THESAURUS LITTERARUM LITTERARUM - AbleMedia
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Thesaurus<br />
Thesaurus<br />
Litterarum<br />
Litterarum<br />
Strumenti e Sussidi didattici per lo studio<br />
della letteratura latina<br />
by<br />
Michelarcangelo Galli
© 2009 by Michelarcangelo Galli.<br />
All rights reserved. Published online only.<br />
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L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
capitolo primo<br />
Gli avvenimenti storici:<br />
dalla morte di Silla (78 a.C.)<br />
alla morte di Cesare (44 a.C.)<br />
1. L’ascesa politica di Pompeo e le sue imprese militari (76-62 a.C.)<br />
Dopo la morte di Silla si ebbe una ripresa delle forze democratiche, in reazione<br />
a quei provvedimenti adottati dal dittatore, che più avevano contribuito a<br />
rafforzare il partito aristocratico.<br />
M. Emilio Lepido, uno dei consoli del 78 a.C., diede inizio all’azione di ripresa<br />
politica del partito democratico, proponendo l’abolizione delle leggi restrittive dei<br />
poteri del tribunato della plebe. Poi, nel 77 a.C., scoppiata in Etruria una ribellione<br />
ad opera di coloro che colà più erano stati danneggiati dalle confische sillane,<br />
Lepido, messosi a capo di queste forze, mosse contro Roma. Per stroncare<br />
il tentativo insurrezionale di Lepido, il senato affidò il comando dell’esercito al -<br />
l’ex console Q. Lutazio Càtulo ed a Gn. Pompeo, che ottenne l’imperium in via<br />
del tutto eccezionale, non avendo prima rivestito alcuna ma gistratura 1. Lepido fu<br />
sconfitto presso Roma, ma riuscì tuttavia a riti rarsi in Sardegna e, di lì, passò poi<br />
con le sue forze in Spagna, do ve ancora combattevano le superstiti resistenze<br />
mariane. Queste forze di resistenza democratica operanti in Spagna erano guidate<br />
da Q. Sertorio, che, in qualità di governatore, aveva creato colà un solido<br />
or ganismo politico, ostile al governo di Roma. Pompeo, nominato pro-con sole con<br />
funzioni di governatore della Spagna Citeriore, qui si tra sferì agli inizi del 76 a.C.,<br />
per condurre la guerra contro Sertorio (76-72 a.C.). Dopo una serie di alterne<br />
vicende, la guerra si concluse nel 72 a.C., allorché Sertorio venne ucciso da un<br />
suo luogotenente.<br />
Intanto era scoppiata in Italia la cosiddetta guerra dei gladiatori (73-71 a.C.).<br />
Nel 73 a.C. Spartaco, un gladiatore trace, aveva dato inizio alla rivolta dei gladiatori<br />
contro il governo di Roma, inducendo i suoi compagni a fuggire per recuperare<br />
la loro libertà e di gnità di uomini. In breve tempo si era formato intorno<br />
a Spartaco un consistente esercito di schiavi, che per due anni aveva percorso<br />
le regioni centro-meridionali della penisola, sconfiggendo spesso gli eserciti romani<br />
e provocando stragi e devastazioni. Solo nel 71 a.C., ad opera del proconsole M.<br />
Licinio Crasso, ch’era stato con Pompeo uno dei più validi luogotenenti di Silla,<br />
si ottenne la sconfitta in battaglia degli schiavi e l’uccisione di Spartaco. Nello<br />
stesso anno, i superstiti, che cercavano scampo muovendo verso l’Italia settentrionale,<br />
s’imbatterono in Pompeo che tornava dalla Spagna e furono da lui sterminati.<br />
Qualche anno dopo, nel 67 a.C., Pompeo ottenne il co mando della guerra<br />
contro i pirati che infestavano il Mediterraneo e in soli tre mesi riuscì a sgomi-<br />
Il tentativo<br />
insurrezionale<br />
di Lepido (77<br />
a.C.)<br />
Pompeo<br />
ottiene<br />
l’imperium<br />
La guerra<br />
contro Sertorio<br />
(76-72 a.C.)<br />
La guerra dei<br />
gladiatori<br />
(73-71 a.C.)<br />
La guerra<br />
contro i pirati<br />
(67 a.C.)<br />
1. Gn. Pompeo si era distinto, precedentemente, nelle imprese compiu te quale generale al fianco di<br />
Silla.
Pompeo<br />
conclude<br />
la II guerra<br />
mitridatica<br />
(67-63 a.C.)<br />
Catilina tenta<br />
la carriera<br />
politica<br />
Il consolato di<br />
Cicerone<br />
(63 a.C.)<br />
La congiura di<br />
Catilina<br />
(63-62 a.C.)<br />
La condanna<br />
a morte e la<br />
sconfitta dei<br />
congiurati<br />
2 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
narli. Infine, portò a conclusione la II guerra mitridatica (74-63 a.C.) 2, negli anni<br />
67-63 a.C., sconfiggendo definitivamente, nel 64 a.C., Mitridate (poi morto suicida<br />
l’anno succes sivo) e trasformando il suo regno, unito alla Bitinia, in provincia<br />
romana (prov. di Bitinia-Ponto). Nello stesso anno 64 a.C., intervenne in<br />
Siria dove, deposto l’ultimo dei Seleucidi, Antioco XIII l’Asiatico, creò una nuova<br />
provincia romana. Infine, passato in Palestina per regolare una contesa dinastica,<br />
occupò Gerusalenune e ridusse l’intero paese a Stato vassallo di Roma. Sistemate<br />
le cose in Asia Minore, nel 62 a.C. Pompeo poteva tornare in Italia, ormai carico<br />
di gloria e al l’apice della fortuna. Per i grandi meriti acquisiti, già Silla gli aveva<br />
conferito il titolo di Magno.<br />
2. Cicerone e la congiura di Catilina (63-62 a.C.)<br />
Di antica famiglia patrizia, L. Sergio Catilina, dilapidata la sua fortuna economica<br />
con una vita dissoluta, aveva deciso di ricostrui re il patrimonio tentando<br />
la carriera politica.<br />
Già nel 65 a.C. ave va avanzato la sua candidatura al consolato, ma a causa<br />
della rapacità mostrata in occasione dei suoi due anni di governatorato nella provincia<br />
d’Africa, il senato non lo aveva ammesso alle elezioni. Sostenuto da Crasso,<br />
Catilina ripresentò la sua candidatura al consolato per l’an no 63 a.C. Ma, dati i<br />
precedenti, la nobiltà romana preferì sostene re l’altro candidato che gli si opponeva,<br />
l’homo novus Cicerone. Fu eletto console Cicerone. Nell’estate del 63 a.C.<br />
Catilina presentò di nuovo la sua candidatura per l’anno successivo, ma fu di<br />
nuovo contrastato e battuto. Decise allora d’impadronirsi del potere con le armi.<br />
Pertanto, ordì una congiura, promuovendo una serie di azioni terroristiche, che<br />
avrebbero dovuto portare anche all’assassinio del lo stesso Cicerone. Questi,<br />
denunciata la congiura in senato, otteneva l’autorizzazione a procedere contro<br />
Catilina. Ma, non avendo prove sicure, il console si limitò ad attaccare Catilina<br />
in senato, pronunciando una famosa invettiva (la I Catilinaria) e costringendolo<br />
ad allontanarsi da Roma. Catilina raggiungeva a Fiesole le bande armate che un<br />
altro congiurato stava organizzando per muovere contro Roma. Intanto, gli altri<br />
congiurati rimasti in città continuavano a tramare contro lo Stato.<br />
L’anno successivo, nel 62 a.C., raccolte prove più concrete contro i congiurati,<br />
Cicerone li fece arrestare, lasciando poi che fosse il senato a decidere della<br />
loro sorte. Tra la proposta di condanna più mite avanzata da Cesare e quella più<br />
intransigente propugnata da Catone, prevalse quest’ultima: i congiurati furono<br />
condannati a morte, con esecuzione immediata. Qualche mese dopo, presso<br />
Pistoia, venivano affrontate e sterminate in battaglia le bande armate di Catilina.<br />
Questi, combattendo, morì sul campo.<br />
Molte lodi vennero a Cicerone per l’azione risoluta condotta a difesa della<br />
repubblica, molte più egli stesso se ne diede, in ogni occasione esaltando il suo<br />
consolato.<br />
2. La I guerra mitridatica (88-85 a.C.), condotta<br />
vittoriosamente da Silla, si era conclusa nell’85<br />
a.C., con la pace di Dàrdano. Ma, nono stante la<br />
sconfitta, Mitridate, il re del Ponto, non aveva mai<br />
ab bandonato le sue mire espansionistiche sulle<br />
regioni dell’Asia Minore. Infatti, alla morte di<br />
Nicomede IV, ultimo re di Bitinia, il quale aveva<br />
lasciato in eredità il suo regno al popolo romano,<br />
non esitò ad occupare il paese. La reazione immediata<br />
di Roma portò al lo scoppio della II guer-<br />
ra mitridatica, nell’anno 74 a.C. La guerra si svolse<br />
in due fasi: nella prima fase, dal 74 al 67 a.C.,<br />
il comando militare fu affidato ai consoli Aurelio<br />
Cotta e Licinio Lucullo; ma Cotta nel 71 tornò in<br />
patria e rimase solo Lucullo a continuare la guerra<br />
ottenendo alcuni successi parziali; nella seconda<br />
fase, dal 67 al 63 a.C., il comando venne<br />
affidato a Pompeo, che riuscì a concludere vittoriosamente<br />
la guerra.
cap. I - Gli avvenimenti storici: dalla morte di Silla (78 a.C.) alla morte di Cesare (44 a.C.) 3<br />
3. L’ascesa politica di Cesare e il I triumvirato (Cesare, Pompeo, Crasso) (60<br />
a.C.)<br />
Negli anni in cui Pompeo era impegnato in Oriente incominciava in Roma<br />
l’ascesa politica di G. Giulio Cesare.<br />
Questi, nonostante la di scendenza dalla nobilissima famiglia Giulia, già in<br />
occasione delle lotte tra Mario e Silla aveva manifestato la sua propensione per<br />
il partito democratico, simpatizzando con la fazione mariana. Sostenuto dalla<br />
parte popolare, Cesare diventa ora il maggiore esponente del partito democratico,<br />
opponendosi alle forze politiche conservatrici costituite dall’oligarchia nobiliare,<br />
rappresentata dal potere e dal l’autorità del senato. La prima abilissima<br />
mossa politica di Cesare ai fini della propria carriera politica, fu la ricerca di<br />
un’intesa con i due più potenti politici di quegli anni: Gn. Pompeo e Licinio Crasso.<br />
Tornato in Italia nel 62 a.C., Pompeo era rimasto deluso dalle decisioni del<br />
senato, che non aveva voluto approvare gli atti da lui emanati in Oriente, né<br />
aveva acconsentito ad assegnare terre ai suoi veterani. Quanto a Crasso, si era<br />
già schierato dalla parte demoecratica qualche anno prima, sostenendo la candidatura<br />
al consolato di Cati lina, e ora era anch’egli in rotta col senato. Non<br />
risultò quindi diff icile a Cesare trovare, in questo periodo, sia nell’uno, sia nell’altro,<br />
dei naturali alleati nella lotta contro il senato.<br />
Nell’anno 60 a.C., Cesare, posta la sua candidatura al consolato per il 59<br />
a.C., chiese ed ottenne l’appoggio di Pompeo e quello di Crasso, avendo stretto<br />
con essi un’intesa segreta, in virtù della quale i tre politici si impegnavano a<br />
sostenersi reciprocamente, operando in modo che nulla accadesse nella vita dello<br />
Stato, che potesse risultare a danno di ciascuno di essi 3. Nasceva così il I triumvirato<br />
4.<br />
Eletto console nel 59 a.C., Cesare provvedeva subito a realizzare il programma<br />
politico s egretamente concordato con i suoi due autorevoli alleati e sostenitori.<br />
Pertanto, vennero ratificati gli atti emanati da Pompeo in Oriente e distribuite<br />
terre ai proletari e ai veterani di Pompeo. Anche Crasso ottenne l’approvazione<br />
di quei provvedimenti di legge ai quali era particolarmente interessato, come, ad<br />
esempio, la riduzione del canone delle imposte che si riscuotevano dalla provincia<br />
d’Asia. Per se stesso, Cesare ottenne, su proposta del tribuno P. Vatinio,<br />
un imperium proc onsolare della durata di cinque anni e riuscì a fare allontanare<br />
dal senato i due maggiori esponenti dei conservatori, Cicerone, fatto esiliare nel<br />
58 a.C., avvalendosi dell’opera del tribuno Publio Clodio 5, e Catone, fatto inviare<br />
in missione a Cipro, con l’incarico di provvedere all’annessione dell’isola.<br />
4. Cesare conquista la Gallia (58-51 a.C.)<br />
La legge Vatinia assegnava a Cesare per cinque anni l’imperium proconsolare<br />
nell’Illirico e nella Gallia Cisalpina (cioè la regione italiana posta a nord della<br />
linea Arno-Rubicone). Ma, in seguito, Cesare era riuscito ad ottenere anche il proconsolato<br />
della Provincia (Provenza), detta anche Gallia Narbonese (dalla città di<br />
3. L’accordo tra Cesare e Pompeo fu suggellato<br />
dal matrimonio fra Pompeo e Giulia, figlia di<br />
Cesare.<br />
4. In realtà la definizione di «triumvirato» è impropria,<br />
trattandosi di un’intesa privata, segretamente<br />
concordata fra i tre politici.<br />
Legittima invece è la definizione di «triumvirato»<br />
data al «secondo», stipulato da Lepido, Antonio<br />
Cesare<br />
esponente del<br />
partito<br />
democratico<br />
L’intesa<br />
politica con<br />
Pompeo e<br />
Crasso: il<br />
I triumvirato<br />
(60 a.C.)<br />
L’elezione di<br />
Cesare al<br />
consolato<br />
(59 a.C.)<br />
L’esilio di<br />
Cicerone<br />
(58 a.C.)<br />
Cesare ottiene<br />
il proconsolato<br />
della Gallia<br />
Narbonese<br />
e Ottaviano, in quanto esso ri spondeva ad un potere<br />
politico triumvirale legalmente riconosciuto.<br />
5. Eletto tribuno nel 58 a.C., Clodio, nemico giurato<br />
di Cicerone, fece passare una legge che comminava<br />
l’esilio a chi avesse mandato a morte cittadini<br />
romani senza seguire le normali vie procedurali:<br />
ciò significava e comportava la sicura<br />
condanna di Cicerone.
Ripartizione<br />
della Gallia<br />
indipendente<br />
La conquista<br />
della Gallia<br />
(58-56 a.C.)<br />
L’insurrezione<br />
della Gallia<br />
(53 a.C.)<br />
La Gallia<br />
provincia<br />
romana<br />
(51 a.C.)<br />
Il ritorno di<br />
Cicerone<br />
dall’esilio<br />
(57 a.C.)<br />
Il convegno di<br />
Lucca (56<br />
a.C.)<br />
La morte di<br />
Crasso (53<br />
a.C.)<br />
Pompeo si<br />
accorda col<br />
senato a<br />
danno di<br />
Cesare<br />
(52 a.C.)<br />
4 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
Narbona) e qui, in Gallia, si spostò il suo interesse, per compiervi quelle imprese<br />
militari di conquista alle quali da tempo aspirava. La Gallia ancora indipendente<br />
era costituita da tre parti: 1) la Gallia celtica (la regione più centrale ed estesa),<br />
che andava dalla Garonna alla Senna; 2) la Gallia belgica (a Settentrione), che<br />
si estendeva dalla Senna al Reno; 3) l’Aquitania (a Sud), dai Pirenei alla Garonna.<br />
Le operazioni militari di conquista della Gallia iniziarono nei 58 a.C., allorché<br />
Cesare intervenne contro gli Elvezi che minacciavano di invadere la provincia<br />
Narbonese. Battuti questi, egli si rivolse contro gli Svevi, una popolazione germanica<br />
che, guidata dal re Ariovisto, si era insediata da oltre dieci anni nella<br />
Gallia celtica, angariando le popolazioni celtiche dei Sèquani e degli Edui. Ariovisto<br />
fu sconfitto e costretto a ripassare il Reno. Cesare era riuscito così ad assicurarsi<br />
l’alleanza e il favore dalle genti della Gallia centrale. Nel 57 e 56 a.C. si<br />
ebbero, infine, le campagne di Cesare nella Gallia Settentrionale contro le bellicose<br />
tribù belgiche, che furono debellate.<br />
Sicché, in soli due anni (58-56 a.C.), Cesare era riuscito ad estendere il<br />
dominio romano su tutta la Gallia. In seguito, tuttavia, per proteggere la sua conquista<br />
egli dovette organizzare due spedizioni militari contro i Germani abi tanti<br />
al di là del Reno, che nel 55 a.C. avevano invaso la Gallia Settentrionale, e altre<br />
due spedizioni contro i Britanni (55-54 a.C), per troncare le relazioni tra questi<br />
e i Galli che da essi ricevevano aiu ti e sostegni per scuotere il giogo romano.<br />
Tutte le spedizioni militari si risolsero in altrettanti successi militari per Cesare.<br />
Ma nel 53 a.C., egli dovette subito rientrare in Gallia, dove intanto era scop -<br />
piata, capeggiata da Vercingetorìge, l’insurrezione antiromana di tutte le popolazioni<br />
galliche. Vercingetorìge fu assediato e sconfitto da Ce sare ad Alesia nel 52<br />
a.C. L’anno dopo, nel 51 a.C., tutti i focolai di resistenza gallica erano spenti e<br />
l’intera Gallia, riconquistata, diventava provincia romana.<br />
5. La guerra civile tra Cesare e Pompeo (49-45 a.C.)<br />
Partito Cesare per la Gallia (58 a.C.), venne a crearsi in Roma un movimento<br />
favorevole al richiamo di Cicerone dall’esilio. Osteggiato dall’irriducibile Clodio,<br />
ma appoggiato dallo stesso Pompeo e sostenuto dal tribuno Annio Milone, il movimento<br />
riuscì ad ottenere il ritorno di Cicero ne dall’esilio nell’anno 57 a.C.<br />
Intanto incominciavano a sorgere moti vi di disaccordo tra i triumviri e di ciò<br />
approfittava il senato per osteggiarli nelle loro iniziative politiche. Nel convegno<br />
di Lucca del 56 a.C., Cesare riuscì a ritessere le fila del triumvirato, rinnovando<br />
l’intesa. In virtù dei rinnovati accordi si ebbe che Pompeo e Crasso divennero<br />
consoli nel 55 a.C. e che a Pompeo fu confe rito un comando quinquennale nelle<br />
due Spagne, a Crasso un comando quinquennale sulla Siria per agire contro i<br />
Parti, a Cesare vennero prolungati per altri cinque anni i poteri proconsolari, in<br />
modo che potesse continuare ad agire in Gallia.<br />
Ma partito Cesare, ben presto la situazione politica in Roma (dove Pompeo<br />
aveva preferito trattenersi, avendo demandato a suoi fiduciari l’incarico di governare<br />
le Spagne) mutò radicalmente a suo sfavore. Infatti, risoltasi in un completo<br />
di sastro la spedizione di Crasso contro i Parti e conclusasi con la sua morte (53<br />
a.C.), nel 52 a.C. Pompeo cambiò politica e, accordatosi col senato, affermò la<br />
sua preminenza a capo della repubblica, facendosi eleggere per quell’anno, in<br />
spregio alle norme costituzionali, consul sine collega, e cercò di minare le posizioni<br />
di Cesare. Per impedire a Cesare la possibilità di una sua elezione al secondo<br />
consolato allo scadere del mandato proconsolare, Pompeo fece approvare una<br />
legge secondo la quale le candidature dovevano essere poste in Roma di per-
cap. I - Gli avvenimenti storici: dalla morte di Silla (78 a.C.) alla morte di Cesare (44 a.C.) 5<br />
sona, cosa, questa, che Cesare certamente non avrebbe potuto fare perché ancora<br />
impegnato nella guerra gallica. Un’altra legge, pure fatta approvare da Pompeo<br />
a danno di Cesare, stabiliva che per ottenere un co mando proconsolare dovevano<br />
essere trascorsi almeno cinque anni dall’esercizio della carica di console.<br />
Cesare cercò di parare quest’ultimo colpo facendo approvare dal senato il<br />
1° dicembre del 50 a.C. la proposta di Scribonio Curione, secondo la quale<br />
dovevano essere aboliti i comandi straor dinari: quello di Cesare, certo, ma<br />
anche quello di Pompeo. Il 50 a.C. fu l’anno cruciale per le sorti della repubblica.<br />
Intanto si era diffusa, forse ad arte, la notizia che Cesare marciava su<br />
Roma. In realtà Cesare, trattenendosi ancora in Ravenna, si era solo limitato<br />
a scrivere una lette ra al senato, in data 27 dicembre del 50 a.C., nella quale<br />
si dichiarava di sposto a deporre il comando se anche Pompeo l’avesse fatto,<br />
altri menti avrebbe saputo provvedere a sé e alla repubblica. Quest’ultima espressione<br />
minacciosa indusse il senato ad irrigidirsi: venne proclamato lo stato d’emergenza<br />
e conferiti a Pompeo i pieni poteri.<br />
Il 10 gennaio del 49 a.C. Cesare «gettava il dado» passando il Rubicone<br />
ed entrando in armi nel territorio della repubblica: iniziava così la guerra civile<br />
tra Cesare e Pompeo e la repubblica viveva i suoi ultimi anni di vita. Nel 49<br />
a.C. Cesare riusciva rapidamente a diventare padrone dell’Italia e di Roma,<br />
mentre Pompeo, in ritirata strategica, raggiungeva Brindisi, dove, con tutte le<br />
sue forze militari, s’imbarcava per l’Oriente. In questo stesso anno Cesare<br />
riesce ad eliminare le for ze pompeiane in Spagna e ottiene la I dittatura.<br />
Ottenuto il II conso lato nel 48 a.C., Cesare si diede all’inseguimento di Pompeo,<br />
che nel frattempo aveva posto il suo quartier generale a Tessalonica (odierna<br />
Salonicco), nella Grecia settentrionale. Lo scontro decisivo avvenne a Farsàlo<br />
nel 48 a.C. e la battaglia si risolse in una disfatta per Pompeo. Questi, sconfitto,<br />
fug gì raggiungendo l’Egitto, dove venne fatto assassinare dai ministri del<br />
re Tolomeo XIII. Giunto in Egitto poco dopo la morte di Pompeo, Ce sare s’intromise<br />
nella contesa dinastica tra Tolomeo XIII e sua sorella Cleopatra, risolvendola<br />
a favore di quest’ultima, della quale si era invaghito. Nel 47 a.C.<br />
Cesare sconfigge in Asia Minore Farnace del Pon to, figlio di Mitridate 6. Il 47<br />
a.C. è anche l’anno della II dittatura di Cesare. Nell’anno successivo, il 46<br />
a.C., Cesare ottiene il III con solato.<br />
Intanto gli avversari di Cesare in Africa, sostenuti da Giuba, re di Mauritania,<br />
avevano creato una notevole forza di resistenza, al comando di Q. Cecilio Metello<br />
Scipione e M. Porcio Catone. Furono sconfitti da Cesare nella battaglia di Tapso<br />
(46 a.C.). In quest’occasione Catone, per non cadere nelle mani del vincitore,<br />
si tolse la vita ad Utica (da qui gli venne attribuito il soprannome di Uticense),<br />
dando origine così al mito di Catone, lo stoico eroe martire della libertà, contrapposto<br />
alla figura di Cesare «tiranno». Al re Giuba venne tolto il regno, che<br />
divenne la provincia di Africa nova. Restavano ancora da piegare le forze di<br />
resistenza anticesariana concentrate in Spagna sotto il comando dei due figli<br />
di Pompeo, Sesto e Gneo. Queste forze erano sostenute anche dai Lusitani e<br />
dai Celtibèri. Cesare li debellò nel 45 a.C. con la battaglia di Munda (nell’odierna<br />
provincia di Cordova).<br />
6. Si trattò di una guerra-lampo, conclusasi con<br />
la vittoria di Zela (47 a.C.), della quale Cesare in-<br />
Il 50 a.C.<br />
anno cruciale<br />
per la<br />
repubblica<br />
Cesare passa<br />
il Rubicone<br />
(49 a.C.)<br />
La sconfitta di<br />
Pompeo a<br />
Farsàlo (48<br />
a.C.)<br />
La vittoria di<br />
Cesare in<br />
Africa, a<br />
Tapso, e la<br />
morte di<br />
Catone<br />
Uticense<br />
(46 a.C.)<br />
La sconfitta<br />
dei pompeiani<br />
a Munda, in<br />
Spagna<br />
(45 a.C.)<br />
formò il senato con la frase, ormai diventata famosa:<br />
veni, vidi, vici.
Il potere<br />
monarchico<br />
personale di<br />
Cesare<br />
Cesare<br />
dittatore ed<br />
imperator<br />
a vita<br />
Il programma<br />
di riforme<br />
dello Stato<br />
L’uccisione di<br />
Cesare<br />
(Idi di marzo<br />
del 44 a.C.)<br />
6 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
6. Il potere monarchico di Cesare (45-44 a.C.)<br />
Uscito vittorioso dalla guerra civile contro Pompeo, Cesare divenne il padrone<br />
assoluto (rector) dello Stato romano. Dominata la reazione conservatrice, egli<br />
aveva creato nella repubblica una crisi costituzionale, sboccata fatalmente nell’affermazione<br />
di un potere monarchico personale, eserci tato da parte dello stesso<br />
Cesare. Ma Cesare seppe guardarsi dalla tentazione di assumere il titolo di re,<br />
anche se, di fatto, era di ventato ormai re non coronato di Roma. Altri titoli tuttavia<br />
egli aveva richiesto e ottenuto. Infatti, come già a Silla (82-79 a.C.), anche<br />
a Cesare era stato conferito dal senato il titolo di dittatore a vita e, in più, gli<br />
era stato riconosciuto quello di imperator 7 (anche questo a vita), gli era stata<br />
affidata, inoltre, la cura morum e, infine, gli erano stati attribuiti gli onori divini,<br />
in ragione dei quali egli veniva invocato quale divus Iulius e Juppiter Iulius 8. Forte<br />
di tutti i poteri conferitigli dal senato, Cesare ora poteva esercitare di persona il<br />
controllo delle varie magistrature e dei governi provinciali e provvede re finalmente<br />
senza intralci a riorganizzare vari settori della vita pubblica e privata.<br />
Numerosi furono pertanto i provvedimenti adottati, rientranti in un vasto piano<br />
di riforme dello Stato. Infatti, riprendendo la politica sociale di Gaio Gracco, Cesare<br />
provvide a realizzare innanzitutto un’ampia ri forma agraria a favore del proletariato<br />
e dei veterani, ricorrendo ad un vasto programma di colonizzazione, in virtù<br />
del quale i cittadini poveri diventavano coloni nelle diverse province dell’impero,<br />
accelerando così in esse il naturale processo di romanizzazione. Inoltre, per<br />
volontà di Ce sare furono ammessi in senato anche esponenti delle province e<br />
venne concessa la cittadinanza romana alla Transpadana, sicché, per la prima<br />
vol ta, poteva dirsi realizzata l’unità d’Italia, dalle Alpi sino allo stretto di Messina.<br />
Beneficiarono del diritto di cittadinanza romana anche alcune popolazioni della<br />
Gallia transalpina e della Spagna. A Cesare si deve anche la riforma del calendario<br />
che, ritoccata solo in parte nel 1582 da papa Gregorio XIII, ancora oggi è<br />
conservata. Altre riforme o interventi rientravano nei progetti di Cesare, quali, ad<br />
esempio, la bo nifica delle Paludi Pontine, il taglio dell’Istmo di Suez, una spedizio -<br />
ne militare contro i Parti per allargare maggiormente i confini dell’im pero romano<br />
in Oriente, realizzando così un vastissimo Stato universale, costituito da diversi<br />
popoli, fusi e armonizzati nel nome di Roma.<br />
Ma il programma non poté essere compiuto, perché alle Idi di marzo del 44<br />
a.C., Cesare cadeva vittima di una congiura ordìta dai giovani aristocratici M.<br />
Giunio Bruto e G. Cassio Longino e da quanti altri speravano di poter ripristinare,<br />
col suo assassinio, l’antica repubblica, nostalgici della perduta libertà politica.<br />
7. Il titolo di imperator passava ora, con Cesare,<br />
dal valore e significato di «generale vittorioso», a<br />
quello di «comandante supremo di tutte le forze militari».<br />
Questo titolo Cesare volle e ottenne di poter<br />
trasmettere anche ai propri discendenti.<br />
8. Cesare fece affermare la pretesa che la gens<br />
Iulia discendesse da Iulo, mitico capostipite figlio di<br />
Enea e nipote di Venere. In tal modo la sua stirpe<br />
veniva legata alla leggendaria origine troiana di<br />
Roma.
capitolo secondo<br />
Caratteri generali<br />
dell’età cesariana<br />
1. Denominazione e definizione storico-letteraria del periodo<br />
Un tempo era diffusa la tendenza a considerare, sotto l’aspetto letterario unitariamente<br />
l’età cesariana (78-44 a.C.) e l’età augustea (44 a.C.-14 d.C.) e, pertanto,<br />
ad uniformare il periodo storico-letterario comprendente quasi tutto il I<br />
secolo a.C., indicandolo genericamente col nome di età «classica» o «aurea» della<br />
letteratura latina (cfr. vol. I, Parte introduttiva, I 1, pagg. 1-3). Ma oggi, la critica<br />
letteraria contemporanea ha stabilito che, in realtà, una siffatta forma di periodiz -<br />
zazione unitaria deve essere considerata arbitraria e improponibile e, pertanto,<br />
l’ha definitivamente respinta. Troppe differenze, inve ro, esistono tra i due periodi<br />
nella concretezza degli stessi avveni menti storici che li contraddistinguono (con<br />
le inevitabili ripercussioni o riflessi sulla vita dello spirito e, quindi, delle lettere),<br />
perché essi possano essere in qualche modo letterariamente unificati.<br />
L’età cesariana, infatti, segna un momento di intensa crisi e tragicità per i<br />
Romani, donde quel diffuso senso di smarrimento, di inquietudine, di scontentezza,<br />
che anima tanta parte della sua letteratura; per contro, l’età augustea<br />
rivela una temperie storico-spirituale serena, nella quale la società romana, ormai<br />
pacificata, ha ritrovato sicurezza, ha riscoperto il gusto della vita, recuperato<br />
antichi va lori perduti e, di conseguenza, anche la letteratura di quest’età riflette<br />
e porta dentro di sé tutti i segni della ritrovata serenità e del recuperato equilibrio<br />
degli spiriti. Pertanto, alla letteratura latina dell’età augustea, quindi, e solo<br />
ad essa potrà essere assegnata, a rigore, appropriatamente la definizione di<br />
«classica» 1, come avremo modo di accertare più avanti, mantenendo fermo il principio,<br />
tuttavia, che la concomitante definizione di «aurea», pure ad essa da altri<br />
assegnata in passato e dovuta all’antico e diffu so «pregiudizio classicistico» (cfr.<br />
vol. I, Parte introduttiva, I 1, pagg. 1-2), oggi è fermamente e definitivamente da<br />
respingere. Impropria ed inaccettabile, dunque, per l’età cesariana e per la letteratura<br />
che ad essa appartiene, la definizione di «classica» 2.<br />
Per questa età e per la sua letteratura sarà meglio rinunciare oggi a generiche<br />
o accomunanti definizioni di esclusiva natura stilistica e formale, sia per<br />
evitare eventuali possibilità di confusione, che ancora potrebbero porsi, nell’inevitabile<br />
raffronto con le prerogative letterarie espresse dalla successiva età augustea<br />
(o età «classica» propriamente detta), sia perché, tra l’altro, all’interno della<br />
stessa età cesariana sono riscontrabili talora, tra i diversi autori, concezioni e<br />
caratteristiche letterarie del tutto opposte e contrastanti, che certamente male<br />
1. Per la definizione e l’analisi dei canoni della<br />
«classicità» cfr. vol. III, II 3, pagg. 10-13).<br />
2. Occorre tenere presente, infatti, che, in<br />
realtà, dei vari autori di quest’età, solo Cesare e<br />
Impossibilità di<br />
considerare<br />
unitariamente<br />
l’età cesariana<br />
e quella<br />
augustea<br />
Diversità<br />
storiche e<br />
letterarie tra i<br />
due periodi<br />
«Classica»<br />
l’età augustea,<br />
non quella<br />
cesariana<br />
Cicerone, a rigore, potrebbero essere definiti «classici»,<br />
nel pieno e autentico senso stilistico-lette -<br />
rario della parola (cfr. vol. III, II 3, pagg. 10-13).
La ricerca dei<br />
caratteri<br />
comuni all’età<br />
cesariana<br />
Età<br />
«cesariana» e<br />
non<br />
«ciceroniana»<br />
La<br />
testimonianza<br />
lucreziana<br />
L’età<br />
cesariana: età<br />
di crisi e di<br />
guerra civile<br />
I precedenti<br />
della crisi<br />
8 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
o per niente affatto potrebbero essere conciliate tra loro 3. Sarà opportuno, quindi,<br />
per l’età cesariana, limitarsi ad analizzare e ad individuare attentamente tutti<br />
quegli atteggiamenti spirituali, quelle tendenze culturali, o quei movimenti letterari<br />
che più concorrono a farla distinguere da tutte le altre età e che più contribuiscono<br />
a farle assegnare o riconoscere un’impronta, un aspetto culturale, spirituale<br />
e artistico unitario e originale, pur nella varietà e diversità specifica dei<br />
gusti, delle concezioni e degli orientamenti culturali, letterari e artistici manifestati<br />
o realizzati dalle personalità dei singoli autori. Resta da chiarire, infine,<br />
ancora un problema.<br />
Questa stessa età letteraria da taluni è indicata col nome di «ciceroniana»,<br />
anziché «cesariana». Quale delle due denominazioni preferire? Per noi, non possono<br />
esservi dubbi in merito. Pur riconoscendo infatti a Cicerone un ruolo politico<br />
e letterario di prim’ordine in quest’età, tuttavia, restando fedeli ai criteri di<br />
periodizzazione che abbiamo adottato (cfr. vol. I, Parte introduttiva, I 1, pagg. 21-<br />
3), riteniamo opportuno, anche qui, ancorare alla storia e, quindi, a Cesare, cioè<br />
alla maggiore personalità politica e storica di questo periodo, la letteratura,<br />
facendo derivare dal suo nome anche quello dell’età letteraria che gli appartenne.<br />
2. Le condizioni politiche, economiche e sociali<br />
Quel che mancava all’età cesariana, secondo l’accorata testimonianza del<br />
poeta Lucrezio 4, era soprattutto «una tranquilla pace» politica al l’interno di Roma,<br />
trattandosi di «tempi», com’egli pure afferma, «avversi per la patria» 5.<br />
E, in realtà, quanto all’esterno, le frontiere della repubblica potevano dirsi<br />
ormai sicure 6 e l’impero si avviava raggiungere la sua massima espansione territoriale<br />
7. Mancava, dunque, a Roma, solo la pace interna. L’età cesariana fu,<br />
infatti, un’età torbida, tragica e grave per sorti dell’antica repubblica, un’età di<br />
crisi, di guerra civile e di profondi mutamenti politici, economici e sociali. Del<br />
resto, i primi sintomi della crisi politica della re pubblica romana si erano già avuti<br />
con l’accendersi delle contese po litiche negli anni dei Gracchi (134-121 a.C.) e,<br />
poi, agli inizi del I secolo a.C., con la guerra sociale (90-88 a.C.), cui seguì, rovi-<br />
3. Cicerone, ad esempio, legato alla tradizione<br />
ed incline all’arte classica, sembra polemizzare<br />
con Catullo, per la sua nuova maniera di<br />
fare poesia, e ironizzare sui poetae novi, la cui<br />
arte sente estranea al suo gusto. Questi poeti,<br />
infatti, come si avrà modo di affermare tra poco,<br />
danno vita al più interessante movimento letterario<br />
dell’età cesariana, introducendo in Roma,<br />
sulle orme del greco Callimaco, l’alessandrinismo,<br />
vale a dire una concezione o maniera poetica e<br />
stilistica del tutto nuova e diversa, sia da quella<br />
consacrata e trasmessa dalla tradizione, sia da<br />
quella che più tardi, nella successiva età augustea,<br />
verrà espressa e realizzata dalla grande arte<br />
classica di Virgilio e di Orazio.<br />
4. Rivolto a Venere, mitica progenitrice dei<br />
Romani, il poeta così esclama : Nam tu sola potes<br />
tranquilla pace iuvare / mortalis..: «Infatti, tu sola<br />
puoi giovare i mortali con una pace tranquilla»<br />
(LUCREZIO, De rerum natura I 31); poi, dopo aver<br />
invitato la dea ad unirsi in amore con Marte, per<br />
distrarre il dio dai suoi terri bili impegni di guerra<br />
(belli fera moenera), la supplica: ...suavis ex ore<br />
loquellas / funde petens placidam Romanis, incluta,<br />
pacem: «...versa dalla bocca soavi parole chiedendo,<br />
o inclita, una pace serena per i Romani»<br />
(Ibidem, I 40).<br />
5. Così si pronuncia infatti Lucrezio (De rerum<br />
natura, I 41-43): Nam neque nos agere hoc patriai<br />
tempore iniquo / possumus aequo animo nec<br />
Memmi clara propago/ talibus in rebus communi<br />
desse saluti: «Infatti né noi possiamo compiere<br />
quest’opera con animo sereno in tempi avversi per<br />
la patria, né quest’illustre figlio di Memmio può, in<br />
tali circo stanze, sottrarsi ai suoi doveri verso la<br />
salute pubblica».<br />
6. Fatta eccezione solo per le terre d’Oriente<br />
al confine con gli indomiti Parti (cfr. I 5, pag. 4).<br />
7. Ad estendere ulteriormente l’impero avevano<br />
provveduto, prima, Pompeo in Oriente, in
occasione della II guerra mitridatica, 74-63 a.C.<br />
(cfr. I 1, pag. 2) e, poi, Cesare in Occidente, con<br />
la guerra gallica, 58-51 a.C. (cfr. I 4, pagg. 3-4).<br />
8. La III guerra civile (32-31 a.C.), infine, scop-<br />
cap. II - Caratteri generali dell’età cesariana 9<br />
nosissima, la I guerra civile (88-86 a.C.), scoppiata tra Mario, capo del partito<br />
democratico, e Silla, esponente delle forze conservatrici rappresentate dall’oligarchia<br />
senatoria. Questa guerra, conclusasi con la vittoria di Silla e la sua nomina<br />
a dittatore a vita, aveva segnato un terribile momento nella vita della repubblica,<br />
e aveva inflitto un primo gravissimo colpo al suo ordinamento costituzionale (cfr.<br />
vol. I, IX 1, pagg. 81-82). Ora, negli anni di Cesare, la II guerra civile (49-45 a.C.)<br />
scoppiata tra Cesare e Pompeo, provvedeva ad infliggere un colpo mortale all’ordinamento<br />
costituziona le dell’ormai agonizzante repubblica 8.<br />
La crescita dell’impero aveva provocato molteplici conseguenze e problemi,<br />
suscitando l’assoluta necessità di provvedere ad urgenti riforme dello Stato e<br />
a creare nuovi equilibri politici, economici e sociali. Ma l’incapacità dell’oligarchia<br />
senatoria, avida e corrotta, di adeguare la propria politica alle mutate<br />
e complesse esigenze dell’impero, l’individualismo e la sfrenata ambizione<br />
delle singole personalità politiche, la lacerazione e la disgregazione del tessuto<br />
sociale, il distacco e il progressivo, crescente disinteresse dei cittadini<br />
delle classi umili per la vita stessa dello Stato avevano ormai definitivamente<br />
logorato e corroso l’antico, sano spirito politico repubblicano, oltre che le strutture<br />
stesse del l’antica repubblica, determinando nuove, più aspre lotte civili<br />
e, inevitabilmente, quella gravissima e insanabile crisi politica e costitu zionale<br />
che fu propria dell’età di Cesare.<br />
Lo storico Sallustio, che di quest’età è testimone e, in certo senso, ne rappresenta<br />
la coscienza morale, individua e denuncia nell’insaziabile avidità di ricchezze<br />
e nelle smodate ambizioni personali dei politici del tempo, quelli che a<br />
suo giudizio sono i più gravi mali del secolo. E bisogna dire che la sua analisi è<br />
sostanzialmente esatta. Colpa specifica dell’oligarchia senatoria fu, senza dubbio,<br />
proprio l’inconte nibile avidità di ricchezze; di qui, quella sua costante politica di<br />
eccessiva chiusura conservatrice, a difesa del potere conquistato ed a protezione<br />
degli innumerevoli privilegi politici acquisiti e degli enormi profitti e benefici economici<br />
accumulati in seguito all’espansione dell’impero. Le conseguenze di questa<br />
politica furono gravissime l’equilibrio politico, economico e sociale dello Stato.<br />
Invero, di fronte allo strapotere politico ed economico della classe dirigente, specie<br />
quella dei cavalieri, andarono sempre più accentuandosi il progressivo declino<br />
politico e l’impoverimento delle classi popolari.<br />
Età di grandi squilibri economici e sociali, dunque, l’età cesariana, con eccessivi<br />
poteri ed enormi ricchezze accumulati nelle mani dei pochi, cui si contrappongono<br />
la profonda alienazione e l’estrema indigenza dei molti, dei troppi cittadini<br />
che ormai tristemente formano il misero proletariato urbano. L’assenza di<br />
equilibrio nella distribuzione del potere e della ricchezza contribuisce a creare in<br />
quest’età un evidente, accentuato salto o distacco tra le diverse classi sociali.<br />
Sarebbero state necessarie, certo, come s’è detto, urgenti riforme. Ma l’oligarchia<br />
dirigente non le volle, mentre le singole personalità po litiche che si contendevano<br />
il potere non ebbero nemmeno il tempo di pensarvi. I protagonisti<br />
della guerra civile, infatti, secondo l’auto revole giudizio del Rostovcev, nella loro<br />
azione politica non erano mossi da precisi programmi politici, né disponevano di<br />
piani di profonde riforme sociali ed economiche da proporre allo Stato: il loro<br />
impe gno politico era dovuto solo all’ambizione e alla volontà di affermazione di<br />
La II guerra<br />
civile (Cesare<br />
e Pompeo),<br />
49-45 a.C.<br />
Le cause della<br />
crisi politica e<br />
costituzionale<br />
I due mali del<br />
secolo:<br />
l’avidità di<br />
ricchezze e la<br />
sfrenata<br />
ambizione<br />
(Sallustio)<br />
I grandi<br />
squilibri<br />
economici e<br />
sociali<br />
Assenza di<br />
programmi<br />
politici e di<br />
piani di riforme<br />
nei protagonisti<br />
della guerra<br />
civile<br />
(Rostovcev)<br />
piata tra Antonio e Ottaviano e conclusasi col trionfo<br />
di quest’ultimo e con la sua ascesa al principato,<br />
determinerà il crollo definitivo dell’antica, gloriosa<br />
repubblica.
Catilina e<br />
Cicerone<br />
La ricerca<br />
dell’uomo forte<br />
da parte<br />
dell’oligarchia<br />
e delle classi<br />
popolari<br />
La crisi<br />
politica nella<br />
testimonianza<br />
catulliana<br />
10 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
un potere personale. Lo stesso piano di riforme varato da Cesare, risale al periodo<br />
immediatamente successivo alla sua conquista del potere 9. Sembra vero, quindi,<br />
che solo la grande ambizione persona le animò l’azione politica dei grandi protagonisti<br />
delle guerre civi li, sia che essi fossero esponenti del partito conservatore,<br />
come nel caso di Silla e Pompeo, sia che essi fossero i capi di quello<br />
democra tico, come nel caso di Mario, di Catilina o di Cesare. Quanto a questi<br />
ultimi, essi professavano di lottare per il popolo e per la demo crazia, ma in realtà<br />
per essi la democrazia era solo un pretesto, un simbolo da contrapporre all’aristocrazia<br />
senatoria, e il popolo un prezioso e duttile strumento politico del quale<br />
si servirono per la loro scalata al potere.<br />
L’avidità di ricchezze e la sfrenata ambizio ne giunsero, talora, persino a sommarsi<br />
in un’unica persona, come, ad esempio, nel corrotto e spregiudicato Catilina,<br />
che, nel tentativo di rifarsi del patrimonio familiare sperperato, non esitò, una<br />
volta battuto legalmente nella competizione politica, ad intraprendere la via della<br />
congiura e della rivolta armata contro quello Stato conservatore che, con estrema<br />
decisione e fermezza, il console Cicerone provvedeva invece a difendere e a salvare<br />
(cfr. I 2 pag. 2).<br />
In questa età tormentata, nel momento di maggiore tensione politica e di<br />
più accentuato pericolo per la vita dello Stato, sia l’oligarchia senato ria, sia le<br />
classi popolari, finirono con l’invocare l’intervento del l’uomo forte, nella vana illusione<br />
di poter riuscire così a salvare la decaduta repubblica. La speranza comune<br />
era che dei singoli politi ci, cioè degli uomini forti e dotati di personalità e abilità<br />
politi ca eccezionali, fossero in grado di sostenere e guidare lo Stato, provvedendo<br />
a risolvere tutti i suoi più gravi problemi sociali, quei problemi che le istituzioni<br />
e le magistrature ordinarie, nella grave crisi politica e costituzionale in atto, sembravano<br />
ormai non essere più in grado di fronteggiare.<br />
E fu così che, un po’ l’effettiva fiducia nelle capacità delle singole personalità<br />
politiche, un po’, per contro, la crescente sfiducia nelle logore istituzioni, un<br />
po’, infine, il dilagante disinteresse per la vita stessa dello Stato e un diffuso,<br />
comune senso di stanchezza politica, indussero l’aristocrazia senatoria a concedere<br />
a Pompeo poteri eccezionali e, nello stesso tempo, spinsero le masse popolari<br />
a riporre in Cesare le loro speranze.<br />
L’assenza di grandi, comuni ideali politici e civili nell’età cesariana, la mediocrità,<br />
l’arroganza, l’ambizione e la corruzione di tanti politici di allora, l’esasperato<br />
individualismo e il crescente, diffuso senso di malessere politico e sociale,<br />
oltre che il concreto disinteresse e il distacco dei cittadini (e non solo di quelli<br />
delle classi umili) dalla vita politica e dallo Stato sono non solo documentati dalla<br />
storia, ma trovano anche, talora, puntuali, preziose conferme in alcuni deliziosi<br />
9. Illuminante in tal senso è anche il fatto che<br />
Sallustio si sente in dovere di scrivere le due<br />
famose Epistole a Cesare (oggi riconosciute autentiche<br />
dalla critica più autorevole), databili, l’una, al<br />
50 a.C., l’altra, al 46 a.C., Epistole nelle quali lo<br />
stori co provvede a dare al dittatore vari consigli<br />
politici e, più di ogni altra cosa, devotamente e<br />
garbatamente gli suggerisce e propone un vasto<br />
programma di riforme politiche, sociali e giudiziarie<br />
da attuare, a guerre ormai concluse, ben consapevole<br />
che Cesare non ne pos sedeva ancora<br />
alcuno di preciso.<br />
10. Sarà il caso di ricordare qui, soprattutto,<br />
il Carme XCIII nel quale il poeta candidamente e<br />
senza alcuna paura dichiara , in sostanza, di infischi -<br />
arsene di Cesare: Nil nimium studeo, Caesar, tibi<br />
velle placere, / nec scire utrum sis albus an ater<br />
homo: «Non mi adopero affatto, Cesare, per volerti<br />
piacere, né per sapere se tu sei bianco o sei nero».<br />
Altrettanto significativo è un altro Carme, il XLV<br />
nel quale Catullo esprime convinto tutta la sua simpatia<br />
a due innamorati, Acme e Settimio, perché<br />
hanno scoperto che l’amore nella vita è più importante<br />
di tutte le conquiste delle Sirie e delle<br />
Britannie (Septimius misellus Acmen / mavult quam<br />
Syrias Britanniasque: «il povero Settimio preferisce<br />
Acme a tutte le Sirie e le Britannie»), con chiaro<br />
riferimento alle campagne di guerra di Pompeo in<br />
Oriente e di Cesa re in Occidente. Quanto ai politici<br />
mediocri, arroganti e corrotti che allora impu
nemente e con successo esercitavano il potere,<br />
Catullo non esita a pronunciare anche qualche<br />
nome, esprimendo con rabbia e disgusto tutta la<br />
sua contrarietà e delusione in un noto epigramma<br />
d’argomento politico (Carmina LII): Quid est,<br />
Catulle? quid moraris emôri? Sella in curuli struma<br />
Nonius sedet, / per consulatum peiêrat Vatinius: /<br />
quid est, Catulle? quid moraris emôri?: «E allora,<br />
Catullo? che aspetti a morire? Sulla sedia curule<br />
siede quello scrofoloso di Nonio, sul consolato<br />
spergiura Vatinio: e allora, Catullo? che aspetti a<br />
morire?».<br />
11. Così, ad esempio, quando Lucrezio racconta,<br />
creando una scena allucinante di ferocia e<br />
di orrore, i sogni agitati o, meglio, i terribili incubi<br />
notturni dei politici o dei cittadini di rilievo (LUCREZIO,<br />
De rerum natura IV 1011-1023): Porro hominum<br />
mentes, magnis quae motibus edunt / magna,<br />
itîdem saepe in somnis faciuntque geruntque: /<br />
cap. II - Caratteri generali dell’età cesariana 11<br />
carmi di Catullo 10, che, dopo Lucrezio, di quest’età è indubbiamente il più grande<br />
poeta e interprete.<br />
Ma non furono solo questi, rivelati anche da Catullo, i mali dell’epoca. In<br />
realtà, in conseguenza dell’aspra guerra civile, si scatenarono in Roma rivalità e<br />
odi tremendi tra le diverse fazioni, suscitando frequenti, efferati delitti, violenze,<br />
vendette, crudeltà e nefandezze di ogni sorta. Di qui, quel particolare clima politico-sociale<br />
di tensione, di angoscia e di paura che caratterizza l’età cesariana.<br />
Pertanto, davvero impressionanti risultano talora, proprio in virtù dell’alto valore<br />
di te stimonianza, quei passi della poesia lucreziana che più sembrano ispi rati dal<br />
tragico e angoscioso clima politico e sociale dell’epoca 11. E, infine, dati i tempi,<br />
si comprende bene perché lo stesso Lucrezio resterà prigioniero e vittima dell’angoscia<br />
e della paura, no nostante la sua fede nella rassicurante dottrina d’Epicuro<br />
e nella sua promessa di atarassìa, cioè, di quella tranquillità, o serenità, o pace<br />
di cui tanto bisogno aveva il poeta e, con lui, tutta la socie tà romana dell’età cesariana.<br />
3. L’individualismo e la crisi degli spiriti<br />
L’età cesariana segna, rispetto alla precedente, un periodo di profondi mutamenti<br />
nel costume e nella concezione della vita da parte dei Romani, in conseguenza<br />
della crisi dello Stato e dell’agitazione e turbamento degli spiriti. Al mos<br />
maiorum predicato e trasmesso dalla tradizione e, in sostanza, rispettato e seguito<br />
dai Romani dell’epoca arcaica in tutta la sua sentita purezza e santità, subentra<br />
ora una diffusa e crescen te corruzione dei costumi, contro la quale invano lotta<br />
o protesta la minoranza degli onesti, o leva il suo lamento moralistico Sallustio.<br />
Nell’età cesariana lo Stato non è più sentito, come accadeva in passato,<br />
quale valore assoluto e sacro da rispettare o quale ideale superiore da realizzare<br />
o conseguire, né più è disposto il Romanus civis, a consacrare ad esso,<br />
come accadeva un tempo, tutte le sue migliori energie civili e morali. Ora, nel<br />
nuovo clima politico venuto a crearsi di diffusa sfiducia nelle istituzioni e di generale<br />
inquietudine e malessere degli spiriti, e sulla scia, inoltre, dei nuovi ideali<br />
di humanitas già sosten uti e diffusi sullo scorcio dell’età precedente dal Circolo<br />
degli Scipioni (cfr. vol. I, IX 2, pagg. 83-86), viene contrapposta allo Stato la sco -<br />
perta dell’individuo (e con essa quella del valore infinito della persona umana,<br />
Il clima politico<br />
e sociale di<br />
angoscia e<br />
paura<br />
La<br />
testimonianza<br />
lucreziana<br />
Mutamenti nel<br />
costume e<br />
nella<br />
concezione di<br />
vita<br />
La corruzione<br />
dei costumi<br />
Si<br />
contrappone<br />
allo Stato la<br />
scoperta<br />
dell’individuo<br />
reges expugnant, capiuntur, proelia miscent, tollunt<br />
clamorem, quasi si iugulentur ibïdem. / Multi<br />
depugnant gemitusque doloribus edunt / et quasi<br />
pantherae morsu saevive leonis / mandantur,<br />
magnis clamoribus omnia complent. / Multi de<br />
magnis per somnum rebu’ loquuntur / indicioque<br />
sui facti persaepe fuere. / Multi mortem obeunt.<br />
Multi, de montibus altis / ut qui praecipitent ad<br />
terram corpore toto, / exterruntur et ex somno quasi<br />
mentibu’ capti / vix ad se redeunt permoti corporis<br />
aestu: «Inoltre, le menti degli uomini, che con<br />
grande ardore generano grandi imprese, spesso<br />
anche nei sogni agiscono e operano: soggiogano<br />
re, cadono prigionieri, s’impegnano in battaglie,<br />
alzano grida come se fossero sgozzati proprio in<br />
quel luogo. Molti lottano strenuamente e per il<br />
dolore emettono gemiti e riempiono di grandi urli<br />
tutto il luogo, come se fossero sbranati dai morsi<br />
d’una pantera o d’un feroce leone. Molti nel sonno
Il crollo della<br />
concezione<br />
dello Stato<br />
come ideale e<br />
la reazione<br />
individualistica<br />
L’assenza di<br />
grandi ideali e<br />
la crisi degli<br />
spiriti<br />
La crisi morale<br />
e religiosa<br />
L’insufficienza<br />
della religione<br />
tradizionale<br />
12 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
del suo mondo interiore e della sua vita privata) e subent ra in ogni libero cittadino<br />
la consapevolezza che ogni uomo possa o debba trovare la sua realizzazione<br />
anche al di fuori e indipendentement e dallo Stato.<br />
Se l’età arcaica era stata, dunque, l’età dello Stato elevato ad ideale e a<br />
misura civile e morale d’ogni azione o comportamento dei Romani, e la devozione<br />
o la consacrazione ad esso costituivano la norma suprema dei valori, oltre<br />
che l’affermazione dell’autentica vir tù romana, ora, invece, l’età cesariana segna<br />
la crisi definitiva di questa concezione e il trionfo dell’individualismo. Ma l’individualismo<br />
di quest’età, essendo nato più che altro dalla delusione politica e<br />
sociale e scaturito, quindi, dalla naturale reazione contro lo Stato, non riesce a<br />
trovare una conciliazione o un compromesso con le necessità e i doveri superiori<br />
della vita pubblica e finisce con l’affermarsi, pertanto, non proprio come una<br />
tranquilla conquista dello spirito, o come una scoperta morale e civile lentamente<br />
e progressivamente elaborata e conseguita, quanto, piuttosto, come forza disgregatrice<br />
che, esplosa all’improvviso, prima corrode lo Stato dal di dentro, poi<br />
si riversa all’esterno e investe ogni altro settore della vita (politica, economia,<br />
costume, educazione, cultura, arte etc.), producendo effetti socialmente devastanti.<br />
La scoperta dell’individuo e del valore infinito della persona umana, non si<br />
afferma quindi nell’età cesariana in accordo o in armonia con i princìpi politici,<br />
civili e morali sui quali in passato si reggeva l’autorità dello Stato, ma si pone e<br />
realizza invece (contrariamente a quanto forse speravano gli intellettuali del Circolo<br />
degli Scipioni che per primi sostennero i nuovi ideali di humanitas nel secolo<br />
precedente), in piena opposizione e in aperto conflitto con lo Stato. Tutto ciò<br />
spiega perché l’emancipazione del cittadino dai vincoli dello Stato e la conseguente<br />
rivendicazione del valore autonomo della sua individualità vengono a coincidere<br />
con l’assenza di grandi ideali politici, sociali e morali nell’età cesariana e<br />
con una profonda e insanabile crisi degli spiriti.<br />
L’uomo di questo periodo appare spesso in preda ad angosce profonde, a<br />
paure terribili, a dubbi, smarrimenti, incertezze e turbamenti, privo com’è di valori<br />
assoluti e autentici di cui possa avvalersi, o di una salda fede o ideali grandi e<br />
sicuri cui possa ag grapparsi. Di qui, le continue contraddizioni in cui spesso si<br />
dibatte e delle quali resta prigioniero, incapace com’è ora di comprendere o dominare<br />
gli eventi; di qui, le frequenti oscillazioni, o le opposte scelte e posizioni che<br />
assumono le diverse coscienze dei singoli, tra razionalismo e irrazionalismo, tra<br />
scetticismo e misticismo, tra individualismo e cosmopolitismo; di qui, la grave<br />
crisi morale e religiosa che attanaglia gli spiriti di quest’età infelice e tormentata.<br />
Nessun conforto o speranza, del resto, poteva venire dalla religione tradizio -<br />
nale. Dottrinalmente debole ed essenzialmente e rigorosamente formalistica,<br />
nata più che altro dalla superstizione (superstitio) e dalla paura delle oscure e<br />
terrificanti forze della natura e degli dèi che le incarnano, la religione ufficiale 12<br />
rivela ora fatalmente e gravemente, in un’età di grandi fermenti sociali e di profonda<br />
crisi morale e spirituale, tutta la sua insufficienza e pochezza, avendo<br />
essa provveduto a rispondere finora più alle direttive e alle esigenze dello Stato<br />
(al cui servizio si era posta sin dalle origini), che non alle effettive necessità o<br />
preoccupazioni spirituali dei cittadini. Invero, i primi sintomi di que sta crisi reli-<br />
tradiscono grandi segreti e spesso sono essi stessi<br />
rivelatori di un loro delitto. Molti so gnano d’incontrare<br />
la morte. Molti, come se precipitassero a terra<br />
da alte montagne con tutto il peso del loro corpo,<br />
sussultano di paura e, quasi fuor di senno, riavendosi<br />
dal sonno a fatica tornano in sé, sconvolti dall’agitazione<br />
del corpo».<br />
12. Contro la religione tradizionale leva la sua
voce Lucrezio nel suo De rerum natura, mostrando<br />
quanto essa sia assurda ed assolutamente inadatta<br />
a rispondere a tutte le domande che l’uomo<br />
si pone sul mistero della vita e della morte.<br />
13. Escatologica, nel senso di «pertinente<br />
all’interpretazione dei destini ultimi dell’uomo e dell’universo».<br />
14. Esoterico, vale a dire: «segreto», «riservato<br />
solo agli iniziati».<br />
15. La Scuola filosofica stoica, fondata da<br />
Zenone di Cizio, fu aperta in Atene nel III secolo<br />
a.C. nello Stoa Pecile (ÛÙÔa appleÔÈΛÏË, Stoá poikílë,<br />
«portico dipinto»), nel portico ornato delle pitture<br />
di Polignoto. I principali maestri della Scuola<br />
furono, oltre Zenone, Cleante di Asso e Crisippo<br />
di Soli. Lo stoicismo ebbe cinque secoli di vita e<br />
viene distinto uno stoicismo greco ed uno stoi-<br />
cap. II - Caratteri generali dell’età cesariana 13<br />
giosa si erano preannunciati già nel secolo precedente e, con essi, si era diffusa<br />
in Roma la tendenza ad accogliere quei culti religiosi a carattere misterico<br />
e di provenienza orientale, che meglio rispondevano alle mutate esigenze della<br />
progredita coscienza morale dei cittadini e alle loro più accentuate necessità<br />
spirituali (cfr. vol. I, IX 3, pag. 89).<br />
Ora, in un clima di generale confusione, in una temperie di gravi tensioni, di<br />
delusioni, di incertezze, di angosce e paure, l’homo humanus, che intanto è<br />
venuto a formarsi sostituendosi al vir bonus di catoniana tradizione, sente che<br />
l’arida religione di Stato così vuota, così astratta, così formale, è del tutto inadatta<br />
a soddisfare le profonde istanze della sua anima, comprende che essa non<br />
è assolutamente in grado di dare convincenti risposte ai suoi dubbi, alle sue<br />
ansie, alle sue paure. Perciò, diventa ancora più naturale e accentuato in questi<br />
anni il fenomeno delle frequenti conversioni dei cittadini alle religioni misteriche,<br />
vale a dire a quelle religioni orientali nelle quali molta parte aveva la preoccupazione<br />
escatologica 13 e che, attraverso riti segreti di iniziazione, consentivano<br />
al fedele la comunione mistica col dio, che si mostrava sollecito d’ogni sua necessità<br />
o paura e garante della sua salvezza e sopravvivenza ultraterrena. I culti a<br />
carattere misterico e orgiastico più diffusi in Roma, in questo periodo sono quelli<br />
relativi alla dea Cibele (la Magna Mater), originaria della Frigia, al dio Dioniso (o<br />
Bacco), di provenienza orientale, ed agli dèi egiziani Iside, Osiride e Serapide.<br />
Accanto a questi culti, in questi stessi anni, sono molto seguite in Roma<br />
alcune filosofie, che, per il loro carattere esoterico 14, risultano molto affini alle<br />
religioni misteriche. Di queste filosofie la più diffusa, soprattutto per opera di<br />
Publio Nigidio Fìgulo, è il neopitagorismo, che prometteva agli adepti la salvezza<br />
e la sopravvivenza ultraterrena, dopo la purificazione ottenuta attraverso l’ascetismo.<br />
Alle religioni misteriche si rivolgono, naturalmente, soprattutto le classi<br />
popolari, perché quelle colte ed elevate trovano l’appagamento delle loro necessità<br />
spirituali e della loro sete di conoscenza nello studio delle varie dottrine filosofiche<br />
di provenienza ellenica, che, superati i pregiudizi e le diffidenze precedentemente<br />
incontrati in epoca arcaica e, con essi, le dure reazioni e opposizioni<br />
promosse dalla classe dirigente romana più chiusa e conservatrice, rappresentata<br />
allora in senato da Catone, risultano ora liberamente e comunemente diffuse<br />
in Roma.<br />
Lo stoicismo 15 aveva iniziato ad essere conosciuto in Roma già nel corso del<br />
II secolo a.C., allorché dal filosofo greco Panezio 16 era stato introdotto nel Circolo<br />
degli Scipioni ed era valso a dare un supporto e una giustificazione filosofica e illu-<br />
Le esigenze<br />
spirituali e<br />
religiose<br />
dell’homo<br />
humanus<br />
Le religioni<br />
misteriche<br />
Il<br />
neopitagorismo<br />
Lo stoicismo<br />
cismo romano. Allo stoicismo greco antico, subentrò<br />
in Roma, prima lo stoicismo medio di Panezio<br />
(II a.C.) e di Posidonio (I a.C.), suo discepolo e<br />
successore, poi il neostoicismo di Seneca (I d.C.),<br />
di Epìtteto (I-II d.C.) e di Marco Aurelio (II d.C.).<br />
La dottrina stoica professava il panteismo, secondo<br />
il quale il mondo è animato da una forza im -<br />
manente, la ragione cosmica, della quale l’anima<br />
è una parte. Se condo lo stoicismo il fine supremo<br />
della condotta umana è l’apa tìa, cioè l’«assenza<br />
di passioni», che si raggiunge mediante la virtù e<br />
il rigore morale, obbedendo alle ottime e inflessibili<br />
leg gi con le quali la divinità regge il mondo.<br />
Solo il sapiens riesce a conseguire 1’apatìa e la<br />
felicità, data la sua capacità di saper restare «imperturbabile»<br />
davanti a tutti gli eventi. Lo stoicismo<br />
ammetteva, inoltre, l’immortalità dell’anima, soste-
Posidonio<br />
L’epicureismo<br />
Sirone e<br />
Filodemo<br />
14 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
Lucrezio<br />
L’individualism<br />
o e<br />
l’autonomia<br />
della cultura<br />
ministica all’imperialismo romano, idealizzandolo e sostenendolo mediante i suoi<br />
concetti di cosmopolitismo e di fatalismo e, ancora più, attraverso la tesi sostenuta<br />
da Polibio (lo storico greco di formazione stoica, pure inserito nel Circolo degli<br />
Scipioni), della necessità storica del dominio romano sul mondo, per il conseguimento<br />
della pace universale tra i popoli della terra (cfr. vol. I, IX 2, pagg. 84-86).<br />
Ora, in età cesariana, lo stoicismo veniva riproposto in Roma, ma per necessità e<br />
finalità diverse, dal greco Posidonio, che divenne maestro e amico di Cicerone. La<br />
dottrina stoica, in un’età di grave crisi degli spiriti e di diffusa corruzione morale,<br />
indicava ora ai Romani la via della redenzione e della felicità nella pratica della<br />
virtù e del rigore morale, nell’esercizio della ragione e della sapienza. E lo stoicismo<br />
di quest’epoca finì col trovare anche, idealizzandolo, un modello di eroismo<br />
morale e civile in Catone Uticense, elevato ad estremo baluardo e difensore della<br />
libertà contro l’inarrestabile marcia trionfante della tirannide incarnata da Cesare<br />
(cfr. I 5 pag. 5).<br />
Ma la filosofia che incontrò il maggior successo in Roma nell’età cesariana<br />
fu l’epicureismo 17. Afferma infatti rammaricato Cicerone (Tusculanae disputationes<br />
IV 7), ostile all’epicureismo, che gli epicurei avevano invaso tutta l’Italia (Italiam<br />
totam occupaverunt). Due furono i maggiori filosofi greci epicurei operanti in Italia,<br />
a Roma ed in Campania, Sirone e Filodemo 18, intorno ai quali vennero a formarsi<br />
scuole o cenacoli culturali 19. La filosofia epicurea, col suo invito a vivere isolati<br />
(«vivi nascosto»), lontano dai tumulti della vita pubblica e senza lasciarsi travolgere<br />
dall’ambizione e dalla passione politica, ma godendo solo dei naturali e<br />
semplici piaceri (voluptates) della vita fisica e spirituale, con la sua proposta di<br />
serenità e di pace dello spirito, ovvero di atarassìa («assenza di turbamento»),<br />
per il conseguimento dell’umana felicità, con la sua preoccupazione dell’individuo<br />
e la promessa di liberarlo razionalmente e definitivamente, attraverso le certezze<br />
scientifiche fornite dalla dottrina atomistica, da ogni angoscia o dubbio, da ogni<br />
errata credenza o superstizione, o dalla paura della morte, ben rispondeva, questa<br />
filosofia, alle concrete esigenze spirituali dei Romani in un’età difficile e tormentata<br />
come questa cesariana, così bisognosa di rassicurazioni e certezze, di<br />
tranquillità e di pace 20.<br />
E tutto ciò sapeva bene Lucrezio, allorché additava ai Romani, con la fede<br />
e l’entusiasmo d’un apostolo, la rasserenatrice e liberatrice dottrina d’Epicuro,<br />
sentita da lui quale porto sicuro e confortevole contro ogni minaccia o pericolo<br />
di tempesta civile, spirituale o morale.<br />
neva l’esistenza del destino e della divina provvidenza,<br />
parlava di cosmopolitismo, di caritas e di<br />
una palingenesi, cioè di una «rinascita» in conseguenza<br />
della «conflagrazione universale».<br />
16. Con Panezio, infatti, inizia lo stoicismo<br />
romano.<br />
17. La Scuola epicurea fu fondata in Atene<br />
da Epicuro di Samo nel 306 a.C. La dottrina di<br />
Epicuro era anche detta «filosofia del ÎÉappleÔ˜»,<br />
kë´ pos («giardino»), dal luogo in cui il maestro<br />
impartiva le sue lezioni ai discepoli. Si trattava di<br />
una filosofia anticonformista, a carattere edonistico<br />
e materialistico. La scienza epicurea si basava sull’atomismo<br />
democriteo.<br />
18. Filodemo era originario di Gàdara in Siria<br />
e giunse in Italia intorno al 70 a.C. Suo patrono<br />
fu Lucio Calpurnio Pisone Cesonino, che gli mise<br />
a disposizione la sua villa di Ercolano. Qui sono<br />
stati recuperati, in età moderna, numerosi papiri<br />
provenienti dalla biblioteca di Filodemo, a contenuto<br />
epicureo e in qualche modo scampati all’eruzione<br />
vesuviana del 79 d.C.<br />
19. Queste scuole o cenacoli culturali erano<br />
caratterizzati dallo stretto legame di amicizia, di<br />
cultura, di ideali e pratica di vita che univa i diversi<br />
membri che li frequentavano, come era già accaduto<br />
in Grecia nel rapporto tra Epicuro e i suoi<br />
discepoli.<br />
20. Per tutte queste caratteristiche e rispondenze,<br />
la dottrina epicurea solo ora trova il<br />
momento storico favorevole alla sua diffusio ne in<br />
Roma: prima, nel II secolo a.C., quando era ancora<br />
salda la concezione dello Stato e solidissima la<br />
fede del cittadino nelle istituzioni ed indissolubile<br />
il suo legame di devozione ad esso (sentito come
4. La cultura e la letteratura<br />
cap. II - Caratteri generali dell’età cesariana 15<br />
L’esplosione d’individualismo avutasi in età cesariana si manifesta nella cultura<br />
attraverso la scoperta e l’affermazione del valore autonomo di essa e, così,<br />
dell’arte e della letteratura, nelle quali si cercano nuove forme espressive, che<br />
meglio valgano ad esprimere la personali tà dell’individuo e la sua libertà d’ispirazione:<br />
è questo il momento in cui finalmente, proprio in virtù del trionfante<br />
individualismo, l’otium letterario, la vita contemplativa e le varie attività dello<br />
spirito trovano una definitiva valorizzazione e acquistano dignità pari all’attivismo<br />
e al negotium politico.<br />
Non solo il comune cittadino, ma anche l’intellettuale in questo periodo<br />
appare disorientato e staccato dallo Stato. E la letteratura, ch’era nata, in sostanza,<br />
con la specifica funzione di svolgere propaganda politica per lo Stato, in tutto<br />
rivelandosi in età arcaica sua ancilla fedele, ora, pur essa, si emancipa e si distacca<br />
da esso, rivendicando la propria autonomia e proponendo contenuti diversi.<br />
Sulla scia delle teorie poetiche alessandrine avanzate dal greco Callìmaco (III<br />
secolo a.C.), si diffonde ora in Roma una nuova concezione dell’arte, intesa come<br />
disimpegno, anzi come lusus, cioè come puro diletto dello spirito e perciò priva<br />
di qualsiasi scoperta o nascosta finalità o necessità d’insegnamento morale o<br />
politico o civile. Si giunge, pertan to, all’affermazione dell’autonomia dell’arte<br />
(«l’arte per l’arte»), con risultati davvero rivoluzionari e sorprendenti nella produzione<br />
letteraria romana.<br />
Ciò spiega perché in poesia incominci ora ad affermarsi la lirica, quella poesia,<br />
cioè, di per sé soggettiva e aperta alle confes sioni e rivelazioni della vita privata<br />
e del mondo interiore del poeta, mentre prima prevaleva la poesia narrativa, per<br />
sua natura oggettiva, cioè quell’epica, che in Roma assunse un deciso indirizzo<br />
storico e nazionalistico per celebrare le gloriose imprese del popolo romano. In<br />
un’epoca come questa, di scetticismo e di pessimismo, di fede stanca e di scarsa<br />
coesione sociale, si avverte anche nella letteratura un diffuso senso di sfiducia,<br />
di sconforto e di abbandono e, con esso, la grave assenza di entusiasmi, di slanci<br />
umani, di forte energia morale, o di comuni, grandi ideali politici, civili e morali,<br />
ai quali aggrapparsi per realizzare o ricostruire se stessi, prima ancora della<br />
società o dello Stato.<br />
Altra cosa era stata in Grecia l’età «classica» di Pericle, così ricca di fede e<br />
ideali, altra cosa sarà in Roma l’età «classica» d’Augusto, col suo richiamo alla<br />
restaurazione civile, morale e religiosa, con i suoi ideali comuni di ritorno al passato<br />
e di ricostruzione di uomini e cose, in conseguenza dell’armonia sociale e<br />
della pace finalmente ritrovate.<br />
Ma, nonostante l’assenza di grandi, comuni ideali, la letteratura latina dell’età<br />
cesariana si rivela comunque valida, originale e profonda, essendo riuscita<br />
ad esprimere artisti di grande personalità e genialità. Non è questa l’epoca «classica»,<br />
l’abbiamo detto, ma ciò non vuole dire affatto che la letteratura di questo<br />
periodo sia in qualche misura inferiore a quella che si avrà tra poco, nell’età<br />
augustea. Essa è solo diversa. Vero è infatti che proprio la crisi e l’inquietudine<br />
degli spiriti, l’acceso clima di guerra civile, la scoperta dell’individuo e della vita<br />
ideale superiore di tutte le sue aspettative),<br />
la filosofia di Epicuro sarebbe stata giudicata<br />
rivoluzionaria e peri colosa, in quanto,<br />
con i suoi principi dottrinali invitanti all’individualismo,<br />
all’isolamento e ai piaceri della<br />
vita, avrebbe potuto minare alla base la soli-<br />
dità politica e morale dello Stato, rivelandosi<br />
sovvertitrice degli antichi valori trasmessi<br />
dalla tra dizione e corrosiva della purezza e<br />
santità dei costumi ereditati dagli avi (mos<br />
maiorum).<br />
L’otium<br />
letterario<br />
L’emancipazio<br />
ne della<br />
letteratura<br />
dallo Stato<br />
L’arte come<br />
lusus<br />
La poesia<br />
lirica<br />
L’assenza di<br />
grandi ideali<br />
Validità ed<br />
originalità<br />
della<br />
letteratura<br />
dell’età<br />
cesariana
I poetae novi<br />
16 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
Catullo<br />
Lucrezio<br />
Cicerone<br />
Cesare<br />
Sallustio<br />
intima, l’affermazione della libertà d’ispirazione si riflettono ora anche nella produzione<br />
letteraria, dando vita ad opere fortemente innovative, dai profondi contenuti<br />
umani, ricche di sensibilità e dall’immenso valore artistico. I letterati giungono<br />
spesso a posizioni o a conclusioni diverse, ma tutti, indipendentemente<br />
dalle scelte politiche, culturali o artistiche effettuate ed espresse, portano nelle<br />
loro anime i segni e rivelano nelle loro opere gli effetti della miseria e del dramma<br />
dell’epoca. La crisi degli spiriti, si rivela, tuttavia, come s’è già detto, particolarmente<br />
stimolante ai fini del rinnovamento della produzione letteraria.<br />
I poetae novi, ad esempio, costituiscono una vera e propria avanguardia letteraria,<br />
rivoluzionaria e fortemente innovatrice. Essi, infatti, sulla scia della poesia<br />
alessandrina d’ispirazione callimachea, entrano in aperta polemica con tutta la<br />
tradizione culturale romana e, mossi da spirito di fronda, rompono con la vecchia<br />
cultura, giudicata troppo al servizio dello Stato, e fi niscono con l’opporsi<br />
anche alle tradizioni politiche, civili e morali del costume romano, proclamando<br />
il loro diritto all’evasione e sostenen do il valore e la priorità dell’individuo e del<br />
suo mondo interiore ri spetto allo Stato. A queste conclusioni perviene il poeta<br />
novus Catullo, che, appassionatamente, propone alla poesia, più di ogni altra<br />
cosa, la tormentata storia del suo infelice amore per Lesbia, in aperta polemica<br />
e contrapposizione alle più rilevanti e drammatiche vicende che intanto la contemporanea<br />
storia di Roma andava tessendo intorno ai suoi grandi protagonisti,<br />
veri giganti dell’epoca.<br />
Lucrezio, spirito tormentato ed inquieto, cerca invece, con la dottrina d’Epicuro,<br />
di dare una risposta autentica e definitiva allo smarrimento delle coscienze, ai<br />
dubbi ed alle incertezze esistenziali, alle gravi angosce ed alle paure che ro vinano<br />
il sonno e turbano l’anima dei grandi e, forse, anche dei piccoli cittadini di Roma,<br />
ma resterà prigioniero egli stesso dei suoi incu bi e della sua inquietudine ed agitazione<br />
spirituale, concludendo tra gicamente la sua vita col suicidio e lasciando<br />
incompleto il suo affa scinante e altissimo poema epico dedicato alla conoscenza<br />
della natura. Catullo e Lucrezio, spiriti appassionati ed irrefrenabili, sono i due<br />
poeti dell’età cesariana più rappresentativi, artisti immensi, in tutto precorritori<br />
delle ansie, delle necessità e della sensibilità dell’anima moderna.<br />
Più sereno e misurato si rivela invece Cicerone, grandissimo oratore e maestro<br />
dell’arte della parola, valido in ogni tempo. Egli propone, sulle orme degli<br />
intellettuali del Circolo degli Scipioni, un nuovo ideale di humanitas nel quale<br />
trovino realizzazione e valorizzazione tutte le migliori facoltà dell’uomo, in un<br />
armonico rapporto di equilibrio tra vita attiva e vita contemplativa. In quest’età<br />
difficile, politicamente e drammaticamente impegnato tra i conservatori a proteggere<br />
e a difendere lo Stato dagli assalti rovinosi delle avanzanti forze democratiche,<br />
Cicerone cadrà tragicamente vittima della storia politica di Roma, ma<br />
riuscirà tuttavia a sopravvivere ad essa in virtù dei meriti acquisiti con la sua<br />
altissima eloquenza, per la note vole attività culturale svolta e per la validità artistica<br />
e culturale della sua opera letteraria, che costituisce ancora oggi il più alto<br />
mo numento elevato alla latinità.<br />
Rispetto a Cicerone e a tutti gli altri politici dell’epoca, più lucido e consapevole<br />
interprete e protagonista della storia di Roma si rivela Cesare, che pone<br />
la propria cultura al servizio della azione politica personale, rivelandosi non solo<br />
politico, dunque, ma anche storico di grandissimo valore, scrittore limpido, efficacissimo,<br />
essenziale.<br />
Sallustio, seguace di Cesare, nella sua opera storica riesce a tracciare un’analisi<br />
accurata e profonda delle cause della grave cri si politica e sociale dell’epoca,<br />
diventando di essa giudice accorto e testimone illustre. La sua storiografia<br />
nasce comunque dal pessimismo e rivela un’impronta decisamente passionale<br />
e moralistica.
cap. II - Caratteri generali dell’età cesariana 17<br />
Le preoccu pazioni politiche e sociali non risparmiano in quest’età neppure<br />
quei letterati quali Cornelio Nepote, Varrone Reatino e Tito Pomponio Attico, che<br />
pure sembrano volere sfuggire ad esse, cercando un rifugio nell’erudizione. A differenza<br />
dei letterati dell’epoca arcaica, provenienti in genere dalle classi umili,<br />
quelli dell’età cesariana appartengo no ormai quasi tutti all’aristocrazia e risultano<br />
ancora più dei loro predecessori fini ed esperti conoscitori della cultura<br />
greca.<br />
Resta da far cenno dei generi letterari. Una novità costituisce l’affermazione<br />
della lirica soggettiva d’amore e con essa afferma il bisogno d’esprimere le necessità<br />
e i problemi della vita intima del poeta. Un genere letterario nuovo è per<br />
Roma, in questo periodo, l’epigramma po litico. Compare, inoltre, ora in Roma,<br />
per la prima volta, con Lucrezio, un nuovo genere di poema epico, a carattere<br />
non più storico e nazionale, ma scientifico e filosofico. Con Cicerone nasce in<br />
Roma il dialogo filosofico e l’epistolario intimo che, pur derivando dalla letteratura<br />
greca, acquistano ora nuova originalità di forme e contenuti. Il teatro di<br />
questo periodo soprattutto con il mimo (cfr. vol. I, XXVI 1-2, pagg. 302-306) manifesta<br />
chiaramente l’esigenza di stordimento delle masse, la crisi dei costumi, del<br />
gusto e delle idee. Ma questa è l’età, soprattutto, della grande eloquenza po -<br />
litica e giudiziaria, date la grandi passioni politiche dell’epoca, e della storiografia,<br />
che, dimenticando la vocazione e l’eredità cultura le annalistica, si affida ora<br />
soprattutto alla monografia. Gli studi e gli scritti di natura retorica e filosofica<br />
testimoniano, infine, la volontà di evasione.<br />
In conclusione, l’età cesariana esprime attraverso le sue opere letterarie una<br />
grande tensione umana, oltre che profondità e drammaticità spirituali, che testimoniano<br />
le sofferenze, le ansie e le passioni di un’anima che, tra gridi disperati<br />
e appelli umani, si annuncia già moderna e rivelatrice dei sogni, delle necessità<br />
e delle realtà dell’individuo; l’età augustea esprimerà, invece, l’umano desiderio<br />
e la sofferta conquista dell’equilibrio, della serenità, della misura e della compostezza,<br />
nei contenuti e nelle forme, di ogni manifestazione di vita o di arte, a<br />
conferma di una maggiore universalità di visione conseguita e di una più profonda<br />
idea o sogno d’umanità da realizzare. Età «di transizione», questa cesariana,<br />
nonostante le sue decise caratteristiche storiche e culturali: sotto l’aspetto<br />
storico, età di tran sizione al principato e all’impero; sotto l’aspetto letterario, età<br />
di transizione alla «classicità» e alla latinità «modello».<br />
Gli eruditi: C.<br />
Nepote,<br />
Varrone R.,<br />
T.P. Attico<br />
I generi<br />
letterari<br />
Età cesariana<br />
ed età<br />
augustea a<br />
confronto<br />
L’età<br />
cesariana<br />
quale età «di<br />
transizione»
18 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
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R. kLEIN, Das Staatsdenken der Römer, Wege der<br />
Forschung, XLVI, Darmstadt 1966.<br />
P.A. BRUNT, Classi e conflitti sociali nella Roma<br />
repubblicana, trad. it., Bari 1972.<br />
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G.B. PIGhI, La religione romana, Torino 1967.<br />
A. PASTORINO, La religione romana, Milano, 1973.<br />
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romain, Paris 1929 4 (trad. it., Bari 1913,<br />
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L. LEGRAND, Publius Nigidius Figulus, philosophe<br />
néo-pythagoricien, orphique, Paris 1931.<br />
P. GIUFFRIDA, L’epicureismo nella letteratura latina<br />
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E. PARATORE, L’epicureismo e la sua diffusione nel<br />
mondo latino, Roma 1960.<br />
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di Cicerone, Roma 1965.<br />
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M. GIGANTE, Ricerche filodemee, Napoli 1969;<br />
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E. PARATORE, La problematica sull’epicureismo a<br />
Roma, in «Romanae litterae», Roma 1976.<br />
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w. kROLL, Die Kultur der ciceronischen Zeit, Leipzig<br />
1933.<br />
E. GABBA, Politica e cultura in Roma agli inizi del<br />
I secolo a.C., «Athenaeum», 31, 1953.<br />
J.M. ANDRé, L’otium dans la vie morale et intellectuelle<br />
romaine dès origines à l’époque augustéenne,<br />
Paris 1966.
capitolo terzo<br />
I poetae novi (o neoteroi)<br />
I poeti avanguardisti latini<br />
1. Il movimento letterario neoterico<br />
Parva mei mihi sint cordi monimenta Philetae:<br />
at populus tumido gaudeat Antimâcho<br />
(CATULLO, Carmina XCV 9-10).<br />
Stiano a me sempre a cuore i piccoli capolavori del mio Fileta:<br />
/ goda il volgo, invece, del gonfio Antìmaco.<br />
Tra la fine del II e gli inizi del I secolo a.C., prima, con Lutezio Càtulo e il<br />
suo Circolo letterario, poi, con Levio e Mazio, ispirandosi a modelli e concezioni<br />
d’arte poetica provenienti dall’ambiente culturale greco-alessandrino, si era affermata<br />
in Roma quella nuova forma di poesia, oggi definita preneoterica, che, per<br />
essersi rivelata subito di natura essenzialmente lirica e soggettiva, libera e staccata,<br />
inoltre, dalla tradizione culturale romana e, soprattutto, decisamente innovatrice,<br />
in quanto leggera, disimpegnata, talora persino morale o civile (oltre che<br />
sempre elegante e raffinata, ricercata e ricca di grazia e spensieratezza), era<br />
apparsa già essa, in quegli anni, proprio in virtù di questi aspetti, moderna e<br />
rivoluzionaria (cfr. vol. I, XXXII 1-4, pagg. 322-330).<br />
Abbiamo dato il nome di «preneoterici» ai poeti che produssero questa nuova<br />
forma di poesia, perché essi, per il tipo di cultura che possedevano, per gli ideali<br />
artistico-letterari ai quali s’ispiravano, per la loro stessa visione della vita ed alcuni<br />
loro atteggiamenti pratici, sembrano in buona parte anticipare i poetae novi o<br />
neòteroi dell’età cesariana. Quel che più distingue tuttavia questi ultimi dai loro<br />
non lontani precursori è la presenza in essi di una maggiore consapevolezza critica<br />
e letteraria e la loro comune volontà di un più serio e polemico impegno<br />
programmatico, sia ai fini della rottura con la tradizione e del rinnovamento culturale<br />
romano, sia ai fini dell’affermazione del valore assoluto dell’individuo e<br />
della sua indipendenza spirituale e culturale nei confronti della società e dello<br />
Stato. Ma donde trae origine il loro nome, chi sono, cosa vogliono e cosa rappresentano<br />
questi poeti nella letteratura latina?<br />
Il nome di poetae novi («poeti nuovi») o, con parola greca, neòteroi fu dato<br />
loro, in chiave ironica e dispregiativa, da Cicerone (Epistulae ad Atticum VII 2, 1;<br />
Orator 48, 161). Questi, invero, durante la sua giovinezza, aveva mostrato simpatia<br />
per la moda poetica ellenistica, cimentandosi addirittura egli stesso nella<br />
composizione di poemetti a carattere mitologico d’ispirazione «moderna», cioè<br />
greco-alessandrina. Ma, poi, negli anni della maturità, quando andò accentuandosi<br />
in lui la vocazione politica e culturale conservatrice e si rese conto che quei<br />
giovani poeti potevano costituire ormai un effettivo pericolo per la vita dello Stato,<br />
col loro crescente atteggiamento critico di rifiuto, non solo della cultura romana<br />
tradizionale, ma anche dello stesso Stato, delle sue istituzioni e delle tradizioni<br />
politiche e morali sulle quali si reggeva la società romana, entrò in aperta polemica<br />
con essi e prese ad avversarli e a ridicolizzarli. E certamente ad essi pensava<br />
Cicerone, e al loro disimpegno poetico e civile, allorché affermava con con-<br />
I precursori dei<br />
neòteroi i<br />
«preneoterici»<br />
La differenza<br />
tra i poetae<br />
novi ed i loro<br />
precursori<br />
L’origine del<br />
nome e la<br />
polemica<br />
ciceroniana
I cantores<br />
Euphorionis<br />
La datazione<br />
del movimento<br />
neoterico:<br />
65-40 a.C.<br />
L’evoluzione del<br />
movimento<br />
neoterico<br />
Callìmaco è il<br />
modello<br />
ispiratore<br />
20 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
vinzione (Paradoxa Stoicorum III 26): Poetam non audio in nugis: «Non ascolto<br />
un poeta nelle frivolezze». E pensare che proprio le nugae («inezie», «scherzi poetici»),<br />
cioè le poesie intese come lusus («gioco») e, perciò, brevi e di argomento<br />
leggero, avranno tanta parte nel liber di Catullo, che senz’altro è il più grande<br />
dei neòteroi. Già, ma Cicerone, infatti, come avremo modo di vedere più avanti,<br />
non riuscirà ad amare o a capire Catullo. E non poteva essere altrimenti. Del<br />
resto la sua avversione per i neòteroi andò sempre più accentuandosi con gli<br />
anni, al punto che nel 45 a.C. arrivò a definirli con disprezzo cantores Euphorionis,<br />
cioè «imitatori d’Euforione», come a dire poeti astrusi e senza fantasia 1.<br />
Il movimento letterario dei neòteroi nasce intorno al 65 a.C. e si esaurisce<br />
verso il 40 a.C. Esso dà vita ad una originale e sempre più scapigliata corrente<br />
poetica, costituita da un gruppo di giovani poeti, intellettuali filelleni di grande cultura,<br />
sensibilità e finezza letteraria, che, pur senza formare una vera e propria<br />
scuola letteraria o un unico circolo o cenacolo culturale, rivelano, tuttavia, grosso<br />
modo, una comune concezione della vita, della società, dello Stato e della cultura,<br />
affinità di gusti e comunanza d’ideali artistico-letterari. Bisogna dire, però,<br />
che il movimento neoterico non mostra spirito omogeneo o carattere unitario e<br />
ben definito sin dagli inizi, ma esso andò via via evolvendosi col tempo, sino ad<br />
acquistare sempre più consapevolezza e coerenza programmatica, accentuando,<br />
infine, l’atteggiamento critico e la polemica nei confronti dello Stato e della tradizione<br />
politica, culturale e morale della società romana. Ciò spiega le differenze,<br />
anche notevoli, che possono essere colte tra i primi poeti d’ispirazione neoterica<br />
e quelli successivi.<br />
Infatti, i primi poetae novi, cioè Valerio Catone, Furio Bibàculo e Varrone<br />
Atacino, si mostrano ancora legati alla tradizione e, pertanto, pur arrivando a<br />
creare forme nuove di poesia, di sicura concezione e gusto neoterico, altre, tuttavia,<br />
ne producono, che ancora risentono della poesia arcaica; il movimento<br />
acquista, invece, consapevolezza piena e maturità di pensiero e d’ideali umani<br />
e letterari, con Catullo, Licinio Calvo ed Elvio Cinna, che danno un’impronta caratteristica<br />
al movimento, accentuandone lo spirito polemico e la definitiva e risoluta<br />
volontà di rottura con lo Stato romano, le sue istituzioni, il suo costume, le<br />
sue tradizioni politiche, sociali, morali e religiose; negli epigoni, infine, prevarrà<br />
l’erudizione fine a se stessa, la dottrina mitologica, il preziosismo ed il puro intellettualismo<br />
letterario, sulla scia del poeta greco Euforione di Càlcide (III secolo<br />
a.C.), il loro modello preferito: sono questi gli ultimi poetae novi che, come s’è<br />
già detto, Cicerone chiamerà, con massimo disprezzo, i cantores Euphorionis.<br />
Ma il poeta greco cui più s’ispirano i neòteroi è, senz’ombra di dubbio,<br />
Callìmaco di Cirene (III secolo a.C.). Questi, in polemica col suo discepolo Apollonio<br />
Rodio, aveva giudicato assurdo che venisse riproposto ancora ai suoi tempi, vale<br />
a dire in un’età ormai antieroica, il poema epico, cioè il poema lungo in esametri,<br />
d’argomento eroico, e aveva quindi sostenuto la necessità di rinnovare e<br />
modernizzare la poesia, ricorrendo a nuove forme poetiche e attingendo a nuovi,<br />
originali motivi d’ispirazione. Pertanto, Callìmaco rivendicava l’autonomia dell’arte,<br />
sostenendo che essa doveva essere libera da ogni impegno o funzione civile o<br />
1. Cicerone (Tusculanae disputationes III 19,<br />
45) li accusò di volere essi dissacrare tutta la<br />
tradizione culturale e poetica romana, disprezzando<br />
Ennio, cioè il «padre» della letteratura<br />
latina ed il poeta ufficiale dello Stato: O poetam<br />
egregium quamquam ab his cantoribus<br />
Euphorionis contemnitur: «O eccellente poeta<br />
(Ennio)! Anche se è disprezzato dai poeti del<br />
nostro tempo, gli imitatori d’Euforione». Nel passo<br />
citato delle Tusculanae, Cicerone si riferisce forse<br />
in particolar modo al poeta elegiaco Cornelio<br />
Gallo, che proprio in quegli anni era impegnato<br />
a tradurre le poesie di Euforione, certamente il<br />
più astruso, cerebrale ed ermetico dei poeti alessandrini<br />
del III secolo a.C.
cap. III - I poetae novi (o neoteroi) - I poeti avanguardisti latini 21<br />
morale o altra finalità educativa, dovendo rispondere, invece, solo alla funzione<br />
di lusus, cioè di puro «gioco» o diletto dello spirito e ravvisava allora la necessità<br />
di una nuova poesia, diversa, leggera e disimpegnata, di breve ispirazione, preferibilmente<br />
lirica e soggettiva, ricca di grazia e ricercatezza formale. Nella polemica<br />
con Apollonio Rodio, pomo della discordia era stata la Lide di Antìmaco di<br />
Colofone (V-IV secolo a.C.), opera che, contro la valutazione positiva espressa da<br />
Apollonio, era stata invece giudicata prolissa, arida e noiosa da Callìmaco.<br />
La polemica letteraria sorta in ambiente ellenistico, prima, tra Callìmaco e<br />
Apollonio Rodio e, poi, tra i seguaci dell’uno e dell’altro, a distanza di qualche<br />
secolo, si ripropone nel mondo romano ad opera dei poetae novi che, per analoghe<br />
ragioni, polemizzano con i poeti latini di tradizione enniana loro contemporanei.<br />
Pomo della discordia questa volta sono gli Annales di Ennio (CICERONE,<br />
Tusculanae disputationes III 19, 45; qui già citato in III 1, nota 1, pag. 20). I<br />
poetae novi, infatti, ritenevano che ormai nell’epoca loro non v’era più spazio per<br />
il poema epico di tradizione enniana, inteso a celebrare le glorie dello Stato, ma<br />
che occorreva, invece, un nuovo tipo di poesia, di argomento breve e non più<br />
eroico o storico ed impegnato, una poesia, preferibilmente intima e soggettiva,<br />
nella quale risultasse al centro dell’ispirazione il poeta stesso, cioè l’individuo,<br />
con i suoi problemi, le sue necessità spirituali, il suo mondo interiore, la sua vita.<br />
Si comprende bene ora perché Catullo polemicamente arriverà a dire, degli Annales<br />
di Volusio: Annales Volûsi, cacata carta (Carmina XXXVI 1): «Annali di Volusio, carta<br />
da…»; oppure, altrove dirà ancora di essi che: laxas scombris saepe dabunt tunicas<br />
(Carmina XCV 8): «saranno adatti ad offrire spesso larghi cartocci agli sgombri».<br />
Sulla poesia epica i poetae novi la pensavano, dunque, alla stessa maniera di<br />
Callìmaco e dei suoi seguaci.<br />
Ma la polemica sostenuta da questi poeti greci era pura e semplice polemica<br />
letteraria, del tutto priva di altri motivi o fini e, pertanto, si esauriva nell’ambito<br />
della sola cultura; quella dei poetae novi, invece, è polemica più vasta<br />
e complessa, che non si esaurisce affatto nell’esclusivo settore letterario, ma si<br />
estende criticamente anche allo Stato e alla società romana, investendo e coinvolgendo<br />
nella polemica anche le tradizioni politiche e morali del costume romano.<br />
La verità è che questi poetae novi vengono a sconvolgere non solo la cultura<br />
romana tradizionale, rivoluzionandone in specie la poesia, ma, sfrontatamente,<br />
si portano anche oltre, spingendosi, col loro atteggiamento critico e corrosivo, a<br />
minacciare le stesse basi politiche e ideologiche sulle quali una volta saldamente<br />
poggiava la repubblica romana. Avversando i neòteroi, sapeva bene allora il conservatore<br />
Cicerone che, così facendo, egli, non difendeva solo l’antica poesia,<br />
ma, nello stesso tempo, provvedeva a sostenere anche lo Stato.<br />
Spirito di fronda e volontà di dissacrazione animano dunque i rivoluzionari<br />
poetae novi latini. Essi costituiscono pertanto una vera e propria avanguardia letteraria,<br />
formata da giovani poeti spregiudicati e anticonformisti, animati da ferma<br />
volontà di rottura con l’antica cultura, specie quella di Stato, sprezzanti e polemici<br />
con i tradizionalisti ancora legati ad essa e a quei principi politici e morali<br />
da essi giudicati ormai obsoleti. Impegnati a sostenere e a diffondere con vigore<br />
nuovi modelli o ideali umani e letterari, questi giovani poeti sono consapevoli e<br />
orgogliosi, infine, di costituire un’élite intellettuale, che è riuscita ad elaborare<br />
concezioni poetiche nuove, di portata davvero rivoluzionaria. Insomma, si può<br />
La polemica<br />
letteraria tra<br />
Callìmaco ed<br />
Apollonio Rodio
La polemica<br />
letteraria tra i<br />
poetae novi ed<br />
i poeti latini di<br />
tradizione<br />
enniana<br />
Le motivazioni<br />
politiche e<br />
sociali nella<br />
polemica dei<br />
poetae novi<br />
I poetae novi<br />
costituiscono<br />
un’avanguardia<br />
letteraria<br />
22 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
dire che i poetae novi rappresentano per la letteratura latina un po’ quello che<br />
rappresenteranno gli «scapigliati» nella letteratura italiana dell’Ottocento 2. Sia gli<br />
uni, sia gli altri, rivelano infatti il conflitto tra la società e l’artista, con la ribellione<br />
di quest’ultimo al mondo che lo circonda, dal quale non vuole lasciarsi condizionare<br />
o assorbire, con la conseguente elezione di una propria vita «scapigliata»<br />
e bohémienne, e con la ricerca di un’arte nuova, non più rivolta ai<br />
benpensanti uomini di cultura tradizionale, ma a pochi spiriti congeniali e mirante<br />
ad affermare la libertà d’ispirazione. Inoltre, i poeti delle due avanguardie letterarie,<br />
quella latina antica e quella italiana moderna, hanno in comune l’insofferenza<br />
del passato, la ricerca del nuovo e, soprattutto, entrambe, esprimendo una<br />
medesima crisi che da storica è diventata esistenziale, rifiutano l’arte come fatto<br />
«sociale» e rivendicano il diritto del poeta ad esprimere solo se stesso e la propria<br />
individualità. I poetae novi, con la loro inquietudine interiore, con i loro atteggiamenti<br />
polemici, con la loro vita agitata e un po’ bohémienne, il loro anticonformismo,<br />
le loro scontentezze e insoddisfazioni, lo spirito beffardo e dissacratore,<br />
l’esasperato individualismo, sono gli amari interpreti e testimoni della grave crisi<br />
storica, morale ed esistenziale che affligge l’età cesariana. Poeti originali e innovatori,<br />
i neòteroi mancò a essi, tuttavia, una fede, un ideale superiore di vita. La<br />
filosofia loro più congeniale fu, naturalmente, l’epicureismo, che, proprio nell’esaltazione<br />
dell’individualismo e nella rinuncia ai grandi ideali o ambizioni, nell’invito<br />
alla vita appartata, priva di turbamenti o passioni, lontana dai tumulti cittadini<br />
e tesa solo a conseguire i quotidiani, piccoli e grandi piaceri naturali e<br />
necessari all’esistenza, aveva scoperto e indicava a tutti il segreto dell’umana<br />
felicità. Filodemo e Sirone, i due maggiori maestri greci di filosofia epicurea operanti<br />
in Campania, l’uno con la scuola ad Ercolano, l’altro a Posillipo, esercitarono<br />
una grande influenza sui giovani poeti appartenenti alla nouvelle vague della<br />
cultura latina. Notevole fu anche l’influenza esercitata sugli epigoni del movimento<br />
letterario dal poeta greco Partenio di Nicea 3, caduto prigioniero dei Romani<br />
durante l’ultima guerra mitridatica (66-65 a.C.) e condotto a Roma da Elvio Cinna.<br />
Nell’eloquenza e, quindi, nella prosa, i neòteroi seguivano l’atticismo, la corrente<br />
retorico-stilistica greca fondata da Dionigi di Alicarnasso (I secolo a.C.), che si<br />
contrapponeva all’asianesimo (cfr. vol. I, XXIX 3, nota 2, pag. 316). Con la loro<br />
«apertura» alle teorie callimachee sull’arte, con la loro ansia di affinamento e di<br />
rinnovamento letterario, con la portata stessa delle loro innovazioni, i poetae novi<br />
riuscirono ad incidere profondamente sulla cultura romana dell’epoca, aprendo<br />
nuove frontiere alla poesia latina che, liberatasi con essi coraggiosamente da<br />
ogni possibile condizionamento politico o morale e postasi al servizio esclusivo<br />
dell’individuo e delle sue necessità spirituali, riuscì ad acquistare, allora per la<br />
prima volta, specie attraverso l’opera di Catullo, la personalità poetica più alta<br />
e rappresentativa del movimento neoterico, una dimensione artistica che si rivela<br />
già straordinariamente moderna e attuale.<br />
2. Altri, invece, ha accostato i poetae novi latini<br />
agli stilnovisti della nostra letteratura del Medioevo:<br />
«Quando parliamo di poetae novi (dell’avanguardia<br />
poetica attiva in Roma attorno alla metà del I secolo<br />
avanti Cristo) è difficile, se non altro per una elementare<br />
affinità terminologica, non pensare d’istinto<br />
ad un altro gruppo di poeti d’avanguardia, allo “stil<br />
novo” (e le “nove rime”, e l’ “uso moderno”: sono<br />
sempre espressioni dantesche): un analogo piglio di<br />
rottura, un’analoga volontà di definirsi e di riconoscersi,<br />
facendola finita con l’uso antico, un’analoga<br />
tensione intellettuale che si attua forzatamente nel<br />
cenacolo privilegiato, nel gruppo di amici, nell’orgoglio<br />
della scoperta e nel disprezzo di ogni forma di<br />
passivo epigonismo». (Dall’intr. di A. Giordano a:<br />
CATULLO, Canti, trad. di S. Quasimodo, Milano 1973,<br />
XXVIII).<br />
3. Grande influenza esercitò Partenio soprattutto<br />
su Cornelio Gallo, poeta elegiaco dell’età<br />
augustea, uno degli ultimi poeti di formazione neoterica.
2. La poetica neoterica<br />
4. Il nome «idillio» è greco e letteralmente<br />
significa «bozzetto», «piccolo componimento<br />
poetico».<br />
5. Anche il nome «epillio» viene dal greco, e<br />
significa «piccolo carme epico».<br />
cap. III - I poetae novi (o neoteroi) - I poeti avanguardisti latini 23<br />
Per le loro concezioni artistiche, i poetae novi, in sostanza, s’ispirano come<br />
s’è già detto, agli ideali letterari e all’arte del poeta greco Callimaco di Cirene<br />
(310-240 a.C. circa) e agli altri poeti alessandrini del III secolo a.C. La poetica<br />
neoterica, nelle sue posizioni essenziali, può essere così puntualizzata:<br />
1) Rifiuto della poesia epica, cioè del poema in esametri di tradizione enniana,<br />
impegnato a celebrare le glorie della patria, e ripudio, in genere, di ogni altro<br />
tipo di poema lungo: la lunghezza dell’opera poetica è, a giudizio dei neòteroi, a<br />
di scapito della durata o continuità della genuina ispirazione artistica; inoltre, il<br />
poema epico, essendo per sua stessa natura e vocazione d’argomento solenne<br />
e impegnato, dovendo rispondere ad una funzione didascalica, risulterà, sempre<br />
a giudizio dei neòteroi, inevitabilmente prolisso, noioso, gonfio e barocco, difetti<br />
ai quali non è riuscita a sottrarsi tutta la precedente poesia arcaica.<br />
2) Preferenza, invece, dei neòteroi, per la poesia breve e disimpegnata: la<br />
brevità è per essi garanzia di durata o continuità d’ispirazione. Di qui, le preferenze<br />
per una poesia leggera, delicata, spesso ironica, sempre elegante, piena<br />
di grazia e raffinatezza, di gusto fine, ricca di cultura e di sapienza tecnica. I<br />
componimenti preferiti sono le nugae (oggi si direbbero all’inglese games), «giochi»<br />
o «scherzi» poetici, frivoli e leggeri; oppure, i carmina docta, cioè i poemetti di<br />
più grande (entro certi limiti, s’intende) lunghezza o impegno o respiro poetico<br />
(di circa 100 o 200 versi o al massimo di 400) d’ispirazione erudita e mitologica,<br />
quali gli idilli 4 o gli epilli 5.<br />
3) Autonomia dell’arte, per cui, la poesia deve essere priva di impegno, fine<br />
o preoccupazione civile o morale o religiosa («l’arte per l’arte»). L’arte, e la poesia<br />
in specie, deve essere fine a se stessa e deve essere intesa come lusus, cioè<br />
un «gioco», uno svago o puro diletto dello spirito, priva di alcuna finalità didascalica.<br />
4) Gli argomenti e i temi della poesia neoterica sono perciò tenuti, disimpegnati,<br />
per lo più a carattere soggettivo o mitologico. L’impegno del poeta neoterico,<br />
pertanto, è solo culturale o letterario e si risolve, se il tema è mitologico,<br />
nella ricerca del mito più raffinato, raro o meno conosciuto. Per i poeti antichi,<br />
infatti, la conoscenza della dottrina mitologica corrisponde al possesso di una<br />
cultura vasta e profonda.<br />
5) Pertanto, il poeta novus è soprattutto un uomo di grande cultura, un poeta<br />
doctus, cioè un erudito, ricco di cultura e di conoscenze tecniche, metriche e letterarie,<br />
esperto conoscitore e ricercatore delle tradizioni, delle leggende e dei<br />
miti greci più strani e sconosciuti, più rari, preziosi e significativi.<br />
6) Lo stile del poeta novus è sobrio, semplice, elegante, ma improntato ad<br />
un’estrema cura e ad un accentuato rigore di ricercatezza formale, di gusto e<br />
maniera tipicamente alessandrina, e caratterizzato da lunga e studiatissima elaborazione,<br />
da perfezione tecnica e metrica, da ricchezza di erudizione, fatta di<br />
frequenti citazioni colte (specie nei carmina docta), e da un accuratissimo e sorvegliatissimo<br />
limae labor.<br />
7) Nella lingua il poeta novus si serve di un linguaggio composito, pur esso<br />
ricercato, fatto di voci comuni o tradizionali, che si alternano o s’intrecciano con<br />
altre di natura arcaica o colta ed elevata, o con altre originalmente coniate per<br />
Le affinità con<br />
gli «scapigliati»<br />
italiani<br />
dell’Ottocento<br />
Interpreti e<br />
testimoni della<br />
crisi dell’età<br />
cesariana<br />
Individualismo<br />
ed assenza di<br />
un ideale<br />
superiore di<br />
vita<br />
L’epicureismo<br />
Partenio di<br />
Nicea<br />
L’atticismo<br />
Modernità dei<br />
poetae novi
24 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
l’occasione dal poeta stesso, o, più spesso, con altre attinte dal linguaggio popolare,<br />
un po’ per snobismo, un po’ per arricchire di vigore o colorito l’immagine.<br />
La lingua dei neòteroi risulta, pertanto, semplice e nello stesso tempo costruita,<br />
vivace e colorita, raffinata ed elegante, colta e insieme popolare, sicuramente<br />
originale e innovatrice. Molto frequente è l’uso di diminutivi, impiegati per conferire<br />
maggiore grazia e delicatezza al racconto poetico.<br />
8) Talora, nell’estrema ricerca di brevità ed essenzialità, di perfezione formale<br />
e di novità contenutistica ed espressiva, i poetae novi finiscono col cadere<br />
nell’astruso intellettualismo fine a se stesso, o addirittura nell’oscurità dell’ermetismo<br />
concettuale ed espressivo 6. Ma ciò accadrà, come s’è già detto, soprattutto<br />
con gli epigoni (quelli che sprezzantemente Cicerone definisce i cantores<br />
Euphorionis), e, in particolar modo, con Cornelio Gallo.<br />
9) I generi letterari preferiti dai neòteroi sono: l’epigramma, breve, ma ricco<br />
d’intensità concettuale e sentimentale, di argomento vario, più frequentemente<br />
amoroso e soggettivo; l’elegia, riservata a vicende mitologiche di contenuto amoroso<br />
e passionale o, più spesso, al racconto di vicende sentimentali, o di tristi e<br />
dolorose esperienze di vita del poeta stesso 7; l’epillio, il piccolo componimento<br />
epico in esametri, d’argomento mitologico, tendente a cogliere motivi o aspetti<br />
secondari e poco noti del mito, specie quelli di natura non propriamente eroica,<br />
ma idillica o patetica e sentimentale.<br />
10) Il manifesto poetico della nuova arte è indicato da Catullo nella Zmyrna,<br />
il poemetto mitologico di Elvio Cinna, dedicato all’amore incestuoso di Mirra (o<br />
Smirna) per il padre Cìnira:<br />
6. Ad essi probabilmente pensava in chiave critica<br />
il poeta Orazio allorché esclamava (Ars poetica<br />
25-26): Brevis esse laboro, obscurus fio: «mi<br />
adopero ad essere breve, e divento oscuro».<br />
7. I poeti romani diedero all’epigramma e all’elegia<br />
un’impronta e un carattere decisamente personale<br />
e soggettivo, a differenza dei poeti greci<br />
alessandrini, che, invece, si servirono di questi<br />
generi letterari per raccontare solo temi o amori<br />
mitologici di personaggi diversi dal poeta stesso<br />
o, seppure vi fecero riferimento, non riuscirono mai<br />
a liberarsi della finzione letteraria destinata a frenare<br />
lo slancio o lo sfogo davvero sincero e personale.<br />
Zmyrna mei Cinnae nonam post denique messem<br />
quam coepta est, nonamque edita post hiemem<br />
(milia cum interea quingenta Hortensius 8 uno<br />
ut caneret, scripsit, Marsica bella, die),<br />
5 Zmyrna cavas Satrâchi 9 penitus mittetur ad undas,<br />
Zmyrnam cana diu saecula pervolvent:<br />
at Volûsi 10 Annales Paduam 11 morientur ad ipsam<br />
et laxas scombris saepe dabunt tunicas.<br />
Parva mei mihi sint cordi monimenta Philetae 12:<br />
10 at populus tumido gaudeat Antimâcho 13<br />
(CATULLO, Carmina XCV).<br />
8. Nell’88 a.C., quand’erano ancora giovani,<br />
Lucullo (il futuro generale; cfr. I 1, nota 2, pag. 2)<br />
Ortensio (il futuro oratore) e Sisenna (il futuro storico;<br />
cfr. vol. I, XIV 5, c, pag. 154) scommisero<br />
che sarebbero riusciti a stendere seduta stante e<br />
senza interrompersi la storia della guerra marsica,<br />
in versi o in prosa, in greco o in latino; la maniera<br />
di esecuzione da parte di ciascuno fu decisa dai<br />
dadi: a Lucullo toccò la composizione in prosa<br />
greca, a Sisenna quella in prosa latina, ad Ortensio<br />
quella in versi latini (PLUTARCO, Vitae: Lucullus I 5;<br />
VELLEI0 PATERCOLO, Historiae Romanae II 16, 3;<br />
OVIDIO, Tristia II 441).<br />
9. Il Sàtraco è un fiume di Cipro.
10. Volusio è un poetastro dell’età cesariana,<br />
non altrimenti identificabile. Dalla testimonianza<br />
catulliana si può desumere che Volusio forse era<br />
nativo di Padova.<br />
11. Era così chiamata una bocca del Po. Lo<br />
stesso nome latino aveva anche la città di Padova.<br />
12. Fileta di Cos (IV-III a.C.) è un poeta alessandrino<br />
autore della Demetra, un poemetto mitologico<br />
in metro elegiaco, dell’Hermes, un epillio in<br />
esametri; con questi due poemetti diede inizio alla<br />
maniera alessandrina di attingere gli argomenti ad<br />
episodi secondari della materia mitica; con gli altri<br />
cap. III - I poetae novi (o neoteroi) - I poeti avanguardisti latini 25<br />
La Zmyrna del mio Cinna, finalmente, dopo nove mietiture, da che fu incominciata,<br />
e dopo nove inverni pubblicata (mentre Ortensio, intanto, cinquecentomila<br />
versi ha scritto in un solo giorno, per cantare la guerra marsica),<br />
la Zmyrna, sarà mandata lontano, fino alle onde profonde del Sàtraco, la<br />
Zmyrna, a lungo sfoglieranno i secoli canuti: per contro, gli Annali di Volusio<br />
moriranno sugli argini stessi della Padua e saranno adatti ad offrire spesso<br />
larghi cartocci agli sgombri. Stiano a me sempre a cuore i piccoli capolavori<br />
del mio Fileta: goda il volgo, invece, del gonfio Antìmaco.<br />
In conclusione, la poesia neoterica nasce come lusus letterario da una profonda<br />
esigenza di rinnovamento e di disimpegno civile e morale; essa si configura<br />
come poesia dotta, frutto di grande erudizione e di accentuato virtuosismo<br />
tecnico, sempre ricercata ed elegante, sia che seriamente s’impegni nel racconto<br />
mitologico, sia che scanzonatamente si trastulli nell’elaborazione delle nugae;<br />
con essa il poeta latino rivendica il proprio diritto ad essere un uomo, un individuo,<br />
una persona, prima ancora che un civis romano, emancipandosi così da<br />
ogni condizionamento da parte dello Stato e da ogni sudditanza ad esso, per<br />
poter dare libero sfogo alla sua vocazione letteraria e per potersi spingere finalmente<br />
anche a raccontare le proprie vicende personali, ad esprimere anche il<br />
proprio mondo interiore, le delusioni o le attese, i rancori o le pene o le gioie,<br />
insomma, i più profondi o segreti e personali moti dell’anima.<br />
Conclusione<br />
sulla poesia<br />
neoterica<br />
lavori poetici, i Paignia (pron. Pàig-nia, «Scherzi»),<br />
e gli Epigrammi, introdusse la moda del componimento<br />
breve, leggero e disimpegnato. Qui Catullo<br />
contrappone il delicato e «moderno» Fileta al<br />
gonfio e tronfio Antìmaco.<br />
13. Antìmaco di Colofone (V-IV a.C.) autore di<br />
una Tebaide in 24 libri e della Lide, poema elegiaco,<br />
rappresentava, per Callìmaco e per tutti i<br />
poeti greci o latini che alla sua poetica s’ispiravano,<br />
il prototipo del poeta di vecchia maniera,<br />
prolisso, noioso, ampolloso e perciò ormai superato<br />
(cfr. III 1, pag. 21).
26 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
3. Gli esponenti della corrente poetica neoterica<br />
I maggiori esponenti del movimento letterario neoterico furono: P. Valerio<br />
Catone, M. Furio Bibàculo, P. Terenzio Varrone Atacino, G. Valerio Catullo, G. Elvio<br />
Cinna, Gaio Licinio Calvo, Tìcida, Quinto Cornificio, Quinto Scevola, Publio Volumnio,<br />
G. Cornelio Gallo. Diamo ora le notizie che abbiamo sulla vita, la produzione letteraria<br />
e la personalità artistica di ciascuno di essi, ad esclusione di Catullo, del<br />
quale si dirà tra poco, separatamente e in maniera più approfondita, e di Cornelio<br />
Gallo, che, pur essendo poeta di formazione e vocazione neoterica, rientra, tuttavia,<br />
cronologicamente nell’età augustea e, pertanto, di lui si dovrà parlare più<br />
avanti.<br />
P. Valerio Catone<br />
Comunemente indicato quale «caposcuola» dei neòteroi, P. Valerio Catone fu<br />
certamente il primo poeta neoterico. Nato nella Gallia Cisalpina nel 100 a.C.,<br />
giunse a Roma verso l’80 a.C., essendogli stati confiscati i beni a seguito delle<br />
proscrizioni sillane. A Roma esercitò la professione di grammatico, ma non riuscì<br />
ad avere grande fortuna. Trascorse, infatti, gli anni della vecchiaia nell’indigenza,<br />
subendo persino l’umiliazione di dover cedere la sua villa ai creditori 14. Visse a<br />
lungo, maestro di diverse generazioni di poeti, e morì dopo il 27 a.C.<br />
Alla poesia si dedicò soprattutto negli anni della giovinezza. Scrisse la Dictynna,<br />
un epillio dedicato all’origine mitica del culto di Artemide Dictinna a Creta; scrisse,<br />
inoltre, la Lydia, che forse era una raccolta di elegie dedicata ad amori mitologici.<br />
Di queste opere nulla ci è giunto.<br />
Il ricordo della personalità artistica di Catone è affidato soprattutto a Furio<br />
Bibàculo, che fu suo grande amico ed estimatore, il quale così lo definisce: «maestro<br />
singolare» (unicus magister), «sommo critico» (summus grammaticus) e «poeta<br />
eccellente» (optimus poeta); al maestro, Bibàculo attribuisce, inoltre, «l’intelligenza»<br />
(cor) di zenòdoto (III secolo a.C.), il celebre filologo greco di Scuola alessandrina,<br />
e «la passione» (iecur) di Cratete di Mallo (II secolo a.C.), il fondatore<br />
della Scuola grammaticale di Pergamo. Ma forse l’elogio migliore di Catone, critico<br />
e maestro, Bibàculo l’ha tessuto in questo suo epigramma:<br />
Cato grammaticus, latina Siren,<br />
qui solus legit ac facit poetas.<br />
14. Di ciò c’informa in un suo epigramma Furio<br />
Bibàculo, che così afferma: Catonis modo, Galle,<br />
Tusculanum / tota creditor urbe venditabat. / Mirati<br />
sumus unicum magistrum, / summum grammaticum,<br />
/ optimum poetam / omnis solvere posse quaestiones,<br />
/ unum deficere expedire nomen. En cor Zenodôti,<br />
en iecur Cratetis : «Or ora, Gallo, la villa Tusculana<br />
di Catone, il creditore l’offriva in vendita per tutta la<br />
città. Tutti ci siamo sorpresi che questo maestro sin-<br />
Catone il critico, la latina Sirena,<br />
che meglio d’ogni altro sa scegliere e formare i poeti.<br />
Profonda stima e ammirazione nei confronti di Catone mostrarono anche gli<br />
altri suoi discepoli: il suo poemetto Lydia, ricco di squisita dottrina, così lo definiva,<br />
ad esempio, Tìcida: Lydia doctorum maxima cura liber: «il libro della Lidia,<br />
grandissima passione dei dotti»; e alla Dictynna, l’altro poemetto di Catone, Elvio<br />
Cinna augurava: Saecula permaneat nostri Dictynna Catonis: «Rimanga viva nei<br />
secoli, la Dictinna del nostro Catone».<br />
golare, sommo critico e ottimo poeta, sia in grado di<br />
risolvere ogni sorta di problema e fallisca poi solo<br />
nel sistemare un nome. Ecco l’intelligenza di<br />
Zenòdoto, ecco la passione di Cratete». Qui Bibàculo,<br />
irriguardosamente nei confronti del suo vecchio amico<br />
e maestro, gioca ironicamente sull’ambiguità dell’espressione<br />
expedire nomen, che significa sia «sistemare<br />
un nome», sia «pagare i debiti» e che, pertanto,<br />
si presta a riferirsi sia all’attività filologica del
M. Furio Bibàculo<br />
cap. III - I poetae novi (o neoteroi) - I poeti avanguardisti latini 27<br />
Poeta opportunista e un po’ maldicente, M. Furio Bibàculo nacque a Cremona,<br />
intorno al 100 a.C., ebbe lunga vita come il suo maestro Catone, del quale era<br />
coetaneo, e morì dopo il 24 a.C. A Roma trascorse la maggior parte della sua<br />
vita. Tacito (Annales IV 34) ricorda di lui e di Catullo gli epigrammi pieni di contumelie<br />
contro Cesare: carmina Bibacûli et Catulli referta contumeliis Caesarum<br />
leguntur «si leggono i carmi di Bibàculo e di Catullo zeppi di ingiurie contro i<br />
Cesari»; anche Quintiliano (Institutio oratoria X 1, 96) conferma la mordace<br />
asprezza (acerbitas) epigrammatica dei due poeti. Più tardi, tuttavia, Bibàculo, in<br />
contrasto con gli altri neòteroi che erano decisamente avversi al poema epicostorico<br />
di tradizione enniana, e contraddicendo i suoi stessi epigrammi nei quali<br />
esprimeva la sua avversione a Cesare, scrisse gli Annales belli Gallici, per celebrare<br />
le imprese di Cesare in Gallia. Questo poema non piacque ad Orazio, che<br />
lo giudicò (Sermones II 5, 4) antiquato, di stile ampolloso e barocco, citando, a<br />
testimonianza del cattivo gusto di Bibàculo, quel suo verso in cui: Iuppiter hibernas<br />
cana nive conspuit Alpes: «Giove sputacchia di candida neve le Alpi invernali».<br />
Della produzione poetica di Bibàculo ci è giunto solo qualche epigramma e quell’unico<br />
verso trasmessoci da Orazio e da noi sopra riportato del suo poema dedicato<br />
alle imprese di Cesare in Gallia.<br />
P. Terenzio Varrone Atacino<br />
P. Terenzio Varrone di Atax, sulle rive dell’Aude, nella provincia Narbonese<br />
(oggi Provenza), è il primo poeta giunto a Roma dalla Gallia Transalpina. Nacque<br />
verso l’82 a.C., incerto è l’anno della sua morte. La sua produzione letteraria<br />
comprendeva: il Bellum Sequanicum, un poema epico-storico sulla guerra sequanica<br />
combattuta da Cesare contro Ariovisto nel 58 a.C.; l’Epimenides o Ephemêris<br />
(il titolo è incerto), un’operetta scientifica che formava una sorta di calendario<br />
poetico in esametri, del quale ci è pervenuto un passo, ispirato ad Arato 15 e imitato<br />
poi da Virgilio nel libro I delle Georgiche, sui «pronostici», cioè sui segni che<br />
possono essere utili al contadino per trarne le previsioni del tempo; la Chorographîa,<br />
un poemetto d’argomento geografico ed astronomico; sembra che abbia scritto<br />
anche Satire, ma di esse fa menzione solo Orazio, citandole come esempio di<br />
un fallito tentativo poetico; la libera traduzione o imitazione delle Argonautiche<br />
di Apollonio Rodio; la raccolta di elegie amorose dedocata ad una Leucadîa. Della<br />
produzione di Varrone a noi restano solo una quarantina di versi. Col Bellum<br />
Sequanicum e con la sua traduzione delle Argonautiche di Apollonio Rodio, Varrone<br />
si mostra legato ancora alla poesia arcaica di tradizione enniana; con i poemetti<br />
a carattere scientifico e didascalico mostra di imitare alcuni generi letterari della<br />
poesia ellenistica che allora incominciavano a diffondersi in Roma; con la Leucadîa<br />
si avvicina decisamente alle posizioni neoteriche. Pertanto, si può dire che Varrone<br />
occupa una posizione intermedia tra la vecchia scuola poetica di tradizione<br />
enniana e la nuova scuola di tendenza moderna, alessandrineggiante. Nei versi<br />
giunti sino a noi, Varrone si rivela, più che altro, un abile verseggiatore.<br />
maestro, sia alla sua disperata situazione finanziaria.<br />
15. Arato di Soli, in Cilicia, è un poeta greco<br />
vissuto tra la fine del IV e gli inizi del III secolo<br />
a.C., autore dei Fenomeni, un poema astronomico<br />
in esametri, del quale la seconda parte è costituita<br />
dai Pronostici, cioè dagli indizi astronomici e naturali<br />
che permettono la previsione del tempo.<br />
L’operetta di Arato, molto letta, amata e imitata dai<br />
Romani, è giunta sino a noi e non manca di pregi<br />
poetici.
28 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
G. Elvio Cinna<br />
G. Elvio Cinna nacque probabilmente a Brixia (odierna Brescia), non sappiamo<br />
in quale anno, e, secondo una notizia di Svetonio, sarebbe morto nel 44<br />
a.C., quando era tribuno della plebe, ucciso dalla folla inferocita per la morte di<br />
Cesare, perché scambiato con un omonimo oppositore del dittatore. Cinna, infatti,<br />
a differenza degli altri neòteroi, prese parte attiva alla vita politica. Seguì Pompeo<br />
nella guerra mitridatica e, in quest’occasione, nel 66 a.C., portò con sé a Roma<br />
il poeta greco Partenio di Nicea, che divenne uno dei maestri del movimento<br />
neoterico.<br />
Cinna scrisse la Zmyrna, un poemetto mitologico avente per argomento l’amore<br />
incestuoso ed infelice di Mirra (o Smirna) per il padre Cìnira e la sua metamorfosi<br />
in albero. Il soggetto rispondeva in pieno al gusto dei poeti alessandrini,<br />
amanti delle storie di amori mitologici intense, appassionate, sconvolgenti. Opera<br />
levigatissima (il poeta vi lavorò per nove anni), la Zmyrna costituisce il «manifesto»<br />
della poesia neoterica. Catullo (Carmina XCV) salutò l’opera, al suo prima<br />
apparire, come un capolavoro destinato ad essere apprezzato in tutto il mondo<br />
e a durare nei secoli, esempio di eleganza, raffinatezza e perfezione formale, in<br />
tutto rispondente all’esigenza di rinnovamento contenutistico e formale della<br />
poesia latina. A noi sono giunti solo tre versi della Zmyrna, davvero pochi per un<br />
giudizio, anche se essi rivelano eleganza, musicalità e pateticità, quelle che forse<br />
erano le note essenziali dell’opera intera. Ma poeti e critici delle età successive<br />
ritennero il poemetto oscuro e difficile. Cinna scrisse anche un Propempticon<br />
Pollionis, un carme di saluto per il viaggio di Pollione in Grecia e Asia e alcuni<br />
epigrammi; sia dell’uno, sia degli altri, sono giunti a noi solo pochissimi frammenti.<br />
Con Cinna il movimento neoterico acquista piena maturità e consapevolezza<br />
e la sua poesia si pone a paradigma per tutti gli altri poeti di formazione e vocazione<br />
neoterica.<br />
Scrisse epigrammi, e in essi non esitò a scagliarsi contro i personaggi più<br />
illustri di quegli anni, compresi Cesare e Pompeo, attaccandoli con coraggio e<br />
spregiudicatezza, usando estrema libertà di linguaggio, acredine e sarcasmo. Per<br />
certe affinità spirituali e culturali, per gli ideali umani e letterari, per certi suoi<br />
atteggiamenti spregiudicati e anticonformisti, per l’accesa passione dell’animo,<br />
Licinio Calvo rassomiglia molto a Catullo, del quale fu fervido amico. Alcuni carmi<br />
di Catullo sono a lui dedicati e rivelano l’intensa amicizia e la profondità di stima<br />
e di affetto che legava i due poeti. Come Catullo, anche Calvo sa essere aspro,<br />
violento ed aggressivo nei suoi epigrammi, ma sa, come Catullo, rivelarsi anche<br />
poeta dolcissimo e delicato, tenero ed appassionato, quando deve parlare del<br />
suo amore. Per la morte della giovane sposa, in suo onore scrisse un libro di<br />
dolentissime elegie, dedicate, appunto, a Quintilia, e con esso, per la prima volta,<br />
16. Il testo di quest’epigramma catulliano<br />
(Carmina XCVI) è il seguente:<br />
Si quicquam mutis gratum acceptumve sepulcris<br />
accidere a nostro, Calve, dolore potest,<br />
quo desiderio veteres renovamus amores<br />
atque olim missas flemus amicitias:<br />
certe non tanto mors immatura dolori est<br />
Quintiliae, quantum gaudet amore tuo.<br />
«Se un qualche piacere o conforto può giungere,<br />
o Calvo, ai muti sepolcri dal nostro dolore,<br />
da quel rimpianto col quale facciamo rivivere gli<br />
antichi amori e versiamo lacrime sugli affetti da<br />
tempo perduti, certo non soffre tanto per la sua<br />
morte prematura Quintilia, quanto gioisce per il tuo<br />
amore».<br />
17. Il nome è solo uno pseudonimo, che corrisponde<br />
metricamente al nome vero (come fece<br />
Catullo con Lesbia = Clodia, come fece Cornelio<br />
Gallo con Licòride = Citèride, e così tanti altri poeti),<br />
mentre, in realtà, il nome vero della donna amata<br />
dal poeta era Metella.
cap. III - I poetae novi (o neoteroi) - I poeti avanguardisti latini 29<br />
l’elegia latina cessava di cantare gli amori di personaggi mitologici, per farsi soggettiva,<br />
raccontando le vicende sentimentali personali del poeta. Nella Quintilia,<br />
anticipando l’elegia romantica e malinconica di Properzio, Calvo lascia che sia<br />
l’ombra triste di sua moglie a comparirgli e a parlargli, e a lei si rivolge, innamorato<br />
e pentito, per confessarle le proprie scappatelle amorose d’un tempo. Il<br />
modello per queste elegie l’aveva fornito al poeta Partenio di Nicea, autore<br />
anch’egli di una raccolta di elegie scritte per la moglie scomparsa. Catullo apprezzò<br />
molto quest’opera di Calvo e volle perciò ricordarla in un suo delicato, affettuosissimo<br />
e commovente epigramma 16. Quasi nulla è giunto a noi delle elegie di<br />
Calvo per Quintilia. La santità dell’amore coniugale era cantata dal poeta anche<br />
in un epitalamio, del quale sono pervenuti a noi solo pochi frammenti. Nell’epillio<br />
intitolato Io, il poeta raccontava la triste vicenda di Io, la fanciulla amata da<br />
Giove, trasformata poi in giovenca dall’ira di Giunone ingelosita e costretta dalla<br />
vendetta della dea ad andare raminga di terra in terra. Il poemetto, di soggetto,<br />
fattura e gusto tipicamente alessandrino e neoterico, è andato perduto e solo<br />
pochi frammenti di esso sono giunti sino a noi.<br />
Tìcida<br />
Di Tìcida sappiamo solo che fu un maestro di scuola, come Valerio Catone<br />
e Furio Bibàculo. Di lui abbiamo solo il già citato verso celebrativo della Lydia di<br />
Valerio Catone e il frammento d’un epitalamio, altro genere letterario pure amato<br />
dai neòteroi. Nella sua opera maggiore, della quale ci sfugge il titolo, Tìcida aveva<br />
cantato il suo amore per Perilla 17, ma di essa nulla è giunto sino a noi.<br />
Quinto Cornificio<br />
Il poeta Quinto Cornificio, della cui vita nulla sappiamo, appartenne certamente<br />
alla corrente poetica neoterica ed ebbe, come Licinio Calvo, un certo rilievo<br />
nella vita pubblica dei suoi tempi, distinguendosi soprattutto come oratore, ispirantesi<br />
alla corrente stilistica dell’atticismo. Cornificio figura tra i corrispondenti<br />
dell’epistolario di Cicerone e fu molto amico di Catullo 18. Scrisse un epillio, il<br />
Glauco, che aveva lo stesso titolo di un’operetta analoga di Cicerone: entrambe<br />
sono andate perdute. Cornificio fu anche autore di epigrammi, andati perduti.<br />
18. È quanto attesta questo Carme XXXVIII di<br />
Catullo:<br />
Male est, Cornifîci, tuo Catullo,<br />
male est, mehercule, et laboriose,<br />
et magis magis in dies et horas.<br />
Quem tu, quod minimum facillimumque est,<br />
qua solatus es allocutione?<br />
Irascor tibi : sic meos amores?<br />
Paulum quid libet allocutionis<br />
maestius lacrimis Simonideis.<br />
«Sta male, Cornificio, il tuo Catullo, sta male,<br />
per Ercole, e soffre molto, e peggiora sempre più,<br />
di giorno in giorno, di ora in ora. Ma tu, cosa in<br />
sé semplicissima e facilissima, quale parola di conforto<br />
gli hai rivolto? Sono arrabbiato con te: così<br />
contraccambi il mio affetto? Dimmi una parola di<br />
conforto, quella che vuoi, (ma dimmela), anche se<br />
più triste dei commoventi carmi di Simonide».<br />
Simonide di Ceo è un poeta greco vissuto tra<br />
il VI e il V secolo a.C., autore di liriche corali, quali<br />
ditirambi, epinici, peani, treni, di liriche monodiche,<br />
di elegie (alle quali forse nel carme si riferisce<br />
Catullo) e di epigrammi.
Quinto Scevola<br />
30 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
Di Quinto Scevola sappiamo solo che fu tribuno della plebe nel 54 a.C. e che, pertanto,<br />
era press’a poco coetaneo di Catullo. Scrisse epigrammi, dei quali a noi è giunto solo qualche<br />
insignificante frammento.<br />
Publio Volumnio<br />
Di Publio Volumnio sappiamo solo che fu soprannominato, con termine greco,(Eutràpelo,<br />
cui in latino corrisponde forse scurra, nel senso di «un bello spirito») e che fu praefectus<br />
fabrum di M. Antonio negli anni successivi al 50 a.C. Fu autore di epigrammi, ma di essi a<br />
noi è giunto solo un insignificante frammento 19.<br />
Edizioni critiche e traduzioni dei frammenti della<br />
poesia neoterica:<br />
AEM. BAEhRENS, Poetae Latini minores (P.L.M.), 5<br />
voll., Leipzig 1879-1883.<br />
w. MOREL, Fragmenta Poetarum Latinorum (F.P.L.),<br />
Leipzig 1927.<br />
A. TRAGLIA, Poetae Novi, Roma 1962; 1974 2.<br />
G.B. PIGhI, Il libro di Gaio Valerio Catullo e i frammenti<br />
dei «poeti nuovi», Torino 1974 (con trad.<br />
it.).<br />
k. BUEChNER, Fragmenta Poetarum Latinorum<br />
(F.P.L.), Leipzig 1982 2.<br />
J. BLäNDSDORF, Fragmenta Poetarum Latinorum<br />
(F.P.L.), Stuttgart-Leipzig 1995 3.<br />
Studi sui neòteroi:<br />
C. MARChESI, La vita e l’opera di Elvio Cinna, Catania<br />
1898.<br />
h. DE LA VILLE DE MIRMONT, Etudes sur l’ancienne<br />
poésie latine, Paris 1903.<br />
A. GANDIGLIO, Cantores Euphorionis, Bologna 1904.<br />
C. CESSI, La poesia ellenistica, Bari 1912.<br />
C. PASCAL, Poeti e personaggi catulliani, Catania<br />
1916.<br />
Ph. E. LéGRAND, La poésie alexandrine, Paris 1924.<br />
A. köRTE, Die hellenistische Dichtung, Leipzig 1925.<br />
A. ROSTAGNI, Partenio di Nicea, Elvio Cinna ed i<br />
«poetae novi», «Atti dell’Accad. delle Scienze di<br />
19. Tra i minori del movimento neoterico possono<br />
essere ricordati un tal Cecilio di Como e Lucio<br />
Giulio Calido, contemporaneo di Catullo. Ma di<br />
questi poeti poco o nulla sappiamo. Anche di molti<br />
altri poeti minori del movimento neoterico cono-<br />
IndIcazIonI BIBlIografIche<br />
Torino», 1932-1933; ora in «Scritti minori» II 2,<br />
Torino 1956.<br />
V. SIRAGO, La scuola neoterica, Arona 1945.<br />
L. ALFONSI, Poetae novi, Como 1945.<br />
E. CASTORINA, Licinio Calvo, Catania 1946.<br />
V. CIAFFI, Catullo e i poeti nuovi, Torino 1951.<br />
w. wIMMEL, Kallimachos in Rom, wiesbaden 1960.<br />
R. SCARCIA, Latina Siren, Roma 1964.<br />
C.w. MENDELL, The New Poets and the Augustans,<br />
New haven-London 1965.<br />
E. CASTORINA, Questioni neoteriche, Firenze 1968.<br />
A. LUNELLI, Aerius. Storia di una parola poetica<br />
(Varia neoterica), Roma 1969.<br />
J. GRANAROLO, D’Ennius à Catulle. Recherches sur<br />
les antécédents romains de la «poésie nouvelle»,<br />
Paris 1971.<br />
T.P. wISEMAN, Cinna the Poet and Other Roman<br />
Essays, Leicester 1974.<br />
F. DELLA CORTE, Personaggi catulliani, Firenze 1976 2.<br />
h. DAhLMANN, Ueber Helvius Cinna, wiesbaden<br />
1977.<br />
A. TRAGLIA, Interpretazioni neoteriche, «Ann. Sc.<br />
Norm. Sup. Pisa», 1977.<br />
N. FLOCChINI, Argomenti e problemi di letteratura<br />
latina, Milano 1977.<br />
R.O.A.M. LyNE, The Neoteric Poets, «Classisal<br />
Quarterly», 1978.<br />
G. MAGGIULLI, s.v. Neoterici (poeti), in AA.VV.<br />
Dizionario degli scrittori greci e latini, II, Milano<br />
1987.<br />
sciamo solo il nome, o il titolo dell’opera, o qualche<br />
insignificante frammento. Questi poeti sono spesso<br />
derisi ed aspramente criticati dallo stesso Catullo<br />
per la loro mediocrità; e, in realtà, essi erano solo<br />
dei mediocri verseggiatori.
MARCO FURIO BIBACULO<br />
1. Altri accoglie la lezione patientiam.<br />
cap. III - I poetae novi (o neoteroi) - I poeti avanguardisti latini 31<br />
ANTOLOGIA DELLA POESIA NEOTERICA<br />
Epigrammâta: Epigrammi<br />
Il poeta ricorda il suo maestro Valerio Catone, costretto a vivere in povertà i tristi<br />
anni della vecchiaia. L’epigramma ci è stato trasmesso da Svetonio (De grammaticis<br />
et rhetoribus I 11). (Metro: falecei).<br />
Siquis forte mei domum Catonis,<br />
depictas minio assûlas et illos<br />
custodis videt hortulos Priäpi,<br />
miratur quibus ille disciplinis<br />
tantam sit sapientiam 1 assecutus,<br />
quem tres caulicûli, selibra farris,<br />
racëmi duo tegula sub una<br />
ad summam prope nitriant senectam.<br />
(fr. 1 k. BUEChNER = 3 A. TRAGLIA).<br />
Se uno per caso vede la casa del mio Catone, assicelle dipinte di rosso e l’orticello<br />
con Priapo guardiano, egli si chiede stupito a quale mai scuola abbia appreso<br />
tanta saggezza quell’uomo, a cui tre gambi di verdura, mezza libbra di farro e due<br />
grappoli d’uva, sotto un unico tetto, bastano a dar nutrimento sino all’estrema vecchiezza.<br />
PUBLIO TERENzO VARRONE ATACINO<br />
Ephemêris: Almanacco<br />
Nel bel frammento dell’Ephemêris che qui si riporta, il poeta descrive, dal comportamento<br />
degli animali, i segni che preannunciano l’arrivo della tempesta. Il modello<br />
seguito da Varrone sono i Phaenomêna di Arato; Virgilio, poi, nelle Georgiche (I 373 e<br />
sgg.), rielaborerà i modelli sia di Arato, sia di Varrone. (Metro: esametri).<br />
Tum liceat pelagi volucres tardaeque paludis<br />
Cernere inexpletas studio certare lavandi<br />
Et velut insolitum tennis infondere rorem;<br />
aut arguta lacus circumvolitavit hirundo,<br />
et bos suspiciens caelum – mirabile visu –<br />
naribus aërium patulis decerpsit odorem ;<br />
nec tenuis formica cavis non evehit ova.<br />
(fr. 22 w. MOREL = 21 A. TRAGLIA) .
32 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
Potresti allora vedere gli uccelli del mare e della stagnante palude gareggiare instancabili<br />
nell’impegno di lavarsi, e cospargersi le piume di quell’insolita specie di rugiada; oppure<br />
la garrula rondine fa mille voli intorno agli stagni, e il bue, scrutando il cielo – è uno spettacolo<br />
incredibile – cerca di cogliere l’odore dell’aria dilatando le narici; e intanto l’esile formica<br />
s’adopera a trarre fuori dalle cavità del terreno le sue uova.<br />
(Metro: esametri).<br />
2. Eöus ed Hesperus sono i due nomi greci<br />
con i quali vendica indicato l’astro di Venere al<br />
mattino o alla sera.<br />
3. Belidis: figlio di Belo, cioè Dàrdano, il mitico<br />
fondatore di Argo, città del Peloponneso.<br />
Argonautae: Gli Argonauti<br />
Desierant latrare canes urbesque silebant;<br />
omnia noctis erant placida composta quiete.<br />
(fr. 8 w. MOREL = 9 A. TRAGLIA).<br />
I cani avevano cessato di latrare e le città erano diventate silenziose; ogni cosa era<br />
immersa nella placida quiete della notte.<br />
GAIO ELVIO CINNA<br />
Zmyrna: Smirna<br />
Resosi conto dell’avvenuto incesto, Cìnira ha scacciato sua figlia Smirna ed ora la fanciulla<br />
vaga disperata, distrutta dal rimorso. (Metro: esametri).<br />
Te matutinus flentem conspexit Eöus<br />
et flentem paulo vidit post Hesperus 2 idem.<br />
(fr. 6 w. MOREL = 12 A. TRAGLIA).<br />
Mentre piangevi ti scorse al mattino Eòo e in pianto ancora ti vide Espero, la stessa stella,<br />
ma ormai della notte.<br />
(Metro: esametri).<br />
At scelus incesto Zmyrnae crescebat in alvo.<br />
Ma il frutto della colpa cresceva nel grembo incestuoso di zmyrna.<br />
(Metro: esametri).<br />
Propemptîcon Pollionis: Per la partenza di Pollione<br />
Nec tam donorum ingentis mirabere acervos<br />
innumerabilibus congestos undîque saeclis<br />
iam inde a Belidis 3 natalique urbis ab anno<br />
Cecrôpis 4 atque alta Tyriorum ab origine Cadmi 5.<br />
(fr. 7 w. MOREL = 13 A. TRAGLIA).<br />
(fr. 4 G.B. PIGhI).<br />
4. Cecrôpis: Cècrope, il primo mitico re di<br />
Atene.<br />
5. Cadmi: Cadmo, il mitico fondatore di Tebe,<br />
proveniva da Tiro, città della Fenicia.
6. Su Arato: v. III 3, nota 15 pag. 27.<br />
7. quis: arcaico per quibus.<br />
8. ignis: accusativo plurale per ignes.<br />
9. levis: da levis, -e, «liscio», «levigato»;<br />
diverso da levis, -e, «lieve», «leggero»; qui levis<br />
cap. III - I poetae novi (o neoteroi) - I poeti avanguardisti latini 33<br />
Né tanto ammirerai gl’ingenti cumuli di doni raccolti da ogni parte per innumerevoli generazioni<br />
sin dall’anno di nascita del figlio di Belo e della sua città, e della remota origine di<br />
Cècrope e del tirio Cadmo.<br />
Epigrammâta: Epigrammi<br />
Al ritorno da un suo viaggio in Oriente, Cinna porta in dono ad un amico una copia dei<br />
Phaenomêna di Arato 6. Un dono prezioso e raffinato, per una persona colta e inserita nell’ambiente<br />
neoterico. (Metro: distico elegiaco).<br />
Haec tibi Arateis multum invigilata lucernis<br />
Carmina, quis 7 ignis 8 novimus aetherios,<br />
levis 9 in aridulo malvae descripta libello<br />
Prusiâca 10 vexi munera navicula.<br />
(fr. 11 w. MOREL = 3 A. TRAGLIA).<br />
Questi carmi, a lungo vegliati alla lucerna d’Arato, dai quali conosciamo gli astri del cielo,<br />
trascritti sull’arida scorza di malva levigata, ho portato in dono per te su una navicella della<br />
Bitinia.<br />
GAIO LICINIO CALVO<br />
Epigrammâta: Epigrammi<br />
Nell’epigramma che riportiamo, Calvo prende in giro Pompeo, accusandolo di essere di<br />
tendenze omosessuali. (Metro: distico elegiaco).<br />
Magnus, quem metuunt omnes, digito caput uno<br />
scalpit 11. Quid credas hunc sibi velle? Virum.<br />
(fr. 20 G.B. PIGhI).<br />
Pompeo il Grande, che tutti temono, si gratta la testa con un dito. Di cosa tu credi ch’egli<br />
abbia voglia? Di un maschio.<br />
(Metro: pentametro).<br />
Quintilia: Quintilia<br />
Forsitan hoc etiam gaudeat ipsa cinis.<br />
(fr. 16 w. MOREL = 8 A. TRAGLIA).<br />
è genitivo riferito a malvae.<br />
10. Prusiâca: aggettivo da Prusia, nome di re<br />
della Bitinia; qui vale nel significato generico di<br />
«bitinica».<br />
11. Il gesto era inteso come volgare e aveva<br />
il significato d’un invito o richiamo omosessuale.
34 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
Forse anche di questo potrà godere la cenere stessa.<br />
Metro: esametri).<br />
12. Soggetto di docuit è Cerere, la dea latina<br />
delle messi e dell’agricoltura, che diede agli uomini<br />
leggi e stabili dimore sottraendoli al nomadismo<br />
legato alla pastorizia.<br />
Epithalamium: Epitalamio<br />
Et leges sanctas docuit 12 et cara iugavit<br />
corpora conubiis et magnas condidit urbes.<br />
(fr. 6 w. MOREL = 11 A. TRAGLIA).<br />
Ed insegnò le sacre leggi e con le nozze unì i corpi nel giogo dell’amore e<br />
fondò le grandi città.<br />
Metro: esametri).<br />
Io: Io<br />
A, virgo infelix, herbis pascëris amaris 13.<br />
Ah, infelice ragazza, di erbe amare ti pascerai!<br />
Metro: esametri).<br />
Mens mea dira sibi praedïcens omnia vaecors.<br />
(fr. 9 w. MOREL = 14 A. TRAGLIA).<br />
(fr. 10 w. MOREL = 5 A. TRAGLIA).<br />
L’anima mia, che prediceva a se stessa ogni cosa funesta, nella sua follia.<br />
Per le edizioni critiche da cui sono stati tratti i frammenti qui riportati, si<br />
rinvia alle Indicazioni bibliografiche relative ai poetae novi. Le traduzioni dei frammenti<br />
sono a cura dell’autore.<br />
13. Nel verso è il presagio del futuro destino<br />
di Io, trasformata da Giunone per vendetta in giovenca.
capitolo quarto<br />
1. San Girolamo (Chronicon) afferma che il<br />
poeta visse trent’anni, indicando nell’87 e nel 57<br />
a.C. i rispettivi anni di nascita e di morte. Ma molti<br />
Carmi di Catullo (XI, XXIX, XLV, LV etc.), per i loro<br />
precisi riferimenti ad avvenimenti storici contemporanei,<br />
sembrano contraddire quelle indicazioni<br />
cronologiche e, pertanto, oggi comunemente si<br />
cap. IV - Gaio Valerio Catullo - Il poeta di Lesbia, il poeta dell’amore 35<br />
Gaio Valerio Catullo (di Verona, 84-54 a.C.)<br />
Il poeta di Lesbia, il poeta dell’amore<br />
1. Notizie biografiche<br />
Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.<br />
Nescio. Sed fieri sentio et excrucior<br />
(CATULLO, Carmina LXXXV).<br />
Odio e amo. Come sia possibile, forse ti chiedi.<br />
Non lo so, ma sento che è così, e me ne dispero.<br />
Con Gaio Valerio Catullo (C. Valerius Catullus), la letteratura latina diventa<br />
moderna, scoprendo, sulle orme di Callìmaco, tutte le nuove possibilità espressive<br />
del genere lirico e assegnando nuovi fini e ideali artistici e umani alla poesia.<br />
Catullo nacque nella Gallia Cisalpina, a Verona, nell’84 a.C. 1, da famiglia illustre<br />
e benestante.<br />
A Verona il poeta trascorse la sua fanciullezza e ivi ricevette la sua prima<br />
educazione spirituale e letteraria. Ma le umane aspirazioni e le necessità spirituali<br />
e letterarie del giovane ed insofferente poeta erano troppo vaste, per poter<br />
trovare adeguata o felice realizzazione nell’ambiente culturale chiuso e provinciale<br />
della piccola Verona. Sicché, il poeta, poco dopo il compimento dei vent’anni,<br />
si trasferì a Roma, dove lo richiamavano il fervente ambiente intellettuale<br />
e le seducenti promesse di vita brillante e mondana. E qui, nella capitale dell’impero,<br />
Catullo entrò subito nel giro dei cenacoli aristocratici e letterari d’avanguardia,<br />
prendendo a frequentare i salotti più eleganti e raffinati della Romabene,<br />
là dove si «faceva» cultura, diventando l’anima di essi, il poeta di grido più<br />
eccentrico, colto, originale e ricercato. In Roma, Catullo divenne amico dei più<br />
giovani e spinti poeti dell’avanguardia neoterica, quali Licinio Calvo, Elvio Cinna,<br />
Cecilio, Cornificio ed altri e strinse buoni rapporti con qualche politico di prestigio<br />
quale Gaio Memmio 2, o con letterati illustri quali Cornelio Nepote e Ortensio<br />
Òrtalo.<br />
Certamente il poeta conosceva di persona anche Giulio Cesare: il padre di<br />
Catullo, infatti, più volte aveva accolto ospitalmente nella sua casa di Verona, sia<br />
Giulio Cesare, sia Quinto Metello Celere, allorché questi erano proconsoli della<br />
Gallia Cisalpina. Ma Catullo non provò mai grandi sentimenti d’amicizia o ammi-<br />
Il<br />
modernizzatore<br />
della letteratura<br />
latina<br />
Nacque<br />
a Verona<br />
nell’84 a.C.<br />
Poco dopo i<br />
vent’anni si<br />
trasferisce a<br />
Roma<br />
Le amicizie<br />
L’avversione di<br />
Catullo per i<br />
grandi politici<br />
del tempo:<br />
Cesare,<br />
Pompeo,<br />
Cicerone<br />
ritiene che Catullo sia nato nell’84 e che sia morto<br />
nel 54 a.C.<br />
2. Il politico Gaio Memmio Gemello è la stessa<br />
persona alla quale il poeta Lucrezio dedicherà il<br />
suo De rerum natura. Al seguito di questo Memmio,<br />
propretore, Catullo nel 57 a.C. si recherà in Asia<br />
Minore.
L’incontro con<br />
Lesbia<br />
Il vero nome e<br />
l’identità<br />
storica di<br />
Lesbia: Clodia<br />
La Clodia di<br />
Cicerone<br />
(Pro Caelio)<br />
36 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
razione verso Cesare, anzi, spesso mostrò apertamente indifferenza per il grande<br />
uomo politico (Carmina XCIII) o per le sue imprese (Carmina XLV e grande disprezzo<br />
per gli uomini del suo partito (Carmina LII) 4. Nemmeno il grande Pompeo<br />
sembra godere della simpatia di Catullo (Carmina CXIII) 5 e tanto meno Cicerone<br />
(Carme XLIX) 6, dal quale lo separavano profonde diversità di ideali umani, politici<br />
e culturali, oltre che, forse, personali ragioni di inimicizia e di antipatia. A<br />
Roma Catullo incontrò Lesbia, la donna della sua vita, colei che segnò il suo<br />
destino d’uomo e di poeta.<br />
Il nome Lesbia costituisce uno pseudonimo poetico 7 attribuito da Catullo alla<br />
donna amata, per il fascino e la suggestione estetica e culturale esercitata su<br />
di lui dal mitico mondo artistico di Saffo, la poetessa di Lesbo. Nella realtà storica,<br />
il vero nome di Lesbia era Clodia, forse identificabile storicamente con la<br />
Clodia moglie del politico Quinto Metello Celere 8 e sorella del tribuno della plebe<br />
Publio Clodio Pulcro, potente alleato di Cesare, famoso e implacabile nemico di<br />
Cicerone 9. Sicché, Clodia, la Lesbia del poeta, era dunque una donna maritata,<br />
più grande di Catullo di circa dieci anni; era una donna bellissima (pulcherrima),<br />
almeno così la descrive l’innamorato poeta, ricca di fascino, d’intelligenza, di spirito<br />
e di cultura, ma sentimentalmente inquieta e volubile, moralmente spregiudicata<br />
e disinibita. Questa donna è, quasi certamente, la stessa donna contro la<br />
quale si scaglia Cicerone (Pro Caelio), allorché prende la parola in difesa di Celio<br />
Rufo, un altro amante di Clodia, forse quello che con lei ebbe maggiore fortuna<br />
e durata. Breve, ma intensissima, fu invece la storia d’amore fra Clodia e Catullo.<br />
3. Il Carme XI, forse l’ultimo di Catullo, secondo<br />
alcuni studiosi, sembrerebbe testimoniare il tardivo,<br />
ma sincero riconoscimento del poeta per le grandi<br />
imprese compiute da Cesare. In realtà, è difficile<br />
dire se il riferimento alle imprese di Cesare in Gallia<br />
e Britannia (sive trans altas gradietur Alpis, /<br />
Caesaris visens monimenta magni, / Gallicum<br />
Rhenum, horribilisque ultimosque Britannos: «sia<br />
che (Catullo) attraversà le alte Alpi, per vedere i<br />
trofei del grande Cesare, la Gallia e il Reno e i<br />
terribili, remotissimi Britanni») possa avere un effettivo<br />
carattere ammirativo e laudativo o se costituisca,<br />
invece, un puro e semplice ormai acquisito<br />
e scontato riferimento a carattere storico-geografico.<br />
4. Per il rapporto fra Catullo e Cesare cfr. qui,<br />
II 2, nota 10 a pag. 10.<br />
5. Il Carme CXIII di Catullo suona così:<br />
Consule Pompeio primum, duo, Cinna solebant<br />
Moecillam. Facto consule nunc iterum,<br />
manserunt duo, sed creverunt milia in unum<br />
singula: fecundum semen adulterio.<br />
«Sotto il primo consolato di Pompeo, erano in<br />
due, Cinna, a farsela con Mucilia. Ora ch’è stato<br />
fatto console per la seconda volta, sono rimasti<br />
due, sì, ma moltiplicati ciascuno per mille: fecondo<br />
è il seme dell’adulterio». Quest’epigramma catulliano<br />
è del 55 a.C., anno del secondo consolato<br />
di Pompeo. Mucilia è il diminutivo di Mucia, moglie<br />
nel 70 a.C. del console Pompeo. Quell’anno, dice<br />
Catullo, la donna aveva due soli amanti (uno dei<br />
quali era Cinna), ora, quindici anni dopo, nel 55<br />
a.C. ne ha duemila e le corna di Pompeo sono<br />
aumentate a dismisura.<br />
6. Il Carme XLIX è un epigramma nel quale<br />
Catullo, giocando sull’ambiguità e sull’ironia, sembra<br />
contraccambiare qualche recente stroncatura ch’egli<br />
ha forse ricevuto da parte di Cicerone:<br />
Desertissime Romuli nepotum,<br />
quot sunt quotque fuëre, Marce Tulli,<br />
quotque post aliis erunt in annis,<br />
gratias tibi maximas Catullus<br />
agit, pessimus omnium poeta:<br />
tanto pessimus omnium poeta<br />
quanto tu optimus omnium patronus.<br />
«O il più eloquente dei discendenti di Romolo,<br />
di quanti sono e di quanti furono, Marco Tullio, e<br />
di quanti saranno negli anni avvenire, ti ringrazia<br />
moltissimo Catullo, il peggiore di tutti i poeti, di<br />
tanto il poeta peggiore di tutti quanto tu sei il<br />
migliore patrono di tutti». Ne «il peggiore di tutti i<br />
poeti» si nasconde probabilmente un’analoga affermazione<br />
sostenuta da Cicerone contro Catullo, alla<br />
quale il poeta risponde ironizzando su Cicerone e,<br />
definendolo il migliore patrono di tutti, fa chiaro<br />
riferimento alla tendenza manifestata da Cicerone<br />
di essere disposto, per interesse e per opportunismo,<br />
a difendere chiunque e qualsiasi causa.<br />
7. APULEIO, Apologia X.<br />
8. Quinto Metello Celere fu governatore della<br />
Gallia Cisalpina negli anni 64-62 a.C. e, come s’è<br />
già detto, fu spesso accolto ospitalmente dal padre<br />
di Catullo nella sua casa di Verona.<br />
9. Publio Clodio Pulcro era agitatore del partito<br />
dei populares; nel 52 a.C. cadde ucciso da<br />
Milone, il tribuno del partito avverso, sostenitore<br />
degli optimates conservatori.
10. Al seguito di Memmio, Catullo sperava<br />
anche di ricavare un po’ di soldi dalla spedizione<br />
in Asia Minore: i governatori romani sfruttavano<br />
molto le province, da loro avidamente e rapacemente<br />
amministrate. Ma Memmio concesse poco<br />
a Catullo e agli altri intellettuali che erano al suo<br />
cap. IV - Gaio Valerio Catullo - Il poeta di Lesbia, il poeta dell’amore 37<br />
Il poeta amò perdutamente questa donna, alternando, per essa, giorni colmi<br />
di gioia purissima e di felicità intensa, con altri di profondo sconforto e di disperazione<br />
assoluta, secondo il mutevole volere o il capriccio di Lesbia, a volte di -<br />
sposta ad amarlo sul serio, più spesso a tradirlo senza alcun pudore o ritegno.<br />
Lesbia divenne l’unica, vera «padrona» (domina) dell’animo e della volontà di<br />
Catullo, l’ispiratrice della sua poesia e della sua vita. Spesso il poeta tornò a<br />
Verona e a Sirmione, sul lago di Garda, dove possedeva una splendida villa. Ma,<br />
nonostante il suo amore per la sua terra d’origine, Roma era intanto diventata<br />
la città della sua vita, perché, come egli stesso afferma (Carmina LXVIII, 34-35,<br />
Antol. catull., pagg. 79-83), ora egli vive a Roma (Romae vivimus), là è la sua<br />
casa (illa domus), là è la sua dimora (illa mihi sedes), là si consuma la sua vita<br />
(illic mea carpitur aetas); e in quel «consumarsi» della sua vita in Roma, si avverte<br />
che tanta parte vi ha avuto, o forse ancora vi ha, nonostante tutto, la presenza<br />
in essa di Lesbia.<br />
Oltre al dolore procurato al poeta dallo sciagurato amore per Lesbia, un altro<br />
dolore, d’altra più grave natura, venne, purtroppo, un triste giorno a colpirlo: la<br />
morte prematura, verso il 60 a.C., nella lontana Troade, del suo amatissimo fratello.<br />
Solo alcuni anni dopo, il poeta, recandosi in viaggio in Asia Minore al seguito<br />
del propretore G. Memmio 10, governatore della Bitinia dal 57 al 56 a.C., poteva<br />
finalmente recarsi nella Troade a rendere omaggio alla tomba del fratello (Carmina<br />
CI). L’ultimo Carme di Catullo sembra sia l’XI (cfr. Antol. catull., pagg. 77-78),<br />
databile al 55 o, forse, al 54 a.C.: è un messaggio per Lesbia, certamente l’ultimo,<br />
col quale il poeta si congeda definitivamente e senza più rimpianti da lei<br />
e, forse, dalla vita, se è vero che il 54 a.C. è anche l’anno triste della sua morte.<br />
La vita di Catullo si esaurì, dunque, nel breve giro di soli trent’anni.<br />
2. La produzione letteraria<br />
L’opera di Catullo è costituita da poesie liriche raccolte in un liber, il canzoniere,<br />
a noi pervenuto, comprendente 116 carmi complessivi; questi carmi si presentano<br />
suddivisi in tre sezioni, secondo un criterio esclusivamente metrico e stilistico,<br />
non certo cronologico.<br />
Pertanto, la I sezione (Carmina I-LX) contiene poesie brevi e di argomento<br />
vario, leggero e personale: sono, queste, le nugae, cioè le «inezie» come le definisce<br />
il poeta stesso. Il metro di questi carmi è vario: endecasillabi falecei, prevalentemente,<br />
e trimetri giambici, coliambi, asclepiadei maggiori, priapei; sistemi<br />
strofici quali il saffico minore e il sistema tetrastico costituito da tre gliconei e<br />
un ferecrateo. La II sezione (Carmina LX-LXVIII), contiene le poesie più lunghe e<br />
letterariamente più elaborate: sono, questi, i carmina docta, carmi, o, meglio,<br />
poemetti di maggiore impegno e consistenza letteraria, dai quali il poeta si attendeva<br />
la fama. Si tratta, in particolare, di epitalami, di epilli ed elegie di soggetto<br />
prevalentemente mitologico, ma pur essi ricchi di riferimenti a carattere autobiografico.<br />
Il metro varia da carme a carme, con prevalenza, tuttavia, di esametri<br />
e di distici elegiaci. La III sezione (Carmina LXIX-CXVI), contiene altre nugae, cioè<br />
poesie brevi e di argomento vario, leggero e personale. Queste nugae si distin-<br />
La tormentata<br />
storia<br />
dell’amore di<br />
Catullo e<br />
Clodia<br />
Verona e<br />
Sirmione sul<br />
Garda<br />
Roma dimora<br />
definitiva della<br />
sua vita<br />
La morte del<br />
fratello (60<br />
a.C.)<br />
Il viaggio<br />
in Bitinia<br />
(57-56 a.C.)<br />
L’anno della<br />
morte: 54 a.C.<br />
Il liber<br />
(canzoniere)<br />
I sezione<br />
(carmina I-LX)<br />
nugae<br />
II sezione<br />
(carmina<br />
LX-LXVIII)<br />
carmina docta<br />
III sezione<br />
(carmini LXIX-<br />
CXVI) nugae<br />
in distici<br />
elegiaci<br />
seguito e tutto ciò destò l’ira e il risentimento del<br />
poeta che, pertanto, non esitò, al ritorno dal<br />
viaggio, a lanciare frecciate ingiuriose contro lo<br />
stesso Memmio (Carmina X, Antol. catull., pagg.<br />
64-65).
La dedica a<br />
Cornelio<br />
Nepote<br />
La lirica<br />
soggettiva e<br />
l’anima del<br />
poeta<br />
Spirito<br />
inquieto,<br />
appassionato<br />
e romantico, si<br />
autodefinisce<br />
impŏtens, cioè<br />
«incapace a<br />
frenarsi»<br />
Spirito<br />
mutevole e<br />
contraddittorio<br />
38 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
guono da quelle della I sezione, non per il contenuto, che resta sostanzialmente<br />
lo stesso, ma per il metro, che in esse è costituito esclusivamente dal distico<br />
elegiaco. Si tratta di epigrammi o brevi elegie e questi carmi rispetto a quelli<br />
della I sezione risultano meno freschi o spontanei, più costruito ed elaborati. La<br />
raccolta è dedicata all’amico Cornelio Nepote 11, storico e biografo contemporaneo,<br />
e in essa il poeta indica col nome di libellus («libretto») il volumetto e definisce<br />
nugae le poesie in esso contenute, con chiara allusione alla loro brevità<br />
ed alla tenuità d’argomento. Si è pensato che difficilmente il poeta avrebbe definito<br />
nugae anche i suoi carmina docta contenuti nel libro. Pertanto si è giunti<br />
alla conclusione che, probabilmente, la dedica si riferisca ad una primitiva, originaria<br />
edizione del liber, quando esso era ancora un libellus comprendente solo<br />
le prime nugae e non ancora i carmina docta e le altre nugae, più elaborate e<br />
in metro distico elegiaco, che vennero invece ad aggiungersi in tempi successivi.<br />
3. La personalità e l’anima catulliana<br />
Con l’introduzione in Roma da parte di Catullo della lirica soggettiva si è<br />
indotti ad entrare in una nuova dimensione artistica, in un mondo poetico nuovo,<br />
dove protagoniste assolute diventano le vicende personali del poeta e la sua<br />
anima. Conoscere la personalità e l’anima del poeta vorrà dire, pertanto, essere<br />
già penetrati nel cuore della sua poesia.<br />
Spirito inquieto, impulsivo, insofferente, appassionato, espansivo, romantico,<br />
Catullo, in una sua lirica (Carmina VIII, IX, Antol. catull., pagg. 71-73), si autodefinì<br />
impôtens, «incapace a frenarsi»: e tale spesso egli si rivela, «senza freni»,<br />
nella vita e nell’arte. Spesso esagerato, nel bene e nel male, nei sentimenti, nell’amore,<br />
nei rapporti sociali, in quelli umani, insomma, nella vita, Catullo sembra<br />
non conoscere le mezze misure. Egli è infatti capace di grandi amori e di grandi<br />
odi o rancori, di amicizie intensissime e di inimicizie profonde, pieno di slanci e<br />
di abbandoni, pronto all’entusiasmo e facile alla delusione o allo scoramento:<br />
vive intensamente tutti i sentimenti e tutti li brucia o consuma in maniera esasperata.<br />
Per amore, Catullo riuscirà a distruggere, nello spirito e nell’animo, tutta<br />
la sua esistenza (Carmina 76, Antol. catull., pagg. 75-77). Per sua natura, egli<br />
sa essere, quando vuole, aspro, amaro, aggressivo, polemico, beffardo, dissacratore,<br />
talora persino osceno o volgare, ma anche dolcissimo, amabile, tenero,<br />
fragile, misurato, elegante, finissimo. Pertanto, spirito mutevole e contraddittorio,<br />
a volte il poeta si mostrerà scanzonato, frivolo, sensuale, mondano, combattivo,<br />
altre volte sarà dato, invece, di sorprenderlo serio, triste o pensoso, ripiegato su<br />
11. La dedica a Cornelio Nepote costituisce il<br />
Carme 1 del liber catulliano e suona così:<br />
Cui dono lepidum novum libellum<br />
arido modo pumice expolitum?<br />
Corneli, tibi: namcque tu solebas<br />
meas esse aliquid putare nugas,<br />
iam tum cum ausus es unus Italorum<br />
omne aevum tribus explicare chartis<br />
doctis, Iuppiter, et laboriosis.<br />
Quare habe tibi quidquid hoc libelli,<br />
qualecumque: quod, o patrona virgo,<br />
plus uno maneat perenne saeclo.<br />
«A chi lo dedico il libretto, grazioso e nuovo,<br />
da poco levigato con l’arida pomice? A te,<br />
Cornelio: e infatti tu solevi ritenere che valessero<br />
qualcosa le mie inezie poetiche, sin da quando,<br />
solo tra gli Italici, osasti svolgere la storia universale<br />
in tre volumi, dotti, per Giove, e laboriosi.<br />
Perciò, accetta questo libretto, così com’è,<br />
quale che sia il suo valore: o vergine patrona,<br />
fa’ ch’esso duri a lungo, più d’una generazione».<br />
La vergine patrona cui si riferisce Catullo è<br />
Minerva, la dea protettrice delle biblioteche, molto<br />
venerata nel territorio veronese: ad essa il poeta<br />
chiede di proteggere il suo libro e di dargli lunga<br />
vita.
12. Il Croce, infatti, così si esprimeva: «… quel<br />
Catullo per il quale suol venire sovente alle labbra<br />
di quelli che discorrono di lui come epiteto la parola:<br />
fanciullo». E ancora: «… È questa la bellezza della<br />
poesia catulliana: rendere una condizione elementare<br />
e quasi fanciullesca del sentire…» (B.<br />
CROCE, Poesia antica e moderna, Bari 1941; 1966 4,<br />
68-69).<br />
13. Afferma infatti il Marchesi: «… sfrenato,<br />
appassionato e bambino: caparbio nell’amore,<br />
caparbio nel dolore; … in lui la smania prevale<br />
sulla tristezza e la disperazione sul dolore»; e<br />
cap. IV - Gaio Valerio Catullo - Il poeta di Lesbia, il poeta dell’amore 39<br />
se stesso, rassegnato o dimesso, colmo di ricchezza interiore o di dolente spiritualità.<br />
Uomo di acuta e purissima sensibilità, Catullo rivela spesso, comunque, un’anima<br />
bellissima, che talora oseresti definire «fanciullesca», tanto essa è candida<br />
e schietta e pulita e innocente. Il Croce fu tra i primi a scoprire in Catullo quest’anima<br />
ingenua e fanciullesca 12 e, con lui, il Marchesi 13, il Bione 14 e altri. Ma<br />
non pochi critici, giudicarono invece diversamente 15, ponendo l’accento sulla pensosità,<br />
sulla malinconia, sull’intensità della vita interiore del poeta e sulla sua<br />
tendenza all’introspezione. E, in realtà, bisogna dire che le opposte interpretazioni<br />
espresse dai critici sulla personalità e sull’anima catulliana, in parte si possono<br />
spiegare con la particolare natura del poeta, spesso mutevole e contraddittoria.<br />
Ma tutto ciò non basta.<br />
Infatti, altri critici 16 sostennero la tesi della crescita, evoluzione e maturazione<br />
umana ed artistica di Catullo e questa in verità sembra anche a noi la via<br />
critica migliore da percorrere. Catullo giunge a Roma all’età di soli vent’anni,<br />
quand’è ancora poco più di un ragazzo. È questo il periodo dei suoi primi entusiasmi,<br />
delle sue prime delusioni, dei primi amori o dei primi odi o rancori, è<br />
questo il periodo dei primi, felici e segreti incontri d’amore con Lesbia: nascono<br />
ora le prime nugae. L’anima catulliana si rivela ora davvero candidamente fanciullesca,<br />
nel bene e nel male, nell’arte e nella vita. Esuberante ed egocentrico,<br />
il Catullo di questi primi anni romani sembra vivere solo del, e per il, suo amore:<br />
dei problemi della sua anima, e solo di essi, vorrebbe investire il mondo intero,<br />
perché ora egli sente e crede che solo il suo io sia al centro dell’universo. Poi,<br />
nel breve giro di pochi anni, dieci in tutto, Catullo matura, come uomo e come<br />
poeta: determinanti ed incisive diventano sempre più, ai fini della sua crescita,<br />
le tristi vicende del suo sciagurato amore per Lesbia. Alcuni carmina docta e<br />
molte nugae sicuramente testimoniano questa evoluzione. Ma, più che il dolore<br />
o le amarezze o le disavventure dovute all’infelice amore per Lesbia, la morte<br />
del fratello fu decisiva per la crescita e la maturazione definitiva del poeta. Con<br />
essa, Catullo finalmente scopriva anche gli altri, il loro mondo, la comune, umana<br />
sofferenza e, allora, la sua anima diventerà più ricca, la sua poesia si farà più<br />
profonda, più grande.<br />
L’anima<br />
«fanciullesca»<br />
Le diverse<br />
valutazioni<br />
critiche<br />
La tesi<br />
dell’evoluzione<br />
umana e<br />
poetica<br />
L’egocentrismo<br />
dei primi anni<br />
romani<br />
La<br />
maturazione<br />
dopo la morte<br />
del fratello<br />
altrove (Carmina V) il Marchesi scopre in lui l’allegria<br />
di un fanciullo felice e sospettoso (C.<br />
MARChESI, Storia della letteratura latina, I, Milano<br />
1969 8, 240; 250; 252).<br />
14. C. BIONE, Catullo poeta, Palermo 1946.<br />
15. Tra essi soprattutto il Della Corte (Due studi<br />
catulliani, Genova 1951).<br />
16. Cfr., soprattutto, L. FERRERO, Interpretazione<br />
di Catullo, Torino 1955; e F. ARNALDI, Antologia<br />
della poesia latina I, Napoli, 1957 4, 251-252 (qui<br />
riportate nelle Pagine critiche dedicate a Catullo).
La poesia<br />
come<br />
manifesto di<br />
un’anima<br />
La volontà di<br />
rottura con la<br />
tradizione e di<br />
polemica<br />
contro i<br />
benpensanti<br />
Catullo poeta<br />
rivoluzionario<br />
Catullo poeta<br />
«giambico»<br />
La<br />
provocazione<br />
delle liriche<br />
volgari<br />
40 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
4. Catullo poeta novus, scapigliato e anticonformista<br />
La poesia di Catullo è strettamente legata alla storia della sua vita, da essa<br />
nasce, ad essa s’ispira, con essa si evolve e matura. Sicché, la lirica catulliana,<br />
nel suo filone essenziale, si rivela subito drammatico romanzo di una vita, schietto<br />
e appassionato manifesto di un’anima. Alla poesia Catullo propone dunque per<br />
argomento la vita «vissuta», la sua vita, e quando, in rare occasioni (nei carmina<br />
docta), vi rinuncia per raccontare anche il mito, non dimentica allora del tutto il<br />
motivo autobiografico, ma ad esso fa spesso riferimento, intrecciando così, originalmente,<br />
favola e mito. E in tutto ciò si può già cogliere un chiaro sintomo<br />
della sua volontà di rinnovamento: il racconto della sua vita o, altrimenti, il ricorso<br />
al mito, in contrapposizione alla tradizione letteraria latina che, celebrando unicamente<br />
lo Stato, si serviva dell’epica ad esaltazione della storia di Roma.<br />
La scelta di nuovi argomenti è già dunque di per sé emblematica e testimonia<br />
la volontà catulliana di rottura con la tradizione letteraria romana e di<br />
polemica contro la classe dei benpensanti, dei conservatori (oggi diremmo dei<br />
«borghesi») del tipo di Cicerone o di altri della sua stessa mentalità e partito. Le<br />
liriche II e III dedicate al passer («passero») di Lesbia (cfr. Antol. catull., pagg. 65-<br />
67), ad esempio, con le quali si apre il canzoniere, possono essere considerate,<br />
a nostro avviso, già esse, poeticamente rivoluzionarie per la cultura e la mentalità<br />
latina di quegli anni: non più la storia gloriosa dello Stato romano al centro<br />
dell’ispirazione artistica, ma, provocatoriamente, quella banale di un passer, solo<br />
perché esso costituisce la «gioia» (deliciae) della donna amata dal poeta 17. In<br />
questo senso, Catullo è, per la poesia latina, certamente un poeta rivoluzionario<br />
e innovatore. Non solo, ma Catullo spesso vuole sorprendere e scandalizzare gli<br />
uomini di cultura e i falsi moralisti del suo tempo ancora legati alla vecchia tradizione<br />
del costume romano e perciò assume atteggiamenti, voce e toni scanzonati<br />
e provocatori da poeta ribelle, scapigliato ed anticonformista, per rompere<br />
definitivamente col passato storico, civile e culturale di Roma. Egli sente, infatti,<br />
in conseguenza delle diverse condizioni storiche e sociali venutesi a creare, non<br />
più rispondenti o proponibili alle mutate esigenze degli spiriti gli schemi o gli<br />
ideali della vecchia tradizione morale e culturale latina.<br />
Perciò, molte delle sue nugae sembrano essere, spesso, altrettanti manifesti<br />
d’una ostentata volontà di trasgressione. A volte, in alcuni di questi carmi, il poeta<br />
non esita, sulle orme di Archiloco 18, ad assumere il piglio del poeta giambico,<br />
indipendentemente dal metro adottato, spingendosi a schernire, ad ironizzare, a<br />
provocare, ad attaccare, a inveire, senza freni o ritegni, senza riguardi per alcuno,<br />
pur di colpire, di demolire, di ridicolizzare o sminuire e smitizzare questo o quel<br />
personaggio pubblico della corrotta ed agonizzante repubblica romana dei suoi<br />
tempi (Carmina XXVI, XXIX, XXXIII, XL, XLIII, XLVIII etc.). In altri, non pochi carmi,<br />
Catullo non esita a rivelarsi persino osceno, volgare o scurrile, pur di rompere<br />
clamorosamente con la tradizione poetica romana, pur di riuscire a sorprendere,<br />
17. E seppure, come suppone qualcuno, Catullo<br />
per queste sue due liriche poté forse avere avuto<br />
a modello un qualche epigrammista greco dell’età<br />
ellenistica, III-I secolo a.C. (si pensa soprattutto ad<br />
Ànite di Tegea, III a.C.), ciò nulla toglie all’originalità<br />
d’ispirazione del poeta latino, sia per lo spirito<br />
col quale ha scelto il tema (vale a dire le motivazioni<br />
polemiche nei confronti della tradizione<br />
poetica latina), sia per il modo col quale l’ha personalizzato,<br />
inserendolo nella storia del suo amore<br />
per Lesbia.<br />
18. Archiloco di Paro, poeta greco del VII secolo<br />
a.C., è conosciuto come il «padre» della poesia<br />
giambica antica, anche se, in realtà, non disdegnò<br />
l’elegia ed altre forme di poesia. Quella giambica<br />
è, per sua specifica natura, poesia d’assalto,<br />
aggressiva, violenta e irruente. Il motivo autobiografico<br />
e l’accentuato individualismo costituiscono<br />
le caratteristiche essenziali della poesia giambica<br />
archilochea.
cap. IV - Gaio Valerio Catullo - Il poeta di Lesbia, il poeta dell’amore 41<br />
a scandalizzare, egli, poeta novus, rivoluzionario, scapigliato e anticonformista<br />
(Carmina XV, XVI, XXI, XXV, XXVIII, XXXII, XXXVII, XXXIX, XLI, XLII LIX etc.). Talora,<br />
anche un semplice invito a cena rivolto ad un amico (Carmina XIII), può diventare<br />
per Catullo motivo di poesia e nello stesso tempo, per noi, elemento rivelatore<br />
di atteggiamenti, o pose, o modi effettivi di vita da poeta stravagante e<br />
un po’ bohémien.<br />
D’altra parte, Catullo non ha affatto ritegno a rivelare egli stesso il suo anticonformismo,<br />
come quando, ad esempio, (Carmina X, Antol. catull., pagg. 64-65),<br />
impreca apertamente e spregiudicatamente contro il propretore Memmio, reo di<br />
non avergli consentito, quand’era al suo seguito, di trarre anche qualche vantaggio…<br />
pratico (secondo la corrotta e rapace consuetudine amministrativa dei<br />
governatori romani nelle province), da quel suo viaggio in Bitinia. Con altrettanta<br />
franchezza, Catullo non nesita a divulgare che male, in tal senso, è andata anche<br />
ai suoi due cari amici Fabullo e Veranio, tornati delusi in patria dal loro viaggio<br />
in Iberia al seguito di Pisone (Carmina XXVIII). Nei confronti dei politici mediocri<br />
o minori, quali, ad esempio, Nonio e Vatinio, egli si mostra disgustato e contrariato<br />
dal loro assurdo successo politico (Carmina LII, qui citato in II 2, nota 10,<br />
pagg. 10-11); verso i più grandi e autorevoli politici del tempo, quali Cesare,<br />
Pompeo, Cicerone, si rivela, invece, più che altro, irriguardoso o maldicente (i<br />
Carmina LVII e XCIII, quest’ultimo qui citato in II 2, nota 10, pag. 10); inoltre il<br />
Carmina CXIII, qui citato in IV 1, nota 5, pag. 36; il Carmina XLIX, qui citato in<br />
IV 1, nota 6, pag. 36). Catullo, spirito beffardo e dissacratore, critica i politici del<br />
suo tempo, piccoli e grandi, senza avere tuttavia una sua precisa visione o ideologia<br />
politica da contrapporre loro e senza addentrarsi in analisi o giudizi politici<br />
puntuali, determinati o profondi: le sue, sono accuse generiche, il più delle volte<br />
miranti a colpire il personaggio politico soprattutto nei suoi comportamenti morali<br />
o nelle sue debolezze umane, più che altro, per il gusto di denigrarlo, di sminuirlo,<br />
di smitizzarlo.<br />
Ma, più che la critica avversa ai politici e allo Stato, prevale in lui e negli<br />
altri neòteroi l’indifferenza e il distacco dalla storia e dalla politica del loro tempo.<br />
Le critiche, ma ancora più gli atteggiamenti qualunquistici di Catullo e degli altri<br />
poetae novi, sentiti e giudicati da Cicerone pericolosi e corrosivi per lo Stato,<br />
nascono dall’insofferenza, dallo sconforto e dalla delusione politica e morale sua<br />
e di tutta una generazione, nauseata dalle aspre e continue lotte politiche contemporanee,<br />
dalla crisi delle istituzioni e dello Stato, dalla decadenza civile e<br />
morale della società romana. Catullo e quelli della sua generazione non credono<br />
più nei doveri del civis davanti allo Stato, ma credono, piuttosto, nei bisogni dell’individuo<br />
e nei diritti dell’uomo davanti alla vita. Di qui, la scoperta dell’io, dei<br />
suoi problemi e delle sue necessità spirituali; di qui, l’egocentrismo di Catullo,<br />
l’esasperato individualismo suo e degli altri poeti come lui; di qui, la proposta di<br />
nuovi motivi o contenuti da dare alla poesia: la storia del suo amore per Lesbia,<br />
il mondo dei suoi affetti, dei suoi sentimenti, per il poeta ora valgono più di qualsiasi<br />
altro valore o ideale che si possano proporre alla vita ed alla poesia.<br />
Assenza in Catullo, s’è detto, d’una fede o di un ideale superiore di vita; di<br />
qui, l’assenza in lui, di impegno politico, o civile o morale. Ed è tutto vero. Ma<br />
ciò non vuol dire affatto che il poeta sia un superficiale o ch’egli sia del tutto<br />
privo di ideali o di valori spirituali. Tutt’altro. L’età in cui vive Catullo, certo non<br />
è più quella eroica di Roma: quell’età, appartenne al secolo degli Scipioni. Ora,<br />
negli anni durissimi della guerra civile, in età cesariana, in piena crisi della repubblica,<br />
delle sue istituzioni e dell’antico, sano costume politico e morale di Roma,<br />
si affermano nuovi ideali di vita, non più ispirati alla patria e all’eroismo, ma<br />
La vita<br />
bohémienne<br />
L’anticonformis<br />
mo<br />
Contro i<br />
politici del<br />
tempo<br />
L’assenza in<br />
Catullo di una<br />
ideologia<br />
politica<br />
Gli<br />
atteggiamenti<br />
qualunquistici<br />
Egocentrismo<br />
e<br />
individualismo<br />
Assenza di<br />
una fede o di<br />
un ideale<br />
superiore di<br />
vita<br />
La fine dell’età<br />
eroica di<br />
Roma
I nuovi ideali<br />
o valori umani<br />
e morali<br />
Poeta<br />
scanzonato,<br />
scapigliato,<br />
anticonformista<br />
I carmi della<br />
spensieratezza<br />
e<br />
dell’esuberanz<br />
a giovanile<br />
La poesia<br />
«giambica» di<br />
gusto<br />
archilocheo<br />
La comicità<br />
pesante di tipo<br />
plautino e<br />
tradizione<br />
fescenninica<br />
Tràttasi di<br />
poesia minore<br />
42 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
intesi a realizzare un nuovo modello di civiltà, meno eroica, ma più umana, meno<br />
preoccupata dello Stato, più sollecita, invece, dei valori e delle necessità spirituali<br />
dell’individuo.<br />
Pertanto, nella mutata temperie storica e spirituale di Roma, in piena armonia<br />
con le mutate esigenze dei tempi nuovi, il poeta novus Catullo, polemicamente,<br />
contrapporrà alla storia, allo Stato, alla tradizione, la scoperta di nuovi ideali o<br />
valori umani e morali: la cura dell’io, del proprio mondo interiore, dell’amore,<br />
degli affetti familiari, dell’amicizia, della cultura, della poesia, dell’arte.<br />
5. Temi e momenti della poesia catulliana<br />
Il liber catulliano comprende, come s’è già detto, 116 carmi in tutto: non<br />
sono molti, certo, ma essi bastano a dare la misura di un’arte e il senso o la<br />
storia di un’intera esistenza. Non è possibile stabilire una rigorosa cronologia dei<br />
carmi di Catullo, ma nella sua poesia possono essere individuati, tuttavia, alcuni<br />
temi e momenti che risultano determinanti ai fini della ricostruzione dell’iter<br />
umano e artistico del poeta. Parleremo, pertanto, prima delle nugae che presentano<br />
vari motivi di ispirazione; poi si parlerà delle nugae che hanno per esclusivo<br />
argomento la storia dell’amore di Catullo per Lesbia; infine dei carmina<br />
docta.<br />
a) Il Catullo delle nugae di argomento vario<br />
Il Catullo delle nugae non dedicate al tema del suo amore per Lesbia, si<br />
rivela spesso poeta scanzonato, scapigliato e anticonformista: poeta novus, rivoluzionario,<br />
che ha tanta voglia di scherzare, o di far polemica, di sorprendere o<br />
di scandalizzare. In questa produzione, i carmi più frivoli o leggeri, o quelli più<br />
scanzonati e salaci, o quelli più spinti, o più aggressivi e dissacratori, si pensa<br />
appartengano, forse, alla prima attività poetica di Catullo: sono i carmi nati dalla<br />
spensieratezza e dall’esuberanza giovanile.<br />
È una poesia, questa, carica di spregiudicatezza, di comicità, di aggressività,<br />
spesso incline all’erotismo scurrile, all’arguzia, alla battuta pesante, pungente, o<br />
al motteggio e alla beffa, esercitata contro nemici personali, o poetastri invisi a<br />
Catullo, o contro politici famosi, o personaggi in vista nella Roma dei suoi tempi.<br />
È un Catullo polemico, questo, spesso aspro, violento, aggressivo, che ha tutta<br />
l’aria del poeta d’assalto, del poeta giambico, un Catullo, insomma, che fa vibrare<br />
truces iambos («giambi feroci»), come egli stesso dice (Carmina XXXVI, 5) e che<br />
sembra muoversi più sulle orme di Archiloco, che non su quelle di Callìmaco 19.<br />
Quando poi questo stesso Catullo vuole far ridere, eccolo allora indulgere ad una<br />
comicità un po’ grossolana, di gusto italico e tradizione fescenninica, una comicità<br />
di tipo plautino, si può dire, che ama la battuta o la parola corposa, pesante,<br />
colorita. E tutto ciò è dovuto non tanto ad un tradimento da parte del poeta dei<br />
canoni o del gusto dell’alessandrinismo callimacheo o della poetica neoterica,<br />
quanto, piuttosto, al prevalere in lui, in questo primo periodo, dell’ardore o dell’impetuosità<br />
giovanile, dell’impulsività e dell’istintività, sui freni moderatori imposti<br />
19. Il Wilamowitz pensava forse proprio a questi<br />
carmi allorché definì Catullo: «non il Callìmaco, ma<br />
l’Archiloco di Roma» (U. VON WILAMOWITZ, Helleni -<br />
sti che Dichtung II, Berlin 1928, 310).<br />
20. Così felicemente definì il Carme l’Arnaldi<br />
(Antologia della poesia latina I, cit., 260).<br />
21. Forse, in particolare, pensava proprio a<br />
questa lirica, l’Arnaldi (Antologia della poesia latina
I, cit. 251), allorché definì Catullo «poeta dell’attimo».<br />
cap. IV - Gaio Valerio Catullo - Il poeta di Lesbia, il poeta dell’amore 43<br />
invece più tardi dalla ricerca di raffinatezza, dall’esperienza o consapevolezza<br />
artistica e, insomma, dalla maturità.<br />
Ma non è certo il Catullo comico, o quello violento e aspro che abbiamo definito<br />
«giambico», o, tanto meno, quello erotico e scurrile, il miglior Catullo. La<br />
grande poesia catulliana, dunque, non è in queste nugae, ma va cercata altrove.<br />
Tutt’altra cosa sono già, infatti, le nugae nelle quali il poeta si rivolge agli amici<br />
e dalle quali traspare la dolcezza, la grazia, il candore dell’anima catulliana, nel<br />
momento in cui essa più si rivela «fanciullesca», e il suo profondo sentimento<br />
dell’amicizia. Catullo è di carattere espansivo e, quindi, sente spesso il bisogno<br />
di aprirsi, di confidarsi, di comunicare, di dialogare con gli altri. Pertanto, l’amicizia<br />
per lui è un insopprimibile, assoluto bisogno dell’anima. Gli amici che ha,<br />
sono quasi tutti letterati o poeti come lui e con tutti egli intreccia un profondo e<br />
intensissimo rapporto affettivo. Con questi amici Catullo ha molte cose in comune:<br />
affinità di spirito, di gusto, di cultura, di vita, d’ideali umani e letterari. Catullo,<br />
l’abbiamo detto, è un temperamento passionale e, naturalmente, non solo nell’amore,<br />
ma anche nell’amicizia si rivela tale. Il suo sentimento dell’amicizia,<br />
infatti, è intensissimo. Come l’amore, così egli sente e vive l’amicizia: con sentimento<br />
enorme e infinito, con trasporto, con lealtà, con dedizione e con devozione<br />
assoluta. Ed altrettanto, naturalmente, egli invoca, pretende o vorrebbe<br />
dagli amici: guai a tradire il suo affetto, la sua fiducia, la sua amicizia: irascor<br />
tibi, sic meos amores? «Sono arrabbiato con te, così contraccambi il mio affetto?».<br />
Così egli dirà a Cornifico, sentendosi dimenticato in un momento in cui sta male<br />
(Carmina XXVIII, cfr. III 3, nota 18, pag. 29). Con essi, in nome dell’amicizia, è<br />
come se il poeta avesse stabilito un tacito, indissolubile patto reciproco di affetto,<br />
di lealtà, di fedeltà, di devozione. E questo «patto» (foedus) d’amicizia e di «fedeltà»<br />
(fides) o rispetto della parola data, acquista nella sensibilità e nell’anima catulliana<br />
la sacralità, il valore e la risonanza di un giuramento inviolabile, di portata<br />
e natura quasi religiosa. Così sarà per Catullo anche nell’amore. I tradimenti di<br />
Lesbia saranno tanto più gravi per lui, in quanto essi corrisponderanno, nel suo<br />
animo, alla rottura, alla violazione, anzi, alla profanazione di quel sacro patto d’amore<br />
(foedus) tacitamente concordato tra i due innamorati, o all’abbandono della<br />
promessa o giurata fedeltà d’amore (fides).<br />
Amore ed amicizia hanno dunque radici profonde e comuni nell’anima di<br />
Catullo, perché sia l’uno, sia l’altra, traggono origine in lui dalla stessa concezione<br />
ch’egli ha del suo rapporto con gli altri. Di qui, le frequenti, dolcissime<br />
dichiarazioni di affetto rivolte da Catullo agli amici, le confidenze fatte ad essi, i<br />
deliziosi e teneri colloqui, le intese letterarie, gli scherzi innocenti, le rievocazioni<br />
di imprese compiute, di esperienze comuni vissute, le confessioni, gli inviti, le<br />
rivelazioni, ma anche i continui, gravi rimproveri, i lamenti disperati, le delusioni<br />
cocenti e improvvise del poeta allorché da essi si sente non adeguatamente corrisposto<br />
o, peggio, abbandonato o tradito.<br />
Come per gli amici e per Lesbia, così profondissimo fu anche il legame e l’amore<br />
di Catullo per il fratello, la cui morte prematura nella lontana Triade incise<br />
profondamente sull’anima del poeta, portando in essa, inattese, la tristezza e la<br />
devastazione (Carme LXVIII, 19-26, Antol. catull., pagg. 79-83). In conseguenza<br />
di quella morte, dunque, Catullo maturerà come uomo e come poeta. Un Catullo<br />
certamente diverso è quello del Carmina CI): raggiunta la Troade in occasione<br />
del suo viaggio in Asia Minore, il poeta si ferma presso la tomba del fratello per<br />
compiere il triste rito delle offerte funebri e per pronunciare tra le lacrime la sua<br />
Meglio riesce<br />
nella poesia<br />
per gli amici<br />
Il candore<br />
dell’anima<br />
catulliana<br />
Gli amici<br />
letterati<br />
Il sentimento<br />
dell’amicizia<br />
intensissimo,<br />
al pari<br />
dell’amore<br />
La portata<br />
religiosa del<br />
patto di<br />
amicizia<br />
(foedus) e<br />
fedeltà (fides)<br />
Le comuni<br />
radici<br />
dell’amore e<br />
dell’amicizia in<br />
Catullo<br />
La<br />
maturazione<br />
artistica e<br />
umana di<br />
Catullo dopo<br />
la morte del<br />
fratello<br />
Sulla tomba<br />
del fratello<br />
(Carmina CI)
Il motivo della<br />
casa e degli<br />
affetti familiari<br />
Il ritorno in<br />
patria<br />
(Carmina<br />
XLVII)<br />
L’«acquarello»<br />
dedicati a<br />
Sirmione<br />
( Carmina<br />
XXXI)<br />
Il phaselus<br />
(Carmina IV)<br />
Catullo poeta<br />
grandissimo<br />
dell’elegia<br />
Il sentimento<br />
religioso in<br />
Catullo:<br />
l’Inno a Diana<br />
(Carmina<br />
XXXIV)<br />
La grande<br />
poesia<br />
catulliana: nei<br />
carmi per<br />
Lesbia e in<br />
alcune elegie<br />
dei carmina<br />
docta<br />
La storia del<br />
suo amore è<br />
la storia della<br />
sua vita e<br />
della sua<br />
poesia<br />
44 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
commossa preghiera. Questa lirica, dolentissima, così semplice e così scarna,<br />
può bastare forse da sola a dare la misura di quanto sia diventata profonda,<br />
vera, essenziale, la poesia catulliana, ora che essa è diventata poesia della casa<br />
e degli affetti familiari, ora che, come il poeta, anch’essa è stata definitivamente<br />
segnata dal dolore. Alcuni dei carmina docta saranno davvero illuminanti e rivelatori<br />
in tal senso. Composta forse durante lo stesso viaggio in Asia Minore è<br />
anche un’altra splendida lirica del poeta, la XLVI: in essa Catullo pregusta la gioia<br />
del ritorno in patria; dovrà sciogliersi purtroppo l’allegra brigata di amici, ma non<br />
importa, potranno presto di nuovo ritrovarsi e avranno certamente qualche esperienza<br />
o ricordo in più da raccontarsi. Meta lontana del poeta sarà l’incantevole<br />
Sirmione, sul Garda, cui dedicherà al suo arrivo, uno «splendido acquarello» 20<br />
(Carmina XXXI) e la raggiungerà, risalendo l’Adriatico, servendosi forse per l’ultima<br />
volta di quel suo veloce vascello, il phaselus, che, poi, diventato vecchio<br />
agli ormeggi e in abbandono, il poeta più tardi additerà agli amici rievocandone,<br />
con nostalgia ed orgoglioso vanto, le gloriose imprese con esso compiute per<br />
mare (Carmina IV).<br />
E siamo così giunti ormai, con Catullo, alla serena poesia delle rievocazioni,<br />
alla dolce e un po’ malinconica poesia dei ricordi. Nessuna sorpresa: Catullo è,<br />
infatti, più di ogni altra cosa, il poeta grandissimo dell’elegia. Un’autentica sorpresa,<br />
invece, può costituire la lettura dell’Inno a Diana (Carmina XXXIV). Non ci<br />
saremmo mai aspettati, infatti, in un poeta che era nato rivoluzionario, scapigliato<br />
ed anticonformista, un sentimento religioso così puro, così intenso, così<br />
profondo, così, stavamo per dire «cristiano», ma, per arrivare a tanto, bisognerà<br />
attendere ancora la disperata, finale preghiera catulliana agli dèi del Carmina<br />
LXXVI (cfr. Antol. catull., pagg. 75-77). Qui basta dire, tuttavia, che con questa<br />
lirica, con l’Inno a Diana, inizia per noi l’innografia latina e che Catullo proprio<br />
qui, in questa limpida preghiera, più che altrove, come i «puri fanciulli» (pueri<br />
integri) del coro, rivela tutto il candore, l’innocenza, la trasparenza, l’innata religiosità<br />
della sua anima di «fanciullo» (puer), sostanzialmente «puro» (integer), nonostante<br />
certe pose o atteggiamenti, che farebbero, invece, pensare al contrario.<br />
b) Il poeta di Lesbia, il poeta dell’amore<br />
Non il Catullo violento e aggressivo, dunque, né quello ironico e provocatore<br />
o, peggio, quello sensuale ed osceno, può essere detto grande poeta; ma il cantore<br />
tenero ed appassionato di Lesbia o, ancora più, quello pensoso e affranto<br />
delle elegie nate dal dolore per la morte del fratello, quello, sì che è un grande<br />
poeta. Infatti, nelle nugae di argomento vario, l’abbiamo già detto, alcune sono<br />
belle, certo, ma altre, in verità, non possono essere definite proprio tali. Tutte<br />
belle sono invece quelle nugae che hanno per argomento l’amore del poeta per<br />
Lesbia: qui, in esse, e in alcune elegie dei carmina docta, è certamente la grande<br />
poesia catulliana. Molte di queste nugae sono invero degli autentici capolavori.<br />
Catullo, infatti, è il poeta di Lesbia, il poeta grande, anzi, immenso, dell’amore.<br />
La storia del suo amore, come avevamo detto agli inizi, è anche la storia<br />
della sua stessa vita e, con essa, della sua poesia. L’amore è per lui motivo<br />
essenziale di vita, l’amore diventerà per lui, distruttivo motivo di morte. La storia<br />
del suo amore, ricostruibile attraverso le liriche, è semplice e dolcissima, amara<br />
e tragica ad un tempo, come tutte le grandi storie di quegli amori celebri che<br />
poi male si concludono. Essa incomincia con l’idealizzazione di Clodia. La donna<br />
volubile, sfrenata e dissoluta della storia e della vita, Clodia, diventa, agli inizi,<br />
nell’animo, nei desideri, nell’amore e nella poesia di Catullo, una tenera, delicata<br />
«fanciulla», puella, che, innocentemente e spensieratamente, talora, si diletta
cap. IV - Gaio Valerio Catullo - Il poeta di Lesbia, il poeta dell’amore 45<br />
a scherzare col suo passerotto addomesticato, suscitando l’invidia del poeta, che<br />
dichiara di non poter fare altrettanto, preso com’è dai suoi gravi pensieri: almeno<br />
così, posando, egli vuole far credere (Carmina II, Antol. catull., pagg. 65-66). Poi<br />
il passerotto morirà, gettando nella disperazione la «fanciulla» e coinvolgendo<br />
seriamente nel dolore anche il poeta, nonostante il suo tentativo di minimizzare<br />
e di sdrammatizzare, atteggiandosi ad uomo di mondo e dichiarandosi dispiaciuto<br />
per la morte del passerotto, più che altro perché, a causa di essa, gli<br />
occhietti della sua «ragazza» si sono fatti «rossi e gonfi a forza di piangere» (flendo<br />
turgiduli rubent ocelli), (Carmina III, Antol. catull., pagg. 66-67). Questa stessa,<br />
deliziosa, ingenua «fanciulla», in altre liriche diventa un’affascinante e colta creatura<br />
poetica, artisticamente ancora idealizzata da Catullo, come s’è già detto, col<br />
nome magico e suggestivo di Lesbia (che vuol dire «la donna di Lesbo»), rievocando<br />
esso il mitico e raffinato mondo artistico di Saffo. Di Lesbia il poeta è perdutamente<br />
innamorato e con essa, agli inizi, ha un’intesa perfetta. E tutto ciò<br />
naturalmente avviene talora anche sotto gli occhi dello stesso sprovveduto marito<br />
di Lesbia, il quale, a detta del poeta, per sua dabbenaggine, se la gode un mondo<br />
allorché davanti a lui sua moglie maltratta verbalmente Catullo, senza rendersi<br />
conto che, invece, proprio quella è un’altra prova sicura, ch’essa ormai appartiene<br />
al poeta (Carmina LXXXIII, Antol. catull., pagg. 67-68). Catullo, infatti, ha<br />
imparato a capire gli atteggiamenti e la complessa psicologia della donna innamorata<br />
e, pertanto, sa bene che, quando essa con insistenza disprezza o parla<br />
male di un uomo, quello può essere considerato un sintomo o indizio sicuro che<br />
proprio di quell’uomo essa è ormai irrimediabilmente innamorata. Del resto, capita<br />
anche a lui di fare la stessa cosa nei confronti di Lesbia: ne parla sempre male,<br />
ma, possa egli morire, se non è vero che l’ama (dispeream nisi amo), (Carmina<br />
XCII, Antol. catull., pag. 68).<br />
L’intesa tra i due innamorati non è solo sentimentale; essa va oltre, è anche<br />
intesa intellettuale ed implica, tra i due, una perfetta identità di vedute culturali<br />
e letterarie. Sicché, Catullo potrà spesso parlare e discutere con Lesbia anche di<br />
letteratura e di poesia, sicuro di trovare in lei un’interlocutrice cólta, esperta, raffinata,<br />
aggiornata e in grado di capirlo. E i due sembra proprio che la pensino<br />
allo stesso modo anche in fatto di poesia, se è vero che Catullo ritiene di poter<br />
agire in perfetto accordo ed intesa con Lesbia, allorché, scherzando, si induce,<br />
impunemente, persino ad assolvere per lei un suo stravagante e pericoloso voto…<br />
letterario, condannando irrimediabilmente alle fiamme i soliti, pretenziosi Annali<br />
del povero poetastro Volusio, ma riuscendo a salvare in tal modo la sua poesia,<br />
nella certezza di fare, così, nello stesso tempo, cosa gradita anche a Lesbia<br />
(Carmina XXXVI). Colta, affascinante, intelligente, spiritosa e bellissima, tale appare<br />
Lesbia agli occhi dell’innamorato poeta, tale sembra che effettivamente ella fosse,<br />
non solo nell’animo e nella poesia di Catullo, ma anche nella realtà della vita e<br />
della storia.<br />
Sulla bellezza insuperabile di Lesbia, dunque, Catullo non ha alcun dubbio,<br />
specie quando gente insulsa e sprovveduta, fraintendendo volgarmente sulla bellezza<br />
femminile, azzarda improponibili, sottintesi confronti, spingendosi forse, arditamente,<br />
assurdamente, a paragonarla ad una qualsiasi, insipida e banalissima<br />
Quinzia, solo perché questa è, innegabilmente, un’appariscente stangona dagli<br />
evidenti attributi fisici (Carmina LXXVI, Antol. catull., pag. 68-69). La stessa sicurezza<br />
rivela il poeta quando apertamente Lesbia viene paragonata ad altre donne<br />
(Carmina XLIII, Antol. catull., pag. 69). Alla bellissima Lesbia, Catullo ha giurato<br />
eterno amore, stringendo con lei un patto ideale (foedus) di fedeltà e dedizione<br />
assoluta (Carmina LXXXVII, Antol. catull., pag. 70). Anche Lesbia giura spesso<br />
amore e fedeltà al poeta, e Catullo si augura con tutta l’anima ch’ella possa<br />
essere sincera e che sia davvero in grado di prestar fede al santo giuramento<br />
L’idealizzazion<br />
e di Clodia:<br />
la puella dei<br />
primi Carmi<br />
I Carmi 2 e 3<br />
Lesbia,<br />
la donna<br />
ideale<br />
Le reazioni del<br />
marito di<br />
Lesbia<br />
(Carmina<br />
LXXXIII)<br />
L’intesa<br />
intellettuale e<br />
culturale<br />
(Carmina<br />
XXXVI)<br />
La bellezza<br />
insuperabile di<br />
Lesbia<br />
(Carmina<br />
LXXXVI; XLIII)<br />
I giuramenti di<br />
fedeltà<br />
(foedus) di<br />
Catullo e<br />
Lesbia<br />
(Carmina<br />
LXXXVIII; CIX;<br />
LXX)
Il poeta non<br />
regge alla<br />
vista di Lesbia<br />
(Carmina LI)<br />
L’invito<br />
all’amore ed ai<br />
baci infiniti<br />
(Carmina<br />
V e VII)<br />
I tradimenti di<br />
Lesbia ed il<br />
ricordo dei<br />
giorni felici<br />
(Carmina<br />
VII e LXVIII)<br />
Un amore<br />
difficile<br />
La storia d’un<br />
amore<br />
attraverso<br />
l’evoluzione<br />
degli<br />
appellativi dati<br />
a Lesbia<br />
46 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
pronunciato d’eterna amicizia: aeternum hoc sanctae foedus amicitiae (Carmina<br />
CIX, Antol. catull., pag. 70); ma il poeta sa anche che è difficile poter credere<br />
ai giuramenti di una donna, specie, forse, quando essa risponde al nome della<br />
sua volubile Lesbia (Carmina LXX). In una sua libera traduzione di un’ode famosissima<br />
di Saffo (fr. II E. DIEhL), Catullo, sulle orme della poetessa greca, confessa<br />
di non resistere alla visione della donna amata e di passare, alla sua vista,<br />
attraverso una gamma di sensazioni diverse, sino al venir meno totale, tanto è<br />
ammaliato dal fascino e dalla bellezza che spira da lei (Carmina LI). Dell’amore<br />
di Lesbia Catullo non può e non sa più fare a meno e così dei suoi baci.<br />
Ma ormai in Roma si comincia a parlare, anzi, a sparlare del loro amore<br />
clandestino e qualche voce deve essere giunta anche all’orecchio di Lesbia; e la<br />
signora ne è rimasta turbata, forse preoccupata dei pettegolezzi che si fanno<br />
ormai intorno al suo nome e, naturalmente, ne ha parlato con Catullo. Di qui l’invito<br />
rivolto dal poeta a Lesbia a godersi invece la vita e a concedersi senza riserve<br />
all’amore (vivamus mea Lesbia atque amemus), infischiandosene delle «dicerie»<br />
(rumores), cioè delle critiche malevole nelle quali ormai sono coinvolti entrambi<br />
(rumoresque senum severiorum / omnes unîus aestimemus assis: «e a tutte le<br />
critiche dei vecchi più severi diamo il valore di un soldo»), in considerazione della<br />
brevità della vita e di quell’unica, eterna notte che, purtroppo, tutti attende e<br />
tutti addormenta (nobis cum semel occîdit brevis lux, / nox est perpetua una<br />
dormienda); di qui, l’invito del poeta a Lesbia a concedergli un incalcolabile, infinito<br />
numero di baci (Carmina V, Antol. catull., pag. 71. Ed è inutile che Lesbia<br />
cerchi di contarli, quei baci; essi devono essere incalcolabili, appunto, come i<br />
granelli di sabbia delle spiagge della Libia, e infiniti, come le stelle, perché essi<br />
non saranno mai abbastanza o troppi per Catullo, «pazzo» (vesano Catullo)… d’amore<br />
per lei (Carmina VII). E Lesbia non lesinò certo i suoi baci a Catullo, almeno<br />
agli inizi della loro storia d’amore. Ma poi, col tempo, le cose cambiano. Lesbia<br />
non seppe o non volle più esser fedele a Catullo e per il poeta incominciarono<br />
i giorni senza sole. I continui tradimenti di Lesbia, infatti, avvilirono e distrussero<br />
Catullo.<br />
In una delle sue liriche più famose e più suggestive (Carmina VIII, Antol.<br />
catull., pagg. 71-73) il poeta sente di aver perso ormai totalmente la testa per<br />
Lesbia trascorrendo i suoi vuoti, inutili giorni, ormai, come un miserabile e perciò<br />
cerca di scuotersi rivolgendo disperati appelli a se stesso, affinché torni in sé e<br />
riesca a rassegnarsi: Miser Catulle, desinas ineptire, / et quod vides perisse, perditum<br />
ducas: «Povero Catullo, smettila d’impazzire, e quel che vedi perduto, consideralo<br />
perduto»); non gli restano ormai che i dolci ricordi dei giorni lieti, trascorsi<br />
con la sua splendida «fanciulla» ad amoreggiare in segreto, nella villetta<br />
suburbana messagli a disposizione dalla generosa complicità dell’affettuoso amico<br />
Allio (Carmina LXVIII, 41-50; 155-160, Antol. catull., pagg. 79-83): Fulsëre quondam<br />
candidi tibi soles, / cum ventitabas, quo puella ducebat / amata nobis, quantum<br />
amabitur nulla!: «hai avuto, sì, un tempo, le tue belle giornate di sole, quando ti<br />
lasciavi portare dove la fanciulla ti conduceva, fanciulla amata quanto nessun’altra<br />
lo sarà mai»(Carmina VIII, 3-5, Antol. catull., pagg. 71-73).<br />
Sicché, breve, ma intensissima fu, dunque, la storia d’amore tra Clodia e<br />
Catullo: una storia dolceamara, fatta di un continuo alternarsi di splendide giornate<br />
di sole (candidi soles) ed improvvise rotture, di baci dati a migliaia e di<br />
altrettanti scambi d’ingiurie, di litigi e riappacificazioni, di intese e contrasti, di<br />
22. Il poeta, con il termine iniuria,<br />
si riferisce ai continui tradimenti di<br />
Lesbia.
cap. IV - Gaio Valerio Catullo - Il poeta di Lesbia, il poeta dell’amore 47<br />
frequenti tradimenti e abbandoni da parte di Lesbia, cui corrispose, infine, tragicamente,<br />
lo struggimento totale e definitivo, fisico e spirituale, da parte del<br />
poeta. Infatti, la «fanciulla» (puella), la Lesbia idealizzata e purissima dei primi<br />
empiti lirici e amorosi del poeta, era intanto diventata, poi, col tempo, nella poesia<br />
e nella vita, irrimediabilmente domina, («padrona»), era («signora»), mea mulier<br />
(«la mia donna»), mea diva («la mia dea»), mea lux («la mia luce»), moecha («l’amante»)<br />
e, infine, disperatamente illa («lei», «quella»), cioè la donna innominabile<br />
e corrotta degli ultimi, disperati carmi catulliani, quella, spesso perduta e sorpresa<br />
nel buio degli angiporti di Roma, pronta a concedersi ormai a qualsiasi<br />
passante, al pari di una comune, prezzolata sgualdrina (Carmina LVIII, Antol.<br />
catull., pag. 75).<br />
Ma l’amarezza, lo sconforto, il dolore di Catullo diventano assoluti, allorché<br />
il poeta pensa alla qualità dell’amore ch’egli inutilmente per tanto tempo ha<br />
offerto a questa donna: egli ha amato Lesbia, quand’ella contraccambiava il suo<br />
amore, d’un sentimento purissimo, unico, delicatissimo: non tanto come comunemente<br />
si può amare un’amante (amica), ma come un padre ama i figli ed i<br />
generi (dilexi tum te non tantum, ut vulgus amicam, / sed pater ut gnatos dilîgit<br />
et generos); ma ora che è venuta meno la stima e la fiducia per Lesbia (nunc<br />
te cognovi: … /multo mi tamen es vilior et levior: «ma ora ti ho conosciuta:<br />
…sempre più conti meno per me e sei di minor valore»), l’idealizzazione è finita<br />
e l’amore è diventato anche più intenso, ma è cambiato, è scaduto nella qualità:<br />
ora il poeta brucia di più (impensius uror), certo, ma l’amore suo ha troncato<br />
ogni rapporto con lo spirito, per diventare esclusiva passione dei sensi:<br />
…quod amantem iniuria talis / cogit amare magis, sed bene velle minus: «… il<br />
fatto è che un tale affronto 22 costringe l’amante ad amare di più, ma a voler<br />
meno bene» (Carmina LXXII, Antol. catull., pag. 73). Indipendentemente da ogni<br />
comportamento di Lesbia, nel bene o nel male, il poeta sa che ormai il suo sentimento<br />
per lei è profondamente cambiato e che il suo amore non sarà, non<br />
potrà mai più essere quello puro e delicato d’un tempo: ora egli sente di essere<br />
rimasto prigioniero di una terribile passione dei sensi (Carmina LXXV, Antol.<br />
catull., pag. 74). E perciò egli vive ormai in una strana, insostenibile condizione,<br />
per cui odia e ama Lesbia (odi et amo) nello stesso tempo, senza riuscire a rendersi<br />
conto di come ciò sia possibile, ma sente che è così, e se ne dispera<br />
(Carmina LXXXV, Antol. catull., pag. 74). Del resto, gli stessi tradimenti di Lesbia<br />
non fanno più sensazione a Catullo, ora che è subentrato in lui il grave dolore<br />
per la morte del fratello, egli li considera non più «cosa turpe», ma «triste»: id…<br />
non est turpe, magis miserum est (Carmina LXVIII, Antol. catull., pagg. 79-83).<br />
E il Catullo che arriva a dire così, è un Catullo ormai logoro e stanco, il quale,<br />
cosciente che ormai questo sciagurato amore per Lesbia è penetrato sin nelle più<br />
riposte fibre del suo essere (subrëpens imos… in artus), diffondendosi in lui con<br />
la violenza di un misterioso, devastante virus mortale che gli sta distruggendo<br />
corpo ed anima, si rivolge, infine, disperato agli dèi (Carmina LXXVI, Antol. catull.,<br />
pagg. 75-77) e li supplica di salvarlo, di concedergli non già l’amore o, cosa impossibile,<br />
la redenzione di Lesbia (non iam illud quaero, contra me ut dilîgat illa, /<br />
aut, quod non potis est, esse pudïca velit: «io non chiedo più che lei contraccambi<br />
il mio amore, o, cosa impossibile, che ella voglia essere pudica»), ma la salute<br />
(ipse valëre opto: «ma è la salute che io chiedo») e di liberarlo definitivamente da<br />
questa «peste rovinosa» (eripîte hanc pestem perniciemque mihi!), da questo «male<br />
oscuro» (tetrum hunc… morbum) che gli ha tolto dall’animo ogni gioia di vivere<br />
La qualità<br />
dell’amore<br />
di Catullo<br />
(Carmina<br />
LVIII)
La fine<br />
dell’idealizzazio<br />
ne<br />
La<br />
degenerazione<br />
dell’amore<br />
in esclusiva<br />
passione dei<br />
sensi<br />
(Carmina<br />
LXXV)<br />
Odi et amo<br />
(Carmina<br />
LXXXV)<br />
La «tristezza»<br />
dei tradimenti<br />
(Carmina<br />
LXVIII)<br />
L’amore come<br />
un virus<br />
mortale<br />
La disperata<br />
preghiera<br />
finale agli dèi:<br />
il poeta ora<br />
invoca la<br />
salute<br />
(Carmina<br />
LXXVI)<br />
La concezione<br />
morale e<br />
religiosa di<br />
Catullo<br />
48 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
(expulit ex omni pecore laetitias); e tutto ciò egli chiede a compenso della sua<br />
lealtà (nec sanctam violasse fidem, nec foedere nullo /divum ad fallendos numine<br />
abusum homines: «né di aver violato la santità della parola data, né in alcun giuramento<br />
di essersi servito della maestà degli dèi per ingannare gli uomini»), della<br />
sua onestà di vita (si vitam puriter egi) e della sua devozione (O di, reddîte mi<br />
hoc pro pietate mea). E qui, in questa schietta e disperata preghiera agli dèi, in<br />
questa aperta confessione davanti agli uomini e agli dèi, Catullo pronuncia le sue<br />
parole più sincere e più vere, come chi sa di essere ormai prossimo alla fine e,<br />
toltasi la maschera, rivela tutto se stesso, rivendicando la sua sostanziale, integra<br />
e sana concezione e condotta morale e, riscattandosi da tutte le pose o atteggiamenti<br />
scapati ed irriverenti del passato, esprimendo la profondità e la purezza<br />
del suo sentimento religioso.<br />
Non vi è affatto bisogno di pensare, come hanno fatto altri 23, ad una conversione<br />
di Catullo alle religioni misteriche orientali, per giustificare la concezione<br />
religiosa catulliana, quale emerge in questa che è certamente tra le ultime liriche<br />
del poeta. Nessuna conversione. In verità il poeta ha sempre conservato dentro<br />
di sé una sua sostanziale, sana concezione morale e religiosa, indipendentemente<br />
dagli atteggiamenti esteriori anticonformisti e dalla spregiudicatezza giovanile.<br />
Con gli anni, poi, insoddisfatto della religione romana tradizionale, è andato<br />
sempre più affinando il suo sentimento religioso, maturando un’esigenza religiosa<br />
diversa, il bisogno di una fede meno formale e più profonda, più rispondente,<br />
insomma, alla sua progredita coscienza morale. Ma il preannuncio di tutto<br />
ciò era già, come s’è detto (cfr. IV 5, a, pag. 48), nella religiosità catulliana del<br />
sorprendente Inno a Diana (Carmina XXXIV). La divinità che invoca Catullo nel<br />
Carmina LXXVI, non è dunque una divinità misterica orientale, ma è qualcosa di<br />
più, essa è una divinità già «cristiana» (O di, si vestrum est miserëri, aut si quibus<br />
umquam / estremo iam ipsa in morte, tulistis opem: «O dèi, se è proprio vostra<br />
prerogativa l’essere misericordiosi, o se ad alcuni nel momento stesso della morte<br />
portaste l’estremo soccorso…»), «cristiana» ante litteram, s’intende, perché già<br />
«cristiane» sono l’anima, la sensibilità e l’esigenza religiosa del poeta. Così, con<br />
questa drammatica preghiera agli dèi si conclude la storia dell’amore di Catullo<br />
per Lesbia: l’ultimo carme, infatti, l’undicesimo, contenente l’addio a Lesbia<br />
(Carme XI, Antol. catull., pagg. 77-78), sarà solo il sigillo ufficiale, definitivo,<br />
posto dal poeta a chiusura della tragica vicenda del suo amore, di quell’amore,<br />
insensibilmente reciso da Lesbia, come l’aratro travolge un fiore ai margini d’un<br />
prato (… amorem qui illîus culpa cecîdit velut prati / ultimi flos, praetereunte<br />
postquam / tactus aratro est) e, con essa, a chiusura della sua vita e della sua<br />
poesia.<br />
c) Il Catullo dei carmina docta (LXI-LXVIII)<br />
A differenza delle nugae, caratterizzate dall’esclusivo argomento personale,<br />
nei carmina docta prevale, invece, quello mitologico, che, tuttavia, spesso, come<br />
23. E. MARMORALE, L’ultimo Catullo,<br />
Napoli 1957. Su questo argomento, cfr.<br />
anche A. TRAINA, Catullo e gli dèi,<br />
«Convivium», III, 1954.<br />
24. C. MARChESI, Disegno storico della<br />
letteratura latina, Milano 1975 7 (rist. 1976).,<br />
94.<br />
25. Questi versi traggono il nome dai<br />
Galli, sacerdoti addetti al culto della Magna<br />
Mater Cibele,e sono dei tetrametri catalettici<br />
di ionici a minore.<br />
26. Saepe illam perhibent ardenti corde<br />
furentem / clarisonas imo udisse ex pectore<br />
voces, / ac tum praeruptos tristem conscendere<br />
montes, / unde aciem pelagi<br />
vastos per tenderet aestus, / tum tremuli<br />
salis adversas procurrere in undas / mollia<br />
nudatae tollentem tegmina surae, / atque<br />
haec extremis maestam dixisse querelis, /
frigidulos udo singultus ore cientem:/ «Sicine me<br />
patriis avectam, perfide, ab aris, / perfide, deserto<br />
liquisti in litore, Theseu? / Sicine discedens<br />
neglecto numine divum / immêmor, a, devota<br />
domum periura portas? / Nullane res potuit crudelis<br />
flectere mentis / consilium? Tibi nulla fuit clementia<br />
praesto, / immite ut nostri vellet miserescere<br />
pectus?»: «Dicono ch’ella, furente nel cuore<br />
cap. IV - Gaio Valerio Catullo - Il poeta di Lesbia, il poeta dell’amore 49<br />
s’è già detto, s’intreccia e fonde originalmente con quello autobiografico. La conoscenza<br />
mitologica per il poeta antico è possesso di cultura, cioè di doctrina;<br />
orbene, quando questa, sulle orme della poesia alessandrina di gusto e ispirazione<br />
callimachea, si presenta congiunta all’eleganza formale ed alla ricercatezza<br />
tecnica e stilistica, ecco allora nascere da questo neoterico connubio gli elaboratissimi<br />
e preziosissimi carmina docta.<br />
Ma le valutazioni critiche relative a questi carmi sono molto discordanti. Alcuni<br />
preferiscono ad essi la poesia delle nugae, rinvenendo in essa maggiore spontaneità,<br />
immediatezza lirica, calore e ricchezza di sentimento, altri, per contro,<br />
giudicano questi carmi senz’altro superiori alle nugae, apprezzandone l’impegno<br />
artistico, l’originalità di concezione, la vastità e profondità del respiro lirico, la<br />
delicatezza delle immagini, la ricercatezza, l’eleganza e la raffinatezza stilistica<br />
e compositiva. In realtà, sono carmi di gusto e fattura squisitamente neoterica<br />
e alessandrina, di assoluta validità artistica, ma con valore poetico che varia da<br />
carme a carme.<br />
Alcuni di essi, infatti, possono essere considerati degli autentici capolavori.<br />
Sono dei capolavori, invero, quelli in cui, accanto alla comparsa di temi lirici nuovi<br />
quali, ad esempio, il motivo dell’amore coniugale, o quello del rimpianto dell’adolescenza<br />
e della perduta innocenza, altri, antichi in Catullo, ne vengono riproposti,<br />
di quelli che già facevano la grandezza delle migliori nugae catulliane: ci<br />
riferiamo ai temi lirici dell’amicizia, dell’amore, della vita interiore, dei ricordi, degli<br />
affetti familiari; in questi carmi l’artista riesce, come per poetica magia, ad intrecciare<br />
liricamente e a fondere armonicamente i motivi della favola con quelli della<br />
sua vita e della sua poesia, portando così il mito sul piano della sua personale<br />
vicenda umana e poetica ed elevando quest’ultima, idealizzandola, all’altezza del<br />
mito. Nasce così, in questi carmi, dalla celebrazione dei temi lirici più validi della<br />
poesia catulliana e dall’idealizzazione degli stessi motivi ed esperienze personali<br />
di vita dell’artista, il mito autobiografico dell’uomo e del poeta Catullo. Passeremo<br />
ora in esame ciascuno degli otto carmi in maniera sintetica, ma analitica.<br />
Carme LXI (Epitalamio: nozze di Manlio Torquato e Vinia Aurunculeia)<br />
Il Carme LXI è un epitalamio di circa 235 versi complessivi. Il sistema metrico<br />
è costituito da 47 strofe pentàstiche formate ciascuna da 4 gliconei e 1 ferecrateo.<br />
L’epitalamio fu composto da Catullo per le nozze di un suo amico, Manlio<br />
Torquato, con Vinia (o Iunia) Aurunculeia. L’infelice poeta dell’unico amore, accarezzò<br />
questo tema con delicatezza di sentimento e leggiadria di tocco poetico. Il<br />
Carme si apre con un inno a Imene, il dio greco delle nozze, che viene invitato,<br />
lasciate le rupi dell’Elicòna, a partecipare alla «deductio», cioè al corteo nuziale<br />
che accompagna la sposa dalla casa paterna a quella del marito. Ogni strofetta<br />
dell’inno si chiude col ritornello: io Hymenaee Hymen, io Hymen Hymenaee:<br />
«Evviva Imeneo Imene, evviva Imene Imeneo». Un coro di giovanetti e di giovanette,<br />
immagina il poeta, intona il canto nuziale.<br />
Nessuna<br />
conversione<br />
alle religioni<br />
misteriche<br />
(Carmina<br />
XXXIV e<br />
LXXVI)<br />
L’esigenza<br />
religiosa già<br />
«cristiana»<br />
L’addio a<br />
Lesbia<br />
nell’ultimo<br />
carme<br />
(Carmina XI)<br />
Tra il mito e<br />
l’autobiografia<br />
Doctrina e<br />
cura formale,<br />
secondo i<br />
canoni<br />
alessandrini<br />
Le valutazioni<br />
critiche<br />
discordanti<br />
Validità e
diversità del<br />
valore<br />
artistico: alcuni<br />
carmi sono dei<br />
capolavori<br />
I temi lirici<br />
ricorrenti<br />
L’idealizzazion<br />
e della<br />
personale<br />
vicenda di vita<br />
del poeta<br />
Il mito<br />
autobiografico<br />
50 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
Il Carme, grosso modo, è composto da tre parti essenziali: una prima, dedicata<br />
interamente ad Imene; una seconda, in cui vengono rievocati audacemente<br />
e salacemente i «peccati di gioventù» dello sposo (fescennina iocatio); una terza,<br />
infine, dedicata ai due sposi, al loro amore, con relative lodi e auguri da parte<br />
del poeta. Di queste tre parti, quella in cui vengono rievocati scherzosamente i…<br />
trascorsi dello sposo, è chiaramente ispirata a motivi romani, e, in particolare,<br />
ai vecchi e popolari canti fescennini. La partecipazione del poeta all’avvenimento<br />
descritto, il matrimonio di Vinia e Manlio, è intima e sentita: il tragico protagonista,<br />
nella vita, di un purissimo amore contaminato e offeso brutalmente dalla<br />
lascivia di Lesbia, si riconferma in questo Carme l’insuperato cantore della bona<br />
Venus, dell’onesto amore, consacrato dal matrimonio, che forse dovette costituire<br />
la sofferta, inconfessata aspirazione della sua vita, il sogno segreto che<br />
Lesbia non volle ascoltare, non seppe o non poté capire. «In nessun carme lirico<br />
dell’antichità latina traluce più che in questo la perfezione delicata e ornata dell’arte<br />
greca; e nessuno è più di questo tutto pieno di vera vita romana» 24.<br />
Carme LXII (Carmen nuptiale: gara tra due cori di giovani)<br />
Il Carme LXII è in esametri (67 versi in tutto) e costituisce un carmen nuptiale,<br />
cioè una tenzone epitalamica tra due cori contrapposti di giovani e di fanciulle<br />
dopo il banchetto nuziale. I giovani per primi, al levarsi di Vespero, la stella<br />
della sera, si esortano tra loro ad alzarsi dalla mensa e a intonare l’imeneo,<br />
perché sta per arrivare la sposa. A loro volta le fanciulle, al vedere i giovani pronti,<br />
si autoesortano anch’esse al canto. La tenzone comincia dal verso 20 in poi: il<br />
coro dei giovani e quello delle fanciulle si alternano intonando una strofe ciascuno<br />
con il ritornello comune: Hymen o Hymenaee, Hymen ades o Hymenaee:<br />
«O Imene Imeneo, vieni Imene Imeneo». La tenzone lirica verte sulla diversa valutazione<br />
che i giovani e le fanciulle danno del legame matrimoniale e del rapporto<br />
amoroso: i primi, portano argomenti a sostegno della necessità naturale<br />
del matrimonio e dell’amore, le altre, ribattono sostenendo l’opportunità di resistere<br />
all’amore e di conservare la casta pudicizia, lamentando il crudele distacco<br />
dagli affetti familiari cui è tenuta la giovane sposa per assecondare i desideri<br />
dell’ardente marito. Le immagini, le similitudini, il sentimento che pervade le<br />
strofe, sono di gusto finissimo e di delicatezza e suggestione infinita.<br />
Carme LXIII (Il poemetto Attis)<br />
Il Carme LXIII è un poemetto di 93 versi che ha per argomenti il mito di Attis.<br />
Il metro è costituito dai rari e strani galliambi 25, che nel loro veloce e frenetico<br />
susseguirsi contribuiscono a rendere la drammatica concitazione degli eventi raccontati.<br />
L’argomento terribile e tetro, drammatico e patetico, come il culto della<br />
dea Cibele cui s’ispira, si presenta gravido di tensione e suggestione religiosa. Il<br />
giovane Attis, conquistato dal fascino che esercita il culto religioso di Cibele, con<br />
celere nave raggiunge la Frigia, dove, nel segreto dei recessi boscosi degli alti e<br />
infiammato, dal fondo del petto lanciasse grida acutissime,<br />
riste salendo le balze scoscese, da dove<br />
lo sguardo tendeva alla distesa del mare, poi<br />
all’onde marine avanzanti scendesse sollevando le<br />
molli vesti sulle gambe nude, e nei lamenti estremi<br />
dicesse, impietrita, bagnato il volto di pianto, in<br />
singulti: “Dunque così, perfido, strappatami ai penati<br />
patrii, sul lido deserto mi abbandonasti, perfido<br />
Teseo? Dunque così partendo, negletta la divina<br />
potenza immemore, maledetti spergiuri rechi alla
tua casa? Niente poté piegare il disegno del tuo<br />
animo crudele? Tenerezza non ti mosse a compassione<br />
di me, cuore spietato?…”» (trad. di T.<br />
Rizzo, in CATULLO, Le poesie, a cura di T. Rizzo,<br />
Roma 1983, 104-105).<br />
27. C. MARChESI, Disegno storico della letteratura<br />
latina, cit. 95.<br />
28) Alcuni critici negano l’unità di questa elegia<br />
e ritengono che essa sia costituita da due Carmi<br />
distinti: un primo, costituito dai versi 1-40, un<br />
secondo, dai versi 41-160. Argomenti fondamentali<br />
addotti a sostegno della loro tesi sono soprattutto<br />
due: il fatto che nella prima parte il nome che<br />
cap. IV - Gaio Valerio Catullo - Il poeta di Lesbia, il poeta dell’amore 51<br />
impervi monti del paese, in preda al furore dell’agitazione religiosa, in un accesso<br />
di follia, compie su se stesso il terribile ed estremo atto di devozione alla dea<br />
che lo domina: l’evirazione. Poi, tornato in sé, Attis rimpiange la perduta giovinezza<br />
e cede alla nostalgia della patria lontana: ora dovrà restare per sempre<br />
tra le nevi eterne dell’Ida, al servizio dell’irresistibile, potentissima dea, diventata<br />
sua padrona.<br />
Nella tristezza e nel lamento di Attis è riconoscibile, invero, la voce stessa<br />
del poeta, che, con lui, rimpiange l’adolescenza svanita e l’innocenza perduta,<br />
mentre nelle descrizioni delle desolate e aspre contrade della Frigia, torna invece<br />
il ricordo della recente esperienza del suo viaggio in Bitinia: sono, questi, motivi,<br />
sentimenti ed esperienze catulliane che, suggestivamente, all’improvviso penetrano,<br />
si nascondono e fondono nel contenuto intimo dell’argomento mitologico.<br />
Gusto dell’esotico, intensa tragicità di sentimento religioso, finezza di analisi psicologica,<br />
eleganza ed efficacia stilistica: tutto questo è il poemetto Attis.<br />
Carme LXIV (Epillio: il mito delle nozze di Peleo e Teti)<br />
(excursus: il mito di Arianna abbandonata)<br />
Il Carme LXIV è un epillio di argomento mitologico costituito da 408 versi<br />
esametri. È il più lungo componimento poetico di Catullo. In esso è il racconto<br />
delle nozze di Peleo e Teti, dalla cui unione sarebbe poi nato Achille. La parte<br />
centrale dell’epillio, tuttavia, contiene il mito di Arianna abbandonata: un excursus<br />
poetico, inserito nel soggetto principale secondo la tecnica alessandrina dell’intarsio.<br />
È il giorno delle nozze tra Peleo, re della Tessaglia, e Teti, la più bella<br />
delle Nereidi. La reggia opulenta è pronta alla cerimonia nuziale e, risplendendo<br />
di tutto il suo sfarzo regale, s’affolla di gente festante. Al centro della reggia e<br />
delle attenzioni della folla, è il letto nuziale della dea, ornato di avorio indiano,<br />
con sopra una splendida coperta di porpora. Questa coltre è istoriata, con arte<br />
finissima, d’antiche gesta d’eroi. Tra esse, un posto di rilievo occupa la vicenda<br />
d’amore di Teseo ed Arianna. La fanciulla è ritratta nel momento in cui, sgomenta,<br />
scruta il lido dell’isola Dia e assiste, impotente, alla fuga del suo Teseo<br />
sulla nave veloce: una terribile angoscia devasta il cuore della fanciulla tradita 26.<br />
Ma, per sua fortuna, a restituirla alla gioia dell’amore, presto provvederà consolatore<br />
il bellissimo dio Bacco, che giungerà nell’isola col suo corteo festante, per<br />
prendere Arianna e renderla sua sposa felice. Il mito di Arianna occupa i versi 50-<br />
264. Concluso questo racconto, il poeta riprende la descrizione delle nozze di<br />
Peleo e Teti. La gioventù tèssala, dopo aver ammirato la splendida coltre istoriata,<br />
lascia il palazzo. Giungono poi dall’Olimpo tutti gli dèi e si dispongono a tavola,<br />
vi ricorre è Manlio, mentre nella seconda vi figura<br />
quello di Allio ed il fatto che, inoltre, nella prima<br />
parte il poeta afferma di non poter accontentare<br />
l’amico in ciò che gli chiede (recusatio), mentre<br />
poi, in realtà, nella seconda parte l’accontenta,<br />
componendo una lirica nuova, ispirata al mito di<br />
Protesilao e Laodamìa. I critici più recenti sostengono<br />
l’unità del Carme. Anche i manoscritti riportano<br />
il LXVIII come Carme unitario. Noi siamo per<br />
la tesi unitaria e riteniamo il Carme un capolavoro,<br />
riconoscendo ad esso originalità e validità singolari,<br />
anche in ragione della sua particolare, complessa<br />
ed efficacissima struttura compositiva.
52 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
mentre le Parche, dagli infallibili presagi, intonano un canto profetico in onore<br />
degli sposi, preannunciando ad essi la nascita di Achille e i futuri destini dell’eroe.<br />
Il Carme si conclude con le gravi considerazioni morali del poeta, che lamenta<br />
l’avvenuto distacco, ai suoi tempi, degli dèi dagli uomini, in conseguenza della<br />
folle e corrotta di vita di questi ultimi. La parte centrale dell’epillio relativa al mito<br />
di Arianna abbandonata si presenta più ricca di pathos e poesia: in essa torna<br />
infatti il tema lirico della fides tradìta nel rapporto tra innamorati, tema sentitissimo<br />
dal poeta per gli insopprimibili suoi riflessi autobiografici. Accando ad esso,<br />
in tutto il Carme, corre l’altro tema, carissimo al poeta, delle nozze e dell’amore<br />
coniugale, il sogno segreto di tutta la sua vita. «Questo carme, giudicato sproporzionato<br />
e vizioso nella struttura, ha pure, nella sua bellezza ricca e barocca, una<br />
sua armonia generale, costituita da due epitalami eroici e divini che si chiudono<br />
con un tristo canto profetico di gloria e di morte» 27.<br />
Carme LXV (Elegia: dedica ad Ortalo della traduzione della Chioma di Berenice<br />
di Callìmaco)<br />
Sono 24 versi in tutto: distici elegiaci. Con essi il poeta dedica all’amico<br />
Quinto Ortensio Òrtalo la sua traduzione in latino della Chioma di Berenice del<br />
poeta greco Callimaco. L’elegia costituisce un piccolo gioiello di poesia «nuova»,<br />
originale, raffinata e dotta: vero saggio magistrale di come può nascere o essere<br />
costruita una lirica. Òrtalo ha chiesto a Catullo il dono di una sua poesia. Ma il<br />
poeta è in crisi profonda per la morte del fratello (stupendo, efficacissimo, quell’intermezzo<br />
lirico fatto del colloquio improvviso del poeta col fratello morto, colloquio<br />
che, ad arte, viene ad interrompere, a spezzare drammaticamente l’unità<br />
compositiva della lirica), e confessa di essersi staccato dalla poesia e di non<br />
essere più in grado di produrne: pertanto, l’amico dovrà accontentarsi del dono<br />
di una semplice traduzione di una lirica altrui, l’unica cosa che ora egli è in grado<br />
di dare. La poesia procede su un ritmo lento, sofferto, faticoso, che bene riesce<br />
a rendere ed esprimere, tuttavia, la difficoltà con la quale il poeta insegue le<br />
parole e la giusta ispirazione per creare la lirica, tanto egli versa ormai in uno<br />
stato confusionale di smarrimento e angoscia totale. Sicché, quella doveva essere<br />
una semplice recusatio («rifiuto»), è diventata, proprio essa, dono prezioso e raro<br />
di un’autentica poesia: esempio limpidissimo, non c’è che dire, di ars poetica,<br />
indipendentemente da ogni teorizzazione. Miracolo, o potenza dell’arte catulliana.<br />
Nell’ultima parte può essere ravvisata una scenetta di gusto e tradizione artistica<br />
tipicamente ellenistica, è vero, e, forse, una lieve «caduta»; ma non l’aveva<br />
forse detto Catullo di essere in crisi?<br />
29. Laodamìa è la promessa sposa di<br />
Protesilao, prossimo a partire per la spedizione<br />
troiana. Ma i due innamorati, impazienti, si congiungono<br />
prima di compiere i sacri riti in onore<br />
degli dèi. Questi, irritati, puniscono i due innamo-<br />
rati: Protesilao sarà il primo tra i Greci a cadere<br />
ucciso sotto le mura di Troia. Laodamìa resterà,<br />
comunque, esempio singolare e bellissimo di<br />
fedeltà, anche dopo la morte del suo Protesilao.
cap. IV - Gaio Valerio Catullo - Il poeta di Lesbia, il poeta dell’amore 53<br />
Carme LXVI (Elegia: traduzione della Chioma di Berenice di Callìmaco)<br />
Il Carme LXVI costituisce un’elegia di 94 versi (distici elegiaci). È la traduzione<br />
della Chioma di Berenice composta dal poeta alessandrino Callìmaco di<br />
Cirene (III secolo a.C.). Il poeta si è dedicato ad essa nei giorni in cui gli era<br />
venuta meno l’ispirazione, a causa della morte del fratello. La traduzione è dedicata,<br />
come s’è già detto, ad Òrtalo. Callìmaco aveva scritto l’elegia in occasione<br />
del ritorno ad Alessandria, dalla guerra, del re Tolomeo d’Egitto. Berenice, sua<br />
moglie, per propiziare questo ritorno, aveva reciso un ricciolo della sua chioma<br />
e l’aveva offerto agli dèi come dono votivo. Ma il ricciolo era scomparso dal<br />
tempio dov’era custodito e, pertanto, l’astronomo di corte Conone, aveva immaginato<br />
di riconoscerlo in una nuova costellazione ch’egli intanto aveva scoperto<br />
e che, in omaggio alla regina, aveva appunto chiamato «Chioma di Berenice»,<br />
nome ch’essa porta tuttora. Callìmaco introduce a parlare il ricciolo stesso, che<br />
fa l’elogio della bellezza e della fedeltà della regina. Dell’originale greco a noi<br />
restano solo una ventina di versi, ma l’elegia catulliana ci restituisce il carme,<br />
in traduzione, integralmente. La traduzione, felicemente riuscita, è in tutto degna<br />
dell’arte di Catullo, che qui si rivela fine e fedele interprete di Callìmaco.<br />
Carme LXVII (Elegia: colloquio immaginario del poeta con una porta)<br />
Il Carme LXVII è un’elegia di 48 versi (distici elegiaci). Esso contiene il colloquio<br />
immaginario del poeta con una porta che, suo malgrado, è stata discreta<br />
e involontaria testimone dei segreti peccati d’amore di una matrona. I luoghi<br />
citati sono Brescia e Verona, ma le allusioni, i sottintesi, i pettegolezzi che fanno<br />
da sfondo al carme, fatalmente ci sfuggono. È poesia erotica, con varie punte<br />
aggressive e scurrili: non è certo questo il vero Catullo, anzi, sembra qui ritornare<br />
la poesia giovanile catulliana, cioè quella giambica e provocatoria dei carmi<br />
minori.<br />
Carme LXVIII (Elegia: un dono poetico per Allio)<br />
Il Carme LXVIII è un’elegia di 160 versi (distici elegiaci) 28. È certamente il<br />
capolavoro dei carmina docta, forse il capolavoro di tutto il liber. Catullo è a<br />
Verona e l’amico Allio (o Manlio), distrutto da un grave dolore coniugale, in nome<br />
dell’antica amicizia e dell’affetto che li lega, scrive a Catullo, invitandolo a fare<br />
ritorno in Roma, dove, per altro, in sua assenza, ormai tutti i giovani della migliore<br />
aristocrazia se la spassano a fare l’amore con Lesbia, e sollecitandolo ad inviargli,<br />
a conforto, almeno il dono di una sua poesia.<br />
Catullo è costretto a confessare all’amico anche la sua disperazione, la sua<br />
crisi d’uomo e di poeta: la morte improvvisa di suo fratello l’ha sconvolto e, pertanto,<br />
egli non è ora in grado di esaudire le richieste dell’amico. Ma al semplice<br />
pensiero del fratello morto, ecco che il poeta prorompe (come era già accaduto<br />
nel Carme LXV) in un improvviso, drammatico colloquio col fratello estinto,<br />
con grande efficacia poetica, spezzando l’unità della lirica. Il poeta non può
54 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
I modelli<br />
ispiratori<br />
Catullo poeta<br />
di gusto e<br />
formazione<br />
alessandrina<br />
Poeta, né<br />
ingenuo,<br />
primitivo e<br />
romantico, né<br />
in tutto<br />
alessandrino<br />
La freddezza<br />
e il distacco<br />
dei poeti greci<br />
alessandrini<br />
La passionalità<br />
catulliana<br />
L’originalità e<br />
la diversità<br />
dagli altri<br />
neòteroi<br />
Necessità di<br />
distinguere<br />
all’interno<br />
della sua<br />
poesiaLa<br />
crescita e<br />
dunque accontentare Allio, anche se gli è gratissimo e mai potrà dimenticare<br />
quanto ha fatto l’amico per lui e per il suo amore, favorendo i suoi incontri<br />
segreti con Lesbia nella villetta suburbana, affettuosamente messa a sua disposizione.<br />
E tuttavia, nonostante la recusatio («rifiuto»), anche ad Allio il poeta<br />
riesce a fare il dono di una sua poesia; anzi, per lui fa di più, perché ad Òrtalo<br />
era riuscito ad offrire solo il dono della traduzione d’una lirica altrui, ad Allio,<br />
invece, finisce col regalare questo gioiello d’elegia.<br />
Come in altri carmina docta, inoltre, anche qui il poeta intreccia e fonde<br />
magistralmente ed originalmente il motivo mitologico con quello autobiografico.<br />
Nella vicenda mitologica di Protesilao e Laodamìa 29, inserita nel carme, è simboleggiata<br />
la storia stessa della sua vita. In Laodamìa, la fedele, sventurata,<br />
mancata sposa di Protesilao, il poteva rivede la Lesbia innamorata e devota di<br />
quel lontano e felice giorno in cui per la prima volta si concesse al suo amore.<br />
Nell’amore mitologico dei due sposi mancati, precocemente stroncato da un crudele<br />
destino, è già adombrato, tuttavia, il presentimento da parte del poeta del<br />
tragico naufragio anche del suo amore. Ma il mito richiama, soprattutto, il sogno<br />
segreto catulliano della sancta Venus, cioè del casto e indissolubile amore coniugale<br />
e, con esso, il tema lirico consueto della fides, della «fedeltà», della lealtà<br />
necessaria e bellissima nel rapporto tra due innamorati. Inoltre, la morte immatura<br />
di Protesilao sul suolo della lontana, ostile Troade, non poteva non ricordare<br />
al poeta quella altrettanto straziante del fratello, anch’essa avvenuta anzitempo,<br />
negli stessi, infausti luoghi d’Asia.<br />
Poesia dei ricordi, dell’amore vagheggiato, tra idealizzazione e rassegnazione,<br />
poesia della rimpianta giovinezza, della casa, degli affetti perduti, poesia<br />
della delusione, del dolore, della morte, forse ancora, nonostante tutto, poesia<br />
della speranza. E quelle che sembrano essere nel Carme disarmonie o sproporzioni<br />
o carenze in fatto di struttura, alla fine si rivelano, proprio esse, invenzioni<br />
tecniche originali di un’arte finissima, del tutto naturali e necessarie alla<br />
lirica, perché bene esse rispondono allo stato d’animo del poeta, ancora in<br />
preda, per sua stessa ammissione, allo smarrimento, alla confusione mentale,<br />
all’angoscia, in conseguenza del grave lutto che di recente l’ha colpito. Un autentico<br />
capolavoro, dunque, questa lirica, un prodigioso esempio, pur essa, come<br />
già l’altra per Òrtalo (Carmina LXV), di ars poetica, non teorizzata, ma vissuta<br />
e mostrata nella magica straordinarietà del suo concreto divenire. È nata, con<br />
questa lirica, la prima elegia soggettiva della letteratura latina.<br />
6. L’arte di Catullo<br />
Catullo è, senza dubbio, il più grande dei poetae novi, l’unico, per altro, del<br />
quale ci sia pervenuta l’opera intera. Ma non solo dei neòteroi, anche di tutti gli<br />
altri lirici latini, Catullo certamente può essere considerato il poeta più grande<br />
ed originale. Per la sua poesia egli s’ispirò, talora, ad Archiloco o a Saffo o ad<br />
altri poeti greci di età classica, più spesso, invece, a modelli letterari alessandrini,<br />
soprattutto a Callìmaco. Catullo è, dunque, un poeta di formazione culturale,<br />
spirito e gusto essenzialmente alessandrino. Ma, d’altra parte, neppure può<br />
dirsi, tuttavia, che egli resti, per così dire, prigioniero in tutto e sempre dell’alessandrinismo<br />
callimacheo.<br />
Catullo non è certo il poeta ingenuo, istintivo, primitivo, tutto estro, immediatezza<br />
e fantasia (ingenium) come lo vorrebbero i romantici, ma nemmeno può<br />
dirsi in tutto alessandrino, nel senso che sacrifichi la sua genuina ispirazione al<br />
richiamo dell’ars, cioè della disciplina artistica, dell’educazione letteraria, del<br />
«mestiere», della «scuola». La verità è che, né bisogna esagerare sul carattere «fan-
cap. IV - Gaio Valerio Catullo - Il poeta di Lesbia, il poeta dell’amore 55<br />
ciullesco» di Catullo (e, di conseguenza, sarà opportuno rinunciare definitivamente<br />
a credere nella presunta ingenuità della sua arte, come invece voleva il Croce),<br />
né bisogna confondere la sua arte con quella dei poeti greci alessandrini che egli<br />
spesso ebbe a suoi modelli ispiratori. Il poeta greco alessandrino è soprattutto un<br />
erudito, un intellettuale, un cultore della poesia, amante del puro esercizio o gioco<br />
letterario (lusus) fine a se stesso; egli, pertanto, non si lascia mai coinvolgere emotivamente<br />
dalla materia del suo canto, né consente di essere vinto o commosso<br />
da essa, anzi, la guarda con distacco, o, più spesso, addirittura con ironia, senza<br />
mai cedere o indulgere al sentimento o alla passione. L’arte del poeta greco alessandrino<br />
resta, quindi, sempre sorvegliata, costruita, fredda ed elegante: un elaboratissimo<br />
ed accuratissimo esercizio letterario, un esclusivo gioco poetico,<br />
insomma, destinato a restare tale, senza investire minimamente il sentimento o<br />
la vita del poeta.<br />
Non così in Catullo. Tutt’altro. Questi è poeta emotivo e passionale, impôtens,<br />
«incapace a frenarsi» (come egli stesso si definisce e come avevamo ricordato<br />
prima), nell’arte e nella vita. Pertanto, Catullo non può assolutamente fare<br />
a meno di riversare nella sua poesia anche tutta intera la sua anima e la sua<br />
vita. In lui il sentimento e la passione sono autentici, sinceri, e diventano essi<br />
stessi motivo di canto. Perciò, pur ispirandosi all’arte alessandrina, Catullo, per<br />
temperamento e vocazione naturale, fatalmente finisce col travolgere e superare<br />
l’alessandrinismo, rivelandosi poeta originale e profondamente innovatore.<br />
Egli riesce a rispondere in tutto ai canoni fissati dalla poetica neoterica, ma,<br />
senza per questo cadere nel vano gioco dell’esercizio d’arte fine a se stesso,<br />
accademico o di maniera, (come invece accadde un po’ a tutti gli altri poeti del<br />
suo gruppo), nello stesso tempo, sostanzia di contenuti veri, nuovi e originali,<br />
la sua poesia, facendone cosa viva e artisticamente valida. Nasce infatti con<br />
lui, nel mondo latino, una nuova forma di poesia: la lirica soggettiva, di breve<br />
respiro poetico, colta e raffinata, elegante e priva di qualsiasi impegno o fine<br />
politico, civile o morale. A Catullo si deve l’apparizione in Roma della prima<br />
poesia intima (come intima è gran parte di quella moderna), la poesia che<br />
esplora e racconta il mondo interiore del poeta, del suo io.<br />
Ma nei carmi di Catullo bisogna tuttavia saper distinguere, saper «leggere»,<br />
discernere, capire, intuire, se si vuole cogliere in pieno l’essenza vera della sua<br />
anima e della sua poesia. In altri termini, occorre saper cogliere i temi e i momenti<br />
migliori della poesia catulliana; ma, soprattutto, occorre stare attenti, ricostruendo<br />
tutto il percorso della sua vita e della sua arte, a seguire passo passo, come<br />
s’era già detto agli inizi, la sua crescita e evoluzione umana e poetica. Nel breve<br />
giro di pochi anni, infatti, il prodigioso «fanciullo» maturerà, diventerà uomo, e<br />
non farà in tempo a diventarlo, che, subito, si concluderà la sua intensa, ma brevissima<br />
stagione di vita. Così la sua poesia. Essa nasce alessandrina, come<br />
scherzo (lusus) e dallo scherzo (nugae), ma poi, indipendentemente dalle origini,<br />
dal nome o dalle stesse iniziali intenzioni del poeta, con gli anni diventerà adulta,<br />
facendosi sempre più seria, terribilmente seria e meditata, tragicamente vissuta<br />
e sofferta. Con la morte del fratello, infatti, il poeta scopre che nella vita vi sono<br />
cose più importanti, valori e affetti che contano e valgono molto più di una personale,<br />
infelice esperienza d’amore: questo nuovo, diverso, acerbo dolore, induce<br />
ora il poeta a meditare sul mistero dell’anima, a comprendere il senso autentico<br />
della vita, la comune tragedia dell’umana esistenza, il diffuso dolore anche degli<br />
altri. Ora anche la sua poesia matura, acquista una dimensione cosmica e risonanze<br />
universali, facendosi sempre più asciutta e disadorna, scarna ed essenziale.<br />
Si sbagliava, dunque, il Marchesi allorché affermava: «Non c’è vastità dolo-<br />
l’evoluzione<br />
umana e<br />
poetica di<br />
Catullo dopo<br />
la morte del<br />
fratello<br />
Il poeta<br />
scopre anche<br />
il dolore altrui<br />
e la sua<br />
poesia<br />
acquista una<br />
dimensione<br />
cosmica<br />
La vastità<br />
dolorosa e la<br />
malinconia<br />
nelle grandi<br />
elegie<br />
La<br />
testimonianza<br />
del Carmina<br />
LXXVI<br />
Catullo poeta<br />
«moderno»<br />
Il poeta di<br />
Lesbia e<br />
dell’amore<br />
Lo stile<br />
La lingua<br />
I metri
56 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
rosa in Catullo perché non c’è malinconia» 30.<br />
Il Catullo maturo, quello delle grandi elegie, per intenderci, mostra di conoscere<br />
bene, sia la vastità dolorosa, sia la profonda malinconia, con enorme beneficio<br />
naturalmente per la sua poesia. Il Catullo degli ultimi anni, quando disperatamente,<br />
distrutto ormai nel fisico e nell’anima, sarà costretto a fare il tragico<br />
consuntivo della sua vita (Carme LXXVI, Antol. catull., pag. 75), arriverà allora<br />
persino a dimenticare o a rinnegare certe sue pose, o atteggiamenti, o comportamenti<br />
giovanili da poeta spregiudicato o scapigliato o, addirittura, maudit («maledetto»),<br />
rivendicando infine seriamente, invece, anche per quegli anni, una sua<br />
sostanziale, sana, integra, onesta e profonda coscienza morale e religiosa, sia<br />
davanti agli uomini (si vitam puriter egi: «se ho vissuto una vita onesta»), sia<br />
davanti agli dèi (O di, reddîte mi hoc pro pietate mea: «O dèi, fatemi questa grazia<br />
a compenso della mia pia condotta di vita»). Nessun poeta latino per la spiritualità,<br />
la sensibilità, la spregiudicatezza espresse, o per il gusto, i pensieri, le<br />
pose, gli atteggiamenti manifestati, o per i temi stessi e le situazioni poetiche<br />
proposte, o, infine, per la naturalezza e la libertà di espressione cui fece ricorso,<br />
può oggi essere definito più «moderno» di Catullo.<br />
Ma egli è e resterà per sempre, soprattutto, il grande poeta di Lesbia, l’immenso<br />
poeta lirico dell’amore. La Lesbia delle prime attese e dei sogni catulliani,<br />
è creatura delicata e dolcissima che non si dimentica, una creatura poetica<br />
di dimensione universale e immortale. Nessun poeta antico, dopo Catullo,<br />
seppe raccontare, con altrettanta arte o naturalezza e intensità di sentimento, il<br />
romanzo d’amore della propria vita, o seppe tracciare la storia appassionata e<br />
psicologica d’un amore comune e insieme straordinario, elevandola a dignità di<br />
sublime poesia, trasfigurandola e idealizzandola a dimensione di mito poetico<br />
autobiografico. Catullo è il poeta che, per la passione, la sincerità, la confidenza,<br />
l’abbandono, la spregiudicatezza, la naturalezza con le quali sa raccontare poeticamente<br />
la sua tormentata storia d’amore per Lesbia e tutte le altre sue personali<br />
vicende di vita, riesce ad avvincere, a coinvolgere, a commuovere, ad<br />
appassionare e a rendere partecipe di esse qualsiasi lettore di ogni tempo e<br />
paese. Per avere liriche d’amore intense e appassionate come quelle di Catullo<br />
per Lesbia, bisognerà attendere la grande poesia di un Prévert o di un Neruda.<br />
7. Lo stile, la lingua, i metri<br />
Difficile definire lo stile di Catullo. Esso varia, infatti, secondo i carmi, i temi,<br />
i momenti della sua poesia. Ma, se si prescinde dal Catullo dei primi carmi, cioè<br />
dal poeta irosamente giambico o archilocheo, o dal Catullo comico di gusto e<br />
tradizione fescenninica e plautina, o da quello erotico, volgare e provocatorio, se<br />
si prescinde cioè dal Catullo che abbiamo definito minore, per il resto si può dire<br />
che quel che più colpisce del suo stile è quella singolare, straordinaria capacità<br />
tutta catulliana di riuscire a servirsi, per tutti i suoi carmi migliori (sia che si tratti<br />
di nugae, sia di carmina docta), dei diversi, molteplici artifizi o mezzi tecnici ed<br />
espressivi della Scuola alessandrina 31, senza mai correre il rischio di cadere nella<br />
forzatura dell’espediente tecnico, o nella studiata, artefatta ricercatezza espressiva,<br />
ma riuscendo, per contro, a rendere il loro impiego del tutto naturale e<br />
necessario all’espressività e all’efficacia dell’immagine poetica creata. Uno stile<br />
30. C. MARChESI, Disegno storico della letteratura<br />
latina, cit. 97.<br />
31. Di essi, soprattutto: grecismi, neologismi,<br />
stilemi rari, parole composte, anafore, allitterazioni,<br />
gradazioni (o climax), onomatopee, omoteleuti, asindeti,<br />
polisindeti, similitudini, paronomasie etc.
32. C. MARChESI, Disegno storico della letteratura<br />
latina, cit. 97.<br />
cap. IV - Gaio Valerio Catullo - Il poeta di Lesbia, il poeta dell’amore 57<br />
personalissimo, quello catulliano, quale può essere quello di un poeta, di spirito,<br />
gusto e formazione alessandrina, cioè di un poeta colto e tecnicamente espertissimo,<br />
che sa essere o mostrarsi, tuttavia, quasi sempre, incredibilmente semplice,<br />
naturale, spontaneo, non costruito: il suo stile è una sintesi prodigiosa,<br />
dunque, di ars e naturalezza. È lo stile di un poeta originale ed innovatore, che<br />
degli alessandrini ha assimilato e fatte proprie ogni tecnica poetica, ogni esperienza<br />
letteraria, ogni malizia d’arte, e di tutte si serve e tutte le ripropone, ma<br />
in modo del tutto nuovo, mettendole al servizio di una poesia nuova, intensa e<br />
appassionata, che trae la sua ispirazione dalle profondità dell’anima e dalla verità<br />
della vita vissuta. Perciò, proprio perché la sua poesia nasce dalla vita, anche la<br />
lingua di Catullo si rivela viva, anzi vivissima, varia e naturale.<br />
Come lo stile, infatti, anche la sua lingua varia da carme a carme secondo<br />
i temi ed i momenti della sua poesia. Perciò, talora, essa sa essere popolare,<br />
vivace, colorita in alcuni casi, persino volgare o scurrile (quando, ad esempio, il<br />
poeta negli epigrammi lancia giambi o strali contro i suoi nemici, o quando vuol<br />
essere comico o lascivo), spesso, invece, sa essere raffinata, colta, elegante,<br />
ricercata (quando il poeta delle nugae delicate si abbandona al sentimento, o<br />
quando costruisce con arte sapiente i suoi carmina docta, o quando crea le sue<br />
elegie migliori). Il più delle volte, tuttavia, le due forme espressive si intrecciano<br />
e fondono prodigiosamente, producendo il tipico linguaggio composito del poeta<br />
novus, linguaggio fatto di voci comuni o tradizionali, che si alternano con altre<br />
di natura arcaica, colte ed elevate, o con altre originalmente create per l’occasione<br />
dal poeta stesso, o, più spesso, con altre attinte al linguaggio popolare,<br />
quest’ultime usate un po’ per snobismo, un po’ per provocazione. Pertanto, spesso<br />
risulterà, questa lingua poetica catulliana, fatta di uno strano, complesso eppur<br />
meraviglioso e riuscito impasto espressivo: una lingua semplice e nello stesso<br />
tempo costruita, popolare e insieme colta, ora esuberante ed espressiva, ora raffinata<br />
ed elegante, sempre originale, efficace, innovatrice. Frequentissimo in essa<br />
l’uso dei diminutivi, secondo il gusto della poesia alessandrina, per conferire maggiore<br />
grazia e delicatezza al racconto poetico.<br />
Anche il metro, infine, varia secondo gli argomenti. Sicché, Catullo affida al<br />
distico elegiaco soprattutto le vicende tristi del mito e della sua esistenza. Ma il<br />
suo pentametro è ancora lontano dalla perfezione cui lo condurranno gli elegiaci<br />
che verranno dopo di lui. Meglio riesce invece Catullo nell’esametro, il grande<br />
metro impegnato dei poemetti mitologici, costruiti con squisita cura e raffinatezza<br />
alessandrina. Per la drammatica e sconcertante vicenda mitologica di Attis, il<br />
poeta, con felice scelta, si servì invece degli inusitati, rapidi e concitati galliambi:<br />
il metro più adatto, forse, per rendere la strana, intima agitazione religiosa del<br />
giovanetto, caduto in preda al furore d’una improvvisa e violenta crisi mistica.<br />
Nei giambi agili e svelti, Catullo volle invece rievocare i viaggi felici un tempo<br />
compiuti col suo veloce battello. Ma ai giambi Catullo aveva già fatto ricorso, per<br />
altri meno nobili fini, allorché s’era servito di essi come di un’arma crudele (truces<br />
iambos) per attaccare e colpire impietosamente tutti i suoi rivali o avversari o<br />
nemici. Per esprimerci con il Marchesi: «nei giambi, nei coliambi, nei priapei, negli<br />
endecasillabi falecei – in cui fu insuperato maestro – raccoglie, espone, varia,<br />
tormenta, accarezza le passioni, i rancori, le malizie, le dissolutezze, le caparbietà<br />
capricciose della sua anima» 32.
58 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
Edizioni e traduzioni:<br />
Editio princeps: Venezia 1472.<br />
C. LAChMANN, Berlin 1829 (ristampe: 1861; 1874).<br />
L. SChwABE, Giessen 1866 (poi Berlin 1886).<br />
R. ELLIS, Oxford 1867; 1889 2 (con comm.).<br />
E. BAEhRENS -k.P. SChULzE, Leipzig 1893 (3 voll. con<br />
comm.).<br />
E. ELLIS, Oxford 1904 (editio minor).<br />
G. LAFAyE, Paris 1922; 1958 2 (con intr. e trad.<br />
franc.).<br />
w. kROLL, Leipzig 1923; Stuttgart 1968 5 (con<br />
comm.).<br />
M. LENChANTIN DE GUBERNATIS, Torino 1928; 1949 2<br />
(con comm.).<br />
I. CAzzANIGA, Torino 1945; 1956 3.<br />
M. SChUSTER - w. EISENhUT, Leipzig 1958 3 (rist.<br />
1983).<br />
R.A.B. MyNORS, (O.C.T.), Oxford 1958; 1960 2 (con<br />
comm.).<br />
C.J. FORDyCE, Oxford 1961 (con comm.).<br />
G.B. PIGhI, Torino 1974 (con intr. e trad. it.; contiene<br />
anche i frammenti dei poetae novi).<br />
k. QUINN, London 1976 2.<br />
F. DELLA CORTE, Milano 1977; 1984 2 (con intr., trad.<br />
it. e comm.).<br />
E. MANDRUzzATO - A. TRAINA, Milano 1982 (con intr.,<br />
trad. it. e note).<br />
M. RAMOUS, Milano 1983 2 (con intr. di L. Canali).<br />
F. CAVIGLIA, Roma-Bari 1983 (con intr., trad. it. e<br />
comm.).<br />
Edizioni a carattere scolastico e divulgativo:<br />
G. PASCOLI, Lyrs, Livorno 1895 (più volte ristampato).<br />
S. QUASIMODO, Milano 1973 (Antologia con testo a<br />
fronte e trad. it. do S. Quasimodo; intr. di A.<br />
Giordano).<br />
T. RIzzO, Roma 1977; 1983 2 (con intr., testo a<br />
fronte etrad. it.)<br />
Studi su Catullo:<br />
L. SChwABE, Quaestiones catullianae, Giessen 1862.<br />
A. COUAT, Étude sur Catulle, Paris 1875.<br />
G. hENkEL, De Catullo Alexandrinorum imitatore,<br />
Jena 1883.<br />
G. LAFAyE, Catulle et ses modèles, Paris 1894.<br />
M.N. wETMORE, Index verborum Catullianus, New<br />
york 1912 (rist. anastatica hildesheim 1961).<br />
IndIcazIonI BIBlIografIche<br />
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T. FRANk, Catullus and Horace, New york 1928.<br />
O. hEzEL, Catull und das griechische Epigramma,<br />
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poetry, Berkeley 1934.<br />
E. PARATORE, Catullo, «poeta doctus», Catania 1942.<br />
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V. ERRANTE, La poesia di Catullo, Milano 1945.<br />
C. BIONE, Catullo poeta, Palermo 1946.<br />
V. SIRAGO, Catullo poeta della giovinezza, Arona<br />
1947.<br />
D. BRAGA, Catullo e i poeti greci, Messina-Firenze<br />
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F. DELLA CORTE, Due studi catulliani, Genova 1951;<br />
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C. SAGGIO, Catullo, Cicerone, Virgilio, Alpignano<br />
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SChEDA RIASSUNTIVA SChEDA RIASSUNTIVA SChEDA RIASSUNTIVA SChEDA RIASSUNTIVA SChEDA RIASSUNTIVA<br />
Gaio Valerio Catullo<br />
cap. IV - Gaio Valerio Catullo - Il poeta di Lesbia, il poeta dell’amore 59<br />
to Horace, Oxford 1980.<br />
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P. FEDELI, Donna e amore nella poesia di Catullo,<br />
in Atti Convegno A.I.C.C. su «La donna nel<br />
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Bologna 1987.<br />
P. FEDELI, Introduzione a Catullo, Bari-Roma 1990.<br />
SChEDA RIASSUNTIVA SChEDA RIASSUNTIVA SChEDA RIASSUNTIVA SChEDA RIASSUNTIVA SChEDA RIASSUNTIVA SChEDA<br />
R I A S S U N T I V A<br />
Catullo di Verona, 84-54 a.C., visse a Roma dove conobbe ed amò Lesbia, la donna<br />
della sua vita, il cui vero nome era Clodia, moglie del politico Quinto Metello Celere. Nel<br />
60 a.C. muore anzitempo il fratello del poeta nella Troade. A qualche anno dopo risale il<br />
viaggio di Catullo in Asia Minore, al seguito del propretore G. Memmio, governatore della<br />
Bitinia dal 57 al 56 a.C.<br />
Struttura del liber (o canzoniere) di Catullo, dedicato a Cornelio Nepote: I sezione:<br />
nugae, «inezia», in metro vario (Carmina I-LX); II sezione: i carmina docta, in metro vario<br />
(Carmina LXI-LXVIII); III sezione: nugae in distici elegiaci (Carmina LXIX-CXVI).<br />
Spirito inquieto, appassionato, romantico e spesso contraddittorio, Catullo si autodefinisce<br />
impôtens, «incapace a frenarsi», e tale spesso egli si rivela: «senza freni», nell’arte e<br />
nella vita. Alcuni critici (Croce, Marchesi, Bione etc.) hanno scoperto in lui un’anima «fanciullesca»,<br />
cioè candida, schietta, ingenua, innocente, ma altri giudicano diversamente,<br />
ponendo l’accento sulla consapevolezza, sulla pensosità e la malinconia catulliana. In realtà,<br />
sembra preferibile un’altra tesi, quella che sostiene la crescita e l’evoluzione umana e poetica<br />
di Catullo, in conseguenza della morte prematura del fratello. Nella sua poesia possono<br />
essere individuati alcuni temi e momenti che risultano poi determinanti ai fini della<br />
ricostruzione dell’iter umano ed artistico del poeta.<br />
Catullo è il creatore nel mondo latino della lirica soggettiva. Egli è poeta novus rivoluzionario:<br />
molte delle sue nugae, specie le prime, sembrano essere altrettanti manifesti di<br />
una precisa volontà di trasgressione. Nella vita e nella poesia egli assume spesso atteggiamenti<br />
e pose da poeta bohémien: nelle nugae di argomento vario prevale il poeta scapigliato<br />
e anticonformista. Sono, questi, i carmi minori della spensieratezza e dell’esuberanza<br />
giovanile, fatti spesso di poesia giambica, aggressiva e provocatoria, di gusto archilocheo,<br />
o di comicità pesante, di tipo plautino e tradizione fescenninica. Alcuni di questi carmi sono<br />
di argomento erotico e scurrile, altri rivelano spirito beffardo e dissacratore, ironizzando sui<br />
più illustri politici del tempo (Cesare, Pompeo, Cicerone etc.). Ma, come negli altri neòteroi,<br />
in lui prevalgono l’indifferenza e il distacco dalla storia e dalla politica del suo tempo, gli<br />
atteggiamenti qualunquistici, l’egocentrismo e l’individualismo: agli antichi ideali eroici e<br />
civili della tradizione politica, morale e culturale romana, egli contrappone la scoperta di<br />
nuovi valori umani e morali: la cura dell’io, del proprio mondo interiore, dell’amore, degli<br />
affetti familiari, dell’amicizia, della cultura, della poesia.<br />
Il sentimento dell’amicizia in Catullo fu intensissimo, al pari dell’amore: è come se il<br />
poeta avesse stabilito con l’amico o con la donna amata un segreto patto di amicizia (foedus)<br />
e fedeltà (fides), di portata religiosa.<br />
SChEDA RIASSUNTIVA SChEDA RIASSUNTIVA SChEDA RIASSUNTIVA SChEDA RIASSUNTIVA SChEDA RIASSUNTIVA
SChEDA RIASSUNTIVA SChEDA RIASSUNTIVA SChEDA RIASSUNTIVA SChEDA RIASSUNTIVA SChEDA RIAS-<br />
60 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
Dopo la morte del fratello, la sua poesia si arricchisce del motivo della casa e degli<br />
affetti familiari e spesso si abbandonerà alla rievocazione nostalgica del passato o cederà<br />
alla malinconia dei ricordi. Nasce, così, il Catullo grandissimo dell’elegia.<br />
Ma Catullo è e resterà per sempre, soprattutto il grande poeta di Lesbia, il poeta<br />
immenso dell’amore. Lesbia è creatura poetica immortale, che non si dimentica. L’amara<br />
vicenda del suo amore per Lesbia finì con lo sconvolgere tutta la vita di Catullo: cessata<br />
l’idealizzazione dei primi anni e dei primi carmi, l’amore andò sempre più degenerando,<br />
trasformandosi per Catullo in esclusiva passione dei sensi, fino a diventare un vero e proprio<br />
male oscuro, un virus mortale che gli andava devastando corpo e anima e dal quale<br />
cercò infine di liberarsi, invocando disperatamente l’aiuto degli dèi (Carmina LXXVI).<br />
Quanto ai carmina docta, essi si rivelano spesso un felice intreccio di mito ed autobiografia,<br />
di doctrina e cura formale, secondo i canoni della migliore tradizione alessandrina.<br />
Dall’idealizzazione della personale vicenda di vita del poeta nasce il mito autobiografico<br />
catulliano. Alcuni di questi Carmi, specie il LXVIII, sono dei capolavori.<br />
Modello preferito di Catullo fu Callìmaco. Pertanto, egli è poeta di gusto e formazione<br />
alessandrina. Ma neppure può dirsi che Catullo sia sempre e in tutto un poeta alessandrino:<br />
alla freddezza e al distacco dei poeti greci alessandrini, si contrappone, infatti, tutta<br />
l’impetuosa passionalità catulliana. Dopo la morte del fratello, il poeta scopre l’esistenza<br />
anche del dolore altrui e allora la sua poesia acquista una dimensione ed una risonanza<br />
cosmica, facendosi sempre più asciutta, scarna, essenziale. «La vastità dolorosa e la malinconia»,<br />
negate dal Marchesi a Catullo, si può dire invece che appartengono certamente alla<br />
poesia degli ultimi carmi, a quella delle grandi elegie.<br />
Catullo è il più moderno dei poeti latini. Il suo stile è una sintesi prodigiosa di ars e<br />
naturalezza, la sua lingua è semplice e nello stesso tempo costruita, popolare e insieme<br />
colta, ora esuberante ed espressiva, ora raffinata ed elegante, sempre originale, efficace,<br />
innovatrice.<br />
Quanto ai metri, Catullo fu insuperato maestro soprattutto negli endecasillabi falecei.<br />
SChEDA RIASSUNTIVA SChEDA RIASSUNTIVA SChEDA RIASSUNTIVA SChEDA RIASSUNTIVA SChEDA RIAS-
Carme XXVI<br />
Carme XL<br />
cap. IV - Gaio Valerio Catullo - Il poeta di Lesbia, il poeta dell’amore 61<br />
ANTOLOGIA CATULLIANA<br />
NUGAE DI ARGOMENTO VARIO<br />
La villetta di Furio è proprio esposta male<br />
Furio è caduto sotto gli strali di Catullo: egli si vanta di possedere una villetta che gode<br />
di una eccellente posizione, ben protetta contro i venti: peccato ch’essa è anche esposta<br />
ai venti delle ipoteche e dei debiti del suo padrone; almeno così insinua quella mala lingua<br />
di Catullo. Metro: endecasillabi falecei.<br />
Furi 1, villula vostra non ad Austri 2<br />
flatus opposita 3 est neque ad Favoni 4<br />
nec saevi Boreae 5 aut Apheliotae 6,<br />
verum ad milia quindecim et ducentos.<br />
O ventum horribilem atque pestilentem!<br />
Furio, la vostra villetta non è esposta ai soffi dell’Austro, né a quelli del Favonio, né<br />
a quelli del terribile Borea o dell’Afeliota, bensì ad un’ipoteca di 15.200 sesterzi:<br />
questo sì che è un vento raccapricciante e pestilenziale!<br />
Povero Ràvido, esposto ai giambi di Catullo<br />
Ràvido ha osato mettere gli occhi addosso a Lesbia; e mal gliene incolse: chi lo salverà<br />
ora dai giambi, cioè dai versi avvelenati di Catullo? (Metro: endecasillabi falecei).<br />
Quenam te mala mens, miselle Ravîde 7,<br />
agit praecipitem in meos iambos? 8<br />
Quis deus, tibi non bene advocatus 9,<br />
vecordem parat exercitare rixam?<br />
An ut pervenias in ora vulgi?<br />
Quid vis? qualîbet esse notus optas?<br />
Eris, quandoquîdem meos amores<br />
cum longa voluisti amare poena.<br />
1. Furi: Furio, è lo stesso personaggio dei Carmi<br />
XI, XVI, XXIII.<br />
2. Austri: l’Austro è un vento del sud.<br />
3. opposita: «esposta», nel doppio senso di<br />
«esposta» ed «ipotecata».<br />
4. Favoni: il Favonio è un vento che spira da<br />
ovest.<br />
5. Boreae: Borea, vento di settentrione; è noto<br />
anche col nome di tramontana.<br />
6. Apheliotae: l’Afeliota è un vento dell’est.<br />
7. Ravîde: Ràvido; è un personaggio di cui nulla<br />
sappiamo. Il nome significa «Occhigrigi», da ravus,<br />
«bigio», «grigio-giallastro».<br />
8. iambos: «giambi»; qui in senso generico per<br />
dire versi aggressivi. Per le sue invettive, infatti,<br />
Catullo usa, di preferenza, i falecei.<br />
9. non bene advocatus: era molto importante<br />
presso i Romani il rituale secondo il quale doveva<br />
essere invocato il dio. In particolare, bisognava<br />
fare attenzione a non trascurare o sbagliare i diversi<br />
nomi con i quali la divinità amava essere invocata,<br />
altrimenti s’incappava nell’ira del dio: questa era<br />
almeno la credenza popolare.
Carme XXXIX<br />
62 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
Quale cattiva ispirazione, disgraziato Ràvido, ti caccia a capo basso contro i miei<br />
giambi? Qual dio, invocato a soccorso con rito maldestro, intende suscitarti un’insana<br />
rissa? perché tu vada per le bocche di tutti? Che ti piglia? vuoi essere famoso<br />
a ogni costo? Lo sarai, poiché l’amor mio ti sei provato ad amarlo, e ne avrai lungo<br />
castigo.<br />
Il dentifricio di Egnazio<br />
Egnazio ha dei denti candidissimi e cerca ogni occasione, anche quando non è proprio<br />
il caso, per ostentarli: perciò ride sempre, fuori tempo e fuori luogo, come un autentico<br />
cretino. Farebbe meglio a tenerla chiusa invece quella bocca, afferma Catullo: egli<br />
viene dall’Iberia e si sa che lì si ha l’abitudine di lavarsi i denti con l’urina; perciò, quanto<br />
più bianchi sono i denti ch’egli mostra, tanto più vuol dire che Egnazio ha bevuto...<br />
(Metro: coliambi).<br />
Egnatîus 10, quod candidos habet dentis,<br />
renïdet usque quaque. Si ad rei ventum est<br />
subsellium 11, cum orator excîtat fletum 12,<br />
renïdet ille; si ad pii rogum fili<br />
5 lugetur, orba cum flet unicum mater,<br />
renïdet ille. Quidquid est, ubicumque est,<br />
quodcumque agit, renïdet. Hunc habet morbum,<br />
neque elegantem, ut arbitror, neque urbanum 13.<br />
Quare monendum est te mihi, bone Egnati.<br />
10 Si urbanus esses aut Sabinus aut Tiburs,<br />
aut parcus Umber aut obesus 14 Etruscus<br />
aut Lanuvinus ater atque dentatus<br />
aut Transpadanus, ut meos 15 quoque attingam,<br />
aut quilîbet, qui puriter lavit dentis,<br />
15 tame renidëre usque quaque te nollem :<br />
nam risu inepto res ineptior nulla est.<br />
Nunc Celtîber es : Celtiberia 16 in terra,<br />
quod quisque minxit, hoc sibi solet mane<br />
dentem atque russam defricare gingivam 17.<br />
20 ut quo iste vester expolitior dens est,<br />
hoc te amplius bibisse praedîcet loti.<br />
10. Egnatius: Egnazio; il personaggio è lo stesso<br />
di Carmi XXXVII, XVII ed altri.<br />
11. subsellium: in tribunale era il banco dove<br />
sedevano giudici, avvocati e imputati.<br />
12. cum orator.. fletum: nell’ambito dell’orazione<br />
difensiva pronunciata dall’avvocato difensore v’era<br />
il momento tecnico della peroratio, cioè il momento<br />
più drammatico: attraverso la peroratio l’avvocato<br />
difensore cercava di suscitare la commozione dei<br />
giudici e del pubblico.<br />
13. urbanum: urbanus era il cittadino dell’Urbe<br />
e, pertanto, il termine valse anche ad indicare il<br />
cittadino di prim’ordine, perché cittadino di Roma.<br />
14. obesus: si sa che gli Etruschi erano materialisti<br />
e perciò amanti dei piaceri e della buona<br />
tavola. Di qui l’obesità proverbiale degli Etruschi.<br />
Catullo qui vuol dire che il riso bene si addice a<br />
chi è grassoccio e bonaccione.<br />
15. meos: Catullo si riferisce ai suoi corregionali,<br />
i Veneti, naturalmente per compiacerli.<br />
16. Celtiberia: è la Spagna.<br />
17. solet… difricare gingivam: «suole strofinarsi<br />
i denti». L’uso spagnolo di lavare i denti con l’urina<br />
è testimoniato anche presso altri autori.
Carme LIII<br />
Carme X<br />
18. Vatiniana: riferito a crimina, «i delitti di<br />
Vatinio». Si vedano anche i Carmi XIV, LII.<br />
19. Calvus: è G. Licinio Calvo, famosissimo<br />
avvocato, nonché apprezzato poeta novus.<br />
cap. IV - Gaio Valerio Catullo - Il poeta di Lesbia, il poeta dell’amore 63<br />
Egnazio, perché ha lustri e bianchi i denti, è raggiante in ogni occasione. Se si sta al<br />
banco dell’accusato, nel punto che l’oratore fa piangere, quello è raggiante. Se al<br />
rogo d’un figlio amato si fa corrotto, nel punto che la madre deserta piange il suo<br />
unico, quello è raggiante. Qualunque cosa sia, dovunque sia, qualunque parte faccia,<br />
è raggiante. Questa è la sua malattia, di poco buon gusto, penso, e poco civile.<br />
Perciò devo darti un consiglio, Egnazio mio bello. Se tu fossi di Roma o della Sabina<br />
o di Tivoli, o un parco Umbro o un obeso Etrusco o un Lanuvino nero e dentuto o un<br />
Traspadano, per metterci anche i miei paesani, o chi tu vuoi, che con acqua pura si<br />
lava i denti, tuttavia, che tu fossi raggiante in ogni occasione, non lo vorrei: ché non<br />
c’è cosa più fuor di luogo d’un riso fuor di luogo. Ora, tu sei Celtibèro: in terra di<br />
Celtiberia, ognuno, di ciò che ha pisciato la notte, è uso, la mattina, sfregare i denti<br />
e arrossar le gengive: cosicché, quanto più è netta, codesta tua dentatura, grida che<br />
tanto più hai inghiottito di piscio.<br />
L’eloquenza di Licinio Calvo<br />
Il Carme esprime l’ammirazione e la stima di Catullo per il suo amico Licinio Calvo,<br />
còlto questa volta in veste non di poeta, ma di oratore.<br />
Quanto a Vatinio, è lo stesso di Carme LII (per cui cfr. II 2, nota 10, pagg. 10-11 e IV<br />
4, pag. 41). (Metro: endecasillabi falecei).<br />
Risi nescioquem modo ex corona,<br />
qui, cum mirifîce Vatiniana 18<br />
meus crimina Calvus 19 explicasset,<br />
admïrans ait haec manusque tollens<br />
5 «Di magni, salaputium 20 disertum!»<br />
ho riso, poco fa, confuso tra la folla, di un tale che, avendo il mio amico Calvo puntualizzato<br />
a meraviglia tutti i capi d’accusa contro Vatinio, preso da ammirazione,<br />
alzando le mani al cielo ha così esclamato: «Grandi dèi, che eloquente quel cosettino!»<br />
Una ragazza davvero insulsa e impertinente!<br />
Catullo è messo in imbarazzo da un’amichetta di Varo piuttosto sfrontata e impertinente:<br />
il poeta voleva darsi un po’ di arie, facendo credere alla ragazza di essere tornato,<br />
pur essendogli andata male, non proprio a mani vuote dal suo recente viaggio in Bitinia al<br />
seguito del propretore Gaio Memmio: almeno otto robusti lettighieri egli racconta d’essere<br />
riuscito a rimediarli; ma che si tratti d’una frottola si scopre subito, appena la ragazza,<br />
20. salaputium: il termine, di significato incerto,<br />
è stato variamente inteso e tradotto; ci è parso<br />
bene renderlo con: «cosettino».
64 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
senza ritegno, gli chiede, a sorpresa, di... prestarglieli, per essere condotta in lettiga al<br />
tempio di Serapide! Un divertente episodio di vita catulliana subito diventato motivo di fresca<br />
e gustosa poesia. (Metro: endecasillabi falecei).<br />
Varus 21 me meus ad suos amores<br />
visum 22 duxerat e foro otiosum:<br />
scortillum, ut mihi tunc repente visum est,<br />
non sane illepidum neque invenustum.<br />
5 Huc ut venîmus, incidëre nobis<br />
sermones varii, in quibus, quid esset<br />
iam Bithynia 23, quo modo se haberet,<br />
ecquonam mihi profuisset aere.<br />
Respondi id quod erat; nihil neque ipsis<br />
10 nec praetoribus esse nec cohorti,<br />
cur quisquam caput unctius 24 referret,<br />
praesertim quibus esset irrumätor 25<br />
praetor, nec faceret pili cohortem.<br />
«At certe tamen» inquiunt, «quod illic<br />
15 natum dicitur esse, comparasti<br />
ad lecticam homines» 26. Ego, et puellae<br />
unum me facerem beatiorem,<br />
«Non» inquam «mihi tam fuit maligne,<br />
ut, provincia quod mala incidisset,<br />
20 non possem octo homines parare rectos» 27.<br />
At mi nullus erat nec hic neque illic,<br />
fractum qui veteris pedem grabäti<br />
in collo sibi collocare posset.<br />
Hic illa, ut decuit cinaediorem,<br />
25 «Quaeso» inquit, «mihi, mi Catulle, paulum<br />
istos: commôda nam volo ad Saräpim<br />
deferri». «Mane» inquii puellae;<br />
«istud quod modo dixeram me habere:<br />
fugit me ratio: meus sodälis,<br />
30 Cinna est Gaius 28 : is sibi paravit.<br />
Verum, utru illîus an mei, quid ad me?<br />
utor tam bene, quam mihi parärim.<br />
Sed tu salsa male et molesta vivis,<br />
per quam non licet esse neglegentem».<br />
21. Varus: Varo, è il critico Quintilio Varo, un<br />
caro amico di Catullo. È più volte ricordato da<br />
Orazio (Carmina I 18; I 24; Ars poetica 438 e<br />
segg.), che lo ritiene critico severo e coscienzioso.<br />
22. visum: supino attivo di video con valore<br />
finale perché retto da duxerat, verbo di movimento.<br />
23. Bithynia: Catullo era appena tornato dal suo<br />
viaggio in Bitinia, dove era andato al seguito del<br />
propretore G. Memmio.<br />
24. caput unctius: Catullo si riferisce alla possibilità<br />
di comprare in Bitinia qualche profumino,<br />
trattandosi di un paese orientale, dove, pertanto, i<br />
profumi avrebbero dovuto essere un tipico prodotto<br />
locale.<br />
25. irrumätor: è parola volgare e si riferisce ad<br />
uomo impudico; per vivacità di traduzione l’abbiamo<br />
resa con «rompiscatole», allontanandoci tuttavia<br />
dal significato letterale.<br />
26. ad lecticam homines: pare che la Bitinia<br />
fosse famosa a quei tempi per i suoi lettighieri.<br />
27. octo homines… rectos: come a dire oggi<br />
una fuoriserie, una «ottocilindri».<br />
28. Cinna… Gaius: Gaio Elvio Cinna, poeta<br />
novus amico di Catullo, ricordato nel Carme XCV<br />
quale autore della Zmyrna, poemetto che può<br />
essere indicato come il manifesto della poetica<br />
neoterica.
Carme II<br />
29. quicum: sta per quocum; è un ablativo<br />
arcaico.<br />
cap. IV - Gaio Valerio Catullo - Il poeta di Lesbia, il poeta dell’amore 65<br />
Il mio amico Varo, un giorno in cui non avevo nulla da fare, mi aveva condotto dal<br />
foro a fare visita al suo amore: una sgualdrinella, come allora m’era parsa a prima<br />
vista, ma non priva di spirito e di grazia. Una volta giunti colà, si venne a parlare di<br />
varie cose, tra le quali, che cosa fosse ormai la Bitinia, in quali condizioni si trovasse<br />
e quale beneficio economico ne avessi tratto. Risposi come stavano le cose e<br />
cioè che lì non c’era, né per gli stessi abitanti, né per i pretori, né per la coorte, niente,<br />
perché uno ne approfittasse per tornarsene a casa con i capelli più impomatati,<br />
specie poi a chi, come noi, fosse capitato un pretore rompiscatole e portato ad infischiarsene<br />
della coorte. «Ma, ad ogni modo, almeno», dicono, «un genere che si dice<br />
sia nato proprio colà, te li sei procurati degli uomini da lettiga». Ed io, per darmi delle<br />
arie con la ragazza, rispondo: «Non mi è andata poi tanto male, pur essendomi<br />
imbattuto in una cattiva provincia, da non riuscire a procurarmi otto robusti lettighieri».<br />
E dire che né qui né là, avevo qualcuno che potesse portarsi sul collo il piede<br />
rotto d’una vecchia branda. Quella allora, sfrontata oltre ogni lecito, «Per favore», mi<br />
dice, «mio caro Catullo, puoi prestarmeli un po’, codesti? Voglio farmi portare comodamente<br />
laggiù, al tempio di Serapide». «Un momento», risposi alla fanciulla, «codesto<br />
che avevo detto poc’anzi di avere, mi sono confuso, è un mio amico, Cinna, sì,<br />
Gaio, è lui che se li è procurati. Beh, suoi o miei, che differenza fa? Posso servirmene<br />
liberamente come se fossero miei. Ma tu sì che sei davvero insulsa e noiosa, se<br />
con te uno non può concedersi di essere distratto».<br />
Il passero di Lesbia<br />
NUGAE ISPIRATE DALL’AMORE PER LESBIA<br />
La lirica, quanto all’argomento, può essere considerata rivoluzionaria per il mondo<br />
latino: finora si era avuta infatti solo poesia epica, celebrativa dello Stato. Il mondo interiore<br />
del poeta, la sua vita, i suoi sentimenti, rivendicano ora con i neòteroi il loro diritto<br />
alla poesia. Il passero della donna amata dal poeta è diventato ora più importante di qualsiasi<br />
altro motivo di poesia. Lesbia qui è idealizzata da Catullo e descritta come una dolcissima,<br />
delicatissima «fanciulla», che innocentemente gioca col suo passerotto addomesticato.<br />
Quanto a Catullo, posa a fare l’uomo maturo, preso da chissà quali gravi pensieri<br />
e, pertanto, portato a guardare con distacco i diletti della sua amata «fanciulla». Una scenetta<br />
stupenda, piena di grazia e delicatezza di sentimento, una lirica che è un autentico<br />
capolavoro. (Metro: endecasillabi falecei).<br />
Passer, deliciae meae puellae,<br />
quicum 29 ludêre, quem in sinu tenëre,<br />
cui primum digitum dare appetenti<br />
et acris 30 solet incitare morsus:<br />
5 cum desiderio 31 meo nitenti<br />
carum nesciôquid libet iocari<br />
ut solaciôlum 32 sui doloris,<br />
credo 33, ut 34 cum 35 gravis acquiescat ardor,<br />
tecum ludêre sicut ipsa possem 36<br />
10 et tristis 37 animi levare curas!<br />
30. acris: sta per acres; è forma arcaica.<br />
31. desiderio: desiderium indica la donna amata
Carme III<br />
66 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
Passero, gioia della mia fanciulla, col quale suole scherzare, che suole tenere in<br />
grembo, alla cui avidità suole affidare la punta del dito, sollecitandone i morsi crudeli:<br />
quando alla splendida donna che io desidero piace prendersi non so quale<br />
diletto a piccolo conforto del suo dolore, credo, perché allora si plachi la sua grave<br />
passione: potessi anch’io giocare con te come fa lei e alleviare così i tristi affanni<br />
dell’anima!<br />
È morto il passerotto di Lesbia<br />
Non ha nemmeno fatto in tempo ad entrare in poesia ed è già morto il passerotto di<br />
Lesbia. Anche questa volta il poeta posa a fare l’adulto, ostentando un apparente distacco<br />
davanti al dolore della sua «fanciulla», ma solo per minimizzare e confortarla, preso<br />
com’è in realtà anche lui dal dolore per la morte del passero, cui aveva finito per affezionarsi<br />
davvero, al pari di Lesbia. Insomma qui Catullo si comporta con Lesbia come farebbe<br />
un qualsiasi adulto nei confronti d’un bambino che piange disperato la perdita del suo<br />
giocattolino preferito. Un epicedio stupendo per il passero, non v’è che dire, un altro capolavoro<br />
catulliano, costruito con garbo espressivo e finezza psicologica e sentimentale: il<br />
tutto, senza venire mai meno ai canoni della poesia alessandrina, anzi...! (Metro: endecasillabi<br />
falecei).<br />
Lugëte, o Veneres Cupidinesque,<br />
et quantum est hominum venustiorum 38.<br />
Passer 39 mortuus est meae puellae 40,<br />
passer, deliciae meae puellae,<br />
5 quem plus illa oculis suis amabat:<br />
nam mellïtus erat suamque norat<br />
ipsam, tam bene quam puella matrem,<br />
nec sese a gremio illîus 41 movebat,<br />
sed circumsiliens modo huc modo illuc<br />
10 ad solam dominam usque pipiabat 42.<br />
Qui nunc it per iter tenebricosum<br />
illud, unde negant redire quemquam.<br />
At vobis male sit, malae tenëbrae<br />
Orci 43, quae omnia bella 44 devoratis:<br />
15 tam bellum mihi passêrem abstulistis! 45<br />
O factum male! o miselle passer! 46<br />
Tua nunc opera meae puellae<br />
flendo turgidûli 47 rubent ocelli 48.<br />
appassionatamente, la «passione».<br />
32. solaciôlum: «piccolo conforto»; i diminutivi<br />
sono frequenti nel linguaggio dei poetae novi.<br />
33. credo: è parentetico, nel senso di «suppongo».<br />
34. ut: con valore finale regge acquiescat.<br />
35. cum: ha valore temporale: «allora», cioè<br />
«quando gioca».<br />
36. possem: l’imperfetto del congiuntivo per indicare<br />
l’impossibilità.<br />
37. tristis: sta per tristes e concorda con curas.<br />
38. venustiorum: è comparativo assoluto di<br />
venustus, «grazioso», «gentile», «elegante».<br />
39. Passer: ripetuto ad inizio del verso successivo<br />
forma un’anafora efficacissima, necessaria<br />
a richiamare l’attenzione sull’importanza che l’animaletto<br />
ha nel cuore di Lesbia.<br />
40. puellae: ripetuto alla fine del verso successivo<br />
forma un’epifora che corrisponde perfettamente<br />
all’anafora precedente, onde sottolineare<br />
l’intenso legame che unisce affettivamente il passerotto<br />
a Lesbia.<br />
41. illîus: con la i breve per ragioni metriche.<br />
42. pipiabat: «cinguettava»; ma è voce onomatopeica<br />
sul tipo del nostro «pigolare».<br />
43. Orci: col nome di Orco i Romani indica-
Carme LXXXIII<br />
vano l’inferno e il dio che vi presiedeva. Con quel:<br />
At vobis… Orci, Catullo assume un tono simile a<br />
quello di un adulto quando cerca di confortare un<br />
bambino che piange perché qualcosa o qualcuno<br />
gli ha fatto la «bua» e sgrida quel qualcosa o qualcuno<br />
definendolo «brutto e cattivo». Insomma il<br />
poeta assume un tono protettivo e paternalistico,<br />
facendo l’uomo di mondo che tende a minimizzare<br />
l’accaduto, un po’ per confortare la puella ridimensionando<br />
la disgrazia, un po’ per nascondere<br />
anche la sua commozione e il suo di spiacere per<br />
la morte del passerotto, che ormai era diventato<br />
caro anche a lui.<br />
44. bella: è forma popolare e del linguaggio<br />
familiare.<br />
45. abstulistis: il poeta gioca sul doppio significato<br />
del verbo aufêro «sottraggo» e «porto alla<br />
sepoltura». Si noti quel mihi: il passero apparteneva<br />
ormai anche a Catullo, come tutte le cose<br />
cap. IV - Gaio Valerio Catullo - Il poeta di Lesbia, il poeta dell’amore 67<br />
Piangete o Veneri ed Amorini, e quanti uomini vi sono al mondo più gentili. È morto<br />
il passero della mia fanciulla, passero, delizia della mia fanciulla, che lei amava più<br />
dei suoi occhi: sì, era dolce come il miele e aveva imparato a riconoscere la sua<br />
padroncina così bene come una bimba la madre, né si staccava dal suo grembo, ma<br />
saltellando ora qua ora là, solo alla sua signora sempre cinguettava. Ora esso va per<br />
un cammino denso di tenebre là dove dicono che nessuno torna indietro. Ma, quanto<br />
a voi, siate maledette, brutte tenebre dell’Orco, voi che divorate tutte le cose belle:<br />
il mio passero così bello avete portato via! Oh che disgrazia! oh povero passerotto!<br />
Ora, per colpa tua, gli occhietti della mia fanciulla si sono fatti rossi e gonfi a forza<br />
di piangere.<br />
Che bestia quel marito di Lesbia: non capisce proprio niente!<br />
Con le donne in amore ci vuole psicologia, e Catullo mostra qui di possederne abbastanza.<br />
Non così il povero marito di Lesbia, che non riesce a capire che sua moglie è innamorata<br />
di Catullo: proprio per mascherare il suo amore per il giovane poeta, Lesbia davanti<br />
a lui ne parla male. Che rabbia per Catullo non potergli gridare in faccia che sua moglie<br />
è ormai perdutamente innamorata di lui: altroché, è proprio innamorata cotta! (Metro: distico<br />
elegiaco).<br />
Lesbia 49 mi, praesente viro 50, mala plurima dicit:<br />
haec illi fatuo maxima laetitia est.<br />
Mule, nihil sentis. Si nostri oblïta tacëret,<br />
sana esset 51: nunc quod gannit et obloquitur,<br />
5 non solum meminit, sed, quae multo acrior est res,<br />
irata est, hoc est uritur et coquitur.<br />
Lesbia, davanti a suo marito, parla malissimo di me: e tutto ciò procura grandissima<br />
gioia a quel pagliaccio. Bestia: non capisci proprio niente. Se lei m’avesse dimenticato<br />
e non parlasse, sarebbe normale; ora, invece, il fatto che brontola e m’ingiuria,<br />
non solo vuol dire che sono nei suoi pensieri, ma, quel che più conta, è arrabbiata<br />
con me, il che significa che brucia ed è cotta d’amore.<br />
care a Lesbia.<br />
46. O factum… passer: detto col tono di chi<br />
vuole nascondere la propria commozione e intensifica<br />
quasi scherzando l’accaduto.<br />
47. turgidûli: letteralmente «gonfietti»; un altro<br />
dei tanti diminutivi cari a Catullo e ai neòteroi. La<br />
vera disgrazia per Catullo sembra sia quella delle<br />
conseguenze causate dalla morte del passero: gli<br />
occhi belli della sua Lesbia sono diventati rossi e<br />
gonfi a forza di piangere. Ma Catullo, anche questa<br />
volta, posa a fare l’adulto, l’uomo maturo davanti<br />
alla sua idealizzata «fanciulla»; e, invece, nonostante<br />
le pose o gli atteggiamenti esteriori, dalla<br />
lettura della lirica si avverte che il poeta è profondamente<br />
addolorato per la morte del passero,<br />
come la sua Lesbia.<br />
48. ocelli: altro diminutivo caro a Catullo, qui<br />
traducibile letteralmente con «occhietti».
Carme XCII<br />
68 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
Lesbia parla male di me: ma allora è innamorata di me!<br />
La sa proprio lunga Catullo in fatto di psicologia della donna innamorata: se una<br />
donna parla troppo di un uomo o, addirittura, ne parla male, è molto probabile che essa<br />
sia innamorata di lui! È quel che pensa Catullo e, almeno fino ad ora, i fatti sembrano dargli<br />
ragione: Lesbia è proprio innamorata di lui, perciò non fa altro che sparlare di lui.<br />
(Metro: distico elegiaco).<br />
Carme LXXXVI<br />
Lesbia mi dicit semper male 52 nec tacet umquam<br />
de me: Lesbia me dispeream nisi amat.<br />
Quo signo? quia sunt totîdem mea: deprêcor illam<br />
assidue, verum dispeream nisi amo.<br />
Lesbia non fa che parlar male di me, e parla e parla di me: Lesbia, possa io morire<br />
se non m’ama.prova? La perché altrettanto fo io con lei: la maledico di continuo, ma<br />
possa io morire se non l’amo.<br />
Quinzia? Macché, Lesbia sì che è bella!<br />
Una bella lezione catulliana sulla bellezza femminile: Quinzia è certamente un’apprezzabile<br />
stangona: insomma, è sì, certo, proprio ricca fisicamente di buoni attributi, ma<br />
la bellezza è un’altra cosa: non basta l’avvenenza fisica, ma occorrono anche la grazia e<br />
l’intelligenza, perché una donna possa essere a ragione definita bella. Tutte cose, queste,<br />
che Lesbia più di qualsiasi altra donna al mondo possiede: non Quinzia, dunque, Lesbia sì<br />
che è bella! (Metro: distico elegiaco).<br />
Quintia 53 formosa 54 est multis, mihi candîda 55 longa<br />
recta est. Haec ego sic singula confiteor,<br />
totum illud «formosa» nego: nam nulla venustas,<br />
nulla in tam magno est corpore mica salis.<br />
5 Lesbia formosa est: quae cum pulcherrima tota 56 est,<br />
tum omnibus una omnis 57 subripuit Veneres.<br />
Quinzia per molti è bella, per me ha una bella carnagione chiara, è alta, slanciata.<br />
Tutti questi singoli pregi, io li riconosco, ma è tutto quel «bella» che non sono disposto<br />
ad accettare: e sì, perché in un corpo così grande non v’è alcuna grazia, alcuna<br />
briciola di spirito. Lesbia sì che è bella: lei che è bellissima totalmente e che per sé<br />
sola ha rapito a tutte le donne tutte le grazie.<br />
49. Lesbia: è il nome dato in poesia da Catullo<br />
alla sua donna, la «donna di Lesbo», come la poetessa<br />
Saffo. In realtà, nella vita e nella storia, il<br />
nome della donna era Clodia, la moglie dell’illustre<br />
politico Quinto Metello Celere.<br />
50. viro: è Quinto Metello Celere, appunto.<br />
51. sana esset: letteralmente «sarebbe sana»,<br />
cioè «non innamorata»; l’amore spesso è definito<br />
una malattia, specie quando esso si presenta<br />
intenso e appassionato.<br />
52. dicit semper male: corrisponde al mala plurima<br />
dicit del Carme LXXXIII, 1.
Carme XLIII<br />
La bellezza di Lesbia è senza confronti<br />
cap. IV - Gaio Valerio Catullo - Il poeta di Lesbia, il poeta dell’amore 69<br />
Nella provincia di Verona c’è chi ha osato fare il confronto tra la bellezza di Ameana,<br />
la ragazza di Mamurra (definito da Catullo con disprezzo «il bancarottiere di Formia»), e<br />
quella di Lesbia. Catullo ne è indignato; di qui, la... demolizione fisica (come può essere<br />
bella con quel naso, quei piedi etc.?) e spirituale (la scelta di diventare l’amica del «fallito<br />
di Formia» è di per sé significativa in tal senso!), della ragazza, nel «ritratto» impietoso che<br />
le traccia il poeta. Un Catullo scanzonato, spigliato, ironico ed aggressivo. (Metro: endecasillabi<br />
falecei).<br />
Carme LXXXVII<br />
Salve, nec minimo puella naso,<br />
nec bello pede, nec nigris ocellis,<br />
nec longis digitis, nec ore sicco,<br />
nec sane nimis elegante lingua,<br />
5 decoctôris amica Formiani 58.<br />
Ten provincia narrat esse bellam?<br />
tecum Lesbia nostra comparatur?<br />
O saeclum insapiens et infacëtum!<br />
Salve, ragazza! non hai piccino il naso, non hai grazioso il piede, non hai neri gli<br />
occhi, non hai affusolate le dita, non hai bocca sana, non hai davvero troppo fine la<br />
lingua, sei l’amica del bancarottiere di Formia: e la provincia va contando che sei<br />
bella! e tra te e la mia Lesbia si fanno confronti! Oh gente senza sale e senza gusto!<br />
L’amore e la fedeltà di Catullo<br />
Una bella confessione fatta dal poeta a Lesbia del suo amore profondo per lei e della<br />
sua incondizionata fedeltà. C’è poi nella lirica quella concezione tutta catulliana del foedus,<br />
cioè del «patto», sacro e inviolabile, di natura quasi religiosa, che deve tenere avvinti<br />
due innamorati per tutta la vita: almeno tale valore e risonanza hanno nella coscienza di<br />
Catullo i suoi giuramenti d’amore pronunciati per Lesbia. (Metro: distico elegiaco).<br />
Nulla potest mulier tantum se dicere amatam<br />
vere, quantum a me Lesbia amata mea est:<br />
nulla fides 59 ullo fuit umquam foedere 60 tanta,<br />
quanta in amore tuo ex parte reperta mea est.<br />
53. Quintia: chi ella sia non sappiamo, ma in<br />
fondo può bastare quanto di lei ci racconta o,<br />
meglio, … descrive Catullo!<br />
54. formosa: ma sì, si sarebbe tentati, volgarizzando,<br />
come nelle effettive intenzioni di Catullo,<br />
del resto, di tradurre: «bona»! Si faccia attenzione<br />
ai tre termini con i quali Catullo indica «bello»: formosus,<br />
nel senso di bellezza soprattutto fisica, alludendo<br />
anche alle forme prosperose; bellus, voce<br />
popolare e familiare per indicare soprattutto la<br />
grazia e la leggiadria; pulcher, per indicare una<br />
bellezza completa, sia fisica che spirituale (cfr.<br />
infatti quel pulcherrima detto di Lesbia!).<br />
55. candîda: detto di una carnagione «lattea»,<br />
particolarmente apprezzata presso i Romani.<br />
56. tota: cioè «totalmente», nel fisico e nell’anima.<br />
57. omnis: per omnes, riferito a Veneres, cioè<br />
le «grazie».<br />
58. decoctôris… Formiani: il «bancarottiere di
Carme CIX<br />
Carme V<br />
70 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
Nessuna donna può dire d’essere amata tanto di cuore, quanto da me è amata la<br />
mia Lesbia: nessuna fedeltà in nessun patto mai fu tanto grande quanto grande,<br />
nell’amore di te, s’è ritrovata in me.<br />
La promessa di Lesbia<br />
Lesbia promette a Catullo che l’amerà per tutta la vita, e il poeta prega gli dèi ch’ella<br />
davvero sia in grado di prestare fede per sempre alla sua promessa. Torna qui il motivo<br />
catulliano della religiosa, sacra inviolabilità del foedus, «patto» d’amore, tra due innamorati.<br />
(Metro: distico elegiaco).<br />
Iucundum, mea vita, mihi proponis amorem<br />
hunc nostrum inter nos perpetuumque fore.<br />
Di magni, facîte ut vere promittere possit,<br />
atque id sincere dicat et ex animo,<br />
5 ut liceat nobis tota perducere vita<br />
aeternum hoc sanctae foedus 61 amicitiae.<br />
Vita mia, mi prometti che questo amore nostro, tra noi, sarà felice ed eterno. Dèi<br />
grandi, fate che possa promettere il vero e che ciò che dice lo dica schiettamente e<br />
di cuore, che sia permesso a me e a lei il far durare per tutta la vita reciproco questo<br />
patto d’inviolabile amore.<br />
Godiamoci la vita, Lesbia mia, e dammi un numero infinito di baci<br />
Qualche critica incomincia a diffondersi in Roma sulla relazione sentimentale tra<br />
Catullo e Lesbia, e la «signora» forse ne è turbata: di qui l’invito da parte del poeta a non<br />
pensarci, anzi a godersi la vita; intanto incominci Lesbia a dargli tanti, ma proprio tanti<br />
baci, sino a perderne il conto, in barba a tutti i supercritici benpensanti, vecchi e brontoloni,<br />
o a qualche malevolo invidioso. (Metro: endecasillabi falecei).<br />
Vivamus, mea Lesbia, atque amemus<br />
rumoresque senum severiorum<br />
omnis unîus 62 aestimemus assis 63.<br />
Soles occidêre et redire possunt:<br />
5 nobis cum semel occîdit brevis lux,<br />
nox est perpetua una dormienda.<br />
Da mi basia 64 mille 65, deinde centum,<br />
dein mille altera, dein secunda centum,<br />
deinde usque altera mille, deinde centum.<br />
Formia» cui si riferisce Catullo è Mamurra, nemico<br />
di Catullo e amico di Cesare.<br />
59. fides: la «fedeltà» era qualcosa di sacro<br />
nella concezione catulliana dell’amore. Si tratta di<br />
parola emblematica all’interno della poesia di<br />
Catullo.<br />
60. foedere: il foedus, il sacro «patto» d’amore,<br />
è altra parola emblematica nella poesia catulliana.<br />
61. foedus: vedi sopra.<br />
62. unîus: con l’i breve per ragioni metriche.<br />
63. assis: l’asse era una moneta di scarso<br />
valore presso i Romani e può essere qui reso col<br />
nostro «un soldo».
Carme VIII<br />
10 Dein, cum milia multa fecerïmus,<br />
conturbabimus illa, ne sciamus,<br />
aut nequis malus invidëre possit 66,<br />
cum tantum sciat esse basiorum 67.<br />
cap. IV - Gaio Valerio Catullo - Il poeta di Lesbia, il poeta dell’amore 71<br />
Godiamoci la vita, Lesbia mia, e abbandoniamoci all’amore; e diamo il valore di un<br />
soldo a tutte le critiche dei vecchi più severi. I soli possono tramontare e poi risorgere,<br />
ma, per noi, una volta tramontata la nostra breve giornata, una notte eterna ci<br />
resta da dormire. Dammi mille baci, poi cento, poi mille altri, e poi un secondo centinaio,<br />
e poi sempre altri mille, poi cento. E, poi, quando ne avremo messi insieme<br />
molte migliaia, li mescoleremo tutti, per perderne il conto, o per evitare l’invidia di<br />
qualche malvagio, una volta che venga a sapere che ci siamo dati tanti baci.<br />
Povero Catullo, smettila d’impazzire<br />
Questo Carme è un gioiello, un autentico capolavoro catulliano, costruito con grande<br />
sapienza tecnica ed artistica. Sono incominciati i gravi litigi tra i due innamorati e tutto<br />
sembra ormai perduto, compromesso, irreparabile. Di qui l’invito rivolto dal poeta a se<br />
stesso, a doversi rassegnare a quella che ormai sembra essere una definitiva rottura; e,<br />
soprattutto, la smetta di vivere come un disperato e torni finalmente a vivere. Poi subentra<br />
l’assalto dei ricordi: i bei giorni d’amore vissuti con Lesbia, ripercorsi nostalgicamente<br />
dal poeta e la consapevolezza d’avere vissuto davvero giorni meravigliosi, irripetibili, dei<br />
quali può ora dichiararsi appagato. Ma, quanto a Lesbia, è proprio sicura di aver fatto bene<br />
a rompere con Catullo? Crede forse di poter trovare facilmente un altro amante in grado<br />
di sostituire Catullo? Un amante che sappia donarle tutto ciò che lui le ha dato? Forse<br />
Lesbia non si è ancora resa conto della fortuna che ha avuto ad incontrare Catullo, ovvero<br />
un amante singolare, anzi unico, perché il solo in grado di donarle un amore «speciale»<br />
e, con esso, il vanto d’essere la donna d’un grande, famoso poeta. Almeno così la pensa<br />
il poeta. Quanto a lui, s’impegni invece a resistere. Ma dalla lettura del Carme ogni lettore<br />
avverte e capisce che egli non resisterà e che ancora una volta, sconfitto, tornerà ad<br />
implorare, disperato, il lunatico e capriccioso amore della sua Lesbia. (Metro: coliambi).<br />
Miser Catulle, desînas ineptire,<br />
et quod vides perisse perdîtum ducas.<br />
Fulsëre quondam candîdi tibi soles,<br />
cum ventitabas quo puella ducebat 68<br />
5 amata nobis quantum amabitur nulla:<br />
ibi 69 illa multa tum iocosa fiebant,<br />
quae tu volebas, nec puella nolebat 70.<br />
Fulsëre vere candîdi tibi soles 71.<br />
64. basia: «baci»; è voce popolare; in altri autori<br />
ricorre oscûlum, i, n., che dal significato originario<br />
di «boccuccia» è passato poi in senso traslato a<br />
significare «bacio».<br />
65. Da mi basia mille: c’è uno stacco enorme<br />
ed un radicale cambio di tono tra la prima parte<br />
della lirica e questa. Il poeta vuole scuotere se<br />
stesso e Lesbia dal triste pensiero della morte che<br />
per un attimo lo ha assalito e ora si lascia travol-<br />
gere dal ritmo incalzante dei baci chiesti alla sua<br />
donna per non pensarci, per dimenticare ogni cosa<br />
brutta della vita.<br />
66. nequis malus… possit: quando si è felici,<br />
o fortunati si tema sempre che qualcuno o qualcosa<br />
possa intervenire all’improvviso a rompere<br />
l’incanto. In queste occasioni siamo un po’ tutti<br />
superstiziosi.<br />
67. tantum… basiorum: genitivo partitivo.
Carme LXXII<br />
72 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
Nunc iam illa non vult: tu quoque, impôtens 72, noli,<br />
10 nec quae fugit sectare, nec miser vive,<br />
sed obstinata mente 73 perfer, obdüra.<br />
Vale, puella: iam Catullus obdürat,<br />
nec te requiret nec rogabit invïtam.<br />
At tu dolebis, cum rogabêris nulla 74.<br />
15 Scelesta, vae te... Quae tibi manet vita?<br />
quis nunc te adïbit? 75 cui videbêris bella? 76<br />
quem nunc amabis? cuîus esse dicëris? 77<br />
quem basiabis ? cui labella mordebis?<br />
at tu, Catulle, destinatus obdüra 78.<br />
Povero Catullo, smettila d’impazzire, e quel che vedi perduto, consideralo perduto.<br />
hai avuto un tempo le tue belle giornate di sole, quando ti lasciavi portare dove conduceva<br />
la fanciulla, amata da me quanto alcun’altra lo sarà mai: e colà, allora, molti<br />
giochi d’amore si facevano, che tu volevi, né dispiacevano alla fanciulla. Sì, le hai<br />
avute davvero le tue belle giornate di sole. Ma ora lei non vuole più: anche tu, incapace<br />
come sei a frenarti, non volere, né stare ad inseguirla, e smettila di vivere<br />
come uno sventurato, ma, con animo ostinato, resisti, tieni duro. Addio, fanciulla:<br />
ormai Catullo tiene duro, né ti cercherà né ti pregherà se tu non vorrai. Ma tu ci soffrirai,<br />
quando non sarai più pregata. Sciagurata, guai a te, quale vita ora ti attende?<br />
Chi ti frequenterà? A chi sembrerai bella? Chi amerai? Di chi sarai detta appartenere?<br />
Chi bacerai? A chi morderai le labbra? Ma tu, Catullo, ostinato, resisti.<br />
Fine dell’idealizzazione d’un amore<br />
Era una cosa purissima l’amore di Catullo per Lesbia: il poeta l’aveva così idealizzata<br />
da amarla, non come comunemente si può amare l’«amica», cioè l’amante, ma, addirittura,<br />
come un padre può amare i figli o i generi. Ma ora Catullo ha capito che tipo di donna è, e<br />
non prova più stima per lei, avendo, i continui tradimenti di Lesbia logorato il suo amore,<br />
che si è ridotto ormai ad esclusiva passione dei sensi: il poeta arde ancora di più, ma non<br />
riesce più a «volerle bene». Un’amara riflessione o confessione questa lirica catulliana,<br />
un’altra gemma poetica, ricca di sofferta umanità e psicologia dell’amore. (Metro: distico<br />
68. ducebat: l’iniziativa era presa dalla fanciulla,<br />
a quanto pare.<br />
69. ibi: in genere è inteso in senso temporale,<br />
«allora»; ma non è affatto da escludere una possibilità<br />
d’interpretazione in senso locativo: «colà»,<br />
cioè nella villetta suburbana gentilmente messa a<br />
disposizione di Catullo e di Lesbia dall’amico Allio<br />
(Carmina LXVIII).<br />
70. nec… nolebat: efficacissima litote; dietro c’è<br />
tutta la psicologia della donna innamorata.<br />
71. Fulsëre… soles: detto con ben altro tono<br />
rispetto al v. 3: è come se il poeta avesse intanto<br />
passato in rassegna tutto la sua vita, rivivendone<br />
per un attimo tutti i giorni felici: di qui, l’ammissione<br />
convinta a se stesso: «sì, le hai avute le<br />
tue belle giornate di sole».<br />
72. impôtens: «incapace a frenarti»; questo<br />
termine è parola emblematica in Catullo: così<br />
Catullo è davvero, nell’arte e nella vita, impôtens,<br />
«senza freni».<br />
73. obstinata mente: di qui l’avverbio «ostinatamente».<br />
74. cum rogabêris nulla: Catullo sa bene che<br />
alla donna piace essere pregata e corteggiata.<br />
75. quis nunc te adïbit: non è che mancheranno<br />
corteggiatori o amanti a Lesbia, Catullo lo<br />
sa bene, ma di quale livello?<br />
76. cui videbêris bella: altro è piacere a Catullo,<br />
altro ad un qualsiasi spasimante senza nome.<br />
77. cuius esse dicëris: Catullo sa bene di<br />
essere… Catullo! E, poi, c’è la solita presunzione<br />
di ogni innamorato, per cui nessuno sa fare l’amore<br />
meglio di lui!<br />
78. at tu, Catulle... obdüra: e si sente, invece,
elegiaco).<br />
Carme LXXV<br />
che anche questa volta il poeta non resisterà e<br />
cederà ancora una volta vinto dalla sua passione<br />
e dalle vane promesse di Lesbia.<br />
79. nosse: «conoscere»; in senso, più che altro,<br />
materiale.<br />
80. tenëre Iovem: letteralmente «possedere<br />
Giove»; quanto a Giove, era considerato, come<br />
s’è già detto, un dio esperto amante e seduttore.<br />
81. amicam: l’«amica», nel significato di<br />
«amante» e detto in senso dispregiativo.<br />
82. dilîgit: «ama»; ma è voce delicatissima, che<br />
investe più la sfera degli affetti familiari, che quella<br />
dell’amore vero e proprio. Perciò sarà meglio tradurre<br />
il verbo col nostro «voler bene».<br />
cap. IV - Gaio Valerio Catullo - Il poeta di Lesbia, il poeta dell’amore 73<br />
Dicebas quondam solum te nosse 79 Catullum,<br />
Lesbia, nec prae me velle tenëre Iovem 80.<br />
Dilexi tum te non tantum ut vulgus amicam 81,<br />
sed pater ut natos dilîgit 82 et generos.<br />
5 Nunc te cognovi 83; quare, etsi impensius uror 84,<br />
multo mi tamen es vilior et levior 85.<br />
«Qui potis est?» inquis. Quia amantem iniuria 86 talis<br />
cogit amare magis, sed bene velle 87 minus.<br />
Dicevi, un tempo, che solo conoscere Catullo, Lesbia, volevi e a me non avresti preferito<br />
Giove. Ti volli bene, allora, non tanto come uno qualunque all’amica, ma come<br />
un padre ai figli vuol bene e ai generi. Ora ti conosco: perciò, anche se più forte brucio,<br />
tu sei per me tuttavia di molto minor pregio e peso. «Com’è possibile?» dici.<br />
Perché uno che ama, un tradimento come il tuo lo costringe ad amare di più, ma a<br />
voler bene di meno.<br />
Non potrei più «volerti bene», Lesbia...<br />
Un’altra amara confessione del poeta, deluso dai continui tradimenti di Lesbia: ormai<br />
egli sente, smarrito e rassegnato, d’essere arrivato al punto di non poter più «voler bene»<br />
a Lesbia, cioè, di non poter tornare ad amarla con l’amore purissimo d’un tempo, anche<br />
s’ella diventasse la migliore delle donne, né, d’altra parte, egli è più in grado di smettere<br />
d’amarla, qualunque cosa ella faccia. Catullo sa di essere ormai prigioniero di un’indomabile<br />
passione dei sensi, dalla quale è impossibilitato a fuggire. Un Carme carico di sincerità,<br />
tristezza, disincanto, un Carme, anche questo, di altissima poesia; una poesia<br />
dolente, umanissima e disperata d’amore. (Metro: distico elegiaco).<br />
Huc est mens deducta tua, mea Lesbia, culpa,<br />
atque ita se officio 88 perdîdit ipsa suo,<br />
ut iam nec bene velle 89 queat tibi, si optima fias,<br />
83. cognovi: quale ricchezza di significati in<br />
questo te cognovi rispetto al precedente nosse<br />
attribuito a Lesbia!<br />
84. etsi… uror: l’amore è diventato ormai un’esclusiva<br />
passione dei sensi.<br />
85. es vilior et levior: è finita la stima e, quindi,<br />
si può dire che è finito l’amore almeno un certo<br />
tipo d’amore, quello, dolcissimo, dello spirito.<br />
86. iniuria: letteralmente «affronto»; in riferimento<br />
ai continui tradimenti di Lesbia.<br />
87. bene velle: «voler bene», in senso tutto<br />
spirituale e delicatissimo, come il precedente<br />
dilîgit del v. 4.
Carme LXXXV<br />
74 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
Odi et amo<br />
nec desistere amare, omnia si facias.<br />
A tal punto è giunta la mia mente, per colpa tua, Lesbia mia, e s’è così perduta, per<br />
volerti restare fedele, che ormai, né potrebbe più volerti bene, anche se tu diventassi<br />
la migliore delle donne, né può cessare di amarti, qualunque cosa tu faccia.<br />
Il Carme è un epigramma costituito da un distico giustamente famoso. Con estrema<br />
semplicità e naturalezza Catullo qui esprime l’intimo tormento del suo animo, caduto<br />
preda di due sentimenti contrastanti e antitetici che, contemporaneamente, gli struggono<br />
l’anima: egli sente di odiare e, nello stesso tempo, di amare Lesbia, e non riesce a capacitarsi<br />
di come ciò possa essere, ma sente che è così e ne è disperato. E non è affatto<br />
necessario spiegare che l’oggetto sottinteso dell’odi et amo è proprio Lesbia e solo lei: chi<br />
altra mai, se non lei, con la sua sciagurata infedeltà ha rovinato la vita del poeta determinando<br />
nella sua anima quell’insanabile conflitto di opposti sentimenti? Lirica stupenda,<br />
intensissima, costruita su uno stato d’animo particolare, sul mistero dell’anima e, ancora<br />
più, dell’amore. Indubbiamente una lirica immortale. (Metro: distico elegiaco).<br />
Carme LVIII<br />
Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.<br />
Nescio. Sed fieri sentio, et excrucior.<br />
Odio e amo. Come sia possibile, forse ti chiedi. Non lo so, ma sento che è così, e me<br />
ne dispero.<br />
Celio, che brutta fine ha fatto Lesbia!<br />
Catullo si rivolge a Celio, un amico fedele, per rivelargli sconsolato che Lesbia, quella<br />
Lesbia da lui tanto amata e idealizzata, ormai è diventata una donna completamente perduta:<br />
la si può incontrare, infatti, come una qualsiasi squallida sgualdrina a scorticare i<br />
fianchi dei discendenti di Remo nel buio dei quadrivi e degli angiporti di Roma. Quanta tristezza,<br />
quanto dolore nelle parole di Catullo: la triste fine di Lesbia è anche la triste fine<br />
d’un amore, d’un sentimento, ch’era nato bellissimo e puro. (Metro: endecasillabi falecei).<br />
Caeli 90, Lesbia nostra, Lesbia illa,<br />
illa Lesbia, quam Catullus unam<br />
plus quam se atque suos amavit omnis 91,<br />
nunc in quadriviis et angiportis<br />
5 glubit magnanimi Remi 92 nepotes.<br />
Celio, la mia Lesbia, Lesbia, dico, quella Lesbia che, sola, Catullo amò più di se stes-<br />
88. officio: letteralmente «dovere»; quello sentito<br />
da un innamorato come Catullo, per il quale contano<br />
moltissimo in amore la fides e il foedus eterno<br />
d’amicizia.<br />
89. bene velle: cfr. v. 8 di Carme LXXII.<br />
90. Caeli Celio; è un amico di Catullo, forse lo<br />
stesso di Carme C.
Carme LXXVI<br />
91. omnis: sta per omnes.<br />
92. Remi: il riferimento a Remo, anziché a<br />
Romolo, non è casuale; Remo è stato lo sventurato<br />
perdente nei confronti del fratello Romolo.<br />
Questa volta i Romani sono detti discendenti di<br />
Remo, quasi a voler significare, da parte del poeta,<br />
la fatale sventura di quanti tra essi hanno avuto<br />
cap. IV - Gaio Valerio Catullo - Il poeta di Lesbia, il poeta dell’amore 75<br />
so e di tutti i suoi cari, ora nei quadrivi e negli angiporti scortica i fianchi dei discendenti<br />
del magnanimo Remo.<br />
L’ultima, disperata preghiera<br />
Siamo ormai arrivati alla fine del romanzo d’amore di Catullo e di Lesbia. Il poeta<br />
è disperato: l’amore è diventato per lui un’oscura, incurabile malattia, un terribile<br />
cancro che gli divora e distrugge l’anima e il corpo. Catullo non chiede più agli dèi<br />
che Lesbia contraccambi il suo amore, o, cosa impossibile, ch’ella diventi pudica, ma<br />
è la salute che ormai egli invoca, il recupero della sua salute fisica e spirituale, attraverso<br />
la definitiva liberazione da quello sciagurato amore. Il Carme costituisce uno<br />
dei capolavori della poesia catulliana, frutto della sua maturità umana e poetica. E,<br />
poi, che bella testimonianza di fede e religiosità catulliana in quest’elegia, con la concezione<br />
della divinità misericordiosa, che è già «cristiana» (senza per questo dover<br />
ammettere, come invece altri ritiene, alcuna conversione del poeta alle religioni<br />
misteriche), e con la confessione di Catullo di aver condotto una vita sostanzialmente<br />
onesta, pia, moralmente sana, che lo riscatta da tutte le pose e atteggiamenti<br />
scanzonati e anticonformisti degli anni giovanili. È poesia autentica, grandissima,<br />
questa di Catullo, poesia drammatica, nata dall’intima tragedia di un’anima, da un<br />
amore folle e impossibile, poesia della disperazione. (Metro: distico elegiaco).<br />
Siqua recordanti benefacta priora voluptas<br />
est homini, cum se cogitat esse pium,<br />
nec sanctam violasse fidem 93, nec foedere 94 nullo<br />
divum ad fallendos numine abusum homines:<br />
5 multa parata manent tum in longa aetate, Catulle,<br />
ex hoc ingrato gaudia amore tibi.<br />
Nam quaecumque homines bene cuiquam aut dicere possunt<br />
aut facere, haec a te dictaque factaque sunt:<br />
omniaque ingratae perierunt credita menti 95.<br />
10 Quare te iam cur amplius excrucies?<br />
quin tu animo offirmas atque istinc teque reducis<br />
et dis invïtis desînis esse miser? 96<br />
Difficile est longum subito deponere amorem ;<br />
difficile est: verum hoc qua libet efficias.<br />
la sfortuna di imbattersi come lui in Lesbia.<br />
93. fidem: è il solito motivo catulliano della fides<br />
tradìta.<br />
94. foedere: anche il motivo del foedus, del<br />
«patto» d’amore tradito è ricorrente in Catullo.<br />
95. ingratae… menti: il riferimento a Lesbia è<br />
fin troppo evidente.
Carme XI<br />
76 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
15 Una salus haec est, hoc est tibi pervincendum :<br />
hoc facias, sive id non pote sive pote.<br />
O di, si vestrum est miserëri 97, aut si quibus umquam<br />
extremo iam ipsa in morte 98 tulistis opem,<br />
me miserum aspicîte et, si vitam puriter egi 99,<br />
20 eripîte hanc pestem perniciemque 100 mihi.<br />
Heu, mihi subrëpens imos ut torpor in artus<br />
expûlit ex omni pectore laetitias !<br />
Non iam illud quaero contra me ut dilîgat illa,<br />
aut, quod non potis est, esse pudïca velit :<br />
25 ipse valëre 101 opto et taetrum hunc deponere morbum 102.<br />
O di, reddîte mi hoc pro pietate meä.<br />
lo facessi. Questa è la sola via di scampo, devi riportare questa vittoria: fàllo, via, sia<br />
che si possa, sia che non si possa.<br />
O dèi, se voi avete compassione, o se ad alcuno mai, all’ultimo, sul punto proprio di<br />
morte, portaste soccorso, l’infelicità mia guardate e, se onestamente ho vissuto,<br />
strappate questo male maligno da me.<br />
Ahi! come, serpeggiandomi occulto il torpore per entro le membra, ha scacciato da<br />
tutta l’anima le sue gioie! Ora, non quello che io chiedo, che a sua volta ella m’ami,<br />
o – che non è possibile – che voglia essere fedele. Io, io voglio esser sano e guarire<br />
da quest’orribile morbo.<br />
O dèi, datemi questo in compenso della mia vita pia!<br />
L’addio definitivo<br />
Questo è forse l’ultimo Carme composto da Catullo, databile al 55 o, forse al 54 a.C.,<br />
l’anno della sua morte. Due amici di Catullo e di Lesbia, in verità più di Lesbia che del<br />
poeta, Furio ed Aurelio, si sono offerti, su suggerimento di lui, di tentare una mediazione<br />
presso Catullo, per indurlo a riconciliarsi, ancora una volta. Ma ormai i tempi sono cambiati<br />
e Catullo ha definitivamente rinunciato dentro di sé a quell’amore, a quella donna<br />
impossibile, che tante volte l’ha tradito e deluso, rovinandogli la vita. Troppo tardi ormai<br />
per una riconciliazione: continui a spassarsela Lesbia con i suoi tanti amanti senza amarne<br />
nessuno sul serio, e lasci perdere l’amore del poeta, che, per colpa sua, è caduto, reci-<br />
96. miser: cfr. Carme VIII 1.<br />
97. O di, si vestrum est miserëri: notevolissimo!<br />
Mai ci saremmo aspettati da un autore pagano, e<br />
tantomeno da Catullo, una così avanzata concezione<br />
della divinità: un dio misericordioso è già un<br />
dio cristiano, senza alcun dubbio.<br />
98. ipsa in morte: è propria del cristianesimo<br />
la concezione che Dio possa salvare il peccatore<br />
persino nell’ultimo istante della sua vita.<br />
99. si vitam puriter egi: anche qui, una conce-<br />
zione già cristiana, di chi vantando una sana condotta<br />
di vita sente di poter invocare il perdono e<br />
l’aiuto del dio.<br />
100. pestem perniciemque: «male maligno»,<br />
«rovinosa malattia»; si noti l’endiadi.<br />
101. valëre: ormai Catullo invoca solo la salute,<br />
fisica e spirituale.<br />
102. taetrum… morbum: «male oscuro»; un vero<br />
cancro dell’anima ormai è diventato l’amore per<br />
Catullo.
103. Furi et Aureli: Furio ed Aurelio, sono due<br />
personaggi dei quali nulla sappiamo; forse erano<br />
più amici di Lesbia che di Catullo.<br />
104. comites: «compagni»; qui nel senso di «di -<br />
sposti ad essere compagni».<br />
105. extremos… Indos: erano sentiti come i<br />
popoli più lontani da Roma sul confine orientale.<br />
106. Eöa: «orientale».<br />
107. Hyrcänos: gli Ircani abitavano le coste<br />
meridionali del mar Caspio.<br />
108. Sacas: i Saci o Sagi erano gli Sciti, popolazione<br />
del Caucaso.<br />
109. Parthos: i Parti, detti da Eschilo «lancia-<br />
cap. IV - Gaio Valerio Catullo - Il poeta di Lesbia, il poeta dell’amore 77<br />
Se, nel riandare le buone azioni del passato, conforto v’è per l’uomo, quando la<br />
coscienza gli dice ch’è pio, e non ha violato la santità della fede data, e in nessuna<br />
promessa ha abusato dell’autorità degli dèi per ingannare gli uomini: molti t’aspettano,<br />
allora, riservati a te in una lunga vita, o Catullo, gaudii da questo tuo amore<br />
che grazia non trova.<br />
Perché quanto di bene gli uomini possono dire a persona o fare, tanto da te è stato<br />
detto e fatto: e tutto è stato gettato, commesso a un cuore che grazia non rende.<br />
Dunque ormai perché t’hai a torturare ancora? perché non ti rinfranchi nel cuore, e<br />
di costì non ti ritrai e, poiché gli dèi non vogliono, non la smetti di voler soffrire? È<br />
difficile a un tratto guarire d’un lungo amore; è difficile: ma in ogni modo vorrei che<br />
so come un fiore ai margini d’un prato dopo che è passato l’aratro. Questa la risposta del<br />
poeta. La lirica sembra incominciare quasi a fatica e si trascina lenta, finché Catullo trova<br />
la forza e il coraggio dentro di sé di mandare a quel paese, nella poesia e nella vita, la<br />
«sua» Lesbia. Se si pensa alla puella e all’amore dei primi carmi, resta in chiunque un<br />
senso di tristezza e di amaro, e tanta commozione, tanta voglia in noi di donare a Catullo<br />
tutto il nostro affetto, a compenso del suo sfortunato amore e delle stupende, meravigliose<br />
liriche, nate da esso, che ci ha saputo regalare. (Metro: strofe saffica minore).<br />
Furi et Aureli 103, comites 104 Catulli,<br />
sive in extremos penetrabit Indos 105,<br />
4-5 litus ut longe resonante Eöa 106<br />
tunditur unda,<br />
sive in Hyrcänos 107 Arabasve mollis,<br />
seu Sacas 108 sagittiferosve Parthos 109,<br />
7-8 sive quae septemgemînus colorat<br />
aequora Nilus,<br />
sive trans altas gradietur Alpis,<br />
Caesaris visens monimenta magni 110,<br />
11-12 Gallicum Rhenum, horribilisque ultimosque<br />
Britannos 111,<br />
omnia haec, quaecumque feret voluntas<br />
caelîtum, temptare simul parati,<br />
15-16 pauca nuntiate meae puellae<br />
non bona dicta.<br />
tori di saette» per la loro abilità nell’uso dell’arco,<br />
abitavano una regione dell’Asia Centrale. Questa<br />
popolazione faceva militarmente molta paura ai<br />
Romani.<br />
110. Caesaris… magni: non sembra qui detto<br />
con ironia, come altri invece ritiene; il che non vuol<br />
dire tuttavia che Catullo sia ora passato all’ammirazione<br />
per Cesare: potrebbe trattarsi di un’espressione<br />
ormai diventata consueta in Roma dopo<br />
i successi militari e politici del dittatore.<br />
111. Britannos: altra popolazione indomita e<br />
fiera che ha sempre fatto molta paura militarmente<br />
ai Romani.
78 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
Cum suis vivat valeatque moechis,<br />
quos simil complexa tenet trecentos,<br />
19-20 nullum amans vere, sed identîdem omnium<br />
ilia rumpens:<br />
nec meum respectet, ut ante, amorem,<br />
qui illîus culpa cecîdit velut prati<br />
23-24 ultimi flos, praetereunte postquam<br />
tactus aratro est.<br />
Furio e Aurelio, che accompagnereste Catullo, se mai si spingerà, alla fine del<br />
mondo, tra gl’Indi, sin dove la costa è battuta dal mare orientale con tonanti marosi<br />
; o se tra gl’Ircani o tra i molli Arabi, o se tra i Saci o i Parti saettatori, o se nei mari<br />
che dalle sette bocche intorbida il Nilo; o se mai camminerà di là dall’alte Alpi, per<br />
vedere i trofei di Cesare, il grande, la Gallia e il Reno, e, selvaggi e all’estremità del<br />
mondo, i Britanni: tutti questi paesi, qualunque ventura porterà il volere dei celesti,<br />
pronti a esplorare insieme con me: poche riportate alla mia donna non buone parole.<br />
Viva e stia bene coi suoi drudi, con quei trecento che abbraccia e si tiene tutt’insieme,<br />
e non uno ne ama sinceramente, ma a tutti in fila stanca le reni: e non si vòlti<br />
ad aspettare, come prima, il mio amore, che per colpa di lei è caduto, come sul margine<br />
del prato un fiore, dopo che l’ha, passando, toccato l’aratro.<br />
Carme LVIII (1-50; 87-107; 149-160)<br />
Un’elegia per Allio<br />
CARMINA DOCTA<br />
Il Carme è una splendida, sofferta elegia, dedicata da Catullo al suo caro amico Allio,<br />
anzi, a nostro avviso, esso è il capolavoro catulliano. Dal punto di vista tecnico, il Carme<br />
può essere definito una recusatio: il poeta afferma di non poter esaudire la richiesta avanzata<br />
da Allio, cioè di fargli il dono d’una sua poesia e di lasciare Verona per tornare a<br />
Roma. Ma, nel momento stesso in cui Catullo afferma di essere impossibilitato ad accontentare<br />
l’amico nella sua duplice richiesta, una almeno di esse riesce ad esaudire, componendo<br />
per lui questa straordinaria, splendida elegia. Catullo confessa ad Allio di essere<br />
anche lui preda di una terribile disperazione dalla quale non riesce più a risollevarsi: la<br />
morte precoce del fratello l’ha distrutto; con essa è come se tutta la sua casa, tutti i suoi<br />
affetti fossero andati distrutti. Ormai per il poeta la vita non ha più senso, egli ha scoperto<br />
il dolore vero, che l’umana esistenza può dare: davanti ad esso ogni delusione, amarezza,<br />
o dispiacere procurato da un amore infelice diventa poca cosa. Ora Catullo ha scoperto<br />
le radici stesse del dolore, ha scoperto e capito il male di vivere, quel male profondo<br />
che accomuna e affratella nel dolore tutte le umane creature: davanti ad esso, davanti<br />
alla morte, i tradimenti di Lesbia acquistano tutt’altra dimensione, diventano poca cosa<br />
e, più che procurare amarezza o dolore, arrecano tristezza. Questa donna, dunque, neanche<br />
davanti al dolore disperato di Catullo per la morte di suo fratello riesce a frenarsi, a<br />
commuoversi, a stare vicino al poeta o, almeno, a rispettarne il dolore, i sentimenti, la<br />
disperazione. No, non è una vergogna, come pensa Allio, che Lesbia a Roma continui a tradire<br />
Catullo, piuttosto, è un motivo di tristezza. Al pensiero del fratello morto, l’unico vero<br />
pensiero che ora assilla e tormenta il poeta, Catullo, ormai fuori di sé, dimentica tutto e<br />
tutti, intrecciando un improvviso, drammatico colloquio con l’estinto, all’interno della liri-
cap. IV - Gaio Valerio Catullo - Il poeta di Lesbia, il poeta dell’amore 79<br />
ca, con grande beneficio poetico per essa. Quest’elegia è un autentico capolavoro: nessuna<br />
più di essa infatti riesce a rendere così bene lo stato d’animo di chi è in preda all’angoscia<br />
e allo smarrimento e, nello stesso tempo, la fatica di improvvisare e trarre dall’animo<br />
motivi di vera, sofferta poesia. Una bella lezione di ars poetica, non v’è che dire, realizzata<br />
fornendo un esempio diretto di come e donde nasca un’autentica poesia. Il tutto,<br />
ottenuto intrecciando abilmente realtà e mito, motivo autobiografico e favola, fino a creare<br />
un nuovo e originalissimo modello di poesia. Allio è forse l’amico più caro di Catullo,<br />
quello che nei giorni felici del poeta ha favorito il suo amore per Lesbia mettendogli a disposizione<br />
una sua villetta poco distante da Roma. E quella casa, quei momenti lieti, il suo<br />
primo, emozionante incontro con Lesbia e, nello stesso tempo, il sogno d’amore svanito,<br />
fanno ricordare al poeta il mito di Protesilao e Laodamìa, i due sventurati coniugi, nella cui<br />
triste vicenda d’amore il poeta vede adombrata ormai anche quella che sarà la conclusione<br />
della sua penosa storia con Lesbia. (Metro: distico elegiaco).<br />
Quod mihi fortuna casuque oppressus acerbo<br />
conscriptum hoc lacrimis mittis epistolium,<br />
naufragum ut eiectum spumantibus aequoris undis<br />
sublêvem et a mortis limine restituam,<br />
5 quem neque sancta Venus molli requiescere somno<br />
desertum in lecto caelibe 112 perpetitur,<br />
nec veterum dulci scriptorum carmine Musae<br />
oblectant, cum mens anxia pervigîlat:<br />
id gratum est mihi, me quoniam tibi dicis amicum,<br />
10 muneraque et Musarum hinc petis et Veneris.<br />
Sed tibi ne mea sint ignota incommôda, mi Alli 113,<br />
neu me odisse putes hospitis officium,<br />
accîpe quis merser fortunae fluctibus ipse,<br />
ne amplius a misero dona beata petas.<br />
15 Tempore quo primum vestis mihi tradîta est 114 pura,<br />
iucundum cum aetas florida ver ageret,<br />
multa satis lusi 115: non est dea 116 nescia 117 nostri,<br />
quae dulcem curis miscet amaritiem;<br />
sed totum hoc studium luctu fraterna mihi mors<br />
20 abstulit. O misero frater adempte mihi,<br />
tua mea tu moriens fregisti commôda, frater,<br />
tecum una tota est nostra sepulta domus;<br />
omnia tecum una perierunt gaudia nostra,<br />
112. lecto caelibe: forse per la morte della<br />
moglie o per l’abbandono da parte dell’amante.<br />
113. Alli: Allio (o Manlio), uno degli amici più<br />
cari e fedeli di Catullo.<br />
114. vestis… pura: è la toga virile, la toga<br />
bianca concessa ai ragazzi allorché entravano nei<br />
diciotto anni. Quel giorno si faceva una grande<br />
festa e si aveva una grande cerimonia pubblica<br />
nel Foro, dove convenivano tutti i ragazzi che quel<br />
giorno compivano gli anni diventando maggiorenni.<br />
115. lusi: il verbo ludêre qui ha anche il significato<br />
di «dilettarsi di poesia», secondo il nuovo<br />
valore semantico acquistato con i poetae novi (cfr.<br />
la poesia come lusus, «gioco», «diletto dello spirito»).<br />
116. dea: è Venere, la dea dell’amore.<br />
117. non… nescia: un’efficacissima, intensa<br />
litote.
80 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
quae tuus in vita dulcis alebat amor:<br />
25 cuius ego interîtu tota de mente fugavi<br />
haec studia atque omnis delicias animi.<br />
Quare, quod 118 scribis «Veronae 119 turpe, Catulle,<br />
esse, quod hic quisquis de meliore nota<br />
frigida deserto tepefaxit 120 membra cubïli»,<br />
30 id, mi Alli, non est turpe, magis miserum 121 est.<br />
Ignosces igitur, si, quae mihi luctus adëmit,<br />
haec tibi non tribuo munera 122, cum nequeo.<br />
Nam, quod scriptorum non magna est copia 123 apud me,<br />
hoc fit, quod Romae vivimus: illa domus,<br />
35 illa mihi sedes, illic mea carpîtur aetas 124;<br />
huc una ex multis capsûla 125 me sequitur.<br />
Quod cum ita sit, nolim statuas nos mente maligna<br />
id facere aut animo non satis ingenuo,<br />
quod tibi non utriusque petenti copia posta est:<br />
40 ultro ego deferrem, copia siqua foret.<br />
Non possum reticëre, deae, qua me Allius in reiuvêrit aut quantis iuvêrit officiis 126.<br />
Nec fugiens saeclis obliviscentibus aetas<br />
illîus hoc caeca nocte tegat studium :<br />
45 sed dicam vobis, vos porro dicîte multis<br />
milibus, et facîte haec charta loquatur anus,<br />
milibus ut facile in vita noscatur ab ipsis<br />
notescatque magis mortuus atque magis;<br />
nec tenuem texens sublimis aranea telam<br />
50 in deserto Alli nomine opus faciat.<br />
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />
Nam tum Helênae raptu primores Argivorum<br />
coeperat ad sese Troia ciëre viros,<br />
Troia 127, nefas, commune sepulcrum Asiae Europaeque,<br />
90 Troia virum et virtutum omnium acerba cinis:<br />
quaene etiam nostro letum miserabile fratri<br />
attulit. Ei, misero frater adempte mihi!<br />
ei, misero fratri iucundum lumen ademptum,<br />
118. quod: dichiarativo, «il fatto che».<br />
119. Veronae: la città natale di Catullo dove<br />
spesso tornava a rifugiarsi nei momenti di tristezza<br />
o di dolore.<br />
120. quisquis… tepefaxit: per ragioni di opportunità<br />
didattica abbiamo qui rinunciato alla traduzione<br />
del Pighi che suona «c’è un amico di vecchia<br />
data che cerca di riscalducciare».<br />
121. miserum: anche qui ci siamo allontanati<br />
dalla traduzione del Pighi che ha «dolore».<br />
122. munera: qui, come già al v. 10, abbiamo<br />
sostituito con «doni» la traduzione del Pighi che<br />
ha «presenti».<br />
123. copia: letteralmente «abbondanza».<br />
124. illa mihi… aetas: notevolissima questa confessione<br />
catulliana sul suo amore per Roma, la<br />
città dov’è Lesbia, l’unica ragione della sua vita,<br />
colei tuttavia che gli dilania il cuore.<br />
125. capsûla: «cassettina»; un’altra testimonianza<br />
di quanto siano importanti per i poetae novi
i libri e lo studio, senza i quali non si possono produrre<br />
i carmina docta. Ma è pur vero che qui la<br />
mancanza di libri è addotta a pretesto da Catullo<br />
per giustificare la sua momentanea crisi d’ispirazione<br />
poetica.<br />
126. officiis: si riferisce in particolare alla villetta<br />
messa a disposizione di Catullo per favorire<br />
i suoi segreti incontri d’amore con Lesbia.<br />
127. Troia: Catullo lancia invettive contro Troia,<br />
cap. IV - Gaio Valerio Catullo - Il poeta di Lesbia, il poeta dell’amore 81<br />
tecum una tota est nostra sepulta domus,<br />
95 omnia tecum una perierunt gaudia nostra,<br />
quae tuus in vita dulcis alebat amor!<br />
Quem nunc tam longe non inter nota sepulcra<br />
nec prope cognatos compositum cineres,<br />
sed Troia, obscena 128 Troia, infelice sepultum<br />
100 detînet extremo terra aliena solo.<br />
Ad quam tum propêrans fertur cuncta undîque pubes<br />
Graeca penetralis deseruisse focos,<br />
ne Paris abducta gavïsus libera moecha 129<br />
otia pacato degêret in thalâmo.<br />
105 Quo tibi tum casu, pulcherrima Laudamïa,<br />
ereptum est vita dulcius atque anima<br />
coniugium . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />
Hoc tibi, quod potui, confectum carmine munus<br />
150 pro multis, Alli, redditur officiis,<br />
ne vestrum scabra tangat rubigine nomen<br />
haec atque illa dies atque alia atque alia.<br />
Huc addent divi quam plurima, quae Themis 130 olim<br />
antiquis solita est munera ferre piis:<br />
155 sitis felices, et tu simul et tua vita,<br />
et domus ipsi in qua lusîmus et domîna,<br />
et qui principio nobis terram dedit (aufert<br />
nunc), a quo sunt primo omnia nata bona,<br />
et longe ante omnis mihi quae me carior ipso est,<br />
160 lux mea, qua viva vivere dulce mihi est.<br />
perché il luogo gli ricorda la morte del fratello, ivi<br />
sepolto.<br />
128. obscena: «malaugurata», «maledetta»,<br />
«sinistra»; vedi sopra.<br />
129. abducta moecha: si riferisce ad Elena,<br />
rapita da Menelao.<br />
130. Themis: la dea della giustizia, che compensava<br />
con doni gli uomini virtuosi.
82 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
Sono tradotti da G.B. Pighi in: Il libro di Valerio Catullo e i frammenti dei «Poeti nuovi»,<br />
a cura di G.B. Pighi, Torino 1974, i seguenti Carmi: XI; XXXIX; XL; XLIII; LXVIII; LXXII; LXXVII;<br />
LXXXVII; XCII; CIX, rispettivamente alle pagg. 102-103; 156-157; 158-159; 164-165; 278;<br />
279, passim; 280; 281, passim; 282-283, passim; 284-285; 286-287, passim; 290-291;<br />
306-309; 332-333; 342-343; 376-377. La traduzione degli altri Carmi riportati nell’antologia<br />
è invece a cura dell’autore. Per tutti i Carmi prescelti il testo seguito è quello adottato<br />
dal Pighi.<br />
Che dalla sorte e dalla sventura oppresso anzi tempo, mi mandi, scritto con le<br />
lagrime, questo biglietto, perché te naufrago, sbattuto dal mare al lido tra le<br />
spume della risacca, io rialzi e dalla soglia della morte riconduca in salvo, ché<br />
l’inviolabile Venere il molle riposo del sonno a te, deserto, nel celibe letto, non<br />
più concede, e col dolce canto dei vecchi poeti le Muse non ti ricreano, quando<br />
l’anima s’angoscia nella lunga veglia: questo m’è caro, dacché tu mi chiami tuo<br />
amico e i doni delle Muse mi chiedi e di Venere. Ma perché a te non siano ignote<br />
le mie pene, Allio mio, e tu non creda ch’io abbia in uggia il mio dovere d’ospite,<br />
apprendi da quali flutti della sorte sono sommerso io stesso: che tu non<br />
voglia a un infelice chiedere doni felici.<br />
Nel tempo che avevo appena ricevuto la toga bianca, quando l’età fiorita passava<br />
la primavera sua bella, non pochi versi composi, d’amore: mi conosce<br />
bene la dea che dolcezza mesce nella passione e amarezza; ma il pensiero di<br />
queste cose, tutto, nel pianto per mio fratello, la morte m’ha rapito. Oh, fratello<br />
tolto a me infelice, tu a me, tu con la tua morte spezzasti la mia felicità, fratello,<br />
con te, con te, tutt’intera è sepolta la nostra famiglia; tutte con te, con te, sono<br />
finite le nostre gioie, cui tu, mentr’eri in vita, nutrivi e il tuo dolce amore: e io, alla<br />
tua dipartita, da tutta l’anima discacciai questi pensieri e ogni diletto dello spirito.<br />
Per questo, quanto a ciò che mi scrivi «A Verona è brutto, Catullo, restare, quando<br />
qui ogni giovane della migliore società è solito riscaldsare le fredde membra<br />
nel deserto letto», questo, Allio mio, non è brutto, no, è triste. Mi perdonerai dunque,<br />
se, poiché mi tolse di riceverli, non ti destìno questi doni: non sono più<br />
buono a nulla. E poi, di poeti, ce n’ho pochi con me: questo, perché vivo a<br />
Roma: là ho casa, là ho dimora, là si consuma la mia vita; qua, di molte, una<br />
sola cassettina di libri mi segue. Stando così le cose, non voglio che tu pensi a<br />
grettezza nel mio contegno, o ad animo poco sincero, se nessuna delle due<br />
cose che chiedi, t’è messa innanzi: per me, t’esibirei anche di più, se solo mi<br />
fosse possibile.<br />
Ma non posso tacere, o dee, in qual frangente Allio m’aiutò e con quanti servigi<br />
m’aiutò. E non, fuggendo nei secoli obliosi, il tempo copra di cieca notte questo<br />
affetto di lui: ma io lo dirò a voi, via via ditelo voi a mille e a mille, e fate che questa<br />
carta parli, fatta vecchia, e da quei mille e mille facilmente, mentr’è in vita,<br />
sia conosciuto, e cresca in fama sempre più, dopo morte, e sempre più; e non<br />
il ragno, che tesse in alto la tenue tela, sul nome d’Allio, deserto, faccia il suo<br />
lavoro.
cap. IV - Gaio Valerio Catullo - Il poeta di Lesbia, il poeta dell’amore 83<br />
Ché allora, per il ratto d’Elena, i primi eroi degli Argivi cominciava Troia a chiamare<br />
a sé, Troia, la maledetta, comune tomba d’Asia e d’Europa, Troia, d’eroi e<br />
d’ogni eroismo immaturo rogo: però che morte compassionevole anche al mio<br />
fratello ha portato. Ahi! Fratello tolto a me infelice! Ahi, infelice fratello, a cui fu<br />
tolta la lieta luce, con te, con te, tutt’intera è sepolta la nostra famiglia, tutte con<br />
te, con te, sono finite le nostre gioie, cui tu, mentr’eri in vita, nutrivi e il tuo dolce<br />
amore! E lui ora, così lontano, non tra note tombe né composto presso cognate<br />
ceneri, ma Troia, la malaugurata Troia, nella sua landa, sepolto lo serra, terra<br />
straniera, laggiù.<br />
Dove allora s’affrettava, è fama, e tutta da ogni parte la gioventù greca abbandonava<br />
i domestici focolari, perché Paride, esultando dell’inviolata adultera, indisturbati<br />
ozi non trascorresse in pacifico talamo. Per questa avventura allora, o<br />
bellissima Laodamìa, ti fu strappato, più dolce della vita e del respiro, il compagno.<br />
Questo presente, così come ho potuto, fatto di canto, in cambio di molti servigi,<br />
Allio, ti si rende, perché con la scabra ruggine non tocchi il vostro nome questo<br />
giorno e quello e un altro ancora e un altro. V’aggiungeranno gli dèi, in gran<br />
numero, i presenti che un tempo Themis soleva portare agli antichi giusti. Siate<br />
avventurati, e tu e insieme quella ch’è la tua vita, e la casa in cui siamo stati felici,<br />
e la padrona di quella casa, e chi sul principio mi trasse in salvo a terra (me<br />
ne scaccia ora), autore primo d’ogni mio bene, e molto innanzi a tutti colei che<br />
m’è più cara di me, la mia luce, che, finché vive, mi fa dolce la vita.
Pagine critiche Pagine critiche Pagine critiche Pagine critiche Pagine critiche<br />
84 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
Catullo poeta rivoluzionario<br />
Non c’è che il grande secolo della Francia, l’ottocento, che possa dare un’idea di<br />
quello che è stata Roma nel cuore del I secolo a.C., e di quei decenni Catullo è, col<br />
Cicerone, soprattutto delle lettere ad Attico, il testimonio più ricco e più vivo. Poeta<br />
rivoluzionario, anche lui, come artista e come uomo, ma nel quale, se è lecito continuare<br />
il confronto, ritrovi, ad un tempo, Baudelaire e Mallarmé, Verlaine e Apollinaire,<br />
meno torbido e complicato dei primi, capace, come troppo spesso non lo sono gli altri,<br />
di essere fresco e spontaneo, facile nei ritmi, nelle parole e nelle immagini, senza scivolare<br />
nella canzonetta. Perché questo alessandrino che ha osato, per primo, far diventare<br />
poesia, monumentalizzandola, la cronaca della propria vita, del proprio amore,<br />
che, precorrendo anche in questo i tempi, ha avuto, persino nel ritmo, così vivo ed<br />
intenso, il senso dell’esotico, fosse la barbara Frigia di Atti o la elegantissima, profumata<br />
Alessandria di Berenice, aperto alle «impressioni» della realtà, come mai, o quasi<br />
mai, i poeti dell’Antologia, e più profondamente sensibile del Foscolo alla verità ed<br />
attualità del mito, mediatore geniale fra l’epillio callimacheo e l’epillio romantico, questo<br />
audace, modernissimo modo di rivivere i sentimenti e le fantasie del passato o trasfigurare<br />
il presente – è anche il poeta che, nonostante la ricchezza delle esperienze,<br />
la fortunata e feconda varietà dei tentativi, i complessi e profondi fermenti del suo<br />
alessandrinismo, ha creato per quindici secoli la forma definitiva, classica della poesia<br />
religiosa latina, ha raggiunto, per miracolo d’imitazione congeniale, in taluni distici, la<br />
sobrietà dell’elegia ionica, negli epitalami, soprattutto, la levità e la trasparenza di<br />
Saffo.<br />
La stessa storia del suo amore, che si è anche troppo facili e corrivi a narrare,<br />
diventa in questo ch’è ritenuto un grandissimo «fanciullo», poeta dell’attimo, la storia<br />
di un progressivo approfondimento spirituale, che è variare, oltre che di toni, di prospettive,<br />
di ritmi ripresi e rinnovati, di forme letterarie create o riscoperte, per il prossimo<br />
e lontano avvenire come l’elegia soggettiva o l’ode. Puella, Lesbia, moecha, e<br />
domina, mea diva, era, lux mea, come diverrà nella 68 a elegia, o mea mulier, mea<br />
vita, semplicemente e disperatamente illa, l’innominata, come nell’ultima parte del<br />
libro di Catullo: anche i termini con cui si rivolge a Clodia sono, nella loro semplicità,<br />
nel loro aspetto, tante volte, quasi di formula convenzionale, un segno di questo variare,<br />
di questo approfondimento, e, alla fine, di quello scarnificarsi del sentimento e dell’espressione<br />
che sembra scoprire, nel poeta, che cominciò alessandrino, nude e tremanti,<br />
le radici stesse della vita e del dolore.<br />
L’influenza di Archiloco sulla poesia catulliana<br />
F. ARNALDI, Antologia della poesia latina, I,<br />
Napoli 1974, 251-252<br />
La «rivoluzione catulliana» avviene come è noto sotto il segno di Callimaco mediato<br />
dall’esperienza luciliana: «Lucilio anticipa, nel clima scipionico, la critica neoterica…»;<br />
i principi fondamentali della «poesia nuova» (doctrina, labor, tenuitas) sono a più riprese<br />
sottolineati già nei frammenti di Lucilio, e ripetono i canoni della poetica callimachea.<br />
Catullo, però, conosce anche altri archetipi culturali, che emergono da lontananze più<br />
profonde, dalla lirica greca arcaica: si è già accennato a Saffo, alla sua basilare importanza<br />
come punto d’avvio e di riferimento di tutta l’esperienza catulliana; ma l’intonazione<br />
prevalente, nei polimetri e negli epigrammi è archilochea. Felicemente il
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cap. IV - Gaio Valerio Catullo - Il poeta di Lesbia, il poeta dell’amore 85<br />
wilamowitz definì Catullo non il Callimaco, ma l’Archiloco di Roma, e ribadì il Cèbe:<br />
«Catullo segue le strade di Archiloco e di Ipponatte; le sue trivialità non significano<br />
poesia popolare né tanto meno poesia destinata al popolo»; non fu l’Orazio degli Epodi<br />
a «rinnovare» veramente Archiloco, ma fu Catullo; la Roma della crisi della repubblica<br />
consentiva, nella quotidiana asprezza della lotta, nell’imperversare degli attacchi diffamatori,<br />
una libertà assoluta di chiamare le cose (e soprattutto le persone) con il proprio<br />
nome; l’invettiva non era ancora esercitazione letteraria. Catullo pessimus poeta<br />
marchia d’infamia i padroni di Roma, e non un qualsiasi scolorito Mevio. In questo<br />
senso è lecito, forse, un paradosso: il poeta che una retorica neppure troppo remota<br />
salutava come il «primo dei lirici moderni», può essere invece considerato l’ultimo poeta<br />
lirico del mondo antico; naturalmente non intonava i suoi canti con la lira, ma li destinava<br />
(come Saffo, come Alceo, come Archiloco) ad una cerchia ben definita; non più<br />
coinvolta – come in Grecia – nella lotta politica, non più aggregata da un culto comune,<br />
la sodalitas è tuttavia ben salda nella difesa della propria ideologia etico-letteraria, nel<br />
proprio senso di ‘élite’, pronta a riconoscere qualunque allusione polemica, tenuta<br />
insieme da rapporti d’amore, di reciproca fides, di urbanitas, di lepos, vincolata dall’obbligo<br />
morale dei munera poetici da scambiarsi nelle occasioni più frivole come in<br />
quelle più intense, impegnata ad atteggiare lo stile dei vari munera secondo il variare<br />
delle circostanze 6; la «lirica» di Catullo non è silenziosa meditazione personale destinata<br />
ad un pubblico di lettori sconosciuto e indefinito: è lirica «su» qualcuno, «contro»<br />
qualcuno da riferire a qualcuno, da fare immediatamente conoscere. Nei polimetri la<br />
presenza di Archiloco è particolarmente assidua, segno dissimulato e ostentato di doctrina,<br />
anche nei punti dove più spontaneo sembra l’«attacco», più improvvisato ed<br />
abbandonato il lusus.<br />
Al di là dei riscontri puntuali, le nugae della prima parte del liber e gli epigrammi<br />
della terza parte mal si comprenderebbero al di fuori dello psogos archilocheo, mal si<br />
comprenderebbero dimenticando che Catullo condivide con l’antico poeta l’ideologia<br />
del malum carmen, della potenza fascinatrice dell’insulto.<br />
Il Licambe di Archiloco rivive nel liber sotto i vari nomi: Cesare, Pompeo, Mamurra,<br />
Vatinio, Furio, Aurelio, Emilio, Vettio, Cominio, Gellio, Ameana, la stessa Lesbia.<br />
F. CAVIGLIA, in AA.VV., Dizionario degli scrittori greci e latini, I,<br />
s.v. Catullo, 13, 427-428, Milano 1987.<br />
Nugae e carmina docta: l’unità della poesia di Catullo<br />
Appare dunque arbitrario… operare una distinzione, frutto di impressionismo romantico,<br />
fra il Catullo delle nugae, dei brevi carmi di amicizia, di amore, di gelosia e di<br />
rivalità, ed il Catullo dei carmina docta, l’elaborato artefice che entra in competizione<br />
con la più faticosa e difficile poesia alessandrina. L’unità complessiva della poesia di<br />
Catullo, che fa agevolmente superare la fragile ed immotivata dicotomia fra un «poeta<br />
della vita» (Dichter des Lebens, per usare una terminologia cara alla tradizione critica<br />
tedesca) e un «poeta della scuola» (Dichter der Schule), sussiste al di là delle pur<br />
vistose differenze interne, che sono più che altro di natura tecnica, come aggancio a<br />
generi e a punti di riferimento diversi: in una parola, a diverse auctoritates.<br />
Sarebbe semplicemente assurdo forzare la mano al punto di cogliere e sottolineare<br />
una matrice autobiografica esclusivamente nei componimenti di impostazione<br />
più leggera, riservando alle poesie dotte un grado di esperienza diverso, un tono e un
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86 L’età cesariana (78-44 a.C.)<br />
timbro distaccati e «disinteressati». La fondamentale elegia 68, con la sua organica e<br />
compatta fusione fra mito ed esperienza diretta, fra tournures culte e rapidi ritorni<br />
della memoria (della realtà, della vita), basterebbe da sola a smentire una suddivisione<br />
così superficiale ed incauta. Non mancano altre prove, tutte di peso determinante:<br />
la versione della Chioma di Berenice, come si è visto, è accompagnata da una<br />
dedicatoria (65) in cui riemerge la stessa sintesi, si propone la stessa compresenza.<br />
Anche i due epilli che dovrebbero contrassegnare la maniera più scopertamente dotta<br />
del poeta (l’Attis, 63, e le Nozze di Peleo e Teti, 64), contengono una sostanza di medesimezza<br />
interiore che li qualifica immediatamente: in Attis sarà la deprecatio alla Dea<br />
perché storni dal capo di Catullo la maledizione che ha colpito il giovane efebo; nelle<br />
Nozze di Peleo e Teti la sconsolata visione di un mondo corrotto dove gli dei più non<br />
tollerano di mischiarsi ai mortali, di essere toccati – e quasi contaminati – dalla luce<br />
del giorno (e sarà riscontrabile un’eco vagamente epicurea).<br />
C’è in Catullo, e qui dovrà forse essere colta la chiave unitaria della sua complessa<br />
figura, una solidissima consapevolezza del proprio ruolo di poeta: un impegno<br />
poetico che diventa assorbente ed univoco, ragione estrema di vita. Sullo sfondo, la<br />
delicata situazione, il sempre più precario stato civile, di un’intelligencija che si sentiva<br />
sempre più estranea ed emarginata di fronte ai processi involutivi di un’epoca che,<br />
nel suo apparente splendore, già preludeva – e già in parte aveva sperimentato – il<br />
deteriorarsi di un modo di vita, la crisi di una civiltà.<br />
L’impegno poetico diventa così per Catullo sostitutivo di ogni altro impegno: in una<br />
osmosi fra vita e poesia, in cui situazioni, impressioni, momenti anche di gracile realismo<br />
aneddotico, si fissano in piena dignità nella poesia. L’officina di Catullo, così<br />
aperta e sensibile anche ai più sporadici episodi, alle più minute ed insignificanti registrazioni<br />
di eventi privati, è la vita stessa che si promulga nella poesia o, se si preferisce,<br />
la poesia che assume su di sé, in prima persona, il carico della vita. Non possiamo<br />
pensare ad un Catullo uomo al di fuori della sua poesia: essa, ed essa sola, ci<br />
consegna Catullo. Anche il nuovo dettame di poetica, il multum invigilare lucernis, le<br />
lunghe veglie al tavolino (le «sudate carte», dirà poi Leopardi), sono vita: sono una vita<br />
che si riscatta, che solo così, con l’esercizio poetico, riesce a trovare se stessa, la propria<br />
identità e ragione, ed evita di congelarsi in una umiliante, degradante routine.<br />
Quanto di questo atteggiamento si possa far risalire ad una specifica attitudine<br />
personale, e quanto invece sia dovuto alla prassi vigente nel clima eletto dei giovani<br />
poeti in vista nella Roma di Catullo, è impossibile precisare; e forse la storia, lasciandoci<br />
solo l’opera di Catullo, ha già implicitamente risolto un’aporia che potrebbe sembrare<br />
paralizzante. È altrettanto vero però che la fisionomia di Catullo è quella di un<br />
poeta pienamente, incondizionatamente inserito nei riti intellettuali e nelle convenzioni<br />
culturali della sua epoca, oltreché nelle consuetudini di vita di una Roma sempre più<br />
eterogenea e cosmopolita.<br />
L’atticismo nel campo dell’oratoria, il neoterismo in sede lirica, la diffusione dell’epicureismo<br />
in sede filosofica sono tre momenti – se si vuole, tre dati convergenti –<br />
di un clima nuovo che si instaura; sono i contorni ideali della planimetria di un’età che<br />
si apre al nuovo, che sperimenta in sé, nelle sue personalità più vivaci ed aperte, una<br />
nuova distanza dal passato e un nuovo spessore nel presente.<br />
Solo così, solo inserendo Catullo nell’epoca che fu la sua, solcata di anticipazioni<br />
e di rimpianti, di ardite avventure intellettuali e di delusioni esistenziali assolute, si<br />
potrà far piazza pulita di tutto lo schiocchezzaio romantico e post-romantico sulla «fanciullezza»<br />
di Catullo, sulla sua ingenuità, sulla sua fragile e insieme profonda sensibilità.<br />
Parole, flatus vocis. Un Catullo ridotto in questi termini non sarebbe più Catullo,<br />
sarebbe la stucchevole copia di un piccolo eroe impotente e larmoyant che si muove<br />
goffamente sul palcoscenico borghese di un teatrino borghese di provincia: per la facile<br />
commozione delle dame.<br />
E la storia di Catullo? L’immagine familiare di questo ragazzo morto in un alone
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cap. IV - Gaio Valerio Catullo - Il poeta di Lesbia, il poeta dell’amore 87<br />
di adolescenza perenne e mai superata? Ripeness is all: la maturità è tutto. Ma anche<br />
senza la maturità, fuggendo e sottraendosi alla maturità, Catullo ha attinto una misura,<br />
un ritmo, uno stile. Catullo che si trascina per le bettole di Roma e recita i suoi versi<br />
ai ladri e alle prostitute: non è un’immagine di oleografia o, se lo è, è giustificata; dopo<br />
duemila anni Esenin si trascinerà – e lo dirà esplicitamente – per i vicoli tortuosi della<br />
vecchia Mosca assonnata, verso altre bettole, altri ladri e prostitute. Nei ritratti fotografici<br />
di Esenin che oggi i diciottenni moscoviti tengono sui loro tavoli di lavoro c’è<br />
un’aria di arguzia, di sfida e di orgoglio; ed insieme di delusione, di instabilità: il sentirsi<br />
solo e diverso, il sentirsi «immaturo». Sono tratti che attaglierebbero anche a<br />
Catullo. Ma forse, anzi quasi certamente, anche questa è solo una sovrapposizione letteraria:<br />
il libro di Catullo veronese è aperto e chiede di essere letto, giungendo da<br />
tanto lontano, per quello che è, per ciò che contiene come messaggio, senza distinguo<br />
e senza miti posticci. CATULLO, Canti, trad. di S. Quasimodo, introd. di A. Giordano, pagg.<br />
XL-XLIII, Milano 1973.