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La Rivista Euler Hermes Italia n°55

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Speciale<br />

Dobbiamo sviluppare tutte le energie<br />

che oggi ci sono. A questo proposito sto<br />

lavorando con Confindustria sulla mappatura<br />

di tutte le opere private ferme<br />

non per mancanza di investimenti ma di<br />

autorizzazioni, veti locali, blocchi, ecc».<br />

A suo avviso la forza produttiva italiana<br />

potrebbe tornare a crescere<br />

se aggredisse con più decisione<br />

questa opportunità? E soprattutto,<br />

siamo di fronte a una saturazione<br />

delle capacità attuali di export delle<br />

imprese italiane?<br />

«È il mix delle due cose. <strong>La</strong> qualità e lo<br />

stile italiani sono ancora molto apprezzati.<br />

Guardando i dati dell’export il<br />

Sigaro Toscano registra quest’anno un<br />

+22,5% e continua un trend molto positivo.<br />

Naturalmente sono diminuite alcune<br />

esportazioni dovute al rallentamento<br />

economico di alcune aree importanti,<br />

ma dobbiamo anche dire che<br />

il limite strutturale del nostro modello<br />

che è fatto principalmente di piccole e<br />

medie imprese prima o poi arriverà a<br />

una maturazione anche su questo<br />

fronte. <strong>La</strong> risposta delle reti d’impresa<br />

è buona ma non sufficiente; così come<br />

l’idea di avere una nuova Agenzia più<br />

vicina ai bisogni delle Pmi è una buona<br />

risposta. Tutto questo non è tuttavia<br />

sufficiente perché la dimensione della<br />

piccola e media impresa è un fattore<br />

inibitorio rispetto alla complessità e alla<br />

competizione presenti sui mercati<br />

internazionali. Pur avendo un grande<br />

ruolo sui mercati esteri (ci attestiamo<br />

intorno al 3,5% di quote di commercio<br />

mondiale) sta quindi cominciando ad<br />

essere matura la capacità di export delle<br />

imprese italiane, perché quelle forti<br />

e autonome sono ormai presenti in<br />

tutti i Paesi, mentre le piccole hanno<br />

bisogno di essere assistite e culturalmente<br />

educate alle esportazioni».<br />

Il capo economista del Gruppo <strong>Euler</strong><br />

<strong>Hermes</strong>, Ludovic Subran, ha spiegato<br />

che, contrariamente a quanto avveniva<br />

in passato, molte aziende dei Paesi<br />

in via di sviluppo come quelle sudamericane<br />

chiedono che vengano assicurati<br />

i loro crediti quando vengono a<br />

fare affari in Europa perché si fidano<br />

22<br />

Ogni punto di mancata<br />

crescita della Cina<br />

per il sistema<br />

dell’Eurozona<br />

vale 30/40 miliardi<br />

meno della solvibilità delle imprese<br />

del Vecchio Continente. Si stanno<br />

veramente ribaltano gli equilibri e i<br />

pesi commerciali mondiali?<br />

«Probabilmente è così. Che l’Europa faccia<br />

fatica e dia l’immagine di un continente<br />

un po’ stanco e con varie difficoltà<br />

mi sembra evidente, come è evidente<br />

nel giudizio dei mercati internazionali.<br />

Questo dato non sorprende anzi conferma<br />

una tendenza che spesso c’è negli<br />

operatori economico-finanziari ancor<br />

prima di quelli industriali, che invece<br />

hanno un indice di fiducia più elevato.<br />

Il problema è più l’euro che i singoli<br />

Paesi perché molte imprese hanno la<br />

percezione che un investimento fatto<br />

in euro si possa svalutare nel breve<br />

termine. Questo è un tema al quale<br />

sono chiamate a rispondere le autorità<br />

monetarie e l’Unione europea accelerando<br />

la politica di coesione che<br />

va oltre la moneta unica».<br />

Di contro, la montagna di crisi<br />

aziendali che giace sul tavolo del<br />

Ministero dello Sviluppo non indica<br />

che è forse il momento di pensare<br />

a un nuovo modello di sviluppo,<br />

più moderno e più innovativo?<br />

«Siamo il secondo Paese manifatturiero<br />

europeo e una presenza importante<br />

a livello globale. Se domattina<br />

ci svegliassimo senza il nostro assetto<br />

industriale saremmo un Paese da<br />

terzo mondo perché, non avendo fatto<br />

investimenti infrastrutturali, non<br />

avremmo altra forza.<br />

Quindi questo settore va preservato più<br />

di quanto i governi che si sono succeduti<br />

negli ultimi 20 anni abbiano fatto.<br />

la RIVISTA <strong>Euler</strong> <strong>Hermes</strong> <strong>Italia</strong><br />

Questo è uno dei pochi Paesi dove se<br />

chiede a un lavoratore quanto guadagna<br />

le dirà poco e se chiede a un datore<br />

di lavoro quanto paga per un lavoratore<br />

le dirà tanto. Ciò significa che non si sono<br />

create le condizioni per avvicinare il<br />

mondo del lavoro perché lo si è caricato<br />

di tasse come non è stato fatto in nessun<br />

altro Stato. Lo stesso per quanto riguarda<br />

la burocrazia, la mancata liberalizzazione<br />

del mercato e il rapporto tra<br />

la politica e le imprese. Molte crisi di oggi<br />

sono legate a questi fattori come nel<br />

caso del costo dell’energia, che viene<br />

mediamente pagata in <strong>Italia</strong> il 30% in<br />

più rispetto agli altri competitor europei<br />

come Francia e Germania.<br />

Lo stesso si dica per la burocrazia che<br />

asfissia le imprese. Questo concetto lo<br />

ripete spesso il presidente di<br />

Confindustria Giorgio Squinzi quando<br />

racconta che per aprire un’impresa chimica<br />

in Germania ci vogliono 5 autorizzazioni,<br />

mentre ne servono 46 in <strong>Italia</strong>».<br />

Come mantenere allora la competitività<br />

del nostro sistema industriale?<br />

«Da una parte sburocratizzando il<br />

Paese in maniera violenta. Serve<br />

uno shock di competitività, misure<br />

incisive anche a costo zero in cui si<br />

dà il segnale forte che il Paese vuole<br />

cambiare.<br />

Sul tema del costo dell’energia dobbiamo<br />

avvicinarci almeno agli standard<br />

europei, quindi considerare il<br />

mondo manifatturiero a rischio in

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