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mo “da soli a soli di fronte alla natura” (M., p. 237) – quasi<br />

che <strong>in</strong> questa solitud<strong>in</strong>e fosse avvertib<strong>il</strong>e quel s<strong>il</strong>enzio della<br />

volontà che caratterizza lo stato di contemplazione pura. Questo<br />

stato “si realizza con tanto maggiore fac<strong>il</strong>ità quando gli<br />

oggetti si prestano”, e la bella natura è capace di rapire, almeno<br />

per un attimo anche l’uomo più <strong>in</strong>sensib<strong>il</strong>e all’ebbrezza del<br />

piacere estetico (§ 39). Ciò accade perché nella natura le idee<br />

si presentano nella varietà delle loro forme con la massima<br />

evidenza e la massima ricchezza. In particolare ciò vale per <strong>il</strong><br />

regno vegetale – sembra quasi che le sue forme che sono prive<br />

di autocoscienza, e qu<strong>in</strong>di <strong>in</strong>capaci di mostrarsi a se stesse,<br />

siano, quasi per una sorta di misteriosa compensazione, predisposte<br />

a mostrarsi ad altri: come se esse non potendo essere<br />

rappresentazioni per se stesse, desiderassero essere rappresentazioni<br />

almeno per altri.<br />

S<strong>in</strong>golare osservazione, davvero! Ma molto espressiva, <strong>in</strong><br />

realtà. Dice letteralmente Schopenhauer:<br />

“... sentono qu<strong>in</strong>di <strong>il</strong> bisogno di un <strong>in</strong>dividuo estraneo e <strong>in</strong>telligente<br />

per passare dal mondo della volontà cieca <strong>in</strong> quello della<br />

rappresentazione, e così aspirano ad effettuare questo passaggio,<br />

per ottenere almeno <strong>in</strong> via mediata quello che non è stato loro<br />

concesso immediatamente” (§ 39).<br />

Un pensiero audace – osserva ancora Schopenhauer – al limite<br />

della sensatezza, ma che può ben capire chi sia profondamente<br />

immerso <strong>in</strong> una visione <strong>in</strong>tima e compartecipe della<br />

natura. La bellezza di un fiore può essere tale da suggerire<br />

l’idea che esso si appelli ad uno sguardo! Su questa idea così<br />

arrischiata, Schopenhauer si compiace di poter citare a testimone<br />

Agost<strong>in</strong>o: “Le piante presentano ai sensi, aff<strong>in</strong>ché siano<br />

percepite le loro molteplici forme, che abbelliscono la struttura<br />

di questo mondo sensib<strong>il</strong>e: come se, non potendo conoscere,<br />

volessero quasi farsi conoscere” (De civitate Dei, XI, 27).<br />

Non deve poi sorprendere <strong>il</strong> fatto che, dopo tutto que-

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