br />

ed una frequenza media giornaliera<br />

tra le 20 e le 25 persone.<br />

I frequentatori, pur essendo tutti accomunati<br />

dalla mancanza o dalla estrema<br />

precarietà del lavoro e/o della <strong>dimora</strong>,<br />

si differenziano nelle loro storie e<br />

modalità di fruizione del “Punto”.<br />

La grande maggioranza è italiana (80-<br />

85%). L’età media è intorno ai 40 anni.<br />

Vengono molte persone che hanno un<br />

passato di detenzione carceraria e che<br />

non trovano punti di riferimento quando<br />

tornano liberi.<br />

Una certa quota comprende individui<br />

con un passato di tossicodipendenza<br />

che frequentemente si riacutizza, includendo<br />

anche gli alcolisti.<br />

Un gruppo significativo è costituito da<br />

persone che hanno alle spalle un grave<br />

fallimento esistenziale, familiare o<br />

lavorativo, che costituisce una specie<br />

di punto di non ritorno che li porta ad<br />

allontanarsi dalla zona di residenza,<br />

<strong>senza</strong> però reali prospettive e risorse<br />

per sistemarsi in un nuovo contesto.<br />

Il numero dei frequentatori è in costante<br />

e rapido aumento; al loro arrivo vengono<br />

raccolti alcuni dati essenzialmente<br />

anagrafici, e la pre<strong>senza</strong> giornaliera.<br />

Lo strumento principale di pubblicità<br />

è il passaparola tra i frequentatori stessi,<br />

il che depone a favore della diffusione<br />

di una buona immagine del Punto.<br />

Possiamo individuare diverse tipologie<br />

di utilizzo del servizio:<br />

Quelli maggiormente e stabilmente in-<br />

Didattica<br />

seriti nel mondo del lavoro, ma con<br />

problemi di <strong>dimora</strong>, usano prevalentemente<br />

doccia e lavatrice, ma per alcuni<br />

c’è anche il tempo per un caffè o<br />

di mezz’ora alla televisione.<br />

C’è un gruppo di ‘fedelissimi’, che rappresentano<br />

un po’ l’anima storica del<br />

posto, che vengono tutti i giorni o quasi,<br />

e rimangono per tutto l’orario di<br />

apertura. Usano i servizi, ma prevale<br />

la dimensione relazionale, per cui il<br />

Punto diventa luogo di ritrovo.<br />

Vi è poi una serie di persone che si collocano<br />

a mezza strada tra quelle già descritte,<br />

per cui utilizzano i servizi, ma<br />

sono anche molto interessate alla socialità<br />

pur <strong>senza</strong> la costanza e l’assiduità<br />

di altri. Abbiamo un essenziale<br />

regolamento interno che dice semplicemente<br />

che la propria libertà si deve<br />

conciliare con quella degli altri, inoltre<br />

è fatto divieto di utilizzare bevande alcoliche<br />

anche nelle prossimità del Punto<br />

e divieto di fumare al suo interno;<br />

sono previste sospensioni della frequenza<br />

a seguito di infrazioni alle regole.<br />

Il venerdì viene effettuata una riunione<br />

tra operatori e frequentatori in merito<br />

ai problemi e ai progetti relativi al<br />

Punto e ai suoi attori.<br />

In un anno di apertura non si sono mai<br />

verificati episodi di reale pericolosità<br />

o gravità per i partecipanti, le regole<br />

vengono rispettate con un buon grado<br />

di identificazione nei loro principi<br />

di base, l’autogestione della cucina e<br />

della piccola manutenzione dei locali<br />

è spontanea. Nel complesso è presente<br />

un clima sociale disteso in grado di<br />

contenere e sdrammatizzare gli stati<br />

di tensione che a turno alcuni dei frequentatori<br />

possono presentare.<br />

87


Didattica<br />

Ci sono stati solo piccoli episodi di litigi<br />

e reale tensione con un solo ospite<br />

che un paio di volte ha sfidato in modo<br />

plateale il rispetto delle regole, soprattutto<br />

quelle relative al divieto di bere<br />

alcolici.<br />

La cosa più difficile è stata la chiusura<br />

totale ai cittadini non europei non in<br />

regola con il permesso di soggiorno.<br />

Tra le persone che vengono regolarmente<br />

è presente e crescente una certa<br />

capacità progettuale che va di pari<br />

passo con il recupero di una propria<br />

dignità e immagine personale.<br />

Aumenta anche l’apprezzamento del<br />

Punto come luogo di riferimento, dove<br />

ricostruire e riallacciare relazioni e<br />

rapporti con il mondo circostante.<br />

Un posto dove si può ricevere un consiglio,<br />

un’informazione, fare quattro<br />

chiacchiere con amici e conoscenti, fare<br />

il caffè per sé e per gli altri, scherzare,<br />

pensare, discutere, insomma ricostruirsi<br />

una cultura d’appartenenza che<br />

non è più, o non soltanto, quella della<br />

strada e dell’emarginazione.<br />

Si vedono quindi pienamente confermate<br />

le ipotesi del progetto che aveva<br />

proposto l’istituzione di questo servizio.<br />

Di estrema importanza, in questo<br />

senso, è il rapporto con il servizio sociale<br />

e la rete di volontariato del Quartiere<br />

1 che sono diventati, in pratica, un<br />

altro polo di attrazione per i <strong>senza</strong> <strong>dimora</strong><br />

che gravitano nel centro storico<br />

fiorentino, creando legami di appartenenza<br />

con il territorio.<br />

L’organizzazione e la realizzazione di<br />

un “mercatino”, dove hanno potuto<br />

vendere i loro prodotti artigianali (bigiotteria,<br />

disegni, dipinti…) ha rappresentato<br />

il momento nel quale si è percepita<br />

chiaramente da parte dei diver-<br />

88<br />

si attori del progetto (operatori, frequentatori,<br />

funzionari di riferimento<br />

del quartiere) la reale possibilità di poter<br />

superare la sterilità del circuito socio<br />

assistenziale con soluzioni creative<br />

ed efficaci.<br />

Un’altra soddisfazione è stato l’inserimento<br />

lavorativo di alcuni degli ospiti<br />

in situazioni culturalmente valide<br />

(un’importante libreria e una mostra<br />

riguardo uno studio europeo sulla vivibilità<br />

delle città d’arte, in occasione<br />

dell’inaugurazione della quale un<br />

gruppo di frequentatori del Punto ha<br />

partecipato al convegno e al rinfresco<br />

finale, assolutamente insieme a tutti<br />

gli altri cittadini partecipanti all’iniziativa…).<br />

Il punto centrale di tutto il<br />

lavoro del Quartiere 1 in questi anni,<br />

in una parola, è costituito dalla personalizzazione<br />

dei rapporti, cosicché si<br />

passa dai ‘<strong>senza</strong> <strong>dimora</strong>’ a ‘Giovanni’,<br />

‘Fabio’, ‘Luca’, dai barboni alle singole<br />

persone.<br />

E questo porta, almeno in alcuni, alla<br />

riattivazione di risorse in grado di favorire<br />

percorsi di autonomia e di recupero<br />

della propria dignità sociale.<br />

Insomma questa cosa funziona ed è<br />

ben diversa dall’assistenzialismo: si lavora<br />

sulle risorse delle persone più che<br />

sui loro problemi.<br />

Noi pensiamo di aver attivato un mo<br />

dello di lavoro, in cui si attua la cultura<br />

del lavorare “con” e non “per”, e ci<br />

auguriamo che, a seguito di questa<br />

buona esperienza, il modello possa essere<br />

riprodotto in tanti punti di incontro<br />

sparsi in tutta la città.<br />

L’articolo è stato redatto con l’essenziale contributo<br />

del dott. Maurizio Mordini, coordinatore del Punto<br />

di Incontro.


NORMATIVA SULLA RESIDENZA<br />

ANAGRAFICA IN ITALIA<br />

Pubblichiamo le principali normative di riferimento in Italia per la definizione<br />

della residenza anagrafica. Maggiori informazioni su questo tema sono contenute<br />

nel sito www.fiopsd.org<br />

I testi pubblicati non hanno carattere di ufficialità.<br />

L 24/12/1954 Num. 1228<br />

Legge 24 dicembre 1954, n. 1228 (in<br />

Gazz. Uff., 12 gennaio 1955, n. 8).<br />

Ordinamento delle anagrafi della popolazione<br />

residente (1) .<br />

Preambolo (Omissis).<br />

Articolo 1<br />

In ogni Comune deve essere tenuta<br />

l’anagrafe della popolazione residente.<br />

Nell’anagrafe della popolazione residente<br />

sono registrate le posizioni relative<br />

alle singole persone, alle famiglie<br />

ed alle convivenze, che hanno fissato<br />

nel Comune la residenza, nonché le<br />

posizioni relative alle persone <strong>senza</strong><br />

fissa <strong>dimora</strong> che hanno stabilito nel<br />

Comune il proprio domicilio, in conformità<br />

del regolamento per l’esecuzione<br />

della presente legge. Gli atti anagrafici<br />

sono atti pubblici.<br />

Articolo 2<br />

é fatto obbligo ad ognuno di chiedere<br />

per sé e per le persone sulle quali esercita<br />

la [patria potestà] (2) o la tutela, la<br />

iscrizione nell’anagrafe del Comune<br />

di <strong>dimora</strong> abituale e di dichiarare alla<br />

stessa i fatti determinanti mutazione<br />

di posizioni anagrafiche, a norma del<br />

regolamento, fermo restando, agli effetti<br />

dell’art. 44 del Codice civile, l’obbligo<br />

di denuncia del trasferimento an-<br />

L 1228/54<br />

che all’anagrafe del Comune di precedente<br />

residenza. L’as<strong>senza</strong> temporanea<br />

dal Comune di <strong>dimora</strong> abituale non<br />

produce effetti sul riconoscimento della<br />

residenza. Ai fini dell’obbligo di cui<br />

al primo comma, la persona che non<br />

ha fissa <strong>dimora</strong> si considera residente<br />

nel Comune ove ha il domicilio, e in<br />

mancanza di questo, nel Comune di<br />

nascita. Per i nati all’estero si considera<br />

Comune di residenza quello di nascita<br />

del padre o, in mancanza, quello<br />

della madre.<br />

Per tutti gli altri, soggetti all’obbligo<br />

della residenza, ai quali non possano<br />

applicarsi i criteri sopra indicati, è istituito<br />

apposito registro presso il Ministero<br />

dell’interno. Il personale diplomatico<br />

e consolare straniero, nonché<br />

il personale straniero da esso dipendente,<br />

non sono soggetti all'obbligo<br />

dell'iscrizione anagrafica.<br />

Articolo 3<br />

Il sindaco, quale ufficiale del Governo,<br />

è ufficiale dell’anagrafe. Egli può<br />

delegare e revocare, in tutto o in parte,<br />

le funzioni di ufficiale d’anagrafe al<br />

segretario comunale o ad altri impiegati<br />

idonei del Comune. Ogni delegazione,<br />

munita della firma autografa del<br />

delegato, ed ogni revoca devono essere<br />

approvate dal prefetto.<br />

89


Articolo 4<br />

L’ufficiale d’anagrafe provvede alla regolare<br />

tenuta dell’anagrafe della popolazione<br />

residente ed è responsabile della<br />

esecuzione degli adempimenti prescritti<br />

per la formazione e la tenuta degli<br />

atti anagrafici. Egli ordina gli accertamenti<br />

necessari ad appurare la verità<br />

dei fatti denunciati dagli interessati,<br />

relativi alle loro posizioni anagrafiche,<br />

e dispone indagini per accertare<br />

le contravvenzioni alle disposizioni della<br />

presente legge e del regolamento per<br />

la sua esecuzione.<br />

Egli invita le persone aventi obblighi<br />

anagrafici a presentarsi all’ufficio per<br />

fornire le notizie ed i chiarimenti necessari<br />

alla regolare tenuta dell’anagrafe.<br />

Può interpellare, allo stesso fine,<br />

gli enti, amministrazioni ed uffici<br />

pubblici e privati. Il personale dell’anagrafe<br />

ha l’obbligo di osservare il segreto<br />

su tutte le notizie di cui viene a<br />

conoscenza a causa delle sue funzioni.<br />

Articolo 5<br />

L’ufficiale d’anagrafe che sia venuto a<br />

conoscenza di fatti che comportino la<br />

istituzione o la mutazione di posizioni<br />

anagrafiche, per i quali non siano<br />

state rese le prescritte dichiarazioni,<br />

deve invitare gli interessati a renderle.<br />

In caso di mancata dichiarazione, l'ufficiale<br />

di anagrafe provvede di ufficio,<br />

notificando all’interessato il provvedimento<br />

stesso.<br />

Contro il provvedimento d'ufficio è ammesso<br />

ricorso al prefetto.<br />

Articolo 6<br />

Gli ufficiali di stato civile devono comunicare<br />

il contenuto degli atti dello<br />

stato civile e delle relative annotazioni<br />

all’ufficio d’anagrafe del Comune<br />

90<br />

di residenza delle persone cui gli atti<br />

o le annotazioni si riferiscono.<br />

Articolo 7<br />

Nei Comuni con separati uffici di stato<br />

civile possono essere istituite, con decreto<br />

del prefetto della Provincia, separate<br />

anagrafi autonome con la stessa<br />

circoscrizione territoriale dei corrispondenti<br />

uffici di stato civile. Le circoscrizioni<br />

territoriali degli uffici separati<br />

di stato civile di uno stesso Comune,<br />

preveduti dall’art. 2 dell’ordinamento<br />

dello stato civile approvato con<br />

R.D. 9 luglio 1939, n. 1238, devono corrispondere<br />

ad una o più delle frazioni<br />

geografiche di cui al primo comma dell’art.<br />

9 della presente legge. Questa disposizione<br />

non si applica agli uffici separati<br />

di quartieri delle grandi città.<br />

Articolo 8<br />

[In ogni Comune deve essere tenuto<br />

lo schedario della popolazione temporanea.<br />

La popolazione temporanea è costituita<br />

dalle persone che, <strong>dimora</strong>ndo nel<br />

Comune da non meno di quattro mesi,<br />

non vi abbiano, tuttavia, fissata la<br />

residenza] (3) .<br />

Articolo 9<br />

Il Comune provvede alla individuazione<br />

e delimitazione delle località abitate,<br />

alla suddivisione del territorio comunale<br />

in frazioni geografiche con limiti<br />

definiti in base alle condizioni antropogeografiche<br />

rilevate, ed alla esecuzione<br />

degli adempimenti connessi,<br />

che saranno prescritti dal regolamento.<br />

I limiti ed i segni relativi agli adempimenti<br />

anzidetti saranno tracciati su<br />

carte topografiche concernenti il territorio<br />

comunale.


Il piano topografico costituito dalle carte<br />

di cui al comma precedente sarà sottoposto,<br />

per l’esame e l’approvazione,<br />

all’Istituto centrale di statistica e sarà<br />

tenuto al corrente a cura del Comune.<br />

Articolo 10<br />

Il Comune provvede alla indicazione<br />

dell’onomastica stradale e della numerazione<br />

civica. La spesa della numerazione<br />

civica può essere posta a carico<br />

dei proprietari dei fabbricati, con la<br />

procedura prevista dal secondo comma<br />

dell’articolo 153 del T.U. della legge<br />

comunale e provinciale, approvato<br />

con R.D. 4 febbraio 1915, n. 148. I proprietari<br />

di fabbricati provvedono alla<br />

indicazione della numerazione interna.<br />

Articolo 11<br />

Chiunque avendo obblighi anagrafici<br />

contravviene alle disposizioni della<br />

presente legge ed a quelle del regolamento<br />

è punito, se il fatto non costituisce<br />

reato più grave, con la sanzione<br />

amministrativa da lire 50.000 a lire<br />

250.000 (4) .<br />

Per le persone residenti nei territori dello<br />

Stato in seguito ad immigrazione<br />

dall’estero, che non hanno provveduto<br />

a curare la propria iscrizione e quella<br />

delle persone sottoposte alla loro patria<br />

potestà o tutela nell’anagrafe del<br />

Comune dove <strong>dimora</strong>no abitualmente<br />

o, se non hanno fissa <strong>dimora</strong>, ai sensi<br />

del precedente articolo 2, nonché per<br />

chiunque consegue l’iscrizione contemporanea<br />

nell’anagrafe di più Comuni,<br />

si applica la sanzione amministrativa<br />

da lire 100.000 a lire 500.000 (4) .<br />

Entro dieci giorni dalla contestazione<br />

o notificazione della contravvenzione,<br />

fatta eccezione per le ipotesi previste<br />

dal comma precedente, il colpevole è<br />

ammesso a fare oblazione mediante<br />

pagamento della somma di lire 500 nelle<br />

mani dell’ufficiale d’anagrafe che ha<br />

accertato la contravvenzione (5) . Le somme<br />

riscosse a titolo di sanzione amministrativa<br />

(6) per le contravvenzioni previste<br />

nel presente articolo, sia in seguito<br />

a condanna sia per effetto di oblazione,<br />

spettano al Comune.<br />

Articolo 12<br />

La vigilanza sulla tenuta delle anagrafi<br />

della popolazione residente è esercitata<br />

dal Ministero dell’interno e dall’Istituto<br />

centrale di statistica.<br />

Nessuna annotazione sugli atti anagrafici,<br />

in aggiunta a quelle previste<br />

dalla presente legge e dal regolamento,<br />

può essere disposta <strong>senza</strong> l’autorizzazione<br />

del Ministero dell’interno d’intesa<br />

con l’Istituto centrale di statistica.<br />

Articolo 13<br />

Su proposta del Presidente del Consiglio<br />

dei Ministri d'intesa con i Ministri<br />

per l’interno, per la grazia e giustizia<br />

e per il tesoro, sarà emanato il<br />

regolamento per l’esecuzione della presente<br />

legge.<br />

(1) In luogo di Ministro/Ministero del tesoro e di Ministro/Ministero<br />

del bilancio e della programmazione<br />

economica, leggasi Ministro/Ministero del<br />

tesoro, del bilancio e della programmazione economica,<br />

ex art. 7, l. 3 aprile 1997, n. 94.<br />

(2) Potestà dei genitori.<br />

(3) Vedi, ora, l. 10 febbraio 1961, n. 5.<br />

(4) La sanzione originaria dell’ammenda è stata depenalizzata<br />

dall’art. 32, l. 24 novembre 1981, n. 689.<br />

L'importo della sanzione è stato così elevato, da<br />

ultimo, dall’art. 27, d.l. 28 febbraio 1983, n. 55,<br />

conv. in l. 26 aprile 1983, n. 131.<br />

(5) Vedi, ora, l’art. 16, l. 24 novembre 1981, n. 689.<br />

(6) In origine “ammenda”.<br />

91


MINISTERO DELL’INTERNO<br />

CIRCOLARE 29 maggio 1995, n. 8<br />

Precisazioni sull’iscrizione nell’anagrafe<br />

della popolazione residente di cittadini<br />

italiani.<br />

Ai prefetti della Repubblica<br />

Al commissario di Governo per la provincia<br />

di Trento<br />

Al commissario di Governo per la provincia<br />

di Bolzano<br />

Al presidente della giunta regionale<br />

della Valle d’Aosta<br />

All’istituto nazionale di statistica<br />

e per conoscenza:<br />

Al Gabinetto del Ministro<br />

In relazione a recenti notizie, riportate<br />

con evidenza dagli organi di stampa,<br />

circa il comportamento seguito da<br />

un’amministrazione comunale nell’esaminare<br />

le richieste di iscrizione anagrafica<br />

avanzate da cittadini italiani,<br />

questo Ministero, nell’ambito delle proprie<br />

competenze istituzionali, ritiene<br />

necessario effettuare alcune puntualizzazioni<br />

sulla tematica in questione, affinché<br />

da parte dei sindaci venga adottata<br />

una linea di condotta uniforme su<br />

tutto il territorio nazionale evitando,<br />

così, e discriminazioni a danno dei cittadini<br />

da comune a comune.<br />

Innanzitutto, va ricordato che il servizio<br />

anagrafico, unitamente ad altri, è<br />

un servizio di competenza dello Stato,<br />

gestito dai comuni per conto dello stesso<br />

ed il sindaco, nel gestire tale servizio<br />

in veste di ufficiale di anagrafe, agisce<br />

quale ufficiale di Governo cioè quale<br />

organo dello Stato e non quale capo<br />

dell’amministrazione comunale (art. 10<br />

della legge 8 giugno 1990, n. 142).<br />

Ne consegue, pertanto, che necessaria-<br />

92<br />

Circolare “Brancaccio”<br />

mente nella gestione di tale servizio il<br />

sindaco deve uniformarsi alla vigente<br />

legislazione nazionale che non può,<br />

peraltro, subire interferenze con altre<br />

normative ad, in particolare, di quelle<br />

regionali, nonché alle direttive impartire<br />

nella materia dai competenti organi<br />

governativi.<br />

Pertanto il sindaco quale ufficiale di<br />

anagrafe e di Governo, nell’esaminare<br />

le domande di iscrizione anagrafica<br />

presentate dai cittadini italiani, deve<br />

osservare scrupolosamente la legislazione<br />

vigente che è costituita dalla legge<br />

24 dicembre 1954, n. 1228, e dal decreto<br />

del presidente della Repubblica<br />

30 maggio 1989, n. 223, per quel che<br />

concerne al popolazione residente in<br />

Italia, e dalla legge 27 ottobre 1988, n.<br />

470, e dal decreto del Presidente dalla<br />

Repubblica 6 settembre 1989, n. 323,<br />

relativamente ai cittadini italiani residenti<br />

all’estero.<br />

Orbene, dall’esame di detta normativa<br />

si evince che la richiesta di iscrizione<br />

anagrafica, che costituisce un diritto<br />

soggettivo del cittadino, non appare<br />

vincolata ad alcuna condizione, né potrebbe<br />

essere il contrario, in quanto in<br />

tal modo si verrebbe a limitare la libertà<br />

di spostamento e di stabilimento dei<br />

cittadini sul territorio nazionale in palese<br />

violazione dell'art. 16 della Carta<br />

costituzionale.<br />

Alla luce delle suesposte considerazioni<br />

appaiono pertanto contrarie alla legge<br />

e lesive dei diritti dei cittadini quei<br />

comportamenti adottati da alcune amministrazioni<br />

comunali che, nell’esaminare<br />

le richieste di iscrizione anagrafica,<br />

chiedono una documentazio-


ne comprovante lo svolgimento di una<br />

attività lavorativa nel territorio comunale,<br />

ovvero la disponibilità di un’abitazione,<br />

e magari, nel caso di persone<br />

coniugate, la contemporanea iscrizione<br />

di tutti i componenti il nucleo familiare,<br />

ovvero procedono all’accertamento<br />

dell’eventuale esistenza di precedenti<br />

penali a carico del richiedente<br />

l’iscrizione.<br />

Tali comportamenti sembrano richiamare<br />

in vigore quei provvedimenti contro<br />

l’urbanesimo, risalenti alla legge 6<br />

luglio 1939, che venne abrogata con<br />

successiva legge 10 febbraio 1961, n. 5.<br />

Nel rammentare che il concetto di residenza,<br />

come affermato da costante<br />

giurisprudenza e da ultimo dal tribunale<br />

amministrativo regionale del Piemonte<br />

con sentenza depositata il 24<br />

giugno 1991, è fondato sulla <strong>dimora</strong><br />

abituale del soggetto sul territorio comunale,<br />

cioè dall’elemento obiettivo<br />

della permanenza in tale luogo e soggettivo<br />

dell’intenzione di avervi stabile<br />

<strong>dimora</strong>, rilevata dalle consuetudini<br />

di vita e dallo svolgimento delle relazioni<br />

sociali, occorre sottolineare che<br />

non può essere di ostacolo alla iscrizione<br />

anagrafica la natura dell’alloggio,<br />

quale ad esempio un fabbricato privo<br />

di licenza di abitabilità ovvero non conforme<br />

a prescrizioni urbanistiche, grotte,<br />

alloggi in roulottes.<br />

Tale assunto, che da sempre costituisce<br />

uno dei criteri guida delle anagrafi comunali,<br />

condiviso sia da questo Ministero<br />

che dall'Istituto nazionale di statistica,<br />

è conseguente al fine a cui è ispirata<br />

la legislazione anagrafica e cioè dalla<br />

rilevazioni delle situazioni di fatto.<br />

In pratica la funzione dell'anagrafe è<br />

essenzialmente di rilevare la pre<strong>senza</strong><br />

stabile, comunque situata, di soggetti<br />

sul territorio comunale, né tale funzione<br />

può essere alterata dalla preoccupazione<br />

di tutelare gli interessi anch’essi<br />

degni di considerazione, quali ad esempio<br />

l’ordine pubblico, l’incolumità<br />

pubblica, per la cui tutela dovranno<br />

essere azionati idonei strumenti giuridici,<br />

diversi tuttavia da quello anagrafico.<br />

Dalle suesposte considerazioni emerge<br />

che il compito precipuo dell’ufficiale<br />

d’anagrafe è quello di accertare la<br />

corrispondenza tra quanto dichiarato<br />

dal cittadino, cioè l’intenzione di risiedere<br />

nel comune, e la res facti, ovverosia<br />

l’effettiva pre<strong>senza</strong> abituale dello<br />

stesso, che dovrà formare oggetto di<br />

apposito accertamento disposto dall’ufficiale<br />

d’anagrafe, cui spetta esclusivamente<br />

la decisione finale - accoglimento<br />

o meno - della richiesta di iscrizione<br />

anagrafica.<br />

A formare il tale convincimento ben<br />

possono concorrere altri elementi di valutazione,<br />

quale l’esercizio di un qualsiasi<br />

tipo di attività lavorativa, l’acquisto<br />

o la locazione di un immobile da<br />

adibire ad abitazione, ma non può presumersi<br />

che in mancanza di tali elementi<br />

il soggetto non potrà <strong>dimora</strong>re<br />

abitualmente.<br />

Un simile comportamento adottato dall’ufficiale<br />

d’anagrafe è censurabile non<br />

solo avuto riguardo alla legislazione<br />

anagrafica, ma, oltretutto, alla luce del<br />

disposto dell’art. 3 della legge 7 agosto<br />

1990, n. 241, che impone l'obbligo<br />

della motivazione dei provvedimenti<br />

adottati dalle pubbliche amministrazioni.<br />

In effetti, in pre<strong>senza</strong> di quello che costituisce<br />

un diritto-dovere del cittadi-<br />

93


no, richiedere ed avere residenza anagrafica,<br />

non si può assolutamente ipotizzare<br />

l’esistenza di una discrezionalità<br />

dell’amministrazione comunale, ma<br />

soltanto il dovere di compiere un atto<br />

dovuto ancorato all’accertamento obiettivo<br />

di un presupposto di fatto, e cioè<br />

la pre<strong>senza</strong> abituale del soggetto sul<br />

territorio comunale. Con ciò non si vuol<br />

certo sostenere che vadano accolte<br />

indiscriminatamente le richieste di iscrizione<br />

anagrafica in base alla sola manifestazione<br />

di volontà dell’interessato,<br />

ma affermare la necessità di attenersi<br />

scrupolosamente alla vigente legislazione<br />

ed alle istruzioni impartite<br />

sia da questo Ministero che dall’Istituto<br />

nazionale di statistica, che ai sensi<br />

dell’art.12 della legge 24 dicembre 1954,<br />

n. 1228, esercitano la vigilanza sulla regolare<br />

tenuta delle anagrafi.<br />

Infatti, d’intesa con il suddetto istituto,<br />

è stato predisposto il verbale di accertamento<br />

da usarsi dalla polizia municipale,<br />

su richiesta dell’ufficiale di<br />

anagrafe, per gli accertamenti da effettuare<br />

in caso di cambio di residenza<br />

e di abitazione.<br />

Dall’esame dell’esemplare di tale verbale<br />

riportato a pag. 120 del volume<br />

“Note ed Avvertenze” edito dall’Istat<br />

si trae un complesso di notizie che, nel<br />

loro insieme, sono mirate a determinare<br />

il convincimento dell'ufficiale di anagrafe<br />

sull’abitualità della <strong>dimora</strong> del<br />

MINISTERO DELL’INTERNO<br />

CIRCOLARE 15 gennaio 1997. n. 2<br />

Anagrafe della popolazione residente<br />

- iscrizione - apposizione di condizioni<br />

- inammissibilità.<br />

94<br />

Circolare “Napolitano”<br />

soggetto. Ovviamente l’accertamento<br />

non si esaurirà nella compilazione del<br />

predetto verbale e l’ufficiale d’anagrafe<br />

potrà assumere aliunde ulteriori elementi<br />

utili allo scopo, ma non può assolutamente<br />

sostenersi che le risposte<br />

alle domande indicate nel verbale in<br />

questione devono essere necessariamente<br />

confortate da idonea documentazione<br />

a carico dell’interessato.<br />

Nel ribadire l’importanza della problematica<br />

in questione, che investe un settore<br />

dell’attività amministrativa dei comuni<br />

particolarmente delicato anche<br />

per la stretta connessione con la materia<br />

elettorale, si pregano le SS.LL. di<br />

voler dare la massima diffusione al presente<br />

documento presso i comuni della<br />

provincia, richiamando la particolare<br />

attenzione dei signori sindaci sulle<br />

responsabilità sia di ordine penale che<br />

amministrativo, che potrebbero loro derivare<br />

da un’impropria gestione del<br />

servizio anagrafico.<br />

Ciò anche al fine di prevenire il verificarsi<br />

di ulteriori episodi, che danneggiano<br />

non solo il cittadino ma anche<br />

l’immagine dei pubblici poteri.<br />

Si prega, infine, di segnalare a questo<br />

Ministero se, nell’ambito della provincia,<br />

si siano verificate situazioni analoghe<br />

a quella segnalata, dando notizie<br />

degli interventi svolti.<br />

il Ministro: BRANCACCIO<br />

Ai prefetti della Repubblica<br />

Al commissario di Governo per la provincia<br />

di Trento<br />

Al commissario di Governo per la provincia<br />

di Bolzano


Al presidente della giunta regionale<br />

della Valle d’Aosta<br />

e, per conoscenza:<br />

All’istituto nazionale di statistica<br />

All’A.N.C.I.<br />

All’A.N.U.S.C.A.<br />

Al Gabinetto del Ministro<br />

Con precedente circolare MIACEL n. 8<br />

del 29 maggio 1995, questo Ministero<br />

ha diramato precise disposizioni sulla<br />

puntuale ed esatta gestione dell’anagrafe<br />

da parte dei signori sindaci, nella<br />

loro qualità di ufficiali di Governo,<br />

richiamando l’attenzione degli stessi<br />

sulle conseguenze, non solo di ordine<br />

penale ma anche amministrative, cui<br />

può dare luogo, la creazione di impedimenti,<br />

non previsti da norme legislative,<br />

all’iscrizione in anagrafe.<br />

In particolare veniva sottolineato che<br />

l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione<br />

residente dei cittadini italiani,<br />

non è sottoposta ad alcuna condizione,<br />

come si evince chiaramente non solo<br />

dalla legge 24 dicembre 1954, n. 1228,<br />

e dal successivo decreto del Presidente<br />

della Repubblica 30 maggio 1989, n.<br />

223, ma altresì dalla costante giurisprudenza<br />

della Corte di Cassazione.<br />

Unico requisito è la corrispondenza che<br />

deve intercorrere tra la situazione di<br />

fatto e quanto dichiarato dall’interessato.<br />

Tuttavia, si è già verificato e continua<br />

a verificarsi, che alcune ammini-<br />

strazioni comunali, proseguono a respingere<br />

richieste d’iscrizione in anagrafe<br />

a cittadini che abbiano precedenti<br />

penali.<br />

Nel premettere che in ogni caso, provvedimenti<br />

del genere devono essere<br />

formalizzati ed, ai sensi dell’art. 3 della<br />

legge 7 agosto 1990, n. 241, adeguatamente<br />

motivati, onde permettere agli<br />

interessati una eventuale impugnativa,<br />

si evidenzia che tale comportamento<br />

viene a concretizzare l’irrogazione di<br />

una sanzione non prevista da alcuna<br />

normativa, ed è in contrasto con il principio<br />

di uguaglianza sancito dall’art. 3<br />

della Carta costituzione e con il successivo<br />

art. 16 che prevede libertà di<br />

movimento su tutto il territorio dello<br />

nazionale.<br />

Ciò premesso, atteso il ripetersi di tali<br />

inammissibili episodi cui si aggiunge,<br />

da ultimo, il rifiuto di esaminare pratiche<br />

di iscrizione anagrafica a cittadini<br />

non abbienti, si invitano le SS.LL. ad<br />

effettuare la più accurata sorveglianza<br />

sulla gestione delle anagrafi da parte<br />

dei signori sindaci, procedendo, se del<br />

caso, ad adottare tutti quei provvedimenti<br />

a tutela della dignità della persona,<br />

non esclusa la segnalazione all’autorità<br />

giudiziaria.<br />

Si resta in attesa di assicurazione.<br />

Il Ministro: NAPOLITANO<br />

95


SEGRETERIA FIO.PSD<br />

i<br />

Vicolo S. Lucia, 4/14 - 16128 GENOVA - Tel. 010 2461096 - Fax 010 2461096<br />

E-mail: fiopsd@fiopsd.org<br />

Orari:<br />

da Lunedì a Venerdì dalle 9.00 alle 12.00

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!