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Progetto Co.Al.Ta. II Sintesi dei risultati - Cra

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<strong>Co</strong>pertina.qxp 25/02/2008 10.06 Pagina 1<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong><br />

<strong>Sintesi</strong> <strong>dei</strong> <strong>risultati</strong><br />

Presentati nell’ambito del <strong>Progetto</strong> Di.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong><br />

“Divulgazione delle colture alternative al tabacco”<br />

Finanziato dalla <strong>Co</strong>munità Europea<br />

Regolamento CE n. 2182/2002<br />

con vigilanza tecnica del<br />

Ministero delle Politiche Agricole <strong>Al</strong>imemtari e Forestali


Premessa.qxp 18/02/2008 8.20 Pagina 1<br />

Il progetto Di.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong> 2 - Premessa<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 1<br />

Il progetto Di.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong> 2 si inserisce in un ciclo di progetti coordinati dall'ex Istituto Sperimentale del<br />

<strong>Ta</strong>bacco ora Unità di Ricerca per le <strong>Co</strong>lture alternative al <strong>Ta</strong>bacco di Scafati (Sa).<br />

I progetti nascono per affrontare le tematiche derivanti della riforma della PAC (Politica Agricola<br />

<strong>Co</strong>mune) del giugno 2003 e delle problematiche ad essa connesse.<br />

<strong>Co</strong>n la riforma della PAC si è inteso privilegiare il produttore piuttosto che il sostegno al prodotto, trasferendo<br />

la maggior parte del finanziamento disponibile dal sistema corrente al "pagamento unico aziendale".<br />

La riforma permette di trasferire risorse dalle misure di mercato allo sviluppo rurale ed inoltre,<br />

essendo il pagamento unico condizionato al rispetto di norme ambientali, assicura il mantenimento degli<br />

alti standard di prodotto che i consumatori mostrano di desiderare.<br />

La separazione tra l'erogazione <strong>dei</strong> fondi strutturali dell'UE ed il tipo di produzione ha riguardato<br />

anche la coltura del tabacco. Ciò ha messo in allarme gli operatori del settore nonché il Ministero delle<br />

politiche agricole, data l'importanza socio - economica del tabacco in Italia, che è coltivato su una superficie<br />

complessiva di circa 40.000 ha, con una produzione media di 3,42 t ha-1 (Istat, 2003).<br />

Pertanto, il <strong>Co</strong>nsiglio <strong>dei</strong> Ministri dell'agricoltura dell'Unione Europea, in particolare grazie all'impegno<br />

del Ministro dell'Agricoltura italiano, per non creare un traumatico abbandono della coltura con serie<br />

ripercussioni economiche ed occupazionali, ha raggiunto, nell'aprile del 2004, un accordo per riformare<br />

il settore del tabacco, mantenendo per il 2005 lo status quo ed attivando dal 2006 al 2010 il disaccoppiamento<br />

parziale degli aiuti.<br />

Il problema, tuttavia, è stato spostato nel tempo ma non accantonato. Il mancato sostegno alla coltivazione<br />

di tabacco per combattere il tabagismo, infatti, potrebbe portare al graduale "smantellamento"<br />

della tabacchicoltura italiana. È quindi opportuno prevedere in anticipo la riconversione della coltura ed<br />

il diverso utilizzo delle superfici agricole attualmente coltivate a tabacco.<br />

In tale contesto è già in corso di svolgimento a partire dal 25 giugno 2004 il progetto <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong><br />

(<strong>Co</strong>lture <strong>Al</strong>ternative al <strong>Ta</strong>bacco) con lo scopo di individuare, con un approccio multidisciplinare di taglio<br />

socio-economico ed agronomico, delle alternative al tabacco per le zone rientranti nelle province di<br />

Salerno e Benevento per la regione Campania e di Brindisi e Lecce per la regione Puglia. <strong>Co</strong>n il progetto<br />

<strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>.2 la ricerca si è ulteriormente estesa alle regioni Umbria, Veneto e Toscana ed alle aree della<br />

Campania non interessate dal primo <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>.<br />

Sulla scia del primo <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong> è stato successivamente varato il progetto Di.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong> (Divulgazione delle<br />

colture <strong>Al</strong>ternative al <strong>Ta</strong>bacco) con lo scopo di realizzare un centro servizi capace di effettuare azioni di<br />

orientamento ed assistenza per i produttori che intendono abbandonare la produzione del tabacco nelle<br />

zone coperte dal progetto <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>.<br />

Obiettivo principale del progetto Di<strong>Al</strong><strong>Ta</strong>2 è di migliorare i servizi già offerti da Di<strong>Al</strong><strong>Ta</strong> e di estenderli<br />

alle zone interessate dal progetto <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>2 (quindi Campania, Toscana, Umbria e Veneto). In particolare,<br />

il miglioramento <strong>dei</strong> servizi esistenti implicherà quanto segue.<br />

* Potenziare il centro servizi già realizzato nell'ambito di Di.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong> con funzionalità avanzate di<br />

videoconferenza, user profiling e information filtering profile-based per incrementare l'efficacia e l'efficienza<br />

degli interventi di formazione e tutorato a distanza oltre che per rendere più proficue le ricerche di<br />

informazioni sia all'interno che all'esterno della base di conoscenza del sistema massimizzando il matching<br />

tra informazione ricercata e documenti reperiti.<br />

* Accrescere la base di conoscenza ed il portfolio formativo del centro servizi sia integrando i <strong>risultati</strong><br />

derivanti dal progetto <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>2 (afferenti alla nuove regioni), sia attraverso la realiz-zazione e l'integrazione<br />

di materiale specifico (di tipo informativo e formativo) contestualizzato sulle nuove realtà territoriali<br />

da coinvolgere nel progetto.<br />

* Realizzare materiale divulgativo prevedendo la realizzazione di schede informative descriventi<br />

ciascuna delle colture alternative al tabacco e la produzione di filmati da distribuire in formato DVD<br />

Video illustranti la problematica delle riconversione, le caratteristiche delle principali attività alternative,<br />

le tecniche agrozootecniche, le opportunità del mercato, ecc.


Premessa.qxp 18/02/2008 8.20 Pagina 2<br />

2 Premessa<br />

Il progetto si è sviluppato in due fasi.<br />

<strong>Co</strong>n la fase preparatoria è stata potenziata l'infrastruttura tecnologica già realizzata nel corso del<br />

primo Di.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong> per ampliare la base di conoscenza relativa alle aree di produzione del tabacco di competenza<br />

del progetto. Inoltre, in questa fase, si è svolta l'attività di formazione rivolta al personale destinato<br />

all'assistenza e alla consulenza a supporto <strong>dei</strong> tabacchicoltori.<br />

La fase esecutiva, invece, ha rappresentato il momento di confronto diretto con i vari attori del mondo<br />

del tabacco coinvolti nei processi di riforma in corso.<br />

Attraverso incontri tematici, tavole rotonde e workshop è stato esaminato lo stato della conoscenza<br />

<strong>dei</strong> problemi attinenti la riconversione, in particolare c'è stato uno scambio di informazioni che ha permesso<br />

agli esecutori del progetto di individuare le esigenze <strong>dei</strong> tabacchicoltori e rilevare la disponibilità<br />

al cambiamento. Inoltre, durante gli incontri il progetto ha realizzato approfondimenti erogati attraverso<br />

la piattaforma informatica e distribuito materiale divulgativo e informativo.<br />

L'attività è stata quindi caratterizzata da azioni di input ed output che hanno costituito un possibilità<br />

reale di confronto con l'obiettivo di far aumentare la consapevolezza del cambiamento e proporre alcune<br />

tra le possibili soluzioni ai tabacchicoltori sensibili ad un processo di diversificazione.<br />

Supervisore Di.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>2<br />

Vincenzo La Croce


Premessa.qxp 18/02/2008 8.20 Pagina 3<br />

Il progetto <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong> 2 - Premessa<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 3<br />

<strong>Co</strong>n la riforma della Politica Agricola <strong>Co</strong>mune, ratificata nel giugno 2003, si è inteso sostenere il produttore<br />

piuttosto che il prodotto, trasferendo la maggior parte del finanziamento disponibili dal sistema corrente<br />

al pagamento unico aziendale. <strong>Ta</strong>le riforma permette di trasferire risorse dalle misure di mercato<br />

allo sviluppo rurale ed inoltre, essendo il pagamento unico condizionato al rispetto di norme<br />

ambientali,assicura il mantenimento degli alti standard di prodotto che i consumatori mostrano di desiderare.<br />

La separazione tra l'erogazione <strong>dei</strong> fondi strutturali UE ed il tipo di produzione (disaccoppiamento)<br />

riguarda anche la coltura del tabacco. Pertanto, il <strong>Co</strong>nsiglio <strong>dei</strong> Ministri dell'Unione Europea, grazie<br />

anche all'impegno del Ministro dell' Agricoltura italiano, per non creare un traumatico abbandono della<br />

coltura con serie ripercussioni economiche ed occupazionali, ha raggiunto, nell'aprile del 2004, un accordo<br />

per riformare il settore del tabacco, introducendo dall'anno 2006 il disaccoppiamento parziale degli<br />

aiuti. Il problema, tuttavia è stato spostato nel tempo ma non accantonato.<br />

Il mancato sostegno alla coltivazione di tabacco per combattere il tabagismo, infatti, potrebbe portare<br />

al graduale smantellamento della tabacchicoltura italiana. <strong>Ta</strong>le periodo dovrebbe consentire un graduale<br />

adattamento verso altri usi della superfici agricole attualmente coltivate a tabacco. Il sostegno allo sviluppo<br />

di iniziative specifiche per il passaggio <strong>dei</strong> tabacchicoltori ad altre attività agricole rientra pienamente<br />

tra le finalità del fondo comunitario del tabacco e negli orientamenti della politica agricola comunitaria<br />

e nazionale.<br />

La dotazione finanziaria del fondo ha consentito l'attività <strong>dei</strong> progetti <strong>Co</strong>. <strong>Al</strong>. <strong>Ta</strong> 1 e 2 e <strong>dei</strong> progetti<br />

divulgativi Di. <strong>Al</strong>. <strong>Ta</strong>. 1 e 2. I progetti <strong>Co</strong>. <strong>Al</strong>. <strong>Ta</strong>. hanno affrontato in maniera sistematica il problema<br />

delle alternative per le aree italiane a tabacchicoltura. L'obiettivo del progetto <strong>Co</strong>. <strong>Al</strong>. <strong>Ta</strong>. 2 è stato quello<br />

di sostenere la riconversione <strong>dei</strong> produttori di tabacco verso altre produzioni o attività, ai sensi del<br />

Regolamento CE n. 2182 del 6 dicembre 2002 (art. 14, lettera a) attraverso l'analisi e la verifica sperimentale<br />

di alternative di produzione vegetale che, valorizzando le risorse disponibili, forniscano comparabili<br />

possibilità di remunerazione <strong>dei</strong> fattori produttivi.<br />

Le aree considerate allo scopo sono state il Salento e le aree tabacchicole delle seguenti regioni:<br />

Campania, Umbria, Toscana e Veneto.<br />

Il progetto ha cercato di individuare con approccio multidisciplinare, di taglio economico, agronomico<br />

e zootecnico delle alternative al tabacco, tenendo conto delle produzioni tradizionali nelle zone interessate<br />

alla riconversione, della possibilità di una loro diffusione sul territorio, nonché delle opportunità<br />

offerte da nuove produzioni da introdurre, valutando i connessi aspetti economici, agronomici, zootecnici<br />

ed agrotecnici.<br />

A tale scopo il progetto comprende le seguenti linee di attività:<br />

1 - studi <strong>dei</strong> contesti tabacchicoli, che approfondiscono ed estendono a nuove aree le indagini intraprese<br />

con il precedente progetto COALTA.1;<br />

2 - valutazione delle possibilità di filiere alternative di produzione vegetale e verifica di alcuni<br />

modelli produttivi;<br />

3 - valutazione delle possibilità di produzioni zootecniche e servizi ambientali e verifica di relativi<br />

modelli;<br />

In particolare, gli aspetti del progetto sono stati curati dalle seguenti Unità Operative U.O.:<br />

1) C.R.A.- CAT- Unità di ricerca per le colture alternative al tabacco, che vedrà impegnate tutte le<br />

sue sedi (Scafati, Lecce, Roma e Bovolone)<br />

2) CNR-ISAFoM - Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, Ercolano<br />

3) CNR-IGV-Istituto di Genetica Vegetale, Sezione di Perugia,<br />

4) Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambiental-Sezione di Agronomia e <strong>Co</strong>ltivazioni erbacee,<br />

Università degli studi di Perugia


Premessa.qxp 18/02/2008 8.20 Pagina 4<br />

4 <strong>Co</strong>zzolino et al Risposta del pomodorino ciliegino..<br />

5) Istituto Agronomico per l'Oltremare di Firenze,(istituzione del Ministero degli Esteri)<br />

6) CIRSEMAF Centro Interuniversitario di ricerca sulla selvaggina e sui miglioramenti ambientali<br />

a fini faunistici di Firenz.<br />

7) CRA - ORT Centro di ricerca per l'Orticoltura di Pontecagnano<br />

Nello specifico la la linea di lavoro 1 si raccorderà con il parallelo progetto INEA per lo studio degli effetti<br />

della normativa comunitaria e nazionale e degli aspetti socio-economici della riconversione della filiera<br />

del tabacco (progetto RIPTA).<br />

Il Direttore del CRA-CAT<br />

Renato <strong>Co</strong>ntillo


cavolfiore.qxp 25/02/2008 10.21 Pagina 5<br />

Introduzione<br />

Il cavolfiore è la crucifera più coltivata in Italia,<br />

con circa 18.000 ha nel 2007 (dati ISTAT), localizzati<br />

soprattutto in Campania, Marche, Puglia e<br />

Sicilia. In Campania prevale la produzione invernale-primaverile.<br />

Le prove descritte in questa nota<br />

hanno mirato a verificare la produttività di ibridi a<br />

ciclo precoce e medio di cui due a corimbo colorato,<br />

oggetto di crescente domanda, per produzioni<br />

estivo-autunnali nelle aree tabacchicole irrigue,<br />

suscettibili di colmare carenze relative di offerta.<br />

Materiali e metodi<br />

Le prove sono state condotte in tre località<br />

(Sparanise, Portico e Venticano) secondo lo schema<br />

del confronto varietale, saggiando 14 ibridi in<br />

un disegno a blocchi completi con tre repliche per<br />

località e parcelle di 12 m 2 (4 file con disposizione<br />

70x50cm, corrispondente a una densità di 28.500<br />

piante/ha)(www.sinab.it). Il trapianto è stato eseguito<br />

nella terza decade di luglio su terreno concimato<br />

con 33 unità/ha di N, integrando con altre 67<br />

unità/ha due settimane dopo. Le condizioni di<br />

caldo intenso del periodo hanno reso necessario<br />

anticipare l'inizio dell'irrigazione, che è stata condotta<br />

con modalità e turni diversi per zona. Le colture<br />

sono state protette seguendo il disciplinare di<br />

difesa integrata della Regione Campania e non è<br />

stato effettuato nessun intervento di diserbo.<br />

La determinazione della resa si è basata sulle<br />

piante delle due file centrali delle parcelle ed è stata<br />

integrata con misure dello sviluppo vegetativo. Le<br />

misure ponderali sono state eseguite su corimbi<br />

convenzionalmente defogliati, ovvero privati di<br />

tutte le foglie avvolgenti ad eccezione delle più<br />

interne. Le risposte sono state analizzate in relazione<br />

ai trattamenti per singolo ambiente con un<br />

modello a effetti fissi e globalmente per la specie<br />

con un modello a effetti casuali per quantificare la<br />

variazione delle risposte considerate a livello di<br />

specie. L'analisi <strong>dei</strong> dati e la rappresentazione grafica<br />

<strong>dei</strong> <strong>risultati</strong> sono state eseguite nell'ambiente R<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 5<br />

Il cavolfiore estivo-autunnale per le aree tabacchicole campane<br />

<strong>Co</strong>zzolino E, Leone V, Lombardi P<br />

CRA-CAT, Unità di ricerca per le alternative al tabacco,<br />

Via P. Vitiello 108, 84018 Scafati(SA),<br />

e-mail:eugenio.cozzolino@entecra. it<br />

(R <strong>Co</strong>re Team, 2007), utilizzando anche funzioni<br />

<strong>dei</strong> pacchetti contribuiti lme4 (Bates, 2007) e<br />

Hmisc (Harrell, 2007).<br />

Risultati e discussione<br />

La stagione di coltivazione è stata caratterizzata da<br />

un andamento termopluviometrico sfavorevole per la<br />

coltura dalla fase di trapianto fino alla prima decade<br />

di settembre, con temperature elevate ed assenza di<br />

piogge utili in tutte e tre le zone.<br />

I livelli di resa in corimbi defogliati sono variati<br />

tra 25 e 48 t/ha, prevalentemente per differenze<br />

varietali, mentre la capacità produttiva media <strong>dei</strong><br />

tre ambienti è risultata comparabile nelle condizioni<br />

stagionali sperimentate (tab. 1 e fig.1). In analoghe<br />

condizioni climatiche e pedologiche, per una<br />

varietà scelta a caso tra quelle saggiate si può prevedere<br />

una produzione prossima alle 40 t/ha in un<br />

ciclo di circa tre mesi. Rese elevate, ma con una<br />

certa oscillazione tra gli ambienti, sono state fornite<br />

dalle cultivar <strong>Co</strong>ncept, Delfino, Flamenco, Elby<br />

e Graffiti, mentre tra le meno produttive sono risultate<br />

Clima, Megha e ISI 16037, anche queste con<br />

sensibili variazioni tra gli ambienti (la graduatoria<br />

a Venticano e Portico è stata ribaltata a Sparanise).<br />

Le cultivar con livelli intermedi di resa hanno<br />

mostrato maggior consistenza di comportamento<br />

tra gli ambienti.<br />

La produttività è positivamente correlata con la<br />

lunghezza del ciclo colturale, che a sua volta si è<br />

allungato di una decina di giorni con l'abbassamento<br />

della temperatura media dalle zone casertane<br />

all'area avellinese, riducendo peraltro solo marginalmente<br />

la produzione (fig. 2).<br />

<strong>Ta</strong>b. 1. Valore medio, con intervallo di confidenza al 95%, e componenti<br />

della varianza (in percentuale) per il prodotto totale, il<br />

volume del corimbo, l’altezza e la lunghezza del ciclo colturale.


cavolfiore.qxp 25/02/2008 10.21 Pagina 6<br />

6 <strong>Co</strong>zzolino et al Valutazione agronomica della soia<br />

Megha e Clima si distinguono<br />

dalle altre cultivar per la precocità,<br />

che ha consentito di concludere<br />

il ciclo in due mesi nelle<br />

zone più calde di Portico e<br />

Sparanise e in 70 giorni a<br />

Venticano. Prossima per precocità<br />

è anche la W.Flash, che nel<br />

complesso è risultata leggermente<br />

più produttiva. Questa caratteristica<br />

rende le cultivar molto<br />

interessanti per l'ambiente collinare<br />

<strong>dei</strong> tabacchi scuri, anche se i<br />

<strong>Co</strong>ncept<br />

Delfino<br />

Flamenco<br />

Elby<br />

Graffiti<br />

Oceano<br />

Candido<br />

Nemo<br />

Cashmere<br />

Milkyway<br />

W.Flash<br />

Isi16037<br />

Megha<br />

Clima<br />

livelli di resa sono ai limiti inferiori della graduatoria.<br />

Per fornire comparabili livelli di resa Cashmere,<br />

Milkyway e ISI 16037 hanno richiesto da venti giorni<br />

a un mese di coltivazione in più.<br />

La dimensione del corimbo è risultata relativamente<br />

indipendente dallo sviluppo in altezza della<br />

pianta, maggiore nell'ambiente più caldo di Portico e<br />

Sparanise, nonostante il ciclo più breve (Fig. 3).I tipi<br />

colorati ISI 16037 e Graffiti si sono caratterizzati per<br />

un maggior sviluppo in altezza, mentre la cultivar<br />

Milkyway ha presentato un portamento vegetativo<br />

molto espanso, per il quale la densità d'impianto utilizzata<br />

è risultata troppo alta. Grazie alla disponibili-<br />

Prodotto (t/ha)<br />

45<br />

40<br />

35<br />

30<br />

25<br />

Clm<br />

Mgh<br />

Mgh<br />

Clm<br />

W.F<br />

W.F<br />

Mgh<br />

Clm<br />

Csh<br />

W.F<br />

Mlk<br />

Cnc<br />

Cnc<br />

Dlf Dlf Elb<br />

Elb<br />

Ocn Flm<br />

Flm Grf<br />

Dlf Ocn<br />

Cnd<br />

Grf Flm<br />

POcn<br />

Cnc<br />

Nem<br />

Cnd<br />

Csh SCsh<br />

Cnd<br />

Nem<br />

Mlk V<br />

Elb<br />

Mlk NemI16<br />

60 70 80 90 100<br />

Lunghezza ciclo (giorni)<br />

Fig. 2. Relazione tra resa e lunghezza del ciclo. Zone e cultivar<br />

sono indicate con nomi abbreviati.<br />

tà di cultivar con una discreta gamma di precocità la<br />

coltivazione estivo-autunnale del cavolfiore nelle<br />

aree tabacchicole irrigue della Campania può essere<br />

praticata facilmente e fornire ai prezzi correnti ricavi<br />

elevati. In una prospettiva di ordinamenti colturali<br />

senza tabacco per le aree più interne il cavolfiore può<br />

intercalarsi tra due cereali o avvicendarsi ad altre cru-<br />

I16<br />

●<br />

●<br />

●<br />

Venticano<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

25 30 35 40 45 50 25 30 35 40 45 50<br />

Prodotto totale (t/ha)<br />

25 30 35 40 45 50<br />

Fig. 1. Prodotto di corimbi defogliati per cultivar e zona, con barre di confidenza al 95%.<br />

I16<br />

Grf<br />

Volume corimbo (ml)<br />

220<br />

200<br />

180<br />

160<br />

●<br />

Sparanise<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

Cnc<br />

OcnDlf<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

cifere, come il colza, utilizzando in tal caso cultivar<br />

precoci, che completano il ciclo entro ottobre. Nelle<br />

aree più miti della provincia di Caserta possono essere<br />

utilizzate anche cultivar più tardive come coltura<br />

principale a raccolta invernale-primaverile, in precessione<br />

ad oleaginose come girasole o soia.<br />

Ringraziamenti. Gli autori ringraziano i signori Gaetano<br />

Piccirillo di Portico(CE), Clementina Izzo di Sparanise<br />

(CE) e Gennaro Grasso di Venticano (AV), per l'assistenza<br />

alla conduzione <strong>dei</strong> saggi, e il dr Filippo Piro del<br />

CRA-ORT di Pontecagnano (SA), per la collaborazione<br />

all'analisi <strong>dei</strong> dati e alla presentazione <strong>dei</strong> <strong>risultati</strong>.<br />

Letteratura citata<br />

http://www.sinab.it/programmi/webcreate.php?id=898<br />

Bates D, 2007. lme4: Linear mixed-effects models using S4<br />

classes. R package version 0. 99875-7.<br />

Harrell F e molti altri utenti, 2007. Hmisc: Harrell Miscellaneous.<br />

R package version 3. 0-12,<br />

http://biostat. mc. vanderbilt. edu/s/Hmisc,<br />

R Development <strong>Co</strong>re Team, 2007. R: A Language and<br />

Environment for Statistical <strong>Co</strong>mputing. R Foundation for<br />

Statistical <strong>Co</strong>mputing, Vienna, Austria,<br />

http://www. R-project. org.<br />

●<br />

Clm<br />

Cnc<br />

Elb<br />

Cnc<br />

Csh<br />

Cnd Flm<br />

Dlf<br />

Dlf<br />

Csh<br />

Cnd<br />

Cnd<br />

Clm<br />

Clm<br />

Flm<br />

Ocn<br />

Mlk<br />

W.F<br />

Mgh<br />

Flm<br />

V<br />

W.F PS<br />

Mgh<br />

I16<br />

MghMlk<br />

Mlk I16<br />

Nem<br />

Ocn Nem<br />

Nem<br />

●<br />

●<br />

Portico<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

I16<br />

Csh<br />

60 70 80 90<br />

<strong>Al</strong>tezza pianta (cm)<br />

Fig. 3. Relazione tra volume del corimbo e sviluppo della pianta.<br />

Zone e cultivar sono indicate con nomi abbreviati.<br />

Elb<br />

Grf<br />

Elb<br />

Grf<br />

●<br />

●<br />

●<br />

Grf<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />


occolo.qxp 25/02/2008 10.20 Pagina 7<br />

Introduzione<br />

Il cavolo broccolo viene oggi promosso dai nutrizionisti<br />

per il buon livello di sostanze antiossidanti,<br />

fibra alimentare (2,6%) e vitamine come riboflavina<br />

(1,8 mg/kg), tiamina (1,1 mg/kg), vitamina C<br />

(1 g/kg), vitamina A, rame, fosforo, zolfo, acido<br />

folico, acido citrico, acido lattico e composti che<br />

sembrano contribuire alla diminuzione dell'incidenza<br />

del cancro dell'intestino (www.sinab.it). La<br />

coltivazione è diffusa principalmente in Puglia,<br />

Sicilia e Calabria. Negli ordinamenti orticoli da<br />

considerare per indirizzi alternativi alla tabacchicoltura<br />

delle aree campane il cavolo broccolo non<br />

può mancare, perché si colloca bene in avvicendamento<br />

e ha buone prospettive di domanda. <strong>Co</strong>n<br />

questo lavoro abbiamo verificato la produttività del<br />

broccolo in due ambienti tipici di coltivazione <strong>dei</strong><br />

tabacchi chiari e scuri curati all'aria.<br />

Materiali e metodi<br />

La sperimentazione del broccolo è stata condotta nei<br />

comuni di Portico e Venticano con otto cultivar a ciclo<br />

precoce e medio precoce, scegliendo le classi di precocità<br />

per un ruolo intercalare fra due colture autunnovernine.<br />

Le cultivar sono state allevate secondo uno<br />

schema di confronto varietale in un disegno a blocchi<br />

completi con 3 repliche e parcelle di 11 mq (5 file a<br />

70x40cm).<br />

Il trapianto è stato eseguito nella terza decade di<br />

luglio su un terreno sufficientemente dotato in P e K,<br />

concimato con 33 unità/ha di N. Due ulteriori interventi<br />

di concimazione azotata con quantità simili sono<br />

stati eseguiti in copertura, alla prima sarchiatura e alla<br />

fase di abbozzo dell'infiorescenza. L'irrigazione è stata<br />

effettuata con modalità e turni diversi per zona. La<br />

difesa della coltura è stata effettuata seguendo le<br />

"Norme tecniche per la difesa fitosanitaria ed il diserbo<br />

integrato delle colture" pubblicate dalla Regione<br />

Campania.<br />

La resa è stata determinata raccogliendo i corimbi<br />

principali e i ricacci secondari delle tre file centrali<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 7<br />

Produttività del cavolo broccolo in coltura estivo-autunnale<br />

nelle aree tabacchicole campane<br />

<strong>Co</strong>zzolino E, Leone V, Lombardi P, Oppito G<br />

CRA-CAT Unità di ricerca per le alternative al tabacco. Via P.<br />

Vitiello 108, 84018 Scafati(SA), Tel. 0818563611/37, Fax.<br />

0818506206, e-mail:eugenio.cozzolino@entecra. it<br />

delle parcelle, <strong>dei</strong> quali sono stai rilevati peso, diametro<br />

ed altezza. La risposta è stata analizzata in relazione<br />

ai trattamenti per singolo ambiente con un modello<br />

a effetti fissi e globalmente per la specie con un modello<br />

a effetti casuali per quantificare la variazione delle<br />

risposte considerate a livello di specie. L'analisi <strong>dei</strong><br />

dati e la rappresentazione grafica <strong>dei</strong> <strong>risultati</strong> sono<br />

state eseguite nell'ambiente R (R <strong>Co</strong>re Team, 2007),<br />

utilizzando anche funzioni <strong>dei</strong> pacchetti contribuiti<br />

lme4 (Bates, 2007) e Hmisc (Harrell, 2007).<br />

Risultati e discussione<br />

La stagione di coltivazione è stata caratterizzata da<br />

un andamento termopluviometrico sfavorevole per<br />

la coltura dalla fase di trapianto fino alla prima decade<br />

di settembre, con temperature elevate ed assenza<br />

di piogge utili. Nelle condizioni diversificate di<br />

Portico e Venticano il broccolo ha mostrato una produzione<br />

di corimbi pari in media a 26 t/ha, con intervallo<br />

di confidenza al 95% di 23,9-27,3 t/ha, in un<br />

ciclo di 65-94 giorni, a seconda della zona (tab. 1).<br />

Le differenze ambientali non hanno influito in modo<br />

sensibile sulla variabilità della produzione e sullo<br />

sviluppo della coltura, mentre le differenze varietali<br />

sono risultate considerevoli. Fiesta e Belstar a<br />

Venticano e Marathon e Fiesta a Portico hanno fornito<br />

rese tra il 20% e il 35% più alte della cultivar<br />

meno produttiva ISI 3055 (fig. 1). Il prodotto di<br />

prima raccolta (corimbo principale) ha rappresentato<br />

in media circa il 60% del totale e il peso del<br />

corimbo secondario è risultato positivamente correlato<br />

con quello del corimbo principale, ma il loro<br />

<strong>Ta</strong>b.1. Valore medio, con intervallo di confidenza al 95%, e componenti<br />

della varianza (in percentuale) per il prodotto totale, il prodotto<br />

principale (prima raccolta), il volume del corimbo principale<br />

e la lunghezza del ciclo colturale.


occolo.qxp 25/02/2008 10.20 Pagina 8<br />

8 <strong>Co</strong>zzolino et al Produttività del cavolo broccolo..<br />

rapporto è risultato abbastanza<br />

differenti tra le cultivar: le più Fiesta<br />

produttive (Marathon, Belstar e Marathon<br />

Fiesta) hanno dato corimbi secon- Belstar<br />

dari considerevolmente più grossi Poseidon<br />

delle altre cultivar e corimbi pri- Green Magic<br />

mari nettamente più piccoli di Olympia<br />

Poseidon, quarta in ordine di pro- Green Belt<br />

duttività, mentre le minori dimen- ISI 3055<br />

sioni del corimbo principale spiegano<br />

la bassa resa della ISI 3055<br />

(fig. 2). Questi rapporti si sono<br />

modificati poco tra le due zone.<br />

Tutte le cultivar hanno mostrato maggiore precocità<br />

nell'ambiente più caldo di Portico, dove particolarmente<br />

Poseidon ha mostrato una notevole velocità<br />

di sviluppo vegetativo, tenuto conto delle<br />

dimensioni del corimbo principale (fig. 3). In<br />

entrambe le località ISI 3055 ha fornito la prima<br />

raccolta un paio di settimane prima delle altre cultivar.<br />

La coltivazione del cavolo broccolo è risultata<br />

complessivamente facile, data la rusticità della<br />

specie, mostrata anche dalla comparabilità delle<br />

rese tra i due ambienti. La coltura può essere considerata<br />

per cicli intercalari estivo-autunnali nelle<br />

aree più interne, esemplificate da Venticano, e per<br />

cicli autunno-vernini nell'area casertana.<br />

Peso corimbi secondari (g)<br />

180<br />

160<br />

140<br />

120<br />

100<br />

IS3 IS3<br />

Mrt<br />

Bls<br />

300 350 400 450 500<br />

Peso corimbo principale (g)<br />

Fig. 2. Relazione tra pesi <strong>dei</strong> corimbi secondario e principale.<br />

Zone e cultivar sono indicate con nomi abbreviati.<br />

Mrt<br />

Fst<br />

Bls<br />

Fst<br />

VP<br />

Oly<br />

GrB<br />

GrM<br />

GrM<br />

GrB<br />

Oly<br />

●<br />

Venticano<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

20 25 30 20 25 30<br />

Prodotto totale (t/ha)<br />

Fig. 1. Prodotto totale di broccoli per cultivar e zona, con barre di confidenza al 95%.<br />

Psd<br />

Psd<br />

Ringraziamenti. Gli autori ringraziano i Sig. ri Gaetano<br />

Piccirillo di Portico (CE) e Gennaro Grasso di Venticano<br />

(AV), per l'assistenza alla conduzione <strong>dei</strong> saggi, e il dr<br />

Filippo Piro del CRA-ORT di Pontecagnano (SA), per la<br />

collaborazione all'analisi <strong>dei</strong> dati e alla presentazione <strong>dei</strong><br />

<strong>risultati</strong>.<br />

Peso corimbo principale (g)<br />

500<br />

450<br />

400<br />

350<br />

300<br />

IS3<br />

Psd<br />

Letteratura citata<br />

http://www. sinab. it/programmi/webcreate.<br />

Bates D, 2007. lme4: Linear mixed-effects models using S4<br />

classes. R package version 0. 99875-7.<br />

Harrell F e molti altri utenti, 2007. Hmisc: Harrell Miscel-laneous.<br />

R package version 3. 0-12,<br />

http://biostat. mc. vanderbilt. edu/s/Hmisc,<br />

R Development <strong>Co</strong>re Team, 2007. R: A Language and<br />

Environment for Statistical <strong>Co</strong>mputing. R Foundation for<br />

Statistical <strong>Co</strong>mputing, Vienna, Austria,<br />

http://www. R-project. org.<br />

●<br />

●<br />

Portico<br />

60 70 80 90<br />

Lunghezza del ciclo (giorni)<br />

Fig. 3. Relazione tra peso del corimbo principale e lunghezza del<br />

ciclo. Zone e cultivar sono indicate con nomi abbreviati.<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

Fst Fst<br />

GrM GrB<br />

Mrt GrM P Bls<br />

Bls Oly V<br />

GrB<br />

IS3<br />

Oly<br />

Psd<br />

●<br />

Mrt<br />


adicchio.qxp 25/02/2008 10.29 Pagina 9<br />

Introduzione<br />

La cicoria da foglia è uno degli ortaggi più diffusi<br />

in Italia, infatti, è coltivata in tutte le regioni<br />

Italiane, la sua importanza è andata crescendo perché<br />

oltre al consumo tradizionale, è utilizzata nella<br />

IV gamma, da sola o in miscela con altre verdure.<br />

È un alimento a basso contenuto calorico, infatti,<br />

contiene più del 90% di acqua, ma è ricco di vitamine,<br />

sali minerali e fibra. Queste caratteristiche ne<br />

hanno favorito la diffusione nella dieta alimentare<br />

producendo una maggiore richiesta da parte <strong>dei</strong><br />

consumatori, che ha ingenerato l'aumento delle<br />

superfici coltivate. Nell'ambito del progetto<br />

<strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. (<strong>Co</strong>lture <strong>Al</strong>ternative al <strong>Ta</strong>bacco) sono<br />

state eseguite prove di coltivazione in alcune aree<br />

interne delle province di Avellino, Benevento e<br />

Caserta.<br />

Materiali e metodi<br />

Nella primavera del 2007 sono state impiantate<br />

nelle località di Frigento (AV), Portico (CE),<br />

Sparanise (CE) e Venticano (AV) tre varietà di<br />

radicchio rosso di Chioggia (Caspio, Indigo e<br />

Leonardo) e due varietà di cicoria pan di zucchero<br />

(Jupiter e Virtus). È stato adottato un disegno sperimentale<br />

a blocco randomizzato con tre ripetizioni.<br />

L'impianto è avvenuto nell'ultima decade di<br />

aprile, a file, su prode rialzate, con densità d'impianto<br />

di 83.000 piante a ettaro. La quantità totale<br />

di elementi fertilizzanti somministrati è stata di 100<br />

kg ha -1 di N, 80 kg ha -1 di P 2 O 5 e 90 kg ha -1 di K 2 O.<br />

La coltivazione è avvenuta senza l'ausilio della<br />

pacciamatura per cui durante il ciclo colturale si<br />

sono rese necessarie sarchiature e scerbature per<br />

l'eliminazione delle erbe infestanti. La raccolta è<br />

avventa tra l'ultima decade di giugno e l'inizio di<br />

luglio. A maturazione commerciale del prodotto<br />

sono stati effettuati rilievi biometrici e ponderali<br />

sulle parcelle. I dati sono stati analizzati utilizzando<br />

l'analisi della varianza (ANOVA).<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 9<br />

Primi <strong>risultati</strong> sulla coltivazione di radicchio e cicoria pan di<br />

zucchero in areali tabacchicoli Campani<br />

Raimo F, <strong>Co</strong>zzolino E, Leone V, Napolitano A, Oppito G, Vatore R, Vicidomini S<br />

C.R.A. - CAT - via P. Vitiello, 108 - Scafati (SA) - Tel. 081<br />

8563611; Fax 081 8506206;<br />

e-mail: francesco.raimo@entecra.it<br />

Risultati<br />

In località Frigento i <strong>risultati</strong> sono stati poco<br />

soddisfacenti per quanto riguarda le varietà di<br />

radicchio rosso, in particolare le varietà Caspio e<br />

Indigo sono prefiorite prima di giungere a maturazione<br />

commerciale, mentre la varietà Leonardo pur<br />

producendo cespi di dimensioni commerciali ha<br />

presentato problemi legati alla presenza di marciumi<br />

del cespo che hanno influito sulla resa commerciale.<br />

Le varietà di cicoria pan di zucchero, hanno<br />

presentato cespi di buone dimensioni, anche se la<br />

varietà Jupiter ha presentato problemi di Tip burn.<br />

Per quanto riguarda il radicchio rosso, si evidenzia<br />

che le maggiori produzioni sono state ottenute a<br />

Sparanise (graf. 1), località che presenta caratteristiche<br />

pedoclimatiche più favorevoli rispetto alle<br />

altre, la varietà più produttiva è stata Leonardo che<br />

ha raggiunto produzioni di 42,1 t ha -1 , seguita da<br />

Caspio; a Frigento la produzione della varietà<br />

Leonardo è stata di 23,6 t ha -1 . L'analisi statistica ha<br />

evidenziato una differenza altamente significativa<br />

per quanto riguarda la produzione fra le varie località,<br />

mentre l'interazione località * cv non ha<br />

mostrato differenze significative. Anche per la<br />

cicoria pan di zucchero la località con maggiori<br />

rese è stata Sparanise, mentre la meno produttiva è<br />

risultata Frigento (graf. 2) e la varietà più produttiva<br />

è stata Virtus con 64,4 t ha -1 , pure in questo caso<br />

vi è stata una differenza altamente significativa per<br />

la resa tra le varie località, l'interazione località *<br />

cv ha mostrato una differenza significativa. In<br />

generale possiamo affermare che le produzioni<br />

maggiori di tutte le cv si sono avute a Sparanise,<br />

mentre le produzioni minori si sono avute a<br />

Frigento.<br />

I <strong>risultati</strong> ottenuti anche se limitati a un solo<br />

anno e a un ciclo primaverile-estivo, ci consentono<br />

di poter dare alcune indicazioni riguardanti le<br />

varietà coltivate, infatti, per quanto riguarda la coltivazione<br />

delle cinque varietà nelle località di<br />

Portico, Sparanise e Venticano, sono state ottenute<br />

buone produzioni, mentre in località Frigento i<br />

<strong>risultati</strong> sono stati inferiori alle attese.


adicchio.qxp 25/02/2008 10.29 Pagina 10<br />

10 Raimo et al <strong>Co</strong>ltivazione del radicchio e della cicoria...<br />

Grafico 1. Produzione commerciale delle tre varietà di radicchio<br />

Grafico 2. Produzione commerciale della varietà “Pan di zucchero”<br />

Bibliografia<br />

Capuzzo P. (2000) - "Il radicchio rosso di Chioggia" -<br />

L'Informatore Agrario n. 20<br />

Tosini F. (2004) - "Le varietà di radicchio: confronto in Veneto"<br />

- Supplemento a L'Informatore Agrario n. 52<br />

<strong>Co</strong>zzolino E., Leone V., Raimo F., Zeno G. (2007) - "Possibilità<br />

di coltivazione del radicchio e della cicoria (Cichorium<br />

intybus L.) nelle aree irrigue del beneventano. Risultati<br />

della sperimentazione 2006 in "Risultati finali del <strong>Progetto</strong><br />

<strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>.", pag. 279-284.<br />

Tesi R. (1994) "Principi di orticoltura e ortaggi d'Italia"<br />

Edagricole, pag 246-250.


scarola.qxp 25/02/2008 10.30 Pagina 11<br />

Introduzione<br />

L'orticoltura campana è contraddistinta da intensa<br />

innovazione di processo e di prodotto e da nuovi<br />

modelli di consumo. Il comparto ha esigenza di<br />

diversificare le colture e migliorare la qualità delle<br />

produzioni per conquistare nuovi sbocchi commerciali.<br />

Il mercato della IV gamma può rappresentare<br />

una buona opportunità per il rilancio della coltivazione<br />

di indivia riccia e scarola, di nuovo in espansione<br />

in Campania, dopo una flessione nel triennio<br />

2003-05. La possibilità di inserire queste specie in<br />

ordinamenti per le aree tabacchicole che devono<br />

fronteggiare la dismissione del tabacco è stata<br />

valutata saggiando un campione di cultivar nella<br />

provincia di Caserta.<br />

Materiali e metodi<br />

Le prove sono state condotte a Portico e a<br />

Sparanise, su terreni fertili e irrigui, con sette cultivar<br />

di scarola e sette cultivar di indivia riccia,<br />

secondo uno schema di confronto varietale in un<br />

disegno a blocchi con tre repliche e parcelle di 6m 2<br />

(5 file con piante distanziate 40x30cm).<br />

Il trapianto è stato eseguito il 20/7 a Sparanise<br />

ed il 23/7 a Portico, su terreno concimato con 70<br />

kg/ha di P 2 O 5 e 20 kg/ha di N. In copertura sono<br />

stati apportati ancora 80 kg/ha di N, seguendo le<br />

raccomandazioni di Acciarri e Sabatini (2004). Il<br />

controllo delle malerbe e la difesa della coltura<br />

sono stati effettuati secondo le norme regionali per<br />

la difesa fitosanitaria ed il diserbo integrato. La<br />

resa è stata determinata sulla raccolta delle tre file<br />

centrali delle parcelle, eseguita il 18/9 a Sparanise<br />

e il 24/9 a Portico.<br />

Le risposte sono state analizzate in relazione ai<br />

trattamenti per singolo ambiente con un modello a<br />

effetti fissi e globalmente per la specie con un<br />

modello a effetti casuali per quantificare la variazione<br />

delle risposte considerate a livello di specie.<br />

L'analisi <strong>dei</strong> dati e la rappresentazione grafica <strong>dei</strong><br />

<strong>risultati</strong> sono state eseguite nell'ambiente R (R<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 11<br />

Indivia riccia e scarola a ciclo estivo-autunnale per le aree<br />

tabacchicole casertane<br />

<strong>Co</strong>zzolino E, Leone V, Interlandi G<br />

CRA-CAT Unità di ricerca per le alternative al tabacco. Via P.<br />

Vitiello 108, 84018 Scafati(SA), Tel. 0818563611/37, Fax.<br />

0818506206, e-mail:eugenio.cozzolino@entecra. it<br />

<strong>Co</strong>re Team, 2007), utilizzando anche funzioni <strong>dei</strong><br />

pacchetti contribuiti lme4 (Bates, 2007) e Hmisc<br />

(Harrell, 2007).<br />

Risultati e discussione<br />

L'andamento termopluviometrico del periodo di<br />

coltivazione è stato caratterizzato dall'assenza di<br />

precipitazioni utili e da temperature elevate.<br />

Per l'indivia riccia la produzione media per cultivar<br />

è variata tra le 34 t/ha della Debora a Portico<br />

e le 50 t/ha della Jennifer a Sparanise, mostrando<br />

una graduatoria delle cultivar quasi simile nelle<br />

due zone, peraltro simili come ambiente, con l'eccezione<br />

della Jennifer, risultata terza a Portico e<br />

prima a Sparanise (fig. 1). Per la somiglianza <strong>dei</strong><br />

due ambienti la variabilità della resa è stata determinata<br />

per circa due terzi dalle differenze varietali<br />

e per un terzo da differenze locali a livello di parcella<br />

(tab. 1). In tali circostanze la scelta varietale<br />

incide notevolmente sul risultato della coltura.<br />

Per l'indivia scarola la produzione media per cultivar<br />

è variata dalle 38 t/ha della Silva a Portico alle<br />

63 t/ha della Kokita a Sparanise, mostrando un<br />

appiattimento delle rese varietali su due soli livelli a<br />

Portico contro una distribuzione relativamente uniforme<br />

nell'intervallo suddetto a Sparanise (fig. 2). A<br />

parte l'appiattimento delle rese, a Portico si è avuta<br />

una produzione notevolmente più bassa, causa una<br />

gestione meno adeguata delle pratiche colturali e in<br />

particolare dell'irrigazione per questo tipo, che non<br />

ha consentito una piena manifestazione delle rispettive<br />

potenzialità alle cultivar che la possedevano.<br />

<strong>Co</strong>munque le cultivar più produttive (Kokita, Dafne<br />

e Full Heart) sono risultate tali in entrambe le zone.<br />

Nonostante l'eccesso di caldo della stagione<br />

non si sono avuti casi di prefioritura: la lunghezza<br />

<strong>Ta</strong>b.1.Valore medio, con intervallo di confidenza al 95%, e componenti<br />

della varianza (in percentuale) per il prodotto mondato e<br />

il peso del cespo delle cultivar di indivia riccia e scarola.


scarola.qxp 25/02/2008 10.30 Pagina 12<br />

12 <strong>Co</strong>zzolino et al Indivia riccia e scarola ...<br />

Fig. 1. Produzioni medie di cespi di indivia riccia per cultivar e<br />

zona, con barre di confidenza al 95%.<br />

Fig. 2. Produzioni medie di cespi di indivia scarola per cultivar e<br />

zona, con barre di confidenza al 95%.<br />

dello scapo fiorale è stata di 1-2cm per tutte le cultivar.<br />

Cuor d'oro tra le ricce e Fabula tra le scarole<br />

hanno manifestato maggiore suscettibilità al tip<br />

burn. L'imbianchimento è risultato buono per Cuor<br />

d'oro, Isi38454 e Tirsa nel tipo riccio e per Kokita<br />

nel tipo scarola. Le caratteristiche positive di adattamento<br />

e di qualità del cespo delle cultivar più<br />

produttive consentono di considerare favorevolmente<br />

la specie per ordinamenti senza tabacco nell'area<br />

tabacchicola casertana.<br />

Ringraziamenti. Gli autori ringraziano i signori Gaetano<br />

Piccirillo di Portico e Maria Izzo di Sparanise per l'assistenza<br />

alla conduzione <strong>dei</strong> saggi nelle rispettive aziende,<br />

e il dr Filippo Piro del CRA-ORT di Pontecagnano per la<br />

collaborazione all'analisi <strong>dei</strong> dati e alla presentazione <strong>dei</strong><br />

<strong>risultati</strong>.<br />

Letteratura citata<br />

Acciarri N, Sabatini E, 2004. Indivia e scarola. Il divulgatore<br />

1:52-59.<br />

Bates D, 2007. lme4: Linear mixed-effects models using S4<br />

classes. R package version 0. 99875-7.<br />

Harrell F e molti altri utenti, 2007. Hmisc: Harrell<br />

Miscellaneous. R package version 3. 0-12, http://biostat.<br />

mc. vanderbilt. edu/s/Hmisc.<br />

R Development <strong>Co</strong>re Team, 2007. R: A Language and Environment<br />

for Statistical <strong>Co</strong>mputing. R Foundation for Statistical<br />

<strong>Co</strong>mputing, Vienna, Austria, http://www. R-project. org.


fagiolo.qxp 25/02/2008 10.22 Pagina 13<br />

Introduzione<br />

Per verificare la produttività del fagiolo come<br />

intercalare estiva per la produzione di baccelli allo<br />

stadio ceroso nelle aree tabacchicole campane sono<br />

state scelte cultivar raccomandate dai costitutori<br />

per adattabilità e qualità merceologica.<br />

Materiali e metodi<br />

La valutazione è stata condotta su un terreno franco,<br />

fresco e fertile, a Portico di Caserta secondo lo<br />

schema del confronto varietale, con 12 cultivar (3<br />

di cannellino e 9 di borlotto), in un disegno a blocchi<br />

completamente randomizzati con 3 repliche e<br />

parcelle di 15m 2 (6 file di piante distanziate<br />

50x10cm). La semina è stata eseguita in eccesso il<br />

15 giugno con successivo diradamento manuale<br />

per una densità finale di 20 piante/m 2 (Cattivello e<br />

Danielis, 2003). Data la buona dotazione del terreno<br />

in P e K è stata effettuata solo la fertilizzazione<br />

azotata, con 60 unità/ha di N distribuito alla preparazione<br />

del terreno. L'irrigazione è stata effettuata<br />

con modalità tipiche della zona e a turno fisso. Per<br />

la protezione della coltura sono state seguite le<br />

"Norme tecniche per la difesa fitosanitaria ed il<br />

diserbo integrato delle colture" edite dalla regione<br />

Campania.<br />

La raccolta <strong>dei</strong> baccelli allo stadio ceroso è<br />

stata effettuata dal 25 al 30 agosto sulle 2 file centrali<br />

delle parcelle determinando la resa in baccelli<br />

commerciabili e di scarto e la resa in granella sgusciata.<br />

I dati di resa e di sviluppo delle piante sono<br />

stati analizzati in relazione ai trattamenti per singolo<br />

ambiente con un modello a effetti fissi e globalmente<br />

per la specie con un modello a effetti casuali<br />

per quantificare la variazione delle risposte considerate<br />

a livello di specie. L'analisi <strong>dei</strong> dati e la<br />

rappresentazione grafica <strong>dei</strong> <strong>risultati</strong> sono state<br />

eseguite nell'ambiente R (R <strong>Co</strong>re Team, 2007), utilizzando<br />

anche funzioni <strong>dei</strong> pacchetti contribuiti<br />

lme4 (Bates, 2007) e Hmisc (Harrell, 2007).<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 13<br />

Il fagiolo in coltura estiva per le aree tabacchicole campane<br />

<strong>Co</strong>zzolino E, Leone V<br />

CRA-CAT, Unità di ricerca per le alternative al tabacco,<br />

Via P. Vitiello 108, 84018 Scafati(SA),<br />

e-mail:eugenio.cozzolino@entecra. it<br />

Risultati e discussione<br />

La stagione di coltivazione estiva è stata caratterizzata<br />

da un andamento termopluviometrico sfavorevole,<br />

con elevate temperature e totale mancanza di<br />

pioggia fin dalla fase di emergenza. Nelle condizioni<br />

della prova i livelli medi di produzione di<br />

baccelli e di granella allo stadio ceroso sono stati<br />

rispettivamente di 14,6 e 7,4 t/ha, con una variabilità<br />

determinata per tre quarti dalle differenze<br />

varietali (tab. 1). La produzione media per cultivar<br />

di baccelli allo stadio ceroso è variata infatti tra 9 e<br />

20 t/ha e quella di granella tra 5,5 e 10 t/ha (fig. 1).<br />

Nelle condizioni della prova lo scarto, peraltro<br />

abbastanza contenuto, è stato determinato più dalla<br />

situazione locale, mentre lo sviluppo delle piante in<br />

altezza è risultato, come il livello produttivo, un<br />

carattere prevalentemente varietale.<br />

Le cultivar di cannellino (Montalbano, Luxor,<br />

Impero bianco) hanno fornito rese inferiori rispetto<br />

alla maggior parte celle cultivar di borlotto in termini<br />

sia di baccelli che di granella, e tuttavia la<br />

Montalbano è risultata superiore all'Impero bianco<br />

per la produzione di baccelli, anche se non di granella.<br />

La cultivar di borlotto più produttiva<br />

(XP0549) ha fornito il 67% in più di baccelli e il<br />

43% in più di granella rispetto alla meno produttiva<br />

(Mistral). Montalbano tra i cannellini e Merit,<br />

Granato e Lingua di fuoco tra i borlotti hanno<br />

mostrato rese in sgusciato inferiori.<br />

Oltre il 10% della produzione di baccelli è<br />

risultata di scarto per Montalbano, Merit e<br />

Splendido nano, mentre lo scarto non ha superato il<br />

4% per XP0549 e Indios e l'8% per le altre cultivar<br />

(fig. 2).La produzione di baccelli è risultata positivamente<br />

correlata con lo sviluppo in altezza della<br />

<strong>Ta</strong>b. 1. Valore medio, con intervallo di confidenza al 95%, e componenti<br />

della varianza (in percentuale) per il prodotto di baccelli<br />

commerciabili allo stadio ceroso e relativa percentuale di scarto,<br />

granella e l'altezza della pianta.


fagiolo.qxp 25/02/2008 10.22 Pagina 14<br />

14 <strong>Co</strong>zzolino et al Il fagiolo in coltura estiva ...<br />

pianta, anche se le cultivar più<br />

produttive (XP0549, Lingua di<br />

Fuoco e particolarmente Teggia)<br />

sono di taglia relativamente<br />

bassa, mentre la meno produttiva<br />

(Impero bianco) è di taglia<br />

relativamente bassa (fig. 3).<br />

I <strong>risultati</strong> della prova si possono<br />

considerare particolarmente<br />

soddisfacenti, tenuto<br />

conto delle condizioni stagionali<br />

piuttosto sfavorevoli in cui<br />

sono stati ottenuti. La coltura si<br />

XP0549<br />

Lingua di Fuoco<br />

Splendido nano<br />

Teggia<br />

Granato<br />

Supremo<br />

Indios<br />

Merit<br />

Mistral<br />

Montalbano<br />

Luxor<br />

Impero bianco<br />

potrebbe quindi proporre nelle aree irrigue tabacchicole<br />

come coltura intercalare estivo-autunnale,<br />

in vista del crescente interesse per le leguminose da<br />

granella come alimenti fonte di proteine vegetali e<br />

della possibilità di coltivarle in condizioni di low<br />

input (AA.VV., 1999).<br />

Ringraziamenti. Gli autori ringraziano il Sig. Gaetano<br />

Piccirillo di Portico (CE) per l'assistenza alla conduzione<br />

del saggio e il dr Filippo Piro del CRA-ORT per la fattiva<br />

collaborazione all'analisi <strong>dei</strong> dati e alla presentazione<br />

<strong>dei</strong> <strong>risultati</strong>.<br />

Scarto (%)<br />

12<br />

10<br />

8<br />

6<br />

4<br />

Ib<br />

Lx<br />

Ms<br />

Mn<br />

Mr<br />

In<br />

10 12 14 16 18 20<br />

Produzione di baccelli (t/ha)<br />

Fig. 2. Relazione tra scarto e produzione di baccelli. Le cultivar<br />

sono indicate con nomi abbreviati.<br />

Sp<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

baccelli<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

10 15 20 6 8 10<br />

t/ha<br />

Fig. 1. Produzione per cultivar di baccelli con granella allo stadio ceroso o di granella secca,<br />

con barre di confidenza al 95%.<br />

Sn<br />

Tg<br />

Gr<br />

LdF<br />

XP<br />

Baccelli totali (t/ha)<br />

20<br />

18<br />

16<br />

14<br />

12<br />

10<br />

Tg<br />

●<br />

Ib<br />

●<br />

Ms<br />

Lx<br />

Letteratura citata<br />

AAVV, 1999. Manuale di corretta prassi per la produzione integrata<br />

del fagiolo-3 A Parco Tecnologico Agroalimentare<br />

dell'Umbria.<br />

Cattivello C, Danielis R, 2003. Fagiolo determinato: <strong>risultati</strong><br />

delle prove di I livello. Notiziario ERSA 1: 22-24<br />

Bates D, 2007. lme4: Linear mixed-effects models using S4<br />

classes. R package version 0. 99875-7.<br />

Harrell F e molti altri utenti, 2007. Hmisc: Harrell<br />

Miscellaneous. R package version 3. 0-12,<br />

http://biostat. mc.vanderbilt. edu/s/Hmisc.<br />

R Development <strong>Co</strong>re Team, 2007. R: A Language and<br />

Environment for Statistical <strong>Co</strong>mputing. R Foundation for<br />

Statistical <strong>Co</strong>mputing, Vienna, Austria,<br />

http://www. R-project. org.<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

granella<br />

50 55 60<br />

<strong>Al</strong>tezza pianta (cm)<br />

Fig. 3. Relazione tra produzione di baccelli e sviluppo della<br />

pianta. Le cultivar sono indicate con nomi abbreviati.<br />

LdF<br />

●<br />

●<br />

XP<br />

Mr<br />

Mn<br />

●<br />

●<br />

●<br />

Gr<br />

In<br />

●<br />

●<br />

Sn<br />

Sp<br />


pomodoro.qxp 25/02/2008 10.28 Pagina 15<br />

Introduzione<br />

Nell'ultimo decennio il pomodorino, per l'industria<br />

e il mercato del fresco, ha avuto una discreta diffusione<br />

nelle aree interne della regione Campania,<br />

incentivato dal cambiamento <strong>dei</strong> regimi di sostegno<br />

alle colture. I saggi finora condotti in tali aree<br />

in regime asciutto hanno mostrato l'incostanza<br />

della produzione e la sensibilità della coltura alle<br />

condizioni climatiche (AAVV, 2003). Sperimentando<br />

la coltura del pomodoro nell'ambito delle<br />

alternative considerate per la riconversione delle<br />

aree a tabacco, abbiamo saggiato le più recenti<br />

costituzioni di pomodoro ciliegino in regime irriguo<br />

ridotto a distribuzione localizzata.<br />

Materiali e metodi<br />

Un campione di 8 cultivar di pomodorino è stato saggiato<br />

per due anni (2006-2007) a Venticano e<br />

Frigento, in provincia di Avellino, in un disegno a<br />

blocchi completi con tre repliche e parcelle di 20 m 2 ,<br />

con una densità di 33.000 piante per ettaro. La coltura<br />

è stata concimata con 100 unità/ha di P 2 O 5 e 30<br />

unità/ha di N prima del trapianto, eseguito nella prima<br />

decade di maggio. Dopo il trapianto sono state fornite<br />

70 e 90 unità/ha di N, rispettivamente a Venticano<br />

e Frigento. Per eliminare le infestanti sono state eseguite<br />

due lavorazioni superficiali. Per la difesa sono<br />

state seguite le linee guida del Piano Regionale di<br />

Lotta Fitopatologica Integrata. Le irrigazioni, con<br />

manichetta forata autocompensante, sono state una<br />

nel 2006 in entrambe le zone e tre a Venticano e due<br />

a Frigento nel 2007. La raccolta è stata eseguita in<br />

unica soluzione nella terza decade di agosto nel 2006<br />

e nella seconda decade di agosto nel 2007.<br />

Le risposte, determinate mediante osservazioni<br />

sulle file centrali delle parcelle, sono state analizzate<br />

in relazione ai trattamenti per singolo ambiente con<br />

un modello a effetti fissi e globalmente per la specie<br />

con un modello a effetti casuali per quantificare la<br />

variazione delle risposte considerate a livello di specie.<br />

L'analisi <strong>dei</strong> dati e la rappresentazione grafica <strong>dei</strong><br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 15<br />

Risposta del pomodorino in areali tabacchicoli interni della<br />

regione Campania<br />

<strong>Co</strong>zzolino E, Leone V, Raimo F, Interlandi G, Napolitano A, Vatore R<br />

CRA-CAT Unità di ricerca per le alternative al tabacco<br />

Via P. Vitiello 108 84018 Scafati(SA)Tel 0818563638 Fax<br />

0818506206<br />

e-mail:francesco.raimo@entecra.it<br />

<strong>risultati</strong> sono state eseguite nell'ambiente R (R <strong>Co</strong>re<br />

Team, 2007), utilizzando anche funzioni <strong>dei</strong> pacchetti<br />

contribuiti lme4 (Bates, 2007) e Hmisc (Harrell,<br />

2007).<br />

Risultati e discussione<br />

L'estate 2006 è stata sufficientemente piovosa, mentre<br />

quella del 2007 è stata calda e secca. La produzione<br />

commerciabile di pomodoro ciliegino nell'ambiente<br />

considerato ha raggiunto in media 40 t/ha,<br />

con un intervallo di confidenza al 95% pari a 34-45<br />

t/ha (tab. 1). La variabilità è stata determinata per<br />

due quinti da diversità parcellari e per un due terzi<br />

dalle differenze varietali e zonali in misura comparabile.<br />

L'ambiente ha mostrato scarsa influenza sul<br />

peso unitario e sulla forma <strong>dei</strong> frutti, che costituiscono<br />

quindi un attributo spiccatamente varietale.<br />

La produzione è stata generalmente superiore a<br />

Venticano in entrambe le annate, ma è stata caratterizzata<br />

anche da una maggiore variabilità parcellare<br />

(fig. 1). Le precipitazioni estive dell'anno 2006<br />

hanno favorito lo sviluppo della coltura, ma anche<br />

attacchi peronosporici che hanno abbassato la produzione.<br />

<strong>Ta</strong>li attacchi sono stati particolarmente<br />

gravi a Frigento e la cultivar <strong>Ta</strong>mburino è risultata<br />

particolarmente suscettibile. Il rischio peronospora è<br />

stato minore nel 2007 e il livello produttivo del<br />

campo di Frigento è stato soddisfacente, mentre a<br />

Venticano un attacco di sclerotinia ha depresso la<br />

produzione. Tombolino e Tomito sono risultate le<br />

cultivar più produttive in tutti i saggi; Minidor,<br />

Ovalino e <strong>Ta</strong>mburino quelle generalmente meno<br />

<strong>Ta</strong>b.1. Valore medio, con intervallo di confidenza al 95%, e componenti<br />

della varianza (in percentuale) per la produzione commerciabile<br />

di pomodoro ciliegino, il peso unitario e il rapporto lunghezza/larghezza<br />

del frutto


pomodoro.qxp 25/02/2008 10.28 Pagina 16<br />

16 <strong>Co</strong>zzolino et al Risposta del pomodorino ciliegino..<br />

produttive. Le cultivar con livello<br />

produttivo intermedio hanno<br />

mostrato risposte alquanto disomogenee<br />

tra gli anni a Frigento.<br />

Oltre che dal numero <strong>dei</strong> frutti,<br />

il livello di produttività è stato<br />

influenzato positivamente al peso<br />

del frutto, una caratteristica tuttavia<br />

abbastanza stabile al variare<br />

delle condizioni ambientali (fig. 2).<br />

La variazione massima di peso al<br />

variare dell'ambiente è stata di 2-3<br />

di grammi, pari al 10-15%, per le<br />

Tombolino<br />

Tomito<br />

Mignon<br />

Triunfo<br />

Micron<br />

<strong>Al</strong>tavilla<br />

SS903<br />

<strong>Ta</strong>mburino<br />

Ovalino<br />

Minidor<br />

cultivar a frutto più grosso (Tombolino, Tomito,<br />

SS903), e di qualche grammo, percentualmente con<br />

la stessa incidenza, per quelle a frutti più piccoli<br />

(<strong>Ta</strong>mburino e Minidor).<br />

Anche la forma del frutto si è dimostrata una<br />

caratteristica varietale abbastanza stabile al variare<br />

delle condizioni ambientali (fig. 3). La forma tonda<br />

o leggermente allungata ha compreso un ventaglio<br />

Prodotto commerciabile (t/ha)<br />

60<br />

50<br />

40<br />

30<br />

Mcrn<strong>Al</strong>tv<br />

Ovln <strong>Al</strong>tv Ovln<br />

Tmbr Mndr<br />

Tmbr Mndr OvlnF−06<br />

Ovln Mcrn<br />

Tmbr<br />

Mcrn<br />

Mndr<br />

MgnnTrnf<br />

Tmbr<br />

Tmbl<br />

V−06 Mgnn Trnf<br />

<strong>Al</strong>tv Tomt<br />

Mcrn F−07<br />

<strong>Al</strong>tv Mndr Trnf<br />

SS90<br />

V−07<br />

10 12 14 16 18 20<br />

Peso del frutto (g)<br />

Fig. 2. Relazione tra prodotto commerciabile e peso unitario del<br />

frutto delle cultivar di pomodorino. Medie e tendenze per le zone<br />

sono indicate dalle abbreviazioni in carattere più grande e dalle<br />

linee punteggiate, le medie degli ibridi dalle abbreviazioni in carattere<br />

più piccolo, le zone dal colore.<br />

di dimensioni abbastanza continuo, da frutti di 9g<br />

(<strong>Ta</strong>mburino) a frutti di 20g (Tombolino, SS903), le<br />

forme mediamente allungate hanno caratterizzato<br />

frutti di media grandezza (12-16g) (Tomito, Triunfo<br />

e <strong>Al</strong>tavilla) e quella più allungata frutti medio-piccoli<br />

(Ovalino).<br />

I <strong>risultati</strong> indicano che nelle zone considerate,<br />

specialmente se è possibile irrigare, il pomodorino<br />

può fornire accettabili livelli di resa per la destinazione<br />

industriale e con varietà semierette ad alta resa<br />

Tomt<br />

Tomt<br />

Trnf<br />

Tomt<br />

●<br />

●<br />

Frigento<br />

2006<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

Frigento<br />

2007<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

30 40 50 60 30 40 50 60 30 40 50 60 30 40 50 60<br />

Prodotto commerciabile (t/ha)<br />

Fig. 1. Produzioni medie di pomodorino commerciabile per cultivar e zona, con barre di<br />

confidenza al 95%.<br />

Tmbl<br />

Tmbl<br />

Tmbl<br />

SS90<br />

●<br />

Venticano<br />

2006<br />

●<br />

●<br />

come Tombolino, dai frutti grossi e rotondi di colore<br />

intenso e uniforme, fornire soddisfacenti produzioni<br />

anche per il mercato del fresco.<br />

Ringraziamenti. Gli autori ringraziano i signori<br />

Giacomo Stanco di Frigento e Gennaro Grasso di<br />

Venticano, per l'assistenza alla conduzione <strong>dei</strong> saggi<br />

nelle rispettive aziende, e il dr Filippo Piro del CRA-<br />

ORT per la collaborazione all'analisi <strong>dei</strong> dati e alla presentazione<br />

<strong>dei</strong> <strong>risultati</strong>.<br />

Letteratura citata<br />

AAVV, 2003. Pomodorino da industria, varietà a confronto.<br />

Campania Agricoltura,8:8-15.<br />

Bates D, 2007. lme4: Linear mixed-effects models using S4<br />

classes. R package version 0.99875-7.<br />

Harrell F e molti altri utenti, 2007. Hmisc: Harrell<br />

Miscellaneous. R package version 3.0-12,<br />

http://biostat.mc.vanderbilt.edu/s/Hmisc,<br />

R Development <strong>Co</strong>re Team, 2007. R: A Language and<br />

Environment for Statistical <strong>Co</strong>mputing. R Foundation for<br />

Statistical <strong>Co</strong>mputing, Vienna, Austria,<br />

http://www.R-project.org.<br />

Peso del frutto (g)<br />

20<br />

18<br />

16<br />

14<br />

12<br />

10<br />

Tmbl SS90<br />

Tmbl<br />

Tmbl<br />

Mgnn<br />

<strong>Al</strong>tv<br />

Mcrn Mcrn<br />

Mcrn Mndr<br />

Mndr<br />

Mndr Mcrn<br />

Tmbr Tmbr<br />

Tmbr<br />

●<br />

●<br />

●<br />

Tmbl<br />

Mgnn<br />

SS90<br />

Tomt<br />

Tomt<br />

Tomt<br />

Tomt<br />

Trnf Trnf<br />

F−06 F−07 V−06<br />

V−07<br />

Tmbr<br />

Trnf<br />

Trnf <strong>Al</strong>tv<br />

<strong>Al</strong>tv<br />

●<br />

●<br />

●<br />

Venticano<br />

2007<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

1,0 1,1 1,2 1,3 1,4 1,5<br />

Forma del frutto (lunghezza/larghezza)<br />

Fig. 3. Relazione tra peso unitario e forma del frutto delle cultivar<br />

di pomodorino. Medie e tendenze per le zone sono indicate dalle<br />

abbreviazioni in carattere più grande e dalle linee punteggiate, le<br />

medie degli ibridi dalle abbreviazioni in carattere più piccolo, le<br />

zone dal colore.<br />

<strong>Al</strong>tv<br />

Ovln<br />

Ovln<br />

●<br />

Ovln<br />

Ovln<br />


maisnew.qxp 25/02/2008 10.26 Pagina 17<br />

Introduzione<br />

Nelle aree tabacchicole con terreni di buona fertilità il<br />

mais a granella vitrea per farine speciali può essere<br />

considerato tra le alternative al tabacco, potendo offrire<br />

livelli di ricavi competitivi rispetto ai mais ibridi più<br />

produttivi, per un miglior rapporto tra prezzo e costi,<br />

in considerazione dell'interesse <strong>dei</strong> consumatori e dell'industria<br />

per prodotti alimentari più caratterizzati per<br />

tipicità. In questa nota si riportano i <strong>risultati</strong> di due<br />

saggi condotti con un campione di ibridi in due aziende<br />

tabacchicole campane.<br />

Materiali e metodi<br />

Un campione di nove ibridi, precoci e medio-precoci, è<br />

stato saggiato in due aziende localizzate nei comuni di<br />

Portico e Venticano, in parcelle di 15 m 2 (sei file di piante<br />

di cinque metri distanziate 50 x 28 cm), in un disegno a<br />

blocchi con tre repliche.<br />

Il terreno è stato fertilizzato con 60 (Portico) e 100<br />

(Venticano) unità/ha di P 2 O 5 e con 50 unità/ha di N in presemina,<br />

aggiungendo in fase di levata 120 (Portico) e 100<br />

(Venticano) unità/ha da urea agricola. Il mais è stato seminato<br />

in eccesso il 5/4 a Portico e il 20/4 a Venticano e diradato<br />

a circa 7 piante/m 2 allo stadio di quarta foglia. Le infestanti<br />

sono state controllate con lavorazioni superficiali del<br />

terreno. L'irrigazione è consistita in tre adacquamenti per<br />

infiltrazione laterale a Portico e due per aspersione a<br />

Venticano. Dopo la fioritura è stato eseguito un trattamento<br />

per il controllo della piralide. La raccolta è stata eseguita<br />

in settembre, nella seconda decade a Portico e nella terza<br />

a Venticano. I dati sono stati raccolti sulle due file centrali<br />

delle parcelle. <strong>Co</strong>me indice di produttività è stata utilizzata<br />

la produzione di granella ridotta/incrementata in proporzione<br />

dell'eccesso/difetto di umidità rispetto alla media e<br />

ridotta in proporzione alla raccolta da piante allettate e<br />

spezzate (performance, AAVV, 2001). Le risposte sono<br />

state analizzate in relazione ai trattamenti per singolo<br />

ambiente con un modello a effetti fissi e globalmente per<br />

la specie con un modello a effetti casuali per quantificare<br />

la variazione delle risposte considerate a livello di specie.<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 17<br />

Produttività del mais a granella vitrea nelle aree tabacchicole<br />

campane<br />

<strong>Co</strong>zzolino E 1 , Leone V 1 , Tedone L 2 , Zeno G 1<br />

1-CRA-CAT Unità di ricerca per le alternative al tabacco Via P.<br />

Vitiello 108 84018 Scafati(SA),<br />

e-mail:eugenio.cozzolino@entecra.it<br />

2-D.S.P.V. Dipartimento di Scienze e Produzione Vegetale Via<br />

Amendola 165/A 70126 Bari<br />

L'analisi <strong>dei</strong> dati e la rappresentazione grafica <strong>dei</strong> <strong>risultati</strong><br />

sono state eseguite nell'ambiente R (R <strong>Co</strong>re Team, 2007),<br />

utilizzando anche funzioni <strong>dei</strong> pacchetti contribuiti lme4<br />

(Bates, 2007) e Hmisc (Harrell, 2007).<br />

Risultati e discussione<br />

La stagione è stata caratterizzata da assenza di pioggia per<br />

tutta l'estate e da temperature particolarmente calde in<br />

almeno tre periodi di crescita della coltura. La produzione<br />

media di granella corretta è stata di 9,5 t/ha, con intervallo<br />

di confidenza al 95% 6,9-12,2 t/ha (tab. 1). Oltre metà della<br />

variazione è stata determinata da differenze tra gli ibridi e<br />

un terzo da differenze tra i due ambienti. La componente<br />

genetica è risultata dello stesso ordine di grandezza per la<br />

sensibilità all'allettamento e ancora più marcata per lo sviluppo<br />

vegetativo e per il peso ettolitrico della granella.<br />

Quest'ultimo è risultato abbastanza elevato (83g). Il colore<br />

della granella è variato dall'arancio-rosso di Gritz all'arancio<br />

variamente accentuato degli altri ibridi.<br />

L'ibrido più produttivo (Arzano) ha fornito una resa di<br />

11,3 t/ha, circa doppia di quello meno produttivo (Astico),<br />

nell'ambiente meno favorevole di Venticano, e di due terzi<br />

maggiore nell'ambiente più favorevole di Portico, dove ha<br />

raggiunto 13 t/ha (fig. 1). La graduatoria di produttività<br />

degli ibridi non è stata modificata in modo apprezzabile<br />

dall'ambiente.<br />

Il livello di produzione è risultato ben correlato positivamente<br />

con lo sviluppo vegetativo, ma gli ibridi Arzano,<br />

Redel, Banguy e Sicilia hanno mostrato un rapporto granella/vegetazione<br />

sensibilmente più alto degli ibridi meno<br />

produttivi (Astico e <strong>Co</strong>rniola) e in media tale rapporto è<br />

risultato più alto a Portico (fig. 2). La percentuale di piante<br />

<strong>Ta</strong>b. 1. Valore medio, con intervallo di confidenza al 95%, e componenti<br />

della varianza (in percentuale) per la produzione di granella<br />

corretta (performance), l'altezza della pianta, la percentuale<br />

di piante allettate e spezzate e il peso ettolitrico.


maisnew.qxp 25/02/2008 10.26 Pagina 18<br />

18 <strong>Co</strong>zzolino et al Produttività del mais a granella vitrea<br />

allettate e spezzate non è stata<br />

influenzata in modo apprezzabile<br />

dallo sviluppo vegetativo ed è risultata<br />

più alta a Venticano per le punte<br />

registrate nelle parcelle degli ibridi<br />

Astico e Gritz, che insieme con<br />

Sicilia sono <strong>risultati</strong> i più sensibili a<br />

questa avversità.<br />

Il peso ettolitrico ha mostrato una<br />

correlazione negativa con il livello di<br />

produzione: i valori più alti sono stati<br />

osservati per gli ibridi di produttività<br />

medio-alta (Sis Red, Gritz e Kurt) e<br />

Produzione corretta (t/ha)<br />

12<br />

10<br />

8<br />

S<br />

B<br />

B<br />

S<br />

C<br />

As<br />

SR<br />

C<br />

G<br />

K<br />

V<br />

As<br />

Arzano<br />

Redel<br />

Sis Red<br />

Gritz<br />

Kurt<br />

Banguy<br />

Sicilia<br />

<strong>Co</strong>rniola<br />

Astico<br />

200 220 240 260<br />

<strong>Al</strong>tezza pianta (cm)<br />

Fig. 2. Produzioni medie di granella in funzione dello sviluppo<br />

vegetativo, con linea di tendenza in grigio. Medie e tendenze per<br />

Portico e Venticano sono indicate dalle iniziali in carattere più<br />

grande e dalle linee punteggiate, le medie degli ibridi dalle abbreviazioni<br />

in carattere più piccolo, le due zone dal colore.<br />

per quelli meno produttivi (Astico e <strong>Co</strong>rniola), ma l'incremento<br />

medio della produzione a Portico rispetto a<br />

Venticano non ha comportato variazioni sensibili del peso<br />

ettolitrico medio (fig. 3).<br />

Nonostante la stagione particolarmente asciutta il mais<br />

a granella vitrea ha mostrato di poter fornire produzioni di<br />

tutto rispetto nelle zone considerate, ma a condizione di<br />

scegliere bene la cultivar. I dati di due esperimenti sono<br />

ovviamente insufficienti per fornire informazioni adeguate<br />

sul merito delle cultivar disponibili, ma la persistenza della<br />

stessa graduatoria di resa in due ambienti con potenzialità<br />

considerevolmente differenti (a Portico la resa media ha<br />

superato del 20% quella di Venticano) induce a ritenere che<br />

anche le informazioni comparative ottenute in altri saggi<br />

debbano essere considerate per la scelta varietale.<br />

Aun prezzo di 320 Euro/t il ricavo dalla produzione di<br />

mais nelle condizioni considerate risulta compreso tra 2200<br />

e 3900 Euro/ha. Pertanto tale coltura potrebbe essere con-<br />

K<br />

P<br />

R<br />

R<br />

SR G<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

Venticano<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

6 8 10 12 6 8 10 12<br />

Prodotto in granella, t/ha<br />

Fig. 1. Produzioni medie di granella per ibrido e zona, con barre di confidenza al 95%, corrette<br />

per contenuto relativo di umidità e proporzione di raccolto da piante allettate e spezzate<br />

(performance).<br />

Ar<br />

Ar<br />

Peso ettolitrico (kg)<br />

85<br />

84<br />

83<br />

82<br />

81<br />

As<br />

C<br />

As<br />

S<br />

B<br />

C<br />

K<br />

G SR<br />

V<br />

siderata come praticabile alternativa al tabacco dal punto di<br />

vista dell'impresa quando la manodopera è prevalentemente<br />

un costo esplicito, condizione che riduce la convenienza<br />

relativa del tabacco.<br />

Ringraziamenti. Gli autori ringraziano i signori Gaetano Piccirillo di<br />

Portico e Gennaro Grasso di Venticano per l'ottima assistenza alla conduzione<br />

<strong>dei</strong> saggi nelle rispettive aziende e il dr Filippo Piro del CRA-<br />

ORT per la collaborazione all'analisi <strong>dei</strong> dati e alla presentazione <strong>dei</strong><br />

<strong>risultati</strong>.<br />

Letteratura citata<br />

AAV., 2001. L'Informatore Agrario, 14:47-51<br />

Bates D, 2007. lme4: Linear mixed-effects models using S4<br />

classes. R package version 0.99875-7.<br />

Harrell F e molti altri utenti, 2007. Hmisc: Harrell<br />

Miscellaneous. R package version 3.0-12,<br />

http://biostat.mc.vanderbilt.edu/s/Hmisc.<br />

R Development <strong>Co</strong>re Team, 2007. R: A Language and<br />

Environment for Statistical <strong>Co</strong>mputing. R Foundation for<br />

Statistical <strong>Co</strong>mputing, Vienna, Austria,<br />

http://www.R-project.org.<br />

●<br />

Portico<br />

8 10 12<br />

Produzione di granella corretta (t/ha)<br />

Fig. 3. Peso ettolitrico in funzione dello sviluppo vegetativo, con<br />

linea di tendenza in grigio. Medie e tendenze per Portico e<br />

Venticano sono indicate dalle iniziali in carattere più grande e<br />

dalle linee punteggiate, le medie degli ibridi dalle abbreviazioni in<br />

carattere più piccolo, le due zone dal colore. carattere più piccolo,<br />

le due zone dal colore.<br />

S<br />

B<br />

●<br />

SR<br />

K<br />

P<br />

G<br />

R<br />

●<br />

Ar<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

R<br />

Ar<br />

●<br />


farro.qxp 25/02/2008 10.23 Pagina 19<br />

Il Farro quale alternativa al tabacco<br />

Napolitano A, Raimo F, Vatore R, Vicidomini S e <strong>Co</strong>ntillo R<br />

Introduzione<br />

Il farro è un cereale minore a ciclo autunno- vernino-primaverile,<br />

appartiene al genere Triticum con<br />

tre specie: il Farro piccolo (Triticum monococcum<br />

L.), il Farro medio (Triticum dicoccum Schrank) ed<br />

il Farro grande o spelta (Triticum spelta L.), fa<br />

parte <strong>dei</strong> frumenti vestiti, che hanno la caratteristica<br />

che al momento della trebbiatura presentano le<br />

cariossidi rivestite di glume e glumelle.<br />

Nell'ambito del progetto <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. sono stati<br />

fatti nel triennio 2005-2007 campi sperimentali in<br />

due differenti località della Campania per confrontare<br />

e verificare la produttività <strong>dei</strong> genotipi seminati.<br />

Materiali e metodi<br />

I campi sono stati eseguiti in due località uno a<br />

Paduli, in provincia di Benevento con terreno a<br />

giacitura inclinata e tessitura argillosa, l'altro in<br />

località Frigento in provincia di Avellino, con terreno<br />

a tessitura franca e giacitura pianeggiante,<br />

entrambi hanno una altitudine di circa 400 m slm.<br />

La semina è stata fatta nella prima e seconda decade<br />

( 2005-2006) di gennaio a Paduli mentre a<br />

Frigento è stata fatta nella terza decade di novembre<br />

(28-11-2006). La raccolta è stata eseguita a<br />

Paduli nelle ultime due decadi di luglio, mentre a<br />

Frigento nell'ultima decade di giugno.<br />

Nel primo anno sono state usate le seguenti<br />

varietà: Forenza, Farvento, Luni, Molise colli,<br />

Titano (Zefiro). Nel secondo e terzo anno sono<br />

state aggiunte a quelle su citate le seguenti varietà:<br />

Davide, Lucanica, Mosè, Padre Pio e Triventina.<br />

La semina è stata fatta distribuendo 300 semi germinabili<br />

per m 2 in tutti i campi. Lo schema statistico<br />

di campo è stato uno schema a blocchi randomizzati<br />

con tre ripetizioni. È stata eseguita solo una<br />

concimazione in copertura somministrando 50 kg<br />

ha -1 di azoto. <strong>Al</strong>la raccolta sono stati eseguiti i rilievi<br />

morfologici e produttivi su tutte le varietà e su<br />

essi è stata eseguita l'analisi statistica col software<br />

Data Desk.<br />

1 CRA - CAT - Unità di ricerca per le colture alternative al<br />

tabacco, via P. Vitiello, 108 - Scafati (SA) -<br />

Tel. 081 8563611; Fax 081 8506206;<br />

e-mail: antonietta.napolitano@entecra.it<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 19<br />

Risultati<br />

Dalle osservazioni eseguite nel triennio 2005-<br />

2007 è emerso quanto segue.<br />

L'altezza del fusto è variata tra i 65 e 149 cm,<br />

la cultivar più alta è la Triventina la più bassa è<br />

Mosè seguita da Davide; ma solo Mosè é diversa<br />

statisticamente da tutte le altre varietà, le altre due<br />

non differiscono dalla varietà Padre Pio. Le cultivar<br />

presentano una evidente variabilità nell'altezza<br />

fra i diversi anni, la meno variabile è la Mosè, le<br />

piante nel secondo anno erano più alte e lo erano<br />

ancora di più nel campo di Frigento.<br />

La dimensione della spiga ha distinto tre diversi<br />

gruppi, uno a spiga corta, uno a spiga di media<br />

lunghezza ed uno a spiga lunga. Le cultivar a spiga<br />

piccola sono: Davide, Lucanica, Mosè e Padre Pio,<br />

quelle a spiga lunga sono la Triventina e la<br />

Forenza (le due Spelta). I valori medi delle spighe<br />

oscillano da un minimo di 5,78 ad un massimo di<br />

Foto 1. Spighe delle cv di farro


farro.qxp 25/02/2008 10.23 Pagina 20<br />

20 Napolitano et al Il farro quale alernativa al tabacco<br />

15,79 cm. Le varietà Farvento, Forenza e<br />

Triventina presentano maggiore variabilità nella<br />

lunghezza della spiga come risulta dalla distanza<br />

tra il primo e terzo quartile dell'elaborazione statistica<br />

(frequenze comprese tra 25 %-75% della<br />

popolazione) (fig. 1).<br />

Fig. 1.<br />

Le varietà più produttive riferite alla singola<br />

spiga sono Davide Mosè, Padre Pio e Triventina.<br />

Mosè e Padre Pio hanno il più alto peso in<br />

cariossidi per spiga, entrambe non si differenziano<br />

statisticamente dal Davide e la varietà Mosè non si<br />

differenzia statisticamente dalla Triventina. Le<br />

predette varietà mostrano anche il più alto numero<br />

di cariossidi per spiga rispetto alle altre<br />

varietà.(fig. 2).<br />

Fig. 2.<br />

Il numero delle spighe prodotte a metro quadrato<br />

è alto nel terzo e primo anno e più basso nel<br />

2006.<br />

Farvento, Mosè, Molise <strong>Co</strong>lli e Forenza presentano<br />

il più alto numero di spighe a metro quadrato.<br />

Nonostante la piccola dimensioni delle spighe<br />

delle cultivar Mosè e Padre Pio esse sono le più<br />

produttive ed il campo di Frigento ha presentato<br />

decisamente una maggiore produzione rispetto ai<br />

campi di Paduli. La produzione più alta si ha nelle<br />

varietà Mosè seguita da Padre Pio nella località di<br />

Frigento, mentre a Paduli le produzioni delle stesse<br />

varietà si invertono ma rimangono comunque le<br />

più alte. Le varietà Farvento e Molise <strong>Co</strong>lli presentano<br />

anch'esse una buona produzione in ogni<br />

caso le differenze non sono statisticamente significative<br />

(fig.3).<br />

Fig. 3.<br />

L'Harvest Index medio ci dà valori nelle due<br />

rispettive località di 74,97-60,73 per la varietà<br />

Davide, 77,84-84,73 per Mosè, 74,08-82,08 per<br />

Padre Pio. Indubbiamente le ultime due varietà<br />

sono le più produttive ed hanno una maggiore resa<br />

in granella. Le altre varietà non superano mediamente<br />

nei diversi anni e nei diversi campi un valore<br />

di Harvest Index di 45. E' ovvio che la scelta<br />

della varietà, in relazione alla resa, dipende dal<br />

fatto che ci possa interessare o meno l'utilizzazione<br />

della paglia.<br />

<strong>Co</strong>nclusioni<br />

Si può quindi affermare che le varietà a spiga piccola<br />

sono indubbiamente le più produttive non<br />

tanto per il numero di spighe prodotte a metro quadro<br />

quanto per il peso e per il numero di cariossidi<br />

prodotti per ogni spiga , le differenze comunque<br />

non sono significative statisticamente.<br />

Il campo di Frigento è stato indubbiamente il<br />

più produttivo ma questo era da attendersi in quanto<br />

quest'ultimo ha caratteristiche di pendenza e tessurometriche<br />

più favorevoli rispetto al terreno prevalentemente<br />

collinare ed argilloso di Paduli (vedi<br />

grafici sui suoli già pubblicati).


lupino.qxp 25/02/2008 10.26 Pagina 21<br />

Introduzione<br />

Il lupino produce granella ricca di proteine e grassi,<br />

utilizzabile per alimentazione zootecnica e<br />

umana, ed elevate quantità di biomassa utilizzata<br />

per sovescio (basso rapporto C/N), ma non come<br />

foraggio, a causa del pericolo di lupinosi<br />

(http://www.sinab.it). La granella contiene alcaloidi<br />

e piccoli quantitativi di fitati, oligosaccaridi e<br />

inibitori della tripsina, considerati in passato fattori<br />

antinutrizionali, ma attualmente ricercati in farmacologia,<br />

medicina, cosmesi e nell'industria alimentare.<br />

In questa nota riferiamo sui primi <strong>risultati</strong><br />

di prove di valutazione del lupino ai fini del suo<br />

inserimento in filiere produttive alternative al<br />

tabacco.<br />

Materiali e metodi<br />

La sperimentazione è stata effettuata nell'anno<br />

2007 a Sparanise (fig.1) su un terreno fertile a reazione<br />

sub-acida, allevando sei cultivar secondo le<br />

modalità di un confronto varietale, in un disegno a<br />

blocchi replicato tre volte, con parcelle di 18 m 2 .<br />

Le cultivar di grande sviluppo (Multitalia, Seme<br />

grosso e ecotipo Vairano) sono state seminate per<br />

una densità di 25 piante/m 2 , quelle di taglia più<br />

bassa (Ludic, Lustral e Lublanc) per una densità di<br />

40 piante/m 2 , nell'ultima decade di ottobre, su terreno<br />

precedentemente coltivato a tabacco. Le infe-<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 21<br />

Il lupino bianco per le filiere alternative al tabacco nell'area<br />

casertana<br />

<strong>Co</strong>zzolino E, Leone V<br />

Fig.1. Panoramica del campo di Sparanise<br />

CRA-CAT Unità di ricerca per le alternative al tabacco. Via P.<br />

Vitiello 108, 84018 Scafati(SA), Tel. 0818563611/37, Fax.<br />

0818506206, e-mail:eugenio.cozzolino@entecra. it<br />

stanti sono state controllate con due sarchiature. La<br />

granella è stata raccolta nella seconda decade di<br />

giugno determinando la resa su un'area di saggio di<br />

2m 2 . L'analisi e la rappresentazione grafica delle<br />

risposte sono state eseguite nell'ambiente R (R<br />

<strong>Co</strong>re Team, 2007), utilizzando anche funzioni del<br />

pacchetto contribuito Hmisc (Harrell, 2007).<br />

Risultati e discussione<br />

La stagione di crescita della coltura è stata caratterizzata<br />

da temperature superiori alla media e da sufficienti<br />

precipitazioni. La produzione media in granella<br />

al 13% di umidità è stata di 2,7 t/ha, con intervallo<br />

di confidenza al 95% di 1,4-3,8 t/ha (tab. 1). Il<br />

65% della variazione è dovuta a differenze tra le<br />

cultivar entro il livelli di densità ed il 35% a fattori<br />

locali a livello di parcella. Lustral è risultata la<br />

cultivar più produttiva seguita da Multitalia e Seme<br />

grosso (fig.2). Le dimensioni della granella sono<br />

state influenzate dalla densità ed in parte dalle cultivar,<br />

con i semi più pesanti prodotti dalle cultivar<br />

allevate alla densità inferiore (ecotipo Vairano,<br />

Seme grosso e Multitalia). Lublanc è stata la cultivar<br />

meno produttiva, con i semi più leggeri. Il<br />

numero di semi per baccello è risultato una caratteristica<br />

spiccatamente varietale.<br />

Le rese sono state generalmente più basse di<br />

quelle riportate da Innocenti e Del Re (2007), probabilmente<br />

per problemi fitopatologici causati da<br />

diversi microrganismi patogeni (Rhizoctonia solani,<br />

Pythium ultimum, Fusarium oxysporum, culmorum<br />

e solani).<br />

<strong>Ta</strong>b.1.Valore medio, con intervallo di confidenza al 95%, e componenti<br />

della varianza (in percentuale) per la produzione di granella,<br />

il peso di 1000 semi, e il numero di semi per baccelli.


lupino.qxp 25/02/2008 10.26 Pagina 22<br />

22 <strong>Co</strong>zzolino et al Il lupino bianco ...<br />

Fig. 2. Produzione di granella di sei cultivar di lupino allevate a<br />

due densità, con barre di confidenza al 95%.<br />

L'aumento della densità di semina favorisce lo<br />

sviluppo dominante dell'asse principale, concentrando<br />

la maturazione in un periodo più breve, con<br />

minori perdite di seme alla raccolta, come esemplificato<br />

in questo caso dalla cultivar Lustral.<br />

Ringraziamenti. Si ringrazia il sig.Lorenzo <strong>Co</strong>stantino<br />

per l'assistenza alla conduzione del saggio e il dr Filippo<br />

Piro del CRA-ORT di Pontecagnano per la collaborazione<br />

all'analisi <strong>dei</strong> dati.<br />

Letteratura citata<br />

http://www.sinab.it<br />

Innocenti A, Del Re L, 2007. Il lupino bianco, leguminosa interessante.<br />

Agricoltura 1:68-69<br />

Harrell F e molti altri utenti, 2007. Hmisc: Harrell<br />

Miscellaneous. R package version 3. 0-12, http://biostat.<br />

mc. vanderbilt. edu/s/Hmisc.<br />

R Development <strong>Co</strong>re Team, 2007. R: A Language and<br />

Environment for Statistical <strong>Co</strong>mputing. R Foundation for<br />

Statistical <strong>Co</strong>mputing, Vienna, Austria, http://www. R-project.<br />

org.


soianew.qxp 25/02/2008 10.30 Pagina 23<br />

Introduzione<br />

La soia potrebbe rientrare negli avvicendamenti di colture<br />

alternative al tabacco in alcuni ambienti, considerando che<br />

la domanda si prevede abbastanza vivace per il prossimo<br />

futuro, in conseguenza della crescente destinazione energetica<br />

di varie colture di base per l'industria mangimistica,<br />

che sta comportando una generale ascesa <strong>dei</strong> relativi prezzi.<br />

Le varietà costituite in Italia sono caratterizzate da un<br />

basso contenuto in fattori antinutrizionali e possono essere<br />

utilizzate nelle razioni zootecniche senza un preventivo<br />

trattamento termico (Signori et al., 2007). In questa nota si<br />

riportano i <strong>risultati</strong> di tre saggi condotti in altrettante aziende<br />

tabacchicole campane con un campione di otto cultivar,<br />

incluse due di costituzione italiana (Hilario e Aires).<br />

Materiali e metodi<br />

I saggi sono stati condotti a Portico, su terreno franco, a<br />

Venticano su terreno argilloso-limoso e a Pietrelcina su terreno<br />

argilloso, con otto varietà costituite da Asgrow, Sis, G.<br />

Harvest e R. Venturoli, in un disegno a blocchi completi<br />

con tre repliche e parcelle di 15 m 2 (sei file di cinque metri<br />

con distanze 50x5cm).<br />

I terreni sono stati preparati secondo le pratiche aziendali<br />

e la coltura è stata condotta senza concimazioni. La<br />

semina è stata eseguita con seme in eccesso il 10/4 a<br />

Portico, il 20/4 a Venticano e il 10/5 a Pietrelcina, con diradamento<br />

successivo a 40 piante/m 2 . Le infestanti sono state<br />

controllate con lavorazioni superficiali del terreno. Soltanto<br />

a Portico e a Venticano è stato eseguito un adacquamento.<br />

La raccolta è stata eseguita nella seconda decade di settembre<br />

a Portico e a Venticano e nella terza decade a<br />

Pietrelcina.<br />

I dati sono stati raccolti sulle due file centrali delle parcelle<br />

e le risposte sono state analizzate in relazione ai trattamenti<br />

per singolo ambiente, con un modello a effetti fissi,<br />

e globalmente per la specie, con un modello a effetti casuali,<br />

per quantificare la variazione delle risposte considerate a<br />

livello di specie. L'analisi <strong>dei</strong> dati e la rappresentazione<br />

grafica <strong>dei</strong> <strong>risultati</strong> sono state eseguite nell'ambiente R<br />

(R <strong>Co</strong>re Team, 2007), utilizzando anche funzioni <strong>dei</strong> pacchetti<br />

contribuiti lme4 (Bates, 2007) e Hmisc (Harrell, 2007).<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 23<br />

Valutazione agronomica della soia nelle aree tabacchicole<br />

campane da riconvertire<br />

<strong>Co</strong>zzolino E, Leone V, Oppito G<br />

CRA-CAT, Unità di ricerca per le alternative al tabacco,<br />

Via P. Vitiello 108, 84018 Scafati(SA),<br />

e-mail:eugenio.cozzolino@entecra. it<br />

Risultati e discussione<br />

Le piante hanno beneficiato di favorevoli condizioni<br />

meteorologiche nella prima fase di crescita mostrando<br />

una germinazione rapida e uniforme.<br />

Successivamente la stagione di crescita è stata caratterizzata<br />

da assenza di pioggia per tutta l'estate e da<br />

temperature particolarmente calde.<br />

La produzione media di granella è stata di 3,2<br />

t/ha, con intervallo di confidenza al 95% di 1,6-4,8<br />

t/ha (tab. 1). Oltre il 90% della variazione è stata<br />

determinata da differenze tra gli ambienti, a causa<br />

delle forti variazioni di resa tra le località, con un<br />

livello di produzione a Portico più che doppio rispetto<br />

a Pietrelcina. <strong>Co</strong>mparativamente, le differenze<br />

varietali sono risultate più contenute. Nell'ambiente<br />

più favorevole la cultivar più produttiva (Dekabig) ha<br />

fornito una resa di 5,1 t/ha, superiore di circa 1,3 t/ha<br />

a quella della cultivar meno produttiva (Shama) (fig.<br />

1). <strong>Ta</strong>le livello di divario si è ridotto marginalmente<br />

negli altri due ambienti meno favorevoli, ma in quello<br />

più sfavorevole di Pietrelcina alcune cultivar di<br />

produttività media altrove (Fiume, Atlantic, <strong>Ta</strong>ira)<br />

hanno fornito una prova deludente, penalizzate più di<br />

altre dall'assenza di piogge e dalla sfavorevole tessitura<br />

del terreno. Le rese a Venticano sono risultate di<br />

circa il 20% inferiori rispetto a Portico.<br />

Il livello di produzione è aumentato con lo sviluppo<br />

vegetativo, ma Dekabig si è distinta per un<br />

superiore rapporto granella/vegetazione, mentre<br />

Giulietta ha mostrato il rapporto più basso.<br />

<strong>Co</strong>n l'aumento dello sviluppo è aumentata anche la<br />

percentuale di piante allettate (fig. 2). Le cultivar<br />

<strong>Ta</strong>bella 1. Valore medio, con intervallo di confidenza al 95%, e<br />

componenti della varianza (in percentuale) per la produzione di<br />

granella, altezza della pianta, percentuale di allettamento e il peso<br />

di 1000 semi.


soianew.qxp 25/02/2008 10.30 Pagina 24<br />

24 <strong>Co</strong>zzolino et al Valutazione agronomica della soia<br />

Giulietta, <strong>Ta</strong>ira e Dekabig sono<br />

risultate comparativamente più<br />

sensibili a questa avversità, Haires,<br />

Hilario e Fiume più resistenti.<br />

Dekabig<br />

Hilario<br />

<strong>Ta</strong>ira<br />

●<br />

●<br />

●<br />

Il peso <strong>dei</strong> semi è aumentato Giulietta ●<br />

con il miglioramento dell'am- Atlantic ●<br />

biente di coltura, ma mentre nel- Aires ●<br />

l'ambiente meno favorevole di Fiume ●<br />

Pietrelcina è risultato positivamente<br />

correlato con il livello di<br />

produzione, in quelli più favorevoli<br />

ha mostrato una tendenza a<br />

diminuire con l'aumento della<br />

Shama ●<br />

produzione (fig. 3). I semi più pesanti hanno caratterizzato<br />

le cultivar meno produttive (Shama e Fiume).<br />

La cultivar più produttiva (Dekabig) ha prodotto<br />

anche i semi più pesanti nelle condizioni difficili di<br />

Pietrelcina, ma insieme con Atlantic, di media produttività,<br />

ha mostrato valori di peso del seme tra i più<br />

bassi nei due ambienti più favorevoli.<br />

Nonostante la stagione sia stata caratterizzata da<br />

condizioni climatiche non favorevoli, la soia ha<br />

dimostrato di poter fornire produzioni di tutto rispet-<br />

<strong>Al</strong>lettamento (%)<br />

25<br />

20<br />

15<br />

10<br />

5<br />

0<br />

Gl<br />

Tr Fm<br />

At Pt Dk Sh<br />

Hl Ar<br />

Vn Dk<br />

Sh<br />

Ar<br />

FmAt<br />

Hl<br />

Ar<br />

60 80 100 120<br />

<strong>Al</strong>tezza (cm)<br />

Fig. 2. Relazione tra allettamento e sviluppo vegetativo. Medie e<br />

tendenze per le zone sono indicate dalle iniziali in carattere più<br />

grande e dalle linee punteggiate, le medie degli ibridi dalle abbreviazioni<br />

in carattere più piccolo, le zone dal colore.<br />

to a Portico e a Venticano, e degne di considerazione<br />

per il contesto agricolo più marginale a Pietrelcina.<br />

A un prezzo di 350 euro/t il ricavo dalla produzione<br />

di soia nelle condizioni considerate risulta compreso<br />

tra 600 e 1700 euro/ha. Pertanto tale coltura<br />

potrebbe essere considerata come praticabile alternativa<br />

al tabacco dal punto di vista dell'impresa in casi<br />

di possibile estensivazione, con orientamento verso<br />

colture a basso fabbisogno di lavoro, come le energe-<br />

Pietrelcina<br />

Venticano<br />

2 3 4 5 2 3 4 5 2 3 4 5<br />

Produzione di granella (t/ha)<br />

Fig. 1. Produzioni medie di granella per cultivar e zona, con barre di confidenza al 95%.<br />

Pr<br />

Gl<br />

At<br />

Sh Fm<br />

Tr Hl<br />

Gl<br />

DkTr<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

Portico<br />

tiche, o in casi di conversione verso ordinamenti zootecnici.<br />

Ringraziamenti. Gli autori ringraziano i signori Gaetano<br />

Piccirillo di Portico e Gennaro Grasso di Venticano per<br />

l'ottima assistenza alla conduzione <strong>dei</strong> saggi nelle rispettive<br />

aziende e il dr Filippo Piro del CRA-ORT per la collaborazione<br />

all'analisi <strong>dei</strong> dati e alla presentazione <strong>dei</strong><br />

<strong>risultati</strong>.<br />

Letteratura citata<br />

Signori et al. , 2001. Buone rese con la soia nonostante la siccità.<br />

Notiziario Ersa1, 34-37<br />

Bates D, 2007. lme4: Linear mixed-effects models using S4<br />

classes. R package version 0. 99875-7.<br />

Harrell F e molti altri utenti, 2007. Hmisc: Harrell<br />

Miscellaneous. R package version 3. 0-12,<br />

http://biostat.mc.vanderbilt. edu/s/Hmisc.<br />

R Development <strong>Co</strong>re Team, 2007. R: A Language and<br />

Environment for Statistical <strong>Co</strong>mputing. R Foundation for<br />

Statistical <strong>Co</strong>mputing, Vienna, Austria,<br />

http://www. R-project. org.<br />

Peso di 1000 semi (g)<br />

220<br />

200<br />

180<br />

160<br />

140<br />

Fm<br />

Hl<br />

Pt<br />

Ar<br />

At Tr Gl<br />

Dk<br />

Sh<br />

Hl Pr<br />

2 3 4 5<br />

Produzione di granella (t/ha)<br />

Fig. 3. Relazione tra produzione di granella e peso specifico<br />

della granella. Medie e tendenze per le zone sono indicate<br />

dalle iniziali in carattere più grande e dalle linee punteggiate,<br />

le medie degli ibridi dalle abbreviazioni in carattere più piccolo,<br />

le zone dal colore.<br />

Sh<br />

Sh<br />

Ar<br />

Fm<br />

Gl<br />

Fm<br />

Vn Gl Hl<br />

Dk At<br />

Ar<br />

Tr<br />

At<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

TrDk<br />

●<br />


girasole.qxp 25/02/2008 10.24 Pagina 25<br />

Introduzione<br />

Tra le oleaginose il girasole ha caratteristiche agronomiche<br />

e fisiologiche, particolarmente precocità e<br />

resistenza all'aridità, che ne consentono la coltivazione<br />

anche in aree marginali con basso impiego di<br />

mezzi agrotecnici.<br />

<strong>Co</strong>n le prove oggetto di questa nota abbiamo inteso<br />

verificare la produttività del girasole di tipo altoleico<br />

in relazione alla possibilità di costituire filiere<br />

agroenergetiche sostenibili sotto i profili<br />

ambientale ed economico per le aree interessate<br />

dalla dismissione del tabacco<br />

Materiali e metodi<br />

Le prove sono state condotte a Sparanise e Portico<br />

(CE) e a Venticano e Frigento (AV), con un campione<br />

di 11 cultivar saggiate secondo criteri di confronto<br />

varietale in un disegno a blocchi replicato<br />

tre volte, con parcelle di 12 m 2 . Eccettuata la cultivar<br />

di riferimento Linsol, tutte le altre sono considerate<br />

di tipo altoleico.<br />

La semina è stata eseguita con seme in eccesso<br />

a file distanti 50cm, nella prima decade di aprile in<br />

provincia di Caserta e nella seconda decade in provincia<br />

di Avellino, e le piantine sono state diradate<br />

a una densità di 67.000 piante/ha una decina di<br />

giorni dopo l'emergenza.<br />

Le colture sono state fertilizzate con 80 unità/ha<br />

di N, somministrate 1/3 alla preparazione del terreno<br />

e 2/3 in copertura. In tutte le zone è stato eseguito<br />

un intervento irriguo allo stadio di bottone fiorale,<br />

quando inizia la massima suscettibilità allo<br />

stress idrico (Interlandi et al., 2007).<br />

<strong>Co</strong>me epoca di fioritura di una parcella è stato<br />

considerato il giorno in cui il 50% delle piante si<br />

presentava fiorita. A tale epoca sono state eseguite<br />

le misure di sviluppo vegetativo. La raccolta è stata<br />

eseguita nell'ultima decade di agosto, determinando<br />

la resa sulle due file centrali della parcella e rilevando<br />

il numero di piante spezzate e allettate.<br />

Le risposte sono state analizzate in relazione ai<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 25<br />

Il girasole di tipo altoleico per filiere agroenergetiche nelle aree<br />

tabacchicole campane<br />

<strong>Co</strong>zzolino E, Leone V, Interlandi G, Raimo F, Napolitano A, Vicidomini S<br />

CRA-CAT, Unità di ricerca per le alternative al tabacco,<br />

Via P. Vitiello 108, 84018 Scafati(SA),<br />

e-mail:eugenio.cozzolino@entecra. it<br />

trattamenti per singolo ambiente con un modello a<br />

effetti fissi e globalmente per la specie con un<br />

modello a effetti casuali per quantificare la variazione<br />

delle risposte considerate a livello di specie.<br />

L'analisi <strong>dei</strong> dati e la rappresentazione grafica <strong>dei</strong><br />

<strong>risultati</strong> sono state eseguite nell'ambiente R (R<br />

<strong>Co</strong>re Team, 2007), utilizzando anche funzioni <strong>dei</strong><br />

pacchetti contribuiti lme4 (Bates, 2007) e Hmisc<br />

(Harrell, 2007).<br />

Risultati e discussione<br />

Le colture hanno beneficiato di condizioni meteorologiche<br />

favorevoli nella prima fase, ma il periodo di<br />

fine ciclo è stato stata particolarmente caldo e secco.<br />

La produzione media per cultivar è variata tra le<br />

2,3 t/ha di Carnia a Frigento e le 5,5 t/ha di Trisun860<br />

a Portico e la variabilità è stata determinata prevalentemente<br />

da fattori locali a livello del terreno e secondariamente<br />

in ugual misura dalle differenze di<br />

ambiente e dalle differenze varietali (fig. 1 e tab. 1).<br />

La variabilità locale è risultata massima a Frigento e<br />

minima a Sparanise, dove tutte le cultivar hanno fornito<br />

rese ugualmente elevate. Le rese sono state simili<br />

per la maggior parte delle cultivar anche a<br />

Venticano, ma a un livello produttivo inferiore. In<br />

contrasto, a Frigento e a Portico le cultivar hanno<br />

mostrato differenze di resa consistenti, e quella più<br />

produttiva (Trisun860) ha fornito rispettivamente il<br />

40% e il 50% in più di granella rispetto alla meno<br />

produttiva (Carnia).<br />

Nelle zone più calde della provincia di Caserta la<br />

maggiore produzione di granella è stata accompagna-<br />

<strong>Ta</strong>b. 1. Valore medio, con intervallo di confidenza al 95%, e componenti<br />

della varianza (in percentuale) per la produzione di granella,<br />

il peso di 1000 semi e l'epoca di fioritura di 11 varietà di<br />

girasole in quattro ambienti.


girasole.qxp 25/02/2008 10.24 Pagina 26<br />

26 <strong>Co</strong>zzolino et al Il girasole altoleico<br />

ta anche da una maggiore precocità,<br />

mentre nell'ambiente più<br />

sfavorevole di Frigento la resa è<br />

aumentata con la lunghezza del<br />

ciclo (fig. 2). Heroic è risultata<br />

consistentemente la cultivar più<br />

precoce, mentre la lunghezza<br />

del ciclo è variata considerevolmente<br />

da una zona all'altra per<br />

la maggior parte delle cultivar.<br />

La dimensione <strong>dei</strong> semi, positivamente<br />

correlata con il livello<br />

di resa, non è stata influenzata<br />

Trisun860<br />

Viviana<br />

Heroic<br />

PR64H41<br />

Proleic204<br />

Oleko<br />

Linsol<br />

MAS97OL<br />

PR64H61<br />

Gamasol<br />

Carnia<br />

molto dall'ambiente per la maggior parte delle cultivar,<br />

eccettuata la Trisun860, che ha prodotto semi<br />

particolarmente grossi nell'ambiente di Frigento<br />

(fig. 3). Questa cultivar si è fatta notare per un alto<br />

livello sia di produzione che di stabilità di risposta<br />

al variare delle condizioni ambientali.Nonostante<br />

la stagione particolarmente asciutta il girasole ha<br />

mostrato di poter fornire produzioni elevate nelle<br />

zone considerate, confermando le notevoli capacità<br />

di adattamento anche in condizioni di scarse<br />

disponibilità idriche. Tuttavia, a un prezzo di 200<br />

euro/t la coltura del girasole nelle condizioni considerate<br />

può offrire un ricavo prevedibile di 700-900<br />

euro/ha, per cui potrebbe essere considerata in ordinamenti<br />

senza tabacco solo per aziende abbastanza<br />

grandi condotte con minimo impiego di lavoro<br />

umano.<br />

Produzione di granella (t/ha)<br />

5<br />

4<br />

3<br />

Hr<br />

Hr<br />

Hr PH6<br />

Ol<br />

Ol PH4<br />

Gm<br />

Hr<br />

Vv<br />

T8<br />

T8<br />

P<br />

F<br />

S<br />

Ln<br />

Ol PH4 Gm<br />

Vv Cr<br />

PH6 MAPH4<br />

P2 MA<br />

Ln<br />

PH4V Ol MA Cr<br />

PH6<br />

MA<br />

PH6<br />

Ln<br />

65 70 75<br />

Giorni alla fioritura<br />

Fig. 2. Produzione di granella di 11 varietà di girasole in quattro<br />

ambienti in relazione alla lunghezza del ciclo vegetativo. I dati<br />

relativi agli ambienti sono distinti con il colore, le medie per<br />

ambiente e cultivar sono indicate dalle posizioni delle relative<br />

abbreviazioni.<br />

Cr<br />

Cr<br />

P2<br />

●<br />

Frigento<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

Venticano<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

Portico<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

Sparanise<br />

2 3 4 5 6 2 3 4 5 6 2 3 4 5 6 2 3 4 5 6<br />

Produzione di granella (t/ha)<br />

Fig. 1. Produzione di granella di 11 varietà di girasole in quattro ambienti, con barre di confidenza<br />

al 95%.<br />

Ln<br />

Gm<br />

Vv<br />

P2 Vv<br />

Gm<br />

T8<br />

T8<br />

Peso di 1000 semi (g)<br />

100<br />

90<br />

80<br />

70<br />

60<br />

Cr<br />

Ln<br />

Ln<br />

PH6<br />

Hr<br />

PH4 Ol<br />

FV P<br />

S<br />

Hr Gm<br />

Ol<br />

P2<br />

PH4<br />

Vv<br />

Gm<br />

Cr MA<br />

PH6<br />

MA<br />

P2<br />

Ln<br />

PH4<br />

OlLn<br />

Hr<br />

Cr Ol Cr T8<br />

Hr<br />

MA Gm<br />

Vv P2PH6<br />

MA PH6<br />

Vv PH4 P2<br />

Gm<br />

Vv<br />

3 4 5<br />

Produzione di granella (t/ha)<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

Fig. 3. Peso di 1000 semi di 11 varietà di girasole in quattro<br />

ambienti in funzione del livello di produzione. I dati relativi agli<br />

ambienti sono distinti con il colore, le medie per ambiente e<br />

cultivar sono indicate dalle posizioni delle relative abbreviazioni.<br />

Ringraziamenti. Gli autori ringraziano i signori Gaetano<br />

Piccirillo di Portico, Izzo Clementina di Sparanise,<br />

Gennaro Grasso di Venticano e Franco Stanco di<br />

Frigento, per l'ottima assistenza alla conduzione <strong>dei</strong><br />

saggi nelle rispettive aziende, e il dr Filippo Piro del<br />

CRA-ORT di Pontecagnano per la collaborazione<br />

all'analisi <strong>dei</strong> dati e alla presentazione <strong>dei</strong> <strong>risultati</strong>.<br />

Letteratura citata<br />

Interlandi G, <strong>Co</strong>zzolino E, Leone V, Raimo F, Del Gaudio C,<br />

Paino, Zeno G, 2007.Studio sulla adattabilità del girasole ad<br />

alto contenuto di acido oleico per la riconversione del<br />

tabacco nelle aree interne del beneventano.Risultati finali<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>.1 239-242<br />

Bates D, 2007. lme4: Linear mixed-effects models using S4<br />

classes. R package version 0. 99875-7.<br />

Harrell F e molti altri utenti, 2007. Hmisc: Harrell<br />

Miscellaneous. R package version 3. 0-12,<br />

http://biostat.mc.vanderbilt. edu/s/Hmisc.<br />

R Development <strong>Co</strong>re Team, 2007. R: A Language and<br />

Environment for Statistical <strong>Co</strong>mputing. R Foundation for<br />

Statistical <strong>Co</strong>mputing, Vienna, Austria,<br />

http://www. R-project. org.<br />

T8<br />

T8


colza.qxp 25/02/2008 10.21 Pagina 27<br />

Introduzione<br />

Lo sviluppo mondiale della filiera bioenergetica ha<br />

riacceso l'interesse italiano per il colza, per il quale le<br />

superfici investite nel 2007 sono raddoppiate a 7000<br />

ettari rispetto all'anno precedente (dati ISTAT). Il biodiesel<br />

prodotto in Europa proviene per tre quarti da<br />

colza e per un quinto da girasole. Nel 2006 la coltura<br />

ha interessato prevalentemente la Toscana, Lazio e<br />

Basilicata (Menguzzato e Rossetto, 2007). <strong>Co</strong>n questa<br />

prova abbiamo voluto verificare la produttività del<br />

colza nelle aree tabacchicole campane e l'idoneità per<br />

un possibile impiego in ordinamenti colturali senza<br />

tabacco.<br />

Materiali e metodi<br />

La verifica è stata condotta a Sparanise e Portico, in<br />

provincia di Caserta, e a Venticano, in provincia di<br />

Avellino, su precessione di tabacco, con sei cultivar<br />

allevate secondo le modalità di un confronto varietale,<br />

in un disegno a blocchi replicato tre volte, con parcelle<br />

di 20 m 2 .<br />

La semina è stata eseguita con seme in eccesso a<br />

file distanti 45cm il 24/10/2006 a Venticano, il 25/10 a<br />

Portico e il 26/10 a Sparanise, rispettivamente con<br />

100, 80 e 80 semi/m 2 . Successivamente è stato effettuato<br />

un diradamento per ottenere l'investimento programmato<br />

di 60 piante m 2 . Soltanto a Venticano è stata<br />

eseguita una concimazione fosfatica presemina con 50<br />

kg/ha di P 2 O 5 . La concimazione azotata è stata dosata<br />

in base all'accrescimento delle piante a fine gennaio<br />

secondo le buone pratiche di produzione integrata del<br />

colza (AA.VV.,1999), somministrando 90 unità/ha di<br />

N a Portico e Sparanise e 120 unità/ha a Venticano, in<br />

due frazioni: 40% all'inizio di febbraio e il resto all'inizio<br />

della levata. Il controllo delle malerbe è stato effettuato<br />

con un intervento di sarchiatura. Non si sono resi<br />

necessari trattamenti antiparassitari. La raccolta è stata<br />

eseguita nella prima decade di giugno, determinando<br />

la produzione su aree di saggio di 2 m 2 .<br />

Le risposte sono state analizzate in relazione ai<br />

trattamenti per singolo ambiente con un modello a<br />

effetti fissi e globalmente per la specie con un model-<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 27<br />

Il colza da olio per le aree tabacchicole della regione Campania<br />

<strong>Co</strong>zzolino E, Leone V, Zeno G, Oppito G, Interlandi G<br />

CRA-CAT Unità di ricerca per le alternative al tabacco. Via P.<br />

Vitiello 108, 84018 Scafati(SA), Tel. 0818563611/37, Fax.<br />

0818506206, e-mail:eugenio.cozzolino@entecra. it<br />

lo a effetti casuali per quantificare la variazione delle<br />

risposte considerate a livello di specie. L'analisi <strong>dei</strong><br />

dati e la rappresentazione grafica <strong>dei</strong> <strong>risultati</strong> sono<br />

state eseguite nell'ambiente R (R <strong>Co</strong>re Team, 2007),<br />

utilizzando anche funzioni <strong>dei</strong> pacchetti contribuiti<br />

lme4 (Bates, 2007) e Hmisc (Harrell, 2007).<br />

Risultati e discussione<br />

La coltura ha beneficiato di condizioni meteorologiche<br />

favorevoli allo sviluppo, con temperature sopra la<br />

media. Le precipitazioni sono state sufficienti per le<br />

esigenze della coltura. Nel campo di Venticano un<br />

ristagno idrico nel mese di novembre ha creato qualche<br />

problema di asfissia alle piantine germinate.<br />

La produzione di granella per cultivar è variata da<br />

da tre a poco meno di sei tonnellate per ettaro (fig. 1),<br />

con un valore medio di 4,2 t/ha (tab. 1). La maggior<br />

parte della variabilità della resa, come pure dello sviluppo<br />

vegetativo, è stata determinata dalle differenze<br />

tra le zone più calde (Portico e Sparanise) e la zona<br />

relativamente più fresca (Venticano), per la quale non<br />

si può escludere qualche danno per l'eccessiva umidità<br />

nella prima fase della coltura.<br />

Pluto, con una produzione di granella tra 3,8 e 5,8<br />

t/ha, è risultata la cultivar a più alta resa in tutti e tre<br />

gli ambienti, seguita da Pulsar e Plenty, che però<br />

hanno dato <strong>risultati</strong> alquanto incosistenti tra gli<br />

ambienti, la prima apparendo più sensibile nell'ambiente<br />

più fresco, la seconda giovandosi meno dell'ambiente<br />

più caldo.<br />

<strong>Al</strong>la densità di semina utilizzata un maggiore sviluppo<br />

vegetativo ha comportato un aumento della percentuale<br />

di allettamento, che a Sparanise ha raggiunto<br />

punte superiori al 40%, con la cultivar Dante (fig. 2).<br />

<strong>Ta</strong>b.1. Valore medio, con intervallo di confidenza al 95%, e componenti<br />

della varianza (in percentuale) per la resa, il peso di 1000<br />

semi, l'altezza della pianta e la percentuale di allettamento di<br />

colza coltivato in tre ambienti.


colza.qxp 25/02/2008 10.21 Pagina 28<br />

28 <strong>Co</strong>zzolino et al Il colza da olio..<br />

Quest'ultima e Pulsar sono risultate<br />

relativamente più sensibili al problema,<br />

anche nelle condizioni<br />

meno predisponenti di Venticano.<br />

Le dimensioni della granella<br />

sono relativamente indipendenti<br />

dal livello di resa e molto influenzate<br />

da fattori locali a livello di parcella<br />

(fig. 3 e tab. 1). Pulsar, per<br />

esempio, ha prodotto i semi più<br />

grossi a Sparanise e semi di peso<br />

inferiore alla media a Venticano; i<br />

semi di Pluto prodotti a Sparanise<br />

Pluto<br />

Pulsar<br />

Plenty<br />

Lilian<br />

Dante<br />

<strong>Co</strong>urage<br />

avevano un peso inferiore del 9% a quello <strong>dei</strong> semi di<br />

Portico e Venticano. Nel complesso le cultivar meno<br />

produttive (Dante e <strong>Co</strong>urage) hanno prodotto semi<br />

relativamente più grossi, mentre la cultivar a resa intermedia<br />

Plenty si è caratterizzata per i semi più piccoli.<br />

Tenuto conto delle condizioni ambientali relativa-<br />

<strong>Al</strong>lettamento (%)<br />

40<br />

30<br />

20<br />

10<br />

Pls<br />

CrPlt<br />

V Ll<br />

Pln<br />

Dn<br />

Pln<br />

Pln<br />

100 120 140 160 180<br />

<strong>Al</strong>tezza pianta (cm)<br />

Fig. 2. Relazione tra sviluppo in altezza delle cultivar di colza e la<br />

percentuale di allettamento. Le cultivar sono indicate con nomi<br />

abbreviati, le zone con le iniziali e il colore, la tendenza generale<br />

con la linea intera grigia, le tendenze zonali con le linee punteggiate<br />

in colore.<br />

mente buone per lo sviluppo della coltura, possiamo<br />

ritenere soddisfacenti i livelli di resa ottenuti. A un<br />

prezzo di 250-300 euro/t nelle condizioni ambientali<br />

considerate si può attendere dalla produzione di colza<br />

un ricavo tra 900 e 1500 euro/ha, chiaramente inadeguato<br />

in riferimento a ordinamenti colturali sostitutivi<br />

del tabacco, tenuto conto che la coltura occupa il suolo<br />

per 8-9 mesi. Anche se può svolgere un apprezzabile<br />

ruolo di cover-crop autunno-vernina per la gestione<br />

dell'azoto, il colza difficilmente potrà essere considerato<br />

negli ordinamenti tendenzialmente intensivi di<br />

aziende medio-piccole.<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

Venticano<br />

●<br />

●<br />

Portico<br />

3 4 5 3 4 5 3 4 5<br />

Produzione di granella (t/ha)<br />

Fig. 1. Produzione di granella per cultivar di colza in tre ambienti, con barre di confidenza<br />

al 95%.<br />

Ll S<br />

P<br />

Plt<br />

LlPls<br />

Pls<br />

Cr<br />

Plt<br />

Cr<br />

Dn<br />

Dn<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

Ringraziamenti. Gli autori ringraziano i signori Gaetano<br />

Piccirillo di Portico, Clementina Izzo di Sparanise e<br />

Gennaro Grasso di Venticano, per l'ottima assistenza alla<br />

conduzione <strong>dei</strong> saggi nelle rispettive aziende, e il dr<br />

Filippo Piro del CRA-ORT per la collaborazione all'analisi<br />

<strong>dei</strong> dati e alla presentazione <strong>dei</strong> <strong>risultati</strong>.<br />

Peso di 1000 semi (g)<br />

4,2<br />

4,0<br />

3,8<br />

Ll<br />

Dn<br />

Cr<br />

3 4 5<br />

Produzione di granella (t/ha)<br />

Fig. 3. Relazione tra peso di 1000 semi e produzione di granella<br />

di cultivar di colza. Le cultivar sono indicate con nomi abbreviati,<br />

le zone con le iniziali e il colore, la tendenza generale con la linea<br />

intera grigia, le tendenze zonali con le linee punteggiate in colore.<br />

Letteratura citata<br />

Menguzzato A, Rossetto L, 2007. Le aspettative sul biodiesel<br />

fanno da traino al colza italiano. Speciale L'informatore<br />

agrario 33:33-36<br />

AAVV,1999. Manuale di corretta prassi per la produzione integrata<br />

del colza. 3A- Parco Tec. Agroalimentare dell'Umbria<br />

Bates D, 2007. lme4: Linear mixed-effects models using S4<br />

classes. R package version 0. 99875-7.<br />

Harrell F, e molti altri utenti, 2007. Hmisc: Harrell<br />

Miscellaneous. R package version 3. 0-12,<br />

http://biostat. mc. vanderbilt. edu/s/Hmisc.<br />

R Development <strong>Co</strong>re Team, 2007. R: A Language and<br />

Environment for Statistical <strong>Co</strong>mputing. R Foundation for<br />

Statistical <strong>Co</strong>mputing, Vienna, Austria,<br />

http://www. R-project. org.<br />

●<br />

●<br />

Ll<br />

Dn<br />

V Cr<br />

Pls<br />

Pln<br />

Plt<br />

Dn<br />

Cr<br />

Pln<br />

Pls<br />

S<br />

P<br />

Pln<br />

Sparanise<br />

●<br />

●<br />

●<br />

●<br />

Ll<br />

Plt<br />

Pls<br />

Plt<br />

●<br />


kenaf.qxp 25/02/2008 10.25 Pagina 29<br />

Introduzione<br />

Il kenaf, specie annuale a rapida crescita originaria<br />

del sud-est asiatico, è stata studiata per la produzione<br />

di fibre tessili e carta e fornisce fibre per isolamento<br />

termico-acustico e pellets per usi energetici.<br />

La pianta sviluppa un esteso apparato radicale, che<br />

le consente di utilizzare terreni di modesta fertilità<br />

e di essere gestita con limitato impiego di fertilizzanti,<br />

e inoltre forma una fitta vegetazione che soffoca<br />

le malerbe (Desiderio et al, 1994). La nostra<br />

sperimentazione ha mirato a valutare l'effetto della<br />

concimazione azotata sulla produzione di biomassa<br />

di due cultivar di kenaf in condizioni di sussidio<br />

idrico limitato.<br />

Materiali e metodi<br />

La sperimentazione è stata effettuata nell'anno<br />

2007 con quattro livelli di azoto (0, 50, 100 e 150<br />

kg/ha di N) e con le cultivar <strong>Ta</strong>inung2 e Dowling,<br />

su un terreno argilloso-limoso a Calvi e argillososabbioso<br />

a S. Agata <strong>dei</strong> Goti, in un disegno a blocchi<br />

replicato tre volte, con parcelle di 20 m 2 .<br />

Il terreno, coltivato precedentemente a pomodoro,<br />

è stato concimato in presemina con 60 kg/ha di<br />

P 2 O 5 e nell'occasione è stata anticipata la quota<br />

minima dell'azoto, rimandando il resto a un intervento<br />

allo stadio di quarta foglia. La semina è stata<br />

fatta in eccesso nella prima decade di maggio, a file<br />

distanti 50cm, con diradamento successivo alla densità<br />

di 35 piante m 2 . Le piogge dopo la semina<br />

hanno favorito germinazione e attecchimento delle<br />

piantine, rendendo non necessaria una irrigazione.<br />

In seguito alte temperature e assenza di precipitazioni<br />

hanno indotto ad eseguire tre interventi irrigui,<br />

erogando un totale di 180mm a Calvi e e 240mm a<br />

S. Agata. Il controllo delle malerbe è stato effettuato<br />

con un intervento di sarchiatura. La resa è stata<br />

determinata raccogliendo le due file centrali della<br />

parcella, nella seconda decade di ottobre, ed eliminando<br />

una porzione apicale erbacea di 10cm. Dopo<br />

misure di sviluppo degli steli, un campione di 30<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 29<br />

Risposta del kenaf a differenti livelli di concimazione azotata<br />

<strong>Co</strong>zzolino E, Leone V<br />

CRA-CAT Unità di ricerca per le alternative al tabacco. Via P.<br />

Vitiello 108, 84018 Scafati(SA), Tel. 0818563611/37, Fax.<br />

0818506206, e-mail:eugenio.cozzolino@entecra. it<br />

piante è stato passato in stufa a 105°C per 48 ore per<br />

determinare la biomassa secca.<br />

Le risposte sono state analizzate in relazione ai<br />

trattamenti per singolo ambiente con un modello a<br />

effetti fissi e globalmente per la specie con un<br />

modello a effetti casuali per quantificare la variazione<br />

delle risposte considerate a livello di specie.<br />

L'analisi <strong>dei</strong> dati e la rappresentazione grafica <strong>dei</strong><br />

<strong>risultati</strong> sono state eseguite nell'ambiente R (R<br />

<strong>Co</strong>re Team, 2007), utilizzando anche funzioni <strong>dei</strong><br />

pacchetti contribuiti lme4 (Bates, 2007) e Hmisc<br />

(Harrell, 2007).<br />

Risultati e discussione<br />

La biomassa secca è aumentata con l'aumento del<br />

livello di fertilizzazione azotata in entrambe le<br />

zone e per entrambe le cultivar. La più produttiva<br />

(<strong>Ta</strong>inung) ha mostrato tuttavia una risposta più<br />

limitata all'azoto, raggiungendo un plateu intorno<br />

ai 100 kg/ha di N somministrato, mentre l'altra<br />

(Dowling) ha risposto in modo lineare in tutto l'intervallo<br />

di livelli sperimentato (fig. 1). Quest'ultima,<br />

inoltre, ha mostrato una risposta più debole<br />

all'azoto insieme con un livello di produzione in<br />

biomassa secca e uno sviluppo vegetativo considerevolmente<br />

più bassi a S. Agata (fig. 2). Il rapporto<br />

tra resa percentuale in biomassa secca e produzione<br />

di biomassa fresca indica che le piante della<br />

Dowling a S.Agata non solo si sono sviluppate<br />

meno, ma avevano anche un maggior contenuto<br />

d'acqua, mentre a Calvi hanno fatto realizzare una<br />

<strong>Ta</strong>b.1. Valore medio, con intervallo di confidenza al 95%, e componenti<br />

della varianza (in percentuale) per la biomassa secca, la<br />

resa in secco e il volume del fusto di due cultivar di kenaf allevate<br />

a quattro livelli di azoto in due ambienti.


kenaf.qxp 25/02/2008 10.25 Pagina 30<br />

30 <strong>Co</strong>zzolino et al <strong>Co</strong>ncimazione azotata del kenaf<br />

Figura 1. Produzione di biomassa secca di due cultivar di kenaf in<br />

due ambienti funzione del livello di fertilizzazione azotata, con<br />

barre di confidenza al 95%.<br />

Fig. 2. Volume del fusto di due cultivar di kenaf in due ambienti<br />

funzione del livello di fertilizzazione azotata. I simboli indicano le<br />

repliche e la linea un'interpolazione non parametrica<br />

resa in secco superiore a quella della <strong>Ta</strong>inung (fig. 3).<br />

<strong>Co</strong>nsiderato che in questa località sono stati dati<br />

60mm di acqua in più rispetto all'altra, si può ipotizzare<br />

che la Dowling sia adattata a condizioni di<br />

limitate risorse idriche e quindi risponda negativamente<br />

a un miglioramento del livello di umidità. In<br />

confronto la resa in biomassa secca della cultivar<br />

<strong>Ta</strong>inung è rimasta allo stesso livello nelle due zone.<br />

La variabilità indotta dal fattore varietale per<br />

sviluppo vegetativo e produzione di biomassa è<br />

Fig. 3. Relazione tra resa in secco e produzione di biomassa fresca<br />

di due cultivar di kenaf in due ambienti funzione del livello di<br />

fertilizzazione azotata. Le cultivar e gli ambienti sono indicati con<br />

le iniziali <strong>dei</strong> nomi e gli ambienti anche con il colore; le frecce in<br />

grigio indicano gli scostamenti delle posizioni delle cultivar dall'ambiente<br />

di Calvi a quello di S.Agata.<br />

risultata pertanto nettamente più rilevante di quella<br />

prodotta dalla concimazione azotata, mentre per la<br />

resa in secco è risultata importante l'interazione<br />

varietà-ambiente e del tutto trascurabile l'effetto<br />

dell'azoto (tab. 1). Ciò vuol dire che per proporre il<br />

kenaf nell'ambiente considerato è opportuna una<br />

previa selezione sperimentale di cultivar dotate di<br />

buona stabilità, come la <strong>Ta</strong>inung2.<br />

Ringraziamenti. Un particolare ringraziamento è rivolto<br />

ai signori Bruno Viscusi e Maria Gerarda Vesce per l'assistenza<br />

alla conduzione <strong>dei</strong> saggi nelle rispettive aziende<br />

e al dr Filippo Piro del CRA-ORT di Pontecagnano<br />

per la collaborazione all'analisi <strong>dei</strong> dati e alla presentazione<br />

<strong>dei</strong> <strong>risultati</strong>.<br />

Letteratura citata<br />

AAVV, 1994. Adattamento e resa di varietà di kenaf in Italia<br />

centrale e settentrionale. L'Informatore Agrario 13:27-38.<br />

Bates D, 2007. lme4: Linear mixed-effects models using S4<br />

classes. R package version 0. 99875-7.<br />

Harrell F e molti altri utenti, 2007. Hmisc: Harrell<br />

Miscellaneous. R package version 3. 0-12, http://biostat.<br />

mc. vanderbilt. edu/s/Hmisc.<br />

R Development <strong>Co</strong>re Team, 2007. R: A Language and<br />

Environment for Statistical <strong>Co</strong>mputing. R Foundation for<br />

Statistical <strong>Co</strong>mputing, Vienna, Austria, http://www. R-project.<br />

org.


sorgo.qxp 25/02/2008 10.31 Pagina 31<br />

Introduzione<br />

Lo sviluppo delle colture da biomassa per la produzione<br />

di energia è ritenuto attualmente necessario per<br />

integrare con fonti rinnovabili le risorse energetiche<br />

della terra. Si pensa che l'uso di fonti energetiche vegetali<br />

dovrebbe anche frenare l'immissione di CO 2 nell'atmosfera,<br />

facendo parte quella così immessa di un<br />

mero riciclo. Per gli ambienti agronomici più marginali<br />

le colture da biomassa rappresentano un contributo<br />

allo sviluppo economico e un mezzo per migliorare la<br />

stabilità <strong>dei</strong> suoli (Fagnano e Postiglione, 2002). <strong>Co</strong>n<br />

la prova oggetto di questa nota abbiamo inteso verificare<br />

il livello di biomassa conseguibile con il sorgo in<br />

rapporto alla concimazione azotata in condizioni di<br />

limitato apporto idrico nelle aree tabacchicole interne<br />

della Campania, allo scopo di valutare la possibilità di<br />

includere tale coltura in ordinamenti economicamente<br />

sostenibili senza tabacco.<br />

Materiali e metodi<br />

La sperimentazione è stata effettuata nel biennio 2006-<br />

07 a Venticano, su un suolo argilloso-limoso, con due<br />

cultivar di sorgo da biomassa (H133 e H952) a due<br />

livelli di concimazione azotata, (100 e 200 kg/ha di N),<br />

in un disegno a blocchi ripetuto tre volte, con parcelle<br />

di 30 m 2 .<br />

Prima della semina, eseguita a file distanti 50 cm<br />

nella prima decade di maggio su terreno precedentemente<br />

coltivato a tabacco, sono stati somministrati 60<br />

kg/ha di P 2 O 5 e un terzo dell'azoto, per gli altri due<br />

terzi distribuito dopo il diradamento a 20 piante m 2 .<br />

Modesti interventi irrigui sono stati eseguiti dopo la<br />

semina e allo stadio di 14-15 foglie. Il controllo delle<br />

malerbe è stato effettuato con un intervento di sarchiatura.<br />

La raccolta è stata eseguita dopo 15 giorni dalla<br />

data di fioritura, stadio nel quale si ritiene sia massima<br />

la quantità di sostanza secca accumulata dalle piante<br />

(Peyre,1979), utilizzando un'area di saggio di 2m 2 per<br />

determinare la resa areica in biomassa fresca e secca,<br />

dopo passaggio in stufa a 105° per 48 ore.<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 31<br />

Influenza di cultivar, concimazione azotata e stagione sulla produzione<br />

di biomassa del sorgo da fibra<br />

<strong>Co</strong>zzolino E, Leone V, Raimo F<br />

CRA-CAT Unità di ricerca per le alternative al tabacco. Via P.<br />

Vitiello 108, 84018 Scafati(SA), Tel. 0818563611/37, Fax.<br />

0818506206, e-mail:eugenio.cozzolino@entecra. it<br />

Le risposte sono state analizzate in relazione ai<br />

trattamenti per singolo ambiente con un modello a<br />

effetti fissi e globalmente per la specie con un modello<br />

a effetti casuali per quantificare la variazione delle<br />

risposte considerate a livello di specie. L'analisi <strong>dei</strong><br />

dati e la rappresentazione grafica <strong>dei</strong> <strong>risultati</strong> sono<br />

state eseguite nell'ambiente R (R <strong>Co</strong>re Team, 2007),<br />

utilizzando anche funzioni <strong>dei</strong> pacchetti contribuiti<br />

lme4 (Bates, 2007) e Hmisc (Harrell, 2007).<br />

Risultati e discussione<br />

Le condizioni meteorologiche delle due stagioni sono<br />

state molto differenti: temperature normali e sufficiente<br />

piovosità estiva nel 2006, temperature elevate e<br />

assenza di precipitazioni nel 2007; pertanto le stagioni<br />

saranno indicate rispettivamente come temperata e<br />

caldo-secca.<br />

La variazione stagionale ha avuto un effetto più rilevante<br />

di cultivar e livello di azoto sulla produzione e sulla<br />

resa in secco, mentre lo sviluppo vegetativo è risultato<br />

una caratteristica più spiccatamente varietale (tab. 1).<br />

Passando dalla stagione calda-secca a quella temperata<br />

la produzione di biomassa secca è aumentata in<br />

media del 28% per la più produttiva cultivar H133 e del<br />

21% per la meno produttiva H952, ed è aumentato leggermente<br />

anche il tasso di risposta all'azoto, da 10,8 a<br />

11,4 kg di biomassa per kg di N aggiunto (fig. 1). Le<br />

rese medie di biomassa secca per le combinazioni di<br />

cultivar e livello di azoto sono variate tra 21 e 35 t/ha.<br />

La produzione di biomassa è risultata una funzione<br />

lineare del livello di idoneità della stagione e<br />

dello sviluppo vegetativo, dipendente a sua volta<br />

<strong>Ta</strong>b.1. Valore medio, con intervallo di confidenza al 95%, e componenti<br />

della varianza (in percentuale) per la produzione di biomassa<br />

secca, la resa in secco e il volume del fusto di due varietà<br />

di sorgo a due livelli di azoto in due stagioni.


sorgo.qxp 25/02/2008 10.31 Pagina 32<br />

32 <strong>Co</strong>zzolino et al Il colza da olio..<br />

Fig. 1. Effetto di concimazione azotata, cultivar e stagione su la<br />

produzione di biomassa secca di due varietà di sorgo a due livelli<br />

di azoto in due stagioni, con barre di confidenza al 95%.<br />

Fig. 2. Produzione di biomassa secca in funzione dello sviluppo<br />

vegetativo di due varietà di sorgo a due livelli di azoto in due stagioni.<br />

I dati relativi alle due stagioni sono distinti con il colore, le<br />

medie per stagione e trattamento sono indicate dalle posizioni <strong>dei</strong><br />

relativi nomi.<br />

dalla cultivar e dal livello di concimazione azotata<br />

(fig. 2). La stagione temperata ha incrementato la<br />

produzione di biomassa secca, nonostante abbia<br />

ridotto di circa due punti percentuali (dal 28,8% al<br />

27%) la resa in secco, che peraltro tende a ridursi<br />

con l'aumento della concimazione azotata e dello<br />

sviluppo vegetativo (fig. 3).<br />

A un prezzo di 40-45 euro/t per la biomassa<br />

secca risulta una produttività marginale dell'azoto<br />

intorno a 0,45 euro/kg, da confrontare con un prezzo<br />

dell'elemento all'ingrosso di circa 2 euro/kg.<br />

Anche senza considerare gli altri costi che la concimazione<br />

comporta, sembra che gli incrementi di<br />

produzione possibili con la concimazione azotata<br />

Fig. 3. Resa in secco in funzione dello sviluppo vegetativo di due<br />

varietà di sorgo a due livelli di azoto in due stagioni. I dati relativi<br />

alle due stagioni sono distinti con il colore, le medie per stagione<br />

e trattamento sono indicate dalle posizioni <strong>dei</strong> relativi nomi.<br />

non valgano il costo della stessa per la coltura del<br />

sorgo da biomassa nelle condizioni saggiate.<br />

<strong>Co</strong>n le quotazioni correnti del sorgo da biomassa,<br />

da una coltura nella zona considerata si possono<br />

attendere ricavi nell'ordine <strong>dei</strong> 1200-1500<br />

euro/ha, paragonabili a quelli ottenibili dalla coltura<br />

del colza in condizioni ambientali migliori, e<br />

superiori a quelli forniti dal girasole. Pertanto,<br />

anche questa specie potrebbe essere considerata in<br />

ordinamenti senza tabacco solo per aziende abbastanza<br />

grandi condotte con minimo impiego di<br />

lavoro umano<br />

Ringraziamenti. Un particolare ringraziamento è rivolto<br />

al PA Grasso Gennaro per l'assistenza alla conduzione<br />

del saggio nella propria azienda e al dr Filippo Piro del<br />

CRA-ORT per la collaborazione all'analisi <strong>dei</strong> dati e alla<br />

presentazione <strong>dei</strong> <strong>risultati</strong><br />

Letteratura citata<br />

Fagnano M, Postiglione L, 2002. Sorgo da energia in ambiente<br />

mediterraneo: effetto della concimazione azotata con limitati<br />

apporti idrici. Rivista di Agronomia 36: 227-232.<br />

Peyre B, 1979. <strong>Co</strong>ntribution à l'étude du sorgho papetier.<br />

Memoire de fin d'étude. Ecole Superiéure Agronomique<br />

Pourpan, 114pp.<br />

AAVV, 1999. Manuale di corretta prassi per la produzione integrata<br />

del colza. 3A-Parco Tec. Agroalimentare dell'Umbria.<br />

Bates D, 2007. lme4: Linear mixed-effects models using S4<br />

classes. R package version 0. 99875-7.<br />

Harrell F e molti altri utenti, 2007. Hmisc: Harrell<br />

Miscellaneous. R package version 3. 0-12,<br />

http://biostat.mc.vanderbilt. edu/s/Hmisc.<br />

R Development <strong>Co</strong>re Team, 2007. R: A Language and<br />

Environment for Statistical <strong>Co</strong>mputing. R Foundation for<br />

Statistical <strong>Co</strong>mputing, Vienna, Austria, http://www. R-project.<br />

org.


fronde.qxp 25/02/2008 10.24 Pagina 33<br />

Introduzione<br />

<strong>Co</strong>n la fase <strong>II</strong> del progetto <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. (<strong>Co</strong>lture<br />

<strong>Al</strong>ternative al <strong>Ta</strong>bacco), è continuata la sperimentazione<br />

sulle specie da fronda, impiantando<br />

Aucuba japonica, Myrtus communis, Myrtus tarentina,<br />

Pittosporum tenuifolium "Silver queen" e<br />

Asparagus medeoloides. Queste specie sono già<br />

conosciute sui mercati floricoli e utilizzate come<br />

fronda recisa per la florocomposizione; il mirto è<br />

utilizzato anche per la produzione di liquori.<br />

Materiali e metodi<br />

Il terreno utilizzato per la prova è ubicato nel<br />

comune di S. Felice a Cancello, in provincia di<br />

Caserta, presenta tessitura franca con pH neutro e<br />

buona fertilità. L'impianto è avvenuto sia in tunnel<br />

coperto con rete (al 50% di ombreggiamento) sia in<br />

pieno campo con Aucuba, Mirtus e Pittosporum;<br />

mentre A. medeoloides è stata trapiantata solo sotto<br />

rete al 75% di ombreggiamento; il trapianto è avvenuto<br />

il giorno 24 maggio 2006 utilizzando piante<br />

allevate in vaso. La densità d'impianto e le caratteristiche<br />

delle diverse specie sono riportate in tabella<br />

1. Obiettivi della prova erano di verificare: 1) la<br />

possibilità d'introduzione in provincia di Caserta<br />

delle specie in oggetto per l'utilizzo come fronda<br />

recisa; 2) le differenze di accrescimento fra le<br />

prime tre specie coltivate sotto ombreggiamento e<br />

all'esterno; 3) la risposta delle specie coltivate sotto<br />

rete ombreggiante a diversi livelli di concimazione<br />

azotata. La prova di concimazione azotata, prevedeva<br />

tre livelli (N 1 = 80 kg ha -1 , N 2 = 160 kg ha -1 ,<br />

N 3 = 240 kg ha -1 ), frazionati in tre riprese, mentre<br />

all'esterno è stata effettuata una concimazione azotata<br />

pari a 160 kg ha -1 di N (N2 -est) per tutte le<br />

specie. Durante il periodo di coltivazione sono stati<br />

eseguiti rilievi biometrici e alla fine del biennio<br />

sono stati effettuati rilievi ponderali per determinare<br />

la biomassa verde epigea. I dati sono stati analizzati<br />

utilizzando l'analisi della varianza (ANOVA).<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 33<br />

Valutazione preliminare di alcune specie da fronda recisa in<br />

provincia di Caserta<br />

Raimo F 1 , Napolitano A 1 , Vatore R 1 , Vicidomini S 1<br />

1 CRA - CAT - Unità di ricerca per le colture alternative al<br />

tabacco, via P. Vitiello, 108 - Scafati (SA) -<br />

Tel. 081 8563611; Fax 081 8506206;<br />

e-mail: francesco.raimo@entecra.it<br />

Risultati<br />

Nella Fig. 1 è riportato il peso verde medio, per<br />

pianta, della parte epigea, riscontrato nelle diverse<br />

tesi su aucuba a settembre 2007, dall'analisi <strong>dei</strong><br />

dati è emerso che esiste una differenza significativa<br />

(p=0,05) per quanto riguarda il peso tra le tesi<br />

sotto rete ombreggiante e la tesi N 2 impiantata in<br />

pieno campo, anche per quanto riguarda l'altezza<br />

totale, la differenza fra le tesi ombreggiate e quella<br />

esterna, è altamente significativa (p=0,01).<br />

Per quanto riguarda l'A. medeoloides non vi è<br />

una differenza significativa, in entrambi gli anni,<br />

tra le tre tesi, sia per la lunghezza massima del<br />

festone, sia per il peso fresco espresso come grammi<br />

per metro lineare di festone (grafico 2), mentre<br />

esiste una differenza altamente significativa<br />

(p=0,01) fra i due anni per i due parametri considerati.<br />

Il pittosporo ha evidenziato un minore accrescimento<br />

all'esterno, infatti, i <strong>risultati</strong> <strong>dei</strong> rilievi<br />

effettuati sulla parte epigea delle piante raccolte a<br />

settembre 2007, hanno evidenziato che non esistono<br />

differenze significative tra le tre tesi ombreggiate,<br />

per quanto riguarda il peso verde, l'altezza e<br />

il diametro; mentre esistono differenze altamente<br />

significative (p=0,01) tra la tesi N 2 ombreggiata e<br />

la tesi N 2 esterna per i parametri considerati.<br />

Sul mirto sia sul M. communis sia sul M. tarentina,<br />

i rilievi effettuati a fine agosto 2007 non<br />

hanno mostrato differenze significative fra le tesi<br />

ombreggiate e quelle impiantate all'esterno per<br />

Fig. 1. Peso parte epigea di piante di aucuba rilevato a settembre<br />

2007


fronde.qxp 25/02/2008 10.24 Pagina 34<br />

34 Raimo et al Valutazione preliminare fronde recise..<br />

<strong>Ta</strong>b. 1. Principali dati relativi alle specie impiantate<br />

Fig. 2. Peso festone riscontrato su A. medeoloides nel biennio<br />

quanto riguarda l'altezza, il diametro massimo e il<br />

peso verde della parte epigea della pianta.<br />

Le principali avversità riscontrate sono state:<br />

a) su Asparagus medeoloides un attacco di acari<br />

(Tetranychus urticae, Tetranychidae), che hanno<br />

provocato decolorazioni fogliari; b) su aucuba<br />

infestazioni di cocciniglie che deturpavano in<br />

maniera evidente i germogli, l'attacco si manifestava<br />

soprattutto sulla parte basale della vegetazione;<br />

c) su Myrtus sp. vi è stato un attacco di coccide<br />

Lichtensia viburni (Signoret) (Homoptera:<br />

<strong>Co</strong>ccidae) che ha determinato su alcune piante la<br />

presenza di fumaggine, che imbrattava la vegetazione.<br />

<strong>Co</strong>nclusioni<br />

Nel confronto tra i due ambienti,<br />

pieno campo vs tunnel ombreggiato,<br />

solo il mirto ha evidenziato una<br />

buona adattabilità al pieno campo,<br />

mostrando livelli di accrescimento<br />

paragonabili alle piante coltivate<br />

sotto rete ombreggiante, nel caso<br />

dell’aucuba, è risultata improponibile<br />

la coltivazione in pieno campo,<br />

in quanto, anche se riesce a sopravvivere,<br />

manifesta bruciature fogliari<br />

e ridotto accrescimento. Per<br />

quanto riguarda il controllo delle<br />

avversità, gli acari su A. medeoloides<br />

sono stati controllati mediante<br />

trattamento con un prodotto a base<br />

di abamectina, mentre le cocciniglie<br />

su aucuba e mirto sono state controllate<br />

con prodotti a base di olio minerale.<br />

Ringraziamenti. Si ringrazia per la cortese collaborazione<br />

l'azienda agricola del sig. Ferrara Arcangelo, sita in<br />

S. Felice a Cancello (CE).<br />

Bibliografia<br />

Gimelli F., Giusta R. (1998) - "Note di coltivazione di due specie<br />

di recente introduzione: Eucalyptus cv "Baby Blue"<br />

(fam. Mirtacee) e Pittosporum tenuifolium cv. "Silver<br />

Queen" (fam. Pittosporaceae)" - Flortecnica, 5, 25 - 29<br />

Raimo F., Lombardi D.A., Napolitano A., Torsello R., Brunetti<br />

F., Vatore R., Casaburi S., Vicidomini S. (2007) -<br />

"Valutazione di specie da fronda recisa a basso input energetico<br />

in ambienti meridionali" in "Risultati finali del<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>.", pag. 553-561.


FagdelPiano.qxp 25/02/2008 10.22 Pagina 35<br />

<strong>II</strong>l fagiolo comune (Phaseolus vulgaris L.) è un<br />

prodotto tradizionale italiano e occupa un ruolo<br />

importante nell'economia di molte regioni del<br />

nostro paese. Negli ultimi decenni molti agro-ecotipi<br />

di fagiolo sono stati sostituiti da coltivazioni<br />

selezionate, tuttavia diverse varietà locali continuano<br />

a sopravvivere nelle piccole aziende, in aree<br />

marginali, dove le tecniche agricole utilizzate<br />

restano legate ai metodi di coltivazione tradizionali<br />

del luogo. Le varietà locali, il più delle volte,<br />

prendono il loro nome dal luogo di provenienza<br />

della coltivazione stessa, come accade per il<br />

"fagiolo di <strong>Co</strong>ntrone", un ecotipo campano di<br />

fagiolo, che viene coltivato nella fertile valle del<br />

fiume Calore, nell'area del salernitano.<br />

Il fagiolo di <strong>Co</strong>ntrone è noto per le sue eccellenti<br />

proprietà nutrizionali, il suo delicato sapore e<br />

per l'alta digeribilità dovuta alla presenza di un<br />

tegumento sottile, quasi impalpabile. Proprietà<br />

peculiari di questo fagiolo sono un basso tempo di<br />

cottura e una scarsa tendenza alla frammentazione.<br />

<strong>Ta</strong>li caratteristiche ne fanno un prodotto conosciuto<br />

ed apprezzato.<br />

Per tutelare le sue peculiari qualità, recentemente<br />

per il fagiolo di <strong>Co</strong>ntrone è stato richiesto il<br />

marchio IPG (Indicazione Geografica Protetta).<br />

La presente ricerca è stata finalizzata alla valutazione<br />

della variabilità genetica presente in popolazioni<br />

di "fagiolo di <strong>Co</strong>ntrone", mediante marcatori<br />

molecolari ISSR (Inter Simple Sequence<br />

Repeats) (Zietkiewicz, 1994) e SSR (Simple<br />

Sequence Repeats) (Gupta e Varshney, 2000), allo<br />

scopo di caratterizzare e valorizzare tale coltura<br />

tipica.<br />

Sono state utilizzate cinque popolazioni di<br />

fagiolo di <strong>Co</strong>ntrone, provenienti da aziende site nel<br />

comune di <strong>Co</strong>ntrone o in zone limitrofe e otto<br />

varietà italiane, tra locali e commerciali. Il DNA<br />

estratto da foglia è stato amplificato utilizzando<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 35<br />

Analisi della variabilità genetica del “Fagiolo di <strong>Co</strong>ntrone”<br />

mediante marcatori molecolari<br />

del Piano L, Capone C, Sorrentino C, Abet M, Cuciniello A<br />

CRA-CAT Unità di ricerca per le alternative al tabacco. Via P.<br />

Vitiello 108, 84018 Scafati(SA),<br />

Tel. 0818563611/37, Fax. 0818506206,<br />

e-mail:luisa.delpiano@entecra. it<br />

primer ISSR e SSR scelti tra quelli riportati dalla<br />

recente letteratura scientifica sul fagiolo (Galvan et<br />

al. 2003, Blair et al. 2003).<br />

L'analisi SSR condotta con quattro coppie di<br />

primer, specifiche per le sequenze geniche relative<br />

alle fitoemoagglutinina (PHA) ed alla cellulasi non<br />

ha rilevato alcun polimorfismo tra le popolazioni di<br />

fagiolo di <strong>Co</strong>ntrone.<br />

L'analisi ISSR delle differenti varietà di fagiolo,<br />

è stata condotta con cinque primers precedentemente<br />

selezionati in base alla chiarezza e alla riproducibilità<br />

delle bande prodotte. I profili di amplificazione<br />

delle popolazioni di "fagiolo di <strong>Co</strong>ntrone" esaminate<br />

hanno evidenziato un alto grado di similarità.<br />

Dall'analisi <strong>dei</strong> pattern elettroforetici ottenuti,<br />

sono state individuate 87 bande, 86 delle quali<br />

(99%) polimorfiche, ed è stata costruita una matrice<br />

0/1, in base alla presenza o assenza del prodotto<br />

di amplificazione, per ciascuno <strong>dei</strong> genotipi esaminati.<br />

Questa matrice è stata utilizzata per calcolare i<br />

coefficienti di similarità, sulla base <strong>dei</strong> quali, è stato<br />

costruito un dendrogramma UPGMA. I dati ottenuti<br />

hanno mostrato nel "fagiolo di <strong>Co</strong>ntrone" un<br />

basso polimorfismo sia inter che intra-popolazione.<br />

Dall'analisi condotta sulla base <strong>dei</strong> frammenti polimorfici<br />

ISSR, è stato evidenziato che la varietà<br />

campana del fagiolo di "<strong>Co</strong>ntrone" presenta una<br />

elevata similarità con quella toscana del "<strong>Co</strong>co".<br />

Bibliorgafia<br />

M. W. Blair, F. Pedraza, H. F. Buendia, E. Gaitan-Solis, S. E.<br />

Beebe, P. Geps, J. Thome. Development of a genome-wide<br />

anchored microsatellite map for common bean (Phaseolus<br />

vulgaris L.). Theor Appl Genet 107: 1362-1374, 2003.<br />

M. Z. Galvan, B. Bornet, P. A. Balatti, M. Branchard. Inter simple<br />

sequence repeat (ISSR) markers as tool for the assessment<br />

of both genetic diversity and gene pool origin in<br />

common bean (Phaseolus vulgaris L.). Euphytica 132:297-<br />

301, 2003.<br />

P. K. Gupta and R. K. Varshney, 2000. The development and use<br />

of microsatellite markers for genetic analysis and plant<br />

breeding with emphasis on bread wheat. Euphytica, 113,<br />

163-185.<br />

E. Zietkiewicz, A. Rafalski and D. Labuda, 1994. Genome fingerprinting<br />

by simple sequence repeat (SSR) - anchored<br />

polymerase chain reaction amplification. Genomics, 20,<br />

176-183.


FagdelPiano.qxp 25/02/2008 10.22 Pagina 36<br />

36 <strong>Co</strong>zzolino et al Il colza da olio..


artemisiaAccumulo.qxp 25/02/2008 10.19 Pagina 37<br />

Artemisia annua L. è una pianta erbacea annuale,<br />

originaria dell'Asia, che, sin dall'antichità, è stata<br />

utilizzata in Cina per le sue proprietà terapeutiche<br />

nei confronti di alcune patologie. Tra i principi attivi<br />

presenti nelle foglie di tale pianta, di particolare<br />

interesse è l'artemisinina, un prodotto molto efficace<br />

per combattere la malaria, in quanto è attivo<br />

contro le specie di Plasmodium resistenti ai comuni<br />

farmaci utilizzati. L'artemisinina è un sesquiterpene<br />

lattone che presenta un ponte perossidico il<br />

quale sembra essere responsabile delle proprietà<br />

antimalariche di tale molecola. Poiché l'artemisia<br />

ha un ciclo vegetativo praticamente coincidente<br />

con quello del tabacco e una fase di essiccazione<br />

post raccolta, tale coltura è stata proposta come una<br />

delle possibili alternative al tabacco nelle aree della<br />

Campania soggette a riconversione varietale. Sulla<br />

base <strong>dei</strong> <strong>risultati</strong> agronomici in precedenza ottenuti<br />

(programma <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. 1), relativi all'adattamento<br />

ambientale, in alcune zone del beneventano, di<br />

genotipi di Artemisia annua L. allevati con diverse<br />

tecniche agronomiche, nell'ambito delle attività<br />

relative al programma <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. 2, nel campo sperimentale<br />

di Scafati è stato avviato uno studio sull'accumulo<br />

di artemisinina durante lo sviluppo<br />

della pianta, al fine di individuare la fase in cui si<br />

ha il maggior accumulo di questo principio attivo e<br />

il momento di maggiore convenienza per effettuare<br />

la raccolta.<br />

Tre genotipi di artemisia (Pericles, Eureka e<br />

Crono), ad alto contenuto di artemisinina, sono<br />

stati allevati a due densità di investimento (11 e 5,6<br />

piante per mq.) adottando un disegno sperimentale<br />

split-plot con due ripetizioni.<br />

Ogni 15 giorni, a partire dal trapianto e fino alla<br />

fioritura, le parti aeree della pianta (foglie e fusto)<br />

sono state raccolte separatamente, pesate, essiccate<br />

in stufa a ventilazione forzata, polverizzate ed analizzate<br />

per il contenuto di artemisinina.<br />

L' analisi <strong>dei</strong> dati relativi alla crescita della<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 37<br />

Individuazione del periodo di massimo accumulo di artemisinina<br />

in genotipi di Artemisia annua L.<br />

Abet M, Interlandi G, Lombardi P, Sodano E, Nunziata R, Del Gaudio C,<br />

Di Giorgio B<br />

CRA-CAT Unità di ricerca per le alternative al tabacco. Via P.<br />

Vitiello 108, 84018 Scafati(SA),<br />

Tel. 0818563611/37, Fax. 0818506206,<br />

e-mail:massimo.abet@entecra.it<br />

pianta ha evidenziato un leggero effetto positivo<br />

della densità d'investimento sullo sviluppo in altezza.<br />

Il maggior incremento del peso secco della<br />

pianta si è avuto nell'intervallo compreso tra 90 e<br />

105 giorni dal trapianto. Inoltre, è stato osservato<br />

che la percentuale di peso secco delle foglie sulla<br />

pianta intera, per tutte le varietà, diminuiva con lo<br />

sviluppo della pianta. Il contenuto di artemisinina<br />

nelle foglie aumentava con l'età della pianta ma<br />

con andamento diverso in dipendenza della varietà.<br />

L'incremento di artemisinina per la varietà Eureka<br />

è stato lineare fino a circa 90 giorni dal trapianto<br />

per poi stabilizzarsi ad un valore di circa 7 g/kg di<br />

peso secco, mentre per le varietà Crono e la<br />

Pericles l'incremento era praticamente nullo fino a<br />

circa 80 giorni dal trapianto per poi aumentare<br />

rapidamente, fino alla fioritura, con valori di principio<br />

attivo, pari a circa 8 g/kg di peso secco, intorno<br />

a 105 giorni dal trapianto. Per quanto riguarda<br />

l'effetto della densità di investimento sul contenuto<br />

di artemisinina nelle foglie, i valori più elevati sono<br />

stati riscontrati sempre alla densità inferiore.<br />

Durante tutte le fasi della crescita, il contenuto di<br />

artemisinina nei fusti è stato praticamente nullo.<br />

Per quanto riguarda le rese teoriche di artemisinina,<br />

è stato osservato che per la varietà Eureka è<br />

più conveniente eseguire la raccolta a circa 90 giorni<br />

dal trapianto ottenendosi una resa pari a circa 80<br />

kg/ha, anche se non è stata ancora raggiunta la<br />

massima concentrazione di artemisinina nelle<br />

foglie. Ciò è da mettere in relazione ad una eccessiva<br />

perdita di materiale fogliare oltre tale periodo.<br />

Per la varietà Crono, invece la raccolta dovrebbe<br />

essere eseguita non prima di 120 giorni dal trapianto<br />

con una resa di circa 80 kg/ha. Il periodo migliore<br />

per la raccolta della varietà Pericles è invece<br />

compreso tra i 90 e 120 giorni dal trapianto con una<br />

resa di circa 65 kg/ha.<br />

Questi <strong>risultati</strong> indicano che, sebbene la massima<br />

concentrazione di artemisinina si raggiunga alla<br />

fioritura, l'epoca ottimale per la raccolta della pianta,<br />

per l'ottenimento della massima resa di principio<br />

attivo, non coincide necessariamente con questa<br />

fase, ma deve essere attentamente valutata in<br />

dipendenza della varietà utilizzata.


artemisia.qxp 25/02/2008 10.20 Pagina 39<br />

Proprietà antitumorali dell’artemisinina<br />

Introduzione<br />

L'artemisia (Artemisia annua L.) è una pianta erbacea<br />

annuale aromatica ascritta alla tribù<br />

Anthemideae della famiglia Asteracee (Heywood e<br />

Humphries, 1977). Originaria delle steppe degli<br />

altopiani della Cina nord-orientale, come molte<br />

altre delle circa 400 specie congeneri si è acclimatata<br />

e diffusa in numerosi altri Paesi del mondo tra<br />

cui l'Italia (Van Geldre et al., 1997). La scoperta<br />

dell'artemisinina e della sua attività biologica quale<br />

prodotto antimalarico, avvenuta circa 30 anni fa<br />

(Anon., 1979), ne ha determinato la diffusione<br />

quale pianta coltivata; purtroppo però, essendo<br />

pianta a fotoperiodo breve, la coltura non appare<br />

adatta alle aree tropicali dove si registra il maggior<br />

uso farmacologico in concomitanza con la diffusione<br />

endemica della malaria, e ciò ha stimolato la<br />

ricerca di nuove aree di coltivazione tra cui quelle<br />

oggetto di sperimentazione nell'ambito del progetto<br />

<strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. 2.<br />

Fattori influenzanti la produzione di artemisinina<br />

La resa in artemisinina è piuttosto bassa, a causa<br />

della sua bassa concentrazione nei tessuti fogliari e<br />

al difficile processo di estrazione. Si stima che da<br />

una tonnellata di foglie secche (circa 40 ha di<br />

superficie investita) si ottengano 6 kg di artemisinina<br />

(Hien e White, 1993). I fattori influenzanti la<br />

resa della coltura in termini di quantità di principio<br />

attivo sono molteplici. A parte i fattori climatici e<br />

agronomici (cfr. Laughlin, 1993), particolare considerazione<br />

meritano gli aspetti di carattere biologico.<br />

Localizzandosi nei tricomi ghiandolari (Duke<br />

et al., 1994), l'artemisinina si accumula nelle foglie<br />

(ca. 89% del contenuto totale della pianta), nei germogli<br />

e nei fiori, nonchè nei semi, mentre è assente<br />

nelle radici (Van Geldre et al., 1997). È stata<br />

accertata una correlazione positiva tra crescita<br />

della pianta e contenuto in artemisinina (Singh et<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 39<br />

Nicoletti R 1 , Carella A 1 , Canozo N 2 , Buommino E 2 , <strong>Co</strong>zzolino E 1 , Tufano MA 2<br />

1 CRA - Unità di Ricerca per le <strong>Co</strong>lture <strong>Al</strong>ternative al <strong>Ta</strong>bacco,<br />

Via Vitiello 108, 84018 Scafati (SA).<br />

Tel 0818563631 - Fax 0818506206 -<br />

Email: rosario.nicoletti@entecra.it<br />

2 Dipartimento di Medicina Sperimentale, Seconda Università<br />

di Napoli, Via De Crecchio 7, 80100 Napoli<br />

al., 1988), e si stima che alla completa fioritura la<br />

sostanza raggiunga nei fiori una concentrazione da<br />

4 a 11 volte maggiore che nelle foglie (Ferreira et<br />

al., 1995), grazie anche alla trasformazione di altri<br />

composti strutturalmente correlati (acido artemisinico,<br />

artemisitene, arteannuina B), prodotti dalla<br />

pianta in quantità sensibilmente maggiori (Roth e<br />

Acton, 1989; Nair e Basile, 1993; Sangwan et al.,<br />

1993). Oltre che naturalmente per effetto della fioritura,<br />

la formazione di artemisinina dai precursori<br />

può essere incrementata artificialmente mediante<br />

trattamenti con acido gibberellico (Zhang et al.,<br />

2005). <strong>Co</strong>me altri metaboliti secondari di origine<br />

vegetale, l'artemisinina è implicata nella difesa<br />

della pianta dalle avversità biotiche; pertanto lo<br />

stato fitosanitario e, più in particolare, la presenza<br />

e l'insediamento di microrganismi fungini nei tessuti<br />

della pianta influenzano la sintesi e l'accumulo<br />

della sostanza (Nicoletti et al., 2006). Tra questi<br />

particolare considerazione meriterebbero i miceti<br />

endofiti, la cui importanza nella stimolazione di<br />

reazioni di difesa delle piante attraverso la produzione<br />

di elicitori è sempre più considerata (Strobel<br />

e Daisy, 2003; <strong>Ta</strong>n e Zou, 2001), ed è già stata<br />

messa in evidenza anche in A. annua (Wang et al.,<br />

2001).<br />

Proprietà antitumorali dell'artemisinina<br />

L'artemisinina, sesquiterpenoide classificabile<br />

come 1,2,4-trioxano, un tipo di struttura rara tra le<br />

sostanze naturali, è un potente farmaco antimalarico<br />

particolarmente adatto per combattere la malattia<br />

nelle aree dove si registra resistenza agli agenti<br />

chemioterapici tradizionali da parte dell'agente<br />

infettivo. Le proprietà dell'artemisinina e <strong>dei</strong> suoi<br />

derivati diidroartemisinina e artesunato come farmaci<br />

antimalarici sono state diffusamente trattate<br />

in letteratura (Jung et al., 2004; Sriram et al.,<br />

2004).<br />

Recentemente diversi studi indipendenti hanno<br />

evidenziato nell'artemisinina e nei suoi derivati<br />

proprietà antitumorali che preludono ad un impiego<br />

farmacologico anche in questo campo. Infatti<br />

sono già stati riportati effetti positivi nel trattamento<br />

clinico del carcinoma della laringe (Singh e<br />

Verma, 2002). Oltre a documentate proprietà antiangiogenetiche<br />

(Chen et al., 2003), il meccanismo


artemisia.qxp 25/02/2008 10.20 Pagina 40<br />

40 Nicoletti et al Proprietà antitumorali dell’artemisinina<br />

di azione biomolecolare è basato su effetti antiproliferativi,<br />

sull'induzione di apoptosi e di stress ossidativi,<br />

e su effetti diretti sugli oncogeni e su geni<br />

soppressori (Efferth, 2006). La natura multifattoriale<br />

della risposta cellulare all'artemisinina e ai<br />

suoi derivati fornisce una spiegazione, e allo stesso<br />

tempo una garanzia, circa l'assenza di un rischio<br />

derivante dall'insorgenza di resistenza, oltremodo<br />

utile per le proprietà terapeutiche del farmaco nel<br />

caso sia della malaria che del cancro (Efferth,<br />

2005). Approfondimenti condotti nell'ambito del<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. 2 hanno messo in evidenza che<br />

l'artemisinina è altresì in possesso di proprietà antimetastatiche,<br />

essendo risultata efficace nell'inibire<br />

l'invasività di cellule di melanoma metastatico<br />

(A375M), attraverso la riduzione dell'espressione<br />

dell'integrina αvβ3 e della produzione di metalloproteasi<br />

(MMP-2).<br />

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ucola.qxp 25/02/2008 10.29 Pagina 39<br />

Introduzione<br />

Lo sviluppo della domanda <strong>dei</strong> prodotti di 'IV<br />

gamma' ha determinato una crescita rapida del settore,<br />

con l'affermazione di nuove specie e tecniche<br />

di produzione. Tra le colture di questo comparto, la<br />

rucola selvatica (Diplotaxis tenuifolia L.) è una di<br />

quelle in fase di maggiore sviluppo in diverse aree<br />

del Paese, cosa che comporta crescenti problemi<br />

fitosanitari. Attualmente non esistono cultivar selezionate<br />

per la resistenza o la tolleranza verso alcuna<br />

avversità biotica; pertanto l'impatto di patogeni<br />

e parassiti sui <strong>risultati</strong> produttivi può essere alquanto<br />

rilevante, ed una conoscenza adeguata <strong>dei</strong> fattori<br />

che influenzano la loro insorgenza e le possibilità<br />

di controllo è indispensabile per una corretta<br />

conduzione della coltivazione.<br />

Malattie crittogamiche e virosi<br />

Numerosi sono i patogeni fungini della rucola.<br />

Particolarmente quelli terricoli rappresentano un<br />

problema in rapporto sia alla loro attitudine polifaga,<br />

sia al fatto che la loro incidenza aumenta progressivamente<br />

con il succedersi <strong>dei</strong> cicli colturali,<br />

determinando danni ingenti in assenza di idonei<br />

schemi di rotazione.<br />

La coltivazione ripetuta sugli stessi appezzamenti<br />

ha rappresentato il fattore principale delle<br />

epidemie di marciume del colletto e delle radici<br />

osservate recentemente nella Piana del Sele, causate<br />

da Rhizoctonia solani AG-4 (Nicoletti et al.,<br />

2004). Le piante infette vanno incontro ad un<br />

decorso acuto (damping-off) o cronico; in quest'ultimo<br />

caso lesioni necrotiche si sviluppano su un<br />

lato del colletto e/o della parte superiore del fittone,<br />

e le piante presentano sviluppo stentato e<br />

ingiallimenti fogliari. <strong>Al</strong>tro agente di necrosi del<br />

colletto e dello stelo segnalato in varie zone del<br />

nostro Paese è Sclerotinia sclerotiorum (Garibaldi<br />

et al., 2005; Minuto et al., 2005). È facile risalire<br />

all'agente eziologico in quanto nel secondo caso i<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 39<br />

Avversità biotiche della rucola selvatica (Diplotaxis tenuifolia)<br />

Nicoletti R , Raimo F, Miccio G, Carella A<br />

1 CRA - Unità di Ricerca per le <strong>Co</strong>lture <strong>Al</strong>ternative al <strong>Ta</strong>bacco,<br />

Via Vitiello 108, 84018 Scafati (SA).<br />

Tel 0818563631 - Fax 0818506206 -<br />

Email: rosario.nicoletti@entecra.it<br />

tessuti infetti divengono molli e acquosi, e vengono<br />

ricoperti da micelio bianco e dai tipici sclerozi<br />

neri. L'incidenza di S. sclerotiorum è maggiore in<br />

condizioni di umidità elevata e temperature relativamente<br />

più basse (15°C), che si realizzano in<br />

Campania in inverno o all'inizio della primavera.<br />

Dopo le epidemie recentemente segnalate in<br />

Lombardia (Garibaldi et al., 2003), la tracheofusariosi<br />

è stata riscontrata anche in coltivazioni del<br />

casertano nel 2006 (Spigno, comunicazione personale).<br />

In questo caso i sintomi della malattia consistono<br />

in una riduzione dello sviluppo delle piante<br />

colpite, con clorosi fogliare, epinastia e avvizzimento.<br />

In uno stadio avanzato si evidenzia altresì<br />

necrosi a carico <strong>dei</strong> tessuti vascolari del fittone. Si<br />

ritiene che il patogeno possa propagarsi per seme<br />

dato che uno sviluppo simile della malattia è stato<br />

registrato in aziende ubicate in località distanti<br />

dello stesso areale (Garibaldi et al., 2002). L'agente<br />

eziologico, Fusarium oxysporum, è tuttavia<br />

alquanto eterogeneo; infatti gli isolati ottenuti da<br />

piante infette sono <strong>risultati</strong> appartenenti a due<br />

diverse forme speciali, conglutinans e raphani<br />

(Catti et al., 2007).<br />

Un'altra malattia fungina trasmissibile mediante<br />

il seme, che può risultare un fattore limitante<br />

nelle coltivazione della rucola, è la peronospora.<br />

L'agente causale (Hyaloperonospora parasitica) è<br />

comune sulle Crucifere invernali in Italia senza<br />

peraltro causare danni rilevanti, ma l'ambiente protetto<br />

<strong>dei</strong> tunnel in plastica che caratterizza di solito<br />

le coltivazioni di rucola costituisce un microambiente<br />

favorevole che spesso ne determina una<br />

veloce diffusione (Minuto et al., 2004). I sintomi<br />

consistono in una picchiettatura scura ed irregolare<br />

sulla superficie superiore delle foglie; le aree<br />

necrotiche confluiscono originando aree disseccate<br />

più estese sulle quali si differenziano i segni del<br />

patogeno sotto forma di una muffa bianco-grigiastra.<br />

Le foglie colpite vanno incontro ad ingiallimento<br />

e, in casi estremi, marciscono. La malattia<br />

può avere un decorso subdolo manifestandosi dopo<br />

la raccolta sul prodotto già immesso in commercio;<br />

infatti il patogeno continua a svilupparsi alle temperature<br />

di conservazione, che semplicemente<br />

determinano un prolungamento del periodo di<br />

incubazione (Garibaldi et al., 2004). Potendo in tal


ucola.qxp 25/02/2008 10.29 Pagina 40<br />

40 Nicoletti et al Avversità biotiche della rucola<br />

modo essere raggiunta una soglia di danno economico,<br />

è consigliabile attuare misure di controllo.<br />

Piuttosto comune sulle Crucifere invernali in Italia<br />

(Pollini, 1991) è anche la ruggine bianca causata da<br />

<strong>Al</strong>bugo candida. Si tratta di un patogeno piuttosto<br />

eterogeneo (Choi et al., 2006) responsabile di infezioni<br />

locali sulle foglie che si manifestano sotto<br />

forma di pustole bianche distribuite per lo più sulla<br />

pagina inferiore. I tessuti circostanti possono<br />

necrotizzare portando le foglie a senescenza.<br />

<strong>Al</strong>tre malattie fungine occasionalmente osservate<br />

in Campania sono l'oidio o mal bianco causato<br />

da Erisyphe cichoracaearum e le macchie<br />

fogliari da <strong>Al</strong>ternaria (Anonimo, 2005).<br />

Quest'ultima fitopatia è causata principalmente da<br />

<strong>Al</strong>ternaria brassicicola, essendo riportato in D.<br />

tenuifolia un certo grado di resistenza nei confronti<br />

delle altre specie segnalate su Crucifere, A. brassicae<br />

e A. raphani (Klewer et al., 2002; Sharma et<br />

al., 2002). La rucola selvatica è resistente anche<br />

all'agente della gamba nera, Leptosphaeria maculans<br />

(anamorfo Phoma lingam) (Delourme et al.,<br />

2006). Invece qualche preoccupazione desta il<br />

mixomicete Plasmodiophora brassicae, agente<br />

dalla ben nota ernia delle Crucifere, malattia diffusa<br />

particolarmente nei Paesi dell'Europa centrale<br />

(Voorips, 1995), meno frequente nei nostri ambienti.<br />

Segnalata per la prima volta su D. tenuifolia in<br />

Nuova Zelanda (Pennycock, 1989), tale fitopatia è<br />

stata osservata recentemente sulla coltura in<br />

Svizzera (Buser e Heller, 2006).<br />

Tra le batteriosi, particolare considerazione<br />

merita il marciume nero causato da Xanthomonas<br />

campestris pv campestris, malattia che colpisce la<br />

maggior parte delle Brassicacee spontanee<br />

(Westman et al., 1999), segnalata recentemente su<br />

rucola selvatica in Campania (Raio e Giorgini,<br />

2005). Le foglie infette tipicamente spiccano per il<br />

colore giallo della pagina superiore, mentre la pagina<br />

inferiore diventa scura, quasi nera, da cui la<br />

denominazione della malattia. I sintomi necrotici si<br />

propagano lungo la nervatura principale, fino a raggiungere<br />

lo stelo; in tale circostanza la sopravvivenza<br />

della pianta è compromessa. <strong>Co</strong>me altre batteriosi<br />

parenchimatiche e sistemiche, il patogeno si<br />

diffonde attraverso il seme e l'irrigazione.<br />

<strong>Co</strong>me in altre colture ortive a breve ciclo praticate<br />

essenzialmente in apprestamenti protetti, le<br />

malattie virali non rappresentano un problema di<br />

primaria importanza per la rucola selvatica. In let-<br />

teratura segnalazioni su D. tenuifolia derivano<br />

essenzialmente da osservazioni quale ospite e serbatoio<br />

naturale di virus che rappresentano invece<br />

un problema rilevante su altre colture. È il caso ad<br />

esempio del virus del mosaico del cetriolo (CMV)<br />

(Cariddi et al., 2001). <strong>Al</strong>tri virus segnalati sono<br />

comuni sulle Brassicacee in genere, come il virus<br />

del mosaico giallo della rapa (TYMV) (Brunt et<br />

al., 1997), il virus del mosaico della rapa (TuMV)<br />

(Stavolone et al., 1998) e il virus del mosaico del<br />

cavolfiore (CaMV) (Moreno et al., 2004). <strong>Al</strong>tre<br />

specie del genere Diplotaxis (es. D. erucoides, D.<br />

muralis), considerate più che altro come infestanti,<br />

sono state altresì segnalate quali ospiti latenti <strong>dei</strong><br />

virus "rattle" del tabacco (TRV), dell'avvizzimento<br />

maculato del pomodoro (TSWV), della maculatura<br />

zonata del geranio (PZSV) (Lupo et al., 1991;<br />

Parrella et al., 2003; Gallitelli et al., 2004).<br />

Dopo la recente messa al bando del bromuro di<br />

metile, il cui uso nel caso della rucola era peraltro<br />

già sconsigliato nei disciplinari predisposti dalle<br />

ditte trasformatrici, il controllo delle malattie crittogamiche<br />

è divenuto piuttosto problematico su<br />

diverse colture orticole. I prodotti attualmente<br />

disponibili per la disinfestazione del suolo, come il<br />

metham sodio o il dazomet, non risultano altrettanto<br />

efficaci. Il dicloran è attivo contro la S. sclerotiorum<br />

ma, dato il lungo periodo di carenza del prodotto<br />

(20 giorni), i trattamenti devono essere operati<br />

nelle prime fasi del ciclo colturale. Oltre a considerare<br />

gli effetti di alcune pratiche colturali, quali<br />

le rotazioni e l'irrigazione, i coltivatori dovrebbero<br />

adottare ogni possibile accorgimento per evitare<br />

l'incremento del potenziale di inoculo <strong>dei</strong> diversi<br />

agenti patogeni nel terreno. Uno di questi è sicuramente<br />

la solarizzazione, che però può essere praticata<br />

solo in caso l'ordinamento aziendale lo consenta.<br />

Il potere biofumigante riportato nelle<br />

Brassicacee in relazione al loro contenuto in glucosinolati<br />

(Kirkegaard e Sarwar, 1998), il cui uso è<br />

stato proposto come alternativo alla geo-sterilizzazione<br />

contro i patogeni terricoli, non appare significativo<br />

nel caso della rucola; dati sperimentali<br />

hanno infatti dimostrato che il potenziale antifungino<br />

di questa coltura si esprime solo in caso si proceda<br />

all'interramento di quantità estremamente elevate<br />

di residui colturali (Yulianti et al., 2006).<br />

L'impiego di agenti di controllo biologico, come<br />

Trichoderma spp. e <strong>Co</strong>niothyrium minitans, comincia<br />

ad essere proposto anche su questa coltura


ucola.qxp 25/02/2008 10.29 Pagina 41<br />

(Anonimo, 2005), e può risultare particolarmente<br />

conveniente quando la coltura viene trapiantata.<br />

Infatti l'incorporazione <strong>dei</strong> micoparassiti nel substrato<br />

di coltivazione in pre-trapianto dà loro il<br />

tempo di colonizzare la rizosfera e di esercitare<br />

un'azione preventiva. Pertanto è utile usare questi<br />

prodotti anche in caso di bassa incidenza <strong>dei</strong> patogeni<br />

terricoli in quanto in pieno campo essi sono in<br />

grado di proliferare a spese delle loro strutture di<br />

conservazione (ad esempio gli sclerozi di S. sclerotiorum)<br />

o del micelio eventualmente in fase di sviluppo<br />

saprofitico a carico <strong>dei</strong> residui colturali. Un<br />

altro criterio "ecologico" da considerare per le sue<br />

possibili ripercussioni sul controllo delle fitopatie è<br />

l'uso <strong>dei</strong> fosfiti per la concimazione fogliare che<br />

notoriamente produce un effetto di stimolo della<br />

produzione di fitoalessine (Guest e Grant, 1991).<br />

Nonostante il recente sviluppo della coltura,<br />

numerosi sono i prodotti registrati in Italia utilizzabili<br />

nel controllo chimico delle fitopatie. In particolare<br />

il ricorso all'uso di fungicidi può essere necessario<br />

contro la peronospora, nei cui confronti è efficace<br />

la miscela metalaxil M + ossicloruro di rame.<br />

Tuttavia l'uso di tale prodotto non è consentito in<br />

coltura protetta; inoltre il breve ciclo della coltura<br />

rende spesso necessario l'uso di prodotti a bassa<br />

persistenza come l'iprovalicarb (anch'esso in<br />

miscela con ossicloruro di rame), la tolylfluanid e<br />

l'azoxystrobin, presentanti un periodo di carenza di<br />

7 giorni, o leggermente superiore a basse temperature.<br />

I prodotti a base di rame, in particolare il solfato<br />

tetraramico presentano il periodo di carenza<br />

più breve e risultano efficaci contro il marciume<br />

batterico, ma il loro uso in genere è sconsigliato in<br />

quanto procurano imbrattamento del prodotto. Un<br />

altro prodotto impiegato occasionalmente è il<br />

tiram, che è pure efficace contro l'alternariosi e può<br />

essere eventualmente impiegato per il trattamento<br />

<strong>dei</strong> semi. La concia <strong>dei</strong> semi non è attualmente una<br />

pratica corrente, ma la definizione di un protocollo<br />

di sterilizzazione sarebbe particolarmente indicata<br />

per questa coltura, considerato il numero di patogeni<br />

in grado di diffondersi con questo veicolo. Una<br />

procedura di disinfezione basata sull'immersione in<br />

aceto per 15 minuti seguita da asciugatura a 25-<br />

30°C è raccomandata in Svizzera contro la peronospora<br />

(Buser e Heller, 2006).<br />

Fitofagi<br />

Le segnalazioni di insetti su D. tenuifolia riguarda-<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 41<br />

no in genere specie comuni su altre Brassicacee.<br />

Citati al riguardo sono gli afidi (Brevicoryne brassicae,<br />

Myzus persicae, Lipaphis erysimi), le altiche<br />

(Phyllotreta spp.), i ferretti (Agriotes spp.), le cavolaie<br />

(Pieris spp.) e i nottuidi (Autographa gamma,<br />

Mamestra brassicae, ma particolarmente<br />

Spodoptera littoralis) (Bianco, 1995; Anonimo,<br />

2005). <strong>Al</strong>tri Lepidotteri che hanno recentemente<br />

causato danno economico sulla coltura sono la<br />

tignola (Plutella xylostella) (Ciampolini et al.,<br />

1998) e il piralide Hellula undalis (Ciampolini et<br />

al., 2001a). Nei nostri ambienti possono essere particolarmente<br />

dannose le altiche, anche in via indiretta<br />

in quanto vettori del TYMV. Le infestazioni<br />

cominciano ad osservarsi all'inizio della primavera<br />

quando gli adulti, reduci dallo svernamento, riprendono<br />

ad alimentarsi sulle foglie producendo vistose<br />

erosioni e sforacchiature; viceversa le larve, che<br />

compaiono a stagione avanzata, non sono dannose<br />

in quanto si alimentano a spese delle radici (Pollini,<br />

1991; Ciampolini et al., 2001b). Le condizioni climatiche<br />

particolarmente miti verificatesi in inverno<br />

negli ultimi anni hanno rappresentato un fattore stimolante<br />

insolite pullulazioni del collembolo<br />

Sminthurus viridis riscontrate in numerose aziende<br />

della Piana del Sele (Raimo et al., 2005). I danni<br />

sono simili a quelli prodotti dalle altiche, anche se<br />

generalmente le erosioni fogliari risparmiano l'epidermide<br />

di un lato della pagina fogliare. Le foglie<br />

danneggiate non sono commerciabili e, a parte una<br />

perdita diretta di prodotto, gli attacchi di questi<br />

fitofagi rendono necessaria un'operazione di cernita<br />

che incide sui <strong>risultati</strong> economici. Le pratiche di<br />

lotta devono prevedere un accurato controllo delle<br />

piante infestanti, specialmente nei canali di scolo<br />

circostanti i tunnel che costituiscono il microambiente<br />

ideale per l'inizio delle pullulazioni. <strong>Co</strong>me<br />

già anticipato per le malattie crittogamiche, l'uso<br />

<strong>dei</strong> pesticidi sulla rucola selvatica è reso problematico<br />

a causa del breve ciclo colturale e del tempo<br />

ridotto intercorrente tra le successive raccolte; pertanto<br />

non possono essere utilizzati insetticidi a tossicità<br />

elevata o altamente persistenti. Tra i prodotti<br />

registrati in Italia i più diffusi sono probabilmente i<br />

piretroidi, efficaci in varia misura contro tutti i fitofagi<br />

citati. Bisogna però considerare che il loro uso<br />

indiscriminato può avere ripercussioni deleterie in<br />

quanto in grado di stimolare la proliferazione di<br />

acari (Bryobia spp.), già segnalati per la loro dannosità<br />

in diverse aree italiane (Giorgini, 2001;


ucola.qxp 25/02/2008 10.29 Pagina 42<br />

42 Nicoletti et al Avversità biotiche della rucola<br />

Laffi, 2001). Un'alternativa è rappresentata dallo<br />

spinosad o dall'etofenprox, presentanti un intervallo<br />

di carenza rispettivamente di 3 e 7 giorni.<br />

L'azadiractina è un prodotto in possesso di un forte<br />

potere fagodeterrente nei confronti delle altiche<br />

(Ciampolini et al., 2001b), poco tossico e rispettoso<br />

dell'ambiente, ed efficace anche nei confronti di<br />

afidi e nottuidi. Bassa tossicità presentano anche i<br />

prodotti a base di Bacillus thuringiensis che consentono<br />

peraltro di salvaguardare il contributo fornito<br />

da alcuni parassitoidi (es. Angitia tibialis,<br />

Apanteles spp.), spesso spontaneamente in grado di<br />

contenere i nottuidi ed altri Lepidotteri al di sotto<br />

della soglia di danno (Ciampolini et al., 1998).<br />

Infine varie specie di limacce (es. Deroceras reticulatum,<br />

Arion spp.) possono arrecare danni occasionali<br />

che possono tuttavia essere controllati con<br />

l'uso di esche trattate con metal<strong>dei</strong>de o metiocarb<br />

(Anonimo, 2005).<br />

Malerbe<br />

La rucola selvatica è una pianta dotata di buone<br />

capacità competitive, grazie anche alla produzione<br />

di sostanze allelopatiche (Giordano et al., 2005),<br />

tanto che è essa stessa descritta e studiata come<br />

malerba, specialmente in Australia (Parsons e<br />

Cuthbertson, 1992; Hurka et al., 2003). Ciò nonostante,<br />

il problema delle piante infestanti è concreto<br />

anche su questa coltura, specialmente se si considera<br />

che la loro presenza rappresenta un elemento<br />

pregiudizievole per gli aspetti produttivi in termini<br />

non solo quantitativi. L'assenza di erbe contaminanti<br />

è infatti un requisito fondamentale per tutti<br />

i prodotti di IV gamma, e un oneroso intervento di<br />

cernita si rende necessario dopo la raccolta in caso<br />

il controllo in campo risulti inadeguato. La lotta<br />

alle malerbe dovrebbe essere preferibilmente condotta<br />

privilegiando mezzi diversi dagli erbicidi,<br />

essendo il numero di principi attivi registrati per<br />

l'uso su questa coltura piuttosto ridotto. Spesso<br />

inoltre il loro spettro d'azione e la loro selettività<br />

non sono adeguati. Ad esempio, i trattamenti in<br />

pre-semina generalmente effettuati nelle coltivazioni<br />

della Piana del Sele con benfluralin non riescono<br />

a controllare alcune Brassicacee spontanee,<br />

tra cui Capsella bursa-pastoris, che sta divenendo<br />

così un problema frequente, risolvibile solo con un<br />

intervento di scerbatura manuale prima della raccolta.<br />

<strong>Al</strong>tre malerbe particolarmente frequenti nelle<br />

coltivazioni di rucola sono le specie di Poa, Urtica,<br />

Amaranthus retroflexus, Portulaca oleracea,<br />

Solanum nigrum e Chenopodium album (Pimpini e<br />

Enzo, 1996). A parte il ricorso a sistemi di coltura<br />

fuori-suolo, tra i quali il più diffuso nel caso della<br />

rucola è il 'floating system', il sistema di lotta alle<br />

malerbe più efficace è rappresentato dal ricorso alla<br />

pacciamatura con film plastici di colore nero. In<br />

mancanza di questo strumento, un ruolo preventivo<br />

fondamentale deve essere svolto dalle lavorazioni<br />

o da accorgimenti quali la falsa-semina, consistente<br />

nello stimolo alla germinazione delle infestanti<br />

presenti nel terreno con un intervento irriguo eseguito<br />

prima dell'impianto.<br />

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111


Caiazzo.qxp 25/02/2008 10.27 Pagina 45<br />

Introduzione<br />

Nell'ambito del progetto di ricerca <strong>Co</strong>lture<br />

<strong>Al</strong>ternative al <strong>Ta</strong>bacco sono stati monitorati i<br />

campi per valutare la presenza di fitopatie. Il quadro<br />

generale delle colture ha evidenziato la presenza<br />

di numerose malattie ad eziologia fungina.<br />

Nessuna malattia ha raggiunto livelli epidemici ad<br />

eccezione di Sclerotinia sclerotiorum su grano<br />

saraceno (Lahoz et al. 2007) ed una malattia osservata<br />

sulle coltivazioni presenti in un campo del<br />

beneventano (Venticano), nel quale tutte le colture<br />

sono state colpite al colletto ed alle radici da un<br />

fungo che ha prodotto, ingiallimento diffuso,<br />

appassimento anche precoce ed anche la morte<br />

delle piante, come segno è stata osservata una<br />

efflorescenza biancastra sulle radici e sul colletto.<br />

Su questi tessuti sono stati prodotti dal fungo sclerozi<br />

simili a semi di senape Le colture colpite sono<br />

state: Pomodoro, Kenaf, Fagiolo, Peperone e<br />

Melanzana (Figg. 1-7).<br />

Materiali e metodi<br />

Campioni di tessuto, prelevati da piante presentanti<br />

i sintomi descritti sono stati trattati per 15s con<br />

ipoclorito di sodio all'1%, lavati in acqua sterile e<br />

posti su piastre Petri contenenti diversi substrati di<br />

crescita: PDA (Potato Dextrose Agar), PDA acidi-<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 45<br />

Gravi danni da Sclerotium rolfsii su diverse colture in provincia<br />

di Benevento<br />

Caiazzo R, Carella A, <strong>Co</strong>zzolino E, Porrone F, Leone V & Lahoz E<br />

Foto 1- 2 - Sintomi su radice e colletto e campo di pomodoro con numerose fallanze dovute a<br />

S. rolfsii<br />

CRA-CAT Unità di ricerca per le alternative al tabacco. Via P.<br />

Vitiello 108, 84018 Scafati(SA),<br />

Tel. 0818563611/37, Fax. 0818506206,<br />

E-mail: rosa.caiazzo@entecra.it<br />

ficato a pH 4.5, V8 juice agar e inoculati a 25°C per<br />

una settimana in cella climatica. Le colonie fungine<br />

cresciute in purezza sono state sottoposte all'osservazione<br />

microscopica per il riconoscimento<br />

morfologico al quale è stato affiancato quello biomolecolare.<br />

Per avere un'identificazione inequivocabile<br />

della specie fungina, è stata eseguita un'amplificazione<br />

mediante PCR degli spaziatori interni<br />

(ITS1-5.8-ITS2) e del gene 5.8 rDNA, usando primers<br />

fungini universali (ITS1 e ITS2) (Glass and<br />

Donaldson 1995). Le colonie emergenti sono state<br />

prontamente trasferite, prelevando porzioni apicali<br />

delle ife in accrescimento, in piastre contenenti<br />

PDA. Le prove di patogenicità sono state effettuate<br />

su 5 piantine di ognuna delle colture, precedentemente<br />

poste in contenitori di polistirolo con terreno<br />

naturale sabbioso, sterilizzato in autoclave<br />

con due cicli di 1h a 120 °C. Dopo 20 gg le piantine<br />

sono state trapiantate in vasi di plastica con diametro<br />

di 20 cm ed inoculate con 20 sclerozi di<br />

Sclerotium rolfsii per 100 cm 3<br />

di terreno, fatta eccezione per<br />

la tesi di controllo dove non è<br />

stato inoculato alcun fungo.<br />

Dopo due settimane sono stati<br />

valutati i sintomi della malattia.<br />

Foto 3 - Piante di kenaf colpite da S. rolfsii<br />

Risultati<br />

Gli isolamenti condotti sui dif-<br />

ferenti substrati hanno prodot-<br />

to più del 95% di colonie fungine<br />

a crescita rapida in pos-


Caiazzo.qxp 25/02/2008 10.27 Pagina 46<br />

46 Caiazzo et al Gravi danni da Sclerotium rolfsii ...<br />

Foto 4 e 5 - Pianta e campo di peperone con danni da S. rolfsii<br />

Foto 6 - Parcella di fagiolo fortemente colpita da S. rolfsii<br />

Foto 7 - Pianta di melanzana con chiari segni di S. rolfsii<br />

Foto 8 - Sclerozi in piastra di 30 giorni<br />

sesso <strong>dei</strong> tipici sclerozi chiari<br />

ed uniformi del genere<br />

Sclerotium. Gli isolati si sono<br />

presentati in piastra uniformi<br />

nella morfologia e quattro di<br />

essi sono stati utilizzati per le<br />

fasi successive. Sia il riscontro<br />

in banca dati (NCBI) sia quello<br />

morfologico hanno fatto<br />

ascrivere con sicurezza alla<br />

specie Sclerotium rolfsii gli<br />

isolati ottenuti. L'agente è un<br />

patogeno del terreno che<br />

sopravvive sottoforma di sclerozi, (Fig. 8). Il micelio<br />

vive in condizioni ottimali in terreni acidi ad un<br />

range di temperature da 10 a 35°C. Il micelio muore<br />

a temperature prossime allo zero, mentre gli sclerozi<br />

resistono fino a circa -10°C. Il patogeno, però è<br />

diffuso soprattutto al di fuori delle aree che raggiungono<br />

regolarmente basse temperature cioè zone<br />

temperate e tropicali.<br />

Il fungo si diffonde bene nelle coltivazioni ben<br />

irrigate.<br />

Nelle prove di patogenicità gli isolati hanno confermato<br />

la loro elevata virulenza e polifagia. In alcuni<br />

casi sui tessuti e nel terreno inoculato sono stati prodotti<br />

i caratteristici "Turf" con gli sclerozi (Fig. 9).<br />

<strong>Co</strong>nclusioni<br />

L'estesa presenza nel campo di Venticano di specie<br />

colpite da S. rolfsii può essere ascritta alla storia di<br />

monocoltura di tabacco, infatti questa coltura pur<br />

albergando il patogeno raramente crea danni consistenti,<br />

però può far moltiplicare l'inoculo nel terreno,<br />

per cui la sperimentazione di nuove specie<br />

passa proprio attraverso l'analisi <strong>dei</strong> patogeni<br />

potenziali.<br />

Il controllo della malattia è difficile e dipende<br />

da un insieme di tecniche culturali, biologiche e<br />

chimiche. In particolare, S. rolfsii può essere controllato<br />

attraverso l'uso di buone pratiche culturali<br />

che prevedono:<br />

- Rotazione: Avvicendamenti con cerealicole, evitare<br />

rotazioni con leguminose. Recentemente si è<br />

osservato che seminando piante di cipolla in<br />

inverno, diminuisce sensibilmente l' attività patogenica<br />

del fungo in quanto gli essudati delle radici<br />

di cipolla rendono Sclerotium sensibile alla<br />

microflora antagonista del suolo. - eliminazione<br />

delle infestanti ospiti (es. Amaranto, Farinaccio,


Caiazzo.qxp 25/02/2008 10.27 Pagina 47<br />

Foto 9 - Sclerozi ottenuti in vivo su terreno e tessuti di pianta nelle<br />

prove di patogenicità<br />

Rafano, Senape selvatica )<br />

- lavorazioni profonde ammendamento del suolo<br />

che stimola la crescita <strong>dei</strong> microrganismi che inibiscono<br />

lo sviluppo di S. rolfsiii, tra essi principalmente:<br />

* Bacillus subtilis,<br />

* Gliocladium virens,<br />

* Penicillium,<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 47<br />

* Trichoderma harzianum,<br />

* Trichoderma viride.<br />

- calcinazioni (pH neutri e subalcalini ostacolano lo<br />

sviluppo del fungo)<br />

- buon drenaggio del terreno<br />

- in alcuni casi con la raccolta precoce delle piante<br />

Mezzi di lotta diretti:<br />

- solarizzazione che è molto efficace;<br />

- Lotta chimica: in non molti casi è praticabile in<br />

pieno campo e va modulata utilizzando prodotti<br />

registrati ed efficaci da scegliersi coltura per coltura;<br />

- lotta biologica: attraverso l'uso degli ormai numerosi<br />

prodotti registrati e contenenti quali agenti di<br />

contenimento i microrganismi già menzionati.


usso.qxp 25/02/2008 10.28 Pagina 49<br />

Introduzione<br />

Nel corso di sopralluoghi effettuati nel luglio del 2006<br />

in un'azienda sita in contrada Fenile di S. Agata <strong>dei</strong> Goti<br />

(Bn), in un campo coltivato a fagiolo, sono state notate<br />

un elevato numero di piante morte o con sintomi di<br />

grave sofferenza(Figura1).Il campo era stato predisposto<br />

per eseguire una prova agronomica di confronto<br />

varietale su fagiolo (Phaseolus vulgaris L.); allo scopo<br />

erano state seminate, in maggio, tre cv di borlotto<br />

(Splendido Nano; Granato; sel. Lingua di Fuoco) e due<br />

di cannellino (Impero Bianco e Montalbano). Le piante,<br />

indipendentemente dalla cv, mostravano sintomi analoghi<br />

con un apparato radicale fortemente danneggiato<br />

dalla presenza di numerose galle (Figura 2), sintomo<br />

questo tipico di attacco <strong>dei</strong> nematodi cecidogeni del<br />

genere Meloidogyne Goeldi. Ulteriori osservazioni sulle<br />

altre colture presenti in azienda, girasole (Helianthus<br />

annus L.), kenaf cv <strong>Ta</strong>inung 2 (Hibiscus cannabinus L.)<br />

e pomodoro (Lycopersicum esculentum L.) seminate o<br />

trapiantate nello stesso periodo, hanno evidenziato la<br />

manifestazione della medesima patologia. <strong>Co</strong>nsiderata<br />

la gravità delle infestazioni, soprattutto nei confronti del<br />

kenaf, coltura da biomassa energetica, le radici, per singola<br />

coltura, sono state poste in sacchetti di polietilene e<br />

trasferite in laboratorio per l'estrazione <strong>dei</strong> nematodi per<br />

la determinazione della specie.<br />

Materiali e metodi<br />

Gli apparati radicali delle citate specie botaniche<br />

presenti in azienda, una volta trasferiti in laboratorio,<br />

dopo opportuno lavaggio in acqua corrente, sono stati<br />

oggetto di osservazione ad uno stereomicroscopio per<br />

accertare, attraverso le femmine, la reale presenza di<br />

nematodi galligeni. In seguito dagli apparati radicali<br />

delle singole piante, in corrispondenza delle masse d'uova<br />

presenti sulle radici, sono state isolate dieci femmine<br />

mature utilizzate per l'osservazione delle impronte perineali<br />

e per il calcolo del rapporto tra la distanza fra zona<br />

cefalica e poro escretore e la lunghezza dello stiletto<br />

(PE/St) (<strong>Ta</strong>ylor, 1987); rapporto questo utilissimo come<br />

discriminante, nell'ambito della diagnostica tradiziona-<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 49<br />

Danni da Meloidogyne incognita (Kofoid et White) Chitw. su<br />

colture erbacee nel beneventano<br />

Russo G, Sannino L, <strong>Co</strong>zzolino E<br />

le, per la determinazione della specie. Per rendere possibile<br />

il rilevamento di tali caratteri le femmine, prelevate<br />

dai tessuti vegetali, sono state poste in capsule Petri,<br />

tagliate a circa 2/3 della loro lunghezza, ripulite e rifinite<br />

in una soluzione di acido lattico al 45%. Le porzioni<br />

interessate, per poterle esaminare al microscopio completo,<br />

sono state montate in glicerina su vetrini portaoggetti<br />

per allestire i preparati permanenti.<br />

Risultati e discussione<br />

Le impronte perineali della quasi totalità delle femmine<br />

(Figura 3), ritenute principale caratteristica di diagnosi<br />

differenziale, mostravano un arco dorsale alto, strie cuticolari<br />

ondulate e assenza sia di campi laterali che di<br />

punteggiature tra ano e coda; il rapporto PE/St risultava<br />

essere = 1,4. Peculiarità queste tipiche di Meloidogyne<br />

incognita (Kofoid et White) Chitw. <strong>Al</strong>cuni tratti perineali,<br />

mostravano le caratteristiche di un' impronta<br />

rotondeggiante, con linee laterali appena abbozzate con<br />

archi ampi e arrotondati, ascrivibili a M. arenaria (Neal)<br />

Chitwood; anche il relativo rapporto PE/St = 2,4 ha<br />

confermato la legittimità di detta specie. Il campo pertanto<br />

risultava essere infestato da una popolazione mista<br />

con prevalenza di M. incognita. Infestazioni promiscue<br />

delle due specie, tra l'altro, soprattutto in terreni molto<br />

sciolti sono molto facili da rinvenire (Lamberti e Basile,<br />

1993).Il nematode galligeno Meloidogyne incognita,<br />

per la sua elevata polifagia e diffusione, è un pericolo<br />

per gli agricoltori che operano in tutti i segmenti agricoli<br />

e soprattutto l'orto-floricoltura in terreni sciolti in<br />

ambiente protetto. Nell'azienda in questione, se negli<br />

anni precedenti il nematode non ha creato problemi rile-<br />

CRA-CAT Unità di ricerca per le alternative al tabacco. Via P.<br />

Vitiello 108, 84018 Scafati(SA), Tel. 0818563611/37, Fax.<br />

0818506206, e-mail:eugenio.cozzolino@entecra. it Fig. 1. Campo di fagioli con sintomi di grave sofferenza


usso.qxp 25/02/2008 10.28 Pagina 50<br />

50 Russo et al Danni da Meloidogyne incognita ...<br />

Fig. 2. Radice di fagiolo rachitica e mostrante numerose galle in<br />

seguito dell'attacco di Meloidogyne incognita.<br />

Fig. 2. Impronta perineale di Meloidogyne incognita.<br />

vanti al tabacco è l'effetto del continuo utilizzo di trattamenti<br />

preventivi con nematocidi non volatili che hanno<br />

contenuto la carica del galligeno entro limiti tollerati<br />

dalla coltura. <strong>Ta</strong>li p.a. geodisinfestanti non essendo eradicanti,<br />

riescono solo a contenere la carica nematologica<br />

nei livelli sopportabili dalla coltura; aspetto questo<br />

evidentemente ancora non ben chiaro a molti operatori<br />

nel settore. Pertanto, l'assenza <strong>dei</strong> trattamenti e l'annata<br />

particolarmente calda che, abbreviando il ciclo, ha<br />

accresciuto il numero delle generazioni sono alla base<br />

dell'esaltazione <strong>dei</strong> danni. E' noto infatti al riguardo che<br />

lo sviluppo di M. incognita è possibile ad una temperatura<br />

compresa fra i 16 e i 40°C (Wallace, 1963) e che<br />

nelle Regioni mediterranee della Francia, con caratteristiche<br />

similari a quelle dell'areale oggetto di indagine, il<br />

ciclo è compreso tra i 25-90 giorni a seconda della stagione<br />

(Ritter, 1971). Da ciò si desume che nell'arco di<br />

tempo di coltivazione del fagiolo si siano completate<br />

due generazioni. Inoltre, forse anche in seguito alla contemporanea<br />

presenza del basidiomicete Sclerotium rolfsii<br />

Sacc., anch'esso estremamente polifago e particolarmente<br />

attivo a temperature elevate, i danni sono <strong>risultati</strong><br />

devastanti al punto da azzerare le produzioni. Su<br />

pomodoro, invece, pur se l'apparato radicale mostrava<br />

numerose galle, ricche di femmine e masse d'uova, le<br />

produzioni, grazie anche al trapianto che ha consentito<br />

l'attacco del nematode a radice già formata sono risultate<br />

soddisfacenti. In altre parole ciò ci conferma che in<br />

terreno infestato le colture in semina diretta subiscono<br />

danni più gravi di quelle trapiantate (Ekanayake e Di<br />

Vito, 1984; Lamberti e Basile, 1993). I danni più contenuti<br />

riscontrati su kenaf e girasole sono probabilmente<br />

da attribuire o ad una carica nematologica iniziale più<br />

ridotta presente nei terreni investiti da dette colture più<br />

che alla loro minore sucettibilità ( Di Vito et al., 1991;<br />

Sasanelli e Di Vito, 1992; Crozzoli et al., 1997; Di Vito<br />

et al., 1997). <strong>Al</strong>la luce delle risposte acquisite sulle colture<br />

in oggetto è evidente che le problematiche indotte<br />

dal nematode galligeno Meloidogyne incognita in<br />

un'areale dove l'orticoltura, tende a sottrarre spazi in<br />

maniera sempre più evidente alla coltura del tabacco<br />

può assumere dimensioni di notevole entità. <strong>Ta</strong>le situazione<br />

potrebbe essere sempre più compromessa da una<br />

tropicalizzazione del clima che, attraverso un'estate<br />

sempre più lunga e calda, è particolarmente predisponente<br />

agli incrementi <strong>dei</strong> livelli di popolazione del<br />

nematode. Si presume pertanto che negli anni a seguire<br />

se non si interviene con misure adeguate la situazione<br />

nematologica diventerà insostenibile per qualsiasi coltura.<br />

<strong>Co</strong>nsiderate le difficoltà di impiego <strong>dei</strong> p.a. geodisinfestanti<br />

volatili e non che sono in fase di valutazione e<br />

che porteranno inevitabilmente ad una contrazione delle<br />

molecole utilizzabili si ritiene che la via da perseguire è<br />

quella di trovare i giusti spazi di applicazione, soprattutto<br />

nei tempi, di vie a basso impatto ambientale quali la<br />

solarizzazione del terreno e/o biofumigazione o avvicendamenti<br />

culturali con specie a ciclo autunno-vernino.<br />

L'utilizzo di cv resistenti, altra via perseguibile, al<br />

momento ha grossi limiti applicativi in quanto solo per<br />

il pomodoro la ricerca ha prodotto materiale geneticamente<br />

resistente commercialmente valido.<br />

Letteratura citata<br />

Crozzoli R., Greco N., Suarez A. C., Rivas D. - (1997) -<br />

Pathogenicity of the root-knot nematode, Meloidogyne<br />

incognita, to cultivars of Phaseolus vulgaris and Vigna<br />

unguiculata - Nematropica 27 (1): 61-67.<br />

Di Vito M., Cianciotta V., Zaccheo G. - (1991) - The effect of<br />

population densities of Meloidogyne incognita on yeld of<br />

susceptible and resistant tomato - Nematologia mediterranea,<br />

19 (2): 265-268.<br />

Di Vito M., Piscionieri I., Pace S., Zaccheo, G. Catalano F. -<br />

(1997) - Pathogenicity of Meloidogyne incognita on Kenaf<br />

in microplots - Nematologia mediterranea, 25 (2): 165-168.<br />

Ekanayake H.M.R.K., Di Vito M. - (1984) - Effect of population<br />

densities of Meloidogyne incognita on growt of susceptible<br />

and resistant tomato plants - Nematologia mediterranea 12<br />

(1): 1-6.<br />

Lamberti F., Basile M. - (1993) - I nematodi parassiti del pomodoro<br />

- Bayer S.p.A. Divisione Agraria, pp. 24.<br />

Ritter M. - (1971) - Les nématodes des cultures - Journées d'études<br />

et d'information. Paris 3-5 novembre, pp. 27.<br />

Sasanelli N., Di Vito M. - (1992) - The effect of Meloidogyne<br />

incognita on growth of sunflower in pots. - Nematologia<br />

Mediterranea, 20 (1): 9-12.<br />

<strong>Ta</strong>ylor A.L. - (1987) - Identification and estimation of root-knot<br />

nematode species in mixed populations.- Florida<br />

Department of Agriculture and <strong>Co</strong>nsumer Services,<br />

Division of Plant Industry, Gainesville, U.S.A., pp. 73.<br />

Wallace H. R. - (1963) - The Biology of Plant Parasitic<br />

Nematodes - Arnold, London 280 pp.


aralia.qxp 25/02/2008 10.13 Pagina 51<br />

Introduzione<br />

Negli ultimi anni in Italia la coltivazione delle<br />

piante da fronda recisa è andata sempre più crescendo,<br />

spostando il suo areale di coltivazione<br />

dalla Liguria, alla Campania, alla Puglia e alla<br />

Toscana. Nell'ambito del progetto <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>.<br />

(<strong>Co</strong>lture <strong>Al</strong>ternative al <strong>Ta</strong>bacco) è stato inserito lo<br />

studio della coltivazione di specie da fronda verdi<br />

al fine di valutare il loro potenziale produttivo in<br />

alcuni ambienti meridionali, dove la loro diffusione<br />

è ancora limitata.<br />

Materiali e metodi<br />

Sono state impiantate le seguenti specie: Aralia sieboldi,<br />

Aspidistra elatior, Asparagus medeoloides, sotto<br />

rete ombreggiante, ed Eucalyptus pulverulenta var.<br />

"baby blue" in pieno campo, nelle località di<br />

Benevento (Campania), Racale e Sternatia nel Salento<br />

(Puglia), inoltre è stato realizzato un campo catalogo<br />

presso l'azienda del CRA - Istituto Sperimentale per il<br />

<strong>Ta</strong>bacco sita in Monteroni (LE). L'impianto è stato<br />

effettuato in tutte le località tra l'ultima decade di maggio<br />

e la prima decade di giugno 2005, utilizzando sempre<br />

piantine in vaso. È stata effettuata una concimazione<br />

minerale di pre-impianto comune per tutte le località,<br />

con 80 kg ha -1 di N, 50 kg ha -1 di P 2 O 5 e 80 kg ha -<br />

1 di K2 O, successivamente sono state effettuate fertirrigazioni<br />

con concimi complessi. L'irrigazione è avvenuta<br />

utilizzando acqua di pozzo ed erogata mediante<br />

sistemi a microportata. La valutazione del materiale<br />

raccolto è stata effettuata quando le foglie presentavano<br />

la necessaria consistenza e colore tipico delle foglie<br />

mature prendendo in considerazione per l'aralia la larghezza<br />

delle foglie, per l'aspidistra la lunghezza delle<br />

lamine fogliare e l'integrità delle foglie, mentre per E.<br />

pulverulenta var. "baby blue" è stato valutato tutto il<br />

materiale raccolto suddividendo i germogli in diverse<br />

classi di lunghezza.<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 51<br />

Valutazione di specie da fronda recisa a basso imput in tre<br />

località dell’Italia Meridionale<br />

Raimo F 1 , Napolitano A 1 , Torsello R 2 , Brunetti F 2 , Vatore R 1 , Grassi F 2 ,<br />

Vicidomini S 1<br />

Risultati<br />

Durante il ciclo colturale sono stati rinvenuti<br />

Metcalfa pruinosa (Say) su Aralia, Pinnaspis aspidistrae<br />

Sign. su Aspidistra (Sannino et al., 2006),<br />

nel mese di giugno 2006 si è verificato un forte<br />

attacco di afidi in località Racale che ha colpito la<br />

parte apicale delle piante di aralia; inoltre su<br />

entrambe le specie sono stati riscontrati attacchi di<br />

chiocciole e lumache, mentre su E. pulverulenta<br />

var. "baby blue" in tutte e tre le località si sono verificati<br />

attacchi di <strong>Al</strong>ternaria (Lauro et al., 2007). I<br />

<strong>risultati</strong> riportati sono stati rilevati nel triennio<br />

2005-2007 e rappresentano la produzione commerciale<br />

ottenuta in diverse epoche di raccolta, per<br />

tutte e tre le località menzionate nell'articolo.<br />

Nella valutazione <strong>dei</strong> <strong>risultati</strong> è da tener presente<br />

che nell'inverno 2006-2007 un fortunale abbattutosi<br />

nel Salento ha provocato danni all'ombraio sito<br />

in Sternatia, per cui la coltivazione è stata esposta<br />

per un certo periodo alle intemperie, con conseguenze<br />

negative sullo sviluppo delle piante.<br />

L'aralia, ha mostrato una produzione commerciale<br />

espressa in numeri di foglie per pianta<br />

(grafico 1), che è stata in totale di circa 39 foglie<br />

per Benevento, 59 foglie per Racale e 33 foglie<br />

per Sternatia. In località Benevento le piante di<br />

aralia durante l'inverno 2005-2006, a causa delle<br />

basse temperature, hanno subito l'allessatura<br />

della parte apicale, ciò nonostante col sopraggiungere<br />

della primavera le piante hanno mostrato<br />

una buona ripresa vegetativa, come si evidenzia<br />

anche dalle produzioni ottenute nel periodo<br />

successivo.<br />

1 CRA - CAT - Scafati (SA)<br />

2 CRA - CAR - Lecce (LE)<br />

Raimo F. - C.R.A. - CAT - via P. Vitiello, 108 - Scafati (SA) -<br />

Tel. 081 8563611; Fax 081 8506206;<br />

e-mail: francesco.raimo@entecra.it Grafico 1. Foglie commerciali di aralia raccolte nel triennio


aralia.qxp 25/02/2008 10.13 Pagina 52<br />

52 Raimo et al Valutazione di specie da fronda recisa..<br />

Grafico 2. Foglie commerciali di aspidistra raccolte nelle tre località<br />

L'aspidistra ha fatto registrare una produzione<br />

commerciale (grafico 2), espressa in numero di<br />

foglie raccolte per m 2 , di circa 65 a Benevento, 63<br />

a Racale e 70 a Sternatia. A. medeoloides ha<br />

mostrato un buon comportamento di crescita in<br />

tutti e tre gli ambienti, la raccolta è avvenuta nel<br />

periodo autunnale, quando le piante presentavano<br />

mediamente una altezza superiore ai 150 cm. Nel<br />

grafico 3 sono riportate le lunghezze medie <strong>dei</strong><br />

festoni rilevate nelle tre località.<br />

E. pulverulenta ha mostrato il maggior sviluppo<br />

in altezza a Benevento, mentre a Racale, soprattutto<br />

per problemi legati alle caratteristiche pedologiche<br />

del sito d'impianto le piante hanno raggiunto<br />

uno sviluppo molto limitato, ciò evidentemente ha<br />

avuto una diretta ripercussione sulla produzione di<br />

materiale commerciabile raccolto (grafico 4).<br />

<strong>Co</strong>nclusioni<br />

Le avversità segnalate hanno provocato danni alle<br />

colture per cui si sono resi necessari trattamenti<br />

antiparassitari per il controllo delle fitopatie. I<br />

Grafico 3. Lunghezza media festoni di A. medeoloides<br />

Grafico 4. Peso medio per pianta <strong>dei</strong> germogli commerciali raccolti<br />

nel triennio su Eucalyptus.<br />

<strong>risultati</strong> ottenuti hanno dimostrato come le diverse<br />

caratteristiche pedoclimatiche <strong>dei</strong> tre ambienti<br />

hanno influito notevolmente sullo sviluppo e di<br />

conseguenza sulle rese produttive delle piante in<br />

coltivazione. Aralia ha dimostrato una maggiore<br />

produttività in località Racale, mentre l'Aspidistra<br />

ha fornito produzioni nel triennio di 65, 63 e 70<br />

foglie, rispettivamente a Benevento, Racale e<br />

Sternatia. . A. medeoloides ha fatto registrare l'altezza<br />

massima <strong>dei</strong> festoni a Benevento, mentre il<br />

peso verde per metro lineare di festone è stato più<br />

elevato a Racale e Sternatia. E. pulverulenta var.<br />

"baby blue" ha mostrato buone produzioni in località<br />

Benevento e Sternatia.<br />

Ringraziamenti. Si ringraziano per la cortese collaborazione<br />

le aziende agricole sede delle prove: F.lli Miggiano<br />

di Racale (LE), Zollino Maria Teresa di Sternatia (LE) e<br />

l'Istituto Professionale Agrario "M. Vetrone" di<br />

Benevento<br />

Bibliografia<br />

Lauro P., Carella A., Caiazzo R., Pisacane A., Raimo F., Lahoz<br />

E. (2007) - "<strong>Al</strong>ternaria alternata agente causale delle macchie<br />

necrotiche su foglie e rami di eucalipto ornamentale in<br />

Italia" in "Risultati finali del <strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>.", pag. 583-<br />

588.<br />

Raimo F., Lombardi D.A., Napolitano A., Torsello R., Brunetti<br />

F., Vatore R., Casaburi S., Vicidomini S. (2007) -<br />

"Valutazione di specie da fronda recisa a basso input energetico<br />

in ambienti meridionali" in "Risultati finali del<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>.", pag. 553-561.<br />

Sannino L., Espinosa B., <strong>Co</strong>zzolino E. (2005) - "Fitofagi e predatori<br />

riscontrati su tredici colture erbacee in Italia meridionale"<br />

- <strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. 1. Risultati 1° anno di attività, pag. 201.


cecepisello.qxp 25/02/2008 10.15 Pagina 53<br />

Introduzione<br />

Negli ultimi anni si è assistita ad una rivalutazione<br />

<strong>dei</strong> prodotti tipici locali, che unitamente alla salvaguardia<br />

della biodiversità hanno portato ad una maggiore<br />

sensibilizzazione verso il recupero di materiale<br />

genetico in via di estinzione. Le leguminose da granella<br />

sono ormai entrate a pieno titolo tra le specie<br />

meritevoli di recupero e di utilizzazione; infatti,<br />

viene ampiamente riconosciuto il loro ruolo nell'alimentazione<br />

umana e del bestiame. Il loro impiego è<br />

strategico (perché a basso input economico), soprattutto,<br />

nella valorizzazione delle aree marginali sottoutilizzate,<br />

e per la possibilità che offrono per il recupero<br />

di antiche pratiche agricole e di tradizioni popolari.<br />

La ricerca condotta nell'ambito del progetto<br />

<strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>., ha permesso di valutare alcune accessioni<br />

di cece (Cicer arietinum L.) e pisello (Pisum sativum<br />

L.). Gli obiettivi proposti sono stati: a) la valutazione<br />

della produttività e delle fasi fenologiche di alcune<br />

varietà già diffuse a livello nazionale nell'ambiente<br />

Salentino; b) il confronto di tali cultivar con gli ecotipi<br />

locali; c) il recupero del materiale genetico ottenuto<br />

dai contadini salentini<br />

Materiali e metodi<br />

La ricerca è stata eseguita presso l'azienda del CRA -<br />

CAR sita in Monteroni di Lecce nel triennio 2005-<br />

2007. Le prove sono state pianificate a blocchi randomizzati<br />

con due ripetizioni. Per quanto riguarda il<br />

Cece: nel primo anno, sono stati messi a confronto, i<br />

genotipi "Pascià", "Kairo", "Sultano", "Visir" e<br />

"Zollino"; mentre nel biennio 2006-2007 l'indagine,<br />

ha interessato sia le varietà del 2005 sia ecotipi diffusi<br />

nel Salento quali: "<strong>Al</strong>essano", "<strong>Co</strong>rigliano",<br />

"Leverano", "Monteroni", "Muro Leccese",<br />

"Sannicola", "Soleto", "Tricase 08", "Tricase 19",<br />

"Uggiano la Chiesa" e "Vitigliano". Per il pisello gli<br />

ecotipi sottoposti a valutazione, nel biennio 2006-<br />

2007, sono stati "<strong>Al</strong>essano", "<strong>Co</strong>rigliano", "Riccio di<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 53<br />

Risultati della valutazione bioagronomica di ecotipi salentini<br />

di cece e pisello<br />

Raimo F 1 , Accogli R 2 , Brunetti F 3 , Manzi G 3 , Grassi F 3 , Scarcella M 3 ,<br />

Torsello R 3<br />

1 CRA - CAT - Unità di ricerca per le colture alternative al<br />

tabacco, via P. Vitiello, 108 - Scafati (SA) -<br />

Tel. 081 8563611; Fax 081 8506206;<br />

e-mail: francesco.raimo@entecra.it<br />

2 Orto Botanico del Di.S.Te.B.A. - Università degli studi di Lecce<br />

3 CRA - CAR - Lecce (LE)<br />

Sannicola", "S. Donato", "Sannicola", "Soleto",<br />

"Tranesi" e "Zollino".<br />

Le pratiche colturali, identiche per le due specie,<br />

hanno previsto: distanze di semina di 0,6 metri tra le<br />

file; una concimazione con 40 kg ha -1 di N, 80 kg ha -1<br />

di P 2 O 5 e 170 kg ha -1 di K 2 O; irrigazioni di soccorso e<br />

la raccolta che è avvenuta nei mesi di luglio e agosto<br />

secondo la maturazione <strong>dei</strong> genotipi in prova. I rilievi<br />

sulle colture hanno riguardato i principali parametri<br />

biometrici, fenologici e produttivi. I dati sono stati<br />

analizzati utilizzando l'analisi della varianza<br />

(ANOVA).<br />

Risultati<br />

Nel grafico 1 è riportata la produzione media in<br />

granella ottenuta dai cinque genotipi nell'anno<br />

2005, l'analisi ANOVA <strong>dei</strong> dati non ha mostrato<br />

differenze significative per quanto riguarda le produzioni<br />

fra i vari genotipi. Mentre nel grafico 2<br />

sono riportate le produzioni medie relative a tutti i<br />

genotipi in prova espressi come produzione media<br />

del biennio 2006-2007, l'ANOVA non ha mostrato<br />

differenze significative (p=0,05), sia per l'effetto<br />

anno, sia per l'effetto genotipi e sia per l'interazione<br />

genotipi per anno. Gli ecotipi più produttivi<br />

sono <strong>risultati</strong> "Vitigliano", "Uggiano la Chiesa",<br />

"Monteroni" e "Leverano", con produzioni medie<br />

relative al biennio superiori alle 2 t ha -1 .<br />

Le varietà colturali hanno raggiunto il completo<br />

sviluppo vegetativo tra la V<strong>II</strong> e l'V<strong>II</strong>I settimana<br />

dalla semina; la fine della fase vegetativa, contraddistinta<br />

dallo stadio "ingiallimento", è iniziata<br />

intorno alla XV<strong>II</strong>I settimana, procedendo lentamente<br />

sino alla XX, per poi concludersi entro la<br />

XX<strong>II</strong>. La fase di viraggio è stata considerata come<br />

quella fase in cui il legume completamente sviluppato,<br />

inizia l'ingiallimento dell'esocarpo e completa<br />

la maturazione lattea del seme; per quasi tutte le<br />

varietà, ha avuto inizio entro la XV<strong>II</strong>I settimana,<br />

con valori alquanto bassi ma che raggiungono già<br />

il 70 % entro la XX settimana, proprio quando la<br />

fase vegetativa di ingiallimento della pianta volgono<br />

al termine e quindi ciclo vegetativo e ciclo<br />

riproduttivo terminano contemporaneamente.


cecepisello.qxp 25/02/2008 10.15 Pagina 54<br />

54 Raimo et al Ecotipi salentini di cece e pisello ..<br />

Fig. 1. Produzione media nei genotipi di cece coltivati nel 2005<br />

Fig. 2. Produzione media registrata sui ceci nel biennio 2006-2007<br />

Fig. 3. Produzione media ecotipi di pisello nel biennio 2006-2007<br />

L'andamento delle fenofasi riproduttive più significative,<br />

quali, fioritura, allegagione e maturazione lattea,<br />

ha differenziato le varietà colturali, identificando<br />

quali tra esse meglio rispondono alle condizioni<br />

ambientali, anticipando o posticipando il ciclo, garantendo<br />

comunque la produzione. Il peso medio di 1000<br />

semi rilevato su tutte le accessioni di cece per gli anni<br />

2006-2007 ha presentato notevoli fluttuazioni sia per<br />

le varietà stabilizzate sia per gli ecotipi, per cui le differenze<br />

sono risultate altamente significative (p=0,01),<br />

sia nel biennio, sia nell'interazione genotipi x anno.<br />

Per il pisello gli ecotipi più produttivi (Fig.3) sono<br />

stati "<strong>Al</strong>essano", "Sannicola", "Zollino" e "S. Donato",<br />

con rese superiori ad 1 t ha -1 , mentre le accessioni<br />

"Riccio di Sannicola" e "Sannicola" hanno mostrato<br />

notevoli fluttuazioni nei due anni di prova. L'ANOVA<br />

ha evidenziato che esistono differenze altamente significative<br />

(p=0,01) per quanto riguarda l'effetto anno e<br />

nell'interazione varietà x anno, mentre non vi sono<br />

state differenze significative fra i genotipi.<br />

<strong>Co</strong>nclusioni<br />

I <strong>risultati</strong> relativi alla produzione degli ecotipi salentini<br />

di cece hanno mostrato che buona parte delle accessioni<br />

reperite hanno fornito produzioni comparabili<br />

con le varietà diffuse a livello nazionale, pertanto è<br />

augurabile che nel prossimo futuro si riesca ad incrementarne<br />

la reintroduzione e diffusione, al fine di salvaguardarne<br />

il patrimonio genetico e valorizzare le<br />

produzioni tipiche locali.<br />

Bibliografia<br />

Abbate V. (1994) - "Aspetti della tecnica colturale del cece" -<br />

Agricoltura Ricerca, Luglio/Settembre, n. 155, pag 105-<br />

120.<br />

Giordano I. (1994) - "Potenzialità produttiva del cece in differenti<br />

condizioni ambientali" - Agricoltura Ricerca,<br />

Luglio/Settembre, n. 155, pag 95-104.<br />

Lombardi D.A., Marchiori S., Accogli R., Brunetti F., Capano<br />

M., Raimo F. (2006) - "Valutazione degli aspetti fisiologici<br />

e produttivi di alcune leguminose da granella" - <strong>Progetto</strong><br />

<strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. 1. Risultati 1° anno di attività, pag. 171-173.<br />

Raimo F., Accogli R., Lombardi D., Marchiori S., Brunetti F.,<br />

Casaburi S. (2007) - "Valutazione bioagronomica di genotipi<br />

salentini di leguminose da granella" in "Risultati finali<br />

del <strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>.", pag. 365-379.


ArtemisiaLecce.qxp 25/02/2008 10.13 Pagina 55<br />

Introduzione<br />

I recenti orientamenti di politica agricola comunitaria<br />

e nazionale, volti a sostenere, attraverso il<br />

Fondo <strong>Co</strong>munitario del <strong>Ta</strong>bacco, lo sviluppo di iniziative<br />

specifiche per il passaggio <strong>dei</strong> tabacchicoltori<br />

ad altre attività agricole hanno permesso di<br />

indagare sulle possibili alternative colturali al<br />

tabacco.Tra queste rientra l'Artemisia annua L.,<br />

specie utilizzata per l'estrazione di un principio<br />

attivo, l'artemisinina', impiegato per la lotta alla<br />

malaria nel mondo. Obiettivo della presente ricerca<br />

è quello di valutare, in ambiente meridionale,<br />

l'adattabilità e la risposta agronomica dell'artemisia<br />

a diversi regimi irrigui.<br />

Materiali e metodi<br />

La ricerca si è svolta presso l'azienda sperimentale<br />

dell'Unità di Ricerca- CRA -CAR di Lecce su terreno<br />

di natura franco-sabbioso, povero di sostanza<br />

organica (0.75%), di azoto totale (0.08%) e di<br />

fosforo assimilabile( 4.35 ppm), ma ricco di potassio<br />

scambiabile (281,5 ppm).<br />

È stato impiegato il genotipo Krono trapiantato<br />

alla distanza di cm 80 di interfila e a cm 55 sulla<br />

fila con un investimento di 22.727 p·ha -1 .<br />

In pre-trapianto sono stati somministrati: 130<br />

Kg·ha -1 di P 2 O 5 (da perfosfato minerale 18%); 100<br />

Kg·ha -1 di K 2 O (da solfato potassico 50%) e 60<br />

Kg·ha -1 di N ( metà da solfato ammonico 20,5% in<br />

pre-trapianto e metà da nitrato ammonico 26% in<br />

copertura).<br />

Sono stati confrontati, insieme al testimone non<br />

irrigato (V0), tre regimi irrigui (V1, V2, V3) ottenuti<br />

mantenendo costante il volume di adacquamento<br />

(300 m 3 ha -1 ) e variando il turno irriguo. Per<br />

i trattamenti da V1 a V3, infatti, si è intervenuti con<br />

l'rrigazione ogni qualvolta la sommatoria dell'evapotraspirazione<br />

della coltura , calcolata a partire<br />

dall'ultimo intervento irriguo, stimato con il criterio<br />

evaporimetrico al netto delle pioggie ed adot-<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 55<br />

Risposta bio-agronomica dell’Artemisia annua L. a differenti<br />

regimi irrigui<br />

Greco P, Scarcella S, Manzi G<br />

CRA- Unità di Ricerca per l'individuazione e lo studio di colture<br />

ad alto reddito in ambiente caldo arido- Lecce. Via F. Calasso 3 -<br />

tel. 0832-306882, fax 0832-305411.<br />

e-mail: pasquale.greco@entecra.it<br />

tando i coefficienti colturali di seguito riportati,<br />

raggiungeva valori di 40-80-120 mm. rispettivamente.<br />

I valori di Kc sono stati i seguenti:<br />

dal 1° al 20° giorno 0.40; dal 21° al 45° giorno<br />

0.60; dal 46° al 75° giorno 0.80; dal 76° fino a<br />

venti giorni dalla raccolta 1.0.<br />

La tabella 1 riporta il numero delle adacquate<br />

ed i volumi stagionali erogati.<br />

<strong>Ta</strong>b.1. Numero interventi irrigui e volumi stagionali di irrigazione -<br />

Anno 2007<br />

E' stato adottato uno schema sperimentale a<br />

blocco randomizzato con quattro ripetizioni; il<br />

metodo irriguo quello per infiltrazione laterale da<br />

solchi.<br />

Le erbe infestanti sono state controllate con due<br />

sarchiature meccaniche interfilari, integrate con<br />

sarchiatura manuale sulla fila; non è stato effettuato<br />

alcun intervento fitosanitario.<br />

Sono stati effettuati rilievi biometrici (altezza e<br />

diametro pianta) e produttivi (peso verde e secco;<br />

inoltre, da tutte le parcelle sono stati prelevati, settimanalmente,<br />

e fino alla raccolta, campioni di<br />

foglie per determinare la % di "artemisinina"sintetizzata<br />

nei vari stadi di sviluppo delle piante.<br />

Questi <strong>risultati</strong> saranno oggetto di una prossima<br />

comunicazione, appena saranno terminate le analisi<br />

di laboratorio.<br />

Andamento climatico<br />

Tutto il periodo di prova è stato caratterizzato da<br />

totale assenza di piogge e da temperature superiori<br />

alla norma storica per cui, la coltivazione è stata<br />

sottoposta per un lungo periodo a condizioni eccezionali<br />

di stress ambientale i cui effetti, probabilmente,<br />

si sono riflessi negativamente sulla coltivazione.


ArtemisiaLecce.qxp 25/02/2008 10.13 Pagina 56<br />

56 Greco et al Irrigazione artemisia...<br />

<strong>Ta</strong>b. 2. Caratteristiche biometriche e produttive dell'Artemisia annua L. - Anno 2007<br />

Risultati<br />

L'esame <strong>dei</strong> dati riportati in tabella 2, mostrano una<br />

uniformità di comportamento di tutti i caratteri in<br />

studio. Infatti, a regimi irrigui crescenti è corrisposto<br />

un generale incremento <strong>dei</strong> parametri biometrici<br />

e produttivi. In particolare, per l'altezza e il diametro<br />

medio delle piante, l'influenza <strong>dei</strong> trattamenti<br />

sperimentali si è manifestato(P= 0.05) tra la tesi<br />

V3 (4800 m 3 ha -1 ) e le tesi V0 - V1 (1.500 m 3 /ha -1 )<br />

e V2 (2400 m 3 ha -1 ); quest'ultime, risultate tra loro<br />

equivalenti.<br />

I medesimi effetti, riscontrati precedentemente,<br />

si sono evidenziati anche per i caratteri peso verde<br />

e peso secco infatti, l'analisi statistica ha registrato<br />

differenze significative soltanto tra le parcelle<br />

maggiormente irrigate (V3) e quelle prive di intervento<br />

irriguo (V0), con incrementi di + 69,0% e +<br />

74,0% rispettivamente; non si sono manifestate,<br />

invece, differenze produttive significative tra i<br />

volumi da V0 a V2 cui è corrisposto solo un graduale<br />

aumento di peso.<br />

<strong>Co</strong>nclusioni<br />

Il particolare ed eccezionale avverso andamento<br />

climatico durante tutta la durata della prova ha,<br />

come indicato in precedenza, posto in sofferenza la<br />

coltivazione dell'artemisia la cui produzione areica,<br />

mediamente, è risultata inferiore rispetto a precedenti<br />

esperienze. <strong>Co</strong>munque, questi primi <strong>risultati</strong><br />

sullo studio dell'irrigazione su Artemisia annua L.,<br />

hanno rilevato effetti positivi su tutti i caratteri esa-<br />

minati i cui valori sono cresciuti,<br />

in generale, con l'aumentare <strong>dei</strong><br />

regimi irrigui impiegati; in particolare<br />

differenze significative si<br />

sono manifestate tra il volume<br />

stagionale più alto di 4.800<br />

m 3 ha -1 e tutti gli altri a confronto<br />

(V0 -V1 -V2).<br />

Da segnalare, inoltre, la<br />

buona adattabilità dell'artemisia<br />

agli stress idrici ed ambientali<br />

come dimostrano i <strong>risultati</strong> produttivi<br />

ottenuti dalla tesi irrigata<br />

solo al trapianto rispetto a quelle<br />

con regimi irrigui di 1.500 e 2.400 m 3 ha -1 .<br />

Bibliografia<br />

Charles, D.J., J.E. Simon, C.C. Shock, E.B.G. Feibert, and R.M.<br />

Smith. 1993. Effect of water stress and post-harvest handling<br />

on artemisinin content in the leaves of Artemisia<br />

annua L. p. 628-631. In: J. Janick and J.E. Simon (eds.),<br />

New crops. Wiley, New York.<br />

Greco P., Lauretti M., Manzi G.- 2007- Influenza della concimazione<br />

azotata sulle caratteristiche morfo-produttive e<br />

chimiche dell'artemisia (Artemisia annua L.) . Atti <strong>Progetto</strong><br />

CO.AL.TA. 1 Risultati finali, Lecce 22 giugno, p 529-533.<br />

Greco P., Scarcella M., Spedicato S. 2007- Effetto della densità<br />

di investimento sulle caratteristiche morfo-produttive e<br />

chimiche dell'Artemisia (Artemisia annua L.). Atti <strong>Progetto</strong><br />

CO.AL.TA. 1 -Risultati finali, Lecce 22 giugno, p 535-538.<br />

De Magalhãnes P., Raharinaivo J., Delabays N. (1996) -<br />

Influence de la dose et du type d'azote sur la production en<br />

artémisinine de l'Artemisia annua L.- Rev. Suisse Vitic.<br />

Arboric.Hortic., 28 (6) : 349-353<br />

Fig.1. Parcella di artemisia


Asparago.qxp 25/02/2008 10.14 Pagina 57<br />

Introduzione<br />

Tra le alternative al declino della coltura del tabacco<br />

nel Salento, l'asparago può rappresentare una<br />

promettente soluzione alla luce <strong>dei</strong> <strong>risultati</strong> economici<br />

più o meno comparabili con quelli del tabacco.<br />

Tradizionalmente coltivato nelle regioni settentrionali,<br />

si è via via esteso verso il Sud dove può usufruire<br />

di condizioni climatiche più adatte a favorire una<br />

maggiore precocità produttiva.<br />

In Puglia la coltivazione dell'asparago è localizzata<br />

in massima parte nella provincia di Foggia con circa<br />

1000 ettari; seguono le provincie di <strong>Ta</strong>ranto e Brindisi<br />

con 100 e 70 ettari rispettivamente. Non risultano<br />

investimenti nella provincia di Lecce.<br />

La scelta varietale, le modalità di impianto, l'adeguata<br />

assistenza agronomica, sono i principali aspetti<br />

di tecnica colturale per le quali è necessario definire un<br />

protocollo di coltivazione.<br />

Gli interessanti <strong>risultati</strong> economici della coltivazione,<br />

specie per le varietà precoci, giustificano l'introduzione<br />

della coltura. Infatti, se si considera che l'Italia<br />

importa oltre 5.000 tonnellate di asparago nel periodo<br />

Marzo -Aprile, si deduce che esiste la possibilità di<br />

espandere la coltivazione per almeno 1.000 ettari senza<br />

causare particolari problemi di sovrapproduzione.<br />

L'individuazione di uno o due ibridi di asparago<br />

adatti all'ambiente Salentino, potrebbe concorrere a<br />

favorire, insieme ad altre specie orticole, una opportunità<br />

colturale in sostituzione del tabacco.<br />

Materiali e metodi<br />

La sperimentazione si svolge su terreno di natura franco-sabbioso,<br />

pianeggiante e profondo, povero di<br />

sostanza organica (0,80%), di azoto totale (0,07%), di<br />

fosforo assimilabile (4,15 ppm) ma ricco di ossido di<br />

potassio (270,5 ppm). L'impianto è stato effettuato a<br />

fine marzo 1999 mettendo a dimora le zampe alla profondità<br />

di 35 cm, distanziate di 30 cm sulla fila e di<br />

130 cm di interfila. Gli ibridi di asparago impiegati,<br />

ognuno insistente su una superficie di 500 m 2 sono<br />

Atlas, Grande, Eros e UC 157.<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 57<br />

Introduzione dell’asparago nel Salento. Prova di confronto<br />

varietale<br />

Greco P, Grassi F, Manzi G<br />

CRA- Unità di Ricerca per l'individuazione e lo studio di colture<br />

ad alto reddito in ambiente caldo arido- Lecce. Via F. Calasso 3 -<br />

tel. 0832-306882, fax 0832-305411.<br />

e-mail: pasquale.greco@entecra.it<br />

Annualmente si interrano nella fase di riposo 100<br />

Kg·ha -1 di P 2 O 5 (da perfosfato minerale 18%), 50<br />

Kg·ha -1 di K 2 O (da solfato potassico 50%) e 50 Kg·ha -<br />

1 di N (da solfato ammonico 20,5%).<br />

Successivamente l'azoto viene distribuito in copertura<br />

per altre due volte sotto forma di nitrato, fino a<br />

raggiungere la dose totale di 200 Kg·ha -1 .<br />

Vengono effettuati lavori per il controllo delle erbe<br />

infestanti e di difesa fitosanitaria, oltre ai rilievi sulla<br />

produzione <strong>dei</strong> turioni e del peso medio degli stessi,<br />

separatamente per classi di categoria e cioè: "extra" (ø<br />

turioni >16 mm), "I" (ø da 12 a 16 mm), "<strong>II</strong>" (ø da 6<br />

a 11 mm), "asparagina" (ø < di 6 mm).<br />

L'andamento climatico ha fatto registrare, rispetto<br />

al periodo storico, un deficit pluviometrico di -29.8<br />

mm e - 84.6 mm negli anni 2005 e 2006; le temperature,<br />

invece, sono rimaste nella norma storica.<br />

Risultati<br />

L'uniformità del terreno su cui insiste l'asparagiaia e<br />

l'ampia superficie parcellare occupata da ogni ibrido,<br />

permette di valutare con sufficiente obiettività le<br />

singole potenzialità produttive. L'osservazione <strong>dei</strong><br />

dati riferiti ad un biennio di prova (<strong>Ta</strong>b.1 ), mette in<br />

evidenza il differente comportamento medio degli<br />

ibridi a confronto.<br />

In particolare è da segnalare il basso livello produttivo<br />

dell'UC 157 con circa 1,4 t·ha -1 di turioni da<br />

imputare, probabilmente, al grave attacco di ruggine<br />

(Puccinia asparagi D.C.) dopo il secondo anno di<br />

impianto con conseguenti annuali riflessi negativi<br />

sullo sviluppo e uniformità della coltivazione.<br />

Fig.1. Campo sperimentale


Asparago.qxp 25/02/2008 10.14 Pagina 58<br />

58 Greco et al Introduzione dell’asparago nel Salento..<br />

<strong>Ta</strong>b. 1. Media delle caratteristiche produttive e peso turioni<br />

Fig. 2. Turrioni pronti per la raccolta<br />

I migliori <strong>risultati</strong> sono stati ottenuti da Eros,<br />

con una produzione commerciale media di 7,86<br />

t·ha -1 ; seguono Atlas e Grande, rispettivamente<br />

con 7,51 t·ha -1 e 6,81 t·ha -1 di turioni .Il "peso<br />

medio turioni" all'interno delle diverse categorie<br />

commerciali è risultato pressoché equivalente.<br />

L'"asparagina" si è mantenuta al di sotto del<br />

10% della produzione commerciale, condizione<br />

importante per la resa economica della coltivazione.Tutti<br />

gli ibridi, all'interno delle categorie commerciali,<br />

hanno prodotto turioni omogenei per<br />

forma, colore, diametro e per compattezza dell'apice.<br />

<strong>Co</strong>n riferimento al carattere di precocità, l'UC<br />

157 ed Eros sono <strong>risultati</strong> rispettivamente il più<br />

precoce ed il più tardivo confermando anche dell'ambiente<br />

salentino le differenze costitutive propie.<br />

<strong>Co</strong>nferma anche per Atlas e Grande per le<br />

caratteristiche intermedie di precocità.<br />

<strong>Co</strong>nclusioni<br />

Da questi primi <strong>risultati</strong>, possono essere tratte interessanti<br />

considerazioni circa l'introduzione dell'asparago<br />

nell'ambiente di prova.<br />

Tutti gli ibridi hanno mostrato una buona adattabilità;<br />

in particolare Eros, Atlas e Grande hanno espresso<br />

valori produttivi medio alti rispetto alla produzione<br />

media nazionale (6,0-6,5 t·ha -1 ). L'UC 157 si è attestato<br />

su livelli inferiori rispetto alle potenzialità mediamente<br />

espresse nelle asparagiaie del meridione, ciò per<br />

i motivi patologici indicati in precedenza. Pertanto,<br />

prestando molta attenzione alla difesa fitosanitaria,<br />

questa cv. è da riproporre in quanto espressione di<br />

maggiore precocità con conseguenti riflessi economici<br />

più favorevoli. Le caratteristiche merceologiche<br />

degli ibridi, in generale, sono risultate omogenee per<br />

forma, colore, diametro e compattezza dell'apice <strong>dei</strong><br />

turioni. L'opportunità di sfruttare condizioni climatiche<br />

idonee a favorire la precocità di raccolta, insieme<br />

all'appropriata scelta varietale e alla corretta gestione<br />

agronomica <strong>dei</strong> campi, indicano nell'asparago una<br />

nuova specie orticola dagli interessanti aspetti economici<br />

da introdurre nel Salento.<br />

E' ovvio che la ricerca deve continuare per validare<br />

altri ibridi, sia in coltura da pieno campo che in coltura<br />

protetta, al fine di ottenere produzioni molto precoci<br />

già dai primi dell'anno, periodo in cui l'Italia è<br />

importatrice netta.<br />

Bibliografia:<br />

Brunelli A., 2006 - La difesa integrata dell'asparago. <strong>Co</strong>nvegno<br />

"Interventi per migliorare produzione e qualità dell'asparago<br />

Italiano" ORTO MAC, Cesena 26-27 Gennaio.<br />

Falavigna A., Casali P. E., <strong>Al</strong>berti P., 2005. Asparago: <strong>Co</strong>nfronti<br />

varietali, L'informatore Agrario. 1: 55-59.<br />

GrecoP., PandielloV.2005--Valutazione agronomica di quattro<br />

ibridi di asparago coltivati nell'ambiente Salentino - Primi<br />

<strong>risultati</strong> - XXXVI convegno S.I.A. - Foggia 20-22<br />

Settembre, pg 294, 295.<br />

Falavigna A., Palumbo A. D. - 2001 La coltura dell'asparago.<br />

Calderini Edagricole, Maggio - Bologna.


floatingprod.qxp 25/02/2008 10.19 Pagina 59<br />

Introduzione<br />

La preparazione in IV gamma consente di commercializzare<br />

ortaggi a foglia raccolti allo stadio di rosetta,<br />

ottenibili in modo intensivo con diversi cicli di coltura<br />

all'anno e più tagli per ciclo (per alcune specie), in<br />

suolo o fuori suolo, ma prevalentemente in ambiente<br />

protetto. Per livello di ricavi, impiego di risorse materiali<br />

e umane e rapporti di filiera questo indirizzo produttivo<br />

può costituire una valida alternativa al tabacco<br />

e risponde a una crescente domanda di insalate pronte<br />

al consumo. La 'minima' trasformazione impiegata<br />

controlla male la microflora, che continua a svilupparsi<br />

anche a bassa temperatura nell'ambiente saturo di<br />

umidità dell'imballaggio e contribuisce alla degradazione<br />

del prodotto, riducendone il valore alimentare e<br />

la vita commerciale (Beuchat, 2000; Ragaert et al,<br />

2007). Per ottenere prodotti sicuri e di sufficiente durata<br />

commerciale occorre materia prima di elevata qualità<br />

e igiene e la coltivazione su pannelli flottanti<br />

potrebbe migliorare le possibilità di controllo a tale<br />

riguardo. In questa nota riportiamo <strong>risultati</strong> di produzione<br />

e qualità di aspetto di rucola e valerianella ottenute<br />

in prove di coltura su pannelli flottanti. In altra<br />

nota della stessa pubblicazione sono riportati i <strong>risultati</strong><br />

di qualità microbiologica.<br />

Materiali e metodi<br />

Un esperimento esplorativo è stato condotto con rucola<br />

'selvatica' (Diplotaxis tenuifolia DC) e valerianella<br />

(Valerianella locusta L.) nell'estate 2007 in una serra<br />

climatizzata del CRA-ORT, come fase preliminare del<br />

trasferimento a collaboratori tabacchicoltori. Le due<br />

specie vegetali sono state saggiate in un disegno 2 5 in<br />

combinazione con i seguenti fattori a due livelli: substrato<br />

(torba e perlite), soluzione nutritiva (intera e<br />

ridotta), ossigenazione dell'acqua (si e no), densità di<br />

semina, con livelli di piante/mq variabili per substrato<br />

e specie (rucola/torba 2781-4024, rucola/perlite 1698-<br />

1858, valerianella/torba 2771-2810, valerianella/perlite<br />

1960-2713). I due substrati sono stati adoperati in<br />

periodi successivi (torba a giugno, perlite a luglio-agosto),<br />

ma il confondimento con il periodo non dovrebbe<br />

causare dubbi attribuzione per gli effetti associati<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 59<br />

Insalatine da taglio come alternativa al tabacco: produzione e<br />

qualità di aspetto di colture su pannelli flottanti<br />

Bacco A, Chiancone I, De Luca I, Piro F, Stipic M, Venezia A<br />

CRA-ORT, Centro di Ricerca per l'Orticoltura,<br />

Via cavalleggeri 25, 84098 Pontecagnano (SA);<br />

accursio.venezia@entecra.it<br />

alla diversità <strong>dei</strong> substrati, data la contiguità <strong>dei</strong> due<br />

periodi nell'ambito della stessa stagione estiva. <strong>Co</strong>me<br />

supporti sono stati utilizzati pannelli da 40 celle, collocati<br />

in batterie di vasche di dimensioni leggermente<br />

superiori, contenenti 40 litri di soluzione. La soluzione<br />

nutritiva ridotta aveva una concentrazione pari a due<br />

terzi di quella intera, che era composta da (meq/L): Na<br />

(1,7), N-NH 4 (3,0), K (10,5), Mg (6,0), Ca (10), Cl (2),<br />

N-NO 3 (18), P-H 2 PO 4 (3), S-SO 4 (7,5), HCO 3 (5,8).<br />

L'ossigenazione delle vasche è stata realizzata con<br />

comuni ossigenatori da acquario. Dopo la semina<br />

(manuale) i pannelli sono rimasti in ambiente climatizzato<br />

fino all'emergenza delle piantine, stadio al quale<br />

sono stati trasferiti nelle vasche. Il prodotto, raccolto<br />

allo stadio di rosetta, con foglie lunghe una dozzina di<br />

centimetri per la rucola e più piccole per la valerianella,<br />

è stato misurato come massa fresca e sostanza secca<br />

per unità di superficie, ed è stato valutato per la qualità<br />

dell'aspetto in base a un indice su scala ordinale 1:9,<br />

media geometrica di punteggi nella stessa scala separati<br />

per integrità, freschezza, colore e odore. Per l'analisi<br />

delle risposte, eseguita secondo un modello lineare<br />

generale, è stato utilizzato l'ambiente R (R<br />

Development <strong>Co</strong>re Team, 2007) con il pacchetto contribuito<br />

Hmisc (Harrell, 2007).<br />

Risultati e discussione<br />

La produzione di massa fresca non ha mostrato effetti<br />

di rilievo per la concentrazione della soluzione nutritiva<br />

ed è variata con la densità di semina in modo differente<br />

per le due specie a seconda del substrato (fig. 1).<br />

Il campo di densità effettive è risultato abbastanza in<br />

linea con quello programmato nella maggior parte<br />

delle condizioni, salvo che per rucola su perlite e valerianella<br />

su torba nelle vasche non ossigenate, dove si è<br />

molto ridotto. Sulla perlite i semi hanno incontrato difficoltà<br />

di aderenza al substrato e rischi di insufficienti<br />

disponibilità idriche, con riduzioni e ritardi di germinazione,<br />

solo parzialmente alleviati con la subirrigazione.<br />

La produzione di massa fresca, nettamente<br />

superiore per la rucola in relazione alla diversità delle<br />

strutture vegetative e delle modalità di raccolta delle<br />

due specie, è aumentata con l'incremento di densità<br />

per entrambe le specie su perlite, ma soltanto per la<br />

rucola, e a un tasso di incremento minore, su torba,<br />

dove invece la valerianella ha mostrato una risposta


floatingprod.qxp 25/02/2008 10.19 Pagina 60<br />

60 Bacco et al Insalatine, produzione e qualità su pannelli flottanti ..<br />

Fig. 1. Prodotto fresco, stimato con bande di confidenza al 95% in<br />

funzione della densità effettiva, della specie vegetale, del substrato<br />

e dell'ossigenazione dell'acqua della vasca.<br />

Fig. 2. <strong>Co</strong>ncentrazione di sostanza secca in funzione del livello di<br />

produzione di massa fresca, della specie vegetale, del substrato e<br />

dell'ossigenazione dell'acqua della vasca.<br />

tendenzialmente negativa. La minore risposta alla densità<br />

della rucola su torba è dovuta probabilmente al<br />

campo di densità più estremo, in media del 50% più<br />

alto rispetto a quello su perlite. L'ossigenazione delle<br />

vasche ha avuto un effetto modesto, ma generalmente<br />

positivo sulla produzione di massa verde. La concentrazione<br />

di sostanza secca, relativamente più alta per la<br />

valerianella, è comunque diminuita per entrambe le<br />

specie con l'aumento della produzione di massa fresca<br />

per unità di superficie, e quindi con la maggiore fittezza<br />

di semina (fig. 2). I valori particolarmente bassi di<br />

sostanza secca si possono spiegare con lo stadio molto<br />

precoce delle foglie raccolte.<br />

Il punteggio per la qualità di aspetto delle foglie alla<br />

raccolta è stato generalmente superiore per la rucola,<br />

per la quale si è avvicinato al limite superiore della<br />

scala, anche se una differente percezione degli attributi<br />

qualitativi per le due specie può aver contribuito a tale<br />

divario (fig. 3). A bassi livelli di densità e su perlite il<br />

livello di produzione si è accompagnato a un miglioramento<br />

dell'aspetto, mentre a densità superiori e su torba<br />

l'aspetto ha mostrato una lieve tendenza a peggiorare<br />

con l'incremento della produzione. Nel complesso, una<br />

produzione di buon livello è risultata positivamente<br />

correlata con un buon aspetto delle foglie (fig. 4).<br />

Sull'insieme delle condizioni sperimentate i livelli<br />

medi stimati di produzione di massa fresca, con intervallo<br />

di confidenza al 95%, sono <strong>risultati</strong> di 1,9±0,3<br />

kg/mq per la rucola e di 1,1±0,6 kg/mq per la valerianella,<br />

che ai prezzi correnti consentono di attendere<br />

per condizioni simili ricavi per ciclo di coltura tra<br />

24.000 e 32.000 euro/ha con la rucola e tra 11.000<br />

38.000 euro/ha con la valerianella.<br />

Fig. 3. Punteggio per la qualità di aspetto del prodotto fresco, stimato<br />

con bande di confidenza al 95%, in funzione della densità effettiva<br />

della specie, del substrato e dell'ossigenazione dell'acqua della vasca.<br />

Fig. 4. Punteggio per la qualità di aspetto del prodotto fresco in funzione<br />

del livello di produzione di massa fresca, della specie vegetale,<br />

del substrato e dell'ossigenazione dell'acqua della vasca.<br />

Letteratura citata<br />

Beuchat L, 2000. Surface decontamination of fruits and vegetables<br />

eaten raw. World Healt Organisation, WHO/FSF/FOS/98.2<br />

Harrell F e molti altri utenti, 2007. Hmisc: Harrell<br />

Miscellaneous. R package version 3. 0-12,<br />

http://biostat.mc.vanderbilt.edu/s/Hmisc.<br />

R Development <strong>Co</strong>re Team, 2007. R: A Language and Environment<br />

for Statistical <strong>Co</strong>mputing. R Foundation for Statistical<br />

<strong>Co</strong>mputing, Vienna, Austria, http://www. R-project. org.<br />

Ragaert P, Devlieghere F, Debevere J, 2007. Role of microbiological<br />

and physiological spoilage mechanisms during storage<br />

of minimally processed vegetables. Postharvest Biol.<br />

Technol. 44,185-194.


floatingmicro.qxp 25/02/2008 10.16 Pagina 61<br />

Introduzione<br />

La preparazione in IV gamma consente di commercializzare<br />

ortaggi a foglia raccolti allo stadio di rosetta,<br />

ottenuti da diversi cicli di coltura all'anno e da più tagli<br />

per ciclo (per alcune specie), in suolo o fuori suolo,<br />

prevalentemente in tunnel-serre. Per livello di ricavi,<br />

impiego di risorse materiali e umane e rapporti di filiera<br />

questo indirizzo produttivo può costituire una valida<br />

alternativa al tabacco e risponde a una crescente<br />

domanda di insalate pronte al consumo. La 'minima'<br />

trasformazione impiegata controlla male la microflora,<br />

che continua a svilupparsi anche a bassa temperatura<br />

nell'ambiente saturo di umidità dell'imballaggio e contribuisce<br />

alla degradazione del prodotto, riducendone<br />

il valore alimentare e la vita commerciale (Beuchat,<br />

2000; Ragaert et al, 2007). In tali condizioni una contaminazione<br />

con microrganismi patogeni può creare<br />

situazioni di rischio. Per ottenere prodotti sicuri e di<br />

sufficiente durata commerciale occorre materia prima<br />

di elevata qualità e igiene e la coltivazione su pannelli<br />

flottanti potrebbe migliorare le possibilità di controllo<br />

a tale riguardo. In questa nota si riportano le caratteristiche<br />

microbiologiche di foglie di rucola e valerianella<br />

ottenute in prove di coltura su pannelli flottanti.<br />

Materiali e metodi<br />

Un esperimento esplorativo è stato condotto con rucola<br />

'selvatica' (Diplotaxis tenuifolia DC) e valerianella<br />

(Valerianella locusta L.) nell'estate 2007 in una serra<br />

climatizzata del CRA-ORT, come fase preliminare del<br />

trasferimento a collaboratori tabacchicoltori. Oltre alle<br />

due specie vegetali sono stati saggiati a due livelli i fattori:<br />

substrato (torba e perlite), soluzione nutritiva<br />

(intera e ridotta di un terzo), ossigenazione dell'acqua<br />

(si e no), densità di semina, con livelli di pinte/mq<br />

variabili per substrato e specie (rucola su torba 2781-<br />

4024, rucola su perlite 1698-1858, valerianella su<br />

torba 2771-2810, valerianella su perlite 1960-2713).<br />

<strong>Co</strong>me supporti sono stati utilizzati pannelli da 40 celle,<br />

collocati in vasche di dimensioni leggermente superiori,<br />

contenenti 40 litri di soluzione nutritiva.<br />

Il prodotto è stato esaminato per la carica microbica<br />

totale, i batteri coliformi e i miceti alla raccol-<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 61<br />

Insalatine da taglio come alternativa al tabacco: qualità microbiologica<br />

del prodotto da colture su pannelli flottanti<br />

Caponigro V, Chiancone I, De Luca I, Marrollo P, Piro F, Stipic M<br />

CRA-ORT, Centro di Ricerca per l'Orticoltura,<br />

Via cavalleggeri 25, 84098 Pontecagnano (SA);<br />

idachiancone@libero.it<br />

ta e dopo conservazione per 5-7 giorni in imballaggio<br />

plastico a 4-6 °C, seguendo procedure ordinarie<br />

della conta su piastra: omogenazione di campioni di<br />

25 grammi in 100 ml di acqua peptonata sterile a<br />

pH 6,8 per 120 secondi, diluizione seriale delle<br />

sospensioni, inseminazione di aliquote su terreni<br />

appropriati in piastre Petri, incubazione in termostato<br />

per 24-48 ore e conta delle colonie. La qualità<br />

dell'aspetto è stata valutata con un punteggio su<br />

scala 1:9 aggregando i punteggi sulla stessa scala<br />

assegnati per integrità, freschezza, colore e odore.<br />

Le risposte sono state analizzate secondo un<br />

modello lineare generale, utilizzando l'ambiente R<br />

(R Development <strong>Co</strong>re Team, 2007) con il pacchetto<br />

contribuito Hmisc (Harrell, 2007).<br />

Risultati e discussione<br />

La carica totale di batteri è variata tra 5,85 e 7,64<br />

Log UFC/g, soprattutto per differenze tra le due<br />

specie vegetali e in misura minore per effetti degli<br />

altri fattori considerati. La valerianella ha presentato<br />

un livello di carica più alto rispetto alla rucola,<br />

di due ordini di grandezza su perlite e di un ordine<br />

di grandezza su torba, in parte perché il prodotto<br />

comprende anche colletto e radici delle piantine,<br />

presumibilmente più cariche di microflora perché a<br />

contatto con il substrato (fig. 1). La carica microbica<br />

è generalmente aumentata con la fittezza delle<br />

piante e durante la conservazione a bassa temperatura<br />

ed è risultata più alta con il substrato di perlite<br />

che con quello di torba per la valerianella, mentre<br />

al contrario è stata più alta con il substrato di torba<br />

per la rucola. L'ossigenazione dell'acqua della<br />

vasca ha ridotto di circa un mezzo Log UFC/g la<br />

carica totale della valerianella su perlite e della<br />

rucola su torba, ma non ha mostrato effetti di rilievo<br />

negli altri casi.<br />

La carica di batteri coliformi è variata tra 2,76<br />

e 5,62 Log UFC/g, con livelli tendenzialmente più<br />

alti per valerianella nel prodotto ottenuto su torba<br />

(fig. 2). Durante la conservazione la componente<br />

coliformi della popolazione batterica ha mostrato<br />

una dinamica relativamente più vivace, soprattutto<br />

per il materiale vegetale prodotto su torba con ossigenazione<br />

della vasca e per quello prodotto su perlite<br />

senza ossigenazione della vasca. L'assenza di


floatingmicro.qxp 25/02/2008 10.17 Pagina 62<br />

62 Caponigro et al Insalatine, qualità microbiologica su pannelli flottanti ..<br />

Fig. 1. Carica totale di batteri sul prodotto fresco e conservato, stimata<br />

con bande di confidenza al 95%, in funzione della densità<br />

effettiva, della specie vegetale, del substrato e dell'ossigenazione<br />

dell'acqua della vasca.<br />

Fig. 2. Cariche di batteri coliformi in rapporto alla carica batterica<br />

totale sul prodotto fresco e conservato in funzione della specie<br />

vegetale, del substrato e dell'ossigenazione dell'acqua della<br />

vasca.<br />

E. coli (una sola determinazione positiva) è indice<br />

di una buona qualità igienica del sistema.<br />

La popolazione di funghi e lieviti è variata tra<br />

2,70 e 6,20 Log UFC/g, con valori di un ordine di<br />

grandezza più alti su valerianella in confronto a<br />

rucola, che tuttavia non sono aumentati in modo<br />

rilevante con la conservazione (fig. 3). In contrasto,<br />

la micoflora presente su rucola ha mostrato una<br />

dinamica più vivace durante la conservazione,<br />

soprattutto sulle foglie prodotte con ossigenazione,<br />

ma anche su quelle ottenute su torba senza ossigenazione.<br />

La qualità dell'aspetto è peggiorata nettamente<br />

con la conservazione, in modo più drastico per la<br />

rucola prodotta su torba e per la valerianella prodotta<br />

su perlite (fig. 4). Il peggioramento dell'aspetto<br />

e l'aumento della carica microbica totale contrassegnano<br />

l'inevitabile degradazione del prodotto con<br />

Fig. 3. Cariche di miceti in rapporto alla carica batterica totale sul prodotto<br />

fresco e conservato in funzione della specie vegetale, del substrato<br />

e dell'ossigenazione dell'acqua della vasca.<br />

Fig. 4. in rapporto alla carica batterica totale sul prodotto fresco e<br />

conservato in funzione della specie vegetale, del substrato e dell'ossigenazione<br />

dell'acqua della vasca.<br />

l'allontanamento dalla raccolta, nonostante l'attenuazione<br />

del processo con la refrigerazione.<br />

La qualità microbiologica di rucola e valerianella<br />

prodotte su pannelli flottanti ha mostrato un<br />

livello complessivo leggermente migliore di quello<br />

delle colture in suolo ed è risultata sensibile in<br />

discreta misura ai fattori considerati per la tecnica<br />

di produzione, che pertanto è suscettibile di adattamenti<br />

migliorativi.<br />

Letteratura citata<br />

Beuchat L, 2000. Surface decontamination of fruits and vegetables<br />

eaten raw. World Healt Organisation, WHO/FSF/FOS/98.2<br />

Harrell F e molti altri utenti, 2007. Hmisc: Harrell Miscellaneous.<br />

R package version 3. 0-12,<br />

http://biostat.mc.vanderbilt.edu/s/Hmisc.<br />

R Development <strong>Co</strong>re Team, 2007. R: A Language and<br />

Environment for Statistical <strong>Co</strong>mputing. R Foundation for<br />

Statistical <strong>Co</strong>mputing, Vienna, Austria, http://www. R-project.<br />

org.<br />

Ragaert P, Devlieghere F, Debevere J, 2007. Role of microbiological<br />

and physiological spoilage mechanisms during storage of<br />

minimally processed vegetables. Postharvest Biol. Technol.<br />

44,185-194.


caserta.qxp 25/02/2008 10.18 Pagina 63<br />

Introduzione<br />

Per l'area del tabacco Burley in Campania l'alternativa<br />

orticola rappresenta una naturale assimilazione ai<br />

comprensori orticoli contigui. Le colture per insalatine<br />

pronte sono un segmento in espansione che per livello<br />

di ricavi, impiego di risorse materiali e umane e rapporti<br />

di filiera possono competere con il tabacco e, per<br />

la brevità del ciclo colturale, si possono ripetere più<br />

volte nel corso dell'anno, anche con più tagli per ciclo.<br />

La produzione si è estesa a circa 3000 ettari, di cui<br />

oltre metà localizzati in Campania nella piana del Sele,<br />

facendo di questa regione il principale polo produttivo<br />

del settore, con una dinamica positiva anche per il segmento<br />

della trasformazione. Le buone prospettive<br />

commerciali sussistono però solo per prodotti di elevata<br />

qualità, ottenuti in modo da minimizzare i fattori di<br />

rischio per la salute del consumatore e i fattori di deterioramento,<br />

che ne influenzano la trasformazione e<br />

conservazione. Il tipo di lavorazione riduce le alterazioni<br />

del prodotto fresco, ma non consente un controllo<br />

pieno <strong>dei</strong> processi metabolici <strong>dei</strong> vegetali e non<br />

impedisce lo sviluppo della microflora presente, che<br />

continua anche a bassa temperatura nell'ambiente saturo<br />

di umidità dell'imballaggio e contribuisce alla<br />

degradazione del prodotto, riducendone il valore alimentare<br />

e la vita commerciale (Beuchat, 2000;<br />

Ragaert et al, 2007). Pertanto l'introduzione di colture<br />

per IV gamma nei piani di produzione impone il<br />

rispetto di nuovi protocolli colturali e di gestione <strong>dei</strong><br />

prodotti, per cui è prevedibile un periodo di sperimentazione<br />

e adattamento aziendale per raggiungere livelli<br />

qualitativi soddisfacenti. Nel lavoro oggetto di questa<br />

nota abbiamo valutato i <strong>risultati</strong> produttivi (qui<br />

riportati) e qualitativi (esposti in altra di questa pubblicazione)<br />

della coltura di insalate da taglio in tunnel e<br />

in pien'aria in aziende tabacchicole casertane.<br />

Materiali e metodi<br />

L'esperimento è stato condotto tra aprile 2006 e settembre<br />

2007 in due aziende (IC e IM) coltivando quattro<br />

specie (bietola, var. Bubard chard; lattuga, var. G8; spi-<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 63<br />

Insalatine da taglio come alternativa al tabacco: livelli di<br />

produzione di colture in suolo<br />

Bacco A*, <strong>Co</strong>rreale A, <strong>Co</strong>zzolino E**, Leone V**, Piro F*<br />

*CRA-ORT, Centro di ricerca per l'orticoltura, Via cavalleggeri<br />

25, 84098 Pontecagnano (SA); filippo.piro@entecra.it<br />

**CRA-CAT, Unità di ricerca per le colture alternative al tabacco,<br />

Via Vitiello 106, 84018 Scafati (SA)<br />

nacio, var. Ibrid F1 Power; rucola selvatica ordinaria)<br />

in otto cicli successivi in tunnel (apr-06, lug-06, nov-<br />

06, mar-07, mag-07, giu-07, lug-07, set-07) e cinque<br />

cicli in pien'aria (giu-06, lug-06, giu-07, lug-07, set-<br />

07). Tutti i cicli suddetti sono stati realizzati nell'azienda<br />

IC, mentre solo gli ultimi tre in pien'aria e gli ultimi<br />

quattro in tunnel sono stati replicati nell'azienda IM. La<br />

lattuga è mancata in un ciclo, spinacio e rucola in due.<br />

Le colture in ambiente protetto sono state realizzate in<br />

due tunnel larghi 5,5m e lunghi 50m, dotati di impianto<br />

irriguo sospeso. Il terreno è stato preparato per il<br />

primo ciclo dell'anno con aratura a 25-30cm e due lavorazioni<br />

di affinamento, mentre per cicli successivi dell'anno<br />

è stata praticata una vangatura seguita da due<br />

lavorazioni di affinamento. Un intervento di diserbo<br />

presemina è stato eseguito con lenacil (750 g/ha) per lo<br />

spinacio e con benfluralin (4 L/ha) per le altre specie.<br />

Rucola e lattuga sono state seminate a righe distanziate<br />

7cm, bietola e spinacio a spaglio, impiegando rispettivamente<br />

6, 30, 110 e 110 kg/ha di seme. Le misure<br />

fitosanitarie hanno compreso la concia del seme di spinacio<br />

(metalaxil-M), un intervento contro peronospora<br />

(cymoxanil), botrite (iprodione) e nottue (deltametrina)<br />

della lattuga e peronospora (ossicloruro di rame) e altica<br />

(deltametrina) della rucola. Il livello di resa in prodotto<br />

fresco è stato determinato pesando le foglie raccolte<br />

su tre aree di saggio per parcella individuate con<br />

metodo casuale e assegnando un punteggio in scala 1:9<br />

per il grado di purezza da infestanti. Le risposte sono<br />

state analizzate nell'ambiente R base (R Development<br />

<strong>Co</strong>re Team, 2006) anche con funzioni della libreria<br />

Hmisc (Harrell, 2006) utilizzando per le combinazioni<br />

<strong>dei</strong> fattori specie, ciclo, ambiente e azienda un modello<br />

lineare generale e per i livelli medi di resa delle specie<br />

un modello misto, con le combinazioni ciclo-ambiente<br />

considerate fattore casuale.<br />

Risultati e discussione<br />

Il livello di produzione è variato prevalentemente<br />

con la specie e il periodo del ciclo colturale, con<br />

modeste differenze tra pien'aria e tunnel e minime<br />

tra le due aziende. A parità di lunghezza del ciclo<br />

colturale (variabile con la stagione intorno a un<br />

mese) e alle densità di semina impiegate, la lattuga<br />

ha fornito le rese di foglie recise più alte, con<br />

mediana di 2 kg/mq e intervallo di confidenza al


caserta.qxp 25/02/2008 10.18 Pagina 64<br />

64 Bacco et al Insalatine, produzione in suolo ...<br />

Fig. 1. Prodotto di foglie recise (medie con intervalli di confidenza<br />

al 95%) da quattro specie vegetali in 13 cicli di coltura (8 in tunnel<br />

e 5 in pien'aria) da aprile 2006 a settembre 2007 in due aziende<br />

tabacchicole casertane (indicate dai simboli). In alto a destra i livelli<br />

mediani di resa delle specie vegetali.<br />

Fig. 2. Effetti del ciclo e dell'ambiente di coltura, al netto delle differenze<br />

tra le specie, sulla produzione di insalatine da taglio.<br />

95% di 1,7-2,3 kg/mq, la rucola quelle più basse,<br />

con mediana 1,3 kg/mq e intervallo di confidenza<br />

al 95% di 1-1,6 kg/mq (fig. 1). A parità di ciclo e<br />

specie i livelli di resa sono in qualche caso <strong>risultati</strong><br />

molto differenti tra le due aziende, ma in modo<br />

non sistematico. <strong>Al</strong> netto delle differenze tra le specie,<br />

il livello di resa in pien'aria è stato di 0,24<br />

kg/mq più alto rispetto al tunnel. Gli effetti stimati<br />

per il periodo colturale, pur raggiungendo una differenza<br />

1,23 kg/mq (tra lug-07 all'aria e lug-06 in<br />

tunnel), non sembrano collegabili alla stagione,<br />

anche perché le condizioni termiche stagionali vengono<br />

neutralizzate variando la lunghezza del ciclo<br />

e raccogliendo a livelli di sviluppo comparabili. Il<br />

controllo della vegetazione estranea è risultato inadeguato<br />

in entrambe le aziende, specialmente in<br />

Fig. 3. Livello di purezza specifica delle produzioni di insalatine da<br />

taglio in due aziende (distinte dal colore) in rapporto al livello di produzione,<br />

al ciclo (indicato dalle abbreviazioni), alla specie vegetale e<br />

all'ambiente.<br />

alcuni cicli (giu-07, mar-07, lug-06, nov-06), problema<br />

che non si dovrebbe presentare una volta<br />

consolidata l'esperienza di questo tipo di coltura<br />

(fig. 3).<br />

Per un ciclo di produzione nelle condizioni dell'ambiente<br />

casertano si possono prevedere ai prezzi<br />

correnti i seguenti livelli di ricavi in migliaia di euro<br />

per ettaro: 23-32 per lattuga, 21-30 per bietola, 21-29<br />

per spinacio e 14-23 per rucola. Certamente la coltivazione<br />

di insalatine comporta un elevato livello di<br />

investimenti, ma quest'ordine di ricavi per un ciclo di<br />

un mese ne fa un'alternativa interessante per i tabacchicoltori<br />

con strutture adeguate.<br />

Ringraziamenti. Gli autori ringraziano le signore Maria<br />

e Clementina Izzo di Sparanise, per l'ottima assistenza<br />

alla conduzione <strong>dei</strong> saggi nelle rispettive aziende.<br />

Letteratura citata<br />

Beuchat L, 2000. Surface decontamination of fruits and vegetables<br />

eaten raw. World Healt Organisation, WHO/FSF/FOS/98.2<br />

Harrell F e molti altri utenti, 2007. Hmisc: Harrell Miscellaneous.<br />

R package version 3. 0-12,<br />

http://biostat.mc.vanderbilt.edu/s/Hmisc.<br />

R Development <strong>Co</strong>re Team, 2007. R: A Language and<br />

Environment for Statistical <strong>Co</strong>mputing. R Foundation for<br />

Statistical <strong>Co</strong>mputing, Vienna, Austria, http://www. R-project.<br />

org.<br />

Ragaert P, Devlieghere F, Debevere J, 2007. Role of microbiological<br />

and physiological spoilage mechanisms during storage of<br />

minimally processed vegetables. Postharvest Biol. Technol.<br />

44,185-194


sparanise.qxp 25/02/2008 10.17 Pagina 65<br />

Introduzione<br />

Le colture per insalatine pronte, che si possono ripetere<br />

più volte nel corso dell'anno, possono competere<br />

con il tabacco per livello di ricavi, impiego di risorse<br />

materiali e umane e coordinamento di filiera. Il tipo di<br />

lavorazione riduce le alterazioni del prodotto fresco,<br />

ma non consente un controllo pieno <strong>dei</strong> processi metabolici<br />

<strong>dei</strong> vegetali e non impedisce lo sviluppo della<br />

microflora presente, che continua anche a bassa temperatura<br />

nell'ambiente saturo di umidità dell'imballaggio<br />

(Beuchat, 2000; Ragaert et al, 2007). <strong>Al</strong>la raccolta<br />

le insalate da taglio presentano cariche microbiche<br />

variabili in funzione dell'ambiente e delle modalità di<br />

produzione e la microflora non patogena, benché non<br />

necessariamente problematica sotto il profilo igienicoalimentare,<br />

contribuisce a degradare i tessuti vegetali,<br />

abbreviando la durata della vita commerciale <strong>dei</strong> prodotti.<br />

Questi vegetali devono presentare pertanto una<br />

bassa carica microbica alla raccolta. Va inoltre considerato<br />

il rischio di contaminazione con microrganismi<br />

patogeni, il controllo <strong>dei</strong> quali va perseguito in tutte le<br />

componenti della filiera (Brackett, 1999).<br />

Nel lavoro oggetto di questa nota abbiamo studiato<br />

la qualità delle insalatine da taglio coltivate per saggio<br />

in aziende tabacchicole casertane e qui riportiamo<br />

alcuni <strong>risultati</strong> delle determinazioni eseguite alla raccolta.<br />

Materiali e metodi<br />

L'esperimento è stato condotto tra aprile 2006 e settembre<br />

2007 in due aziende (IC e IM) con quattro specie<br />

(bietola, lattuga, spinacio, rucola) in otto cicli successivi<br />

in tunnel (apr-06, lug-06, nov-06, mar-07,<br />

mag-07, giu-07, lug-07, set-07) e cinque cicli in pien'aria<br />

(giu-06, lug-06, giu-07, lug-07, set-07) realizzati<br />

nell'azienda IC, con gli ultimi tre in pien'aria e gli<br />

ultimi quattro in tunnel replicati nell'azienda IM.<br />

Maggiori dettagli sulla gestione delle colture sono<br />

riportati in una nota collegata in questa pubblicazione.<br />

I campioni di prodotto trasportati dal campo al laboratorio<br />

in contenitori refrigerati sono stati valutati per<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 65<br />

Insalatine da taglio come alternativa al tabacco: qualità del<br />

prodotto da colture in suolo<br />

Amato L, Chiancone I, Caponigro V, De Luca I, Marrollo P, Piro F<br />

CRA-ORT, Centro di Ricerca per l'Orticoltura,<br />

Via cavalleggeri 25, 84098 Pontecagnano (SA);<br />

vittorio.caponigro@entecra.it<br />

integrità, sanità, freschezza, tipicità del colore e dell'odore<br />

in base a una scala ordinale da 1 a 9 e la media<br />

geometrica <strong>dei</strong> punteggi è stata analizzata come indice<br />

globale della qualità di aspetto. La qualità microbiologica<br />

è stata valutata determinando la carica microbica<br />

totale, i batteri coliformi ed E. coli secondo procedure<br />

ordinarie della conta su piastra: omogenazione di campioni<br />

di 25 grammi in 100 ml di acqua peptonata sterile<br />

a pH 6,8 per 120 secondi, diluizione seriale delle<br />

sospensioni, inseminazione di aliquote su terreni<br />

appropriati in piastre Petri, incubazione in termostato<br />

per 24-48 ore e conta delle colonie. L'indice della qualità<br />

di aspetto e i valori logaritmici di carica microbica<br />

sono stati analizzati nell'ambiente R base (R<br />

Development <strong>Co</strong>re Team, 2007) utilizzando anche<br />

funzioni delle librerie Hmisc (Harrell, 2007) e lme4<br />

(Bates, 2007) per la rappresentazione grafica e l'adattamento<br />

di modelli di risposta ai fattori specie, periodo<br />

del ciclo, ambiente e azienda.<br />

Risultati e discussione<br />

La carica microbica totale a livello campionario è<br />

variata tra 4,83 e 8,70 Log UFC/g, con mediana<br />

7,13; quella <strong>dei</strong> batteri coliformi tra 2,91 e 8,23,<br />

con mediana 6,13; E. coli è stato rinvenuto abbastanza<br />

frequentemente e in oltre il 10% <strong>dei</strong> casi a<br />

livelli superiori a 3 Log, indice di un livello di igiene<br />

insoddisfacente, dovuto sicuramente alla novità<br />

della coltura per le aziende, soprattutto rispetto alle<br />

esigenze di profilassi.<br />

La carica microbica totale è stata influenzata<br />

dal periodo del ciclo colturale e dalla parcella di<br />

terreno, mentre la specie vegetale, l'ambiente (tunnel<br />

vs pien'aria) e l'azienda hanno dato luogo a differenze<br />

non sistematiche e complessivamente di<br />

piccola entità (fig. 1). Le produzioni estive si sono<br />

caratterizzate per maggiori livelli di carica microbica<br />

rispetto a quelle primaverili e nel caso più<br />

estremo (giugno 2007 contro aprile 2006) lo scarto<br />

si è avvicinato a due ordini di grandezza. La difficoltà<br />

di ottenere livelli contenuti di carica microbica<br />

sulle produzioni estive è ben nota nel settore e<br />

questi <strong>risultati</strong> indicano che l'area considerata difficilmente<br />

si può proporre come complementare per<br />

queste colture al centro di produzione della piana<br />

del Sele, come sarebbe auspicabile in una prospet-


sparanise.qxp 25/02/2008 10.17 Pagina 66<br />

66 Amato et al Insalatine, qualità del prodotto da colture in suolo ..<br />

Fig. 1. rica batterica totale (medie con intervalli di confidenza al 95%) sulle foglie fresche di quattro specie vegetali in 13 cicli di coltura<br />

(8 in tunnel e 5 in pien'aria) da aprile 2006 a settembre 2007 in due aziende tabacchicole casertane (indicate dai simboli). <strong>Al</strong> margine<br />

destro sono riportati come scarti gli effetti del periodo-ambiente, al netto delle differenze tra specie.<br />

Fig. 2. Cariche E. coli e di batteri coliformi sulle foglie fresche di<br />

quattro specie vegetali in 13 cicli di coltura (8 in tunnel e 5 in pien'aria)<br />

da aprile 2006 a settembre 2007 (indicati con abbreviazioni-simboli),<br />

in due aziende tabacchicole casertane (distinte dal<br />

colore).<br />

Fig. 3. Indice della qualità di aspetto in rapporto alla carica microbica<br />

totale sulle foglie fresche di quattro specie vegetali in 13 cicli di coltura<br />

(8 in tunnel e 5 in pien'aria) da aprile 2006 a settembre 2007 (indicati<br />

con abbreviazioni-simboli), in due aziende tabacchicole casertane<br />

(distinte dal colore).<br />

tiva di coordinamento geografico-stagionale della<br />

produzione. Le cariche di batteri coliformi sono<br />

risultate correlate con quelle totali, ma per bietola e<br />

lattuga sono risultate più alte sulle foglie prodotte in<br />

tunnel, mentre il livello di presenza di E. coli non<br />

sembra sia stato influenzato allo stesso modo dalla<br />

stagionalità (fig. 2). La qualità dell'aspetto è risultata<br />

inversamente correlata alla carica microbica totale<br />

per le produzioni in tunnel, ma non per quelle in<br />

pien'aria, e nel complesso è risultata piuttosto<br />

mediocre dopo il trasporto al laboratorio (fig. 3).<br />

I <strong>risultati</strong> di questi saggi indicano che il tipo di<br />

coltura, pur non presentando difficoltà agronomiche<br />

per il tabacchicoltore in possesso di strutture<br />

adeguate, richiede un affinamento della pratica e<br />

un livello di controllo a cui bisogna abituarsi.<br />

Letteratura citata<br />

Bates D, 2007. lme4: Linear mixed-effects models using S4 classes.<br />

R package version 0.99875-7.<br />

Beuchat L, 2000. Surface decontamination of fruits and vegetables<br />

eaten raw. World Healt Organisation, WHO/FSF/FOS/98.2<br />

Brackett RE, 1987. Microbiological consequences of minimally<br />

processed fruits and vegetables. J. Food Qual. 10, 195-206.<br />

Harrell F e molti altri utenti, 2007. Hmisc: Harrell Miscellaneous.<br />

R package version 3.0-12,<br />

http://biostat.mc.vanderbilt.edu/s/Hmisc.<br />

R Development <strong>Co</strong>re Team, 2007. R: A Language and<br />

Environment for Statistical <strong>Co</strong>mputing. R Foundation for<br />

Statistical <strong>Co</strong>mputing, Vienna, Austria, http://www.R-project.org.<br />

Ragaert P, Devlieghere F, Debevere J, 2007. Role of microbiological<br />

and physiological spoilage mechanisms during storage of<br />

minimally processed vegetables. Postharvest Biol. Technol.<br />

44,185-194.


CNRISAFOM.qxp 25/02/2008 10.09 Pagina 67<br />

Introduzione<br />

Chenopodium quinoa Willd. è una pianta annuale originaria<br />

degli altopiani andini dove era coltivata già<br />

5000 anni fa. Questa specie fu domesticata probabilmente<br />

nella regione del lago Titicaca dove è presente<br />

la maggior diversità genetica (Casini, 2002). La<br />

Quinoa è una specie resistente allo stress idrico e salino,<br />

si sviluppa in ambienti con suoli acidi ed alcalini<br />

(Jacobsen et al., 2005) ed è adattabile al fotoperiodo<br />

(Bertero, 2001). La Quinoa non contiene glutine e possiede<br />

un alto valore nutrizionale; i semi contengono<br />

mediamente una percentuale di proteine totali del<br />

14.6% composta da amminoacidi essenziali tra cui i<br />

principali sono: lisina, metionina, treonina, istidina e<br />

arginina (Ruales e Nair, 1992). <strong>Co</strong>n la presente prova<br />

si è inteso valutare le potenzialità produttive di questa<br />

specie in un ambiente dell'Italia centro meridionale<br />

nell'ambito delle ricerche volte ad individuare alternative<br />

colturali al tabacco.<br />

Materiali e metodi<br />

La prova sperimentale è stata condotta nel biennio<br />

2006 - 2007 presso la stazione sperimentale del CNR<br />

- ISAFoM di Vitulazio - CE - (14°50' E, 40°07' N; 25<br />

m s.l.m.). Il sito sperimentale è caratterizzato da una<br />

tessitura argillo-limosa (sostanza organica 1,31%,<br />

CaCO 3 2,51%, N 0,8‰, pH 7,6, densità apparente<br />

1,28) ed un contenuto idrico in volume (m m -3 ) di 39,4<br />

alla capacità idrica di campo (Ψ del suolo a -0,03<br />

MPa) e 21,7 al punto di appassimento (Ψ del suolo a -<br />

1,5 MPa). Sono stati posti a confronto due genotipi di<br />

quinoa: KVLQ520Y (K) ricevuto dall'International<br />

Potato Center, Lima, Perù e Regolana Baer (RB) - di<br />

provenienza cilena. Nel primo anno il genotipo K è<br />

stato seminato dal 25 gennaio ogni 15 giorni per individuare<br />

la migliore epoca di semina per l'ambiente<br />

considerato. I migliori <strong>risultati</strong> sono stati ottenuti con<br />

la semina del 5 aprile (A), quando il suolo aveva una<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 67<br />

Risposte produttive della quinoa (Chenopodium quinoa Willd)<br />

nell’areale casertano<br />

Riccardi M,* 1 Pulvento C, 1 De Luca S, 1 Iafelice G, 2 D'Amario M, 2 d'Andria R, 1<br />

Lavini A, 1 Marconi E 2<br />

1 - CNR - Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del<br />

Mediterraneo, Via Patacca 85, 80056 Ercolano (Napoli), tel.<br />

0817717325, Fax 0817718045,<br />

*e-mail: m.riccardi@isafom.cnr.it<br />

2 - Università del Molise, Dipartimento STAAM, via De<br />

Sanctis, - 86100 Campobasso<br />

temperatura di circa 7 °C. Successivamente è stata<br />

effettuata una semina tardiva di entrambe i genotipi a<br />

distanza di un mese (4 maggio). Sulla base <strong>dei</strong> <strong>risultati</strong><br />

del primo anno, nel secondo è stata eseguita una sola<br />

semina il 10 aprile. La densità di semina adottata in<br />

ogni epoca è stata di 20.000 piante ha -1 con un'interlinea<br />

di 0,5 m. La raccolta è stata eseguita il 12 e 25<br />

luglio per il genotipo K nel 2006 e il 21 luglio nel<br />

2007, mentre la RB è stata raccolta il 24 e 31 luglio<br />

rispettivamente nel 2006 e nel 2007. <strong>Al</strong>la raccolta di<br />

ciascuna epoca di semina è stata rilevata l'altezza delle<br />

piante, la sostanza secca della pianta ed il peso medio<br />

<strong>dei</strong> semi. Il disegno sperimentale era un blocco randomizzato<br />

con tre repliche. I dati raccolti sono stati sottoposti<br />

all'analisi della varianza (ANOVA) e la differenza<br />

tra le medie è stata effettuata con il test della<br />

Differenza Minima Significativa (DMS).<br />

Risultati<br />

L'andamento climatico è stato diverso nei due anni di<br />

prova soprattutto nelle fasi iniziali del ciclo colturale.<br />

Il 2006 è stato caratterizzato da precipitazioni inferiori<br />

a quelle del 2007 nel mese di aprile (25 mm vs. 57<br />

mm, nel il 2006 e 2007, rispettivamente) e maggio,<br />

mentre si sono verificati alcuni eventi piovosi nella<br />

prima decade di giugno (circa 38 mm) che hanno favorito<br />

l'emergenza e l'attecchimento in entrambe le epoche<br />

di semina. L'ET 0 del periodo Aprile - Maggio di<br />

entrambi gli anni di prova è risultato mediamente più<br />

elevato di 0,5 mm al giorno rispetto al valore medio<br />

poliennale, ed inoltre, anche le temperature massime<br />

nei due anni sono risultate più elevate delle medie<br />

poliennali.<br />

Nel 2006 l'analisi <strong>dei</strong> dati biometrici e produttivi<br />

delle due epoche di semina (A e B) del genotipo K<br />

(<strong>Ta</strong>b. 1), non hanno mostrato differenze significative<br />

in altezza, diametro del fusto e lunghezza del panicolo;<br />

mentre, la produzione in acheni è stata maggiore<br />

nella prima epoca di semina. La maggiore produzione<br />

ha determinato un harvest index, (rapporto percentuale<br />

tra produzione in acheni e biomassa secca epigea<br />

totale) significativamente più elevato nella prima<br />

epoca. <strong>Ta</strong>le comportamento è da attribuire alla riserva


CNRISAFOM.qxp 25/02/2008 10.09 Pagina 68<br />

68 Riccardi et al Risposte produttive della quinoa<br />

<strong>Ta</strong>b 1. Caratteristiche biometriche e produttive del genotipo KVLQ520Y (K) nelle due epoche di semina. E’ riportata la<br />

differenza minima significativa (DMS) per P ≤ 0,05. n.s.= non significativa.<br />

idrica accumulata nel suolo a seguito degli abbondanti<br />

eventi piovosi di marzo che, le piante della prima epoca<br />

di semina, hanno potuto utilizzare nelle prime fasi di<br />

sviluppo vegetativo. Le precipitazioni di giugno sono<br />

state utili per la fasi di fioritura, allegagione e riempimento<br />

del seme.<br />

Il confronto tra i due anni ha messo in evidenza la<br />

significatività dell'interazione anno per genotipo. I<br />

<strong>risultati</strong> (<strong>Ta</strong>b. 2) hanno mostrato il maggiore sviluppo<br />

vegetativo di RB del diametro <strong>dei</strong> fusti, altezza e biomassa<br />

totale rispetto al genotipo K. Il genotipo RB è<br />

risultato il più produttivo per la maggior ramificazione<br />

<strong>dei</strong> pannicoli (dati non riportati) che ha determinato un<br />

maggior numero di semi pianta, sebbene il peso <strong>dei</strong><br />

mille semi è risultato significativamente inferiore<br />

<strong>Co</strong>nclusioni<br />

Lo studio sull'adattabilità della Quinoa all'areale casertano<br />

ha fornito, nei due anni di prova, buone produzioni<br />

se paragonate a quelle di prove analoghe condotte in<br />

altri paesi europei o alle produzioni <strong>dei</strong> zone andini. La<br />

specie non ha mostrato particolari esigenze irrigue<br />

(sono state somministrate solo irrigazioni di soccorso)<br />

quindi potrebbe risultare utile valutare il miglioramento<br />

delle risposte della coltura a regimi irrigui a parziale<br />

soddisfacimento del consumo. In conclusione, dai<br />

<strong>risultati</strong> ottenuti si può considerare che questa specie<br />

può essere coltivata con successo negli areali dell'Italia<br />

meridionale. Si deve considerare, inoltre, la crescente<br />

richiesta del mercato di pseudo-cereali glutein free.<br />

Sono però necessarie prove sperimentali per individuare<br />

i genotipi più idonei alle condizioni pedo-climatiche<br />

locali e andrebbero approfonditi studi di tecnica<br />

agronomica per la preparazione di un protocollo di coltivazione.<br />

Bibliografia<br />

Bertero H.D., King R.W., Hall A.J. Photoperiod-sensitive development<br />

phases in Quinoa (Chenopodium quinoa Willd.).<br />

Field Crop Research. 1999; 60: 231-243.<br />

Casini P. Possibilità di introdurre la Quinoa in ambienti mediterranei.<br />

L'Inf. Agrario. 2002; 27: 29-32.<br />

Jacobsen S.E., Mauteros C., Christiansen J.L., Bravo L.A.,<br />

<strong>Co</strong>rcuera L.J., Mujica A. Plant Responses of quinoa<br />

(Chenopodium quinoa) to frost at various phenological stages.<br />

European Journal of Agronomy. 2005; 22: 131-139.<br />

Ruales J., Nair B.M. Nutritional quality of the protein in Quinoa<br />

(Chenopodium quinoa Willd.) seeds. Plant Foods Human<br />

Nutrition. 1992; 42(1): 1-11.<br />

<strong>Ta</strong>b. 2. Caratteristiche biometriche e produttive <strong>dei</strong> due genotipi in prova KVLQ520Y (K) e Regolana Baer (RB). E’ riportata<br />

la differenza minima significativa (DMS) per P ≤ 0,05. n.s.= non significativa.


CNRISAFOM.qxp 25/02/2008 10.09 Pagina 69<br />

Fabbisogno irriguo della Stevia rebaudiana (Bertoni) in<br />

ambiente centro meridionale<br />

Introduzione<br />

La Stevia rebaudiana Bert. è originaria della valle<br />

del Rio Monday nel Nord-est del Paraguay, dove<br />

gli indiani Guaranì la utilizzano come dolcificante<br />

(Midmore e Rank, 2002). Sono state descritte più<br />

di 150 specie di Stevia, ma la rebaudiana è l'unica<br />

con importanti proprietà dolcificanti (Soejarto et<br />

al., 1982). Le foglie contengono un insieme complesso<br />

di glicosidi diterpenici dolci, i principali<br />

sono: lo Stevioside e il Rebaudioside A che hanno<br />

un potere dolcificante rispettivamente di 110-270 e<br />

180-400 volte superiore rispetto al saccarosio. La<br />

Stevia può essere impiegata come dolcificante a<br />

zero calorie sotto forma di foglie fresche o in polvere,<br />

estratto disidratato, o concentrato liquido di<br />

estrazione acquosa e/o idroalcolica. I prodotti di<br />

estrazione possono essere usati in diverse preparazioni<br />

alimentari precotte e da forno poiché sono<br />

stabili a temperature fino a 200 °C e non fermentano.<br />

In medicina è impiegata come agente anti-iperglicemico<br />

per la cura di patologie della pelle, nel<br />

trattamento dell'ipertensione per la sua azione cardiotonica<br />

e per molte altre patologie. <strong>Co</strong>n il presente<br />

lavoro si sono valutate le risposte produttive e<br />

qualitative al regime irriguo della specie in un<br />

ambiente dell'Italia centro-meridionale nell'ambito<br />

delle ricerche per individuare alternative colturali<br />

al tabacco.<br />

Materiali e metodi<br />

La prova è stata condotta nel biennio 2006-2007<br />

presso il centro sperimentale di Vitulazio - CEdell'ISAFoM<br />

(14°50' E, 40°07' N). La coltura. è<br />

stata trapiantata il 20/4/ 2006 con una densità di 5<br />

piante m -2 (interlinea 0,6 m). Sono stati posti a confronto<br />

in un blocco randomizzato, tre regimi irrigui:<br />

un controllo (T100) irrigato con la restituzione<br />

del 100% del consumo idrico e due tesi a restituzione<br />

parziale del consumo rispetto alla tesi T100,<br />

66% (T66) e 33% (T33). Il turno irriguo è stato settimanale<br />

il volume di adacquamento è stato calco-<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 69<br />

Pulvento C*., Riccardi M., Romano G., De Luca S., d'Andria R., Lavini A.<br />

CNR - Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del<br />

Mediterraneo, Via Patacca 85, 80056 Ercolano (Napoli),<br />

tel. 0817717325, Fax 0817718045,<br />

*e-mail c.pulvento@isafom.cnr.it<br />

lato sulla base del contenuto idrico nello strato di<br />

suolo 0-0,40 m. <strong>Al</strong>la coltura sono state somministrati<br />

rispettivamente 105, 23 e 180 kg ha -1 di N, P<br />

e K in entrambe gli anni.<br />

La raccolta è stata eseguita due volte ogni anno,<br />

quando le piante erano a inizio fioritura (22/7 -<br />

DOY 204 - e 25/9 - DOY 269 nel 2006 ed il 28/7 -<br />

DOY 210 - e 13/10 - DOY 267 nel 2007). In ciascuna<br />

raccolta è stata rilevata l'altezza delle piante,<br />

la superficie fogliare e la sostanza secca delle<br />

foglie e <strong>dei</strong> fusti. Campioni di foglie e fusti sono<br />

stati analizzati per valutare il contenuto <strong>dei</strong> principali<br />

prodotti dolcificanti (stevioside e rebaudioside<br />

A) e per determinare i principali elementi (Fe, Mn,<br />

Cr, Mg, Na, Ca, K). I dati sono stati sottoposti<br />

all'analisi della varianza e le differenze tra le medie<br />

sono state confrontate con il test della differenza<br />

minima significativa (DMS).<br />

Risultati<br />

Il secondo anno è stato meno piovoso del primo,<br />

infatti, non si sono verificati eventi piovosi utili da<br />

metà giugno fino all'inizio della raccolta. (<strong>Ta</strong>b. 1).<br />

Questo ha determinato un consumo idrico maggiore<br />

nel secondo anno di 17, 5,3 e 23,5 mm rispettivamente<br />

per le tesi T100, T66 e T33. I coefficienti<br />

colturali (kc), calcolati come rapporto tra il consumo<br />

idrico giornaliero e l'evapotraspirazione di riferimento,<br />

sono <strong>risultati</strong> in genere simili nei due anni<br />

di prova. L'analisi statistica <strong>dei</strong> dati di produzione<br />

e sviluppo vegetativo non ha evidenziato differenze<br />

significative dell'interazione tra gli anni, pertanto<br />

di seguito sono riportate le medie degli anni per<br />

ciascuna raccolta. Lo sviluppo vegetativo delle<br />

piante e la produzione di sostanza secca è risultato<br />

maggiore nella seconda epoca di raccolta (Fig. 1 A,<br />

B, C, D), mentre la tesi T100 ha mostrato la maggiore<br />

produzione rispetto alle altre. <strong>Ta</strong>li differenze<br />

sono risultate sempre significative nella seconda<br />

epoca, mentre nella prima epoca la tesi T66 ha<br />

mostrato solo un lieve incremento rispetto alla T33.<br />

L'indice di raccolta, calcolato come rapporto tra<br />

sostanza secca delle foglie e biomassa epigea, non<br />

ha mostrato differenze tra le tesi omologhe nelle<br />

due epoche, mentre è diminuito con l'aumento del


CNRISAFOM.qxp 25/02/2008 10.09 Pagina 70<br />

70 Pulvento et al Fabisogno irriguo della stevia ...<br />

<strong>Ta</strong>b.1. Volume irriguo, volume idrico stagionale, consumo idrico e coefficienti colturali (kc) calcolati per l’intera stagione<br />

(irr. stag.) e per i due periodi di crescita di ciascun anno<br />

livello irriguo. Il contenuto percentuale di glucosidi<br />

non è stato influenzato dal regime irriguo ed è<br />

stato accumulato soprattutto nelle foglie con valori<br />

medi di 8,36% (v/v) di stevioside e di 5,72 % (v/v)<br />

di rebaudioside A. La produzione di rebaudioside A<br />

è risultata di 0,26 t ha -1 e quella di stevioside di<br />

0,38 t ha -1 per la tesi T100. Le tesi T66 e T33 hanno<br />

avuto una produzione di 0,22 e 0,19 t ha -1 di rebaudioside<br />

A e 0,33 e 0,28 di stevioside, rispettivamente.<br />

Nei fusti sono stati rilevati valori medi di stevioside<br />

di 0,48 e di 0,36 di rebaudioside A.<br />

<strong>Co</strong>nclusioni<br />

I <strong>risultati</strong> confermano che questa specie può essere<br />

coltivata con successo nell'areale preso in considerazione.<br />

La corretta gestione dell'irrigazione in termini<br />

di turno e volume degli adacquamenti ha un<br />

ruolo fondamentale per l'ottenimento di buone produzioni.<br />

Ulteriori prove sarebbero necessarie per<br />

mettere a punto un protocollo di coltivazione ed<br />

andrebbero promossi programmi di miglioramento<br />

genetico per sviluppare varietà idonee alle caratteristiche<br />

pedo-climatiche dell'areale.<br />

Fig. 1. <strong>Al</strong>tezza delle piante, produzione di sostanza secca della pianta intera e delle foglie e indice di raccolta in relazione<br />

al livello irriguo. Sono indicati i valori della differenza minima significativa (DMS) per P ≤ 0,05.<br />

Bibliografia<br />

Midmore D.J. and Rank A.H. A new rural industry - Stevia - to<br />

replace imported chemical sweeteners. Report for the Rural<br />

Industries Research and Development <strong>Co</strong>rporation 02/022.<br />

2002; 55 p.<br />

Soejarto D.D., Kinghorn A.D. and Farnsworth N.R. Potential<br />

sweetening agents of plant origin. <strong>II</strong>I. Organoleptic evaluation<br />

of stevia leaf herbarium samples for sweetness. J. Nat.<br />

Prod. 1982; 45: 590-599.


CNRISAFOM.qxp 25/02/2008 10.09 Pagina 71<br />

Introduzione<br />

La Senape è una specie originaria dell'Asia. Si<br />

pensa che sia stata coltivata già nel 3000 a.C. in<br />

India e poi esportata in occidente come spezia pregiata.<br />

Nel IV sec. a.C. i Romani se ne servivano per<br />

conservare i succhi di frutta e il mosto e ne consumavano<br />

le foglie come verdura cotta (Brown et al.,<br />

2000-2002). La mostarda in pasta, come condimento,<br />

si diffuse in tutta Europa intorno al 1200.<br />

La Senape può avere molteplici impieghi; le<br />

foglie possono essere consumate crude o cotte ed<br />

hanno un sapore piccante, i semi possono essere<br />

impiegati nelle insalate per il loro aroma, oppure<br />

possono essere macinati e utilizzati per condimento<br />

(mostarda bianca). I semi hanno, inoltre, proprietà<br />

antibatterica, antifungina, di stimolazione dell'appetito,<br />

carminativa, digestiva, diuretica, emetica,<br />

espettorante, decongestionante e stimolante. In<br />

occidente sono di rado utilizzati come medicina<br />

interna, ma sono impiegati comunemente per uso<br />

esterno. I semi di Senape bianca contengono un olio<br />

che può essere impiegato come lubrificante o per<br />

l'accensione di lampade (McGuire, 2003).<br />

L'impiego della Senape bianca è ormai comune<br />

nei disciplinari di agricoltura biologica per il controllo<br />

<strong>dei</strong> nematodi cisticoli della barbabietola da<br />

zucchero (Heterodera schachtii), <strong>dei</strong> nematodi galligeni<br />

della patata (Globodera spp., Meloydogyne<br />

spp., Pratylenchus spp.) e del tabacco (M. incognita,<br />

M. javanica, M. arenaria, M. hapla) con riduzioni<br />

del 50-60% (Ahmed et al., 2005).<br />

L'industria alimentare italiana utilizza prodotti<br />

semilavorati importati soprattutto dai paesi dell'Est<br />

Europa, ma è evidente l'interesse per uno sviluppo<br />

<strong>dei</strong> mercati locali. Per tale motivo andrebbe approfondita<br />

la potenzialità produttiva della specie in<br />

ambienti centro meridionali e la possibilità di fornire<br />

all'industria semilavorati attraverso strutture<br />

associative di agricoltori. <strong>Co</strong>n il presente lavoro si<br />

è inteso valutare i principali parametri bio-agrono-<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 71<br />

Valutazione agronomica della coltivazione di Senape bianca<br />

(Sinapis alba L.) in ambienti dell'Italia meridionale<br />

Pulvento C*, Riccardi M, De Luca S, Romano G, d'Andria R, Lavini A<br />

CNR - Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del<br />

Mediterraneo, Via Patacca 85, 80056 Ercolano (Napoli),<br />

tel. 0817717325, Fax 0817718045.<br />

*E mail c.pulvento@isafom.cnr.it<br />

mici della specie nelle aree del casertano a prevalente<br />

ordinamento tabacchicolo.<br />

Materiali e metodi<br />

La prova è stata condotta nel biennio 2006-2007 presso<br />

il centro sperimentale del CNR-ISAFoM di<br />

Vitulazio (CE). La semina della varietà Zlatka è stata<br />

eseguita il 5 Aprile nel 2006 e il 17 Aprile nel 2007 su<br />

file distanti 0,2 m in parcelle di 30 m 2 (6 x 5 m) ripetute<br />

tre volte impiegando 2 g m -2 di seme. A seguito del<br />

diradamento delle piante sulla fila è stata ottenuta una<br />

densità di 28 piante m -2 . Durante lo sviluppo vegetativo<br />

della coltura sono stati effettuati solo interventi irrigui<br />

di soccorso e non sono stati necessari interventi di<br />

difesa antiparassitaria. La raccolta è stata effettuata il<br />

13 Luglio nel 2006 e il 26 Luglio nel 2007 e sono stati<br />

rilevati i seguenti parametri: altezza della pianta,<br />

numero di piante m -2 , numero e lunghezza delle ramificazioni,<br />

numero di silique fertili, sterili e aperte, lunghezza<br />

delle silique, peso fresco e peso secco delle silique<br />

e <strong>dei</strong> semi.<br />

Risultati e discussione<br />

Dall'analisi statistica <strong>dei</strong> dati (<strong>Ta</strong>b. 1) è risultata<br />

significativa la variabilità tra gli anni determinata<br />

dal diverso andamento climatico. Le evidenti differenze<br />

produttive tra i due anni, infatti, sono state<br />

determinate essenzialmente dalla diversa distribuzione<br />

ed entità delle piogge tra gli anni.<br />

Nel 2006 si sono verificate precipitazioni inferiori<br />

al 2007 nel mese di Aprile, periodo della semina,<br />

e Maggio, ed alcuni eventi piovosi nella prima<br />

decade di Giugno (circa 38 mm) hanno favorito lo<br />

sviluppo delle fasi vegetative.<br />

Nel 2007 l'andamento pluviometrico, è stato particolarmente<br />

abbondante nelle fasi di emergenza (57<br />

mm in Aprile), mentre non si sono verificati eventi<br />

piovosi dalla prima decade di Giugno fino al<br />

momento della raccolta con evidenti effetti negativi<br />

sulla produttività della specie. Nel primo anno, infatti,<br />

la produzione di semi al 13% di umidità è stata di<br />

2,12 t ha -1 , mentre nel secondo si è avuta una riduzione<br />

del 28% (1,53 t ha -1 ). La maggiore produzione<br />

del primo anno è principalmente dovuta ad un minore<br />

indice di sterilità oltre che al maggior peso medio


CNRISAFOM.qxp 25/02/2008 10.09 Pagina 72<br />

72 Pulvento et al Valutazione agronomica della senape ...<br />

<strong>Ta</strong>b. 1. Caratteristiche biometriche e produttive della varietà Zlatka nei due anni di prova. E’ riportata la differenza minima significativa<br />

(DMS) per P ≤ 0,05. n.s.= non significativa.<br />

<strong>dei</strong> 1000 semi. <strong>Ta</strong>le comportamento è da attribuire<br />

allo stress idrico che si è manifestato durante la<br />

fase di riempimento del seme. Per questo stesso<br />

motivo anche la sostanza secca ed il numero delle<br />

silique sono <strong>risultati</strong> inferiori nel secondo anno,<br />

mentre non si sono manifestate differenze nel numero<br />

di semi per siliqua. Quest'ultimo parametro, pertanto,<br />

è maggiormente controllato dal patrimonio<br />

genetico (Laureti e Pieri, 2000).<br />

La differenza tra i due anni di prova è stata evidente<br />

anche per lo sviluppo vegetativo dal momento<br />

che le piante del secondo anno sono risultate più<br />

alte, più ramificate e con ramificazioni di maggiore<br />

lunghezza.<br />

<strong>Co</strong>nclusioni<br />

Dato il comportamento vegetativo e produttivo<br />

andrebbero approfonditi aspetti relativi al fabbisogno<br />

irriguo della specie dal momento che lo stress<br />

idrico nella fase di fioritura e riempimento del seme<br />

ha fortemente ridotto la produttività. Irrigazioni di<br />

soccorso nei periodi critici sarebbero ampiamente<br />

compensate dall'incremento di produzione.<br />

<strong>Co</strong>mplessivamente i <strong>risultati</strong> evidenziano le<br />

buone potenzialità produttive della specie nell'ambiente<br />

casertano soprattutto laddove si può disporre<br />

di acqua per l'irrigazione.<br />

Bibliografia<br />

Ahmed H. S., Miroslaw S. e Wladyslaw G. Defence responses<br />

of white mustard, Sinapis alba, to infection with the cyst<br />

nematode Heterodera schachtii. Nematology. 2005; 7 (6):<br />

881-889.<br />

Brown J., Davis J.B. e Esser A. Pacific Northwest <strong>Co</strong>ndiment<br />

Yellow Mustard (Sinapis alba L.) Grower Guide.<br />

Subcontract Report NREL/SR-510-36307 July 2005.<br />

McGuire A. Mustard. Washington State University (WSU)<br />

<strong>Co</strong>operative Extension bulletins. 2003.<br />

Laureti D., Pieri S. <strong>Co</strong>lza, ravizzone e senape nelle Marche.<br />

L'inf. Agrario. 2000; 34: 37-39.


CNRISAFOM.qxp 25/02/2008 10.09 Pagina 73<br />

Introduzione<br />

La quinoa è uno pseudocereale appartenente alla<br />

famiglia delle Chenopodiaceae largamente coltivato<br />

nelle regioni andine. Questa coltura presenta interessanti<br />

caratteristiche chimico-nutrizionali (elevata<br />

qualità proteica, presenza di acidi grassi essenziali,<br />

vitamine e minerali) offrendo numerose potenzialità<br />

per future applicazioni tecnologiche (Lopez 2007).<br />

Inoltre per l'assenza delle proteine del glutine la<br />

quinoa può essere utilizzata per la preparazione di<br />

alimenti gluten-free. La presenza di composti antinutrizionali<br />

e in particolare le saponine, limitano<br />

l'utilizzo di questo pseudocereale dal momento che<br />

conferiscono caratteristiche di amaro e astringente<br />

influenzando negativamente la qualità sensoriale <strong>dei</strong><br />

prodotti finiti (Dini et al., 2001).<br />

Il presente lavoro ha preso in considerazione le<br />

caratteristiche compositive e nutrizionali di alcuni<br />

genotipi di quinoa, coltivati in Italia centro meridionale<br />

come colture alternative al tabacco. <strong>Ta</strong>li<br />

genotipi sono stati utilizzati per la preparazione di<br />

prodotti a base di cereali (pane, pasta) caratterizzati<br />

da una migliorata qualità nutrizionale e da una<br />

elevata accettabilità sensoriale.<br />

Materiali e metodi<br />

Sono state analizzate due varietà di quinoa<br />

KVLQ520Y coltivata in due epoche differenti<br />

(sigla campioni KA e KM) e REGOLANA BAER<br />

(sigla campione RB). Entrambi i genotipi di quinoa<br />

sono stati coltivati nei campi sperimentali del<br />

CNR-ISAFoM (Vitulazio-CE). Sui campioni di<br />

quinoa è stata effettuata la caratterizzazione chimica<br />

e valutato mediante tecniche cromatografiche<br />

combinate (TLC, GC) il contenuto in saponine sia<br />

sul prodotto tal quale sia sul prodotto opportuna-<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 73<br />

Impiego di sfarinati di quinoa per la realizzazione di prodotti a<br />

base di cereali<br />

Iafelice G 1) , D'Amario M 1) , Riccardi M 2) , Pulvento C 2) , d'Andria R 2) , Marconi E 1)<br />

1)DI.S.T.A.A.M.-Università degli Studi del Molise, Via De<br />

Sanctis, 86100 Campobasso,<br />

tel. 0874404616, Fax 0874404652,<br />

e-mail marconi@unimol.it<br />

2)CNR-Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del<br />

Mediterraneo, Via Patacca 85, 80056 Ercolano (Napoli),<br />

tel. 0817717325, Fax 0817718045,<br />

e-mail m.riccardi@isafom.cnr.it<br />

mente trattato (perlato). Gli sfarinati di quinoa perlata<br />

sono stati quindi utilizzati per la realizzazione<br />

di prodotti quali pane e pasta.<br />

Risultati e discussione<br />

Le analisi in merito alla caratterizzazione chimiconutrizionale<br />

evidenziano che la quinoa presenta un<br />

contenuto proteico più alto rispetto ai cereali comuni<br />

con valori pari a circa il 16-17 %. E' interessante<br />

osservare valori elevati in ceneri (3,96-4,28 g/100 g<br />

s.s.) e in fibra alimentare (16,1-18,6 g/100 g s.s.).<br />

L'amido rappresenta il componente principale della<br />

quinoa con valori compresi tra il 54,8% e il 55,6%<br />

per le varietà KA e KM; per la varietà RB si è riscontrato<br />

un contenuto in amido totale pari a 52,8%.<br />

Gli sfarinati di quinoa si distinguono inoltre per<br />

l'elevato contenuto lipidico pari al 7,7-7,9%. In questo<br />

lavoro è stato ottimizzato un metodo gascromatografico<br />

per la valutazione quanti/qualitativa delle<br />

saponine idrolizzate (sapogenine). L'analisi GC ha<br />

rilevato la presenza di specifiche saponine della quinoa<br />

rappresentate da: acido oleanolico, ederagenina,<br />

fitolaccagenina (Fig. 1).<br />

Dal punto di vista quantitativo nelle varietà di quinoa<br />

analizzate si è riscontrato un contenuto in saponine<br />

totali di 238,9-213,8 mg/100 g s.s. per le varietà<br />

KA e KM; per la varietà RB il contenuto in saponine<br />

totali è risultato di 329,0 mg/100g (<strong>Ta</strong>b.1).<br />

La quantificazione delle saponine è un utile parametro<br />

in quanto permette di distinguere le varietà di<br />

Fig. 1. Tracciato GC delle saponine della quinoa (1)acido oleanolico,<br />

2 ederagenina, 3 fitolaccagenina)


CNRISAFOM.qxp 25/02/2008 10.09 Pagina 74<br />

74 Iafelice et al Impiego di sfarinati di quinoa ....<br />

<strong>Ta</strong>b. 1. <strong>Co</strong>ntenuto in saponine totali (mg/100 g s.s.)<br />

quinoa "sweet" (contenuto in saponine < di 200<br />

mg/100 g) e le varietà "bitter"(contenuto in saponine<br />

> di 400 mg/100 g); questa distinzione è di notevole<br />

interesse in quanto ai fini tecnologici/applicativi<br />

è importante utilizzare le varietà "sweet" a<br />

basso contenuto in saponine (Mazza e Gao 2005).<br />

L'analisi GC ha evidenziato che le varietà di quinoa<br />

analizzate (KA, KM, RB) si collocano in una posizione<br />

intermedia tra i genotipi "sweet" e i genotipi<br />

"better".<br />

Modulando il tempo di perlatura si è osservato<br />

che la rimozione delle parti periferiche dell'achenio<br />

del 20% determina una riduzione in saponine totali<br />

del 50% rispetto al valore iniziale, mentre applicando<br />

una perlatura pari al 30% si riesce a ridurre<br />

in maniera significativa il contenuto in saponine<br />

superiore all'80%. I <strong>risultati</strong> evidenziano pertanto<br />

che il processo di abrasione può essere utilizzato<br />

efficacemente per allontanare le saponine da questo<br />

pseudocereale.<br />

La <strong>Ta</strong>b. 2 riporta le caratteristiche chimiche <strong>dei</strong><br />

prodotti ottenuti utilizzando gli sfarinati di quinoa<br />

perlata. <strong>Co</strong>me si osserva la pasta e il pane ottenuti<br />

utilizzando il 20% di quinoa presentano un contenuto<br />

proteico superiore (14,7-16,6 % s.s.) rispetto ai<br />

prodotti controllo (12,6-10,1 % s.s.)<br />

E' interessante considerare che l'impiego di sfarinati<br />

di quinoa consente di migliorare la qualità pro-<br />

<strong>Ta</strong>b. 2. Caratteristiche chimiche (g/100 g .s.s) della pasta e del pane con quinoa<br />

Bibliografia<br />

Dini I, Schettino O, Simioli T, Dini A. Studies on the costituents<br />

of Chenopodium quinoa seeds: isolation and characterization<br />

of new triterpene saponins. J.Agric. Food Chem. 2001, 49:<br />

741-746.<br />

teica; gli sfarinati di quinoa sono,<br />

infatti, caratterizzati dalla presenza di<br />

un bilanciato apporto di amminoacidi<br />

essenziali (lisina), con conseguente<br />

innalzamento dell'indice chimico. In<br />

virtù dell'alto contenuto in fibra alimentare,<br />

la pasta e il pane con il 20%<br />

di quinoa potrebbero rientrare nella<br />

categoria di prodotti ad alto contenuto in fibre. Le<br />

analisi delle saponine evidenziano la persistenza di<br />

tali sostanze nei prodotti finiti anche dopo i trattamenti<br />

tecnologici e, nel caso della pasta, anche dopo<br />

cottura del prodotto. Le valutazioni sensoriali hanno<br />

messo in evidenza che la pasta con il 20% di quinoa<br />

è risultata accettabile. Gli assaggiatori, pur evidenziando<br />

delle differenze rispetto al prodotto controllo<br />

in termini di sapore e di gusto, hanno giudicato il<br />

prodotto complessivamente buono. Per il pane con il<br />

20% di quinoa il gruppo di assaggiatori ha espresso<br />

un giudizio estremamente positivo per l'aspetto e<br />

colore della crosta e l'aspetto della mollica, tuttavia<br />

il sapore e l'odore, considerati anomali, hanno inciso<br />

nel giudizio globale del prodotto che comunque è<br />

risultato sufficiente.<br />

<strong>Co</strong>nclusioni<br />

I <strong>risultati</strong> ottenuti in questa ricerca dimostrano che,<br />

mediante l'utilizzo di formulazioni e tecnologie<br />

appropriate, gli sfarinati di quinoa perlata possono<br />

essere proposti come potenziali ingredienti/materie<br />

prime per la produzione di prodotti con migliorate<br />

caratteristiche nutrizionali e con accettabili proprietà<br />

sensoriali. Queste prime prove sono incoraggianti<br />

nell'ottica di ampliare la gamma di prodotto<br />

realizzati con sfarinati di quinoa con soddisfacenti<br />

caratteristiche sensoriali.<br />

Lopez-Garcia R. Quinoa: a traditional andrean crop with new<br />

horizons. Cereal Foods Word 2007, 52(2): 88-90.<br />

Mazza G., Gao L. Blue and purple grains. In: Specialty grains<br />

for food and feed. Elsayed Abdel-Aal and Peter Wood eds.,<br />

2005, pp. 313-350.


Damiani.qxp 25/02/2008 10.08 Pagina 75<br />

Introduzione<br />

La richiesta di mercato per cibi sempre più differenti e ricchi<br />

di componenti salutari determinano una consistente<br />

modificazione della domanda <strong>dei</strong> prodotti alimentari. In<br />

questa ottica si è intrapreso un processo di introduzione di<br />

alcune colture esotiche nel nostro ambiente.<br />

La quinoa (Chenopodium quinoa willd.) specie originaria<br />

dell'America meridionale nella zona andina, è una<br />

specie erbacea annuale la cui forma coltivata C. quinoa<br />

subsp. quinoa (2n =4x=36) viene utilizzata nei sistemi<br />

agricoli presenti nei diversi paesi andini. E' uno pseudocereale<br />

che produce farine altamente proteiche (14-18%)<br />

con buon bilancio amminoacidico (Oelke et al., 1990) e<br />

prive di glutine. Può quindi essere proposta come alternativa<br />

al riso nell'alimentazione delle persone celiache.<br />

Prime sperimentazioni per l'introduzione di tale coltura<br />

nell'ambiente mediterraneo sono state condotte in Grecia<br />

ed hanno evidenziato che all'interno della specie esiste una<br />

variabilità tale da permetterne la coltivazione con buoni<br />

<strong>risultati</strong> anche in climi più caldi di quello andino (Karyotis<br />

et al., 2003). L'obiettivo dell'attività che viene riportata è<br />

reperire accessioni, valutarle e verificarne le potenzialità<br />

produttive nei nostri ambienti.<br />

Materiali e metodi<br />

Per il reperimento delle accessioni ci si è rivolti a<br />

ditte produttrici di sementi, a mercati locali, a banche<br />

del gemoplasma ed istituti di ricerca. È stata<br />

condotta una prova di valutazione a piante spaziate<br />

con un numero variabile di piante per accessione.<br />

In tale prova sono stati valutati su pianta singola 16<br />

caratteri morfologici e fenologici scelti tra i<br />

descriptors specifici della specie (IPGRI, 1981); la<br />

variabilità complessiva è stata utilizzata per stimare<br />

il livello di similarità tra le accessioni utilizzando<br />

le distanze Euclidee per un'analisi cluster con il<br />

metodo UPGMA con il software NTSYS-pc.<br />

Inoltre è stato messo a punto un metodo di analisi<br />

molecolare basato su marcatori SSR (Mason et al.,<br />

2005) ed è stato utilizzato per valutare la variabilità<br />

genetica. E' stata eseguita una valutazione agro-<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 75<br />

Introduzione di nuove colture: La quinoa (Chenopodium<br />

quinoa Willd.)<br />

<strong>Ta</strong>viani P, Rubini A, Menconi L, Pieroni G, Damiani F<br />

Istituto Genetica Vegetale CNR via Madonna <strong>Al</strong>ta, 130 06128<br />

Perugia<br />

075 5014862, fax 0755014869, francesco.damiani@igv.cnr.<br />

nomica di 4 accessioni, quelle con più seme disponibile,<br />

con una prova parcellare replicata con due<br />

repliche; è stata rilevata la produzione di seme per<br />

pianta e per unità di superficie e la produzione di<br />

biomassa per pianta. <strong>Ta</strong>le prova è stata replicata<br />

con una semina autunnale.<br />

E' stata impiantata una prova per valutare la percentuale<br />

di incrocio della specie. A tale scopo sono state scelte<br />

combinazioni di parentali che risultavano facilmente<br />

distinguibili all'analisi molecolare, coppie di piante di due<br />

accessioni sono state messe in isolamento, il seme è stato<br />

raccolto separatamente su ciascuna pianta, è stato fatto<br />

germinare, è stato estratto il DNA dal singolo germinello<br />

ed esaminato per la per la presenza di alleli microsatellitari<br />

di origine paterna. In una prova condotta in camera di<br />

crescita, piante di 3 accessioni sono state allevate in condizioni<br />

di temperatura identiche e divise in due gruppi. Un<br />

gruppo era allevato con un fotoperiodo simulante la primavera<br />

(P) ed uno l'autunno (A). Dopo 16 settimane dalla<br />

semina è stato valutato lo sviluppo, la fioritura e la persistenza<br />

delle piante verificando quindi l'effetto del fotoperiodo<br />

sulla vitalità della pianta.<br />

Risultati<br />

In totale nel corso del biennio 2006-2007 sono<br />

state reperite 14 accessioni di origine geografica<br />

molto variabile e con struttura genetica altrettanto<br />

variabile (ecotipi, linee in miglioramento, varietà).<br />

A causa del ricevimento dilazionato delle sementi<br />

solo 10 accessioni sono state incluse nella prova di<br />

valutazione morfo-fenologica in cui sono stati<br />

valutati 10 caratteri quantitativi: altezza (in due<br />

date) fioritura, maturazione, n. ramificazioni, alt.<br />

ramificazioni, produzioni (seme e biomassa), peso<br />

del seme, disseminazione e 6 caratteri morfologici<br />

relativi a colore e forma di foglie e infiorescenza.<br />

Per l'insieme <strong>dei</strong> caratteri si è osservata un'ampia<br />

variabilità che ha permesso di disegnare un dendogramma<br />

di similarità . <strong>Ta</strong>le risultato è stato confermato<br />

dall'analisi della variabilità genetica stimata<br />

fra tutte le 14 popolazioni tramite l'analisi molecolare<br />

di 9 combinazioni di primer SSR che su 74<br />

campioni ha rilevato 76 alleli differenti, di cui 12<br />

specifici di C. album L. una specie molto simile<br />

alla quinoa ed ampiamente diffusa nei nostri area-


Damiani.qxp 25/02/2008 10.08 Pagina 76<br />

76 <strong>Ta</strong>viani et al La quinoa<br />

li. L'analisi cluster mostra una chiara distinzione<br />

della specie C. album da C. quinoa. Le accessioni<br />

di quinoa sono raggruppate in 2 cluster principali:<br />

quelle provenienti da Ecuador, Perù e Bolivia sono<br />

separate dal materiale di origine cilena e statunitense.<br />

I genotipi delle 2 varietà Regalona e Francia e<br />

delle linee in selezione W5 e Napoli, sono dispersi<br />

nello stesso cluster e non sono distinguibili come<br />

accessioni.<br />

Quattro accessioni sono state seminate in aprile<br />

ed un numero maggiore in ottobre. La semina primaverile<br />

ha mostrato uno sviluppo limitato delle<br />

piante ed una precoce entrata in fioritura, tale andamento<br />

non ha permesso il rilievo di molti caratteri<br />

ma ha reso possibile la raccolta del seme che, se<br />

derivato da autofecondazione, può essere utilizzato<br />

in successive valutazioni. Questa prova non è risultata<br />

tuttavia soddisfacente a causa della non regolare<br />

emergenza delle piante e del numero quindi<br />

molto variabile di individui a m 2 , tuttavia per una<br />

accessione si è prodotta una quantità di seme notevole.<br />

Il risultato della semina autunnaleha mostrato<br />

una buona emergenza delle piante che sono tuttavia<br />

andate incontro a forte diradamento. <strong>Ta</strong>li informazioni<br />

insieme a quelle ottenute in semine su scala<br />

aziendale eseguite l'anno successivo presso due<br />

aziende agricole ha mostrato che tale pianta è lenta<br />

nell'insediamento, sensibile agli attacchi di fitofagi<br />

e debole competitore con le infestanti.<br />

L'individuazione della data ottimale di semina è<br />

quindi indispensabile. A tale proposito è stata eseguita<br />

una prova in camera di crescita per valutare<br />

l'effetto del fotoperiodo sullo sviluppo della pianta<br />

che ha mostrato come il giorno corto non sia favorevole<br />

e quindi non sia proponibile una semina<br />

anticipata all'autunno.<br />

La letteratura relativa al sistema di incrocio in<br />

quinoa è abbastanza discordante infatti viene riportata<br />

come specie autogama con solo il 10% di interincrocio<br />

(<strong>Ta</strong>ylor e Parker, 2002) ma è stato anche<br />

osservato un 30 % di incrocio interspecifico<br />

(Wilson e Manhart 1993). La discordanza <strong>dei</strong> dati<br />

porta a pensare che il genotipo e l'ambiente di crescita<br />

possano influire fortemente su tale aspetto. È<br />

stato impiantato un piccolo esperimento di incrocio<br />

a coppie tra piante di accessioni facilmente distin-<br />

guibili per il profilo microsatellitare che mostra<br />

<strong>risultati</strong> non univoci. La progenie dell'accessione<br />

A1 risulta autofecondata, Otavalo mostra invece un<br />

40% di individui derivati da impollinazione incrociata<br />

ma il basso numero di individui analizzati non<br />

permette di fare conclusioni oltre quella che in<br />

Otavalo può avvenire l'incrocio. L'accessione<br />

Francia presente in entrambi gli incroci ha un comportamento<br />

disomogeneo: nell'incrocio con A1 la<br />

progenie mostra un 20% di alloimpollinazione, nell'incrocio<br />

con Otavalo, al contrario, non si osservano<br />

progenie con alleli dell'altro parentale. Non è da<br />

escludere che fattori di incompatibilità genetica o<br />

fisiologica (diversa epoca di fioritura) possano<br />

determinare i <strong>risultati</strong> osservati, un esperimento su<br />

scala più ampia sarebbe necessario, l'unica conclusione<br />

possibile con tali <strong>risultati</strong> è che Chenopodium<br />

quinoa si autofeconda ma non è una specie strettamente<br />

autogama.<br />

In conclusione la quinoa è una specie che può<br />

fornire una produzione consistente anche nei nostri<br />

ambienti, ma per le sue caratteristiche di piccole<br />

dimensioni del seme, lentezza nell'emergenza, sensibilità<br />

all'aggressione di fitofagi nelle prime fasi di<br />

sviluppo necessità di un'ottimizzazione delle tecniche<br />

agronomiche e soprattutto di un approfondito<br />

lavoro di miglioramento genetico, la variabilità<br />

necessaria a tal fine sembra largamente disponibile.<br />

Letteratura citata<br />

IPGRI Descriptores de quinua. AGP:IBPGR/81/104, Agosto<br />

1981 (www.ibpgr.cgiar.org).<br />

Karyotis T, Iliadis C, Noulas C, Mitsibonas T. Preliminary<br />

Research on Seed Production and Nutrient <strong>Co</strong>ntent for<br />

Certain QuinoaVarieties in a Saline-Sodic Soil. J.<br />

Agronomy & Crop Science 2003 189: 402-408.<br />

Mason SL, Steven MR, Jellen EN, Bonifacio A, Fairbanks DJ,<br />

<strong>Co</strong>leman CE, McCarty RR, Rasmussen AG, Maughan PJ.<br />

Development and use of microsatellite markers for germoplasm<br />

characterization in quinoa (Chenopodium quinoa<br />

Willd.). Crop Sci. 2005 45:1618-1630..<br />

Oelke A, Putnam DH, Teynor TM, Oplinger ES Quinoa. In:<br />

<strong>Al</strong>ternative field crops manual. University of Wisconsin<br />

University of Minnesota - <strong>Co</strong>operative Extension Febbraio 1990.<br />

<strong>Ta</strong>ylor JRN e Parker ML. Quinoa In: Pseudocereals and less<br />

common cereals (Belton P <strong>Ta</strong>ylor J, eds.) Springer Berlin<br />

2002 pp 93-115.<br />

Wilson H e Manhart J. Crop/weed gene flow: Chenopodium<br />

quinoa Willd. and C. berlandieri Moq. TAG 1993 86:642-<br />

648.


Damiani.qxp 25/02/2008 10.08 Pagina 77<br />

Introduzione<br />

La valorizzazione del carciofo di Pietrelcina è una<br />

delle strategie proposte nel progetto COALTA1 per<br />

sostituire la coltivazione del tabacco nell'area del<br />

beneventano. <strong>Ta</strong>le coltura diffusa da oltre un secolo<br />

nella zona presenta due significative caratteristiche<br />

che la rendono particolarmente interessante: la<br />

tardività che gli permette di fornire prodotto in un<br />

periodo in cui il carciofo locale è assente e l'alto<br />

contenuto di inulina che lo rendono particolarmene<br />

adatto per la terapia di disfunzioni meataboliche<br />

<strong>dei</strong> lipidi e <strong>dei</strong> glucidi (del Piano et al., 2006).<br />

L'analisi di tali caratteristiche in carciofaie della<br />

zona ha mostrato tuttavia una variabilità tra ed<br />

entro carciofaie che giustifica ulteriori studi per<br />

caratterizzare la variabilità entro piante dell'accessione<br />

e per definire un genotipo tipico di<br />

Pietrelcina che si disitngua anche molecolarmente<br />

dal carciofo Romanesco da cui indubitabilmente<br />

deriva. Lo scopo di tale lavoro è stato quindi lo studio<br />

tramite marcatori molecolari della variabilità<br />

genetica della specie Cynara scolymus L. con l'intento<br />

applicativo di definire un pattern molecolare<br />

distintivo di cv locali campane.<br />

Materiali e metodi<br />

E' stato estratto il DNA da 66 piante: 38 piante da<br />

13 aziende della zona di Pietrelcina, 6 dell'ecotipo<br />

Pietrelcina conservato presso la banca del germoplasma<br />

del CRPV di Sassari (piante 7.x), 16 di carciofo<br />

Capuanello da due aziende (piante 5.x e 6.x), 4 di<br />

Romanesco recuperate in centro e sud Italia (9.x e<br />

4.x), e due altre piante fuori tipo (8 ecotipo Scafati e<br />

10 allungato umbro). L'analisi molecolare è stata<br />

eseguita valutando il polimorfismo di regioni microsatellitarie<br />

e il polimorfismo generato con la tecnica<br />

AFLP (Vos et al., 1995) utilizzando una sola coppia<br />

di primer derivati dalla restrizione con gli enzimi<br />

EcoRI e MseI ed utilizzando le basi selettive ACT e<br />

CAA ai due rispettivi siti di taglio. E' stata anche<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 77<br />

Caratterizzazione molecolare di accessioni di carciofo di<br />

Pietrelcina<br />

<strong>Ta</strong>viani P, Menconi L, Rubini A, <strong>Co</strong>zzolino E 1 , Leone V 1 , Damiani F<br />

Istituto Genetica Vegetale CNR via Madonna <strong>Al</strong>ta 130, 06128<br />

Perugia 075 5014862, fax 0755014869,<br />

francesco.damiani@igv.cnr.it;<br />

1Unità di ricerca per le colture alternative al tabacco CRA, via<br />

Vitiello 116, 84018 Scafati (SA)<br />

applicata la tecnica S-Sap che consiste nell'amplificazione<br />

di DNA ristretto con un primer ancorato al<br />

sito di taglio ed uno ricavato dalla sequenza di un<br />

retrotrasposone endogeno. Per l' S-Sap sono stati utilizzati<br />

primer ancorati al sito di taglio MseI aventi le<br />

basi selettive CAA, CAC e CAT in combinazione<br />

con un primer disegnato sul retrotrasposone<br />

CYRE5 (Acquadro et al., 2006). Nell'analisi <strong>dei</strong><br />

<strong>risultati</strong>, i profili di ogni combinazione di primers<br />

sono stati riportati come dati di presenza assenza<br />

della banda per ogni campione costruendo una<br />

matrice binaria unica per S-SAP e AFLP, da cui è<br />

stata calcolata la matrice delle distanze genetiche<br />

con l'indice di Nei, seguita da una analisi cluster con<br />

il metodo UPGMA e rappresentata graficamente da<br />

un dendrogramma elaborato con il software<br />

NTSYS-pc (Rohlf, 1993). Per l'analisi <strong>dei</strong> microsatelliti<br />

ci si è basati sulle tecniche ed i primer sviluppati<br />

in carciofo da Acquadro et al (2003; 2005).<br />

Sono state utilizzate 12 combinazioni di primer SSR<br />

e per ogni coppia di primer è stato mantenuto il<br />

nome del codice del locus. Per un confronto diretto<br />

<strong>dei</strong> <strong>risultati</strong> ottenuti con i marcatori "multi-locus"<br />

(S-SAP e AFLP) e a "singolo locus" (SSR) è stata<br />

eseguita un'analisi di raggruppamento cluster con<br />

relativo dendrogramma anche dalla matrice della<br />

distanza genetica costruita con i marcatori SSR. Le<br />

due matrici sono state quindi combinate e con le<br />

stesse modalità si è costruito un dendogramma complessivo<br />

della variabilità genetica osservata.<br />

Risultati<br />

Dall'analisi AFLP e S-SAP si sono ottenute 141<br />

bande polimorfiche, mentre l'analisi SSR condotta<br />

su 12 loci ha evidenziato la presenza di un totale di<br />

26 alleli. Di questi, 3 alleli sono presenti in tutte le<br />

piante del controllo Pietrelcina (piante 7.x) e non<br />

condivisi con altre accessioni ad eccezione di uno<br />

con la n. 10. I dendogrammi ottenuti dall'analisi di<br />

similarità con i due tipi di marcatori danno <strong>risultati</strong><br />

molto simili e l'ulteriore elaborazione ottenuta<br />

raggrupando tutti i dati è riportata in fig. 1.<br />

Solo due accessioni ( n.7 e n. 6) risultano omogenee<br />

e distinguibili, le 38 piante collezionate nella<br />

zona di Pietrelcina sono alquanto eterogenee,


Damiani.qxp 25/02/2008 10.08 Pagina 78<br />

78<br />

<strong>Ta</strong>viani et al Caratterizzazione molecolare carciofo di Pietrelcina<br />

Fig. 1. Dendogramma della distanza genetica tra le 66 piante di carciofo analizzate<br />

hanno diversi alleli in comune con le piante di<br />

Romanesco utilizzate come controllo e non presentano<br />

gli alleli che caratterizzano le 6 piante di<br />

Pietrelcina collezionate dal CRPV di Sassari.<br />

Le due analisi con marcatori molecolari suggeriscono<br />

quindi che il materiale raccolto nell'area di<br />

Pietrelcina sia frutto di incroci avvenuti in passato e<br />

che in assenza di selezione siano rimasti in coltivazione<br />

diversi genotipi che evidentemente si sono<br />

adattati alle condizioni climatiche e alle pratiche colturali<br />

della zona di Pietrelcina. Resta da stabilire in<br />

prove agronomiche condotte nella zona di<br />

Pietrelcina ed anche in aree lontane se le caratteristiche<br />

di pregio siano peculiari <strong>dei</strong> materiali allevati<br />

attualmente nella zona e riottenibili anche altrove,<br />

oppure se è solo l'ambiente di coltivazione responsabile<br />

delle performance produttive indipendentemente<br />

dal materiale genetico coltivato ed infine se l'interazione<br />

genotipo ambiente abbia un effetto determinante<br />

nell'espressione <strong>dei</strong> caratteri di pregio.<br />

Bibliografia<br />

Acquadro A., Portis E., Lanteri S. Isolation of microsatellite loci<br />

in artichoke (Cynara cardunculus L. var. scolymus). Mol<br />

Ecol Notes 2003 3: 37-39.<br />

Acquadro A., Portis E., Lee D., Donini P., Lanteri S.<br />

Development and characterization of microsatellite marker<br />

in Cynara cardunculus L. Genome 2005 48: 217-225.<br />

Acquadro A, Portis E, Moglia A, Magurno F, Lanteri S.<br />

Retrotransposon-based S-SAP as a platform for the analysis<br />

of genetic variation and linkage in globe artichoke.<br />

Genome. 2006 49:1149-59.<br />

del Piano L, Interlandi G, Abet M, Sorrentino C, Leone V,<br />

<strong>Co</strong>zzolino E, Sicignano MR, Zeno G, Nunziata R.<br />

Valorizzazione del carciofo di Pietrelcina (Cynara scolymus<br />

L.) ai fini della riconversione della coltura del tabacco<br />

nell'area del beneventano. In: Analisi e valutazione di ordinamenti<br />

colturali alternativi nelle aree a riconversione del<br />

tabacco.. Risultati 1° anno di attività., C.R.A., Roma 2006<br />

pp 101-105.<br />

Rohlf FJ. (NTSYS-pc Numerical <strong>Ta</strong>xonomy and Multivariate<br />

Analysis System 2.02. User Guide 1993.<br />

Vos P, Hogers R, Bleeker M, Reijans M, Vandelee T, Hornes M,<br />

Frijters A, Pot J, Peleman J, Kupier M, Zabeau M. AFLP a<br />

new technique for DNA fingerprinting. Nucleic Acids<br />

Res1995 23: 4407 4414.


Damiani.qxp 25/02/2008 10.08 Pagina 79<br />

<strong>Co</strong>lture da biomassa per l’alta valle del Tevere<br />

Menconi L, <strong>Ta</strong>viani P, Damiani F<br />

Introduzione<br />

Nell'ambito delle iniziative di sviluppo e promozione<br />

delle fonti rinnovabili all'interno del territorio<br />

umbro recentemente è stato sottoscritto, dalla<br />

comunità Montana <strong>Al</strong>to Tevere Umbro e da otto<br />

<strong>Co</strong>muni del territorio, un Accordo di Programma<br />

finalizzato ad intraprendere delle iniziative integrate<br />

di sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili e<br />

dell'uso razionale dell'energia nell'ambito di un più<br />

vasto modello di sviluppo sostenibile. L'Accordo è<br />

finalizzato all'attuazione del Programma denominato<br />

"Energia Sostenibile <strong>Al</strong>to Tevere", attraverso<br />

il quale le Parti si impegnano ad ideare ed attuare<br />

iniziative per la produzione di energia da fonti rinnovabili<br />

tramite idonei progetti ed iniziative nel<br />

settore della ricerca e formazione in campo energetico<br />

ed ambientale. In questo contesto la produzione<br />

nel territorio di biomasse è irrinunciabile e lo<br />

sviluppo di colture destinate allo scopo sembra<br />

un'alternativa interessante alla coltivazione del<br />

tabacco. In tale ottica sono state impostate delle<br />

prove di valutazione agronomica di colture da<br />

fibra. Le specie da valutare sono state scelte in base<br />

alle seguenti considerazioni: 1) novità, poiché non<br />

si vede l'esigenza di un'ulteriore sperimentazione<br />

su colture già estensivamente studiate, 2) specie<br />

che da indagini preliminari condotte in ambienti<br />

diversi da quello in esame sono risultate meritevoli<br />

di attenzione (Venturi e Amaducci, 1998). Si è<br />

evitato di prendere in considerazione colture invasive,<br />

difficili da eliminare una volta impiantate,<br />

tipo la canna comune (Bell, 1998) ed il miscanto,<br />

per evitare all'agricoltore scelte impegnative nel<br />

tempo a fronte di una situazione relativa all'investimento<br />

delle strutture di produzione di energia che<br />

rimane purtroppo, nonostante tutte le emergenze<br />

ambientali e di indipendenza di approvvigionamento<br />

sopra enunciate, ancora condizionata dall'instabilità<br />

del prezzo <strong>dei</strong> prodotti petroliferi che è il<br />

principale stimolo all'adozione di politiche di sviluppo<br />

di energie alternative<br />

Istituto Genetica Vegetale CNR via Madonna <strong>Al</strong>ta 130, 06128<br />

Perugia 075 5014862, fax 0755014869,<br />

francesco.damiani@igv.cnr.it;<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 79<br />

Materiali e metodi<br />

Si sono quindi utilizzate tre specie: sorgo da<br />

fibra (Sorghum bicolor), Kenaf (Hibiscus cannabinus)<br />

e canapa (Cannabis sativa) che garantiscono<br />

sviluppo di biomassa notevole e nel contempo possono<br />

avere un uso alternativo alla produzione di<br />

energia, in modo da offrire al produttore filiere<br />

alternative per il conferimento del prodotto. Per il<br />

sorgo sono state valutate 2 cultivar H952 e H133,<br />

per il kenaf la varietà medio-tardiva <strong>Ta</strong>inung1 e per<br />

la canapa la varietà monoica Felina34. La sperimentazione<br />

è stata condotta per due anni consecutivi<br />

in 4 aziende poste all'interno del comprensorio<br />

coinvolto nell'Accordo di Programma sopra citato,<br />

sono tutte aziende tabacchicole 3 localizzate in pianura<br />

ed una in media collina. Le colture sono state<br />

valutate adottando un disegno sperimentale a blocchi<br />

randomizzati con numero e dimensione delle<br />

parcelle variabile compatibilmente con la superficie<br />

a disposizione. Il primo anno si sono valutate le<br />

produzioni utilizzando pratiche agronomiche leggermente<br />

diverse per irrigazione e concimazione<br />

nel secondo anno invece in tutte le aziende sono<br />

state eseguite prove di confronto tra dosi diverse di<br />

concimazione azotata da 0 150 u/ha. Le semine<br />

sono state eseguite in nel periodo fine aprile seconda<br />

metà di maggio con le apparecchiature disponibili<br />

in azienda, nel secondo anno di prova sono state<br />

eliminate dallo studio la canapa ed una azienda.<br />

I caratteri rilevati sono stati: data di emergenza,<br />

in giorni dalla semina; percentuale di insediamento,<br />

calcolata contando il numero di piante insediate<br />

su un metro lineare, replicato 4 volte per parcella;<br />

altezza della pianta, su 4 piante prese a caso entro<br />

ciascuna parcella con cadenza bisettimanale (a partire<br />

dal 27°/45°giorno dalla semina fino alla fine di<br />

agosto; numero di foglie per pianta, sulle stesse<br />

piante su cui è stata misurata l'altezza è stato contato<br />

il numero di foglie sullo stelo principale; produzione<br />

sostanza fresca e secca per m 2 , in 3 m 2 per<br />

parcella. Nel primo anno tale rilievo è stato eseguito<br />

a dicembre mentre nel secondo anno a metà settembre.


Damiani.qxp 25/02/2008 10.08 Pagina 80<br />

80<br />

Menconi et al <strong>Co</strong>lture da biomassa per l’alta valle del Tevere<br />

<strong>Ta</strong>b.1. medie per accessione e per azienda <strong>dei</strong> caratteri produttivi rilevati nei<br />

due anni di sperimentazione<br />

Risultati<br />

I due anni sono <strong>risultati</strong> molto contrastanti per<br />

regime termo-pluviometrico. Nell'annata agraria<br />

2006 si è avuta una primavera con elevata piovosità<br />

distribuita per tutto l'arco primaverile, che ha<br />

ritardato le semine con particolare nocumento alla<br />

canapa. Tuttavia la piovosità ha sicuramente beneficiato<br />

lo sviluppo delle colture nei periodi successivi.<br />

Per contro il 2007 è stato estremamente siccitoso,<br />

nel periodo aprile-settembre si sono avuti 130<br />

mm di pioggia in meno rispetto all'anno precedente<br />

(dati FAT Fattoria Autonoma <strong>Ta</strong>bacchi di<br />

Cerbara, Città di Castello). Ciò ha innegabilmente<br />

influenzato la risposta delle colture come mostrato<br />

dall'analisi comparata <strong>dei</strong> dati riportati in tabella1.<br />

L'insediamento delle colture è stato molto<br />

variabile, pessimo per la canapa, buono per il sorgo<br />

h952. Il sorgo ha avuto un accrescimento costante<br />

ed ha raggiunto altezze notevoli. La canapa ha<br />

mostrato un notevole accrescimento nelle prime<br />

fasi di sviluppo e poi un rallentamento mentre il<br />

kenaf risulta lento e costante nell'allungamento che<br />

prosegue fino a tutto settembre.<br />

Le produzioni sono risultate molto variabili sia<br />

tra accessioni che tra aziende il sorgo ed in particolare<br />

la cv h133 è risultato nettamente superiore con<br />

oltre 38 t/ha di media e punte di oltre 50 t/ha, il<br />

kenaf seppure molto meno produttivo<br />

con 17 t/ha è risultato tuttavia<br />

molto stabile con variazioni di<br />

produzione tra il massimo ed il<br />

minimo di 7,5 t/ha contro le oltre<br />

21 del sorgo ed inoltre è caratterizzato<br />

da una più bassa umidità<br />

del prodotto quando la raccolta<br />

viene ritardata, ciò riduce notevolmente<br />

i costi di essiccazione. La<br />

canapa non ha prodotto quantità<br />

apprezzabile di biomassa tranne in<br />

una azienda in cui comunque la<br />

produzione è risultata inferiore<br />

alle 6 t/ha, troppo bassa per un'utilizzazione<br />

energetica.<br />

I <strong>risultati</strong> del 2° anno non<br />

hanno fornito, a causa delle scarse<br />

precipitazioni, informazioni sull'effetto<br />

della concimazione azotata<br />

ed hanno mostrato, per la stessa<br />

ragione, una riduzione delle produzioni.<br />

La riduzione in produzione<br />

si è osservata in maniera più sensibile percentualmente<br />

sul kenaf mentre in valore assoluto sulla<br />

varietà di sorgo h952. Analizzando tali <strong>risultati</strong> per<br />

singola azienda si osserva un notevole polimorfismo<br />

con grosse riduzioni di produzione (Az. 3), ed<br />

inversione di tendenza nell'azienda di collina (Az.<br />

2) che peraltro a differenza dell'anno precedente ha<br />

beneficiato di un regime irriguo più consistente.<br />

In conclusione si può riassumere la sperimentazione<br />

nei seguenti punti: 1) la canapa non sembra<br />

adatta per produzioni di biomassa ad uso energetico;<br />

2) il sorgo ha grosse capacità produttive e tra le<br />

due varietà sperimentate la h133 è più produttiva e<br />

più stabile; 3) il kenaf ha produzioni molto inferiori<br />

rispetto al sorgo ma comunque accetabili, in particolare<br />

nel kenaf si riesce a ridurre l'umidità del<br />

prodotto ritardando la raccolta mentre ciò non<br />

viene osservato nel sorgo.<br />

Bibliografia<br />

Bell GP. Biology and management of Arundo Donax, and<br />

approaches to riparian habitat restoration in southern<br />

California.The Nature <strong>Co</strong>nservancy of New Mexico 1998<br />

pp.104-114<br />

Venturi G, Amaducci MT. Il progetto finalizzato PrisCA situazione<br />

e prospettive. L'informatore agrario 1998 46:37-43


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.07 Pagina 81<br />

<strong>Co</strong>nfronto tra nuovi ibridi di pioppo da biomassa<br />

Bartolini S, <strong>Co</strong>varelli G<br />

Introduzione<br />

Prima di effettuare un impianto di SRF (Short<br />

Rotation Forestry) di pioppo per la produzione di biomassa,<br />

è importante scegliere con particolare attenzione<br />

il clone più adatto all'ambente pedoclimatico dove<br />

si vuole attuare la coltura. Recentemente sono stati<br />

selezionati nuovi ibridi capaci di elevata produttività e<br />

di adattarsi a diversi ambienti.<br />

Si è ritenuto opportuno eseguire una prova di confronto<br />

tra i migliori cloni disponibili.<br />

Materiali e metodi<br />

Nel 2006 e 2007, presso i campi sperimentali della<br />

sezione di Agronomia e <strong>Co</strong>ltivazioni erbacee del<br />

Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali siti a<br />

Papiano di Marsciano (PG) nella media Valle del<br />

Tevere su terreno argillo - sabbioso (40% sabbia, 33%<br />

argilla, 27% limo), sono state realizzate due prove di<br />

confronto varietale con ibridi di pioppo da biomassa<br />

recentemente selezionati per la coltivazione in impianti<br />

da SRF.<br />

La prova del 2006 prevedeva il confronto tra quattro<br />

ibridi di pioppo impiantati secondo due diversi<br />

sistemi e densità: fila semplice a bassa densità (5.500<br />

piante a ha) e fila binata ad alta densità (11.000 piante<br />

a ha). I cloni di pioppo utilizzati erano: Monviso<br />

(Populus maximowiczii x P. nigra), Sirio (P. x euramericana),<br />

AF6 (P. x interamericana x P. x euramericana),<br />

AF2 (P. x euramericana). Lo schema sperimentale<br />

adottato per la prova è split plot con tre ripetizioni in<br />

cui le tesi di primo ordine erano costituite dai sistemi<br />

di impianto (fila semplice e fila binata) mentre le tesi<br />

di secondo ordine dai diversi cloni di pioppo. Le parcelle<br />

dove è stato adottato il sistema di impianto a fila<br />

semplice avevano una superficie di 63 m 2 (9 x 7 m),<br />

mentre quelle con file binate di 73.5 m 2 (10.5 x 7 m).<br />

Il sesto d'impianto adottato è di 3 x 0.6 m nel caso<br />

della fila semplice con una densità di 0.55 piante a m2,<br />

mentre per le parcelle a fila binata è di 3 x 0.48 m con<br />

una distanza tra le bine di 0.75 m e una densità di 1.1<br />

piante a m 2 .<br />

Le parcelle sono state suddivise in due parti in<br />

Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali<br />

Sezione di Agronomia e <strong>Co</strong>ltivazioni erbacee -<br />

Università degli Studi di Perugia 075/5856341 -<br />

simone.bartolini@agr.unipg.it<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 81<br />

modo tale da poter applicare due turni differenti di<br />

ceduazione; uno annuale e l'altro biennale. Nel 2006 la<br />

ceduazione delle piante è stata effettuata solo nella<br />

porzione di parcella a cui era stato assegnato il turno<br />

annuale, nel 2007 invece oltre ai ricacci dell'anno<br />

(turno annuale), sono state tagliate anche le piante di<br />

due anni del turno biennale.<br />

Nel 2007 è stata realizzata una prova di confronto<br />

varietale tra quattro cloni di pioppo: Monviso e AF2,<br />

rivelatisi i più produttivi nella prova dell'anno precedente<br />

e Orion e Baldo.<br />

Lo schema sperimentale che è stato adottato per la<br />

prova è il blocco randomizzato con tre ripetizioni con<br />

parcelle di 67.2 m 2 (8.4 x 8 m). Il sesto d'impianto è di<br />

2.80 x 0.5 m con una densità di 0.7 piante m 2 (7.000<br />

p.te per ha).<br />

Nelle prove è stata determinata la percentuale di<br />

attecchimento delle talee, la biomassa legnosa espressa<br />

come peso fresco e secco e la sua umidità. Sono<br />

state eseguite inoltre analisi sul raccolto per determinare<br />

il potere calorifico e il contenuto in ceneri.<br />

La coltivazione nei due anni considerati è stata<br />

condotta senza eseguire concimazioni.<br />

Sono state eseguite solo irrigazioni al momento<br />

dell'impianto per favorire l'attecchimento e erpicature<br />

per mantenere il terreno libero da malerbe.<br />

Risultati e discussione<br />

Nell'anno di impianto è stata rilevata un'alta percentuale<br />

di attecchimento delle talee, con valori in media tra<br />

il 97 e il 98 % (tab. 1). Sottoponendo i dati ad analisi<br />

della varianza non emergono differenze significative<br />

tra i diversi sistemi di impianto; ciò indica che la densità<br />

di impianto non influisce sull'attecchimento delle<br />

talee. Dai dati relativi alla produzione di biomassa<br />

secca del 2006 da piante di un anno, si evince che l'impianto<br />

ad alta densità a file binate consente di ottenere<br />

produzioni di poco superiori rispetto all'impianto a<br />

bassa densità a file semplici con produzioni medie<br />

rispettivamente di 4.6 e 3.6 t a ha. Va valutata quindi<br />

la convenienza economica di tali impianti considerando<br />

che aumentando la densità incrementano proporzionalmente<br />

anche le spese per la costituzione del<br />

pioppeto, mentre la produzione non è direttamente<br />

correlata al numero di piante per ettaro.<br />

Per quanto riguarda la produttività degli ibridi il<br />

clone Monviso è risultato il più produttivo mentre


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.07 Pagina 82<br />

82 Bartolini et al <strong>Co</strong>nfronto nuovi ibridi di pioppo da biomassa.<br />

<strong>Ta</strong>b. 1. Produzione di biomassa con turno di ceduazione annuale e biennale<br />

SIRIO ha mostrato una minore produttività in tutte e<br />

due le tipologie di impianto.<br />

Nel 2007 la produttività delle piante di un anno del<br />

turno annuale è stata leggermente superiore a quella<br />

rilevata nel 2006 con in media 5,9 e 4,7 t ha -1 di biomassa<br />

fresca rispettivamente per l'impianto ad alta e<br />

bassa densità. In quest'anno non sono state rilevate<br />

invece differenze significative tra i diversi ibridi a confronto.<br />

La produzione ottenuta con piante di due anni<br />

(turno di ceduazione biennale) è stata doppia rispetto a<br />

quella ottenuta nello stesso anno dai ricacci di un anno.<br />

Non sono state osservate differenze significative<br />

tra i differenti sistemi di impianto ne tra gli ibridi a<br />

confronto.<br />

La produzione del turno biennale, in entrambe le<br />

tipologie di impianto, è stata superiore a quella totale<br />

ottenuta in due anni con due ceduazioni del turno<br />

annuale, con valori di biomassa fresca rispettivamente<br />

di 29.3 e 22.9 t ha -1 nel caso di impianto ad alta densità<br />

e di 21.6 e 17.7 t ha -1 a bassa densità di impianto.<br />

L'umidità della biomassa al raccolto è oscillata tra<br />

il 53 e 54 %.<br />

Nella prova di confronto varietale impiantata nel<br />

2007, significativa è stata la differenza tra la percentuale<br />

di attecchimento nelle diverse tesi. I cloni AF2,<br />

Monviso e Orion hanno mostrato elevate percentuali<br />

di attecchimento mentre valori più bassi sono stati<br />

osservati per l'ibrido Baldo. La produzione è stata<br />

mediamente bassa (2.6 t ha -1 di sostanza secca) rispetto<br />

a quella ottenuta in altre prove in quanto lo sviluppo<br />

iniziale delle piante è stato ostacolato da un estate<br />

particolarmente siccitosa nella quale, nei mesi da giugno<br />

ad agosto, le precipitazioni sono state inferiori di<br />

45 mm rispetto alla media degli ultimi trenta anni.<br />

Significative sono state le differenze tra le tesi; i cloni<br />

più produttivi AF2 e Monviso (3.1 e 2.6 t ha -1 di<br />

sostanza secca).<br />

<strong>Co</strong>nclusioni<br />

1) La produzione ottenuta in due anni dal turno biennale,<br />

in entrambe le tipologie di impianto, è stata<br />

superiore a quella totale ottenuta nello stesso periodo<br />

con due tagli del turno annuale con valori di biomassa<br />

fresca rispettivamente di 29.3 e 22.9 t ha -1<br />

<strong>Ta</strong>b. 2. Produzione di biomassa con turno di ceduazione annuale<br />

(2007)


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.07 Pagina 83<br />

nel caso di impianto ad alta densità e di 21.6 e 17.7<br />

t ha -1 a bassa densità di impianto;<br />

2) l'impianto ad alta densità (11.000 p.te ha -1 ) è leggermente<br />

più produttivo indipendentemente dal<br />

turno di ceduazione adottato di quello a bassa densità<br />

(5.500 p.te ha -1 ), tuttavia ne va valutata la convenienza<br />

economica;<br />

3) le produzioni maggiori sono state ottenute con i<br />

cloni AF2, AF6 e Monviso; leggermente inferiori<br />

con Sirio, Baldo e Orion.<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 83<br />

Letteratura citata<br />

Bonari E. 2005 Risultati produttivi del pioppo da biomassa.<br />

Terra e Vita, 10, pp. 69-73.<br />

Facciotto G., et al. 2006 I nuovi cloni di pioppo. Agricoltura,<br />

giugno, pp. 71-78.<br />

Facciotto G., et al. 2006 Produttività di cloni di pioppo e salice<br />

in piantagioni a turno breve. Atti 5° <strong>Co</strong>ngresso SISEF.<br />

Paris P., et al. 2005 Le nuove varietà di pioppo da biomassa<br />

garantiscono produttività interessanti. Informatore Agrario,<br />

18, pp. 49-53


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.07 Pagina 84<br />

84


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.07 Pagina 85<br />

<strong>Co</strong>ncimazione azotata del pioppo da biomassa<br />

Bartolini S<br />

Introduzione<br />

Tra le colture da biomassa per la produzione di<br />

energia il pioppo (Populus spp. L.) è di notevole<br />

interesse per l'elevata produttività e le caratteristiche<br />

qualitative della biomassa, in particolare potere<br />

calorico e contenuto in ceneri, migliori rispetto<br />

alla maggior parte delle colture erbacee.<br />

In un pioppeto da energia è fondamentale ottenere<br />

elevate produzioni ma affinché queste siano<br />

sostenibili dal punto di vista ambientale è necessario<br />

limitare gli input chimici e quindi diviene indispensabile<br />

determinare la dose di azoto che consente<br />

di ottenere le massime produzioni in modo da<br />

evitare apporti eccessivi con i rischi conseguenti<br />

per l'ambiente dovuti alla lisciviazione <strong>dei</strong> nitrati.<br />

Materiali e metodi<br />

Nel 2006 presso i campi sperimentali della sezione<br />

di Agronomia e <strong>Co</strong>ltivazioni erbacee del<br />

Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali siti a<br />

Papiano di Marsciano (PG) nella media Valle del<br />

Tevere su terreno argillo - sabbioso (40% sabbia,<br />

33% argilla, 27% limo), è stata impiantata un prova<br />

di concimazione azotata su pioppo da biomassa con<br />

lo scopo di valutare la risposta della coltura a due<br />

diverse dosi di azoto: 37.5 e 75 Kg ha -1 anno -1 in<br />

confronto con un testimone non concimato. Lo<br />

schema sperimentale adottato per la prova è stato il<br />

blocco randomizzato con quattro ripetizioni con<br />

parcelle di 45 m 2 (9 x 5m). Per la prova sono state<br />

impiegate talee dell'ibrido Monviso (Populus maximowiczii<br />

x P. nigra) che sono state messe a dimora<br />

su file semplici con un sesto di 3 m tra le file e 0,4<br />

m sulla fila. Le parcelle sono state suddivise in due<br />

parti in modo tale da poter applicare due turni differenti<br />

di ceduazione; uno annuale e l'altro biennale.<br />

Nel 2006 la ceduazione delle piante è stata effettuata<br />

solo nella porzione di parcella a cui era stato<br />

previsto il turno annuale, nel 2007 invece oltre ai<br />

ricacci dell'anno (turno annuale), sono state tagliate<br />

anche le piante di due anni (turno biennale).<br />

Nelle prove in ciascuna delle annate considerate è<br />

Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali<br />

Sezione di Agronomia e <strong>Co</strong>ltivazioni erbacee -<br />

Università degli Studi di Perugia 075/5856341 -<br />

simone.bartolini@agr.unipg.it<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 85<br />

Grafico 1. Precipitazioni e temperature decadiche del periodo<br />

aprile-ottobre 2006 e del poliennio.<br />

Grafico 2. Precipitazioni e temperature decadiche del periodo<br />

aprile - settembre 2007 e del poliennio.<br />

stata determinata la produzione di biomassa legnosa<br />

espressa come peso fresco e secco e la sua umidità.<br />

La coltivazione nei due anni considerati è stata<br />

condotta senza eseguire irrigazioni se non al momento<br />

dell'impianto per favorire l'attecchimento; inoltre<br />

non sono state eseguite concimazioni oltre a quelle<br />

azotate previste dal protocollo della prova. Sono state<br />

eseguite solo erpicature per mantenere il terreno libero<br />

da malerbe.<br />

Andamento climatico<br />

Nel 2006 (grafico 1) nel periodo da aprile a ottobre,<br />

le temperature sono state sempre al di sopra<br />

della media degli ultimi trenta anni eccetto che<br />

nella prima decade di giugno e nelle prime due<br />

decadi di agosto dove sono stati registrati valori<br />

inferiori alla media. Per quanto riguarda le precipitazioni<br />

nel periodo considerato, i mesi di maggio<br />

e giugno sono stati particolarmente siccitosi men-


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.07 Pagina 86<br />

86<br />

Bartolini et al <strong>Co</strong>ncimazione azotata del pioppo da biomassa<br />

<strong>Ta</strong>bella 1. Produzione di biomassa con turno di ceduazione annuale e biennale<br />

tre abbondanti sono state le precipitazioni nella<br />

seconda e terza decade di settembre.<br />

<strong>Co</strong>mplessivamente nel 2006 da maggio a settembre<br />

sono caduti 251 mm inferiori alla media del<br />

poliennio precedente che è stata di 302 m.<br />

Nel 2007 (grafico 2) nei mesi da aprile a settembre<br />

le temperature sono state sempre superiori<br />

alla media degli ultimi trenta anni eccetto che<br />

nella prima decade di agosto e settembre. Per<br />

quanto concerne le precipitazioni; scarse (2.8<br />

mm) sono state le piogge dalla seconda decade di<br />

giugno alla terza decade di luglio e nelle prime<br />

due decadi di settembre. <strong>Co</strong>mplessivamente da<br />

aprile a settembre sono caduti 193 mm contro i<br />

373 mm degli ultimi trenta anni.<br />

Risultati e discussione<br />

I dati rilevati nel 2006 e 2007 (tabella 1) non evidenziano<br />

differenze statisticamente significative<br />

tra le tesi per la produzione di biomassa in quanto<br />

la concimazione azotata non ha influenzato la<br />

produttività della coltura, molto probabilmente<br />

sono necessarie dosi di azoto superiori per avere<br />

incrementi produttivi significativi.<br />

La produzione del turno biennale, è stata superiore<br />

a quella totale ottenuta in due anni con due<br />

ceduazioni del turno annuale.<br />

Risultati e discussione<br />

I dati rilevati nel 2006 e 2007 (tabella 1) non evidenziano<br />

differenze statisticamente significative<br />

tra le tesi per la produzione di biomassa in quanto<br />

la concimazione azotata non ha influenzato la produttività<br />

della coltura, molto probabilmente sono<br />

necessarie dosi di azoto superiori per avere incrementi<br />

produttivi significativi.<br />

La produzione del turno biennale, è stata superiore<br />

a quella totale ottenuta in due anni con due<br />

ceduazioni del turno annuale.<br />

<strong>Co</strong>nclusioni<br />

1) La prova mette in evidenza come sia possibile<br />

ottenere, adottando una tecnica di coltivazione<br />

a basso input, produzioni medie di circa 5 o 16<br />

t ha-1 di sostanza secca nel caso di turno di<br />

ceduazione annuale o biennale.<br />

2) Per quanto riguarda l'effetto della concimazione<br />

azotata l'impiego di 37.5 e 75 Kg ha-1 anno-<br />

1 non ha comportato incrementi produttivi<br />

significativi.<br />

Bibliografia consultata<br />

AA. VV. 2002 Pioppicoltura. Produzioni di qualità nel rispetto<br />

dell'ambiente. Villanova Monferrato, Diffusioni grafiche.<br />

Minotta G. 2003 L'arboricoltura da legno: un'attività produttiva<br />

al servizio dell'ambiente. Bologna, Avenue media.<br />

Pari L., Civitarese V. 2005 Il pioppo da biomassa può essere una<br />

valida alternativa. Informatore Agrario, 18, pp. 55-58.


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.07 Pagina 87<br />

Il diserbo del pioppo da biomassa<br />

<strong>Co</strong>varelli G, Pannacci E, Bartolini S<br />

Introduzione<br />

L'impianto di un pioppeto richiede che venga fatta<br />

particolare attenzione al controllo delle infestanti<br />

nelle prime fasi di sviluppo della coltura in quanto<br />

possono provocare scarso attecchimento delle talee<br />

e riduzioni dell'accrescimento superiori al 50%<br />

(Buhler et al., 1998). L'esigenza di un ottimo controllo<br />

delle infestanti in questa fase è ancora più sentito<br />

nel vivaio dove è fondamentale ottenere materiale<br />

vegetativo di buon vigore e di ottima qualità<br />

(Anselmi et al., 1983; Frison, 1997). Per il controllo<br />

delle malerbe la tecnica più efficace è quella di effettuare<br />

un trattamento chimico in pre impianto o appena<br />

dopo, con principi attivi ad azione residuale che<br />

consentono il controllo delle infestanti per almeno 4-<br />

6 settimane. Successivamente, nel caso fosse necessario,<br />

è possibile controllare le infestanti tra le file<br />

con mezzi chimici e meccanici mentre più problematico<br />

è il diserbo chimico sulla fila per la scarsa<br />

disponibilità di erbicidi selettivi quando distribuiti<br />

sulla vegetazione (Giorgelli, 1996).<br />

Un'altra problematica che si presenta al termine<br />

del ciclo produttivo di un pioppeto è l'eliminazione<br />

delle ceppaie. Questa operazione, necessaria per<br />

liberare il terreno per la coltura successiva, presenta<br />

alcuni inconvenienti, per i ricacci di pioppo dalle<br />

porzioni di radici lasciate in campo. Per evitare<br />

questo inconveniente, una tecnica che potrebbe<br />

essere efficace è quella di devitalizzare chimicamente<br />

le ceppaie prima dell'espianto, attraverso<br />

l'applicazione di principi attivi sistemici sulla vegetazione<br />

o subito dopo la ceduazione delle piante,<br />

direttamente sulla ceppaia. In questo modo gli<br />

eventuali residui di radici devitalizzate chimicamente<br />

non sono più in grado di generare ricacci.<br />

<strong>Al</strong>lo scopo di dare risposta alle problematiche<br />

sopra esposte sono state realizzate alcune ricerche<br />

per individuare sia gli erbicidi da applicare in pre e<br />

post impianto selettivi per il pioppo sia quelli più<br />

efficaci per la devitalizzazione delle ceppaie di<br />

pioppo.<br />

Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali<br />

Sezione di Agronomia e <strong>Co</strong>ltivazioni erbacee -<br />

Università degli Studi di Perugia 075/5856326 -<br />

covarel@unipg.it<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 87<br />

Materiali e metodi<br />

Negli anni 2006 e 2007 sono state realizzate quattro<br />

prove sperimentali su pioppo da biomassa: due<br />

sul controllo chimico delle infestanti in pre e post<br />

impianto e due sulla devitalizzazione chimica delle<br />

ceppaie. Per tutte le prove è stato utilizzato l'ibrido<br />

Monviso (Populus maximowiczii x Populus nigra).<br />

Diserbo chimico in pre impianto<br />

Oggetto della prova è stata la valutazione dell'efficacia<br />

di 6 erbicidi impiegati nel controllo delle<br />

principali infestanti del pioppo in pre impianto e<br />

della loro selettività nei confronti della coltura.<br />

Per la prova è stato adottato lo schema sperimentale<br />

a blocchi randomizzati con quattro ripetizioni<br />

e parcelle di 15 m2 (5 x 3 m). Per la valutazione<br />

dell'efficacia <strong>dei</strong> p.a., è stato eseguito 50<br />

giorni dopo i trattamenti (GDT) un rilievo visivo<br />

sul ricoprimento delle infestanti secondo il metodo<br />

fitosociologico dell'abbondanza - dominanza di<br />

Braun - Blanquet.<br />

Per valutare la selettività <strong>dei</strong> p.a. verso la coltura<br />

è stato eseguito un rilievo visivo 42 GDT, mediante<br />

una scala convenzionale con valori da 0 a 10 (0 =<br />

fitotossicità nulla e 10 = morte della coltura). Inoltre<br />

è stata misurata l'altezza delle piante ed è stata raccolta<br />

la biomassa legnosa determinandone il peso<br />

fresco e secco e ciò non tanto con la finalità di valutare<br />

la produttività del pioppo, quanto gli effetti <strong>dei</strong><br />

trattamenti sull'accrescimento delle piante.<br />

<strong>Ta</strong>bella 1. Diserbo in pre impianto - principi attivi e dosi d'impiego.


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.07 Pagina 88<br />

88<br />

<strong>Co</strong>varelli et al Il diserbo del pioppo da biomassa.<br />

<strong>Ta</strong>bella 5. Devitalizzazione delle ceppaie - principi attivi e dosi<br />

d'impiego.<br />

Diserbo chimico in post impianto<br />

L'obiettivo della sperimentazione è stato quello di<br />

valutare la selettività nei confronti del pioppo di 6<br />

erbicidi impiegati in post-impianto della coltura,<br />

<strong>dei</strong> quali solo isoxaben autorizzato, al momento<br />

dell'impiego. I p.a. e le rispettive dosi d'impiego<br />

sono riportati in tabella 2. La prova è stata realizzata<br />

secondo uno schema sperimentale a blocchi randomizzati<br />

con 4 ripetizioni e parcelle di 9 m 2 (3 x<br />

3 m). I trattamenti sono stati eseguiti con le stesse<br />

modalità già descritte nel diserbo di pre - impianto.<br />

Essendo già noto lo spettro di efficacia di questi<br />

principi attivi nei confronti delle principali infestanti,<br />

si è deciso di limitare le valutazioni alla sola<br />

selettività nei confronti del pioppo mantenendo le<br />

parcelle libere da malerbe. Per cui, sono stati eseguiti<br />

rilievi visivi per valutare la fitotossicità <strong>dei</strong><br />

p.a. verso la coltura secondo una scala 0 - 10 (0 =<br />

nessun sintomo; 10 = coltura distrutta). E' stato<br />

inoltre determinato il peso fresco e secco sulla biomassa<br />

del pioppo.<br />

Devitalizzazione chimica delle ceppaie di<br />

pioppo<br />

Nel 2007 sono state realizzate due prove sperimentali<br />

con l'obiettivo di individuare i p.a. più idonei per<br />

devitalizzare le ceppaie di due anni secondo due<br />

diverse modalità di applicazione: a) trattando la<br />

vegetazione costituita dai ricacci di un anno tagliati<br />

ad un metro di altezza; b) trattando le piante ceduate<br />

costituite dai ricacci tagliati a 10 centimetri. In<br />

entrambi i casi i ricacci sono stati tagliati appena<br />

prima <strong>dei</strong> trattamenti. I formulati commerciali e<br />

relativi p.a. impiegati sono riportati in tabella 5.<br />

Le prove sono state realizzate secondo uno<br />

schema sperimentale a blocchi randomizzati con<br />

tre ripetizioni e parcelle di 15 m 2 (5 x 3 m). Per il<br />

trattamento sulla vegetazione è stata utilizzata una<br />

barra irroratrice tenuta alta 150 centimetri circa da<br />

terra in grado di erogare 1000 L ha -1 di acqua. Il<br />

trattamento sulle piante ceduate è stato eseguito in<br />

maniera localizzata in corrispondenza della fila per<br />

una larghezza di 50 centimetri utilizzando 600 L<br />

ha -1 di acqua. Per valutare l'efficacia <strong>dei</strong> p.a. applicati<br />

sulla vegetazione, sono stati eseguiti rilievi<br />

visivi a 21, 45 e 96 GDT per determinare la fitotossicità<br />

<strong>dei</strong> principi attivi (percentuale di tessuti lesi).<br />

L'efficacia <strong>dei</strong> principi attivi applicati sulle piante<br />

ceduate è stata invece valutata come percentuale di<br />

ceppaie senza ricacci rilevata a 45 e 96 GDT.<br />

Risultati e discussione<br />

Diserbo chimico in pre impianto<br />

<strong>Ta</strong>bella 7. Diserbo in pre impianto - Ricoprimento delle infestanti, altezza e biomassa di pioppo.


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.07 Pagina 89<br />

<strong>Ta</strong>bella 8. Diserbo in post impianto - Fitotossicità <strong>dei</strong> p.a. e biomassa<br />

di pioppo.<br />

La flora infestante nel testimone non trattato, era<br />

composta da Helianthus annuus L. (presente per disseminazione<br />

nelle annate precedenti, 20%),<br />

Chenopodium album L. (6%) ed altre specie presenti<br />

in maniera sporadica come Echinochloa crus-galli<br />

L., Stachys annua L., Fallopia convolvulus L.,<br />

Mercurialis annua L., Anagallis arvensis L.,<br />

<strong>Co</strong>nvolvulus arvensis L., Polygonum aviculare L.,<br />

Portulaca oleracea L., Amaranthus graecizans L. e<br />

Amaranthus retroflexus L.; 9% in totale (tabella 8).<br />

La selettività <strong>dei</strong> principi attivi è risultata buona<br />

in tutte le tesi ad eccezione di quelle in presenza di<br />

s-metolachlor dove si sono verificati effetti di fitotossicità<br />

caratterizzati da ingiallimento fogliare e<br />

riduzione nella taglia <strong>dei</strong> giovani germogli delle<br />

talee. <strong>Ta</strong>li sintomi tuttavia sono <strong>risultati</strong> transitori<br />

scomparendo già dopo circa un mese dal rilievo,<br />

senza pregiudicare il successivo accrescimento<br />

delle piante come mostrano i dati sulla biomassa<br />

secca rilevati in settembre (tabella 7). La buona<br />

selettività <strong>dei</strong> trattamenti è confermata anche dalla<br />

percentuale di attecchimento delle talee che è risultata<br />

pari al 98%. Per quanto riguarda l'efficacia<br />

erbicida, tutti i trattamenti hanno mostrato buoni<br />

<strong>risultati</strong> senza differenze significative tra di essi.<br />

Diserbo chimico in post impianto<br />

<strong>Ta</strong>bella 9. Devitalizzazione delle ceppaie di pioppo - applicazione<br />

sulla vegetazione.<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 89<br />

Tra i principi attivi utilizzati, isoxaben, metamitron,<br />

clopyralid e triflusulfuron methyl si sono rivelati<br />

selettivi per la coltura mentre rimsulfuron e<br />

phenmedipham hanno esercitato fitotossicità, che<br />

si è manifestata con ingiallimenti della lamina e<br />

necrosi del lembo fogliare e con riduzione della<br />

taglia delle piante.<br />

Le produzioni rilevate nelle tesi sono mediamente<br />

molto al disotto della capacità produttiva<br />

della coltura, in quanto la raccolta della biomassa è<br />

stata effettuata in un'epoca molto anticipata rispetto<br />

a quella che consiglia la corretta tecnica colturale<br />

per evidenziare meglio gli eventuali effetti fitotossici<br />

<strong>dei</strong> p.a.. Le differenze di produzione tra le<br />

tesi, non sono risultate significative (tabella 8).<br />

Devitalizzazione chimica delle ceppaie di<br />

pioppo<br />

Applicazione sulla vegetazione<br />

Il trattamento sulla vegetazione è risultato complessivamente<br />

molto efficace. In cinque tesi su sei,<br />

si è osservato, il disseccamento delle piante presenti<br />

(tabella 9). Solo le piante trattate con il solo<br />

picloram sono sopravvissute riportando gravi sintomi<br />

fitotossici che ne hanno tuttavia, bloccato l'accrescimento.<br />

Applicazione su piante ceduate<br />

Il trattamento su piante ceduate senza ricacci si è<br />

dimostrato meno efficace rispetto all'applicazione<br />

sulla vegetazione in quanto in sole due tesi su sei è<br />

stata osservata la totale perdita della capacità di<br />

ricaccio delle ceppaie (tabella 10). La minore efficacia<br />

potrebbe essere dovuta a due fattori: ai principi<br />

attivi stessi che vengono assorbiti prevalentemente<br />

per via fogliare e solo marginalmente per via<br />

radicale e alla modalità di applicazione.<br />

L'applicazione del diserbante su una superficie<br />

limitata della pianta, quale la sezione del tronco<br />

<strong>Ta</strong>bella 10. Devitalizzazione delle ceppaie di pioppo - applicazione<br />

su piante ceduate.


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.07 Pagina 90<br />

90<br />

ceduato, non consente alla stessa di assorbire la<br />

quantità di p.a. sufficiente a determinare la sua<br />

devitalizzazione. Per quanto riguarda le tesi con<br />

picloram, picloram + 2.4 D, glyphosate + solfato<br />

ammonico e triclopyr + fluroxypyr, il trattamento<br />

della ceppaia sembra aver solo rallentato l'attività<br />

vegetativa delle piante senza provocarne la devitalizzazione<br />

se non in poche piante. Risultati interessanti<br />

sono stati ottenuti dalle tesi con triclopyr e triclopyr<br />

+ glyphosate dove il trattamento ha devitalizzato<br />

le ceppaie e non vi sono stati ricacci.<br />

<strong>Co</strong>nclusioni<br />

1) Oxadiazon, oxifluorfen e pendimethalin impiegati<br />

in pre impianto si sono dimostrati selettivi<br />

per il pioppo; moderati sintomi di fitotossicità<br />

si sono manifestati con s-metolachlor;<br />

2) Nel trattamento in post impianto isoxaben,<br />

metamitron, clopyralid e triflusulfuron-methyl<br />

sono stati selettivi per la coltura mentre phenmedipham;<br />

e rimsulfuron hanno causato sinto-<br />

mi di fitotossicità;<br />

3) Per la devitalizzazione delle ceppaie il trattamento<br />

sui ricacci è stato molto efficace, con<br />

tutte le tesi eccetto che con picloram da solo;<br />

4) Il trattamento su piante appena ceduate senza<br />

vegetazione è stato complessivamente meno<br />

efficace, tuttavia ottimi <strong>risultati</strong> sono stati ottenuti<br />

impiegando sia triclopyr da solo che in<br />

miscela con glyphosate.<br />

Bibliografia<br />

Anselmi N., Giorgelli A. 1983. Indagini sulle erbe infestanti nei<br />

vivai di pioppo di nuovo impianto. Atti del <strong>Co</strong>nvegno<br />

SILM "Le erbe infestanti fattore limitante la produzione<br />

agraria ", Perugia, 109-118.<br />

Buhler D.D., Netzer D.A., Riemenschneider E., Hartzler R.G.<br />

1998. Weed management in short rotation poplar and herbaceous<br />

perennial crops grown for biofuel production.<br />

Biomass and Bioenergy, vol. 14, 4, 385-394.<br />

Frison G. 1997. Cure culturali al vivaio di pioppo. Informatore<br />

agrario, 22, 31-36.<br />

Giorgelli A., Vietto L. 1996. Fitotossicità verso il pioppo di<br />

principi attivi diserbanti distribuiti in post-emergenza. Atti<br />

Giornate Fitopatologiche, 1, 405-412.


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.07 Pagina 91<br />

Introduzione<br />

Tra le colture erbacee coltivabili per la produzione di<br />

biomassa da impiegare nelle filiere agroenergetiche,<br />

il sorgo risulta particolarmente interessante sia per le<br />

elevate quantità di sostanza secca in grado di produrre<br />

sia per i bassi input energetici (irrigazioni, concimazioni<br />

ecc.) richiesti; aspetti fondamentali nel definire<br />

la sostenibilità economico-ambientale delle colture<br />

per usi energetici (Foti e <strong>Co</strong>sentino, 2001).<br />

La biomassa di sorgo, inoltre, in funzione <strong>dei</strong><br />

diversi ibridi (da fibra o biomassa, foraggio, zuccherini),<br />

può essere utilizzata per ottenere diverse fonti<br />

di energia, dal materiale tal quale, al biogas e bioetanolo<br />

(Bonardi et al., 2007). A tal proposito, scopo<br />

della ricerca è stato quello di valutare le caratteristiche<br />

produttive di alcuni ibridi di sorgo, in un<br />

ambiente di coltivazione tipico del centro Italia.<br />

Materiali e metodi<br />

Nel biennio 2005-2006, in località Papiano<br />

(Marsciano - PG) presso il Laboratorio Didattico<br />

Sperimentale del Dipartimento di Scienze Agrarie<br />

e Ambientali, dell'Università degli Studi di<br />

Perugia, sono state realizzate due prove sperimentali,<br />

su un terreno di tessitura argillo-limosa (43%<br />

limo, 35% argilla, 22% sabbia). <strong>Co</strong>n un disegno<br />

sperimentale a blocchi randomizzati con 4 ripetizioni<br />

sono stati messi a confronto gli ibridi di sorgo<br />

riportati in tabella 1. Tra questi, Speedfeed e<br />

Grazer N data la bassa produzione di biomassa<br />

riscontrata nel 2005, sono stati sostituiti nel 2006,<br />

con Hikane <strong>II</strong>, SS405 e SS506 ibridi da foraggio<br />

caratterizzati da elevato contenuto in zuccheri fermentescibili.<br />

In entrambi gli anni, il sorgo è stato seminato il<br />

17 maggio, a file larghe 0.5 m per gli ibridi da biomassa<br />

e 0.25 m per quelli da foraggio, con una<br />

quantità di seme tale da ottenere una densità di<br />

circa 30 piante m -2 . L'emergenza è avvenuta 8 e 5<br />

giorni dopo la semina rispettivamente nel 2005 e<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 91<br />

Sperimentazione su ibridi di sorgo (Sorghum vulgare Pers.)<br />

per impiego a fini energetici<br />

<strong>Co</strong>varelli G, Pannacci E, Bartolini S<br />

Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali<br />

Sezione di Agronomia e <strong>Co</strong>ltivazioni erbacee -<br />

Università degli Studi di Perugia 075/5856326 -<br />

covarel@unipg.it<br />

<strong>Ta</strong>bella1. Ibridi in sperimentazione<br />

2006, mentre la concimazione è stata eseguita<br />

apportando ogni anno 75 Kg ha -1 di P 2 O 5 al<br />

momento delle lavorazioni principali e 75 Kg ha -1<br />

di N alla semina. L'irrigazione è stata eseguita con<br />

interventi di soccorso che hanno apportato, 600 m 3<br />

ha -1 nel 2005 e 1150 m 3 ha -1 nel 2006. Per quanto<br />

non riportato precedentemente, si fa presente che la<br />

coltura è stata condotta secondo le pratiche colturali<br />

usuali per la zona. I rilievi eseguiti hanno riguardato<br />

l'altezza delle piante (determinata all'inserzione<br />

dell'ultima foglia), l'epoca di fioritura (determinata<br />

come data alla quale risultavano fiorite il 50%<br />

delle piante ed espressa in giorni dopo l'emergenza,<br />

GDE) e la produzione di biomassa fresca e secca a<br />

fine ciclo. Nel 2006, campioni di biomassa sono<br />

stati analizzati in laboratorio per determinare il<br />

potere calorifico superiore (PCS), il potere calorifico<br />

inferiore (PCI) e il contenuto in ceneri al fine di<br />

poter valutare il potenziale energetico della biomassa<br />

secca alla combustione. I dati raccolti sono<br />

stati sottoposti ad ANOVA per valutare l'errore sperimentale<br />

per ciascuna delle variabili rilevate. La<br />

significatività delle differenze tra le medie è stata<br />

saggiata con MDS protetta al livello di probabilità<br />

prescelto (p=0,05).<br />

Risultati e discussione<br />

Dai <strong>risultati</strong> ottenuti nel 2005 si evidenzia una<br />

maggior precocità del ciclo produttivo per gli ibridi<br />

da foraggio rispetto a quelli da biomassa con differenze<br />

in media di circa 25 giorni nei valori del<br />

periodo fenologico emergenza-fioritura (tabella 2).


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.07 Pagina 92<br />

92<br />

<strong>Co</strong>varelli et al Sperimentazione su ibridi di sorgo...<br />

<strong>Ta</strong>bella 2. Risultati fenologici e produttivi <strong>dei</strong> diversi ibridi di sorgo - 2005.<br />

<strong>Ta</strong>bella 3. Risultati fenologici e produttivi <strong>dei</strong> diversi ibridi di sorgo - 2006.<br />

La maggiore durata del ciclo vegetativo degli ibridi<br />

da biomassa fa si che questi si accrescano maggiormente<br />

rispetto a quelli da foraggio, come mostrano i<br />

valori delle altezze raggiunte dalle piante 75 giorni<br />

dopo l'emergenza. A tal proposito, anche le produzioni<br />

di biomassa secca hanno mostrato differenze<br />

notevoli tra le due tipologie di ibridi: quelli da biomassa<br />

(H133 e H952), infatti, hanno prodotto in<br />

media 21.6 t ha -1 di sostanza secca, di molto superiore<br />

rispetto a quelli da foraggio (Speedfeed e Grazer<br />

N) per i quali la produzione media è risultata pari a<br />

14.5 t ha -1 , con valori di umidità della biomassa pari<br />

al 65-66% (tabella 2). Anche i <strong>risultati</strong> del 2006<br />

hanno mostrato differenze significative nella lunghezza<br />

del ciclo produttivo tra i diversi ibridi, pur<br />

senza differenze sostanziali in media tra quelli da<br />

biomassa e quelli da foraggio (tabella 3). In particolare,<br />

si distinguono SS506 e H133 per il ciclo più<br />

lungo e Hikane <strong>II</strong> e H128 per il ciclo più breve. A tal<br />

proposito, come era da attendersi, si evidenzia un<br />

elevato grado di correlazione (r = 0.983) tra lunghezza<br />

del ciclo (periodo emergenza-fioritura) e<br />

produzione di biomassa secca nei diversi ibridi, con<br />

i più tardivi SS506 e H133 che hanno raggiunto,<br />

rispettivamente 27.3 t ha -1 e 26.3 t ha -1 di biomassa<br />

secca (tabella 3). Le produzioni di H133 e H952, più<br />

elevate nel 2006 rispetto al 2005, sono probabilmente<br />

da imputare ai maggiori apporti irrigui del 2006,<br />

se si considera che l'andamento termopluviometrico<br />

durante il ciclo è risultato<br />

pressoché analogo nei due anni.<br />

Anche nel 2006 gli ibridi da biomassa<br />

hanno mostrato i valori più elevati di<br />

altezza delle piante, che hanno raggiunto,<br />

in prossimità della raccolta, oltre 3<br />

m. I <strong>risultati</strong> delle analisi sulla valutazione<br />

del potenziale energetico della<br />

biomassa alla combustione non hanno<br />

evidenziato differenze significative tra i<br />

diversi ibridi con valori medi di PCS<br />

pari a 18.0 ± 0.25 MJ Kg -1 di s.s., di PCI<br />

pari a 17.2 ± 0.26 MJ Kg -1 di s.s. e di<br />

ceneri pari al 7.2 ± 0.30 % sulla s.s.<br />

Sulla base del valore di PCI rilevato, è<br />

possibile esprimere la quantità di energia<br />

prodotta dalla combustione di una<br />

tonnellata di biomassa secca di sorgo<br />

come 0.41 tep (tonnellate di petrolio<br />

equivalente) (Fagnano e Postiglione,<br />

2002), che equivale a dire che la combustione<br />

della biomassa prodotta da un ettaro di<br />

sorgo, ad esempio 25 t ha -1 di s.s, produce la stessa<br />

energia di 10.3 t di petrolio.<br />

<strong>Co</strong>nclusioni<br />

1) gli ibridi più produttivi risultano H133 e H952<br />

tra quelli da biomassa e SS506 tra quelli da<br />

foraggio;<br />

2) l'elevata altezza della coltura può favorirne l'allettamento,<br />

soprattutto quando si verifichino<br />

condizioni meteorologiche favorevoli a tale<br />

fenomeno (piogge e venti forti);<br />

3) l'elevata umidità della biomassa alla raccolta<br />

costituisce uno <strong>dei</strong> maggiori inconvenienti sia<br />

per la sua conservazione che per l'impiego tal<br />

quale; utile risulta il condizionamento (sfibratura)<br />

della biomassa in campo e successiva raccolta<br />

tramite imballatrici;<br />

4) i valori di PCS e PCI risultano buoni ai fini del<br />

potenziale energetico della biomassa alla combustione,<br />

pur con l'inconveniente dell'elevato<br />

contenuto in ceneri.<br />

Bibliografia<br />

Bonardi P., Lorenzoni C., Amaducci S., 2007. L'informatore<br />

Agrario, 13, 37-40.<br />

Fagnano, M., Postiglione L., 2002. Rivista di Agronomia, 36,<br />

227-232.<br />

Foti S., <strong>Co</strong>sentino S. L., 2001. Rivista di Agronomia, 35, 200-215.


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.07 Pagina 93<br />

Introduzione<br />

Una delle caratteristiche di grande pregio della coltura<br />

del sorgo è l'elevata produttività superiore a<br />

molte altre colture erbacee, ottenibile con bassi<br />

input energetici.<br />

E' importante determinare la dose di azoto ottimale<br />

per ottenere la resa massima e nel contempo<br />

ridurre la lisciviazione <strong>dei</strong> nitrati.<br />

Per tali motivi negli anni 2005 e 2006 è stata<br />

realizzata una prova di concimazione azotata su<br />

sorgo da biomassa.<br />

Materiali e metodi<br />

Nel 2005 e 2006, presso i campi sperimentali della<br />

sezione di Agronomia e <strong>Co</strong>ltivazioni erbacee del<br />

Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali siti a<br />

Papiano di Marsciano (PG) nella media Valle del<br />

Tevere su terreno argillo - sabbioso (40% sabbia,<br />

33% argilla, 27% limo), sono state realizzate due<br />

prove per valutare l'influenza sul sorgo di tre diverse<br />

dosi di azoto: 50, 100 e 150 kg ha -1 in confronto<br />

con un testimone non concimato.<br />

Lo schema sperimentale che è stato adottato è il<br />

blocco randomizzato, con quattro ripetizioni e con<br />

parcelle di superficie di 24 m 2 (6 x 4 m).<br />

Per le prove è stato utilizzato l'ibrido H133 con<br />

una densità di semina di 31 semi per m 2 con interfila<br />

di 50 cm.<br />

Nel 2005, la semina è stata effettuata il 17 maggio<br />

e l'emergenza è avvenuta il 25 dello stesso<br />

mese mentre nel 2006 la semina è stata eseguita il<br />

15 maggio e l'emergenza è stata rilevata il 19.<br />

La coltura nei mesi da maggio a luglio è stata<br />

irrigata per aspersione, distribuendo attraverso tre<br />

interventi nel 2005 complessivamente 600 m3 ha-1<br />

mentre nel 2006 con quattro interventi sono stati<br />

apportati 1150 m3 ha -1.<br />

Andamento stagionale<br />

L'andamento climatico del 2005 è stato caratterizzato<br />

da temperature che dalla fine di aprile fino alla<br />

Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali<br />

Sezione di Agronomia e <strong>Co</strong>ltivazioni erbacee -<br />

Università degli Studi di Perugia 075/5856341 -<br />

simone.bartolini@agr.unipg.<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 93<br />

Effetti della concimazione azotata sulla produzione del sorgo<br />

da biomassa<br />

Bartolini S<br />

fine di luglio si sono mantenute per lo più al di<br />

sopra della media degli ultimi trenta anni, mentre<br />

successivamente, da agosto ad ottobre, queste sono<br />

risultate generalmente inferiori (grafico 1). Le precipitazioni<br />

registrate nei mesi invernali sono nella<br />

norma mentre sono da segnalare i mesi di giugno e<br />

luglio come particolarmente siccitosi e quelli da<br />

agosto a ottobre come particolarmente piovosi.<br />

Nel 2006 (grafico 2) le temperature dalla seconda<br />

decade di marzo in poi sono state leggermente<br />

superiori alla media del poliennio. Solo nella<br />

seconda decade di gennaio, marzo e nella prima<br />

decade di giugno sono stati registrati valori sensibilmente<br />

inferiori. Per quanto riguarda le precipitazioni,<br />

la pioggia caduta da gennaio fino al mese di<br />

ottobre è stata inferiore alla media degli ultimi<br />

trenta anni di 150 mm circa; abbondanti piogge<br />

sono state registrate nella seconda decade di settembre.<br />

Grafico 1. Precipitazioni e temperature decadiche del periodo<br />

gennaio-ottobre 2005 e del poliennio<br />

Grafico 2. Precipitazioni e temperature decadiche del periodo<br />

gennaio- ottobre 2006 e del poliennio.


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.07 Pagina 94<br />

94<br />

Bartolini et al <strong>Co</strong>ncimazione azotata del sorgo da biomassa ...<br />

<strong>Ta</strong>bella 1. Epoca di fioritura, biomassa secca e umidità<br />

Risultati e discussione<br />

Nel 2005 non è stato possibile determinare la data<br />

di fioritura delle varietà a seguito del parziale allettamento<br />

della coltura già dopo circa 90 giorni dall'emergenza.<br />

Per quanto riguarda la produttività, la dose di<br />

azoto che ha massimizzato la produzione della coltura<br />

è stata 100 Kg ha -1 ; non sono stati osservati<br />

incrementi significativi con una dose di 150 kg ha -1 .<br />

Quanto rilevato è in accordo con studi effettuati<br />

in altri istituti, i quali hanno osservato differenze<br />

non significative tra la produzione ottenuta apportando<br />

100 e 150 Kg ha -1 di azoto in condizioni di<br />

regime irriguo sub ottimale mentre sono stati osservati<br />

incrementi produttivi considerevoli con la tesi<br />

maggiormente concimata con un irrigazione ottimale<br />

(Montemurro, 2002).<br />

Nel 2006 le varietà hanno fiorito in media dopo<br />

105 giorni dopo l'emergenza senza differenze<br />

significative tra le tesi.<br />

La produttività della coltura è stata mediamente<br />

superiore a quella del 2005; molto probabilmente<br />

conseguenza delle maggiori irrigazioni.<br />

Non sono state rilevate differenze significative<br />

tra le tesi per quanto riguarda la produzione di<br />

sostanza secca. L'umidità al raccolto nei due anni è<br />

stata in media del 68%.<br />

<strong>Co</strong>nclusioni<br />

La dose di azoto che ha massimizzato la produzione<br />

della coltura, nelle condizioni in cui si è operato<br />

è stata di 100 kg ha -1 .<br />

Bibliografia consultata<br />

Montemurro F., <strong>Co</strong>lucci R., Martinelli N., 2002 Nutrizione azotata<br />

ed efficienza della fertilizzazione del sorgo zuccherino<br />

in ambiente mediterraneo. Rivista di Agronomia, 36, 313-<br />

318.<br />

Monti A., Venturi G., Amaducci M.T. 2002 <strong>Co</strong>nfronto fra sorgo,<br />

kenaf e miscanto a diversi livelli di disponibilità idrica e<br />

azotata per la produzione di energia. Rivista di Agronomia,<br />

36, pp. 213-220.


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.07 Pagina 95<br />

Introduzione<br />

Nel diserbo del sorgo da biomassa, il trattamento<br />

di pre-emergenza assume un ruolo<br />

fondamentale al fine di garantire un buon<br />

controllo delle infestanti fin dalle prime<br />

fasi dopo l'emergenza della coltura, nelle<br />

quali la competizione delle malerbe può<br />

ridurre drasticamente la densità della coltura<br />

e comprometterne l'accrescimento<br />

(Rapparini, 2003). Nelle fasi successive<br />

del ciclo i problemi legati alla competizione<br />

con le malerbe diminuiscono in quanto la coltura<br />

si accresce piuttosto velocemente in altezza, ricoprendo<br />

rapidamente il terreno e limitando così<br />

l'emergenza e lo sviluppo di nuove infestanti<br />

(<strong>Co</strong>varelli, 1999). Ciò fa si che il diserbo in postemergenza,<br />

risulti giustificato, solo nei casi di scarsa<br />

efficacia del diserbo di pre-emergenza o quando quest'ultimo<br />

non sia stato eseguito. Sul piano operativo,<br />

inoltre, la scarsa disponibilità di erbicidi e l'efficacia<br />

non sempre completa, rendono necessaria la valutazione<br />

dell'impiego di erbicidi in miscela allo scopo di<br />

aumentarne lo spettro d'azione mantenendo al contempo<br />

una buona selettività (Meriggi e Catizone,<br />

2001). Scopo della ricerca è stato quello di individuare,<br />

nel sorgo da biomassa, soluzioni di diserbo chimico<br />

di pre e post-emergenza efficaci verso le piante<br />

infestanti e al contempo selettive nei confronti della<br />

coltura.<br />

Materiali e metodi<br />

Nel biennio 2005-2006, in località Papiano<br />

(Marsciano - PG) presso il Laboratorio Didattico<br />

Sperimentale del Dipartimento di Scienze Agrarie e<br />

Ambientali, dell'Università degli Studi di Perugia,<br />

sono state realizzate due prove sperimentali su un terreno<br />

di tessitura argillo-limosa (43% limo, 35% argilla,<br />

22% sabbia). Le notizie agronomiche relative alle<br />

due prove sperimentali sono riportate nella tabella 1.<br />

Per quanto non specificatamente riportato, si fa presente<br />

che la coltura è stata condotta secondo le pratiche<br />

colturali usuali per la zona. <strong>Co</strong>n un disegno spe-<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 95<br />

Il diserbo pre e post-emergenza del sorgo da biomassa<br />

Pannacci E, <strong>Co</strong>varelli G, Graziani F<br />

Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali<br />

Sezione di Agronomia e <strong>Co</strong>ltivazioni erbacee -<br />

Università degli Studi di Perugia 075/5856342,<br />

pannacci@unipg.it<br />

<strong>Ta</strong>bella 1. Notizie agronomiche delle due prove sperimentali<br />

rimentale a blocchi randomizzati con 4 ripetizioni<br />

sono stati messi a confronto i trattamenti erbicidi di<br />

pre e post-emergenza riportati nelle tabelle 2 e 3. I<br />

formulati commerciali impiegati sono: Challenge<br />

(aclonifen 600 g L -1 ), Click 50 FL (terbutilazina 500<br />

g L -1 ), Ramrod Flow (propaclor 480 g L -1 ),<br />

Primagram Gold (terbutilazina 187.5 g L -1 + s-metolachlor<br />

312.5 g L -1 ), Bi-Fen (MCPA 337 g L -1 + 2,4<br />

D 331 g L -1 ), Emblem (bromoxinil ottanoato 20%),<br />

Mondak 21 S (dicamba 243.8 g L -1 ). I trattamenti di<br />

post-emergenza precoce e tardiva sono stati eseguiti,<br />

rispettivamente, con la coltura allo stadio di 2-3<br />

foglie e 4-5 foglie. La selettività <strong>dei</strong> trattamenti erbicidi<br />

verso la coltura è stata valutata con rilievi visivi<br />

mediante una scala convenzionale con valori da 0 a<br />

10 (0 = fitotossicità nulla; 10 = morte della coltura);<br />

inoltre, è stata rilevata anche la biomassa secca del<br />

sorgo. L'efficacia erbicida è stata valutata con rilievi<br />

visivi del ricoprimento delle specie infestanti e nel<br />

2006 anche mediante conta e peso delle malerbe rilevate<br />

su 2 quadrati (0.5 m di lato) per ogni unità sperimentale.<br />

I dati raccolti sono stati sottoposti ad<br />

ANOVA per valutare l'errore sperimentale per ciascuna<br />

delle variabili rilevate. La significatività delle<br />

differenze tra le medie è stata saggiata con MDS protetta<br />

al livello di probabilità prescelto (p=0,05).<br />

Risultati e discussione<br />

Nel 2005, la flora infestante era composta da<br />

Amaranthus retroflexus L. (51% di ricoprimento),<br />

Chenopodium album L. (22%), Portulaca oleracea<br />

L. (23%), Polygonum persicaria L. (29%) ed altre<br />

specie presenti in maniera sporadica (3%). La selettività<br />

<strong>dei</strong> trattamenti è risultata buona in tutte le tesi,<br />

con lievi e transitori sintomi di fitotossicità nei trattamenti<br />

di post-emergenza (tabella 2). In pre-emergen-


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.07 Pagina 96<br />

96<br />

Pannacci et al Il diserbo del sorgo da biomassa...<br />

<strong>Ta</strong>bella 2. Efficacia e selettività <strong>dei</strong> trattamenti erbicidi e biomassa del sorgo - 2005<br />

za, i migliori <strong>risultati</strong> di efficacia sono stati ottenuti<br />

dalla terbutilazina sia da sola che in miscela con propaclor<br />

ed s-metolaclor. Aclonifen e propaclor hanno<br />

mostrato una scarsa efficacia soprattutto nei confronti<br />

di A. retroflexus. In post-emergenza sono stati rilevati<br />

buoni <strong>risultati</strong> di efficacia da parte di tutti i principi<br />

attivi impiegati anche se in misura minore per la<br />

miscela (2,4 D + MCPA) + terbutilazina. Nella produzione<br />

di biomassa secca del sorgo non si riscontrate<br />

differenze significative tra i trattamenti; tuttavia, la<br />

più bassa produzione è stata riscontrata nel testimone<br />

non trattato con 17.6 t ha-1.<br />

Nel 2006, la flora infestante era composta prevalentemente<br />

da P. oleracea (50%), A. retroflexus (5%)<br />

ed altre specie presenti in maniera sporadica (3%). I<br />

trattamenti in pre-emergenza hanno avuto una maggiore<br />

efficacia rispetto a quelli di post-emergenza,<br />

tranne nel caso di propaclor per la scarsa efficacia<br />

mostrata verso P. oleracea (tabella 3). Nei trattamenti<br />

di post-emergenza i migliori <strong>risultati</strong> sono stati forniti<br />

dalla miscela bromoxinil<br />

+ terbutilazina. La<br />

biomassa secca prodotta<br />

dal sorgo, come nel 2005,<br />

non ha mostrato differenze<br />

significative tra i trattamenti<br />

(tabella 3). Ciò<br />

va ricercato nella presenza<br />

di una flora infestante<br />

di scarsa entità e costituita<br />

da specie poco competitive<br />

che non hanno<br />

influenzato l'accrescimento<br />

del sorgo.<br />

<strong>Co</strong>nclusioni<br />

1) tutti i trattamenti hanno<br />

mostrato una buona selettività;<br />

lievi e transitori sintomi di fitotossicità<br />

possono manifestarsi con i<br />

trattamenti in post-emergenza;<br />

2) i trattamenti in pre-emergenza<br />

assicurano in genere una maggior<br />

efficacia rispetto a quelli in postemergenza;<br />

tuttavia tra i primi,<br />

mentre terbutilazina, sia da sola<br />

che in miscela con altri pp. aa.,<br />

garantisce ottimi <strong>risultati</strong>, aclonifen<br />

e propaclor dimostrano una<br />

bassa efficacia nei confronti<br />

rispettivamente di A. retroflexus e P. oleracea;<br />

3) in post-emergenza sono stati rilevati buoni <strong>risultati</strong><br />

di efficacia da parte <strong>dei</strong> trattamenti impiegati con<br />

una minor attività della miscela (2,4D + MCPA) +<br />

terbutilazina; in presenza di P. oleracea <strong>risultati</strong> più<br />

soddisfacenti sono stati ottenuti dalla miscela bromoxinil<br />

+ terbutilazina; 4) le rese produttive del<br />

sorgo, in termini di biomassa secca, non hanno<br />

mostrato differenze significative nei diversi trattamenti<br />

erbicidi; ciò per la presenza di infestanti<br />

poco competitive che anche se non completamente<br />

controllate non hanno influenzato in maniera<br />

significativa l'accrescimento del sorgo.<br />

Bibliografia<br />

<strong>Co</strong>varelli G., 1999. <strong>Co</strong>ntrollo della flora infestante le principali<br />

colture agrarie. Edagricole, pp. 209.<br />

Meriggi P., Catizone P., 2001. Il diserbo delle colture erbacee.<br />

In: Malerbologia, Pàtron Editore, pp. 925.<br />

Rapparini G., 2003. Diserbo di pre e post-emergenza di mais e<br />

sorgo. Informatore Agrario, 10, 71-89.<br />

<strong>Ta</strong>bella 3. Efficacia e selettività <strong>dei</strong> trattamenti erbicidi e biomassa del sorgo - 2006


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.07 Pagina 97<br />

Introduzione<br />

Tra le colture erbacce per la produzione di biomassa<br />

il miscanto (Miscanthus x giganteus GREEF et<br />

DEU) è tra quelle più interessanti per l'elevata produttività<br />

e le caratteristiche qualitative della biomassa<br />

migliori rispetto alle altre colture erbacee.<br />

Fondamentale per la diffusione della coltura è mettere<br />

a punto la tecnica del diserbo individuando<br />

principi attivi selettivi che potrebbero in futuro<br />

essere registrati in quanto al momento non ne sono<br />

disponibili.<br />

Materiali e metodi<br />

Nel 2007 presso i campi sperimentali della sezione<br />

di Agronomia e <strong>Co</strong>ltivazioni erbacee del<br />

Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali siti a<br />

Papiano di Marsciano (PG) nella media Valle del<br />

Tevere su terreno argillo - sabbioso (40% sabbia,<br />

33% argilla, 27% limo), è stata realizzata una prova<br />

sperimentale per valutare l'efficacia di 9 erbicidi di<br />

cui 4 applicati in pre impianto, uno in post impianto<br />

precoce (2-4 foglie) e 4 in post tardivo (4-6<br />

foglie); nel controllo delle principali infestanti del<br />

Miscanto e la selettività nei confronti della coltura.<br />

I principi attivi usati e le dosi di impiego sono<br />

riportati in tabella 1.<br />

L'impianto <strong>dei</strong> rizomi è stato eseguito il 16<br />

maggio su file distanti 0,50 m con una densità di<br />

1,5 piante per metro quadrato. I trattamenti per le<br />

tesi di pre impianto sono stati eseguiti il 21 maggio<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 97<br />

Selettività di alcuni principi attivi per il diserbo del Miscanto<br />

Graziani F<br />

<strong>Ta</strong>bella 1. Principi attivi, nome commerciale, dose e epoca di impiego.<br />

Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali<br />

Sezione di Agronomia e <strong>Co</strong>ltivazioni erbacee -<br />

Università degli Studi di Perugia 075/5856334 -<br />

covarel@unipg.it<br />

mentre quelli di post impianto precoce e tardivo<br />

rispettivamente 15 e 26 giorni dopo il impianto<br />

della coltura.<br />

La prova è stata realizzata secondo lo schema<br />

sperimentale a blocchi randomizzati con tre ripetizioni<br />

e parcelle di 6.75 m 2 (2.25 x 3 m).<br />

Ai fini della sperimentazione sono stati eseguiti<br />

rilievi per valutare la densità e la biomassa delle<br />

infestanti; il ricoprimento di queste secondo il<br />

metodo fitosociologico dell'abbondanza-dominanza<br />

di Braun-Blanquet, la selettività <strong>dei</strong> pp.aa.<br />

secondo una scala da 0 a 10 (0=nessun danno e 10=<br />

coltura distrutta) e la biomassa fresca e secca della<br />

coltura. Il ricoprimento e la fitotossicità sono stati<br />

rilevati 16 giorni dopo il trattamento di post<br />

impianto tardivo.<br />

Risultati e discussione<br />

Per quanto riguarda la flora infestante nel testimone<br />

inerbito (tabella 2) è risultata costituita da<br />

Echinochloa crus galli L. (52% di ricoprimento),<br />

Digitaria sanguinalis L. (26%), Polygonum lapathifolium<br />

L. (10%), <strong>Co</strong>nvolvulus arvensis L. (9%),<br />

Solanum nigrum L. (5%), con un ricoprimento<br />

complessivo del 102%. In particolare il testimone<br />

ha presentato un'infestazione di specie monocotiledoni<br />

caratterizzata da un ricoprimento del 78%,<br />

mentre le specie dicotiledoni presentavano un ricoprimento<br />

del 24%.<br />

<strong>Co</strong>ntro questa flora infestante, tutte le tesi hanno<br />

mostrato un'elevata efficacia<br />

erbicida. I principi attivi<br />

usati in pre impianto hanno<br />

esercitato un ottimo controllo<br />

delle infestanti con<br />

valori di efficacia prossimi<br />

al 100%. Anche i trattamenti<br />

di post impianto si sono<br />

rivelati molto efficaci ad<br />

eccezione della tesi con<br />

tifensulfuron metile che ha<br />

esercitato uno scarso controllo<br />

sulle dicotiledoni in<br />

particolare su S. nigrum e C. arvensis.<br />

Per quanto riguarda la selettività <strong>dei</strong> principi<br />

attivi questa è risultata buona in tutte le tesi; solo<br />

nelle parcelle trattate con le formulazioni a base di


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.07 Pagina 98<br />

98<br />

Graziani Il diserbo del Miscanto...<br />

<strong>Ta</strong>bella 2. Ricoprimento delle infestanti, fitotossicità <strong>dei</strong> pp.aa., e biomassa secca del miscanto<br />

oxifluorfen si sono manifestati lievi ingiallimenti<br />

fogliari allo stadio di 4-5 foglie che sono scomparsi<br />

dopo circa due settimane dal trattamento. I formulati<br />

maggiormente selettivi sono stati quelli a<br />

base di pendimetalin, sulcotrione e tifensulfuron<br />

metile. Possiamo affermare sulla base <strong>dei</strong> <strong>risultati</strong><br />

ottenuti che contro la composizione della flora<br />

infestante contro cui si è<br />

operato e alle dosi<br />

impiegate, tutti i prodotti<br />

si sono rivelati selettivi<br />

per la coltura.<br />

<strong>Co</strong>nclusioni<br />

1) Per il diserbo del<br />

miscanto sono disponibili<br />

principi attivi selettivi<br />

da impiegare efficacemente<br />

sia in pre che post<br />

impianto;<br />

2) i migliori principi attivi<br />

selettivi per la coltura,<br />

sono stati pendimetalin,<br />

sulcotrione e tifensulfuron<br />

metile.<br />

Bibliografia consultata<br />

Lewandowski I., Scurlock<br />

J.M.O., Lindvall E., Christou<br />

M. 2003. The development and current status of perennial<br />

rhizomatous grasses as energy crops in the US and Europe,<br />

Biomass Bioenergy 25: 335-361.<br />

Mckendry P. 2002. Energy production from biomass - overview<br />

of biomass", Bioresource Technology, 83: 37-46.<br />

Reynolds JH, Walker CL, Kirchner MJ. 2000.Nitrogen removal<br />

in switchgrass biomass under two harvest systems. Biomass<br />

& Bioenergy, 19(5), 281-286.


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.08 Pagina 99<br />

Introduzione<br />

L'olio di girasole prodotto da varietà "alto oleico"<br />

presenta notevole interesse per svariate utilizzazioni<br />

industriali (oltre che, ovviamente, come olio alimentare<br />

con particolari caratteristiche nutrizionali<br />

e salutistiche), in modo particolare per la produzione<br />

di biocarburanti e di altri prodotti sostitutivi di<br />

derivati petroliferi.<br />

Due aspetti, in particolare, assumono importanza<br />

ai fini della valutazione delle varietà alto oleico<br />

per le finalità predette:<br />

1. l'accertamento delle potenzialità produttive<br />

degli ibridi disponibili sul mercato sementiero<br />

nelle condizioni agro-pedo-climatiche degli<br />

ambienti di riferimento del <strong>Progetto</strong> di ricerca<br />

(Italia centrale), dove il girasole potrebbe riassumere<br />

rilevante interesse quale coltura asciutta nei<br />

comprensori di pianura e di collina privi di disponibilità<br />

irrigue. In tali ambienti la coltura è soggetta<br />

alle alee derivanti da andamenti stagionali sempre<br />

più o meno avversi per sfavorevoli condizioni<br />

di piovosità, alte temperature ed elevati consumi<br />

evapotraspirativi. In simili contesti risulta indispensabile<br />

la valutazione delle reali possibilità produttive<br />

della oleifera attraverso la individuazione<br />

<strong>dei</strong> genotipi più adatti (in termini di precocità e di<br />

attitudine a valorizzare le limitate risorse rese<br />

disponibili da un opportuna tecnica di arido-coltura)<br />

nell'ambito del panorama varietale disponibile.<br />

<strong>Ta</strong>le esigenza è tanto più sentita negli ambienti italiani,<br />

in quanto la totalità degli ibridi coltivabili è<br />

rappresentata da tipi costituiti in altri paesi (soprattutto<br />

in Francia), i cui profili pedoclimatici sono<br />

diversi e assai meno avversi di quelli che caratterizzano<br />

gli ambienti nostrani.<br />

2. fondamentale presupposto delle colture nonfood<br />

è il contenimento <strong>dei</strong> costi di produzione, da<br />

ricercare sia attraverso il ricorso a itinerari produttivi<br />

quanto più semplificati possibile, sia mirando<br />

alla massimizzazione delle rese di biomassa. Sotto<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 99<br />

Valutazione agronomica e qualitativa di varietà di girasole ad<br />

alto contenuto di acido oleico a destinazione industriale<br />

Monotti M.<br />

Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali<br />

Sezione di Agronomia e <strong>Co</strong>ltivazioni erbacee -<br />

Università degli Studi di Perugia 075/5856334 -<br />

covarel@unipg.it<br />

questo aspetto gioca un ruolo importante, nel girasole,<br />

la difesa da malattie gravemente distruttive e<br />

penalizzanti le rese, in particolare dalla peronospora.<br />

Questa malattia rappresenta, infatti, il più forte<br />

condizionamento di natura fitopatologica per l'oleifera,<br />

a causa della aumentata frequenza degli attacchi,<br />

legata alla comparsa di nuove razze fisiologiche<br />

del parassita, e della potenziale elevata intensità<br />

degli attacchi. Nei riguardi di questo pericolo<br />

non vanno sottovalutate le difficoltà esistenti, sul<br />

piano della operatività pratica, per realizzare<br />

un'adeguata protezione delle colture attraverso trattamenti<br />

di concia del seme con prodotti antificomicetici.<br />

Materiali e metodi<br />

Nel 2006, presso i campi sperimentali della sezione<br />

di Agronomia e <strong>Co</strong>ltivazioni erbacee del<br />

Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali siti a<br />

Papiano di Marsciano (PG) nella media Valle del<br />

Tevere su terreno argillo - sabbioso (40% sabbia,<br />

33% argilla, 27% limo), è stata realizzata una sperimentazione<br />

mirante a valutare il comportamento<br />

biologico-produttivo di 15 varietà "alto oleico",<br />

tutte di provenienza estera (Francia e Spagna), prescelte<br />

in base all'ineludibile requisito della resistenza<br />

genetica alla peronospora (risultante da documentazioni<br />

bibliografiche ufficiali o da indicazioni<br />

formalmente rilasciate dalle ditte sementiere distributrici),<br />

almeno nei confronti delle razze fisiologiche<br />

del parassita di accertata diffusione negli areali<br />

elianticoli italiani. Oltre le predette varietà alto<br />

oleico sono state incluse nella prova tre cultivar<br />

convenzionali quali tipi di confronto per adattamento<br />

e produttività negli ambienti di riferimento,<br />

caratteri accertati da precedenti sperimentazioni ivi<br />

condotte per più anni. Le 18 varietà a confronto<br />

sono elencate nella tabella 1.<br />

Nel 2007 la prova è stata ripetuta secondo le<br />

stesse modalità con l'unica differenza che le varietà<br />

messe a confronto sono state 30, di cui 26 alto<br />

oleico e 4 convenzionali come riferimento per<br />

adattamento e produttività negli areali del centro<br />

Italia. Le varietà oggetto della sperimentazione del<br />

2007 sono riportate in tabella 2.


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.08 Pagina 100<br />

Monotti Girasole ad alto contenuto di acido oleico...<br />

<strong>Ta</strong>bella 1. Prova di confronto varietale su girasole 2006 - cultivar<br />

alto oleico e convenzionali in prova<br />

Risultati<br />

Nel 2006 sono state messe in evidenza diverse varietà<br />

"alto oleico" non inferiori alle migliori cultivar<br />

convenzionali per quanto riguarda rese areiche in<br />

acheni e in olio e contenuto in olio degli acheni.<br />

Quasi tutte le varietà risultate migliori per i parametri<br />

produttivi hanno espresso percentuali di acido<br />

oleico molto elevate, da 88% a oltre 90% .<br />

Estrema importanza riveste il fatto che le varietà<br />

predette non abbiano subito attacchi di peronospora,<br />

il che consente di poterle proporre con relativa tranquillità<br />

per la coltivazione in pieno campo. <strong>Co</strong>n riferimento<br />

alla predetta malattia sono stati osservati, in<br />

certe altre varietà, attacchi di significativa intensità,<br />

non chiaramente spiegabili se si tiene conto delle<br />

resistenze dichiarate. Accertamenti di assoluta attendibilità<br />

sulla risposta delle varietà alle varie razze esistenti<br />

del parassita sono ormai da considerare un'esigenza<br />

urgente e non eludibile.<br />

<strong>Ta</strong>bella 2. Prova di confronto varietale su girasole 2007 - cultivar<br />

alto oleico e convenzionali oggetto della provaa<br />

La sperimentazione svolta nel 2007 conferma<br />

quanto osservato l'anno precedente.<br />

Tra le prime sei varietà per produttività superiore<br />

a 3.1 t ha -1 , ci sono quattro cultivar convenzionali<br />

di cui LINSOL è la più produttiva con 3.2 t ha -1.<br />

Per quanto concerne la produzione in olio risulta<br />

che tra le prime sei cultivar tre sono convenzionali,<br />

delle quali due (TELLIA e LINSOL) si distinguono<br />

per essere le più produttive con una resa in<br />

olio superiore a 1.5 t ha -1 .<br />

La sperimentazione mette in luce che le varietà<br />

convenzionali fino ad ora coltivate negli areali del<br />

centro Italia possono essere impiegate con successo<br />

anche per la produzione di olio a destinazione<br />

energetica. Inoltre, diverse cultivar alto oleico di<br />

recente costituzione si sono dimostrate idonee per<br />

tale finalità.<br />

Per quanto riguarda la resistenza alla peronospora<br />

non è stato possibile realizzare un accertamento<br />

probante per la limitata presenza di questo<br />

fungo, concretizzatasi in percentuali massime di<br />

piante infette del 1.7% nei casi peggiori; ciò, verosimilmente,<br />

a causa della assenza di piogge e di<br />

umidità libera nel terreno durante le fasi di germinazione<br />

<strong>dei</strong> semi.


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.08 Pagina 101<br />

Introduzione<br />

<strong>Co</strong>n la riduzione delle sovvenzioni della U.E. alla<br />

coltivazione del tabacco da alcuni anni si cerca di<br />

mettere a punto la tecnica colturale di specie agrarie<br />

alternative a questa coltura.<br />

Ciò soprattutto nelle regioni, quale l'Umbria,<br />

dove il tabacco è largamente coltivato e costituisce<br />

un'elevata fonte di reddito.<br />

L'U.E., tramite il M.I.P.A.A.F. sensibile a questa<br />

problematica, ha finanziato negli anni 2002 - 06<br />

ricerche su probabili colture alternative al tabacco<br />

(<strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong> 2).<br />

Materiali e metodi<br />

Negli anni 2006 - 07 con l'obiettivo di fornire agli<br />

imprenditori agricoli la verifica della redditività di<br />

alcune colture industriali e orticole sono state eseguite<br />

prove su pomodoro tipo mini plum e cherry<br />

denominati, seppur impropriamente datterino e<br />

ciliegino.<br />

Scopo specifico della prova era quello di saggiare<br />

la produttività di alcuni ibridi già in commercio<br />

ed altri ancora in sperimentazione ed il loro<br />

adattamento alle condizioni pedoclimatiche<br />

dell'Italia centrale dopo la larga diffusione avuta al<br />

sud Italia. La sperimentazione si è svolta nei campi<br />

sperimentali della sezione di Agronomia e<br />

<strong>Co</strong>ltivazioni erbacee del Dipartimento di Scienze<br />

Agrarie e Ambientali siti a Papiano di Marsciano<br />

(PG) nella media Valle del Tevere su terreno argillo<br />

- sabbioso (40% sabbia, 33% argilla, 27% limo).<br />

<strong>Co</strong>n schema sperimentale a blocchi randomizzati,<br />

con quattro ripetizioni, sono stati messi a confronto<br />

sia nel 2006 che nel 2007 gli ibridi Micron,<br />

Quorum, Minuet e Penny costituiti dalla ISI<br />

sementi; il primo della tipologia cherry mentre gli<br />

altri di tipo mini plum.<br />

Le singole parcelle avevano una dimensione di<br />

24 m 2 .<br />

Il pomodoro è stato trapiantato il 24 maggio nel<br />

2006 ed il 25 dello stesso mese nel 2007 con una<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 101<br />

<strong>Co</strong>nfronto tra diversi ibridi di pomodoro (Lycopersicon esculentum<br />

Mill.) di tipo Cherry r Mini plum a pianta determinata<br />

Peccetti G, Lorenzetti M.C, Bartolini S<br />

Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali<br />

Sezione di Agronomia e <strong>Co</strong>ltivazioni erbacee -<br />

Università degli Studi di Perugia 075/5856334 -<br />

covarel@unipg.it<br />

densità di 3 piante a m 2 disposte su file distanti 100<br />

cm e 33.3 sulle file. La coltura è stata concimata<br />

all'impianto con 75 kg ha -1 di P 2 O 5 nella forma di<br />

perfosfato triplo e 150 kg ha -1 di N sotto forma di<br />

urea.<br />

La coltura è stata diserbata in pre trapianto con<br />

metribuzin (Sencor WG alla dose di 0,8 kg ha -1 ).<br />

Per la difesa dalle crittogame in giugno e luglio<br />

è stato eseguito un trattamento con ossicloruro di<br />

rame più zolfo (Pasta Siapa blu) nonché con metalaxyl<br />

2.5% più ossicloruro di rame 40% (Ridomil<br />

gold R) e penconazolo 10.2% (Topas); questi trattamenti<br />

sono stati ripetuti in agosto in entrambi gli<br />

anni; nella fase terminale del ciclo della coltura il<br />

pomodoro è stato trattato con azoxystrobin al<br />

23,2% (Ortiva). Per la difesa dagli insetti, in giugno,<br />

è stato usato imidacloprid al 17.1%<br />

(<strong>Co</strong>nfidor), in luglio bifetrin al 2% (Brigata Flo), in<br />

agosto nel primo anno procimidone 50% (Sialex 50<br />

WDG).<br />

Tutti questi interventi hanno consentito di avere<br />

la coltura al raccolto priva di danni da parassiti<br />

vegetali ed animali.<br />

La prova è stata sottoposta ad un regime irriguo<br />

mediante impianto a goccia con il quale sono stati<br />

distribuiti in nove interventi nel 2006 e tredici nel<br />

2007 rispettivamente 3000 e 3500 mc di acqua ad<br />

ettaro. Il 7 settembre nel primo anno ed il 24 agosto<br />

nel secondo è stato raccolto il pomodoro determinandone<br />

la resa in bacche rosse, invaiate e verdi,<br />

il peso unitario, i gradi Brix, pH e sostanza secca.<br />

Andamento climatico<br />

Nel 2006 (grafico 1) nel periodo da maggio a settembre,<br />

le temperature sono state sempre al di sopra della<br />

media degli ultimi trenta anni eccetto che nella prima<br />

decade di giugno e nelle prime due decadi di agosto<br />

dove sono stati registrati valori inferiori alla media.<br />

Per quanto riguarda le precipitazioni nel periodo considerato,<br />

i mesi di maggio e giugno sono stati particolarmente<br />

siccitosi mentre abbondanti sono state le<br />

precipitazioni nella seconda e terza decade di settembre.<br />

<strong>Co</strong>mplessivamente nel 2006 da maggio a settembre<br />

sono caduti 251 mm inferiori alla media del<br />

poliennio precedente che è stata di 302 mm.


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.08 Pagina 102<br />

Peccetti et al <strong>Co</strong>nfronto ibridi di pomodoro...<br />

Grafico 1. Precipitazioni e temperature decadiche del periodo<br />

maggio-settembre 2006 e del poliennio<br />

<strong>Ta</strong>bella 1. Produzioni in t ha -1<br />

Nel 2007 (grafico 2) nei mesi da maggio a settembre<br />

le temperature sono state sempre superiori<br />

alla media del poliennio eccetto che nella prima<br />

decade di agosto e settembre. Per quanto concerne<br />

le precipitazioni; scarse sono state le piogge dalla<br />

seconda decade di giugno alla terza decade di<br />

luglio e nelle prime due decadi di settembre.<br />

<strong>Co</strong>mplessivamente nei mesi considerati sono caduti<br />

184 mm contro i 302 mm degli ultimi trenta anni.<br />

Risultati e discussione<br />

Nella tabella 1 sono riportate le produzioni e le<br />

caratteristiche merceologiche delle diverse varietà a<br />

confronto; nel 2006 l'ibrido Quorum è stato il più<br />

produttivo con 95.6 t ha-1 di bacche mature.<br />

Produzioni inferiori, seppur non significative, hanno<br />

fornito Minuet e Penny. La varietà<br />

Micron si è palesata la più tardiva in<br />

quanto al momento del raccolto aveva<br />

40 t ha-1 di bacche invaiate e verdi. Per<br />

la ingente massa vegetativa si è dovuto<br />

fare una raccolta contemporanea delle<br />

diverse varietà e non scalare che verosimilmente<br />

avrebbe evidenziato una<br />

migliore resa del Micron.<br />

Grafico 2. Precipitazioni e temperature decadiche del periodo<br />

maggio - settembre 2007 e del poliennio<br />

Anche nel secondo anno la produzione è risultata<br />

alquanto elevata ottenendo in media circa 85 t<br />

ha -1 ; le diverse varietà non si sono differenziate statisticamente<br />

tra di loro.<br />

La cv. Penny con le caratteristiche tipiche del<br />

miniplum ha fatto registrare il peso unitario più<br />

elevato che è stato quasi triplo nel 2006 (32.8 g)<br />

rispetto alla media degli altri tipi di circa 12 g<br />

(tabella 2).<br />

Il grado Brix sia nel primo che nel secondo<br />

anno è stato superiore nelle varietà Minuet (5.7) e<br />

Quorum (5.5).<br />

La precocità delle diverse cv. si può evidenziare<br />

con la percentuale di bacche verdi al momento<br />

della raccolta contemporanea delle diverse tesi. Il<br />

minimo quantitativo è stato registrato nel primo<br />

anno con Quorum e Minuet mentre nel secondo<br />

anno con Penny. La cultivar Micron, di tipo cherry<br />

si è contraddistinta per essere la più tardiva.<br />

<strong>Co</strong>nclusioni<br />

1) Le varietà usate di pomodoro di tipo cherry e<br />

mini plum hanno dimostrato un'ottima adattabilità<br />

alle condizioni pedoclimatiche dell'Italia<br />

centrale fornendo produzioni di circa 90 t ha -1 ,<br />

poco inferiori a quelle da pelato e concentrato;<br />

<strong>Ta</strong>bella 2. Caratteristiche merceologiche


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.08 Pagina 103<br />

2) se vi fossero gli opportuni sbocchi commerciali<br />

per la vendita del prodotto questa coltura<br />

potrebbe costituire una valida alternativa al<br />

tabacco;<br />

3) il grado Brix è stato più elevato nelle varietà<br />

Minuet e Quorum;<br />

4) il peso unitario delle bacche è oscillato tra 11 e 13<br />

g nelle varietà Minuet, Quorum e Micron mentre<br />

più elevato nella varietà Penny (circa 30 g).<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 103<br />

Bibliografia consultata<br />

A.A. V.V. 1999 Pomodoro da mensa cherry. Informatore<br />

Agrario,20.<br />

Parisi M. et al. 2007 La scelta varietale in Campania e Puglia.<br />

Informatore Agrario, 2.<br />

Pentangelo A. 2004 Tecnica colturale e qualità del pomodorino<br />

"cherry". Informatore Agrario 16.<br />

Pentangelo A. 2004 Cultivar di pomodorino "cherry" per le aree<br />

interne collinari. Informatore Agrario 11.<br />

Piazza R. 1999 Il consumatore lo riconosce con vari nomi... ma<br />

è sempre cherry. Informatore Agrario, 20.<br />

A.A. 1999 Gli ibridi disponibili per il pomodoro Cherry.<br />

Informatore Agrario, 20.


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.08 Pagina 104<br />

104


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.08 Pagina 105<br />

Introduzione<br />

Stevia rebaudiana (Bertoni), un'asteracea originaria<br />

del Sudamerica ad habitat subtropicale, è attualmente<br />

coltivata in vari paesi per le proprietà dolcificanti<br />

del complesso di glucosidi contenuti nelle<br />

foglie. Stevioside e rabaudioside hanno un potere<br />

dolcificante molto superiore a quello dello zucchero,<br />

non apportano calorie e non alzano il livello di<br />

glucosio nel sangue, sono stabili alle alte temperature<br />

(200° C), non interferiscono con i componenti<br />

degli alimenti e non fermentano. La stevia può<br />

essere impiegata sotto forma di foglie fresche,<br />

foglie in polvere, estratto di polvere, o concentrato<br />

liquido di estrazione acquosa e/o idroalcolica. I<br />

prodotti ottenuti dalla stevia hanno impieghi analoghi<br />

ai dolcificanti artificiali a basso contenuto calorico<br />

e sono utilizzati soprattutto come dolcificanti<br />

per migliorare il gusto di alimenti e bevande.<br />

L'Unità UNIPE ha valutato la risposta della specie<br />

alla concimazione, al diserbo chimico, la produttività<br />

e l'influenza della selettività di alcuni erbicidi<br />

nei confronti della coltura.<br />

Materiali e metodi<br />

Nel biennio 2006-07 sono state eseguite quattro<br />

prove sperimentali per verificare questa asteracea<br />

nelle condizioni pedo-climatiche dell'Italia centrale<br />

la produttività, l'influenza della concimazione<br />

azotata e la possibilità di eliminare la sua flora infestante<br />

con il diserbo chimico selettivo.<br />

La sperimentazione si è svolta in entrambi gli<br />

anni, nella media valle del Tevere, nei campi sperimentali<br />

del Laboratorio Didattico Sperimentale<br />

della Sezione di Agronomia e <strong>Co</strong>ltivazioni erbacee<br />

del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali<br />

della Facoltà di Agraria dell'Università degli Studi<br />

di Perugia. Il terreno sede delle prove è argillosabbioso<br />

( 40% sabbia, 33% argilla e 27% limo).<br />

In entrambi gli anni è stato adottato lo schema<br />

sperimentale a blocchi randomizzati con quattro<br />

ripetizioni; la densità d'impianto è stata di 6 piante<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 105<br />

Stevia (Stevia rebaudiana Bertoni),produttività, concimazione<br />

e diserbo in Umbria<br />

<strong>Co</strong>varelli G, Peccetti G, Pannacci E, Graziani F<br />

Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali<br />

Sezione di Agronomia e <strong>Co</strong>ltivazioni erbacee -<br />

Università degli Studi di Perugia 075/5856334 -<br />

covarel@unipg.it<br />

a m 2 e le parcelle avevano una dimensione di 4 m 2 .<br />

Il trapianto è stato effettuato l'11 maggio sia nel<br />

primo che nel secondo anno.<br />

Per l'effetto della concimazione azotata sulla<br />

coltura sono stati somministrati 20 giorni dopo il<br />

trapianto, sia nel primo che nel secondo anno, 0,50<br />

e 100 kg ha-1 di azoto sottoforma di urea.<br />

Per la messa a punto del diserbo chimico sia nel<br />

2006 che nel 2007 prima del trapianto, avvenuto<br />

sempre contemporaneamente a quello delle prove<br />

di concimazione, è stato sperimentato l'erbicida<br />

Stomp (pendimentalin al 31,7%) alla dose di 3 l ha-<br />

1 e, 33 giorni dopo, Challenge (aclonifen 49%) alla<br />

dose di 2,5 l ha -1 e <strong>Ta</strong>rga gold (quizalofop-etile isomero<br />

D al 5,2%) alla dose di 2,5 l ha -1 .<br />

Sia le prove di concimazione che di diserbo<br />

sono state irrigate a goccia ricevendo nel 2006 700<br />

mc di acqua e nel 2007 850 mc ad ettaro.<br />

Sono state eseguite periodiche osservazioni<br />

sullo sviluppo della stevia, sul ricoprimento delle<br />

piante infestanti e sulla selettività degli erbicidi nei<br />

confronti della coltura.<br />

In tutte le prove alla raccolta è stato determinato<br />

il peso fresco e secco della parte aerea delle<br />

piante di stevia e la percentuale di foglie in essa<br />

contenute. Ciò è avvenuto il 12 luglio e 22 settembre<br />

nel primo anno ed il 2 luglio e 10 ottobre nel<br />

secondo.<br />

Risultati<br />

a) Resistenza al freddo<br />

Le piante oggetto della sperimentazione sono state<br />

lasciate in campo allo scopo di valutare la resistenza<br />

della specie alle basse temperature.<br />

A marzo 2007 si è potuto verificare che il 60%<br />

delle piante aveva resistito ai rigori invernali e si<br />

apprestavano a riprendere a vegetare. Si sottolinea<br />

il fatto che l'inverno 2006-07 non è stato particolarmente<br />

rigido; nel sito dove si sono svolte le prove,<br />

le temperature minime raggiunte, nella prima decade<br />

di gennaio, sono state intorno ai meno 5 gradi<br />

centigradi.<br />

Dall'analisi <strong>dei</strong> dati dell'ultimo trentennio si<br />

può notare che durante i mesi invernali nella località<br />

dove si è svolta la prova, si verifichino tempe-


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.08 Pagina 106<br />

<strong>Co</strong>varelli et al Stevia...<br />

Grafico 1. Precipitazioni e temperature decadiche del 2006 e del<br />

poliennio.<br />

Grafico 2. Precipitazioni e temperature decadiche del periodo<br />

gennaio - settembre 2007 e del poliennio<br />

rature abbondantemente al disotto di questi valori<br />

intorno ai -10 -12 °C. Ne consegue che per poter<br />

esprimere un giudizio più attendibile, occorra verificare<br />

il comportamento della specie a questi valori<br />

di temperatura.<br />

b) <strong>Co</strong>ncimazione azotata<br />

L'effetto dell'azoto si è manifestato soprattutto nel<br />

secondo taglio cioè nei ricacci vegetativi; con la<br />

dose di 100 kg ha-1 di N si è avuta la produzione più<br />

elevata di sostanza secca che è stata di circa 3 t ha-1 nel primo taglio e circa 9 t ha-1 nel<br />

secondo (tabella 1). Produzioni nettamente<br />

inferiori, soprattutto nel secondo<br />

periodo, si sono avute con 50 kg ha-1 di<br />

N.<br />

L'altezza della coltura non è stata<br />

influenzata da alcuna tesi.<br />

La percentuale di foglie sulla parte<br />

area della pianta è stata nel primo anno<br />

di circa il 70% e nel secondo del 65% e<br />

non è stata influenzata dalle diverse tesi<br />

<strong>Ta</strong>bella 1. Biomassa fresca<br />

a confronto.<br />

Nel primo taglio il quantitativo di foglie è stato<br />

superiore di circa il 25% rispetto al secondo. Questi<br />

valori sono molto importanti in quanto nelle foglie<br />

di stevia si estrae il 70% dello stevioside, composto<br />

con potere edulcorante.<br />

c) Diserbo chimico<br />

L'infestazione sviluppatasi nel controllo non trattato<br />

è stata molto elevata con valori di ricoprimento<br />

totali, con più strati di vegetazione, superiori al<br />

100% (tabella 2).<br />

Le piante infestanti maggiormente presenti<br />

erano: Portulaca oleracea con l'80% di ricoprimento,<br />

Digitaria sanguinalis (46%), Amaranthus retroflexus<br />

(31%), Echinochloa crus-galli (25%) ed<br />

altre.<br />

Il diserbo di pre-trapianto ha fornito <strong>risultati</strong><br />

superiori ai trattamenti di post-trapianto.<br />

Più importante dell'efficacia erbicida <strong>dei</strong> principi<br />

attivi usati, già ben nota, è la selettività nei confronti<br />

della coltura che finora non era stata mai<br />

verificata. Ottima è stata quella del pendimentalin<br />

(Stomp) nei confronti della stevia sia nel primo che<br />

nel secondo anno in pre-trapianto.<br />

<strong>Co</strong>n le colture in atto (post-trapianto) si è ripetuta<br />

la selettività del suddetto p.a. e buona è stata<br />

quella dell'aclonifen, mentre leggeri sintomi di<br />

fitotossicità evidenziati da malformazioni delle<br />

foglie di stevia sono stati causati da quizalofopetile<br />

isomero D.<br />

<strong>Al</strong> termine di un biennio di sperimentazione,<br />

nelle condizioni in cui si sono svolte le prove, si<br />

possono trarre le seguenti conclusioni.<br />

<strong>Co</strong>nclusioni<br />

1) Nelle condizioni climatiche della media valle<br />

del Tevere, con temperature scese a -7°C vi è<br />

stata una perdita di vitalità delle piante di stevia<br />

tale da indurre al suo trapianto primaverile ed<br />

effettuare in primavera - estate due tagli della


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.08 Pagina 107<br />

<strong>Ta</strong>bella 2. Prova di diserbo su stenia - Rilievi del 30/06/2007.<br />

coltura; non può avere l'habitus della poliennalità;<br />

2) la produttività di questa specie, con la somministrazione<br />

di 100 kg ha -1 di azoto, si è ottenuta<br />

sia (nel ciclo primaverile estivo) del primo e del<br />

secondo anno su circa 3 t ha -1 al primo taglio<br />

(giugno) e circa 9 t ha -1 nel secondo (settembre)<br />

per un totale di 11 t ha -1 di sostanza secca con<br />

un investimento di 6 piante m 2 ;<br />

3) la concimazione azotata che ha fatto maggiormente<br />

incrementare la resa della stevia è di 100<br />

kg ha -1 di N;<br />

4) per eliminare dalla coltura le erbe infestanti sia<br />

in pre che in post trapianto ottima selettività si<br />

è avuta con pendimentalin ed in post trapianto<br />

con aclonifen.<br />

Bibliografia consultata<br />

Andolfi L., Ceccarini L., Machia M. 2002. Caratteristiche bioa-<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 107<br />

gronomiche di Stevia rebaudiana. Informatore Agrario, 23:<br />

48-51.<br />

Brandle J.E., Starrat A.N., Gijzen M. 1998. Stevia rebaudiana:<br />

its agricultural, biological and chemical properties.<br />

Canadian Journal of Plant Science, 78: 527-1266.<br />

Cioni P.L., Morelli I., Andolfi L., Ceccarini L., Macchia M. 2006.<br />

Qualitative and quantitative analysis of essential oil of five<br />

lines Stevia rebaudiana Bert. genotypes cultivated in Pisa<br />

(Tuscany, Italy), Italian Journal of Agronomy, 18:76-79.<br />

Fronda, D.; Folegatti, M.V. 2003. Water consumption of the stevia<br />

(Stevia rebaudiana Bert.) crop estimated through microlysimiter.<br />

Scientia Agricola, 60-3: 595-599.<br />

Geuns, J.M.C. 2003. Stevioside. Phytochemistry, 64: 913-921.<br />

Lowering, N.M; Reeleder, R.D. 1996. First report of Septoria<br />

Steviae on stevia (Stevia rebaudiana) in North America.<br />

Plant Disease, 80:959.<br />

Macchia, M.; Andolfi L.; Ceccarini, L.; Angelini, L.G. 2007.<br />

Effects of temperature, light and pre-chilling on seed germination<br />

of Stevia rebaudiana (Bertoni) Bertoni<br />

Accessions. Italian Journal of Agronomy, 1:55-62.<br />

<strong>Ta</strong>n, S.; Ueki, H. 1994. Method for extracting and separating<br />

sweet substances of Stevia rebaudiana Bertoni. Jap. Patent<br />

06-007108.


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.08 Pagina 108<br />

108


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.08 Pagina 109<br />

Introduzione<br />

Tra le colture orticole per la produzione sulla IV<br />

gamma particolare importanza assumono i diversi<br />

tipi di lattuga. Si è ritenuto opportuno, nelle condizioni<br />

pedo-climatiche dell'Umbria, determinare la<br />

produttività di diverse varietà di lattuga a raccolta<br />

precoce.<br />

Materiali e metodi<br />

Nel 2006 presso i campi sperimentali della sezione<br />

di Agronomia e <strong>Co</strong>ltivazioni erbacee del<br />

Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali siti a<br />

Papiano di Marsciano (PG) nella media Valle del<br />

Tevere su terreno argillo-sabbioso (40% sabbia,<br />

33% argilla, 27% limo), è stata realizzata una prova<br />

di confronto varietale tra sette cultivar di lattuga<br />

(Lactuca sativa L.) destinate alla IV gamma. Le<br />

varietà impiegate: ISI 45717 (in corso di registrazione),<br />

NIVES, CHOSPER, ISIRA, MATADOR,<br />

ANUBI, SENTRY appartengono a quattro tipologie:<br />

lollo bionda, multilieaf, foglia di quercia e<br />

lollo rossa.<br />

Lo schema sperimentale adottato è stato il blocco<br />

randomizzato con quattro ripetizioni con parcelle<br />

di 6 m 2 (1,5 x 4 m). Le piantine sono state trapiantate<br />

il 16 maggio. Nei mesi tra maggio e luglio<br />

sono stati distribuiti attraverso sei irrigazioni per<br />

aspersione circa 1000 m 3 ha -1 in totale. La raccolta<br />

è stata effettuata scalarmente quando ciascuna<br />

delle varietà aveva raggiunto la maturità.<br />

Risultati e discussione<br />

La prova ha messo in evidenza una buona adattabilità<br />

delle varietà all'ambiente pedoclimatico in cui<br />

sono state eseguite le prove con una produzione<br />

media di circa 26 t ha -1 .<br />

Significative le differenze tra la varietà meno<br />

produttiva SENTRY (17.1 t ha -1 ) e la più produttiva<br />

ISI 45717 (31.3 t ha -1 ).<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 109<br />

<strong>Co</strong>nfronto tra nuove cultivar di lattuga (Lactuca sativa L.)<br />

Peccetti G<br />

Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali<br />

Sezione di Agronomia e <strong>Co</strong>ltivazioni erbacee -<br />

Università degli Studi di Perugia 075/5856334 -<br />

covarel@unipg.it<br />

<strong>Ta</strong>bella 1. Data di raccolta, durata del ciclo e peso della biomassa<br />

fresca<br />

Tra le diverse tipologie lollo bionda, multilieaf<br />

e foglia di quercia hanno mostrato una produttività<br />

superiore alla media mentre inferiore è stata la produttività<br />

delle varietà lollo rossa.<br />

Non è stata osservata correlazione tra la produttività<br />

e la lunghezza del ciclo.<br />

<strong>Co</strong>nclusioni<br />

1) La coltivazione della lattuga può offrire produzioni<br />

interessanti in media di 26 t ha -1 di<br />

biomassa fresca con un ciclo di circa 50 gg;<br />

2) le tipologie più produttive sono state lollo<br />

bionda, multilieaf e foglia di quercia;<br />

3) tra le varietà in prova la più produttiva è stata<br />

ISI 45717 con 31.3 t ha -1 di biomassa fresca.<br />

Bibliografia consultata<br />

Bianco V.V. 2007. Nuove specie ortive da destinare alla IV<br />

gamma. Informatore Agrario, 16.<br />

Antonelli M., Fontana F. 2006. Varietà di lattuga in serra e in<br />

pieno campo. Informatore Agrario, 23.<br />

Elia A., <strong>Co</strong>nversa G. 2006. IV gamma, tecniche colturali e scelte<br />

varietali. Informatore Agrario, 16.


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.08 Pagina 110<br />

110


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.08 Pagina 111<br />

Introduzione<br />

L'interesse del mercato agro-alimentare verso le<br />

piante aromatiche e in particolare verso l'origano è<br />

in forte crescita per il tradizionale consumo come<br />

prodotto sia essiccato che fresco. La necessità di<br />

disporre continuamente di questo prodotto induce<br />

alla sua surgelazione come da tempo si fa per il<br />

prezzemolo ed il basilico. Un ostacolo a ciò è l'annerimento<br />

delle foglie di origano causato dalle<br />

basse temperature che visivamente non è gradito<br />

nelle pizze dove è maggiormente usato.<br />

Tuttavia, anche in attesa che il miglioramento<br />

genetico elimini questo inconveniente, è interessante<br />

la diffusione della coltivazione soprattutto<br />

per l'esportazione.<br />

Si consideri che nei soli Stati Uniti è decuplicato<br />

il consumo negli ultimi dieci anni sull'onda della<br />

popolarità della pizza.<br />

Si è ritenuto opportuno verificare l'adattabilità<br />

di questa specie nelle condizioni pedo-climatiche<br />

dell'Italia centrale ed in particolare in Umbria.<br />

Materiali e metodi<br />

Nel biennio 2006-07 sono state eseguite due prove<br />

di adattabilità di questa specie nella media Valle del<br />

Tevere su terreno argillo-sabbioso (40% sabbia,<br />

33% argilla, 27% limo).<br />

<strong>Co</strong>n schema sperimentale a blocchi randomizzati,<br />

con tre ripetizioni, sono stati messi a confronto<br />

nel 2006 le seguenti cv provenienti dalla Grecia:<br />

origano greco (Origanum hirtum), origano<br />

Herrenhausen (Origanum laevigatum var.<br />

Herrenhausen), origano aureo (Origanum vulgare<br />

var. aureus), origano comune (Origanum vulgare).<br />

Le parcelle avevano una dimensione molto<br />

ridotta (2 m 2 ) trattandosi solo di verificare l'adattabilità<br />

della specie nel sito della sperimentazione.<br />

Il trapianto della coltura è avvenuto l'11 maggio<br />

nel 2006 con un sesto d'impianto di 0.5 x 0.5 m. Da<br />

maggio ad agosto sono state fatte nove irrigazioni<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 111<br />

Verifica dell’adattabilità dell’origano (Origanum vulgare L.)<br />

alle condizioni agro-pedologiche dell’Italia centrale<br />

Lorenzetti M.C<br />

Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali<br />

Sezione di Agronomia e <strong>Co</strong>ltivazioni erbacee -<br />

Università degli Studi di Perugia 075/5856334 -<br />

covarel@unipg.it<br />

per un apporto complessivo di 700 m 3 ha -1 . Il 3 agosto<br />

è stata effettuata la raccolta della biomassa e<br />

successivamente si è provveduto ad estrarre gli oli<br />

essenziali mediante distillazione in corrente di<br />

vapore.<br />

Risultati e discussione<br />

La produttività della biomassa area dell'origano è<br />

variata da 3,7 (Origanum vulgare var. aureus) a 6,9<br />

(Origanum laevigatum var. Herrenhausen) con una<br />

media tra le cultivar di 4,9 t ha -1 di sostanza fresca<br />

e 1,47 di sostanza secca (tabella 1). L'altezza della<br />

coltura è stata di circa 22 cm per tutte le cultivar<br />

eccetto per l'origano comune che è stata di 33 cm<br />

circa.<br />

L'umidità alla raccolta è stata di circa il 70%.<br />

Molto importante la resa in oli essenziali che è<br />

stata molto variabile 0,4 % nell'Origano aureus<br />

detto aureo e ben 2 nell'Origanum hirtum detto<br />

greco (tabella 1).<br />

Nel secondo anno si è proseguita la coltivazione<br />

delle piante trapiantate nel primo.<br />

<strong>Al</strong>le temperature di -5° C registratesi nell'inverno<br />

2006-07 hanno resistito solo l'origano aureo, il<br />

greco ed il comune che nel 2007 hanno prodotto<br />

rispettivamente 7.9, 7.2 e 13.8 t ha-1 di sostanza<br />

fresca pari rispettivamente a 2.7, 2.4 e 4.6 di<br />

sostanza secca. L'umidità alla raccolta è stata del<br />

50-55% sensibilmente più bassa di quella registratasi<br />

nell'anno precedente.<br />

Nelle condizioni in cui si è lavorato si possono<br />

trarre le seguenti conclusioni.<br />

<strong>Co</strong>nclusioni<br />

1) La produttività dell'origano nelle condizioni<br />

pedo-climatiche della media Valle del Tevere si<br />

può attestare su 4 t ha-1 di foglie il 70% circa di<br />

sostanza fresca e 1,3 di sostanza secca.<br />

2) Hanno resistito alle relativamente basse temperature<br />

invernali (-5° C) aureo, greco e comune<br />

che nell'anno successivo hanno poi raddoppiato<br />

la produzione.<br />

3) La resa in oli essenziali è stata molto elevata<br />

(2%) nell'Origanum hirtum, e molto bassa<br />

nell'Origanum vulgare var. aureus (0,4%)


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.08 Pagina 112<br />

Lorenzetti Verifica dell’adattabilità dell’origano....<br />

<strong>Ta</strong>bella 1.<br />

Bibliografia consultata<br />

Batistutta, F.;<strong>Co</strong>nte, L.S:; Zironi, R.; Carruba, A.; Leto, C.;<br />

Tuttolomondo, T. 1995. Caratteristiche compositive di oli<br />

essenziali da diversi ecotipi di Origanum vulgare L. di provenienza<br />

siciliana. Atti 2° congresso nazionale di Chimica<br />

degli alimenti. Giardini Naxos, 24-27 maggio 1995<br />

Branca, F.; Argento, S.; La Porta, V. 2006. Da pianta spontanea<br />

a nuova coltura: confronto tra tipi di origano siciliano<br />

(Origanum vulgare L.). Italus Hortus, Vol. 13 (2), 630-633.<br />

Leto, C.; Carruba, A.; Trpani, P. 1994. <strong>Ta</strong>ssonomia, ecologia,<br />

proprietà ed utilizzazioni del genere Origanum. Atti<br />

<strong>Co</strong>nvegno Internazionale "<strong>Co</strong>ltivazione e miglioramento di<br />

piante officinali". Trento 2-3 giugno 1994.<br />

Leto, C.; Carruba, A.; Trapani, P.; Zironi, R.; <strong>Co</strong>nte, L.;<br />

Battistutta, F. 1996. Le specie officinali per la valorizzazione<br />

e difesa delle aree interne: valutazione di ecotipi siciliani<br />

di origano (Origanum vulgare). Riv. di Agron. 30, 3<br />

Suppl, 423-435.<br />

Leto, C.; La Bella, S.; Tuttolomondo, T.; Licata, M.; Carrara,<br />

M.; Febo, P.; Catania, P.; <strong>Co</strong>mparetti, A.; Orlando, S. 2003.<br />

Response of Origanum vulgare L. to different plant densities<br />

and first results of mechanical harvest. Agr. Med. Vol.<br />

133, 141-148.<br />

Leto, C.; Tuttolomondo, T.; Scarpa, G.M.; La Bella, S. 2003.<br />

Evaluation of Oregano ecotypes from inland areas of Sicily<br />

(Italy). Agr. Med. Vol. 133, 43-57.<br />

Leto, C.; Tuttolomondo, T.; La Bella, S.; Licata, M. 2004. Prove<br />

di propagazione agamica di alcune specie officinali: origano,<br />

rosmarino e timo. Italus Hortus, Vol. 11 n. 4, 234-236.<br />

Leto, C.; Tuttolomondo, T.; Sarno, M.; La Bella, S. 2004.<br />

Valutazione bio-morfologica e produttiva di ecotipi siciliani<br />

di origano. Italus Hortus, Vol. 11 n. 4, 231-233.<br />

Marzi, V.; Morone Fortunato, I.; Circella, G.; Picci, V.;<br />

Melegari, M. 1992. Origano (Origanum spp.): <strong>risultati</strong> ottenuti<br />

nell'ambito del progetto "<strong>Co</strong>ltivazioni e miglioramento<br />

di piante officinali". Agricoltura Ricerca 132, aprile 1992,<br />

71-80.<br />

<strong>Ta</strong>viani, P.; Rosellini, D.; Veronesi, F. 1999. Analisi di genotipi<br />

di Origanum spp. Mediante marcatori molecolari e morfologici.<br />

Atti 5° <strong>Co</strong>nvegno nazionale sulla biodiversità.<br />

Caserta, Belvedere di San Leucio, 9-10 settembre 1999


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.08 Pagina 113<br />

Introduzione<br />

Il pioppo (Populus spp.) da biomassa, coltivato per<br />

la produzione di energia, può andare soggetto a<br />

svariate, talora gravi, fitopatie che possono facilmente<br />

tradursi in forti perdite produttive in grado<br />

di compromettere la convenienza economica della<br />

sua coltivazione. Per tale motivo all'interno del<br />

progetto "Analisi e valutazione di ordinamenti produttivi<br />

alternativi al tabacco - <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>.2", finanziato<br />

dall'Unione Europea e dal Ministero per le<br />

Politiche Agricole e Forestali (Mi.P.A.F.), è stato<br />

valutato lo stato fitosanitario di questa coltura.<br />

Nel presente contributo vengono illustrati i<br />

<strong>risultati</strong> riguardanti i problemi fitopatologici osservati<br />

nel pioppo destinato alla produzione di biomassa<br />

in Umbria.<br />

Materiali e metodi<br />

Periodiche osservazioni sono state effettuate nelle<br />

prove sperimentali di pioppo da biomassa coltivato<br />

presso il Laboratorio Didattico Sperimentale della<br />

Sezione di Agronomia e <strong>Co</strong>ltivazioni Erbacee del<br />

Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali della<br />

Facoltà di Agraria dell'Università degli Studi di<br />

Perugia situato in località Papiano (Media Valle del<br />

Tevere), al fine di monitorare lo stato fitosanitario<br />

della coltura nelle condizioni ambientali ed agronomiche<br />

umbre.<br />

Nel biennio 2006-2007 è stata esaminata una<br />

prova sperimentale dove erano coltivati i seguenti<br />

cloni di pioppo: Sirio [Populus (P.) deltoides Bartr<br />

x P. x canadensis Monch] e AF2 (P. x canadensis<br />

Monch), entrambi con elevata tolleranza alla ruggine<br />

del pioppo, Monviso [(P. x generosa) x P. nigra]<br />

con tolleranza molto elevata e AF6 [(P. x interamericana)<br />

x (P. x euramericana)], per il quale è indicata<br />

una sufficiente tolleranza all'avversità sopra<br />

citata (http://www.alasiafranco.it/biomasse.htm).<br />

Nella sola annata 2007 è stata esaminata anche<br />

un'ulteriore prova dove erano presenti, oltre ai<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 113<br />

Risultati di un biennio di sperimentazione sullo stato fitosanitario<br />

del pioppo da biomassa in Umbria<br />

<strong>Co</strong>varelli L, Tosi L, Beccari G<br />

Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali<br />

Sezione di Agronomia e <strong>Co</strong>ltivazioni erbacee -<br />

Università degli Studi di Perugia 075/5856464 -<br />

lorenzo.covarelli@unipg.it<br />

cloni AF2 e Monviso, anche i cloni Baldo e Orion<br />

per i quali non si dispone di notizie circa la resistenza/tolleranza<br />

alla ruggine.<br />

Nel mese di settembre 2006 e 2007, infezioni<br />

fogliari di ruggine sono state riscontrate negli<br />

appezzamenti oggetto di indagine e all'inizio del<br />

mese di ottobre di entrambe le annate, con l'attacco<br />

di ruggine al massimo livello di intensità, sono stati<br />

condotti appositi rilievi su 10 piante per ciascun<br />

clone, registrando il numero delle foglie sane e<br />

infette (10 foglie/pianta) al fine di determinare l'incidenza<br />

dell'infezione.<br />

La gravità della malattia è stata calcolata rilevando<br />

le infezioni sulle foglie mediante una scala<br />

empirica arbitraria di valutazione (0-5) basata sulle<br />

seguenti classi di infezione (0=0%; 1=1-20%;<br />

2=21-40%; 3=41-60%; 4=61-80%; 5=81-100%). I<br />

valori ottenuti sono stati successivamente elaborati<br />

statisticamente tramite analisi della varianza e test<br />

di Duncan. Mediante osservazioni di microscopia<br />

ottica sono state esaminate e misurate le strutture<br />

fungine (uredosori, uredospore, teleutosori, teleutospore<br />

e parafisi) dell'agente patogeno ed analizzate<br />

numerose sezioni delle foglie infette con lo<br />

scopo di individuare la localizzazione di uredosori<br />

e teleutosori rispetto alle pagine fogliari.<br />

Risultati<br />

Le foglie di pioppo infette presentavano la tipica<br />

colorazione rugginosa dovuta alla presenza di<br />

numerosi uredosori principalmente localizzati sulla<br />

pagina fogliare inferiore ma in qualche caso anche<br />

su quella superiore. Dal mese di novembre, numerosi<br />

teleutosori sono comparsi su entrambe le<br />

superfici fogliari. Dalle osservazioni e dalle analisi<br />

effettuate tutti i cloni esaminati sono <strong>risultati</strong><br />

suscettibili alla ruggine.<br />

Nel 2006 sono state rilevate delle differenze<br />

statisticamente significative sia per quanto riguarda<br />

l'incidenza che per quanto riguarda la gravità degli<br />

attacchi. In particolare, in questa annata, il clone<br />

AF6 si è rivelato il clone più suscettibile (incidenza<br />

del 100% e gravità del 37%) mentre Monviso è<br />

risultato il meno suscettibile (incidenza del 69% e<br />

gravità del 13%). L'incidenza e la gravità degli altri


eportPerugia.qxp 25/02/2008 10.08 Pagina 114<br />

<strong>Co</strong>varelli et al Risultati stato fitosanitario pioppo in Umbria...<br />

cloni sono state rispettivamente dell'86% e del 10%<br />

(Sirio), del 77% e dell'11% (AF2).<br />

Nel 2007, nella stessa prova dell'anno precedente,<br />

non sono state riscontrate differenze statisticamente<br />

significative per quanto riguarda l'incidenza<br />

e la gravità delle infezioni. Queste sono risultate<br />

più contenute rispetto al 2006 con valori medi<br />

rispettivamente del 46% e del 7% contro l'83% e il<br />

34% della stagione precedente. Ciò è probabilmente<br />

attribuibile alle differenze climatiche tra le due<br />

annate che, nella seconda stagione, sono state<br />

meno favorevoli alle infezioni di ruggine se confrontate<br />

con quelle verificatesi nell'anno precedente<br />

quando la malattia è comparsa con circa due settimane<br />

di anticipo.<br />

Per quanto riguarda l'ulteriore prova esaminata<br />

nel 2007, i <strong>risultati</strong> delle elaborazioni statistiche<br />

hanno invece evidenziato differenze significative<br />

in riferimento all'incidenza e alla gravità della fitopatia:<br />

il clone Baldo è risultato il meno suscettibile<br />

alla ruggine (incidenza del 43% e gravità del 5%)<br />

mentre il clone AF2 il più suscettibile (incidenza<br />

del 92% e gravità del 22%). L'incidenza e la gravità<br />

degli altri cloni sono state rispettivamente del<br />

72% e del 15% (Monviso), del 72% e del 14%<br />

(Orion).<br />

Le osservazioni microscopiche hanno mostrato<br />

la presenza di uredospore (17,5-52,5 x 12,5-27,5<br />

µm), teleutospore (37,5-50 x 5-12,5 µm) e parafisi<br />

(35-77,5 x 7,5-22,5 µm). Le caratteristiche morfo-<br />

logiche dell'agente patogeno osservate al microscopio<br />

e l'analisi cluster delle dimensioni delle spore<br />

hanno rivelato che l'attacco è stato causato da due<br />

specie fungine: Melampsora larici-populina Kleb.<br />

e Melampsora allii-populina Kleb.<br />

<strong>Co</strong>nclusioni<br />

L'alta suscettibilità alla ruggine fogliare <strong>dei</strong> cloni di<br />

pioppo sottolinea la necessità di realizzare maggiori<br />

e più accurate indagini riguardo agli agenti patogeni<br />

causali di tale pericolosa e temibile fitopatia.<br />

Infatti, la possibilità di infezioni naturali miste di<br />

ruggine causate da M. larici-populina e M. alliipopulina<br />

nei paesi europei (Pinon e Frey, 1997;<br />

Vietto e Giorcelli, 2000) e la presenza di razze fisiologiche<br />

di M. larici-populina richiedono la necessità<br />

di un attento monitoraggio delle popolazioni del<br />

patogeno realizzabile tramite l'utilizzo di cloni di<br />

pioppo differenziali e specifici metodi diagnostici<br />

molecolari al fine di delineare la composizione<br />

delle popolazioni fungine, seguirne l'evoluzione nel<br />

tempo e in differenti condizioni ambientali.<br />

Bibliografia<br />

Pinon J., Frey P., 1997. Structure of Melampsora larici-populina<br />

populations on wild and cultivated poplar. European<br />

Journal of Plant Pathology, 103: 159-173.<br />

Vietto L., Giorcelli A., 2000. Le malattie del pioppo. Calderini<br />

Edagricole, Bologna, pp.83.<br />

Siti internet<br />

http://www.alasiafranco.it/biomassa.htm


Studiogeomatico.qxp 25/02/2008 10.15 Pagina 115<br />

Introduzione<br />

Il progetto <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. 2 (<strong>Co</strong>lture alternative al<br />

tabacco, fase 2), nasce come <strong>Progetto</strong> finalizzato<br />

della <strong>Co</strong>munità Europea (Regolamento CE n.<br />

2182/2002) nel quadro della lotta al tabagismo e<br />

promosso dal Ministero delle Politiche Agricole e<br />

Forestali, il quale ha affidato ad alcuni enti di ricerca,<br />

istituti ed università, il compito di eseguire<br />

studi e sperimentazioni al fine di valutare le possibilità<br />

di riconversione della filiera produttiva<br />

tabacchicola con colture alternative.<br />

L'approccio è stato di tipo multidisciplinare con<br />

taglio socio-economico e agronomico, che, con<br />

questa seconda fase, ha interessato tutte le regioni<br />

con contesti tabacchicoli consistenti (Veneto,<br />

Toscana e Umbria, Campania e Puglia) indirizzandosi<br />

in particolare verso la sperimentazione in<br />

campo delle colture alternative scelte.<br />

Da qui la necessità di conoscere approfonditamente<br />

le caratteristiche <strong>dei</strong> territori coltivati a<br />

tabacco al fine di valutare sia la sostenibilità<br />

ambientale delle specie alternative scelte, sia le<br />

potenzialità intrinseche <strong>dei</strong> suoli a sostenere le colture<br />

alternative.<br />

Si è quindi provveduto a progettare e realizzare<br />

un sistema informativo geografico che permettesse<br />

sia l'analisi delle risorse del territorio dal punto di<br />

vista climatico, pedologico e morfologico e che<br />

fornisse informazioni sulla potenzialità d'uso <strong>dei</strong><br />

suoli riguardo alle colture alternative oggetto di<br />

sperimentazione.<br />

L'indagine ha inizialmente interessato le aree<br />

tabacchicole della Toscana e dell'Umbria, i cui<br />

<strong>risultati</strong> sono riportati nel presente lavoro, in seguito<br />

estesa alla Campania e alla Puglia.<br />

Materiali e metodi<br />

La struttura del progetto<br />

Il progetto ha utilizzato un tipo di approccio di tipo<br />

"olistico", attraverso la correlazione <strong>dei</strong> dati rileva-<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 115<br />

Studio geomatico delle aree coltivate a tabacco della Toscana e<br />

dell'Umbria<br />

Fiorillo E*, Magazzini P*, Ongaro L*<br />

*Istituto Agronomico per l'Oltremare di Firenze - Ministero<br />

Affari Esteri. Via A. <strong>Co</strong>cchi 4, 50131 Firenze.<br />

Tel. 05550611 Fax 0555061333<br />

e-mail: iao@iao.florence.it<br />

Fig. 1. Area di studio in Toscana e in Umbria<br />

Fig. 2. Aree di studio in Campania<br />

ti in campagna relativi al clima, ai tipi di suoli, alla<br />

fertilità, alle disponibilità irrigue, alla vulnerabilità,<br />

alle colture presenti o a quelle oggetto di sperimentazione,<br />

è possibile, per un determinato territorio,<br />

ottenere <strong>dei</strong> modelli interpretativi e simulare scenari<br />

di riconversione delle aree tabacchicole, che tengano<br />

conto delle risorse disponibili in stretta relazione<br />

alla sostenibilità dell'ambiente.<br />

Le aree oggetto dell'indagine sono state scelte<br />

sulla base della maggiore superficie occupata da<br />

colture tabacchicole. Per la Toscana, dove la superficie<br />

totale coltivata a tabacco ammonta a circa<br />

2.326 ha (dati AGEA 2005), è stata scelta l'area che<br />

comprende la Valdichiana e l'<strong>Al</strong>ta Val Tiberina,


Studiogeomatico.qxp 25/02/2008 10.15 Pagina 116<br />

116 Fiorillo et al Studio geomatico delle aree della Toscana e dell’Umbria..<br />

Fig. 3. Distribuzione delle aree coltivate a tabacco in Toscana ed<br />

Umbria)<br />

dove è concentrata la quasi totalità delle coltivazioni<br />

di tabacco nella regione, e ha interessato una<br />

superficie totale di 211.000 ha (fig. 1). Per<br />

l'Umbria, che ha una superficie totale coltivata a<br />

tabacco di circa 7.490 ha (dati AGEA 2005), è stata<br />

scelta l'intera val Tiberina, dal confine toscano al<br />

lago di <strong>Co</strong>rbara, per una superficie complessiva di<br />

171.000 ha.<br />

Per le aree campane, sono state localizzate 7<br />

aree corrispondenti ai seguenti lotti di rilevamento<br />

pedologico eseguiti in scala 1:50.000 dalla Regione<br />

Campania negli anni 2003-2005: CP1 - Piana in<br />

destra Sele, Cp3 - Pianura del Volturno, Cp4 -<br />

Avellinese, Cp5 - Piana in Sinistra Sele, Cp7 -<br />

Carinolese, Cp11 - Roccamonfina, Cp12 -<br />

Provincia di Benevento.<br />

Fig. 4. Schema della struttura del progetto<br />

Le aree sono state individuate sulla base <strong>dei</strong><br />

dati disponibili presso gli enti competenti e presso<br />

le Associazioni di categoria, in tal modo si è potuta<br />

ottenere una mappatura esatta della distribuzione<br />

delle aree attualmente utilizzate a tabacco o potenzialmente<br />

utilizzabili a tabacco (fig. 3).<br />

Per la fotointepretazione delle unità pedopaesaggistiche<br />

si è fatto ricorso ad un modello digitale<br />

del terreno con passo medio 20x20m e 40x40m e di<br />

ortofotocarte pancromatiche in scala media<br />

1:10.000 (volo AIMA 2004-2005).<br />

Il progetto si è articolato in tre fasi consecutive,<br />

realizzate nell'arco di due anni, sintetizzato nello<br />

schema riportato in fig. 4<br />

Nei paragrafi che seguono si riportano, in sintesi<br />

i <strong>risultati</strong> relativi alle elaborazioni di analisi spaziale<br />

<strong>dei</strong> dati climatici ed alle elaborazioni di carte<br />

tematiche di potenzialità d'uso <strong>dei</strong> suoli.<br />

Analisi spaziale <strong>dei</strong> dati climatici<br />

La rappresentazione di un tema di interesse geografico<br />

di natura climatica in un sistema informativo<br />

geografico è generalmente effettuata in modalità<br />

raster. Le informazioni provenienti da stazioni<br />

meteorologiche sono invece di natura puntuale,<br />

quindi si ritiene necessario un trattamento statistico<br />

per questo tipo di informazione. Per passare da una<br />

serie di dati puntuali ad una distribuzione continua<br />

nello spazio, che consenta la rappresentazione cartografica<br />

dell'andamento delle grandezze climatiche<br />

in esame, si possono impiegare diversi metodi<br />

che si riferiscono al campo della statistica applicata.<br />

Qualunque sia la natura della tecnica usata<br />

(metodi basati sulla regressione, metodi geostatistici<br />

o altro), lo scopo è stimare il più fedelmente possibile<br />

i valori incogniti della variabile oggetto di<br />

studio sull'intero grigliato regolare rappresentato<br />

dal raster, a partire da valori noti<br />

solo in alcune posizioni. Il termine spazializzazione<br />

indica proprio questo tipo di operazione.<br />

Per le temperature è stata utilizzata la<br />

tecnica della regressione lineare semplice.<br />

Questa tecnica viene utilizzata quando si<br />

ritiene che ci sia una correlazione lineare fra<br />

la variabile dipendente e quelle indipendenti.<br />

Un modello di regressione lineare con<br />

due variabili di predizione può essere scritto<br />

come segue:<br />

y(g)=β0 + β1x1 +β2x2 +ε


Studiogeomatico.qxp 25/02/2008 10.16 Pagina 117<br />

Fig. 5. Spazializzazione di dati climatici: Temperature e precipitazioni in Valdichiana, Giugno<br />

dove y è la variabile dipendente, nel nostro caso le<br />

temperature da spazializzare, x1 e x2 sono le variabili<br />

indipendenti (in questo caso rappresentate dai<br />

metadata delle stazioni meteorologiche); β0, β1,<br />

β2 sono i regressori e ε è un termine che esprime<br />

l'errore random . L'ipotesi è che i valori β0, β1, β2<br />

siano costanti su tutta l'area di studio. Nelle spazializzazioni<br />

da noi effettuate si è così potuto spazializzare<br />

le temperature medie di ogni mese e le medie<br />

annuali partendo dai dati della serie storica relativa<br />

alle stazioni meteorologiche presenti nell'area e<br />

usando come variabili indipendenti un DEM di<br />

passo 20*20m, l'esposizione ricavata dallo stesso<br />

DEM, la latitudine e la longitudine.<br />

Per le precipitazioni è stato utilizzato il metodo<br />

Fig. 6. Spazializzazione di dati climatici: precipitazioni e temperature in Campania, mese di giugno<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 117<br />

geostatistico detto coKriging,<br />

valido quando non c'è una correlazione<br />

di tipo lineare fra la<br />

variabile dipendente e quelle<br />

indipendenti. Il <strong>Co</strong>kriging viene<br />

utilizzato nel migliorare la stima<br />

di una variabile nei siti sprovvisti<br />

di misure sperimentali, tutto<br />

ciò si realizza attraverso l'uso<br />

combinato di un'altra variabile,<br />

la quale presenti almeno un<br />

fenomeno di correlazione con la<br />

prima. Questa tecnica è stato<br />

sviluppata da Matheron nel 1971<br />

e non richiede nessuna assunzione<br />

sul tipo di correlazione che<br />

deve esserci tra le due variabili.<br />

È necessario solo che esse<br />

abbiano un significativo numero<br />

di punti campione in comune per<br />

ottenere una discreta stima del crossvariogramma;<br />

la condizione ottimale si ottiene minimizzando la<br />

varianza dell'errore di stima. La tecnica del cokriging<br />

migliora la stima, poiché è capace di incorporare<br />

interamente la natura e la variabilità spaziale<br />

della correlazione tra le due variabili (x) e y (x). Ciò<br />

non toglie comunque la difficoltà che alcune volte<br />

si incontra con il calcolo del crossvariogramma e la<br />

verifica di correttezza del modello teorico, in modo<br />

particolare sé le due variabili non sono ben correlate<br />

tra loro.<br />

La cartografia tematica di potenzialità d'uso<br />

La procedura di valutazione dell'attitudine del ter-


Studiogeomatico.qxp 25/02/2008 10.16 Pagina 118<br />

118 Fiorillo et al Studio geomatico delle aree della Toscana e dell’Umbria..<br />

Fig. 7. Esempio della Legenda delle Unità Pedopaesaggistiche.<br />

Fig. 8. Stralcio della Carta <strong>dei</strong> Pedopaesaggi scala 1:50.000<br />

Fig. 9. Schema della procedura di valutazione in automatica di potenzialità d'uso <strong>dei</strong> suoli<br />

ritorio ad una utilizzazione specifica, secondo il<br />

metodo della Land Suitability è stato messo a punto<br />

dalla F.A.O., intorno agli anni settanta, con l'obiettivo<br />

di stabilire una metodologia di valutazione.<br />

Essa si basa sui seguenti principi:<br />

· l'attitudine del territorio deve riferirsi ad un uso<br />

specifico;<br />

· la valutazione deve confrontare vari usi alternativi;<br />

· l'attitudine deve tenere conto <strong>dei</strong> costi per evitare<br />

la degradazione del suolo;<br />

· la valutazione richiede un approccio multidisciplinare.<br />

<strong>Al</strong>la base del metodo è posto il concetto di "uso<br />

sostenibile", cioè di un uso in grado di essere praticato<br />

per un periodo di tempo indefinito, senza provocare<br />

un deterioramento severo o permanente<br />

delle qualità del territorio.<br />

Nel caso studiato è stata eseguita<br />

una fotointepretazione,<br />

eseguita su DEM 20x20 con<br />

l'ausilio di ortofotocarte<br />

1:10.000, che ha permesso la<br />

creazione di unità pedopaesaggistiche<br />

suddivise in Sistemi,<br />

Sottosistemi ed Unità<br />

Cartografiche a scale di dettaglio<br />

progressivamente maggiori<br />

(da 1:250.000 per i Sistemi fino<br />

1:50.000 per le Unità) e definite<br />

per morfologie, litologie, usi del<br />

suolo e suoli diversi (fig. 7). I<br />

dati relativi ai suoli dell'area<br />

toscana sono stati reperiti presso<br />

la BD della Regione Toscana<br />

(Banca dati <strong>Progetto</strong> Carta <strong>dei</strong><br />

Suoli 1:250.000)e da bibliografia,<br />

per l'area umbra sono stati in<br />

parte ottenuti da bibliografia e


Studiogeomatico.qxp 25/02/2008 10.16 Pagina 119<br />

Fig. 10. Scale di rating e classi di potenzialità d'uso del suolo riferite alla coltura del Pioppo da biomassa<br />

per la gran parte rilevati direttamente in campo,<br />

mentre per l'area campana i dati di base sono consistiti<br />

in circa 180 profili di suolo campionati e<br />

localizzati con precisione nel corso <strong>dei</strong> rilevamenti<br />

relativi al progetto Cp della Regione Campania.<br />

I caratteri definiti in legenda, opportunamente<br />

codificati, sono stati inseriti in un Data Base di<br />

Land suitability MS Access che, attraverso il collegamento<br />

con tabelle e macro MSExcel, hanno fornito<br />

la base dati per l'elaborazione automatica delle<br />

cartografie tematiche, secondo lo schema riportato<br />

(fig. 8).<br />

Si è proceduto quindi a definire le esigenze col-<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 119<br />

turali e vegetazionali delle diverse colture oggetto<br />

di sperimentazione e di seguito elencate:<br />

- Artemisia annua<br />

- Stevia Rebaudiana<br />

- Kenaf (Hibiscus Cannabinus)<br />

- Erba medica (Medicago sativa)<br />

- Mais<br />

- Canapa da fibra e biomassa (Cannabis sativa)<br />

- Sorgo da biomassa<br />

- Pioppo da biomassa<br />

Cui si deve aggiungere la valutazione dell'attitudine<br />

<strong>dei</strong> suoli al pascolo ovino e bovino, la valutazione<br />

del Rischio Potenziale di Erosione, l'Attitudine


Studiogeomatico.qxp 25/02/2008 10.16 Pagina 120<br />

120 Fiorillo et al Studio geomatico delle aree della Toscana e dell’Umbria..<br />

Fig. 11. Esempi di potenzialità d'uso <strong>dei</strong> suoli dell'area di studio toscana (Valdichiana e Valtiberina) per il Mais da biodiesel, il Kenaf e il<br />

pioppo da biomassa<br />

<strong>dei</strong> Suoli allo Spandimento <strong>dei</strong> Reflui e valutazioni<br />

più genericamente agronomiche quali la FCC (Soil<br />

Fertility Capability Classification System) e la<br />

LCC (Land Capability Classification).<br />

Il risultato finale ha consentito l'elaborazione di<br />

complesse tabelle di rating che hanno fornito, sulla<br />

base <strong>dei</strong> caratteri vegetazionali e delle esigenze<br />

colturali delle singole specie, valori di riferimento<br />

relativi alle esigenze climatiche, morfologiche,<br />

idrologiche e pedologiche che definiscono 5 classi<br />

di potenzialità d'uso <strong>dei</strong> suoli, anch'esse inserite del<br />

Data Base di Land Suitability (fig. 9):<br />

S1 - Adatto, con valori di rating tra 85 e 100<br />

S2 - Moderatamente adatto, con valori di rating tra<br />

60 e 85<br />

S3 -Poco adatto, con valori di rating tra 40 e 60<br />

N1-Temporaneamente inadatto, con valori di rating<br />

tra 25 e 40<br />

N2 - Permanentemente inadatto, con valori di<br />

rating tra 0 e 25<br />

I <strong>risultati</strong> delle elaborazioni automatiche delle<br />

Land Suitabilities per le diverse colture scelte, sono<br />

stati collegati all'archivio geografico vettoriale<br />

della Carta <strong>dei</strong> Pedopaesaggi, permettendo la tematizzazione<br />

delle diverse potenzialità d'uso (figg. 10<br />

e 11).<br />

Risultati, conclusioni e prospettive<br />

I <strong>risultati</strong> finali del progetto, che ha raggiunto tutti<br />

gli obiettivi prefissati, non sono da considerare sta-<br />

Fig. 12. Carta della potenzialità d'uso del suolo per l' Artemisia annua(a sinistra) e per la Stevia rebaudiana (a destra) in regime irriguo<br />

nell'area Cp3 - Pianura del Volturno


Studiogeomatico.qxp 25/02/2008 10.16 Pagina 121<br />

tici nel tempo, ma hanno la pissibilità di divenire<br />

dinamici soprattutto riguardo al tema della valutazione<br />

e della simulazione del comportamento<br />

ambientale in seguito a variazioni colturali o climatiche.<br />

<strong>Ta</strong>li prospettive sono facilmente gestibili dal<br />

sistema informativo che è stato creato, implementando<br />

e aggiornando continuamente le basi dati con<br />

i parametri necessari alle nuove esigenze che di<br />

volta in volta si vengano a creare. I <strong>risultati</strong> finali e<br />

le prospettive possono essere sintetizzati come<br />

segue:<br />

- Possibilità di realizzare carte <strong>dei</strong> pedopaesaggi su<br />

superfici estese (400.000 ha) anche in aree<br />

prive o quasi di informazioni pedologiche grazie<br />

all'utilizzo di ortofoto, DEM modelli<br />

descrittivi che riducono in maniera significativa<br />

le indagini in campo.<br />

- Sperimentazione e validazione di metodologie di<br />

valutazione su specie e metodi di coltivazione<br />

mai utilizzati finora (Artemisia, Stevia, Kenaf<br />

ecc.).<br />

- Realizzazione di GIS con sistema "aperto", con<br />

possibilità di estendere le valutazioni a numerose<br />

altre specie coltivate e non coltivate.<br />

- Sperimentazione e validazione di modalità di spazializzazione<br />

<strong>dei</strong> dati climatici applicabile a<br />

numerosi altri rilievi di tipo puntuale (erosione<br />

ecc.)<br />

- Possibilità di creare facilmente modelli di simulazione<br />

in ordine ai cambiamenti climatici futuri<br />

- Possibilità di implementare con facilità modelli<br />

valutativi per tematiche ambientali quali ad<br />

esempio lo spandimento <strong>dei</strong> reflui, la vulnerabilità<br />

degli acquiferi da nitrati di origine agricola<br />

ecc.<br />

Un ultimo aspetto, non meno importante, è quello<br />

della realizzazione del report finale, contenente<br />

tutti i dati di partenza e le elaborazioni dettagliate<br />

che hanno portato al conseguimento <strong>dei</strong> <strong>risultati</strong><br />

sopra elencati.<br />

<strong>Ta</strong>le report non è previsto nella fase attuale del<br />

progetto, ed è auspicabile che vengano reperite le<br />

risorse necessarie al la sua realizzazione, in modo<br />

da dare completezza all'analisi eseguita e fornire le<br />

basi tecnico scientifiche sulle quali si basano i<br />

<strong>risultati</strong> sopra esposti.<br />

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rural systems, a social and cultural construction,


Studiogeomatico.qxp 25/02/2008 10.16 Pagina 122<br />

122 Fiorillo et al Studio geomatico delle aree della Toscana e dell’Umbria..<br />

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Sele. - Regione Campania Assessorato <strong>Al</strong>l'Agricoltura<br />

SeSIRCA<br />

G. Mecella, P. Scandella, N. Di Blasi, F. Pierandrei, F.A. Biondi<br />

(1985-86) - Land Classification ed aspetti climatici del territorio<br />

dell'<strong>Al</strong>ta Valle del Tevere - Annali Ist. Sperim. Per la<br />

Nutrizione delle Piante vol. X<strong>II</strong>I 1985-86 - Roma<br />

Osservatorio nazionale pedologico e per la qualità del suolo,<br />

1994 - Metodi ufficiali di analisi chimica del suolo, con<br />

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Risorse Agricole, <strong>Al</strong>imentari e Forestali, Roma<br />

F. Pancaro (1966) - Osservazioni pedologiche nella conca aretina.<br />

Annali Acc. It. Sc. Forestali vol. XV, 1966. Firenze<br />

Regione Campania, Assessorato all'Agricoltura - Se.S.I.R.C.A.<br />

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suoli. Versione 1.98 e successivi aggiornamenti<br />

SCAF <strong>Co</strong>op (1989) . Indagine pedologica sulle aree interessate<br />

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<strong>Co</strong>muni di Anghiari e Sansepolcro. Regione Toscana,<br />

<strong>Co</strong>munità Montana Valtiberina Toscana, Zona H. Poppi (AR)<br />

Servizio Geologico d'Italia, 1970. Carta Geologica d'Italia, F.<br />

121 Montepulciano, 1:100.000.<br />

Servizio Geologico Nazionale, 1994. Carta Geomorfologica<br />

d'Italia - 1:50.000, Guida al Rilevamento. A cura del<br />

Gruppo di Lavoro per la Cartografia Geomorfologica.<br />

Quaderni serie <strong>II</strong>I, vol. 4, Ist. Poligr. e Zecca dello Stato,<br />

Roma.<br />

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Handbook n. 18, United States Department of Agriculture,<br />

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edition. Soil <strong>Co</strong>nservation Service, United States<br />

Department of Agriculture, Washington<br />

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<strong>Co</strong>nvegno "Le Pianure: <strong>Co</strong>noscenza e Salvaguardia - Il<br />

contributo delle Scienze della Terra", Ferrara, Università<br />

degli Studi, 8-11 novembre 1999.


Giorgetti.qxp 25/02/2008 10.09 Pagina 123<br />

Introduzione<br />

Nel rispetto dell'obiettivo generale sul potenziamento<br />

dell'opportunità di riconversione <strong>dei</strong> produttori<br />

di tabacco verso altre attività, ai sensi dell'art<br />

14 del reg. CE n° 2182/2002, e degli obiettivi specifici<br />

previsti nella bozza generale, l'Unità<br />

Operativa CIRSeMAF si è occupata delle possibilità<br />

di riconversione in direzione zootecnica e faunistica.<br />

Per quanto riguarda il primo settore l'UO ha inteso<br />

muoversi nel settore della valorizzazione delle produzioni<br />

zootecniche tipiche e di qualità, a partire da<br />

razze autoctone già affermate sul mercato o in fase<br />

di recupero, facendo leva sull'esistenza, nelle<br />

regioni considerate, di tipi genetici bovini ed ovini<br />

di grande pregio. Per quanto riguarda il secondo,<br />

sono state valutate le possibilità di creazione di<br />

centri privati di produzione di selvaggina, di aziende<br />

agri-turistico-venatorie o comunque istituti faunistici<br />

in senso lato che, soprattutto in Toscana ed<br />

Umbria, svolgono un ruolo economico importante.<br />

Entrambi i settori sono infatti ampiamente diffusi<br />

nelle due regioni, anche se si riconosce, allo stato<br />

<strong>dei</strong> fatti, la necessità di una migliore utilizzazione<br />

delle risorse naturali e professionali e di una ottimizzazione<br />

delle produzioni zootecniche eco-compatibili<br />

in una logica di filiera e in ambito distrettuale.<br />

Materiali e metodi<br />

Il progetto si è articolato in tre filoni di ricerca e<br />

indagine interdipendenti, ciascuno <strong>dei</strong> quali comprendente<br />

più fasi. Il primo filone ha riguardato lo<br />

studio analitico della tabacchicoltura in Toscana e<br />

Umbria e delle sue possibilità di riconversione. In<br />

una prima fase il lavoro è stato concentrato sull'elaborazione<br />

e interpretazione <strong>dei</strong> dati forniti<br />

dall'INEA, che collabora al <strong>Progetto</strong>.<br />

Successivamente, a partire dai <strong>risultati</strong> degli incon-<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 123<br />

Le possibili alternative zootecniche alla coltura del tabacco in<br />

Toscanae in Umbria: l'attività del CIRSeMAF<br />

<strong>Al</strong>essandro Giorgetti 1<br />

1 Direttore del CIRSeMAF - Dipartimento di Scienze<br />

Zootecniche dell'Università di Firenze.<br />

Via delle Cascine, 5 - 50144 FIRENZE Tel +390553288356,<br />

E-mail: alessandro.giorgetti@unifi.it<br />

tri con i responsabili dell'Associazione Produttori<br />

di <strong>Ta</strong>bacco e di singoli tabacchicoltori delle due<br />

regioni, è stato predisposto un questionario, che è<br />

stato sottoposto a una settantina di tabacchicoltori,<br />

individuati tra quelli maggiormente interessati ad<br />

una trasformazione, totale o parziale, in senso faunistico<br />

o zootecnico oppure già attivi nel settore<br />

delle produzioni animali.<br />

Parallelamente è stato avviato il lavoro nel<br />

secondo filone, che ha previsto la definizione delle<br />

possibili alternative zootecniche e faunistiche, in<br />

funzione dell'estensione delle aziende e delle vocazionalità<br />

<strong>dei</strong> territori interessati. Nei primi mesi di<br />

progetto sono state prese in considerazione numerose<br />

alternative, poi ridotte a quelle più facilmente<br />

percorribili, tenuto conto delle preferenze e delle<br />

aspirazioni <strong>dei</strong> tabacchicoltori, così come andava<br />

progressivamente emergendo dagli incontri con i<br />

singoli, dai <strong>risultati</strong> del questionario e dalle osservazioni<br />

critiche effettuate in campo dal gruppo di<br />

ricerca dell'Unità Operativa.<br />

I primi due filoni di studio si sono praticamente<br />

conclusi nell'aprile 2006, e da allora, sulla base<br />

delle indicazioni emerse e <strong>dei</strong> <strong>risultati</strong> ottenuti, è<br />

stato avviato il terzo filone di studio, ancora in<br />

corso. In questo viene affrontato lo studio tecnico,<br />

seguito da un'analisi economica, delle alternative<br />

zootecniche o faunistiche considerate più percorribili:<br />

1. produzione di carne bovina con marchio<br />

IGP, 2. caprinicoltura da latte con annessa trasformazione,<br />

3. recupero, conservazione e valorizzazione<br />

di tipi genetici animali autoctoni in via di<br />

estinzione, 4. centri privati di produzione di selvaggina<br />

da ripopolamento. E' attualmente in corso la<br />

verifica <strong>dei</strong> punti di forza e di debolezza delle<br />

attuali filiere produttive del settore zootecnico<br />

delle aree interessate e la valutazione delle possibilità<br />

di riconversione, con l'identificazione degli<br />

ostacoli strutturali, economici e professionali alle<br />

ipotesi di riconversione.


Giorgetti.qxp 25/02/2008 10.09 Pagina 124<br />

124


Giorgetti.qxp 25/02/2008 10.09 Pagina 125<br />

Introduzione<br />

Nell'ambito del progetto COALTA 2, in una prima<br />

fase di attività l'U.O. si è avvalsa della collaborazione<br />

dell'INEA che ha fornito alcuni dati generali<br />

relativi alle aziende che coltivano tabacco, con particolare<br />

riguardo alla regione Toscana. In seguito<br />

sono state studiate circa settanta aziende tabacchicole,<br />

in gran parte nelle province di Siena ed<br />

Arezzo sulle quali è stato iniziato un percorso di<br />

studio, a partire dai dati di un questionario appositamente<br />

predisposto, volto a verificare le possibilità<br />

di una loro riconversione, totale o parziale, in<br />

senso zootecnico o faunistico. Parallelamente sono<br />

state individuate e studiate alcune alternative zootecniche<br />

per verificarne le potenzialità e su alcune<br />

di queste sono iniziate sperimentazioni di campo.<br />

Materiali e metodi<br />

I dati raccolti nelle aziende sono stati elaborati calcolando<br />

medie, deviazioni standard, e valori massimi<br />

e minimi <strong>dei</strong> vari parametri. Per i metodi impiegati<br />

nelle sperimentazioni zootecniche si rimanda<br />

ai capitoli specifici.<br />

Risultati e discussione<br />

Dei circa 35.400 ha coltivati a tabacco in Italia (il<br />

38% circa del totale UE) 2.400 ha sono localizzati<br />

in Toscana, tradizionalmente specializzata nella<br />

produzione di tabacco Kentucky, ma anche produttrice<br />

della varietà Bright. La varietà Kentucky,<br />

dopo un periodo di crisi, sembra aver preso nuovo<br />

vigore grazie al rinnovato apprezzamento <strong>dei</strong> prodotti<br />

locali, in particolare del sigaro toscano. Oltre<br />

il 70% delle superfici e delle produzioni tabacchicole<br />

della Toscana è localizzata e in provincia di<br />

Arezzo (Val di Chiana e Val Tiberina) e circa il<br />

26% nella provincia di Siena, mentre le province di<br />

Firenze, Pisa e Grosseto continuano ad occupare<br />

una posizione marginale sia in termini percentuali<br />

che di superficie.<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 125<br />

La tabacchicoltura in Toscana e le sue possibilità di riconversione<br />

Giorgetti A 1 , Sargentini C 1 , Degl'Innocenti P 1 , Fabeni P 1 , Lorenzini G 1 , Tocci R 1<br />

1 CIRSeMAF - Dipartimento di Scienze Zootecniche.<br />

Università di Firenze.<br />

Via delle Cascine, 5 50144 Firenze Tel +390553288356;<br />

e-mail: alessandro.giorgetti@unifi.it<br />

I dati raccolti hanno mostrato grande variabilità<br />

nelle caratteristiche generali delle aziende, confermando<br />

la scarsa omogeneità già emersa dai dati<br />

INEA. A partire dalla SAU infatti si osserva una<br />

grande differenza tra i valori minimi, tipici di una<br />

piccola azienda a gestione familiare, ed i valori<br />

massimi tipici di aziende a grande produzione.<br />

Molto diffuse sono le piccole aziende, possedute in<br />

genere da agricoltori anziani che coltivano il tabacco<br />

per tradizione. Le grandi aziende sono in numero<br />

limitato, ma rappresentano una percentuale<br />

molto estesa di superficie agricola interessata dalla<br />

coltura del tabacco. L'effetto dell' OCM tabacco<br />

sembra essere quello che i grandi produttori assimilino<br />

quelli minori, quindi lo scenario che si viene<br />

a delineare è quello di pochi grandi produttori interessati<br />

al proseguimento della propria attività ed ad<br />

un possibile ampliamento della stessa. La giacitura<br />

delle aziende è in gran parte in pianura, trattandosi<br />

essenzialmente di terreni irrigui. Le trattrici sono in<br />

media 3-4 in ciascuna azienda e tutte le aziende<br />

sono dotate delle varie attrezzature necessarie alle<br />

lavorazioni. Gli edifici, di differente ampiezza e<br />

tipologia, presentano comunque una cubatura<br />

media consistente che consentirebbe l'eventuale<br />

conversione in stalle o locali di trasformazione. Gli<br />

essiccatoi sono sempre presenti, anche se spesso<br />

sono di carattere provvisorio (di solito costruiti in<br />

lamiera). Le attività precedenti degli intervistati<br />

interessavano per il 24% il settore zootecnico, per<br />

il 32% quello agronomico, per il 13% entrambi. Il<br />

27% degli intervistati svolgeva attività diverse da<br />

quelle agricole. In alcuni casi tali attività sono<br />

ancora oggi praticate dagli imprenditori agricoli.<br />

La manodopera fissa varia in media da 2 a 3 unità,<br />

rispecchiando la caratteristica della conduzione<br />

familiare tipica della coltura. La media <strong>dei</strong> lavoratori<br />

stagionali è di 4-5 persone poiché alcune tipologie<br />

di tabacco richiedono una lavorazione artigianale<br />

che determina un alto fabbisogno di manodopera,<br />

che spesso si basa sullo scambio di aiuto tra<br />

familiari e amici. Il valore delle quote è mediamente<br />

alto, a dimostrare la vocazione di queste<br />

zone della Toscana verso la coltura del tabacco. Il<br />

Bright ed il Kentucky sono le varietà più coltivate,


Giorgetti.qxp 25/02/2008 10.10 Pagina 126<br />

126 Giorgetti et al La tabacchicoltura in Toscana .....<br />

l'Havana ed il Burley sono coltivati seppur in<br />

minori superfici.<br />

Tra le attività alternative o integrative alla coltura<br />

del tabacco indicate come possibili dai coltivatori,<br />

quella zootecnica risulta la più frequente (Fig.<br />

1) ed è relativa all'allevamento di bovini da carne<br />

di razze autoctone (prevalentemente Chianina), e in<br />

minor misura ad altre specie (equini, suini, ovini).<br />

Solo alcuni seguirebbero alternative di tipo agronomico,<br />

tra le quali l' unica su cui viene riposta fiducia<br />

è quella delle biomasse. <strong>Al</strong>tri settori di interesse,<br />

seppur in modo più limitato, sembrano essere<br />

quello agrituristico e quello faunistico.<br />

L'analisi a livello provinciale ha evidenziato<br />

differenze marcate tra Arezzo e Siena, sia come<br />

caratteristiche intrinseche aziendali che come<br />

disponibilità alla riconversione. sembrano più diffuse<br />

in provincia di Siena. <strong>Al</strong>le 5 alternative prospettate<br />

nelle fasi iniziali di svolgimento del progetto<br />

(<strong>Co</strong>stituzione di centri di ingrasso per bovini<br />

da carne, <strong>Al</strong>levamento di capre da latte con<br />

annessa trasformazione, <strong>Al</strong>levamenti di piccole<br />

specie, <strong>Al</strong>levamenti equini, <strong>Al</strong>levamenti di struzzo,<br />

Produzione di fauna selvatica) alla fine del<br />

primo anno di attività, sulla base degli incontri<br />

con i tabacchicoltori, ne è stata aggiunta una, poi<br />

risultata per molti versi la più interessante, rappresentata<br />

dall'allevamento bovino, sia <strong>dei</strong> riproduttori<br />

che <strong>dei</strong> produttori di carne, secondo sche-<br />

Fig. 1. <strong>Al</strong>ternative alla coltura del tabacco indicate dai coltivatori<br />

mi riferibili alla linea vacca/vitello. Un certo interesse<br />

è manifestato verso attività faunistiche,<br />

anche se le competenze presenti nel settore sono<br />

di gran lunga inferiori. Meno apprezzate ma presenti<br />

appaiono le alternative riguardanti i caprini<br />

e l'allevamento di soggetti di razze autoctone, di<br />

diverse specie. L'attrattiva, in quest'ultimo caso,<br />

dipende dai contributi che la Regione Toscana<br />

eroga per l'allevamento di razze in via di estinzione,<br />

quando queste sono presenti nel "paniere"<br />

delle razze riconosciute a livello regionale. Invece<br />

sono state "congelate" le alternative: <strong>Co</strong>stituzione<br />

di centri di ingrasso per bovini da carne,<br />

<strong>Al</strong>levamenti di piccole specie, <strong>Al</strong>levamenti di<br />

Struzzo. <strong>Ta</strong>li alternative risultano di difficile<br />

attuazione o di scarsa o nulla predilezione da<br />

parte degli attuali tabacchicoltori


Giorgetti.qxp 25/02/2008 10.10 Pagina 127<br />

Introdzione<br />

In Umbria la tabacchicoltura rappresenta un settore<br />

agricolo di notevole importanza, con una superficie<br />

destinata a questa coltura pari a 8567,35 ha che corrisponde<br />

al 24,20% <strong>dei</strong> 35.401,46 ettari coltivati a<br />

tabacco a livello nazionale (Fig. 1). Nella regione<br />

sono presenti 714 aziende, di cui 699 in provincia di<br />

Perugia (97,90 %) e 15 in provincia di Terni (3,10<br />

%). Della superficie totale a tabacco, 8304,63 ha,<br />

pari al 96,93%, si trovano in provincia di Perugia e<br />

262,72 ha, pari al 3,07%, in provincia di Terni. La<br />

superficie media aziendale destinata a questa coltura<br />

è di 15,95 ± 22.43 ha (PG: 16,06 ± 22,96 ha; TR:<br />

14,29 ± 12,27 ha), con valori estremi compresi tra<br />

0,20 e 150,91 ha (PG: 0,20 - 150,91; TR: 1,89 - 38).<br />

La classe di ampiezza più rappresentata è la A (< 10<br />

ha a tabacco), dove ricadono 445 aziende (PG: 441;<br />

TR: 4), pari al 62,32 % del totale. Segue la classe B<br />

(10 ÷ 50 ha a tabacco) con 251 aziende (PG: 240;<br />

TR: 11) corrispondenti al 35,15 % del totale. Nelle<br />

classi C (50 ÷ 100 ha a tabacco) e D (>100 ha a<br />

tabacco) si trovano rispettivamente solo 12 e 6<br />

aziende, tutte in provincia di Perugia (<strong>Ta</strong>b. 1).<br />

Materiali e metodi<br />

Ai fini del progetto, in collaborazione con le<br />

associazioni di categoria, sono stati compilati 21<br />

questionari e visitate 4 aziende agricole tra le più<br />

rappresentative.<br />

Risultati e discussione<br />

Le aziende del campione sono tutte a conduzione<br />

familiare con impiego di manodopera avventizia<br />

(soprattutto straniera). Presentano superfici da 5,95<br />

a 180 ha con terreni di proprietà e in affitto.<br />

La giacitura <strong>dei</strong> terreni aziendali è per il 54,5 % in<br />

pianura e per il 45,5% in collina. La percentuale<br />

delle superfici destinate a tabacco va da un minimo<br />

del 28% ad un massimo dell'85%, le restanti superfici<br />

vengono coltivate principalmente a seminativi<br />

(frumento, orzo,mais), ortaggi (peperoni, pomodo-<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 127<br />

Le alternative zootecniche e faunistiche alla coltura del tabacco<br />

in Umbria<br />

M. Pecchiai, L. Bianchi, C. Casoli 1<br />

1 CIRSeMAF - DBVBAZ,<br />

Università degli Studi di Perugia<br />

B.go XX giugno, 74 - 06121 Perugia.<br />

Fig. 1. Distribuzione della superficie italiana coltivata a<br />

tabacco<br />

ri, cavoli, zucchine), ortive da seme (cipolle, insalate).<br />

I fabbricati presenti sono utilizzati come<br />

essiccatoi, rimesse attrezzi e abitazioni e vanno da<br />

un minimo di 100 m 2 ad un massimo di 1520 m 2 . I<br />

macchinari in dotazione sono rappresentati da trattori,<br />

aratri, seminatrici, sarchiatrici, erpici, spandiconcime,<br />

botti per trattamenti. Quindi, macchinari<br />

speciali per il tabacco, quali trapiantatrici e raccoglitrici.<br />

Il tabacco è, generalmente, la principale<br />

fonte di reddito. La produzione annuale va mediamente<br />

dai 4,2 a 300 t con un prezzo che oscilla da<br />

800 a 3850 €/t per la varietà Kentucky. Tra gli<br />

imprenditori contattati, solo 3 hanno svolto attività<br />

zootecnica (bovini da carne) dagli anni '70 alla fine<br />

degli anni '90. Dalle interviste effettuate, è risultato<br />

che tutti gli imprenditori sono informati circa la<br />

riforma dell'OCM TABACCO - Reg. CE 864/04 -<br />

e manifestano un certo grado di incertezza dovuto,<br />

principalmente, alla mancanza di valide alternative<br />

alla tabacchicoltura e di proposte in merito da parte<br />

delle istituzioni competenti.<br />

I principali problemi da affrontare sono: l'alto reddito<br />

garantito dalle produzioni di tabacco (di cui<br />

una quota importante era finora costituita da contributi)<br />

e non raggiungibile, attualmente, con le altre<br />

colture; la presenza di strutture e attrezzature non<br />

riconvertibili, quali forni e macchinari per il trapianto<br />

e la raccolta. Attualmente, alcune aziende<br />

integrano il reddito con coltivazione di altri seminativi,<br />

ortaggi ed ortive da seme; è emerso, inoltre,<br />

l'interesse per la possibile introduzione di coltivazioni<br />

a scopo energetico (colza, girasole, mais) o<br />

per la produzione di fibra tessile (canapa). Le<br />

nuove colture, tuttavia, comportano interrogativi<br />

inerenti il reddito conseguibile e le possibili vie di


Giorgetti.qxp 25/02/2008 10.10 Pagina 128<br />

128 Pecchiai et al Le alternative zootacniche e faunistiche ....<br />

<strong>Ta</strong>b. 1. Suddivisione delle aziende a tabacco in base alle classi di ampiezza, alla provincia e alla regione<br />

commercializzazione.<br />

Per quanto riguarda possibili riconversioni in<br />

ambito zootecnico, alcuni allevatori sarebbero interessati<br />

ad avviare allevamenti, principalmente, di<br />

vacche nutrici chianine nelle aree collinari, evitando<br />

di dedicarsi a tipologie di allevamento che<br />

necessitano di investimenti per la costruzione di<br />

ricoveri, etc. Va, comunque, sottolineata la generale<br />

mancanza di esperienza in zootecnia, che potrebbe<br />

richiedere opportune attività di formazione. In<br />

definitiva, gli imprenditori manifestano interesse<br />

verso ogni proposta che permetta loro di raggiun-<br />

gere <strong>risultati</strong> economici paragonabili alla coltivazione<br />

del tabacco; tuttavia, dalle interviste, è emersa<br />

una certa sfiducia sulle possibili alternative a<br />

questa attività.<br />

Bibliografia<br />

MA. Marchini. Mutamenti strutturali dell'agricoltura umbra "tra<br />

diversificazione e multifunzionalità". Regione dell'Umbria,<br />

Perugia, 2005.<br />

INEA. Risultati tecnico-economici delle aziende agricole<br />

dell'Umbria. Regione dell'Umbria, Perugia, 2005.<br />

M.R. Lorenzetti, G. Bocci. La guerra del tabacco. Umbria agricoltura,<br />

2003; 16: 6-12.


Giorgetti.qxp 25/02/2008 10.10 Pagina 129<br />

La zootecnia “consolidata” da carne: la razza Chianina<br />

Sargentini C 1<br />

Introduzione<br />

Secondo il Piano Zootecnico Regionale<br />

(Supplemento B.U.R.T. n.26 del 30.06.2004) la<br />

Chianina, particolarmente diffusa nelle province di<br />

Siena ed Arezzo, è la razza bovina più allevata<br />

nella regione, facendo registrare un costante incremento<br />

della numerosità dall'anno 2000. "…Questo<br />

andamento contraddice in parte l'andamento generale<br />

delle consistenze <strong>dei</strong> bovini da carne che invece<br />

hanno mostrato una flessione diffusa. Il dato può<br />

essere spiegato da una sostanziale "tenuta" degli<br />

allevamenti di qualità meglio organizzati rispetto<br />

agli altri… Per Chianina, Romagnola e<br />

Marchigiana è attivo il riconoscimento comunitario<br />

IGP "Vitellone Bianco dell'Appennino Centrale".<br />

Lo strettissimo legame che unisce la razza<br />

Chianina al suo territorio è testimoniato non solo<br />

dal nome, ma anche dalla sua storia e dalla sua<br />

attualità. Scopo del presente lavoro è quello di<br />

valutare la possibilità di considerare l'allevamento<br />

di bovini di razza Chianina un'alternativa alla coltura<br />

del tabacco in funzione del Reg. (CE) n.<br />

864/2004.<br />

Materiali e metodi<br />

Vengono descritti le origini, la storia, la diffusione,<br />

le caratteristiche morfologiche, produttive e riproduttive<br />

ed i sistemi di allevamento della razza<br />

Chianina nelle province di Arezzo e Siena, le più<br />

interessate sia dalla coltura del tabacco che dall'allevamento<br />

di bovini di razza Chianina.<br />

Risultati e discussione<br />

La razza Chianina è originaria della Val di Chiana,<br />

area geografica tra Toscana ed Umbria, situata tra il<br />

fiume Paglia e l'Arno corrispondente a quella dell'antico<br />

bacino Clanis Aretinum ricordato da Plinio<br />

il Vecchio (Hist. Nat. <strong>II</strong>I, 52-54), "…lunga 57 km e<br />

larga 20 km circa, compresa tra le provincie di<br />

Arezzo…(Arezzo, Castiglion Fiorentino, Civitella<br />

della Chiana, <strong>Co</strong>rtona, Foiano, Lucignano,<br />

1 CIRSeMAF - Dipartimento di Scienze Zootecniche.<br />

Università degli Studi di Firenze. Via delle Cascine, 5 - 50144<br />

FIRENZE; Tel. 055 3288333; Fax 055 321216;<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 129<br />

Marciano e Monte San Savino), di Siena (Cetona,<br />

Chianciano, Chiusi, Montepulciano, San Casciano<br />

<strong>dei</strong> Bagni, Sarteano, Sinalunga e Torrita), e per<br />

breve tratto in quella di Perugia (Castiglion del<br />

Lago, Città della Pieve e Tuoro) e Terni<br />

((Monteleone d'Orvieto e Fabro). L'aspetto generale<br />

della Val di Chiana è quello di una vasta pianura<br />

orizzontale, delimitata da colline ubertosissime, ad<br />

eccezione del tratto fra <strong>Co</strong>rtona e Arezzo che è<br />

costituito da monti aspri e brulli" (Marchi e<br />

Mascheroni, 1925). La razza è attualmente diffusa,<br />

con diversa consistenza, su tutto il territorio nazionale<br />

(ANABIC, 2006). La grande capacità di adattamento<br />

all'ambiente, in gran parte dovuto ad alcune<br />

sue caratteristiche morfologiche, ha fatto sì che<br />

si sia diffusa sia in ambienti particolarmente caldi<br />

(Brasile) che freddi (Canada). La Chianina è la<br />

razza bovina di maggior mole, potendo raggiungere,<br />

i tori, 180 cm di altezza al garrese e 16 q.li di<br />

peso vivo. Il mantello bianco porcellana, costituito<br />

da peli bianchi su cute ardesia, la rende tollerante<br />

alle radiazioni solari, determinando l'eccellente<br />

capacità di adattamento anche ai difficili ambienti<br />

tropicali. La pigmentazione apicale è nera. Nei<br />

primi mesi di vita il mantello è di colore fromentino.<br />

La testa è leggera con profilo rettilineo e corna<br />

corte a sezione ellittica, nere fino a due anni, bianco-giallastre<br />

alla base e nere in punta successivamente.<br />

Il collo è corto e muscoloso, con gibbosità<br />

pronunciata nei tori e giogaia leggera.. Il tronco è<br />

cilindrico con il dorso e i lombi, da cui si ottiene la<br />

famosa "bistecca fiorentina" lunghi, larghi e<br />

muscolosi. Groppa, cosce e natiche sono ampie e<br />

muscolose. Il profilo della coscia non appare tuttavia<br />

eccessivamente convesso a causa dello sviluppo<br />

in lunghezza delle masse muscolari. Gli arti<br />

infatti sono più lunghi rispetto alle altre razze da<br />

carne. L'elevata statura è uno <strong>dei</strong> caratteri che, trasmissibile<br />

ai prodotti d'incrocio, hanno maggiormente<br />

contribuito alla sua diffusione oltre Oceano<br />

consentendo il pascolamento anche in zone caratterizzate<br />

da essenze vegetali di grande sviluppo. Il<br />

peso adulto è di 1200-1500 kg per i maschi, 800-<br />

1000 per le femmine. L'età al primo parto delle è di<br />

33 mesi e l'interparto medio di 14 ( Franci et al.,<br />

1998).


Giorgetti.qxp 25/02/2008 10.10 Pagina 130<br />

130 Sargentini La razza chianina<br />

La razza è allevata prevalentemente in aziende<br />

di piccole e medie dimensioni (Sargentini e<br />

Acciaioli, 2006). L'87,7% degli allevamenti è<br />

situato in zone collinari e di montagna; il rimanente<br />

12,3% si trova in aziende di pianura. Sia in Val<br />

di Chiana che in Val Tiberina si pratica prevalentemente<br />

il ciclo chiuso con allevamento <strong>dei</strong> riproduttori<br />

ed ingrasso <strong>dei</strong> vitelli, mentre poco diffuso è il<br />

ciclo aperto, con la sola fase d'ingrasso <strong>dei</strong> vitelli<br />

da ristallo in centri che provvedono al finissaggio,<br />

alla macellazione e alla vendita e commercializzazione<br />

della carne. L'allevamento <strong>dei</strong> riproduttori in<br />

alta collina è generalmente di tipo semibrado, con<br />

una stagione di pascolamento compresa tra maggio<br />

e ottobre, ed interessa aziende di piccole e medie<br />

dimensioni. I ricoveri invernali seguono generalmente<br />

le tipologie della stabulazione fissa o forme<br />

più o meno eterodosse di stabulazione libera. In<br />

pianura sono più diffusi, anche per i riproduttori,<br />

sistemi intensivi in stalle aperte, anche se non sempre<br />

secondo gli schemi classici della stabulazione<br />

libera e talvolta addirittura in stalle chiuse a posta<br />

fissa tipiche delle tradizionali aziende mezzadrili. I<br />

vitelli vengono ingrassati in box multipli, con lettiera<br />

permanente o semipermanente, dotati o meno<br />

di paddok esterni. L'alimentazione è basata essenzialmente<br />

su fieno e concentrati. La razione alimentare<br />

delle fattrici risulta mediamente inferiore<br />

ai fabbisogni soprattutto nei periodi critici, mancando<br />

una diversificazione tra fase d'asciutta,<br />

prima e seconda fase di lattazione (Cianci, 2003).<br />

Anche le razioni <strong>dei</strong> vitelli risultano, fino ad un<br />

anno di età, inadeguate, soprattutto dal punto di<br />

vista proteico, particolarmente importante nel<br />

periodo in cui è più attiva la sintesi di tessuto<br />

muscolare. Nella fase di finissaggio invece le<br />

razioni appaiono spesso sbilanciate per eccesso sia<br />

di energia che di proteina (Cianci, 2003) con notevole<br />

spreco dal momento che i processi di proteinogenesi<br />

sono in questa fase oramai attenuati. Per<br />

la razza Chianina, come per la Romagnola e per la<br />

Marchigiana, che sono protette dal marchio<br />

"Vitellone bianco dell'appennino centrale", nei 4<br />

mesi che precedono la macellazione non devono<br />

essere utilizzati insilati e sottoprodotti dell'industria.<br />

Il disciplinare prevede che la razione debba<br />

assicurare livelli nutritivi alti o medio alti (maggiori<br />

di 0.8 U.F./Kg di s.s.) ed una quota proteica compresa<br />

tra il 13% ed il 18% in funzione dello stadio<br />

di sviluppo dell'animale. Le migliori prestazioni si<br />

ottengono da vitelloni alimentati con razioni ad<br />

elevato livello nutritivo e macellati a 16-18 mesi di<br />

età ad un peso di 650-750 kg. Le rese al macello<br />

sono del 62-63%. Le carni, anche a pesi elevati,<br />

presentano ottimi parametri fisici (colore, tenerezza<br />

e capacità di ritenzione idrica) e chimico-nutrizionali,<br />

con un basso tenore in lipidi intramuscolari(Sargentini<br />

e Acciaioli, 2006). Questi sono rappresentati<br />

peraltro da un'alta percentuale di acidi<br />

grassi monoinsaturi e presentano un rapporto<br />

polinsaturi/saturi ottimale per l'alimentazione<br />

umana.<br />

La buona tenuta della razza Chianina all'interno<br />

del comparto zootecnico toscano e l'ubicazione<br />

degli allevamenti sul territorio regionale (Val di<br />

Chiana e Valtiberina) sembrano poter indicare nell'allevamento<br />

bovino da carne destinato alle produzioni<br />

di qualità un'alternativa alla produzione di<br />

tabacco.<br />

Riferimenti bibliografici<br />

ANABIC http://www.ANABIC.it/., 2006<br />

Cianci D. Valorizzazione del Germoplasma bovino autoctono<br />

toscano. I georgofili - Quaderni. 2003. 23-58.<br />

Falaschini A., Vivarelli A. Zootecnica speciale. Edizioni<br />

Agricole Bologna. pp 558. 1965.<br />

Franci O., Panella F., Acciaioli A., Filippini F., Pugliese C.,<br />

Bozzi R., Lucifero M. "Estimates of genetic parameters for<br />

some reproductive traits in Chianina beef cattle." Zoot.<br />

Nutr. Anim. 1998. 24:31-39.<br />

Marchi E., Mascheroni E. Zootecnica speciale. I. Equini e bovini.<br />

Nuova Enciclopedia Agraria Italiana: 952-965. Unione<br />

Tipografico-Editrice Torinese - TO. 1925.<br />

Sargentini C., Acciaioli A. Chianina. Risorse genetiche animali<br />

autoctone della Toscana. 2002.19-29.


Giorgetti.qxp 25/02/2008 10.10 Pagina 131<br />

La possibilità dell'alternativa zootecnica<br />

Durante i sopralluoghi effettuati presso i produttori<br />

di tabacco della provincia di Arezzo è risultato<br />

che alcuni di loro hanno già intrapreso la strada<br />

della zootecnia quale futuro sviluppo per la propria<br />

azienda agricola. E' inoltre interessante notare che<br />

alcune delle strutture utilizzate per l'essiccazione di<br />

tabacco sono in realtà antiche strutture zootecniche.<br />

Gli agricoltori sono consapevoli di trovarsi in<br />

un momento di transizione verso un nuovo settore<br />

produttivo ed esclusi pochi produttori, restii a qualunque<br />

ipotesi alternativa, quasi tutti sono interessati<br />

al settore zootecnico. Questa opzione sembra<br />

avvalorata da una seppur modesta conoscenza del<br />

comparto produttivo zootecnico da buona parte <strong>dei</strong><br />

produttori di tabacco, che hanno sempre affiancato<br />

questa produzione a quella di un ristretto numero di<br />

bovini o suini. L'alternativa zootecnica sembra in<br />

molti casi la via d'uscita da una situazione alquanto<br />

compromessa dell'agricoltura di settore, anche<br />

se sarebbe necessario un adeguato periodo di formazione<br />

e aggiornamento sulle produzioni animali,<br />

in particolare per i nuovi imprenditori.<br />

La produzione di carne bovina secondo<br />

l'IGP. "vitellone bianco dell'Appennino<br />

centrale".<br />

L'estensione geografica <strong>dei</strong> confini <strong>dei</strong> mercati<br />

agricoli e la crescente liberalizzazione degli scambi<br />

hanno determinato rapidi mutamenti nel quadro<br />

competitivo internazionale e, se da una parte ciò<br />

apre nuove opportunità per la filiera agroalimentare,<br />

dall'altra determina l'affermazione di minacce<br />

rilevanti. L'agricoltura europea non può vincere la<br />

concorrenza globale omologandosi ai modelli<br />

dell'America e dell'Oceania, e neanche a quelli<br />

dell'Asia e dell'Africa; deve avere un modello auto-<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 131<br />

La zootecnia quale alternativa alla coltura del tabacco<br />

nell’Italia centrale:la produzione di carne di qualità con la<br />

razza Chianina<br />

Fabeni P 1<br />

1 CIRSeMAF - Dipartimento di Scienze Zootecniche.<br />

Università degli Studi di Firenze. Via delle Cascine, 5 - 50144<br />

FIRENZE; Tel. 055 3288333; Fax 055 321216<br />

nomo, competitivo e differenziato. In questo senso<br />

la qualità organolettica e dietetica, la specificità e<br />

la tipicità d'origine delle produzioni sono tra le<br />

principali leve di intervento ed in particolare un<br />

patrimonio fondamentale dell'agricoltura italiana.<br />

Nelle aree del centro Italia interessate dalla coltura<br />

del tabacco sono presenti molti prodotti agroalimentari<br />

di pregio. In particolare, riferendosi alle<br />

aree della Valdichiana e della Valtiberina, dove il<br />

tabacco è largamente coltivato, è considerevole la<br />

quota crescente di produzione di carne proveniente<br />

dalle produzioni del “vitellone bianco dell'<br />

Appennino centrale” a marchio IGP, ovvero la<br />

carne prodotta da bovini delle razze Chianina,<br />

Marchigiana o Romagnola, macellati ad una età<br />

compresa tra i 12 e i 24 mesi, nati, allevati e macellati<br />

all'interno dell'area di produzione nel rispetto<br />

del disciplinare di produzione.<br />

Il ruolo della Chianina nella realtà zootecnica<br />

toscana<br />

Gli allevamenti di Chianina in Toscana appartengono<br />

a due gruppi principali: a ciclo chiuso, con allevamento<br />

sia <strong>dei</strong> riproduttori che <strong>dei</strong> vitelloni fino<br />

alla macellazione e allevamenti di solo accrescimento-ingrasso.<br />

Il campione di aziende toscane<br />

esaminate nel primo anno di attività, tutte situate in<br />

provincia di Arezzo, appartiene al secondo gruppo<br />

e presenta peculiarità molto marcate. Si tratta di<br />

allevamenti di piccole dimensioni in cui l'attività<br />

può anche assumere caratteri complementari<br />

rispetto all'economia dell'intera azienda, e risulta<br />

esclusivamente centrata sull'ingrasso di capi di<br />

Chianina acquistati presso allevatori delle aree<br />

limitrofe al termine del periodo di svezzamento. Le<br />

razioni alimentari adottate dipendono sia dal tipo<br />

genetico <strong>dei</strong> capi allevati sia dalle condizioni pedoclimatiche<br />

delle aree in cui sono localizzate le<br />

aziende, che indirizzano le scelte colturali per la<br />

produzione aziendale di foraggi destinate all'alimentazione<br />

del bestiame. Il silomais è praticamente<br />

assente nei piani colturali degli allevamenti di<br />

Chianina, che dispongono in media di 11 ha di


Giorgetti.qxp 25/02/2008 10.10 Pagina 132<br />

132 Fabeni La zootecnia quale alternativa .....<br />

Fig. 1 Ripartizione colturale negli allevamenti a ciclo aperto della Toscana<br />

(2004)<br />

superficie per le foraggere impiegate, pari al 69%<br />

della SAU aziendale. La razione alimentare in questi<br />

allevamenti si caratterizza per l'utilizzo di fieno<br />

come principale foraggio di produzione aziendale.<br />

La sua produttività ad ettaro è notevolmente inferiore<br />

rispetto al mais, e questo costituisce uno <strong>dei</strong><br />

vincoli strutturali alla possibilità di raggiungere<br />

dimensioni più elevate, però la qualità del prodotto<br />

finale (carne), viene ulteriormente esaltata. I prati<br />

di erba medica e i prati stabili occupano più del<br />

50% della SAU, che per la parte rimanente è coltivata<br />

ad orzo (19%), mais (granella) e frumento<br />

duro, di cui viene utilizzata la paglia come lettiera.<br />

La composizione delle razioni alimentari differisce<br />

secondo il tipo genetico e l'età in cui il vitello fa il<br />

suo ingresso in stalla, come è mostrato nella tabella<br />

1. che riporta la composizione media delle razioni<br />

adottate dagli allevamenti analizzati.<br />

Proposte<br />

Per il miglioramento produttivo ed economico del<br />

comparto possono essere utili iniziative di formazione<br />

e aggiornamento tecnico, sia nel settore della<br />

produzione (alimentazione del bestiame, tecniche e<br />

sistemi di allevamento, età e pesi di macellazione)<br />

che del marketing, attraverso seminari tematici,<br />

con taglio operativo e pragmatico del tipo informazione-formazione-consulenza.<br />

Inoltre appare<br />

opportuna l' erogazione di servizi reali.<br />

Si tratta di dare risposte ad una serie di<br />

esigenze manifestate dalle imprese<br />

sostanzialmente su più versanti: comunicazione<br />

aziendale, organizzativa,<br />

organizzativa/commerciale/marketing,<br />

gestionale/commerciale/aziendale,<br />

ecc.. a cui alcune figure professionali<br />

esterne possono dare risposta concreta.<br />

Di fatto è un'attività di cooperazione<br />

con l'impresa richiedente secondo i<br />

criteri del tutoraggio, sia pur per singole aree d'interesse.<br />

Infine appaiono opportune iniziative collettive<br />

finalizzate a creare un contesto organizzativo e<br />

di servizio non centrato a favore della singola<br />

impresa ma dell'insieme di queste. Si tratta in altri<br />

termini di strutturare una serie più o meno espansa<br />

di iniziative ed azioni in grado di supportare la commercializzazione<br />

della carne Chianina. A titolo<br />

esemplificativo si può considerare la creazione di<br />

un consorzio di produttori che integrando le diverse<br />

attitudini aziendali e tecniche supportino completamente<br />

ed efficientemente la rete di produzione e<br />

commercializzazione <strong>dei</strong> prodotti.<br />

Riferimenti bibliografici<br />

ISMEA - Dir. Mercati e risk management - U.O. Analisi economiche<br />

e finanziarie. Indagine sull'Analisi del costo e della<br />

redditività della produzione di carne bovina. CRPA - Centro<br />

ricerche produzioni animali, 2006.<br />

Lucifero M., Pilla A.M. <strong>II</strong> miglioramento genetico: organizzazione,<br />

evoluzione, proposte, Atti del <strong>Co</strong>nvegno Nazionale<br />

su "Le razze bovine bianche da carne dell'Italia Centrale",<br />

Accademia <strong>dei</strong> Georgofili, Firenze, 1984.<br />

Mariotti L. Aspetti e problemi del settore zootecnico bovino da<br />

carne in Umbria, Tesi di Laurea, Istituto di Economia e<br />

Politica Agraria, Perugia,1978.<br />

Salvini E. Produzione del vitello da ristallo in allevamenti estensivi,<br />

INEA-Osservatorio di Economia Agraria per la<br />

Toscana, Firenze, 1983.<br />

Mondini S. Razze italiane da carne: marchio di qualità e garanzia<br />

del consumatore, Informatore Zootecnico, 1987; 17.


Giorgetti.qxp 25/02/2008 10.10 Pagina 133<br />

Introduzione<br />

L'allevamento caprino, soprattutto per la produzione<br />

aziendale di formaggio, può rappresentare, in<br />

particolari situazioni, un' alternativa o una fonte<br />

integrativa importante alla coltivazione del tabacco.<br />

Dopo un significativo incremento del numero<br />

di capi nei primi anni '90, la consistenza del patrimonio<br />

caprino in Italia è attualmente in diminuzione.<br />

Oggigiorno le capre sono allevate di preferenza<br />

in greggi di 60-200 capi. La produzione principale<br />

è quella di latte che viene lavorato direttamente in<br />

azienda. Esso infatti, pur essendo un alimento particolarmente<br />

pregiato e con elevate caratteristiche<br />

organolettiche, non sempre è raccolto nei caseifici,<br />

almeno in Toscana, dove non esiste una produzione<br />

tradizionale di formaggio come avviene nel<br />

Nord Italia. Un'attenzione crescente sembra<br />

comunque interessare prodotti con marchi IGP o<br />

ottenuti secondo il disciplinare biologico. I dati<br />

ISTAT del V° Censimento Generale dell'Agricoltura<br />

mostrano come il patrimonio caprino toscano<br />

dal 1990 al 2000 abbia subito una preoccupante<br />

contrazione sia nel numero <strong>dei</strong> capi allevati (-<br />

48,5% ) che nel numero delle aziende (- 55,2%).<br />

Questa diminuzione è imputabile principalmente<br />

alla crisi strutturale cui è andata incontro la zootecnia,<br />

che ha determinato la rarefazione degli allevamenti<br />

familiari e di quelli di dimensioni ridotte non<br />

specializzati. Gli allevamenti ovi-caprini hanno<br />

potuto attingere meno di altri alle risorse disponibili<br />

per far fronte ai cambiamenti imposti dalla globalizzazione<br />

<strong>dei</strong> mercati ed all'adeguamento alle<br />

nuove norme di produzione, come quella ad esempio<br />

sulla qualità igienico-sanitaria. A quelli strutturali<br />

si sono aggiunti poi, nel comparto, altri fattori<br />

congiunturali quali le emergenze sanitarie (Blue<br />

Tongue, Scrapie, ecc.), i cambiamenti socio-culturali,<br />

ed i consumi fortemente legati alla tradizione.<br />

Per valutare le potenzialità dell'allevamento biolo-<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 133<br />

L’allevamento della capra da latte: struttura dell’allevamento<br />

biologico<br />

Lorenzini G 1 , Martini A 1 , Sargentini C 1 , Giorgetti A 1<br />

1 CIRSeMAF - Dipartimento di Scienze zootecniche<br />

dell'Università di Firenze, via delle Cascine, 5. 50144 Firenze.<br />

Tel. 055 3288357. Fax 055 321216.<br />

e-mail g.lorenzini@unifi.it<br />

gico per la produzione di latte caprino caseificato<br />

in azienda vengono di seguito esposte le caratteristiche<br />

di questo indirizzo produttivo.<br />

<strong>Al</strong>levamento<br />

In allevamento biologico le capre vengono allevate<br />

esclusivamente a stabulazione libera. La superficie<br />

coperta a disposizione è di almeno 1,5 m² per<br />

ogni animale adulto e 0,35 m² per i capretti. Il fronte<br />

di mangiatoia è di almeno 35-40 cm/capo. Il<br />

pascolo dovrebbe essere garantito quotidianamente<br />

con un carico massimo di 13,3 capre/ha, corrispondenti<br />

alla distribuzione di 170 kg N/ha/anno, valore<br />

massimo stabilito dalla Dir. 91/676/CEE. Il<br />

pascolamento si dimostra necessario sia per rispondere<br />

ai naturali fabbisogni alimentari in modo soddisfacente<br />

ed economico sia per garantire il benessere<br />

degli animali scongiurando disordini o turbe di<br />

tipo comportamentale (aggressività), talvolta<br />

riscontrabili in allevamento intensivo. In mancanza<br />

di pascoli, o se questi sono troppo lontani dall'azienda,<br />

devono essere assicurati comunque paddock<br />

esterni dove gli animali possano muoversi<br />

liberamente. Queste aree di esercizio dovrebbero<br />

essere dotate di tronchi, pietre e scarpatine per permettere<br />

agli animali di saltare e arrampicarsi e<br />

manifestare così i comportamenti specie-specifici.<br />

Dal punto di vista riproduttivo la capra viene<br />

definita poliestrale stagionale: essa concentra cioè<br />

in un periodo dell'anno (nei nostri climi da agosto<br />

a gennaio) la propria attività ovarica che si ripete,<br />

in assenza di gravidanza, a cicli regolari di 21 giorni<br />

circa, per tutto il periodo con fotoperiodo decrescente<br />

o negativo. Il becco segue l'attività sessuale<br />

della capra con una maggior libido nello stesso<br />

periodo. Il primo calore si manifesta a 6-7 mesi e la<br />

carriera riproduttiva è di 7-10 anni. Il calore può<br />

durare dalle 12 alle 48 h; il momento più fertile<br />

sembra essere quello che precede di poche ore il<br />

calore stesso, questo interessa nel caso si proceda<br />

alla fecondazione artificiale. Nel caso in cui i<br />

maschi vengano lasciati liberi nel gregge si autoregolano<br />

senza la necessità di alcun intervento. In<br />

genere calori sono sincroni e non è raro che nel giro<br />

di pochi giorni tutti i capi adulti manifestino l'estro;


Giorgetti.qxp 25/02/2008 10.10 Pagina 134<br />

134 Lorenzini et al L’allevamento della capra da latte ....<br />

<strong>Ta</strong>b. 1. Fabbisogni alimentari<br />

questa sincronizzazione aumenta quando si immette<br />

il becco dopo un periodo di isolamento. La<br />

gestazione dura in media 5 mesi (135-160 giorni).<br />

Organizzazione del lavoro<br />

Annualmente il lavoro inizia con la stagione <strong>dei</strong><br />

parti, a cui segue l'inizio della lattazione e lo svezzamento<br />

<strong>dei</strong> capretti che può essere naturale o artificiale.<br />

Questo periodo è compreso di norma tra<br />

gennaio e le festività pasquali, quando i capretti da<br />

macello vengo venduti e le femmine da allevamento<br />

svezzate. Nel caso in cui si adotti, per motivi<br />

economici e organizzativi, lo svezzamento artificiale,<br />

la fase di lattazione, in cui è effettuata la<br />

mungitura, inizia alla fine <strong>dei</strong> parti e contemporaneamente<br />

inizia l'allattamento <strong>dei</strong> capretti. Durante<br />

la lattazione gli orari delle operazioni di stalla sono<br />

mantenuti abbastanza costanti e l'insieme <strong>dei</strong> lavori<br />

in stalla sarà minore; con il procedere della stagione<br />

primaverile/estiva, a seconda della latitudine,<br />

si dovranno comunque adeguare gli orari di foraggiamento,<br />

perchè con il caldo gli animali tenderanno<br />

a rimanere più volentieri in stalla durante le ore<br />

centrali del giorno e a pascolare in quelle più fresche.<br />

In estate inoltrata, con l'inizio <strong>dei</strong> calori, ven-<br />

gono immessi nel gregge i maschi.<br />

<strong>Al</strong>l'inizio dell'autunno comincia la<br />

messa in asciutta delle capre passando<br />

ad una sola mungitura giornaliera.<br />

Terminata la lattazione le operazioni<br />

di stalla consistono in due foraggiate<br />

giornaliere e nell'uscita al pascolo<br />

durante le ore più calde.<br />

<strong>Al</strong>imentazione<br />

L'alimentazione deve provenire al<br />

95% da agricoltura biologica e di<br />

questo il 50% deve essere prodotto in<br />

azienda. Durante la primavera e<br />

l'estate predomina l'erba fresca, in<br />

inverno il fieno. Le capre in lattazione,<br />

ricevono farine di cereali come<br />

mangime integrativo. La razione<br />

deve essere sempre costituita per almeno il 60% da<br />

foraggi mentre i concentrati non devono rappresentare<br />

più del 40%. La capra, i cui fabbisogni alimentari<br />

sono riportati in tabella 1, ha grande capacità<br />

di ingestione ed è capace di utilizzare anche<br />

alimenti poco pregiati. Riesce a digerire fino al<br />

90% della cellulosa (contro il 70% della pecora) e<br />

disperde, rispetto alla pecora, meno azoto per digestione<br />

ruminale: 11% contro il 36%.<br />

Importante ai fini di una corretta alimentazione è<br />

il rapporto nella razione fra calcio (Ca) e fosforo (P);<br />

l'utilizzazione migliore si ha quando nella dieta il<br />

loro rapporto (Ca/P) è compreso fra 1,2 e 2, anche se<br />

tutti i ruminanti tollerano anche rapporti più elevati<br />

(fino a 7). Il consumo di calcio e fosforo negli animali<br />

da latte è molto forte. Molto ricchi di calcio sono i<br />

foraggi di leguminose mentre il fosforo è presente<br />

soprattutto nei cereali e nella crusca.<br />

Riferimenti bibliografici<br />

Reg UE 2092/91<br />

Reg UE 1804/99<br />

Dir. 91/676/CEE.<br />

Piano Zootecnico Regionale Toscano, 2000<br />

AAVV. - Atti del convegno Arsia "Il germoplasma della<br />

Toscana: tutela e valorizzazione", 1999.


Giorgetti.qxp 25/02/2008 10.10 Pagina 135<br />

Attualità e prospettive della razza suina cinta senese<br />

Bozzi R 1<br />

In Italia la spesa delle famiglie dagli anni '70 ad<br />

oggi ha visto aumentare la quota destinata<br />

all'alimentazione e questo aumento è ancora più<br />

evidente per la quota della ristorazione. In tale<br />

contesto le tendenze del consumo di carne in<br />

Italia hanno visto un aumento notevole della<br />

quota di carne di maiale passando dai 7-8<br />

kg/anno/pro-capite ai 30 del 2001 (Fig. 1).<br />

Questo aumento rilevante ha senza dubbio<br />

influenzato in misura preponderante la diffusione,<br />

anche sul nostro territorio, di razze cosmopolite<br />

inizialmente anche a scapito di genotipi<br />

autoctoni in precedenza allevati.<br />

Sul finire degli anni '80 però la maggior disponibilità<br />

di reddito della popolazione e la maggior consapevolezza<br />

nei confronti di un'alimentazione equilibrata<br />

ha portato ad una rapida espansione di razze<br />

locali. Queste razze sono caratterizzate da performance<br />

produttive e riproduttive sicuramente non<br />

eccellenti ma al tempo stesso presentano ottime<br />

caratteristiche organolettiche delle carni e sono allevate<br />

con sistemi più confacenti alle attuali esigenze<br />

<strong>dei</strong> consumatori.<br />

La Cinta Senese (Fig. 2), originaria della<br />

Montagnola Senese, ha incrementato notevolmente<br />

la sua numerosità in questi ultimi dieci anni e viene<br />

allevata prevalentemente outdoor sfruttando le risorse<br />

del bosco e l'integrazione alimentare nei periodi di<br />

ridotte disponibilità alimentari.<br />

I prezzi raggiunti dai prodotti di Cinta Senese<br />

sono stati in questi anni sicuramente competitivi (il<br />

prezzo del suino vivo è stato anche doppio rispetto a<br />

quello <strong>dei</strong> genotipi classici); in questo ultimo periodo<br />

si è peraltro rilevata una tendenza sempre più marcata<br />

al riallineamento <strong>dei</strong> prezzi <strong>dei</strong> prodotti di Cinta<br />

Senese con quelli <strong>dei</strong> suini tradizionali in virtù di<br />

un'eccessiva frammentazione dell'offerta a fronte di<br />

una domanda concentrata in larga parte nella GDO.<br />

La "nicchia di mercato" a disposizione del prodotto è<br />

tutto sommato di entità ragguardevole, considerata la<br />

1 Dipartimento di Scienze Zootecniche - Università di Firenze.<br />

TF 0553288355 FAX 055321216<br />

email: riccardo.bozzi@unifi.it<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 135<br />

diffusione locale del prodotto e la possibilità di occupare<br />

spazi di mercato destinati a prodotti con caratteristiche<br />

organolettiche peculiari (i.e. lardo stagionato)<br />

ed alla luce di tutto ciò un'eventuale conversione<br />

delle aziende che coltivano tabacco ad aziende zootecniche<br />

è senza dubbio plausibile ed economicamente<br />

conveniente.<br />

È ovvio che dovranno essere interessate da tale<br />

conversione quelle aziende che presentano terre idonee<br />

all'allevamento suino outdoor; potranno essere<br />

considerate quelle aziende che riescono a far coesistere<br />

le produzioni agronomiche (mais, grano, orzo,<br />

ecc….) con il successivo pascolo in campo <strong>dei</strong> suini<br />

ed eventualmente sarebbe auspicabile la presenza di<br />

una zona di bosco per la fase di finissaggio (castagna<br />

e ghianda) <strong>dei</strong> soggetti da ingrasso. A proposito del<br />

bosco non va sottaciuto che, nelle condizioni italiane,<br />

questo può fornire alimento solo per un ristretto<br />

periodo di tempo e il carico animale ad ettaro deve<br />

essere in ogni caso tenuto molto basso per la salute<br />

del bosco stesso; carichi superiori ad 1 capo ad ettaro<br />

sono sconsigliati.<br />

Un allevamento di questo tipo (outdoor) non<br />

deve peraltro prescindere dalla caratterizzazione del<br />

prodotto e da una sicura filiera di tracciabilità alimentare;<br />

difatti senza una forte caratterizzazione produttiva<br />

si rischia di incorrere in un'espansione incontrollata<br />

e instabile. È inoltre auspicabile un forte associazionismo<br />

tra le varie figure che caratterizzano la filiera;<br />

in tal senso la filiera che ha caratterizzato in questi<br />

anni la produzione <strong>dei</strong> salumi di Cinta Senese è<br />

risultata molto spesso frammentata e lunga, fattore<br />

che ha portato a perdere parte <strong>dei</strong> guadagni realizza-


Giorgetti.qxp 25/02/2008 10.10 Pagina 136<br />

136 Bozzi Razza suina cinta senese<br />

Fig. 2. Cinta senese<br />

bili con tale razza. Le aziende coltivatrici di tabacco<br />

che vorranno quindi inserirsi nel contesto della produzione<br />

suinicola di qualità troveranno sicuramente<br />

margini di mercato alla condizione che riescano a<br />

creare un legame stretto tra territorio e prodotto e<br />

dovranno impegnarsi in forme associazionistiche che<br />

possano da un lato garantire il consumatore sul prodotto<br />

fornito e dall'altro lato permettano di essere<br />

competitivi come offerta di mercato. Qualora tali<br />

forme di associazionismo riuscissero a imporsi e<br />

potessero essere saltate le figure intermedie anche la<br />

GDO rivestirebbe un valido sbocco di mercato, cosa<br />

attualmente poco proponibile per il grosso squilibrio<br />

tra ridotta offerta <strong>dei</strong> produttori e grossa richiesta <strong>dei</strong><br />

distributori.


Giorgetti.qxp 25/02/2008 10.10 Pagina 137<br />

Il cavallino di Monterufoli<br />

Tocci R 1<br />

Introduzione<br />

Questo lavoro ha lo scopo di far conoscere e<br />

favorire lo sviluppo di un importante tipo genetico<br />

toscano a rischio di estinzione: il cavallino di<br />

Monterufoli. L'allevamento di questa razza<br />

potrebbe rappresentare un'alternativa, o in maniera<br />

più concreta, un'integrazione zootecnica alla<br />

coltura del tabacco. Il cavallino di Monterufoli<br />

deriva dall'omonima area in provincia di Pisa e la<br />

sua storia cominciò negli anni ‘30 quando, in<br />

seguito all'acquisizione della tenuta di Monterufoli<br />

da parte del casato <strong>dei</strong> Della Gherardesca,<br />

iniziò il miglioramento <strong>dei</strong> cavallini presenti nel<br />

luogo. In questa popolazione originaria, che<br />

secondo alcuni autori deriverebbe da tipi genetici<br />

autoctoni estinti (pony di Selvena), venne introdotto<br />

materiale genetico derivante da riproduttori<br />

Maremmani, Tolfetani, Orientali (Arzilli, 2006).<br />

Fino agli anni ‘60 il Monterufolino, adoperato<br />

con la sella ma soprattutto con gli attacchi, rappresentava<br />

un mezzo di trasporto diffuso. Lo sviluppo<br />

tecnologico in agricoltura e l'abbandono<br />

delle campagne coincisero con la fine di questo<br />

cavallo, che rischiò l'estinzione. Il recupero della<br />

razza è storia recente, ed ha avuto inizio negli<br />

anni ‘80. <strong>Al</strong> momento sono presenti circa 200<br />

soggetti di cavallino di Monterufoli (Arzilli,<br />

2006). Le sue attitudini principali sono quelle<br />

dell'utilizzo per la sella o per gli attacchi in agriturismo<br />

o centri equestri di vario tipo, oltre che<br />

per l'ippoterapia.<br />

Materiali e metodi<br />

I dati biometrici (<strong>Ta</strong>b. 1) sono stati rilevati in 26<br />

equini adulti (21 femmine e 5 maschi), allevati in 4<br />

allevamenti. L'altezza al garrese e l'altezza alla<br />

groppa sono state misurate tramite ippometro, le<br />

larghezze con compasso misuratore, le lunghezze e<br />

le circonferenze con nastro metrico. È stato calcolato<br />

inoltre l' Indice <strong>Co</strong>rporeo (Catalano, 1985;<br />

Meregalli, 1980). Su tutte le misure, per femmine e<br />

1 Dipartimento di Scienze Zootecniche,<br />

Via delle Cascine 5, 50144 Firenze. Tel +390553288333<br />

E-mail: roberto.tocci@unifi.it<br />

Fig. 1. Femmina di cavallino di Monterufoli<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 137<br />

stalloni, sono state calcolate la media e la deviazione<br />

standard. È stata calcolata inoltre la frequenza<br />

percentuale di: colore e particolarità del mantello,<br />

caratteristiche delle regioni zoognostiche e della<br />

struttura corporea.<br />

Risultati e discussione<br />

I dati ottenuti attraverso le ricerche effettuate<br />

hanno permesso di individuare le biometrie e le<br />

caratteristiche morfologiche della popolazione<br />

equina, presenti al momento sul territorio. Il cavallino<br />

di Monterufoli presenta altezza al garrese, circonferenza<br />

toracica e circonferenza dello stinco<br />

(<strong>Ta</strong>b.1) paragonabili ai dati riportati in bibliografia<br />

(Arzilli, 2006; Gandini G, Rognoni G., 1997) e<br />

negli "standard di razza" (http://www.aia.it/, 2006).<br />

Le caratteristiche principali e peculiari di questo<br />

cavallo, sono date da: mantello morello, testa conica,<br />

profilo montonino, criniera e coda di colore<br />

scuro, zoccolo resistente (<strong>Ta</strong>b.2).<br />

Questo tipo genetico autoctono ha avuto origine<br />

in un ambiente in un ambiente ostico, che lo ha<br />

reso idoneo per uno sfruttamento in diverse aree<br />

toscane, specie in quelle marginali. Questa è una<br />

razza rustica e frugale che può essere utilizzata per<br />

varie mansioni, svolte in agriturismo, maneggi,<br />

centri ippici. Il cavallino di Monterufoli può essere<br />

utilizzato per la sella, in particolare per bambini e<br />

cavallerizzi inesperti, ma anche per l'ippoterapia,<br />

dove l'animale è sfruttato per la sella o per gli attacchi.


Giorgetti.qxp 25/02/2008 10.10 Pagina 138<br />

138 Tocci Il cavallino di Monterufoli<br />

<strong>Ta</strong>b.1. Biometrie di femmine e maschi adulti<br />

<strong>Ta</strong>b.2. Principali caratteri morfologici<br />

Citazioni bibliografiche<br />

Aia, 2007 http://www.aia.it.<br />

Arzilli, L.. Cavallino di Monterufoli. In: AA.VV., Risorse genetiche<br />

animali autoctone della Toscana, pp. 191. ARSIA,<br />

FIRENZE, 2006.<br />

Catalano, A.L. Valutazione morfo-funzionale del cavallo, Igiene<br />

ed Etnologia. Goliardica Editrice, pp. 143. Noceto, (PR),<br />

Italy, 1984<br />

Gandini G., Rognoni G.. Atlante etnografico delle popolazioni<br />

equine ed asinine italiane, pp.142. CittàStudiEdizioni.<br />

Milano, 1997.<br />

Meregalli, A.. <strong>Co</strong>noscenza morfofunzionale degli animali<br />

domestici, pp. 300. Liviana Ed., Padova, 1980.<br />

Tocci R.. Importanza della tutela della diversità animale.<br />

Caratterizzazione di due razze toscane a rischio estinzione:<br />

il Cavallo di Monterufoli e l'Asino dell'Amiata. Tesi di<br />

Laurea, 2006.


Giorgetti.qxp 25/02/2008 10.10 Pagina 139<br />

L’asino dell’Amiata<br />

Tocci R 1<br />

Introduzione<br />

L'asino dell'Amiata è originario dell'area dell'omonimo<br />

monte, situata tra le province di Siena e<br />

Grosseto. Questo tipo genetico discende direttamente<br />

da due sottospecie di asino africano: Equus<br />

asinus taeniopus e Equus asinus africanus.<br />

Quest'asino venne introdotto in Toscana circa 4000<br />

anni fa da mercanti Fenici o Etruschi<br />

(http://www.parcofaunistico.it). Verso la fine del<br />

1800 era presente presso l'area del monte Amiata<br />

una popolazione di asini sorcino-crociati, che venivano<br />

sfruttati in particolar modo per l'estrazione di<br />

cinabro dalle miniere. Nel secondo dopoguerra<br />

comincia la selezione dell'asino Amiatino, per iniziativa<br />

del "Ministero dell'Agricoltura e delle<br />

Foreste" e l'"Istituto di Incremento Ippico" di Pisa.<br />

Agli inizi degli anni '50 appare per la prima volta il<br />

nome di Asino dell'Amiata (Arzilli, 2006), ma alla<br />

fine dello stesso decennio comincia il declino della<br />

razza, sempre a causa dell'avanzare tecnologico in<br />

agricoltura e dell'abbandono delle campagne da<br />

parte dell'uomo. Attualmente, dopo un'attenta fase<br />

di recupero a cui hanno partecipato vari enti ed<br />

associazioni, il numero di soggetti di asino<br />

dell'Amiata è arrivato a più di mille (Arzilli, 2006).<br />

Le principali utilizzazioni per questo asino sono<br />

Fig. 1. Asino dell’Amiata<br />

1 Dipartimento di Scienze Zootecniche,<br />

Via delle Cascine 5, 50144 Firenze. Tel +390553288333<br />

E-mail: roberto.tocci@unifi.it<br />

Fig. 2. Asini dell’Amiata<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 139<br />

date dallo sfruttamento per il latte, viste le caratteristiche<br />

organolettiche che sono molto simili a<br />

quelle del latte umano, oppure per il trekking.<br />

Un'altra funzione molto importante a cui può essere<br />

destinato questo asino è quello per l'utilizzo in<br />

onoterapia..<br />

Materiali e metodi<br />

Sono stati misurati 11 soggetti di asino dell'Amiata<br />

(10 fattrici e 1 stallone) ed i rilievi sono stati effettuati<br />

presso 3 aziende. Su ogni asino sono state<br />

effettuate 26 misurazioni (Catalano, 1984).<br />

L'altezza al garrese e l'altezza alla groppa sono<br />

state misurate tramite ippometro, le larghezze con<br />

compasso misuratore, le lunghezze e le circonferenze<br />

con nastro metrico. È stato calcolato inoltre<br />

l'Indice <strong>Co</strong>rporeo (Catalano, 1985; Meregalli,<br />

1980). Su tutte le misure, per femmine e stalloni,<br />

sono state calcolate la media e la deviazione standard;<br />

sulle femmine è stata inoltre valutata la frequenza<br />

percentuale di alcuni caratteri morfologici.<br />

Risultati e discussione<br />

L'asino dell'Amiata si caratterizza per delle biometrie<br />

(<strong>Ta</strong>b. 1) molto simili a quelle riportate dagli<br />

"standard di razza" e dalla bibliografia (Arzilli,<br />

2006; Gandini G., Rognoni G., 1997). Attraverso<br />

gli Indici corporei è stato individuato un tipo genetico<br />

con una struttura corporea tendenzialmente<br />

meso-dolicomorfa. Le principali caratteristiche<br />

morfologiche di questo equide (<strong>Ta</strong>b. 2) sono date


Giorgetti.qxp 25/02/2008 10.10 Pagina 140<br />

140 Tocci L’asino dell’Amiata<br />

<strong>Ta</strong>b.1. biometrie di femmine e maschi adulti<br />

<strong>Ta</strong>b.2. principali caratteri morfologici<br />

dal mantello sorcino, dalla croce scapolare, dallo<br />

zoccolo resistente e di colore scuro.<br />

Questo tipo genetico autoctono si è sviluppato<br />

in particolari ambienti, che hanno reso la razza idonea<br />

ad un utilizzo nelle diverse aree della Regione,<br />

anche in zone più marginali. È una razza rustica e<br />

frugale che può andare a valorizzare vari ambiti<br />

delle attività dell'uomo, che vanno dall'agriturismo,<br />

ai centri ippici, alle aziende agricole. L'asino<br />

dell'Amiata può essere sfruttato sia per il latte, le<br />

cui caratteristiche organolettiche sono molto simili<br />

a quelle del latte umano, ma anche per il trekking,<br />

dove gli animali sono utilizzati per la sella oppure<br />

per la soma. Per tale funzione possono essere sfruttati<br />

anche i muli, la cui produzione è legata in<br />

maniera subordinata a quella degli asini. Un'altra<br />

pratica molto importante è quella dell'onoterapia,<br />

che è mirata in particolar modo al superamento di<br />

limiti sensoriali, motori, affettivi e comportamentali<br />

in soggetti diversamente abili. (http://www.asinomania.com/corsi/-onoterapia.htm)<br />

Citazioni bibliografiche<br />

Aia, 2007 http://www.aia.it/.<br />

Arzilli, L. Cavallino di Monterufoli. In: AA.VV., Risorse genetiche<br />

animali autoctone della Toscana, pp. 191, ARSIA,<br />

FIRENZE, 2006.<br />

Catalano, A.L. Valutazione morfo-funzionale del cavallo Igiene<br />

ed Etnologia pp. 143. Goliardica Editrice, Noceto, (PR),<br />

Italy, 1984.<br />

Gandini G., Rognoni G. Atlante etnografico delle popolazioni<br />

equine ed asinine italiane pp.142. CittàStudiEdizioni.<br />

Milano, Italy, 1997.<br />

http://www.asinomania.com/corsi/onoterapia.htm<br />

http://www.parcofaunistico.it<br />

Meregalli, A. <strong>Co</strong>noscenza morfofunzionale degli animali domestici.<br />

Liviana Ed., Padova, pp. 300. Italy, 1980.<br />

Tocci R. Importanza della tutela della diversità animale.<br />

Caratterizzazione di due razze toscane a rischio estinzione:<br />

il Cavallo di Monterufoli e l'Asino dell'Amiata. Tesi di<br />

Laurea, 2006.


Giorgetti.qxp 25/02/2008 10.10 Pagina 141<br />

Il suino di razza “macchiaiola maremmana”<br />

Ciani F 1 , Giorgetti A 2 , Gallai S 2<br />

Premessa<br />

La popolazione suina denominata tradizionalmente<br />

Macchiaiola maremmana è considerata una delle<br />

più primitive e rustiche d'Italia (Bonadonna 60).<br />

L'area originaria di allevamento comprendeva<br />

parte della Toscana meridionale, nelle province di<br />

Siena e Grosseto e in particolare il monte Amiata,<br />

ma la razza, nei primi due decenni del secolo scorso,<br />

si diffuse anche in altre zone della Toscana, nel<br />

Lazio (dove era denominata Romana), ed in<br />

Umbria (dove era chiamata Perugina o da<br />

Macchia) (Mascheroni 1927). Data per scomparsa<br />

alcuni anni fa, nel 2005 furono individuati in alcuni<br />

allevamenti delle province di Grosseto e Siena,<br />

suini fenotipicamente somiglianti al vecchio<br />

Macchiaiolo. L'Associazione Genomamiata ha<br />

auspicato allora un recupero della razza, affidandone<br />

il compito al <strong>Co</strong>nSDABI e al CIRSeMAF, che<br />

ha inserito questo programma nel <strong>Progetto</strong><br />

<strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. 2 E' stato quindi avviato un percorso di<br />

ricerca di materiale storico su questo tipo genetico<br />

(iconografico e scritto), di verifica della reale<br />

sopravvivenza della razza e delle eventuali possibilità<br />

di un suo recupero e successiva valorizzazione.<br />

Origini<br />

La razza Macchiaiola deriva da popolazioni autoctone<br />

presenti nell'Italia centrale e meridionale da<br />

tempi immemorabili. Nel suo ampio areale di<br />

distribuzione, tra la fine del XIX e gli inizi del XX<br />

secolo, queste popolazioni autoctone furono sottoposte<br />

a incroci con razze britanniche quali Large<br />

White (primitiva), Large Black, Berkshire e<br />

<strong>Ta</strong>mworth (Mascheroni 1927), con influenze difficilmente<br />

quantificabili ma sicuramente in grado di<br />

ingentilire le popolazioni originali, conferendo loro<br />

maggiore attitudine alla produzione della carne.<br />

1 <strong>Co</strong>nSDABI (<strong>Co</strong>nsorzio per la Sperimentazione, Divulgazione<br />

e Applicazione di Biotecniche Innovative) - National Focal<br />

Point FAO - Benevento<br />

2 CIRSeMAF - Dipartimento di Scienze Zootecniche.<br />

Università degli Studi di Firenze.<br />

Via delle Cascine, 5 - 50144 FIRENZE Tel +390553288356,<br />

E-mail <strong>Al</strong>essandro.giorgetti@unifi.it<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 141<br />

<strong>Ta</strong>li razze comunque, nel corso della loro formazione,<br />

erano state a loro volta fortemente influenzate<br />

da germoplasma autoctono italiano, a causa di<br />

massicce importazioni di riproduttori suini italiani<br />

in Inghilterra nel XV<strong>II</strong>I secolo; pertanto gli incroci<br />

con razze inglesi non hanno fatto che riportare nel<br />

nostro Paese parte del genoma indigeno che tre<br />

secoli prima era stato esportato (Ballarini 2002).<br />

Sempre a cavallo tra il XIX e il XX secolo la<br />

Macchiaiola fu infine sottoposta a incroci con la<br />

Cinta senese considerata, fino agli anni trenta, più<br />

gentile e produttiva nell'allevamento semi-brado o<br />

stallino (Mascheroni 1927).<br />

Caratteristiche fenotipiche<br />

I maiali Macchiaioli, così come descritto nei testi<br />

di zootecnia della prima metà del secolo scorso,<br />

avevano una statura ridotta, corpo quasi cilindrico,<br />

arti di medio sviluppo e ben conformati, reni corte,<br />

testa piccola con muso lungo e sottile con orecchie<br />

corte portate orizzontalmente o talora erette. Il<br />

mantello era completamente nero, tranne che in<br />

alcuni soggetti che maggiormente avevano subito<br />

l'influenza dell'antico Large White, costituito da<br />

grosse e folte setole che sulla linea dorsale e sulla<br />

nuca formavano un'irta criniera; l'allevamento<br />

esclusivamente brado condizionava fortemente lo<br />

sviluppo, molto tardivo, tanto che le femmine<br />

completavano la crescita a circa 18 mesi, età ritenuta<br />

ottimale per il primo accoppiamento nei primi<br />

decenni del secolo scorso (Mascheroni 1927). Le<br />

scrofe, allevate con sistema brado o semibrado,<br />

partorivano mediamente 8 suinetti per figliata<br />

(Bonadonna 1960). Se allevati razionalmente, in<br />

aree caratterizzate da buona offerta alimentare e in<br />

presenza di integrazioni, i suini maremmani a 12<br />

mesi pesavano circa 120 Kg e a 16 mesi 150 Kg<br />

(Mascheroni 1927), valori che si possono considerare<br />

alla stregua di un embrione di standard di<br />

razza. Oggi appare però necessario procedere a<br />

nuove rilevazioni del peso e degli altri parametri<br />

biometrici alle diverse età, in modo da descrivere<br />

adeguatamente morfologia e sviluppo somatico<br />

della razza. In primo luogo infatti i dati reperibili<br />

in bibliografia sono limitati al peso vivo e non


Giorgetti.qxp 25/02/2008 10.10 Pagina 142<br />

142 Ciani et al Il suino di razza “macchiaiola maremmana”<br />

risulta che siano mai stati definiti veri standard<br />

secondo le esigenze del miglioramento genetico.<br />

In secondo luogo la popolazione residua, numericamente<br />

molto ridotta, rappresenta una piccola<br />

frazione della razza originaria e ha probabilmente<br />

parametri di riferimento diversi. Infine i nuovi<br />

sistemi di allevamento adottati sulla popolazione<br />

ridotta attuale, che prevedono un'alimentazione<br />

più corretta rispetto al passato, influenzano sicuramente<br />

la morfologia e le performance produttive<br />

di questi animali.<br />

<strong>Al</strong>levamento<br />

Per la loro grande rusticità e resistenza i Macchiaioli<br />

venivano considerati in grado di vivere allo stato<br />

brado nel sottobosco, cibandosi di quanto riuscivano<br />

a trovare, anche nella stagione arida (Bonadonna<br />

1960). Questo suino infatti è sempre stato allevato<br />

prevalentemente al pascolo in prossimità di boschi o<br />

addirittura al loro interno e nella macchia mediterranea<br />

(da cui il nome conferito alla razza) della<br />

Toscana meridionale. Per questa ragione erano frequenti<br />

gli scambi genetici con il cinghiale; ciò contribuì<br />

a formare, nel tempo, un ecotipo caratterizzato<br />

da limitato accumulo di grasso e in grado di produrre<br />

carni considerate eccellenti per sapidità e consistenza<br />

(Mascheroni 1927). Nella prima metà del<br />

secolo scorso la Macchiaiola veniva però anche allevata<br />

in aree più fertili della Toscana centrale, dove le<br />

risorse foraggere erano più abbondanti e spesso di<br />

migliore qualità. I Macchiaioli recentemente identificati<br />

vengono allevati con sistema semibrado, in aree<br />

recintate per impedire contatti con i cinghiali, fornite<br />

di adeguati ricoveri e mangiatoie.<br />

Recupero e valorizzazione<br />

La razza si può oggi considerare quasi estinta, essendo<br />

stati recuperati, nell'area di origine, appena una<br />

ventina di riproduttori riferibili alle caratteristiche<br />

morfologiche della Macchiaiola. <strong>Ta</strong>le numerosità,<br />

estremamente ridotta, non deve comunque essere<br />

considerata tale da impedire qualsiasi azione di recupero;<br />

in effetti, appena pochi anni fa la Cinta senese<br />

contava un simile numero di soggetti. Tra i riproduttori<br />

presenti attualmente almeno una decina, tra<br />

maschi e femmine, non sono tra loro parenti e una<br />

scelta oculata negli accoppiamenti potrebbe ampliare<br />

considerevolmente il numero <strong>dei</strong> capi senza troppi<br />

rischi di consanguineità. E' comunque importante<br />

avviare subito il percorso di recupero, a partire dalla<br />

verifica <strong>dei</strong> caratteri biometrici, perché anche un<br />

ritardo di pochi mesi potrebbe significare la scomparsa<br />

definitiva della razza.<br />

Riferimenti bibliografici<br />

Ballerini G., 2002 "Storia sociale del maiale, il futuro del passato<br />

della razza suina parmigiana". Ed CCIAA, Parma, 2002.<br />

Bonadonna T. "Il maiale" Ed Reda, Roma, 1960.<br />

Borgioli E. "Zootecnica speciale" Barbera Editore, 1940.<br />

Mascheroni E. "Zootecnia speciale <strong>II</strong>I° suini" Nuova enciclopedia<br />

agraria italiana Ed. UTET Torino, 1927


Giorgetti.qxp 25/02/2008 10.10 Pagina 143<br />

la pecora dell’Amiata e delle Crete senesi<br />

Gallai S 1 , Ciani F 2 , Lorenzini G 1 , Giorgetti A 1<br />

Premessa<br />

Nell'ambito delle possibili attività zootecniche<br />

alternative o integrative alla coltivazione del tabacco<br />

nella Toscana centrale, attraverso l'allevamento<br />

di razze-popolazioni in via o a rischio di estinzione,<br />

non può essere dimenticata la Pecora<br />

dell'Amiata e delle Crete Senesi. Si tratta di un tipo<br />

genetico appartenente alla grande famiglia<br />

dell'Appenninica, caratterizzata da una maggiore<br />

attitudine alla produzione del latte rispetto<br />

all'Appenninica propriamente detta, di qualità<br />

eccellente per la caseificazione e con il quale<br />

prima dell'arrivo della razza Sarda nella Toscana<br />

centrale si produceva il famoso formaggio pecorino<br />

delle crete senesi.<br />

Da quanto è emerso da una prima indagine<br />

sembra che la Pecora dell'Amiata e delle Crete<br />

Senesi abbia una consistenza di poco superiore ai<br />

400 capi ed è quindi, a tutti gli effetti, una razza in<br />

via di estinzione. Purtroppo non è stata ancora inserita<br />

nel repertorio regionale delle risorse genetiche<br />

autoctone della Toscana per insufficienza della<br />

documentazione sulle caratteristiche della razza e<br />

sulla sua effettiva consistenza e quindi attualmente<br />

Fig. 1. Pecore dell’Amiata<br />

1 CIRSeMAF - Dipartimento di Scienze Zootecniche.<br />

Università degli Studi di Firenze.<br />

Via delle Cascine, 5 - 50144 FIRENZE<br />

2 <strong>Co</strong>nSDABI (<strong>Co</strong>nsorzio per la Sperimentazione, Divulgazione<br />

e Applicazione di Biotecniche Innovative) - National Focal<br />

Point FAO - Benevento<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 143<br />

non gode delle sovvenzioni regionali previste per<br />

l'allevamento delle razze autoctone a rischio di<br />

estinzione. E' così stata avviata, grazie a questo<br />

progetto, una serie di indagini e di ricerche finalizzate<br />

al censimento e alla caratterizzazione morfologica,<br />

genetica e produttiva della razza per un suo<br />

auspicabile recupero.<br />

Nel presente lavoro viene descritto questo tipo<br />

genetico, a partire da una serie di dati reperibili in<br />

letteratura e <strong>dei</strong> <strong>risultati</strong> di visite presso alcuni<br />

allevamenti nei quali era stata segnalata al gruppo<br />

di ricerca la presenza della razza.<br />

<strong>Al</strong>levamento<br />

La Pecora dell'Amiata è un animale caratterizzato<br />

da elevata rusticità e adattamento a diversi ambienti.<br />

Un tempo l'allevamento era praticato a livello<br />

poderale ed era fortemente condizionato dalle spesso<br />

limitate disponibilità foraggere, fattore che ha<br />

sempre influenzato negativamente la produttività<br />

di questa razza e, indirettamente, l'avvio di un serio<br />

processo di miglioramento genetico (Ciani F.,<br />

2002). Nei poderi di alta collina e di montagna la<br />

consistenza del gregge variava tra i 20 e i 50 capi,<br />

in relazione all'ampiezza degli incolti e del bosco<br />

utilizzabile (AA.VV., 1982). In inverno, nei casi di<br />

neve o pioggia, gli animali rimanevano chiusi nell'ovile<br />

dove erano alimentati con fieni di scarto e<br />

strami di bosco, tranne le pecore in lattazione alle<br />

quali erano riservate generalmente modeste quantità<br />

di crusca e di fave macinate; negli altri giorni<br />

pascolavano nel bosco o sulle sodaglie. Nella<br />

buona stagione erano ampiamente utilizzate le<br />

stoppie, i prati a maggese, l'erba <strong>dei</strong> cigli e i sottoprodotti<br />

agricoli disponibili (AA.VV., 1982).<br />

Caratteristiche somatiche<br />

La Pecora dell'Amiata è di media taglia, con scheletro<br />

leggero. La testa, relativamente piccola, ha<br />

profilo rettilineo o lievemente convesso. I maschi<br />

sono in genere cornuti e le femmine acorni. Le<br />

orecchie sono piccole e portate orizzontalmente. Il<br />

collo è sottile. Il vello è semichiuso, a bioccoli<br />

conici, di colore bianco sporco, raramente con<br />

macchie nere o marroni; il ventre e gli arti sono<br />

scoperti (Federconsorzi, 1961).


Giorgetti.qxp 25/02/2008 10.10 Pagina 144<br />

144 Gallai et al La pecora dell’Amiata ....<br />

Produzioni<br />

La Pecora dell'Amiata era, ed è, una tipica pecora a<br />

triplice attitudine: latte, carne e lana. Nonostante le<br />

precarie condizioni alimentari le produzioni lattifere<br />

erano, ancora alla metà del secolo scorso, più<br />

che soddisfacenti, mediamente 70-80 kg in 120 d<br />

di lattazione con rese del 20% in formaggio e intorno<br />

all'8% in ricotta.<br />

Il tasso di gemellarità sembra abbastanza elevato,<br />

intorno al 15%; stime più precise potranno<br />

essere ottenute al termine dello studio sistematico<br />

e prolungato della razza-popolazione. Il peso<br />

degli agnelli, di circa 3 kg alla nascita, raggiunge<br />

i 10 kg a un mese. Le rese si aggirano intorno al<br />

64% e la carne è sempre stata considerata, da allevatori<br />

e consumatori locali, di eccellente qualità<br />

sensoriale. Negli anni cinquanta la produzione di<br />

lana sucida, di qualità media, era di circa 2,4 kg<br />

per gli arieti e di 0,9-1,2 kg per le pecore<br />

(Federconsorzi, 1961).<br />

Particolarmente pregiati erano considerati i<br />

prodotti della trasformazione del latte e in particolare<br />

il pecorino delle crete senesi, con presame di<br />

agnello o di capretto e il cacio fiore, con presame<br />

vegetale, generalmente costituito dal liquido di<br />

macerazione <strong>dei</strong> fiori di cardo selvatico, previa<br />

breve cottura, chiamato localmente "presura".<br />

Citazioni bibliografiche<br />

AA.VV "Cultura contadina in Toscana". Vol I. Ed. Bonechi,<br />

Firenze, 1982<br />

Ciani F. "Recupero, salvaguardia e valorizzazione della popolazione<br />

ovina autoctona delle crete senesi e dell'Amiata".<br />

<strong>Co</strong>nvegno "La biodiversità agroalimentare delle crete senesi"<br />

San Giovanni d'Asso, Siena. 9/11/2002<br />

Federconsorzi "<strong>Al</strong>levamenti italiani. Ovini" Ed. REDA, Roma,<br />

1961


Giorgetti.qxp 25/02/2008 10.10 Pagina 145<br />

Introduzione<br />

Uno <strong>dei</strong> più importanti valori della fauna selvatica è<br />

il suo utilizzo a scopo ricreativo, sia mediante osservazione<br />

degli animali selvatici nei loro habitat naturali,<br />

sia mediante prelievo, vale a dire attraverso l'attività<br />

venatoria, che può essere esercitato in varie<br />

forme su alcune specie e popolazioni. Questo valore<br />

può essere quantificato e monetizzato aggiungendosi<br />

ad altri valori del territorio derivanti dalle diverse<br />

forme di destinazione e, in particolare, dall'uso per le<br />

produzioni agricole. Nonostante il vistoso calo del<br />

numero di cacciatori, in atto da circa un ventennio in<br />

numerose regioni e province italiane, rimane elevato<br />

l'interesse venatorio per la fauna selvatica che si<br />

traduce spesso in un indotto economico di notevole<br />

interesse, soprattutto quando l'attività è gestita a<br />

livello privato. In molte realtà ambientali italiane,<br />

svantaggiate da un punto di vista agricolo per la particolare<br />

collocazione e per le peculiari caratteristiche<br />

<strong>dei</strong> terreni, la produzione di fauna selvatica di interesse<br />

venatorio può diventare un'alternativa o, almeno,<br />

un'integrazione al reddito derivante dalla produzione<br />

agricola. L'attuale politica agricola comunitaria,<br />

con una generale tendenza a ridurre le sovvenzioni<br />

alle aziende, ha reso ancor più necessaria l'individuazione<br />

di forme alternative di reddito ad integrazione<br />

o sostituzione di quello agricolo.<br />

Gli istituti di gestione della fauna selvatica<br />

La legge nazionale sulla tutela e gestione della<br />

fauna selvatica attualmente in vigore è la legge<br />

quadro n° 157 del 1992. Questa legge disciplina<br />

l'attività venatoria in Italia secondo un sistema<br />

misto pubblico e privato. Accanto a istituti di carattere<br />

associazionistico (Ambiti Territoriali di Caccia<br />

e <strong>Co</strong>mprensori <strong>Al</strong>pini), sono previste zone protette<br />

gestite direttamente dalle province (Zone di<br />

Ripopolamento e Cattura, Oasi di Protezione, Oasi<br />

di Protezione per l'Avifauna, Centri Pubblici di<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 145<br />

La produzione di fauna selvatica come alternativa e integrazione<br />

alle produzioni agricole<br />

Meriggi A 1<br />

1 CIRSeMAF - Dipartimento di Scienze Zootecniche.<br />

Università degli Studi di Firenze. Via delle Cascine, 5 - 50144<br />

FIRENZE; Tel. 055 3288356; Fax 055 321216;<br />

E-mail: alessandro.giorgetti@unifi.it<br />

Produzione della Fauna Selvatica) e zone a gestione<br />

privata: Aziende Faunistico-Venatorie (AFV),<br />

Aziende Agro-Turistico-Venatorie (AATV), Centri<br />

Privati di Produzione della Fauna Selvatica<br />

(CPPFS) e Zone Addestramento Cani (ZAC) permanenti<br />

e temporanee. Per la produzione di fauna<br />

selvatica come alternativa e integrazione alle produzioni<br />

agricole, è necessario focalizzarsi sugli<br />

istituti privati di gestione, poiché questi possono<br />

essere istituiti su fondi agricoli di proprietà di singoli<br />

o consociando più proprietari di terreni, per<br />

raggiungere un'estensione sufficiente.<br />

Le regioni maggiormente interessate dalla presenza<br />

di AFV sono, nell'ordine, la Sardegna, la Toscana,<br />

l'Emilia Romagna, il Piemonte, la Lombardia e il<br />

Veneto; mentre le AATV sono concentrate soprattutto<br />

in Toscana, Veneto e Emilia Romagna . I CPPFS sono<br />

presenti solo in alcune province italiane e, in ogni<br />

modo, in numero molto limitato.<br />

Produttività del territorio per le specie<br />

d'interesse venatorio<br />

Le specie di selvaggina di maggior interesse per una<br />

produzione alternativa a quella agricola appartengono<br />

agli ordini <strong>dei</strong> Galliformi e <strong>dei</strong> Lagomorfi e al<br />

superordine degli Ungulati. In particolare, tra i<br />

Galliformi, le specie più importanti sono il Fagiano<br />

(Phasianus colchicus), la Starna (Perdix perdix) e la<br />

Pernice rossa (<strong>Al</strong>ectoris rufa), tra i Lagomorfi<br />

sostanzialmente la Lepre comune (Lepus europaeus)<br />

e, tra gli Ungulati, il Capriolo (Capreolus capreolus),<br />

il Daino (Dama dama) e il Cinghiale (Sus scrofa).<br />

Queste specie, in generale, trovano buone condizioni<br />

d'idoneità ambientale sul territorio italiano,<br />

con variazioni di densità e produttività delle popolazioni<br />

correlate alle caratteristiche ambientali.<br />

Rendimento economico<br />

<strong>Co</strong>nsiderando il valore di mercato delle specie di<br />

fauna selvatica sopra elencate, come capi prodotti<br />

in condizioni naturali e non allevati in cattività, è<br />

possibile calcolare il rendimento economico del<br />

territorio esprimendolo in euro per km 2 (<strong>Ta</strong>b. 1). I<br />

valori esposti in tabella sono stati calcolati considerando<br />

il costo del singolo capo di selvaggina abbat-


Giorgetti.qxp 25/02/2008 10.10 Pagina 146<br />

146 Meriggi La produzione di fauna selvatica<br />

<strong>Ta</strong>b. 1. Produzione per km 2 e ricavo in euro per alcune<br />

specie di selvaggina<br />

tuto in istituti faunistico-venatori privati. Per quanto<br />

riguarda il Fagiano, è stato considerato il costo di<br />

fagiani selvatici, nel caso di animali di allevamento,<br />

liberati per l'attività venatoria, il valore scenderebbe<br />

in modo consistente. Nel caso della Starna e della<br />

Pernice rossa, se si tratta di individui prelevati in<br />

popolazioni naturali, il valore non è quantificabile<br />

poiché esse sono specie molto sensibili sulle quali il<br />

prelievo deve essere programmato con molta cautela<br />

e la cui caccia può interessare solo un ristretto<br />

numero di appassionati. Per quanto riguarda gli<br />

ungulati, i valori riportati sono da considerarsi<br />

medie tra capi da trofeo, femmine e giovani.<br />

Le specie di maggior interesse economico per<br />

una produzione abbinata o in alternativa a quella<br />

agricola sono senza dubbio la Lepre, il Cinghiale e<br />

il Capriolo. Il cinghiale può interessare soprattutto<br />

territori ad agricoltura marginale e svantaggiata,<br />

mentre il Capriolo e la Lepre anche zone molto<br />

produttive dal punto di vista agricolo e la Lepre<br />

anche aree ad agricoltura intensiva.<br />

Fig. 1. Numero, estensione (x 1000 ha) ed estensione<br />

media delle AFV e delle AATV in Italia (1989-1997)<br />

<strong>Co</strong>nclusioni<br />

La produzione di fauna selvatica ad integrazione<br />

o sostituzione del reddito agricolo può assumere<br />

un notevole interesse sia in zone dove l'attività<br />

agricola vede diminuire progressivamente<br />

la sua sostenibilità economica, sia in zone di<br />

produzioni agricole intensive e remunerative.<br />

Dal punto di vista dell'utilizzo della fauna selvatica,<br />

per i proprietari e i conduttori di fondi agricoli<br />

è possibile abbinare l'attività venatoria al<br />

prelievo di animali vivi per ripopolamenti e<br />

reintroduzioni, oppure ad altre forme di utilizzo.<br />

Tra queste una delle più interessanti attualmente<br />

è l'addestramento <strong>dei</strong> cani da ferma su specie<br />

come la Starna, la Pernice rossa e il Fagiano o<br />

<strong>dei</strong> cani da seguita sulla Lepre. Queste diverse<br />

forme, con una buona gestione degli istituti privati<br />

previsti dalla legge, possono coesistere e<br />

aumentare ulteriormente il rendimento economico<br />

dato da una consistente presenza di fauna<br />

selvatica sul territorio.


Giorgetti.qxp 25/02/2008 10.10 Pagina 147<br />

Introduzione<br />

Lo scopo di questo contributo è quello di analizzare<br />

gli effetti e le correzioni indotte dalla recente<br />

riforma della Politica agricola comunitaria sulle<br />

aziende tabacchicole, presenti nel territorio<br />

dell'Italia Centrale: Toscana ed Umbria in particolare.<br />

L'obiettivo di un contributo successivo sarà<br />

quello di verificare le alternative alla coltura del<br />

tabacco, in ambito zootecnico e faunistico, realizzabili<br />

soprattutto quando gli aiuti della PAC<br />

andranno ad esaurirsi e molti imprenditori incontreranno<br />

difficoltà a fronteggiare un mercato di<br />

libera concorrenza che offrirà margini di profitto<br />

molto ridotti.<br />

Materiali e metodi<br />

Si è considerato, ancor prima di esprimere una<br />

valutazione sulle alternative colturali realizzabili<br />

lo stato dell'attuale riforma della Pac inerente il settore<br />

tabacchicolo. Per tale settore la scelta del<br />

nostro Paese è stata quella di un disaccoppiamento<br />

parziale degli aiuti. Sostanzialmente ciò che avviene<br />

è che i produttori tabacchicoli, così come i produttori<br />

degli altri settori, dal 2006 (fa eccezione la<br />

regione Puglia) vedranno confluire il 40% dell'aiuto<br />

finanziario erogato dalla CE nel pagamento<br />

unico aziendale e tale quota non sarà più legata<br />

all'effettiva produzione di tabacco. Fino al 2009 i<br />

produttori continueranno a percepire il 60% degli<br />

aiuti accoppiati alla produzione di tabacco. Nel<br />

medio periodo la <strong>Co</strong>mmissione Europea prevede,<br />

oltre al disaccoppiamento totale del sostegno l'abolizione<br />

del fondo tabacco che l'attuale OCM destina<br />

alla ristrutturazione del settore. Saranno beneficiari<br />

del nuovo regime di pagamento soltanto quei<br />

produttori che nel periodo 2000-2002 hanno ottenuto<br />

il pagamento di un premio per il tabacco o<br />

coloro che sono subentrati all'avente diritto durante<br />

o dopo il periodo di riferimento. Per la parte<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 147<br />

<strong>Al</strong>cune considerazioni di carattere economico riguardo la<br />

riconversione della tabacchicoltura<br />

Fratini R 1 , Marone E 1<br />

1 Dipartimento di Economia Agraria e delle Risorse Territoriali<br />

dell'Università degli Studi di Firenze, piazzale delle Cascine, 18,<br />

50144 Firenze; rfratini@unifi.it; emarone@unifi.it.;<br />

tel. 0553288360, 0553288365<br />

disaccoppiata dell'aiuto, il premio viene calcolato<br />

in base allo schema di pagamento unico (esempio<br />

<strong>Ta</strong>b. 1). Secondo tale impostazione ad ogni agricoltore<br />

viene assegnato un numero di ettari<br />

ammissibili a cui associare i diritti. Per la parte<br />

accoppiata, il premio verrà concesso, come nel precedente<br />

regime, in base alla quantità e qualità prodotta,<br />

fermo restando il limite di garanzia fissato<br />

per Paese membro. Il totale disaccoppiamento dell'aiuto<br />

partirà dal periodo 2010-2012 (anno conclusivo<br />

delle nuove prospettive finanziarie).<br />

I dati forniti dall'INEA sulla tabacchicoltura<br />

toscana e umbra e le visite ad alcune rappresentative<br />

realtà aziendali hanno evidenziato una grossa<br />

disomogeneità delle realtà agricole presenti sul territorio<br />

oggetto di indagine. Questo è per noi un<br />

dato importante in quanto determina la necessità di<br />

costruire non soltanto tante schede della tecnica per<br />

ogni alternativa di allevamento proposta dai colleghi<br />

ma più schede della tecnica per ogni tipologia<br />

di allevamento in relazione alle caratteristiche<br />

strutturali delle aziende tabacchicole presenti.<br />

L'elaborazione <strong>dei</strong> dati INEA è finalizzata alla<br />

individuazione di classi di aziende omogenee<br />

rispetto alle quali sarà possibile individuare le tipologie<br />

di allevamenti che saranno in grado di fornire<br />

il migliore apporto reddituale all'azienda. Per<br />

ognuna delle alternative alla tabacchicoltura prospettate<br />

si è provveduto a costruire, in collaborazione<br />

con i colleghi zootecnici, una scheda della<br />

tecnica che ci permette di rilevare i fabbisogni di<br />

risorse umane, meccaniche e materie prime necessarie<br />

alla conduzione ordinaria dello specifico allevamento<br />

considerato, secondo la struttura di seguito<br />

riportata:<br />

Risultati e discussione<br />

Un'analisi più approfondita <strong>dei</strong> dati censuari, ci<br />

ha consentito di verificare la struttura del territorio,<br />

e delle realtà produttive presenti, e le sue potenzialità.<br />

La superficie destinata alla tabacchicoltura in<br />

Toscana è pari a 2.431,39 ettari (Istat, 2000). La<br />

sola provincia di Arezzo, con i suoi 1.703,83 ettari<br />

rappresenta il 70% della superficie totale. Il grafico<br />

1 mostra i dati relativi alla distribuzione per


Giorgetti.qxp 25/02/2008 10.10 Pagina 148<br />

148 Fratini <strong>Co</strong>nsiderazioni economiche ....<br />

Grafico 1 – Distribuzione per classi di superficie nelle province<br />

di Arezzo, Siena e Perugia<br />

classi di superficie a tabacco delle tre province che<br />

presentano la maggiore incidenza di aziende tabacchicole<br />

all'interno del comprensorio umbro-toscano<br />

(Perugia, Arezzo e Siena).<br />

<strong>Co</strong>nclusioni<br />

Dalle prime analisi realizzate è risultato che la<br />

maggiore diffusione delle aziende agricole produttrici<br />

di tabacco, così come anche la più alta percentuale<br />

di SAU investita a tabacco, si riscontra nelle<br />

province di Arezzo e di Siena, ove si riscontra<br />

anche una discreta presenza di allevamenti bovini e<br />

suini. Esiste già, quindi, una realtà produttiva zootecnica<br />

che va attentamente studiata per capire<br />

quali sono gli spazi per l'inserimento di nuove realtà<br />

produttive. Una possibile penetrazione del mercato<br />

potrebbe essere attuata utilizzando produzioni<br />

di qualità, attraverso lo sfruttamento dell'esistente<br />

marchio IGP, possibilità che ha trovato molto interesse<br />

da parte degli agricoltori. L'altra possibilità è<br />

quella di verificare la praticabilità di attività faunistico-venatorie,<br />

dell'allevamento della capra da<br />

latte e dall'allevamento di equini di razze autoctone,<br />

anche se per queste ci sono maggiori difficoltà<br />

da parte delle aziende per l'assenza di una specifica<br />

preparazione tecnica degli operatori.<br />

Bibliografia <strong>Co</strong>nsultata<br />

COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE Regime del<br />

<strong>Ta</strong>bacco. Valutazione d'impatto estesa, SEC, Bruxelles.<br />

2003,<br />

ISTAT. 5° Censimento generale dell'agricoltura, 2000.<br />

Sardone R. (a cura di). Il comparto del tabacco in alcune aree di<br />

studio. Inea, <strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>alta, Roma, 2005.


GiorgettiSecondo.qxp 25/02/2008 10.11 Pagina 149<br />

Introduzione<br />

Le prime reazioni, in Toscana, alla riforma<br />

dell'OCM tabacco, in attuazione del Regolamento<br />

(CE) n. 864/2004, evidenziano un grande disorientamento<br />

<strong>dei</strong> produttori. Nelle aziende di piccola e<br />

media dimensione appare già in atto l'abbandono<br />

della coltura. <strong>Co</strong>ntinuare a produrre sembra conveniente<br />

solo per le aziende con superfici ben accorpate,<br />

di facile meccanizzazione e destinate per la maggior<br />

parte alla produzione di Kentucky (Fire Cured),<br />

tabacco scuro di particolare pregio impiegato nella<br />

manifattura <strong>dei</strong> sigari toscani e capace di spuntare i<br />

migliori prezzi di mercato (INEA, 2007). Anche in<br />

queste realtà più grandi la consapevolezza di un<br />

errato investimento è comunque molto forte. <strong>Co</strong>n il<br />

presente contributo si è intesa valutare la produzione<br />

di carne di qualità con bovini di razza Chianina<br />

quale alternativa o integrazione alla coltura del<br />

tabacco. Ciò in considerazione del fatto che le aree<br />

toscane a maggiore vocazione tabacchicola coincidono<br />

con quelle di allevamento di bovini di razza<br />

Chianina e che abbastanza frequentemente nelle<br />

aziende in cui si coltiva tabacco si pratica anche l'allevamento<br />

di questa razza. Secondo il Piano<br />

Zootecnico Regionale (Supplemento B.U.R.T. n.26<br />

del 30.06.2004) inoltre, la razza Chianina, la più<br />

allevata nella regione, dal 2000 incrementa costantemente<br />

la sua numerosità "…contraddicendo in parte<br />

l'andamento generale delle consistenze <strong>dei</strong> bovini da<br />

carne che invece hanno mostrato una flessione diffusa.<br />

Il dato può essere spiegato da una sostanziale<br />

"tenuta" degli allevamenti di qualità meglio organizzati<br />

rispetto agli altri…... per Chianina, Marchigiana<br />

e Romagnola è attivo inoltre il riconoscimento<br />

comunitario IGP Vitellone Bianco dell'Appennino<br />

Centrale".<br />

Materiale e Metodi<br />

Sono state analizzate le criticità ed i punti di forza<br />

delle tipologie produttive della razza Chianina al<br />

fine di valutare se l'allevamento bovino per la produzione<br />

di carni di qualità possa costituire un'alternati-<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 149<br />

La produzione di carne di qualità con la razza bovina Chianina<br />

Sargentini C 1 , Fabeni P 1<br />

1 Dipartimento di Scienze Zootecniche, Via delle Cascine, n. 5,<br />

50144 Firenze. Tel. 055 3288333, fax 055 321216,<br />

e-mail clara.sargentini@unifi.it<br />

va o, comunque, una valida integrazione alla coltura<br />

del tabacco, come può essere ipotizzato da un'indagine<br />

effettuata nell'ambito del <strong>Progetto</strong> COALTA 2<br />

presso le aziende tabacchicole delle province di<br />

Arezzo e Siena.<br />

Risultati e discussione<br />

La razza Chianina è allevata prevalentemente in<br />

aziende di piccole e medie dimensioni, con una consistenza<br />

di stalla inferiore a 15 vacche nel 60 % degli<br />

allevamenti ed inferiore a 40 nel 90 %, (Ismea-<br />

CRPA, 2006; Sargentini e Acciaioli, 2006). L'87,7<br />

% degli allevamenti è situato in zone collinari e di<br />

montagna; il rimanente 12,3% si trova in aziende di<br />

pianura, situate prevalentemente in Val di Chiana. Si<br />

pratica prevalentemente il ciclo chiuso con allevamento<br />

<strong>dei</strong> riproduttori ed ingrasso <strong>dei</strong> vitelli da<br />

macello, mentre poco diffuso è il ciclo aperto, con la<br />

sola fase di ingrasso <strong>dei</strong> vitelli da ristallo in centri<br />

che provvedono al finissaggio, alla macellazione,<br />

alla vendita ed alla commercializzazione della carne.<br />

Nelle aziende collinari e montane di piccole (n. vacche<br />

< 15) e medie (n. vacche < 40) dimensioni, dove<br />

comunque siano presenti superfici adeguate per il<br />

pascolo stagionale, l'allevamento <strong>dei</strong> riproduttori<br />

prevede generalmente il sistema semibrado, con una<br />

stagione di pascolamento della durata di circa 6 mesi<br />

(da maggio ad ottobre) (Sargentini e Acciaioli,<br />

2006). Ciò consente lo sfruttamento diretto della<br />

produzione foraggera e investimenti contenuti; favorisce<br />

inoltre il mantenimento di buone condizioni di<br />

salute del bestiame, con favorevoli ripercussioni sui<br />

parametri riproduttivi. I ricoveri invernali sono di<br />

varie tipologie, riconducibili sia alla stabulazione<br />

fissa che a quella libera. In Val di Chiana, dove i terreni<br />

sono più fertili, irrigui e destinati a colture<br />

diverse (cereali, foraggere, tabacco ecc.) è più diffusa,<br />

anche per i riproduttori, la stabulazione permanente,<br />

non sempre secondo gli schemi classici della<br />

stabulazione libera e talvolta addirittura in stalle<br />

chiuse a posta fissa tipiche delle tradizionali aziende<br />

mezzadrili. Per l'ingrasso <strong>dei</strong> vitelli vengono generalmente<br />

utilizzate strutture più moderne e razionali<br />

con box multipli dotati di lettiera permanente o<br />

semipermanente e preferibilmente con paddock<br />

esterni. L'alimentazione, basata in gran parte sull'uti-


GiorgettiSecondo.qxp 25/02/2008 10.11 Pagina 150<br />

150 Sargentini e Fabeni<br />

La produzione di carne di qualità...<br />

lizzazione di fieno e concentrati, viene distribuita<br />

meccanicamente come meccanicamente viene<br />

rimossa o aggiunta la lettiera. Le razioni alimentari<br />

non sempre risultano in grado di coprire i fabbisogni<br />

delle fattrici, soprattutto nei periodi critici, mancando<br />

una diversificazione nelle diverse fasi fisiologiche<br />

(asciutta, prima e seconda fase della lattazione).<br />

Per migliorare il quadro alimentare delle fattrici<br />

può essere sufficiente l'integrazione con adeguate<br />

quantità di concentrati dopo il parto (Cianci, 2003).<br />

Le razioni <strong>dei</strong> soggetti da macello risultano, fino ad<br />

un anno di età, mediamente inferiori ai fabbisogni,<br />

mentre nella fase di finissaggio esse appaiono sbilanciate<br />

per eccesso di energia e/o di proteina (Geri<br />

et al., 1984; Cianci, 2003). Questi eccessi potrebbero<br />

essere contenuti limitando l'offerta proteica ai soli<br />

fieni di medica. E' opportuno ricordare che le carni<br />

qualitativamente migliori in questa razza si ottengono<br />

da vitelloni di circa 700-750 Kg di peso e con età<br />

compresa tra i 16 e i 18 mesi, performance raggiungibili<br />

solo con alimentazione energeticamente adeguata<br />

(circa 0,85-0,95 UFC/kg ss della dieta) e livelli<br />

proteici variabili dal 17-18% nelle prime fasi, al<br />

13-14% nelle fasi finali di finissaggio. Inoltre, in<br />

accordo con il disciplinare del marchio IGP, non<br />

dovrebbero essere utilizzati insilati e sottoprodotti<br />

dell'industria nei 4 mesi che precedono l'alimentazione.<br />

L'età di macellazione risulta invero talvolta<br />

un po' elevata, ma la qualità delle carni, sia fisica che<br />

chimico-nutizionale è comunque eccellente.<br />

L'istituzione del marchio IGP "Vitellone bianco<br />

dell'Appennino centrale", che certifica le ottime<br />

caratteristiche delle carni prodotte con questa razza,<br />

ha contribuito in maniera notevolissima all'aumento<br />

della domanda, con ripercussioni più che vantaggiose<br />

sui prezzi di mercato. Molte aziende, soprattutto<br />

quelle di pianura, praticano con successo la vendita<br />

diretta (filiera corta). Nelle aziende di alta collina-<br />

montagna in cui la fase di ingrasso può comportare<br />

problemi organizzativi potrebbe essere ipotizzato il<br />

ciclo aperto, con creazione, a valle, di centri di<br />

ingrasso, gestiti dagli stessi allevatori, in modo da<br />

assicurare costanza ed uniformità delle produzioni<br />

da destinare eventualmente anche alla GDO.<br />

Da quanto fin qui esposto è possibile concludere<br />

che l'allevamento per la produzione di carne con<br />

bovini di razza Chianina è pratica consolidata in un<br />

numero non trascurabile di aziende della<br />

Valtiberina e della Val di Chiana che pure coltivano<br />

tabacco. <strong>Al</strong>cuni problemi legati essenzialmente<br />

all'alimentazione, non sempre equilibrata, di fattrici<br />

e vitelloni possono essere risolti semplicemente<br />

ottimizzando le risorse già disponibili. <strong>Al</strong>cuni<br />

aspetti del management sia della fase di allevamento<br />

(ciclo chiuso o ciclo aperto) che della fase di<br />

commercializzazione (GDO e mercato di nicchia)<br />

meritano di essere approfonditi con studi specifici.<br />

Si ritiene tuttavia, in virtù della situazione del mercato<br />

attuale ed ipotizzabile in futuro, che la produzione<br />

di carne di qualità con la razza Chianina<br />

debba essere considerata, se non completamente<br />

alternativa, almeno come una valida integrazione<br />

alla coltivazione del tabacco.<br />

Citazioni bibliografiche<br />

Cianci D. Atti della Giornata di studio Valorizzazione del germoplasma<br />

bovino autoctono toscano. Quaderni. Accademia<br />

Economico-Agraria <strong>dei</strong> Georgofili. <strong>II</strong>I. pp.139, 2003<br />

Geri G., Lucifero M., Zappa A. Atti del <strong>Co</strong>nvegno Nazionale<br />

"Le razze bovine bianche da carne dell'Italia centrale".<br />

Accademia Economico-Agraria <strong>dei</strong> Georgofili. Firenze 26-<br />

27 ottobre, 1984.<br />

INEA http://www.inea.it/ist/kentucky.htm , 2007<br />

ISMEA Dir. Mercati e risk management - U.O. Analisi economiche<br />

e finanziarie, CRPA - Centro ricerche produzioni animali<br />

Indagine sull'analisi del costo e della redditività della<br />

produzione di carne bovina, 2006.<br />

Sargentini C., Acciaioli A.. Risorse genetiche animali autoctone<br />

della Toscana. ARSIA-Regione Toscana. 59-69, 2006.


GiorgettiSecondo.qxp 25/02/2008 10.11 Pagina 151<br />

Introduzione<br />

La riforma della politica agricola comune (Pac)<br />

varata nei primi anni 2000 ha introdotto un regime<br />

transitorio di aiuti europei per un periodo di quattro<br />

anni, dal 2006 al 2009, in favore <strong>dei</strong> produttori<br />

di tabacco che spesso operano in aree dove ci sono<br />

poche alternative di produzione ed economicamente<br />

meno sviluppate. La revisione di metà percorso<br />

dello scorso novembre, imposta da Fischler Boel<br />

mira a d abolire il regime transitorio per passare a<br />

un sostegno europeo slegato dalla produzione<br />

(disaccoppiamento totale). Lo scopo di questo studio<br />

è stato pertanto quello di verificare l'esistenza<br />

di alternative colturali, in ambito zootecnico, alla<br />

coltivazione del tabacco, in previsione di una sempre<br />

più accentuata riduzione del processo produttivo.<br />

Questa unità di ricerca ha svolto un'indagine<br />

preliminare nell'ambito dell'Italia Centrale, interessando<br />

le due regioni in cui è maggiormente diffusa<br />

la coltivazione del <strong>Ta</strong>bacco, Umbria e Toscana. In<br />

queste aree l'attività zootecnica, già presente nell'ambito<br />

delle aziende tabacchicole, è orientata prevalentemente<br />

verso l'allevamento di bovini e suini.<br />

In base alle interviste realizzate su un campione<br />

rappresentativo è risultato che l'alternativa zootecnica<br />

ha trovato un favorevole accoglimento da<br />

parte degli imprenditori che hanno mostrato un<br />

discreto interesse soprattutto nei confronti di allevamenti<br />

più tradizionali quali quelli <strong>dei</strong> bovini e<br />

<strong>dei</strong> suini. Attraverso l'analisi <strong>dei</strong> dati raccolti con<br />

l'ausilio di appositi questionari, si sono analizzate<br />

le potenzialità di sviluppo di tale attività. La scelta<br />

zootecnica ritenuta più adatta per questo territorio<br />

è risultata l'allevamento di bovini di razza<br />

Chianina.<br />

Materiali e Metodi<br />

Per potere concretamente esaminare un'ipotesi colturale<br />

alternativa è necessario verificare quali<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 151<br />

<strong>Al</strong>cune considerazioni di carattere economico sull'allevamento<br />

della razza Chianina come alternativa alla coltivazione di<br />

tabacco nell'Italia centrale<br />

Fratini R 1<br />

1 Dipartimento di Economia Agraria e delle Risorse Territoriali<br />

dell'Università degli Studi di Firenze, piazzale delle Cascine, 18<br />

tel. 0553288360 - 50144 Firenze;<br />

rfratini@unifi.it<br />

opportunità e quale regime di aiuti diretti alla produzione<br />

sono previsti dall'attuale riforma della<br />

PAC. Inoltre è necessario conoscere, sulla base<br />

delle statistiche esistenti (Istat, Ismea, ecc.) la consistenza<br />

degli attuali allevamenti e le potenzialità<br />

di sviluppo che possono scaturire.<br />

Il sistema di aiuti diretti alla produzione in<br />

vigore fino ad oggi è stato sostituito dal gennaio<br />

2005 da un pagamento unico per azienda, disaccoppiato<br />

dalla produzione . Il pagamento viene calcolato<br />

sulla media degli aiuti ottenuti nel triennio<br />

2000-2002, tenendo conto della media degli ettari<br />

ammessi (Reg. CE 1782/2003). Tenendo presente<br />

questi aspetti legati alla riforma della PAC è importante<br />

evidenziare le potenzialità di sviluppo di allevamenti<br />

zootecnici di razza Chianina soprattutto in<br />

quelle aree vocate (Prov. di Arezzo, Siena,<br />

Grosseto), dove tale produzione è stata tradizionalmente<br />

praticata. La carne è prodotta da bovini,<br />

maschi e femmine, di pura razza Chianina, di età<br />

compresa tra i 12 e i 24 mesi. Il bestiame deve<br />

essere regolarmente iscritto alla nascita al registro<br />

del Giovane Bestiame nonché riportare il contrassegno<br />

di identificazione previsto dalle vigenti<br />

norme del libro genealogico. Secondo i dati pubblicati<br />

dall'Associazione Nazionale <strong>Al</strong>levatori Bovini<br />

Italiani da Carne (ANABIC) i capi di Chianina<br />

presenti in Italia ammontano a 42.665 di cui circa<br />

l'80% concentrato in Toscana (in prevalenza) ed in<br />

Umbria. Gli allevamenti con la razza Chianina<br />

sono in genere di piccole dimensioni ed interessano<br />

proprietà spesso polverizzate all'interno di un<br />

territorio che copre parte dell'entroterra della<br />

Toscana e l'area pedomontana dell'Umbria e delle<br />

Marche. L'attività tipica di ingrasso e finissaggio<br />

di vitelloni di questa razza è presente in Val<br />

Tiberina ed in Val di Chiana (Sargentini, 2005). I<br />

bovini di razza Chianina sono in genere venduti ad<br />

un peso notevolmente più elevato rispetto a quello<br />

di altre razze, dopo un periodo di ingrasso che per<br />

il vitellone maschio può essere superiore ad un<br />

anno. La piccola dimensione degli allevamenti di<br />

Chianina rappresenta una variabile che incide fortemente<br />

sulla produttività del lavoro: dal confronto


GiorgettiSecondo.qxp 25/02/2008 10.11 Pagina 152<br />

152 Fratini<br />

effettuato in varie aree del territorio (ISMEA,<br />

2006) la produttività degli allevamenti toscani<br />

risulta più bassa rispetto a quella di allevamenti a<br />

ciclo aperto con altre razze così come avviene in<br />

Veneto.<br />

Risultati e discussione<br />

Se osserviamo lo schema di costo di produzione<br />

per un allevamento di Chianina a ciclo aperto,<br />

nell'Italia Centrale, riportato in tabella 1 e basato<br />

su di una struttura ampiamente esperimentata (De<br />

Roest et al. 2006), possiamo osservare come alcuni<br />

costi diretti possano presentare un'elevata variabilità<br />

a seconda della dimensione aziendale e dell'organizzazione<br />

conferita. Ad esempio l'approvvigionamento<br />

di foraggi è spesso legato anche ad una<br />

<strong>Ta</strong>bella 1. Esempio di calcolo di costi di produzione per un allevamento<br />

a ciclo aperto.<br />

<strong>Co</strong>nsiderazioni economiche allevanento Chianina...<br />

produzione foraggera aziendale che, nel caso in cui<br />

risulti assente, può fortemente incrementare il<br />

costo di produzione. <strong>Al</strong>tro elemento critico è la<br />

componente lavoro: la disponibilità qualificata per<br />

il lavoro in stalla nell'Italia Centrale è spesso carente<br />

e spesso si ricorre a personale che non ha esperienza<br />

in ambito zootecnico. Dal campione di<br />

aziende interpellato risulta elevata la quantità di<br />

ore fornite dai componenti della famiglia, tanto da<br />

evidenziare proprio nel lavoro manuale un elemento<br />

critico di tale attività. Lo schema di costo evidenzia<br />

un'ipotesi che rispecchia un'organizzazione<br />

aziendale ed una struttura di vendita legata al conferimento<br />

del prodotto sul mercato locale, pertanto<br />

con un utile di bilancio positivo. Non sono calcolate<br />

nello schema proposto le eventuali spese di<br />

riconversione degli edifici oggi adibiti a essiccatoi<br />

o laboratori di lavorazione del tabacco a stalle né<br />

tanto meno le spese di bonifica <strong>dei</strong> terreni oggi utilizzati<br />

per la coltivazione del tabacco. <strong>Ta</strong>le risultato<br />

non riflette pertanto tutte le realtà produttive; in<br />

questo caso pesa in positivo il tipo di prodotto conferito,<br />

essendo la carne di Chianina particolarmente<br />

apprezzata nei mercati nazionali ed internazionali.<br />

Un elemento di conferma lo si riscontra osservando<br />

l'andamento <strong>dei</strong> prezzi esaminato in serie<br />

storica, periodo 1994-2006, dove il prezzo delle<br />

carcasse di razza Chianina è risultato essere quello<br />

che spunta i migliori prezzi sul mercato nazionale<br />

rispetto ad altre razze.<br />

L'aspetto che maggiormente emerge dall'indagine<br />

da noi realizzata è che dove vi sono le strutture<br />

aziendali sufficienti, con l'ausilio di un investimento<br />

iniziale non particolarmente elevato, l'attività<br />

zootecnica può rappresentare un'alternativa a<br />

quella del tabacco, anche se è necessario tenere<br />

presente che al disotto di una minima superficie<br />

aziendale la conversione delle superfici tabacchicole<br />

in superfici da destinare agli allevamenti non<br />

è pensabile. Un'attenzione particolare va chiaramente<br />

dedicata al mercato in cui si inserisce il prodotto<br />

finale.<br />

Bibliografia consultata<br />

ISMEA Il mercato della carne bovina, rapporto 2006.<br />

ISTAT 5° Censimento generale dell'agricoltura., 2000.<br />

De Roest K., Montanari C., <strong>Co</strong>rradini E., Federici C. Analisi del<br />

costo di produzione della carne di bovina in Italia, Atti del<br />

XL<strong>II</strong> <strong>Co</strong>nvegno di Studi Sidea, Pisa; pp. 272-286, 2007.<br />

Sargentini C. La razza Chianina, relazione presentata alla<br />

<strong>Ta</strong>vola Rotonda sul tema: La Chianina: valore del passato,<br />

patrimonio del futuro, Bettole-Sinalunga, 2005.


GiorgettiSecondo.qxp 25/02/2008 10.11 Pagina 153<br />

Introduzione<br />

L'analisi <strong>dei</strong> costi di produzione è uno strumento<br />

imprescindibile sia per la valutazione della convenienza<br />

degli investimenti sia per il controllo di gestione<br />

dell'azienda. In relazione a questi scopi l'analisi del<br />

costo di produzione parte dal presupposto di utilizzare<br />

una scheda della tecnica che sia in grado di massimizzare<br />

l'obiettivo quali - quantitativo minimizzando il<br />

costo. La costruzione della scheda della tecnica si<br />

basa, quindi, sulla scelta della dose ottimale di tutti i<br />

fattori della produzione impiegati nel processo produttivo.<br />

Attualmente, i più recenti lavori disponibili in letteratura<br />

indicano, per l'allevamento della razza<br />

Chianina, un costo di produzione che consente ancora<br />

di avere un margine positivo. <strong>Co</strong>me evidenziato nel<br />

contributo "<strong>Al</strong>cune considerazioni di carattere economico<br />

sull'allevamento della razza Chianina come alternativa<br />

alla coltivazione di tabacco nell'Italia centrale",<br />

lo scopo della ricerca è stato quello di verificare l'esistenza<br />

di alternative colturali, in ambito zootecnico,<br />

alla coltivazione del tabacco, da sviluppare nell'ambito<br />

di realtà aziendali già in essere. Un giudizio sulla<br />

convenienza o meno dell'allevamento zootecnico, data<br />

una consolidata letteratura sui costi di produzione che<br />

non richiede ulteriori approfondimenti, dipenderebbe<br />

allora solo dai prezzi che tale carne riesce a spuntare<br />

nei diversi mercati. In realtà, visto che l'obiettivo della<br />

ricerca era quello di valutare l'esistenza di alternative<br />

produttive, rispetto a quella tabacchicola ,delle aziende<br />

esistenti sul territorio, non sarebbe stato corretto<br />

applicare costi di produzione nati con le finalità prima<br />

esposte, ma andava verificato se all'interno di quelle<br />

realtà aziendali, con una ben definita organizzazione<br />

strutturale, il processo produttivo zootecnico avesse<br />

potuto costituire una valida soluzione alernativa alla<br />

produzione tabaccicola.<br />

Materiali e Metodi<br />

La ricerca si è articolata in due distinte fasi. Nella<br />

prima, utilizzando le fonti fornite dalle statistiche ufficiali<br />

(INEA e ISTAT), un questionario distribuito a<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 153<br />

Un approfondimento sul costo di produzione degli allevamenti<br />

di razza Chianina<br />

Marone E 1<br />

1 Dipartimento di Economia Agraria e delle Risorse Territoriali<br />

dell'Università degli Studi di Firenze, Piazzale delle Cascine, 18,<br />

50144 Firenze; tel. 0553288365;<br />

enrico.marone@unifi.it<br />

circa 80 aziende e alcune visite a realtà aziendali rappresentative<br />

del contesto territoriale oggetto dell’indagine,<br />

è stata rilevata la consistenza delle aziende tabacchicole<br />

toscane e umbre e la loro peculiarità. Nella<br />

seconda fase si è messo a punto un modello di simulazione<br />

che fosse in grado di evidenziare quali fossero le<br />

principali carenze strutturali delle aziende, che avrebbero<br />

dovuto modificare il loro ordinamento colturale<br />

abbandonando o riducendo la coltura tabacchicola.<br />

Risultati e discussione<br />

I dati rilevati hanno evidenziato una grossa disomogeneità<br />

delle realtà agricole presenti sul territorio<br />

oggetto di indagine. Sia i dati statistici sia quelli campionari,<br />

acquisiti attraverso i questionari e le visite<br />

dirette, hanno mostrato una ampia differenziazione<br />

nelle strutture e nell'organizzazione aziendale.<br />

L'indagine preliminare ha evidenziato che gran parte<br />

delle aziende tabacchicole sono di dimensioni modeste<br />

e che esiste già un orientamento verso alternative<br />

di tipo zootecnico, prevalentemente indirizzate verso<br />

l'allevamento di bovini e suini. Attraverso l'analisi<br />

campionaria si è rilevata una buona dotazione di<br />

mezzi tecnici aziendali, che potrebbero agevolmente<br />

essere impiegati nell'allevamento. Anche la dotazione<br />

di immobili aziendali è tale da consentire, attraverso<br />

opportune conversioni, un loro utilizzo a fini<br />

zootecnici. In diversi casi, quindi, l'investimento iniziale<br />

potrebbe risultare modesto, anche se è necessario<br />

tenere presente che al disotto di una minima<br />

superficie aziendale la conversione delle superfici<br />

tabacchicole in superfici da destinare agli allevamenti<br />

non è opportuna. Nel campione di aziende rilevate<br />

sono state inserite anche aziende che, oltre alla coltura<br />

tabacchicola, svolgono già un'attività di allevamento<br />

bovino. Soprattutto in questa fase <strong>dei</strong> rilievi ci<br />

siamo resi conto che tutte le aziende contattate, pur<br />

avendo modalità di gestione dell'allevamento molto<br />

diversificate (numero di capi, strutture, manodopera,<br />

produzione/acquisto foraggi, …), traevano un soddisfacente<br />

risultato economico dall'attività zootecnica<br />

ed esprimevano una grossa propensione alla sostituzione<br />

della tabacchicoltura con l'allevamento. Queste<br />

informazioni ci hanno convinto dell'inutilità di cercare<br />

di costruire tante differenti schede della tecnica.


GiorgettiSecondo.qxp 25/02/2008 10.11 Pagina 154<br />

154 Marone<br />

<strong>Ta</strong>b. 1. <strong>Co</strong>ndizioni di convenienza alla conversione<br />

Infatti sarebbe stato impossibile, o quantomeno<br />

molto oneroso, studiare a fondo un campione rappresentativo<br />

delle differenti strutture aziendali osservate<br />

,al fine di costruire una specifica scheda della tecnica<br />

finalizzata poi alla valutazione della eventuale trasformazione<br />

dell'ordinamento colturale. Nella seconda<br />

fase del lavoro si è verificata la disponibilità, da<br />

parte delle singole aziende, <strong>dei</strong> fattori della produzione<br />

legati alle singole tecniche produttive. Il modello<br />

di simulazione che abbiamo costruito consente di stabilire,<br />

in funzione del numero <strong>dei</strong> capi allevati, quale<br />

deve essere il rapporto ideale tra una serie di parametri<br />

opportunamente individuati per consentire di trarre<br />

profitto dall'allevamento. I parametri individuati<br />

sono stati: ettari di superficie, UL effettive, ore di<br />

avventizi, mq di ricoveri. In questo modo, definendo<br />

<strong>Ta</strong>b. 2. Aziende che hanno la possibilità di allevare un numero di<br />

capi superiori a 20<br />

<strong>Ta</strong>b. 3. Aziende cha presentano il giusto rapporto tra i fattori della<br />

produzione<br />

<strong>Co</strong>sto di produzione Chianina...<br />

l'entità di uno <strong>dei</strong> parametri descritti, è possibile<br />

verificare le carenze dell'azienda<br />

rispetto al suo dimensionamento ideale<br />

come nell'esempio riportato (<strong>Ta</strong>b. 1); così<br />

l'azienda potrà capire quali sono i fattori<br />

carenti e quali sono le necessità di investimento<br />

per adeguare le proprie strutture a<br />

quelle ritenute ottimali per l'organizzazione<br />

di un allevamento redditizio. Il secondo<br />

elemento informativo che è stato possibile<br />

ricavare ha riguardato la stima, a livello territoriale,<br />

del numero di aziende tabacchicole<br />

che presentano caratteristiche adeguate<br />

per accogliere un allevamento dimensionato<br />

sulla base della superficie tabacchicola convertibile<br />

in coltura foraggera. I <strong>risultati</strong> ottenuti permettono<br />

di osservare sia quante sono le aziende che presentano<br />

uno <strong>dei</strong> fattori sopra individuati in misura adeguata,<br />

sia il numero di aziende che presentano in maniera<br />

sufficiente tutti i parametri necessari alle necessità<br />

dell'allevamento. A titolo esemplificativo si riporta il<br />

risultato relativo alle aziende che possono allevare un<br />

numero di capi maggiore di 20 (è il limite minimo di<br />

capi individuato per ottenere <strong>risultati</strong> economici positivi)<br />

(<strong>Ta</strong>b. 2) e le aziende che hanno già un giusto<br />

equilibrio tra tutti i fattori individuati (<strong>Ta</strong>b. 3).<br />

Quanto sopra illustrato evidenzia che solo poche<br />

aziende presentano un equilibrio tra i fattori produttivi<br />

tale da consentire l'immediato avviamento di un'attività<br />

di allevamento sicuramente redditizia.<br />

Dall'analisi svolta emergono però quali sono i parametri<br />

per attivare un processo produttivo economicamente<br />

conveniente e consentono di individuare le<br />

carenze da colmare per ogni singola azienda. In questo<br />

modo, invece di dare una risposta sul risultato che<br />

mediamente gli agricoltori del territorio oggetto di<br />

studio potrebbero raggiungere, è possibile per ogni<br />

singola azienda andare a verificare quali investimenti<br />

sono richiesti. Sarà poi la singola azienda a valutare<br />

la convenienza dell'investimento, attraverso lo studio<br />

della disponibilità di risorse proprie e dell'accesso<br />

al credito, che costituiscono caratteri peculiari di<br />

ogni singola impresa.<br />

Bibliografia consultata<br />

ISMEA. Il mercato della carne bovina, rapporto, 2006.<br />

ISTAT. 5° Censimento generale dell'agricoltura, 2000.<br />

De Roest K., Montanari C., <strong>Co</strong>rradini E., Federici C. Analisi<br />

del costo di produzione della carne di bovina in Italia, Atti<br />

del XL<strong>II</strong> <strong>Co</strong>nvegno di Studi Sidea, pp. 272-286, Pisa,<br />

2007.


GiorgettiSecondo.qxp 25/02/2008 10.11 Pagina 155<br />

Marketing dell'offerta di capi di razza Chianina<br />

Malevolti I 1<br />

Introduzione<br />

Le valutazioni tecnico-economiche della validità<br />

dell'allevamento di bovini di razza chianina non<br />

possono limitarsi a considerare come dati esogeni e<br />

neutralmente prefissati da un anonimo mercato il<br />

prezzo all'azienda agricola e i volumi e gli sbocchi<br />

commerciali. <strong>Al</strong> mercato, infatti, si deve guardare<br />

come ad un insieme di relazioni, norme ed istituzioni,<br />

meccanismi attivi di valorizzazione del prodotto.<br />

Quest'ultimo aspetto (valorizzazione dell'offerta)<br />

vale, da una parte, ai differenti livelli della<br />

filiera alimentare autonomamente per i diversi operatori,<br />

e vale per l'attività promozionale coordinata<br />

tra operatori, ma ancor più - e in maniera speciale<br />

per produttori di materie prime agricole e per l'offerta<br />

zootecnica in particolare - deve essere una<br />

funzione costantemente espressa dagli allevatori<br />

non solo al momento della contrattazione con i propri<br />

clienti (grossisti, macellai, buyers della grande<br />

distribuzione) ma attraverso il mantenimento di un<br />

"controllo" <strong>dei</strong> vari passaggi tra operatori fino<br />

all'atto di acquisto del consumatore finale.<br />

Materiali e Metodi<br />

Il metodo seguito per la rilevazione delle informazioni<br />

si è basato su un questionario di intervista<br />

semistrutturato adattato ai diversi operatori che<br />

sono stati i seguenti: allevatori, buyers della GD,<br />

grossisti, macellerie, ristoranti, responsabili di<br />

associazioni professionali o consortili, tabacchicoltori<br />

senza allevamento o con un integrazione in tal<br />

senso. In tutto si sono effettuate 34 interviste<br />

approfondite sufficienti a definire una cornice di<br />

insieme abbastanza completa degli aspetti mercantili<br />

del settore.<br />

Risultati<br />

Esiste un intreccio virtuoso tra consumo e conoscenze<br />

locali del prodotto (Toscana e Umbria e<br />

poco più) derivante da ragioni storiche e culturali,<br />

ed esteso all'esterno grazie al veicolo del turismo,<br />

che trova riscontro in una immagine forte e in un<br />

Professore Ordinario, Dipartimento di Economia Agraria e delle<br />

Risorse Territoriali dell'Università degli Studi di Firenze, Piazzale<br />

delle Cascine, 18, 50144 Firenze; tel. 0553288226;<br />

ivan.malevolti@unifi.it<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 155<br />

prezzo relativamente elevato per un segmento di<br />

mercato regionale e una nicchia di elite anche se in<br />

direzione di una sola referenza merceologica: la<br />

"bistecca alla fiorentina" (mentre nessuno riconosce<br />

il "bollito di chianina"); una questione di debolezza<br />

della gamma d'offerta in quanto solo uno specifico<br />

taglio sembra godere di un apprezzamento<br />

mercantile degno dell'offerta di qualità e o di origine.<br />

La differenza si fa ancora più evidente a livello<br />

della ristorazione.<br />

L'immagine forte del prodotto è comunque assicurata<br />

(la conoscenza della "fiorentina" travalica<br />

l'area del suo consumo) e proprio per questo esistono<br />

azioni concorrenziali ingannevoli anche se formalmente<br />

legali (l'offerta di "tipo genetico chianino",<br />

frutto di incroci). Un'azione attenta di salvaguardia<br />

è portata avanti dalle organizzazioni ANA-<br />

BIC, CCBI, IGP ma sembrano tutte molto orientate<br />

alla fase della produzione, a parte ma parzialmente<br />

il consorzio di tutela IGP, secondo una tipica logica<br />

interna al settore agricolo (product oriented).<br />

La domanda che sorge spontanea è se sia possibile<br />

allargare l'area della conoscenza e del consumo<br />

relativamente all'offerta attuale e soprattutto a<br />

quella potenziale in rapporto alle esigenze di trovare<br />

alternative produttive per gli agricoltori già specializzati<br />

nella tabacchicoltura. Finora si può parlare<br />

di una strategia (implicita) delle aziende che ha<br />

privilegiato la "penetrazione del mercato" (mercati<br />

acquisiti/vecchi prodotti) senza considerare lo "sviluppo<br />

del mercato" (nuovi mercati/vecchi prodotti)<br />

o meglio ancora la "via della diversificazione"<br />

(nuovi mercati/nuovi prodotti, ossia prodotti rinnovati<br />

o rilanciati: bollito, spezzatino e ricette ad essi<br />

collegate). Per ora esistono solo alcune esperienze<br />

di esportazione per alcune imprese un poco più<br />

organizzate che hanno saputo sfruttare alcune<br />

occasioni spontanee e i <strong>risultati</strong> del passaparola<br />

innescato dai turisti.<br />

L'ottica con la quale si può guardare agli aspetti<br />

commerciali e distributivi, quali elementi di una<br />

allocazione sicura, è assai articolata partendo dall'esistente:<br />

grossisti del resto più interessati alle<br />

importazioni, rapporti diretti con la GD specie<br />

della cooperazione di consumo, macellai tradizionali<br />

quasi sempre di aree rurali, ristoranti di quali-


GiorgettiSecondo.qxp 25/02/2008 10.11 Pagina 156<br />

156 Malevolti<br />

Marketing dell’offerta capi Chianina...<br />

tà, anche casi di vendita diretta al consumatore. In<br />

generale, il numero di ristoratori che acquistano<br />

carne chianina sembra assai ridotto specie in aree<br />

urbane a (troppo) forte incidenza turistica. Ma in<br />

tutti i casi la valorizzazione dell'offerta e lo sviluppo<br />

dell'ampiezza del mercato sono sempre una questione<br />

di organizzazione, cooperazione e marketing<br />

relazionale delle imprese e tra le imprese che<br />

necessita pertanto di un salto di qualità culturale da<br />

parte degli allevatori rivolta soprattutto al "controllo"<br />

della filiera grazie alla elaborazione di una mission<br />

diretta verso i consumatori che sappia sfruttare<br />

il bisogno della società <strong>dei</strong> consumi di riconoscersi<br />

in elementi simbolici e autoidentificatori (ad<br />

esempio, il consumo di cibi pregiati, di qualità e<br />

radicati al territorio e alla sua cultura).<br />

Questo continuo riferimento alle capacità organizzative<br />

del settore apre ad una discussione finale<br />

che rappresenta anche la conclusione all'analisi fin<br />

qui esposta (ovviamente assai più articolata nel<br />

Rapporto finale della ricerca).<br />

<strong>Co</strong>nclusioni<br />

Abbiamo, più volte, sostenuto l'importanza di un<br />

"controllo" di marketing della filiera sottolineando<br />

l'aspetto dell'organizzazione per poterlo sostenere e<br />

sempre pensando a quanto difficile risulti un discorso<br />

di tale portata culturale che presuppone un'azione<br />

svolta in forma integrata i tra produttori per la<br />

conoscenza del mercato (in senso assai ampio) e la<br />

presenza e il presidio su ciò che avviene durante il<br />

flusso di merci ed informazioni fino al consumo<br />

finale e di conoscenza dal consumo finale.<br />

L'indagine diretta rafforza la pregressa e diffusa<br />

conoscenza sulla scarsa propensione all'integrazione<br />

tra imprenditori vuoi orizzontale (tra allevatori<br />

per agire sui costi di produzione) che verticale<br />

(tra allevatori di vitelli da ristallo e ingrassatori e<br />

ancora tra allevatori e distribuzione, per agire nella<br />

contrattazione e sui prezzi). L'arrivo di una nuova<br />

generazione di allevatori (giovani, ma ancora pochi<br />

tra le aziende esaminate) sembra possa aprire nuovi<br />

orizzonti collaborativi. Di contro, esisterebbe da<br />

parte della GD, soprattutto cooperativa, un forte<br />

interesse ai rapporti di organizzazione e integrazione<br />

tra gli allevatori sia sul piano informativo che<br />

logistico: analisi e risposta alla stagionalità <strong>dei</strong><br />

consumi, comunicazione e condivisione delle<br />

informazioni, allargamento della gamma, schemi<br />

condivisi di alimentazione bestiame, sviluppo del-<br />

l'offerta e nuovi mercati ecc. In definitiva, si può<br />

parlare di un punto di debolezza del sistema dell'offerta<br />

ovvero delle aziende nel loro complesso.<br />

Il punto di forza delle singole imprese, che<br />

mette in ombra anche le esigenze interorganizzative<br />

di cui sopra, è dato finora dallo sbocco garantito<br />

dal mercato locale per la forza della tradizione<br />

nel consumo di carne chianina. In definitiva si tratta<br />

di una nicchia di mercato cui si aggiunge la<br />

domanda da parte del turismo via ristorazione privata<br />

(per la "bistecca alla fiorentina"). Il relativo<br />

punto di debolezza sta nella visione ristretta degli<br />

allevatori che non percepiscono in maniera chiara<br />

la possibilità di estendere la nicchia anche al di<br />

fuori del proprio ambiente attraverso strumenti di<br />

comunicazione ovvero di conoscenza e apprendimento<br />

da parte di quella parte del mondo <strong>dei</strong> consumatori<br />

attento ai prodotti differenziati e disposto<br />

a pagare un plus di prezzo per soddisfare questa<br />

esigenza.<br />

I mezzi a disposizione per questa promozione<br />

sono diversi e consistono, in mancanza di una<br />

massa critica anche collettiva d'offerta che permetta<br />

di avvicinarsi a forme costose di comunicazione<br />

e pubblicità, in pubblicità su media specializzati,<br />

promozioni localizzate in fiere, meeting ed eventi<br />

speciali, testimonial particolari, fino a pensare di<br />

potenziare l'autonomo sistema del passaparola<br />

attraverso un "passaparola organizzato" (tutto da<br />

impostare) o la creazione ad arte di momenti specifici<br />

per richiamare l'attenzione della pubblica opinione<br />

e <strong>dei</strong> massmedia sui comportamenti scorretti<br />

di alcuni operatori economici e virtuosi <strong>dei</strong> produttori<br />

di carne chianina, con effetto positivo di ricaduta<br />

sugli allevatori quasi a costo zero.<br />

In ogni caso tutto ciò comporta una consapevolezza<br />

della posta in gioco in primo luogo da parte<br />

<strong>dei</strong> produttori che devono cominciare a ragionare<br />

in termini più strategici, organizzativi e commerciali<br />

che agricolo-produttivi. Questa è la scommessa<br />

verso se stessi che proponiamo agli allevatori di<br />

razza Chianina attuali o potenziali (come i tabacchicoltori<br />

o ex-tabacchicoltori in fieri).<br />

Bibliografia<br />

Malevolti I., (2003), Prodotti tipici locali tradizionali e turismo<br />

rurale, IRPET, Firenze<br />

Malevolti I., (2003), "Umbria: i prodotti tipici locali e tradizionali<br />

tra turismo culturale e pellegrinaggio religioso", in<br />

Canavari M., Malevolti I., Agroalimentare e flussi turistici,<br />

Edizioni Avenue Media, Bologna


GiorgettiSecondo.qxp 25/02/2008 10.11 Pagina 157<br />

La razza suina Cinta Senese a partire dall'inizio<br />

degli anni '90 ha avuto un incremento numerico<br />

sostanziale. Se infatti fino al 1992 erano registrati<br />

meno di 40 soggetti in totale, nel 2006 un'indagine<br />

ARSIA contava 155 aziende con 1500 scrofe e 250<br />

verri; il numero di aziende è ancora aumentato tanto<br />

che il sito ANAS per la razza riporta alla fine del<br />

2007, 214 aziende che allevano soggetti di razza<br />

Cinta Senese. Questo incremento numerico è legato<br />

all'interesse che è stato riservato ai prodotti di Cinta<br />

Senese dal mercato; i prodotti derivati da questa<br />

razza hanno infatti rapidamente conquistato una fetta<br />

di mercato, ancorché ridotta, ma formata da consumatori<br />

disposti a spendere cifre sostanzialmente più<br />

elevate. Questi consumatori oltre a riconoscere alcune<br />

caratteristiche organolettiche peculiari nei prodotti<br />

derivati dalla razza, identificano la Cinta Senese<br />

con un sistema di allevamento più attento alla salute<br />

ed al benessere sia del consumatore sia degli animali<br />

stessi. Il sistema di conduzione tradizionale prevede<br />

infatti l'allevamento outdoor sfruttando le risorse<br />

del bosco e l'integrazione alimentare nei periodi di<br />

ridotte disponibilità alimentari ma è bene ricordare<br />

che il solo bosco nelle condizioni italiane non può<br />

permettere l'allevamento di un numero sostanziale di<br />

soggetti a meno di non avere a disposizione superfici<br />

vastissime su cui far sussistere gli animali.<br />

<strong>Co</strong>munque la conversione di aziende che coltivano<br />

tabacco ad aziende zootecniche basate sull'impiego<br />

della Cinta Senese è una alternativa plausibile e conveniente<br />

a patto che la filiera produttiva si diversifichi<br />

da quella del suino classico.<br />

Difatti, a fronte di una sostanziale soddisfazione<br />

per i prezzi che riescono a spuntare gli allevatori<br />

che operano anche la trasformazione, i soli allevatori<br />

spuntano prezzi decisamente non competitivi;<br />

prezzi che risentono della crisi che ha investito<br />

il settore suinicolo in questi ultimi anni. A livello<br />

nazionale infatti il prezzo <strong>dei</strong> suini è calato di un<br />

10% nel 2007 e si è avuta anche una contrazione<br />

nel consumo pro capite; al produttore oggi viene<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 157<br />

L'allevamento della razza suina Cinta Senese come alternativa<br />

alla coltivazione del tabacco in Toscana<br />

Bozzi R 1<br />

Dipartimento di Scienze Zootecniche - Università di Firenze.<br />

TF 0553288355 FAX 055321216<br />

email: riccardo.bozzi@unifi.it<br />

corrisposto un prezzo di poco superiore di 1 €/kg<br />

senza che peraltro si sia osservata una riduzione <strong>dei</strong><br />

prezzi al dettaglio.<br />

È ovvio che in una situazione così variegata la<br />

decisione di allevare Cinta Senese non può prescindere<br />

da alcune scelte aziendali e la conversione<br />

potrà essere di interesse per quelle aziende che riescono<br />

a far coesistere le produzioni agronomiche<br />

(mais, grano, orzo, ecc….) con il successivo pascolo<br />

in campo <strong>dei</strong> suini ed una presenza sostanziale di<br />

superficie boschiva per la fase di finissaggio<br />

(castagna e ghianda) <strong>dei</strong> soggetti da ingrasso sarebbe<br />

preferibile. A tale riguardo dovrà inoltre essere<br />

tenuto conto dell'effetto che la permanenza in<br />

bosco <strong>dei</strong> suini provoca all'ambiente forestale; il<br />

carico animale dovrà essere ridotto al minimo e<br />

costantemente monitorato in modo da evitare rischi<br />

di sovrapascolamento. La fase di allevamento è<br />

stata comunque largamente indagata in questi anni<br />

e le risultanze sperimentali forniscono ai futuri<br />

allevatori quelle nozioni fondamentali per l'avviamento<br />

dell'attività. Si potrà appunto prevedere un<br />

sistema di allevamento outdoor a patto che siano<br />

disponibili ampie estensioni e periodi lunghi di<br />

allevamento ponendo una particolare attenzione ai<br />

boschi, oppure prevedere un allevamento di tipo<br />

classico (indoor) che si troverà però ad affrontare<br />

gli stessi se non maggiori problemi di quelli che si<br />

riscontrano nell'allevamento <strong>dei</strong> suini "bianchi".<br />

Dove invece è necessaria una profonda riflessione<br />

è proprio al riguardo della filiera produttiva.<br />

Il settore che presenta delle carenze sostanziali per<br />

una reale redditività dell'allevamento è proprio<br />

questo; in un contesto come quello suinicolo nazionale<br />

la redditività di tali produzioni è strettamente<br />

legata alla possibilità di creare una filiera corta, trovare<br />

il sistema per "reggere il prezzo" (qualità,<br />

sicurezza, ….), porre attenzione a non inflazionare<br />

il mercato. Il primo aspetto, filiera corta, è imprescindibile,<br />

le consistenze degli allevamenti portano<br />

infatti ad una eccessiva frammentazione dell'offerta,<br />

a fronte di una domanda concentrata in larga<br />

parte nella GDO si viene così a creare una filiera<br />

che allo stato attuale risulta fortemente frammentata<br />

e fonte di instabilità (figura 1). In un contesto


GiorgettiSecondo.qxp 25/02/2008 10.11 Pagina 158<br />

158 Bozzi<br />

L’allevanento della Cinta senese...<br />

Fig. 1. Analisi <strong>dei</strong> momenti di filiera<br />

come quello della Cinta Senese la filiera corta deve<br />

giocoforza prevedere delle forme di associazionismo<br />

tra allevatori al duplice scopo di garantire il<br />

consumatore sul prodotto fornito e di essere competitivi<br />

come offerta di mercato. Un sistema in tal<br />

senso potrebbe consentire di inglobare il divario tra<br />

prezzo a peso vivo e prezzo del prodotto trasformato<br />

come reddito dell'allevatore, condizione fondamentale<br />

per la sopravvivenza degli allevamenti.<br />

<strong>Al</strong>tro aspetto importante è la necessità di "reggere<br />

il prezzo" sul mercato e nel lungo periodo<br />

questo potrà essere ottenuto solo attraverso una<br />

caratterizzazione del prodotto e una sicura filiera di<br />

tracciabilità genetica e alimentare. La forte oscillazione<br />

<strong>dei</strong> prezzi è infatti dovuta da un lato, come<br />

ricordato prima, alla difficoltà della filiera ma dall'altro<br />

alla presenza sul mercato di prodotti di non<br />

ben definita origine.<br />

La rapida e ampia diffusione <strong>dei</strong> prodotti di<br />

Cinta Senese ha in effetti rappresentato un punto di<br />

debolezza del sistema, perché, come è accaduto per<br />

altre produzioni, la possibilità di controllo è solo a<br />

livello documentale ed è quindi possibile<br />

trovare in commercio prodotti con<br />

caratteristiche qualitative inferiori.<br />

Tutto questo crea un grosso danno sia<br />

per i produttori che per l'immagine<br />

della zona di produzione e soprattutto<br />

per il consumatore che acquista prodotti<br />

che non sempre presentano quelle<br />

caratteristiche di tipicità e qualità.<br />

Ecco quindi che risulta di particolare<br />

importanza creare la possibilità di tracciare<br />

a livello genetico ed alimentare il<br />

prodotto. <strong>Al</strong> riguardo è di sicuro interesse<br />

la recente presentazione di una<br />

DOP per i prodotti di Cinta Senese con<br />

la denominazione di "Suino Cinto<br />

Toscano DOP" ad opera del <strong>Co</strong>nsorzio<br />

di Tutela del Suino Cinto Toscano.<br />

In sintesi la possibilità di allevare<br />

la razza suina Cinta Senese come alternativa alla<br />

coltivazione del tabacco si può rivelare fattibile<br />

solo per particolari aziende e avendo bene a mente<br />

le reali condizioni del mercato suinicolo nazionale.<br />

La redditività dell'allevamento sarà infatti garantita<br />

se i prodotti potranno essere venduti a prezzi<br />

sostanzialmente superiori a quelli del mercato suinicolo<br />

tradizionale; per ottenere questo surplus sarà<br />

però necessario fornire prodotti con elevate caratteristiche<br />

qualitative e di sicura origine. Le aziende<br />

che potranno favorevolmente convertirsi a questa<br />

produzione saranno quelle di dimensioni medio<br />

grandi con ampi appezzamenti boschivi a disposizione<br />

e in grado di inserirsi rapidamente in un contesto<br />

di filiera corta. Trattandosi poi di una produzione<br />

sostanzialmente di nicchia potrebbe essere<br />

considerata come valida la possibilità di inserire la<br />

produzione di suini di Cinta Senese in scala ridotta<br />

in un contesto più ampio di allevamento zootecnico<br />

se non addirittura in una realtà agrituristica con<br />

il consumo interno <strong>dei</strong> prodotti derivati dall'allevamento<br />

suinicolo.


GiorgettiSecondo.qxp 25/02/2008 10.11 Pagina 159<br />

Il cavallino di Monterufoli: dati biometrici<br />

Tocci R 1 Sargentini C 1 , Giorgetti A 1 , Lorenzini G 1 ., Gallai S 1<br />

Introduzione<br />

Il cavallino di Monterufoli è una razza toscana a<br />

rischio estinzione ed è originario dell'omonima<br />

area in provincia di Pisa, dove ebbe inizio la selezione<br />

ed il miglioramento di questo tipo genetico,<br />

anche attraverso l'intervento, su una popolazione<br />

originaria, di riproduttori Maremmani, Tolfetani,<br />

Orientali (Arzilli, 2006). Il recupero del tipo genetico<br />

ha avuto inizio negli anni '80 e al momento<br />

sono presenti circa 220 soggetti. Questa Unità di<br />

ricerca ha avviato, fin dal 2005, un lavoro di caratterizzazione<br />

morfologica e genetica i cui primi<br />

<strong>risultati</strong> sono stati illustrati in precedenti comunicazioni<br />

(Tocci R., 2006). In questa sede sono riportati<br />

gli ultimi aggiornamenti di tale attività.<br />

Materiali e metodi<br />

I dati biometrici sono stati rilevati in 32<br />

Monterufolini adulti (26 femmine e 6 maschi)<br />

allevati in 6 allevamenti. Su ogni cavallo sono<br />

state effettuate 26 misurazioni (Catalano, 1984).<br />

L'altezza al garrese e l'altezza alla groppa sono<br />

state misurate tramite ippometro, le larghezze<br />

con compasso misuratore, le lunghezze e le circonferenze<br />

con nastro metrico. È stato calcolato<br />

inoltre l'Indice <strong>Co</strong>rporeo (Catalano, 1985;<br />

Meregalli, 1980). Su tutte le misure, per femmine<br />

e stalloni, sono state calcolate la media e la<br />

deviazione standard; è stata inoltre valutata la<br />

frequenza percentuale di alcuni caratteri morfologici.<br />

I dati biometrici sono infine stati confrontati<br />

con quelli del 1947, data cui risale il primo<br />

"standard di razza".<br />

Risultati e discussione<br />

I dati aggiornati ottenuti attraverso le ricerche<br />

effettuate hanno confermato che il cavallino di<br />

Monterufoli presenta altezza al garrese, circonferenza<br />

toracica e circonferenza dello stinco (tab.1)<br />

paragonabili a quelli riportati in bibliografia<br />

(Arzilli, 2006; Gandini G, Rognoni G., 1997) e<br />

negli "standard di razza" (http://www.aia.it/, 2006).<br />

1 CIRSeMAF - Dipartimento di Scienze Zootecniche. Università<br />

degli Studi di Firenze.<br />

Via delle Cascine, 5 - 50144 FIRENZE Tel . +390553288333,<br />

E-mail roberto.tocci@unifi.it<br />

Fig. 1. Cavallino di Monterufoli<br />

<strong>Ta</strong>b.1. Biometrie di femmine e maschi adulti<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 159<br />

Dal confronto con i dati storici (Braccini, 1947)<br />

emerge invece una morfologia leggermente diversa<br />

da quella del Monterufolino del 1947, quando la<br />

razza aveva raggiunto probabilmente la sua massima<br />

diffusione (tab. 2). Il "vecchio cavallino" era<br />

più alto tendenzialmente più dolicomorfo rispetto<br />

al "Monterufolino moderno" (Tocci et al., 2007).<br />

Le caratteristiche principali e peculiari di questo<br />

cavallo, sono date da mantello morello, testa conica,<br />

profilo montonino, criniera e coda di colore<br />

scuro, zoccolo resistente (tab. 3). Il suo allevamento<br />

potrebbe costituire un'alternativa o un'integrazione<br />

zootecnica alla tabacchicoltura: rappresenta<br />

<strong>Ta</strong>b.2. <strong>Co</strong>nfronto tra le biometrie delle femmine adulte del 1947 e<br />

quelle attuali


GiorgettiSecondo.qxp 25/02/2008 10.11 Pagina 160<br />

160 Tocci<br />

<strong>Ta</strong>b.3. Principali caratteri morfologici<br />

infatti una forte attrattiva dal punto di vista turistico<br />

e culturale che può dare un valore aggiunto a<br />

tutte le Aziende che si occupano o che intendono<br />

occuparsi di ippicoltura. Recentemente è stata<br />

avviata una prova, finanziata dall'ARSIA, per valutare<br />

le oggettive idoneità alle due attitudini principali,<br />

la sella e gli attacchi.<br />

I primi due cavalli hanno già raggiunto il centro<br />

ippico di addestramento ed i buoni <strong>risultati</strong> ottenuti<br />

nell'ambito delle prime fasi di pratica lasciano<br />

ben sperare sul futuro di questa razza.<br />

Citazioni bibliografiche:<br />

Aia, 2007 http://www.aia.it/.<br />

Il cavallino di Monterufoli...<br />

Arzilli, L.. Cavallino di Monterufoli. In: AA.VV., Risorse genetiche<br />

animali autoctone della Toscana, pp. 191. ARSIA,<br />

FIRENZE, 2006.<br />

Braccini A.. Cavallino di Monterufoli. XLV<strong>II</strong>I, 1-8,<br />

L'Agricoltura italiana, 1947.<br />

Catalano, A.L., 1984. Valutazione morfo-funzionale del cavallo<br />

Igiene ed Etnologia. Goliardica Editrice, Noceto, (PR),<br />

Italy, pp. 143.<br />

Gandini G., Rognoni G.. Atlante etnografico delle popolazioni<br />

equine ed asinine italiane, pp.142. CittàStudiEdizioni.<br />

Milano, Italy, 1997.<br />

Meregalli, A.. <strong>Co</strong>noscenza morfofunzionale degli animali<br />

domestici, pp. 300. Liviana Ed., Padova, Italy, 1980.<br />

Tocci R.. Il cavallino di Monterufoli. Atti Seminario "Le alternative<br />

zootecniche e faunistiche alla coltura del tabacco in<br />

Toscana e Umbria". <strong>Co</strong>rtona, 13 dicembre. In press. 2006<br />

Importanza della tutela della diversità animale.<br />

Caratterizzazione di due razze toscane a rischio estinzione:<br />

il Cavallo di Monterufoli e l'Asino dell'Amiata. Tesi di<br />

Laurea, 2006.<br />

Tocci R., Sargentini C., Giorgetti A., Lorenzini G., Benedettini<br />

A.. il Cavallino di Monterufoli: morfologia e biometria. Atti<br />

del 9° <strong>Co</strong>nv. Nuove acquisizioni in materia di ippologia.<br />

Perugia, 22 giugno 2007.<br />

Tocci R., Sargentini C., Lorenzini G., Degl'Innocenti P., Bozzi<br />

R., Giorgetti A., Morphological characteristics of<br />

"Monterufoli horse". Ital. J. Anim. Sci. 2007 29 May-1 Jun;<br />

6 (1), 657-659. 2007.


GiorgettiSecondo.qxp 25/02/2008 10.11 Pagina 161<br />

Caratteri biometrici dell'Asino dell'Amiata<br />

Tocci R 1<br />

Introduzione<br />

L'asino dell'Amiata può rappresentare una valida<br />

alternativa o integrazione alla tabacchicoltura ove<br />

sia presente un interesse imprenditoriale nei confronti<br />

di attività innovative quali: produzione di<br />

latte non convenzionale, centri agrituristici, centri<br />

ippici di vario tipo. Il latte di asina, anche se purtroppo<br />

non è ancora riconosciuto come alimento<br />

dalla legislazione nazionale, ha caratteristiche<br />

organolettiche molto simili a quelle del latte<br />

umano. <strong>Al</strong> pari di questo infatti presenta un ridotto<br />

contenuto in proteine ed un elevato contenuto in<br />

lattosio e simile è anche il contenuto di sali minerali<br />

(Civardi, 2000); risulta pertanto ideale per<br />

allattare i bambini allergici al latte vaccino e rappresenta<br />

comunque un'alternativa al latte liofilizzato.<br />

Il latte di asina ha inoltre un contenuto di acidi<br />

grassi polinsaturi del tutto simile a quello di donna<br />

ed è molto ricco di lisozima, sieroproteina caratterizzata<br />

da elevate proprietà antibatteriche, in grado<br />

di proteggere il neonato da possibili patologie e che<br />

rende questo prodotto meno deperibile del latte di<br />

mucca (Civardi, 2000). Il latte di asina è infine particolarmente<br />

ricco, in confronto ad altri di diverse<br />

specie animali, di acidi grassi polinsaturi, che svol-<br />

Fig. 1. Asino dell’Amiata<br />

1 CIRSeMAF - Dipartimento di Scienze Zootecniche. Università<br />

degli Studi di Firenze.<br />

Via delle Cascine, 5 - 50144 FIRENZE Tel . +390553288333,<br />

E-mail roberto.tocci@unifi.it<br />

Fig. 2. Puledro dell’Amiata<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 161<br />

gono un ruolo importante per la salute umana ed in<br />

particolar modo per il sistema immunitario ed<br />

hanno capacità antinfiammatorie e di prevenzione<br />

di malattie cardiovascolari (Civardi, 2000).<br />

Nell'ambito delle azioni di recupero di questa<br />

razza in via di estinzione, l'unità di ricerca ha<br />

avviato fin dal 2005 un percorso di caratterizzazione<br />

morfologica teso anche alla ri-definizione degli<br />

standard di razza. In una precedente comunicazione<br />

(Tocci R., 2006) erano stati riportati i primi<br />

<strong>risultati</strong> biometrici provenienti da 11 soggetti. In<br />

questa sede sono presentati gli aggiornamenti eseguiti<br />

con le attività svolte nel periodo 2006/2007.<br />

Materiale e metodi<br />

Sono stati misurati 56 soggetti adulti (48 fattrici e<br />

8 stalloni) presenti in 9 aziende. Su ogni soggetto<br />

sono state effettuate 26 misurazioni (Catalano,<br />

1984). L'altezza al garrese e l'altezza alla groppa<br />

sono state misurate tramite ippometro, le larghezze<br />

con compasso misuratore, le lunghezze e le circonferenze<br />

con nastro metrico. È stato calcolato inoltre<br />

l'Indice <strong>Co</strong>rporeo (Catalano, 1984; Meregalli,<br />

1980). Su tutte le misure, per femmine e stalloni, è<br />

stata calcolata la media, ed è stata inoltre valutata<br />

la frequenza percentuale di alcuni caratteri morfologici.<br />

Risultati e conclusioni<br />

Gli aggiornamenti biometrici relativi all'asino<br />

dell'Amiata hanno confermato e rafforzato l'andamento<br />

già emerso dal precedente studio: le biome-


GiorgettiSecondo.qxp 25/02/2008 10.11 Pagina 162<br />

162 Tocci<br />

<strong>Ta</strong>b. 1. biometrie di femmine e maschi adulti<br />

<strong>Ta</strong>b. 2. principali caratteri morfologici<br />

trie (tab. 1) sono molto simili a quelle riportate nei<br />

vecchi standard di razza e nella bibliografia relativamente<br />

più recente (Gandini G., Rognoni G.,<br />

1997). La popolazione-reliquia attuale, di struttura<br />

corporea meso-dolicomorfa, risulta quindi pratica-<br />

Dati biometrici Asino dell’Amiata...<br />

mente identica, almeno dal punto di vista morfologico,<br />

a quella, ben più numerosa, della prima metà<br />

del secolo scorso. Sono state inoltre confermate<br />

tutte le principali caratteristiche morfologiche<br />

(tab. 2), rappresentate dal mantello sorcino, dalla<br />

croce scapolare, dalle zebrature agli arti, dallo zoccolo<br />

resistente e di colore scuro.<br />

Citazioni bibliografiche<br />

Catalano, A.L., Valutazione morfo-funzionale del cavallo Igiene<br />

ed Etnologia. Goliardica Editrice, Noceto, (PR), Italy, pp.<br />

143, 1984.<br />

Civardi G. Studio del latte di equidi in funzione di un suo utilizzo<br />

in alimentazione umana. Tesi di Dottorato, 2000.<br />

Gandini G., Rognoni G.. Atlante etnografico delle popolazioni<br />

equine ed asinine italiane, pp.142. CittàStudiEdizioni.<br />

Milano, Italy, 1997.<br />

Gianangeli B. Salvaguardia e valorizzazione del germoplasma<br />

autoctono toscano: caratterizzazione morfologica dell'asino<br />

dell'Amiata. Tesi di Laurea, 2006.<br />

Meregalli, A.. <strong>Co</strong>noscenza morfofunzionale degli animali<br />

domestici, pp. 300. Liviana Ed., Padova, Italy, 1980.<br />

Tocci R.. L'Asino dell'Amiata. Atti Seminario "Le alternative<br />

zootecniche e faunistiche alla coltura del tabacco in<br />

Toscana e Umbria". <strong>Co</strong>rtona, 13 dicembre. In press. 2006


GiorgettiSecondo.qxp 25/02/2008 10.11 Pagina 163<br />

Premessa<br />

L'attribuzione di una popolazione numericamente<br />

molto ridotta a un tipo genetico antico, sul quale<br />

non sono possibili acquisizioni provenienti dalla<br />

genetica molecolare, è sempre molto difficoltosa.<br />

Mancando una base genetica di riferimento il percorso<br />

di accertamento della sopravvivenza della<br />

razza deve necessariamente seguire vie più complesse<br />

e orientate in diverse direzioni: analisi storica;<br />

testimonianze scritte o orali; rilievi morfologici<br />

sui presunti superstiti e loro confronto con il<br />

materiale iconografico esistente e con i dati biometrici<br />

reperibili in letteratura riguardanti la razza;<br />

analisi genetiche <strong>dei</strong> presunti superstiti confrontate<br />

con quelle di razze ancora esistenti, vicine dal<br />

punto di vista fenotipico e/o geografico, per escludere<br />

l'appartenenza <strong>dei</strong> superstiti alle stesse, come<br />

semplici ecotipi locali. Questo approccio è stato<br />

seguito anche per la razza suina Macchiaiola<br />

maremmana.<br />

L'analisi storica<br />

<strong>Co</strong>me tutte le antiche razze suine italiane, ampiamente<br />

rappresentate fino alla prima metà del secolo<br />

scorso, la Macchiaiola deriva da materiale genetico<br />

autoctono, con successiva, parziale introgressione<br />

genetica di suini orientali. Informazioni ottenute<br />

da reperti osteologici di siti neolitici ubicati<br />

nell'alto Lazio e in Toscana sembrano suggerire<br />

una domesticazione locale di cinghiali che escluderebbe<br />

l'introduzione di maiali coevi già domestici,<br />

caratterizzati da parametri somatici diversi<br />

(<strong>Ta</strong>gliacozzo, 2002). <strong>Co</strong>n l'affermarsi della civiltà<br />

Etrusca, l'allevamento del maiale divenne predominante<br />

su quello delle altre specie e anche dopo l'occupazione<br />

romana l'allevamento in Toscana continuò<br />

a basarsi soprattutto sui suini, con sistemi di<br />

allevamento intensivi nelle aree suburbane ed<br />

estensivi nelle foreste quercine di pianura o nei<br />

boschi misti di collina. Dopo la caduta dell'Impero<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 163<br />

Un'antica razza da salvare: il maiale Macchiaiolo maremmano<br />

Giorgetti 1 , Gallai S 1 , Ciani F 2 , Sargentini C 1 , Lorenzini G 1 , Tocci R 1<br />

1 CIRSeMAF - Dipartimento di Scienze Zootecniche. Università<br />

degli Studi di Firenze.<br />

Via delle Cascine, 5 - 50144 FIRENZE . Tel . +390553288356<br />

E-mail alessandro.giorgertti@unifi.it<br />

2 <strong>Co</strong>nSDABI (<strong>Co</strong>nsorzio per la Sperimentazione, Divulgazione e<br />

Applicazione di Biotecniche Innovative) - National Focal Point<br />

FAO - Benevento<br />

Fig. 1. Maiali di razza Macchiaiola<br />

Romano, la forte contrazione <strong>dei</strong> coltivi a vantaggio<br />

<strong>dei</strong> boschi offrì spazio abbondante all'allevamento<br />

brado, soprattutto suino (Ciani, 2003),<br />

retaggio dell'allevamento estensivo dell'epoca<br />

romana e prediletto dai Longobardi. I maiali<br />

medievali, progenitori delle razze autoctone italiane<br />

erano abbastanza diversi da quelli della precedente<br />

epoca romana e assomigliavano di più ai cinghiali,<br />

a causa del frequente accoppiamento fra<br />

scrofe domestiche e verri selvatici che numerosi<br />

popolavano ovunque gli habitat toscani. Nella<br />

seconda metà del XV<strong>II</strong> secolo maiali orientali furono<br />

importati in Italia per essere incrociati con le<br />

popolazioni suine primitive indigene; il successivo<br />

esteso meticciamento che si diffuse in tutto il paese<br />

dette origine a varietà locali, le vere progenitrici<br />

delle attuali razze autoctone.<br />

La Macchiaiola maremmana moderna e il<br />

suo recupero<br />

La Macchiaiola maremmana fino agli inizi del XX<br />

secolo era diffusa in tutta la Toscana e Mascheroni<br />

ne descrive le caratteristiche morfologiche e i principali<br />

parametri biometrici (Mascheroni, 1927).<br />

Negli anni '30 la razza fu anche incrociata, a scopo<br />

di sostituzione, con la Cinta senese, ma fortunatamente<br />

la sostituzione non fu integrale. E' stato così<br />

possibile avviare un percorso di studio, indagine e<br />

ricerca volto a: 1) verificare la corrispondenza<br />

morfologica tra i soggetti recuperati e il materiale<br />

iconografico e scritto relativo alla razza; 2) preparare<br />

standard fenotipici aggiornati, attraverso rile-


GiorgettiSecondo.qxp 25/02/2008 10.11 Pagina 164<br />

164 Giorgetti et al<br />

Il maiale Macchiaiolo maremmano...<br />

vazioni periodiche del peso e degli altri parametri<br />

biometrici alle diverse età; 3) eseguire una caratterizzazione<br />

genetica (in collaborazione con il<br />

<strong>Co</strong>nSDABI), finalizzata a: i) verificare la distanza<br />

genetica tra questi soggetti e la razza Cinta senese;<br />

ii) verificare la distanza genetica tra questi soggetti<br />

e le altre razze autoctone italiane; iii) misurare il<br />

grado di somiglianza genetica con le altre razze<br />

autoctone e stabilire le relazioni filogenetiche.<br />

Tutte queste attività sono attualmente in corso di<br />

esecuzione. Per quanto riguarda in particolare il<br />

punto 1., le caratteristiche morfologiche di oltre 60<br />

soggetti (circa 20 riproduttori tra maschi e femmine)<br />

appartenenti a 5 diversi allevamenti di 4 province<br />

toscane, hanno soddisfatto i parametri morfologici<br />

considerati tipici della razza; a parte alcune<br />

affinità con la Cinta senese, le forme del<br />

Macchiaiolo rispettano i canoni caratteristici di<br />

suini più carnaioli, rotondi e con profili relativamente<br />

convessi. Per quanto riguarda il punto 2.<br />

sono stati eseguiti rilievi biometrici su 12 soggetti<br />

di diverso sesso e differente età; nonostante si tratti<br />

di un numero esiguo le misure corrispondono a<br />

quelle riportate da Mascheroni nel 1927. Per quan-<br />

to riguarda infine il punto 3. è iniziata, su 18 soggetti,<br />

la raccolta di sangue e di pelo, matrici dalle<br />

quali è stato estratto il DNA per le analisi genetiche.<br />

I primi <strong>risultati</strong> sembrano confermare l'appartenenza<br />

a un gruppo genetico a sé stante, diverso in<br />

particolare dalle altre razze autoctone toscane, e<br />

l'esistenza di livelli di eterozigosi sufficienti ad<br />

intraprendere un'opera di selezione e miglioramento<br />

genetico per il recupero e la valorizzazione di<br />

questa antica, nobile razza.<br />

Citazioni bibliografiche.<br />

<strong>Al</strong>derson L. "The change to survive. Rare breeds in a changing<br />

world". Ed. Cameron & <strong>Ta</strong>yleur. London. 1978.<br />

Ciani F. "Evoluzione storica <strong>dei</strong> tipi genetici autoctoni suini, a<br />

rischio di estinzione o in stato di abbandono, dell'Emilia<br />

Romagna: strategie di recupero, conservazione e valorizzazione".<br />

In Atti del Seminario di Studio "La cultura delle<br />

produzioni suine nel territorio della Val d'Enza", 16 settembre.<br />

<strong>Co</strong>mune di Bibbiano (RE). 2003.<br />

Morton J.R. "Birth of the British pig". In "The ARK",<br />

Settember; Ed. Rare Breeds Survival Trust. Kenilworth<br />

(GB). 312-314. 1987.<br />

<strong>Ta</strong>gliacozzo A. " L' allevamento e l'alimentazione di origine animale<br />

tra il Neolitico e l'età <strong>dei</strong> metalli : i dati archeozoologici".<br />

In "Storia dell'Agricoltura Italiana, l'Età Antica",<br />

Accademia <strong>dei</strong> Georgofili. Ed. Polistampa. Firenze. 2002.


GiorgettiSecondo.qxp 25/02/2008 10.11 Pagina 165<br />

Premessa<br />

A partire dai dati riportati in una precedente comunicazione<br />

(Gallai S. et al, 2006) è stato effettuato<br />

un censimento completo nella provincia di<br />

Grosseto.<br />

Materiali e metodi<br />

Sono stati visitati tutti gli allevamenti ovini della<br />

provincia di Grosseto nei quali era stata segnalata<br />

la presenza della razza. Tutti i soggetti presenti<br />

sono stati esaminati sotto l'aspetto morfologico e<br />

sono state raccolte notizie e informazioni sulle<br />

aziende e sugli animali in esse presenti attraverso<br />

incontri e colloqui con gli allevatori.<br />

Risultati e discussione<br />

Sono stati individuati 18 allevamenti, con una<br />

popolazione complessiva, morfologicamente assegnabile<br />

al tipo genetico "Pecora dell'Amiata", di<br />

1282 pecore e 36 montoni. La consistenza della<br />

razza, ancorché modesta, risulterebbe quindi di<br />

gran lunga superiore rispetto a quanto ipotizzato in<br />

una precedente comunicazione (Gallai et al, 2006).<br />

In tutti i soggetti la testa appare leggera con profilo<br />

rettilineo o appena convesso; le orecchie sono<br />

piccole e portate orizzontalmente; il collo è esile. Il<br />

vello si presenta semi-chiuso, a bioccoli conici, di<br />

colore bianco sporco; solo il ventre e la parte distale<br />

degli arti (avambraccio e gamba anatomica)<br />

sono scoperti. La lana copre parzialmente le guance<br />

e non supera il sincipite. Tutte queste caratteristiche<br />

sono perfettamente corrispondenti agli standard<br />

dell'antica popolazione. <strong>Co</strong>ntrariamente a<br />

quanto segnalato in passato (anni '30), non sono<br />

invece state riscontrate macchie nere o marroni sul<br />

vello, peraltro presenti nella prima metà del secolo<br />

scorso su un numero esiguo di soggetti; dal punto<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 165<br />

Una razza antica da salvare: la pecora dell'Amiata e delle<br />

Crete senesi<br />

Giorgetti 1 , Gallai S 1 , Ciani F 2 , Sargentini C 1 , Lorenzini G 1 , Tocci R 1 ,<br />

Diodato F 1<br />

1 CIRSeMAF - Dipartimento di Scienze Zootecniche. Università<br />

degli Studi di Firenze.<br />

Via delle Cascine, 5 - 50144 FIRENZE . Tel . +390553288356<br />

E-mail alessandro.giorgertti@unifi.it<br />

2 <strong>Co</strong>nSDABI (<strong>Co</strong>nsorzio per la Sperimentazione, Divulgazione e<br />

Applicazione di Biotecniche Innovative) - National Focal Point<br />

FAO - Benevento<br />

Fig.1. Gregge di pecore dell’Amiata<br />

di vista della pigmentazione la popolazione attuale<br />

si presenta quindi più omogenea. Parzialmente<br />

diversa è la situazione riguardante le corna.<br />

Normalmente le femmine di pecora dell'Amiata<br />

erano acorni ed in effetti tutte le 1282 pecore assegnate<br />

alla razza sono prive di corna. Dei 36 montoni<br />

presenti invece solo poco più della metà (19)<br />

sono cornuti, mentre nel secolo scorso la percentuale<br />

<strong>dei</strong> maschi con corna superava il 90%. Si<br />

pone quindi il problema di un'accettazione di tali<br />

soggetti i quali, pur presentando morfologia tipica<br />

della pecora dell'Amiata, sono sprovvisti delle<br />

corna, carattere che si potrebbe considerare distintivo<br />

della razza. Poiché però anche in passato, sia<br />

pure con incidenza minore, erano presenti montoni<br />

acorni, sembra opportuno, in questa fase di ridotta<br />

numerosità, non scartare a priori questi soggetti ma<br />

utilizzarne i migliori, con cautela e parsimonia, al<br />

fine di non perdere complessi genici . D'altra parte<br />

storicamente è presente nella razza una certa variabilità,<br />

anche nell'ambito dello stesso allevamento,<br />

retaggio di antichi apporti genetici di diverse razze<br />

o razze-popolazioni. Ancora negli anni '30 si osservavano<br />

sul Monte Amiata, e in particolare sul<br />

Monte Labbro, individui fortemente merinizzati<br />

tendenti in modo spiccato al tipo "maremmano",<br />

caratterizzati da una taglia ridotta, da una buona<br />

produzione di latte e di lana e relativamente omogenei.<br />

Nei greggi del versante senese invece la


GiorgettiSecondo.qxp 25/02/2008 10.11 Pagina 166<br />

166<br />

Giorgetti et al<br />

Fig.2. Pecora dell’Amiata<br />

La pecora dell’amiata...<br />

popolazione era più eterogenea e spesso molti soggetti<br />

presentavano sproporzioni fra altezza degli<br />

arti e tronco, copertura lanosa più limitata e produzione<br />

lattifera più scarsa; per questo vi furono<br />

anche occasionali incroci con la Bergamasca e<br />

L'Ile de France. La popolazione moderna di pecora<br />

dell'Amiata sembra molto più simile a quella più<br />

gentile del monte Labbro.


GiorgettiSecondo.qxp 25/02/2008 10.11 Pagina 167<br />

Introduzione<br />

Per valutare le potenzialità produttive dell'allevamento<br />

biologico caprino per la produzione di latte<br />

destinato alla caseificazione aziendale, che può<br />

rappresentare, in particolari situazioni, un' alternativa<br />

o una fonte integrativa importante alla coltivazione<br />

del tabacco in alcune zone della Toscana<br />

(Lorenzini et al., 2006), sono state analizzate due<br />

aziende che sembrano ottenere positivi <strong>risultati</strong><br />

economici.<br />

Materiali e metodi<br />

Le aziende studiate sono L'Azienda S. Margherita<br />

(1), in provincia di Siena, e l'Azienda Podere Le<br />

Fornaci (2), in provincia di Firenze. La prima, che<br />

ha avviato l' attività da oltre 10 anni, ha un gregge<br />

più numeroso, la cui età media è più elevata di<br />

quella dell'allevamento Le Fornaci. S. Margherita<br />

alleva inoltre da diversi anni la razza Girgentana,<br />

più rustica ma anche meno produttiva della<br />

Camosciata, allevata nel Podere Le Fornaci. Sono<br />

stati rilevati: forma di possesso e tipo di conduzione;<br />

ubicazione altimetrica e superficie aziendale;<br />

consistenza e composizione del gregge; alimentazione;<br />

produzioni e canali di vendita.<br />

Risultati e discussione<br />

Le due aziende differiscono per titolo di possesso e<br />

forma giuridica. La 1 è azienda familiare di proprietà<br />

dell'allevatore mentre la 2 è una società semplice<br />

con terreni in affitto; entrambe sono a condu-<br />

<strong>Progetto</strong> <strong>Co</strong>.<strong>Al</strong>.<strong>Ta</strong>. <strong>II</strong> 167<br />

L’allevamento biologico della capra da latte: studio di due<br />

aziende toscane<br />

Lorenzini G 1 , Martini A 1 , SargentiniC 1 , Giorgetti A 1<br />

<strong>Ta</strong>b. 1. Produzioni di latte<br />

1 CIRSeMAF - Dipartimento di Scienze zootecniche<br />

dell'Università di Firenze, via delle Cascine, 5. 50144 Firenze.<br />

Tel. 055 3288357. Fax 055 321216.<br />

e-mail g.lorenzini@unifi.it<br />

zione diretta con salariati. Le due aziende, a fronte<br />

di una superficie a pascolo uguale (20 ha) e sufficiente<br />

alle esigenze delle greggi, mostrano una<br />

notevole differenza di estensione sia della superficie<br />

totale (80 ha la 1 e 30 ha la 2) che di quella<br />

destinata alle colture foraggere (20 ha vs 6 ha). Ciò<br />

influenza notevolmente non solo la composizione<br />

delle razioni adottate ma soprattutto i costi di allevamento:<br />

mentre la 2 deve ricorrere all'acquisto<br />

non solo della quasi totalità <strong>dei</strong> concentrati ma<br />

anche di buona parte del fieno, l'azienda 1 è pressoché<br />

autosufficiente. I due allevamenti hanno<br />

livelli produttivi unitari diversi, più elevati nella 2<br />

a causa della scelta di una razza ad alta specializzazione,<br />

ma la differente consistenza delle greggi fa<br />

sì che le produzioni annuali siano abbastanza simili<br />

(tab. 1). Entrambe le aziende si sono dotate di un<br />

caseificio aziendale nel quale trasformano direttamente<br />

il proprio latte. I prezzi effettuati<br />

dall'Azienda 1 sono più elevati e uguali per ogni<br />

tipo di formaggio, mentre l'Azienda 2 pratica prezzi<br />

variabili in base alla stagionatura, come mostrato<br />

in tabella 2. Per quanto riguarda i canali di vendita<br />

(tab. 3) le differenze sono dovute alla diversa<br />

localizzazione delle aziende. Il Podere Le Fornaci,<br />

in Chianti e quindi vicino a Firenze, riesce a commercializzare<br />

direttamente il prodotto in fiere e/o<br />

mercati di prodotti biologici e tipici locali con<br />

cadenza per lo più fissa durante l'anno. L'azienda S.<br />

Margherita, più lontana da grossi centri abitati, ha<br />

attivato invece varie forme di vendita tra le quali la<br />

fornitura ai ristoranti<br />

occupa la percentuale<br />

più importante. La<br />

vendita <strong>dei</strong> capretti,<br />

pur essendo secondaria<br />

rispetto al formaggio<br />

e concentrata in un<br />

periodo relativamente<br />

breve, rappresenta una<br />

voce non trascurabile delle entrate delle due aziende.<br />

Nel periodo prossimo alla Pasqua, quando la<br />

richiesta è maggiore, il prezzo spuntato per i<br />

capretti macellati e preparati per la vendita in ottavi,<br />

è intorno ai 14 €/kg.


GiorgettiSecondo.qxp 25/02/2008 10.11 Pagina 168<br />

168 Lorenzini et al<br />

<strong>Ta</strong>b. 2. Prezzi di vendita del latte e <strong>dei</strong> formaggi a vario grado di<br />

stagionatura<br />

<strong>Ta</strong>b. 3. Canali di vendita<br />

L’allevamento biologico della capra da latte...<br />

Citazioni bibliografiche<br />

Piano zootecnico regionale (2000)<br />

AAVV. Il germoplasma della Toscana tutela e valorizzazione.<br />

- Atti del convegno. Arsia,1999<br />

Lorenzini G., Martini A., Sargentini C., Giorgetti<br />

A. L'allevamento della capra da latte: struttura dell'allevamento<br />

biologico. Seminario "Le alternative<br />

zootecniche e faunistiche alla coltura del tabacco in<br />

Toscana e Umbria", <strong>Co</strong>rtona, 13 dicembre, 2006

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