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Corso colon 2005.indd

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MATERIALE DIDATTICO<br />

E INFORMATIVO


Il corso è rivolto a Chirurghi con poca esperienza personale di chirurgia colorettale laparoscopica<br />

che:<br />

- Desiderino iniziare questo tipo di, chirurgia presso la loro istituzione;<br />

- Desiderino verificare la loro esperienza per incrementare e standardizzare l’attività;<br />

- Desiderino riprendere la chirurgia laparoscopica colo-rettale che hanno abbandonato.<br />

SCOPO DEL CORSO E METODO<br />

<strong>Corso</strong> per lo sviluppo del learning in chirurrgia laparoscopica avanzata<br />

Insegnamento della chirurgia laparoscopica colorettale con il contatto diretto, interventi chirurgici<br />

e teleconferenza<br />

Programma di contatti successivi con garanzia di assistenza futura di tutoraggio in sala operatoria<br />

nella sede dell’allievo, di supporto teorico diretto ed in teleconferenza.<br />

Insegnamento di un argomento importante ma strettamente definito (anatomia e tecnica chirurgica<br />

laproscopica del <strong>colon</strong> )<br />

Scelta di docenti qualificati nel fare e nell’insegnare.<br />

Rapporto stretto tra docenti ed iscritti ( pochi iscritti e pochi docenti).<br />

Esposizione completa e semplice dell’argomento in oggetto 8 lezione, non relazione).<br />

Verifica immediata della percezione dell’insegnamento.<br />

Interventi chirurgici in diretta commentati dagli stessi docenti della parte teorica.<br />

Puntualizzazioni successive di anatomia e chirurgia condotte sulle registrazioni degli interventi del<br />

mattino con i docenti ed i chirurghi in collegamento.<br />

Verifica finale del livello di apprendimento<br />

Docenti ed Operatori<br />

P. Buccianti, Pisa<br />

A. Cagnazzo, Genova<br />

F. Corcione, Napoli<br />

P.C. Giulianotti, Grosseto<br />

C. Huscher, Roma<br />

G. lotti, Alessandria<br />

G. Melotti, Modena<br />

G. Palazzini, Roma<br />

U. Parini, Aosta<br />

G. Pignata, Monfalcone (GO)<br />

R. Pugliese, Milano<br />

F. Ruotolo, Roma<br />

C. A.Sartori, Treviso<br />

Giuseppe Spinoglio, Alessandria


ANATOMIA DEL COLON E DEL RETTO<br />

F. Ruotolo<br />

COLON<br />

In anatomia chirurgica la suddivisione del <strong>colon</strong> (da êùëýù – io arresto) si diversifica da<br />

quella propria dell’anatomia descrittiva e topografica e si basa sull’evoluzione<br />

embriologica dell’intestino e sulla distribuzione dei tronchi arteriosi mesenterici ad essa<br />

strettamente correlata.<br />

Si distinguono, pertanto, due porzioni:<br />

- <strong>colon</strong> destro, costituito dal <strong>colon</strong> destro propriamente detto (cieco e <strong>colon</strong><br />

ascendente) e dal <strong>colon</strong> trasverso nei suoi primi due terzi. Esso appartiene all’intestino<br />

medio primitivo o ansa ombelicale ed è irrorato dall’arteria mesenterica superiore (AMS);<br />

- <strong>colon</strong> sinistro, comprendente il <strong>colon</strong> trasverso rimanente, il <strong>colon</strong> discendente ed il<br />

<strong>colon</strong> íleopelvico (o sígma). Esso appartiene all’intestino posteriore o terminale primitivo<br />

ed è irrorato dall’arteria mesenterica inferiore (AMI).<br />

CENNI EMBRIOLOGICI<br />

In chirurgia colica l’aforisma che recita “dell’atto operatorio, l’anatomia è la strada,<br />

illuminata dall’embriologia” si rivela assolutamente vero.<br />

La luce è data, come vedremo, dai piani embrionali di accollamento delle varie porzioni<br />

intestinali sui quali si fondano le manovre di derotazione intestinale proposte da Cattell,<br />

Valdoni e Couinaud.<br />

L’intestino primitivo è rettilineo, munito di un meso sagittale che contiene il tronco celiaco<br />

(TC) e le arterie mesenteriche superiore (AMS) ed inferiore (AMI). Lo sviluppo dei visceri<br />

si integra strettamente con quello del relativo peritoneo e lo sviluppo di entrambi dipende<br />

dall’evoluzione della relativa vascolarizzazione tanto che il TC, l’AMS e l’AMI vengono<br />

denominati vasi direttivi del peritoneo.<br />

L’AMS e il condotto vitellino costituiscono il mozzo attorno al quale gira, in senso<br />

antiorario, come una ruota, l’ansa intestinale ombelicale o intestino medio. La torsione<br />

dell’ansa intestinale è contemporanea al suo accrescimento e alla sua differenziazione in<br />

duodeno, digiuno, ileo e <strong>colon</strong>.<br />

Processi di accollamento determinano la disposizione definitiva delle varie porzioni<br />

intestinali.<br />

Si formano in tal modo piani di clivaggio, privi di vasi e di nervi, interposti a organi e visceri<br />

del tutto indipendenti. L’interposizione è rappresentata dalle fasce che soppannano il<br />

retroperitoneo.<br />

Fascia di Toldt: essa risulta dal processo di coalescenza tra mesenterio primordiale del<br />

<strong>colon</strong> e foglietto peritoneale parietale posteriore secondo lo schema seguente:<br />

a) <strong>colon</strong> prima di formare l’ansa e suo mesenterio primitivo: il <strong>colon</strong>, sospeso<br />

liberamente nella cavità addominale, è unito alla <strong>colon</strong>na vertebrale da una lunga plica<br />

penitoneale, il mesenterio primitivo. Questa piega si compone di due foglietti, l’uno destro<br />

e l’altro sinistro; i due foglietti giungendo alla <strong>colon</strong>na si separano per tappezzare sui due<br />

lati la parete addorminale posteriore e costituire il peritoneo parietale primitivo;<br />

b) <strong>colon</strong> addossato alla faccia anteriore del rene: il <strong>colon</strong>, dopo aver formato l’ansa, si<br />

è addossato alla faccia anteriore del rene, e quest’ultimo è ora coperto da tre foglietti<br />

peritoneali, i quali, procedendo da dietro in avanti, sono il foglietto parietale primitivo, il<br />

foglietto sinistro del mesenterio primitivo, il foglietto destro di questo stesso mesenterio;<br />

1


c) foglietto sinistro del mesenterio che si è fuso con il foglietto prerenale primitivo per<br />

formare il foglietto di Toldt: i due primi foglietti si fondono e scompaiono come foglietti<br />

sierosi restando in loro luogo una semplice lamina connettiva, la lamina di Toldt.<br />

Il terzo foglietto, il più superficiale, l’antico foglietto destro del mesenterio primitivo,<br />

persiste e costituisce il peritoneo parietale defìnitivo.<br />

Fascia di Gerota<br />

Rappresenta il foglietto prerenale della fascia renale: si estende dapprima sulla faccia<br />

anteriore del rene che ricopre in tutta la sua estensione; poi passa dinanzi all’ilo renale e<br />

ai grossi vasi prevertebrali (vena cava inferiore e aorta) e viene sulla linea mediana a<br />

fondersi con quello del lato opposto. Questo foglietto è più sottile di quello retrorenale di<br />

Zuckerkandl, ma in corrispondenza del <strong>colon</strong> riceve un rinforzo da una lamina connettivale<br />

speciale, il foglietto di Toldt che risulta dalla coalescenza del mesenterio primitivo del<br />

<strong>colon</strong> con il peritoneo parietale primitivo.<br />

Il foglietto rinforzato dalla fascia prerenale è più esteso in altezza a sinistra che a destra,<br />

perché il <strong>colon</strong> discendente è in rapporto con i due terzi della faccia anteriore del rene<br />

sinistro, mentre il rene destro è ricoperto dal <strong>colon</strong> ascendente solo sulla parte inferiore<br />

della sua faccia anteriore.<br />

Ciò premesso la descrizione che segue si baserà ampiamente anche sui dati<br />

dell’anatomia topografica.<br />

CONFORMAZIONE ESTERNA E COSTITUZIONE ANATOMICA DEL COLON<br />

Il <strong>colon</strong> fa seguito al tenue e a livello della terza vertebra sacrale si continua con l’intestino<br />

retto. La sua lunghezza varia da 140 a 180 cm. ( 25-35 per l’ascendente, 50-60 per il<br />

trasverso, 25-35 per il discendente, 45-55 per il sigma). Il suo calibro diminuisce<br />

progressivamente dal cieco al sigma passando da 7-8 cm. a 2,5-3,5 cm. La<br />

conformazione esterna del <strong>colon</strong> presenta alcune caratteristiche: tenie, benderelle<br />

muscolari longitudinali, larghe circa 1 cm, che in numero di tre originano alla base<br />

dell’appendice cecale e percorrono senza interruzione la parete intestinale. Secondo la<br />

loro situazione si distinguono in anteriore, taenia omentalis, postero-mediale, taenia libera,<br />

e postero-laterale, taenia mesocolica. A livello dei <strong>colon</strong> pelvico esse si riducono a due;<br />

gibbosità, solchi e haustre: la parete intestinale negli intervalli tra le tenie è come<br />

increspata in maniera da presentare, nella superficie interna, tasche emisferiche (haustre)<br />

separate da pieghe falciformi (pieghe semilunari), che sono perpendicolarì all’asse<br />

dell’intestino e sporgono in cavità.<br />

Sulla superficie esterna alle tasche corrispondono gibbosità, e alle pieghe corrispondono<br />

solchi.<br />

Se le tenie vengono asportate la descritta disposizione sparisce e l’intestino diventa<br />

regolarmente cilindrico;<br />

appendici epiploiche, situate lungo le tenie e costituite da prolungamenti peritoneali pieni<br />

di grasso, pertanto particolarmente sviluppate nei soggetti obesi.<br />

Il <strong>colon</strong> si compone di quattro tuniche concentriche, sovrapposte nello stesso ordine di<br />

quelle dell’intestino tenue e che procedendo dall’esterno all’interno sono:<br />

tunica sierosa o peritoneale, che riveste in maniera pressoché completa il cieco, il <strong>colon</strong><br />

trasverso e l’ileo-pelvico, e incompleta il <strong>colon</strong> ascendente, il discendente e gli angoli colici<br />

contribuendo così a definire le porzioni mobili e quelle fisse del <strong>colon</strong>;<br />

tunica muscolare, composta da uno strato longitudinale esterno di cellule muscolari lisce<br />

che si raggruppano in tre strisce nastriformi a costituire le tenie e da uno strato circolare<br />

profondo che abbraccia tutta la circonferenza del <strong>colon</strong> in un piano continuo. Tra i due<br />

strati muscolari è situato il plesso mioenterico di Auerbach;<br />

2


tunica sottomucosa, costituita da fasci di tessuto connettivo lasso intrecciantisi in tutti i<br />

sensi e a cui si aggiunge un certo numero di fibre elastiche.<br />

In essa è situato il plesso sottomucoso di Meissner;<br />

tunica mucosa, costituita da epitelio cilindrico monostratificato intercalato da cellule<br />

caliciformi da un corion mucoso ricco di infiltrazioni linfoidi (tessuto reticolato) e la cui<br />

parte pìù profonda è occupata dalla muscolaris mucosae, ed infine da numerose<br />

ghiandole intestinali (stratum glandulosum).<br />

CIECO<br />

Il cieco con il processo vermiforme (apparato cecale) è la porzione iniziale dell’intestino<br />

crasso, quella cìoè in cui si apre l’intestino tenue mesenteriale. Esso comprende tutta la<br />

porzione dell’intestino crasso situata inferiormente ad un piano trasversale condotto<br />

immediatamente sopra la valvola del <strong>colon</strong> (valvola ileocecale).<br />

Il cieco ha la forma di un diverticolo chiuso o cul di sacco, posto di regola nella fossa iliaca<br />

destra e mantenuto in posizione da due pieghe peritoneali (ligamenti caeci di Tuffier).<br />

Malgrado questi legamenti esso si muove con molta facilità essendo circondato dal<br />

peritoneo in tutta la sua periferia.<br />

Solo raramente il cieco è fisso a causa di aderenze con il peritoneo parietale come<br />

avviene, ad esempio, in presenza della membrana paracolica di Jackson.<br />

Esso è diretto obliquamente in alto, a destra e indietro, e fa perciò angolo con il <strong>colon</strong> che<br />

sale verticalmente e con il quale si continua senza limiti anatomici precisi anche se tra le<br />

due porzioni è riconoscibile un ingrossamento della tonaca muscolare a fibre circolari<br />

(sfintere cecocolico).<br />

Il cieco con la sua faccia anteriore corrisponde alla parete addominale anteriore; con la<br />

faccia posteriore riposa sull’aponeurosi lombo-iliaca che la separa dal muscolo psoasiliaco;<br />

lateralmente, seguendo l’angolo tra la parete addominale e la fossa iliaca, arriva<br />

fino alla spina iliaca anterior-superiore; medialmente costeggia il margine mediale del<br />

muscolo psoas e i vasi iliaci esterni.<br />

L’ampolla cecale, nella sua superficie esterna, presenta tre tenie muscolari che non<br />

originano nel punto più declive ma in quello ove si impianta il processo vermiforme e<br />

quindi si allontanano le une dalle altre per raggiungere la propria disposizione.<br />

La superficie interna del cieco presenta sulla parete sinistra e alquanto indietro la valvola<br />

del <strong>colon</strong> o ileocecale (valvola del Bauhin o barriera degli speziali). Essa è prodotta<br />

dall’invaginazione dell’ileo (ad eccezione delle fibre muscolari longitudinali) nel cieco e ha<br />

la funzione di permettere il libero passaggìo delle materie solide, liquide e gassose<br />

dall’intestino tenue nel crasso e di opporsi al refluire di queste sostanze dal crasso<br />

nell’intestino tenue.<br />

Inferiormente alla valvola, tra questa ed il fondo del cieco, si situa l’orifizio, del processo<br />

vermiforme che rappresenta la parte inferiore non sviluppata del cieco primordiale.<br />

I rapporti dell’appendice variano secondo la sua situazione rispetto al cieco, cioè secondo<br />

che essa sia discendente, ascendente, mediale o laterale.<br />

Il peritoneo circonda tutto il processo vermiforme e in corrispondenza del suo margine<br />

superiore o sinistro forma un vero meso (mesenteriolo) che lo connette al cieco e alla<br />

porzione terminale del mesenterio ileale.<br />

Il mesenteriolo contiene i vasi appendicolari e talora, nella donna, è unito agli organi<br />

endopelvici da una piccola piega (legamento appendicolo-ovarico di Clado).<br />

3


Fossette o recessi ileocecali<br />

La sierosa peritoneale, passando dall’intestino tenue mesenteriale sul cieco, forma due<br />

pliche speciali le quali determinano la comparsa di due recessi: la fossetta ileoceale<br />

superiore e la fossetta ileocecale inferiore. Oltre alla due fossette, che sono costanti,<br />

talora tra la faccia posteriore del cieco e la fossa iliaca si trova il recesso retrocecale che,<br />

come le fossette precedenti, può essere sede di ernie interne (ernie paracecali).<br />

COLON ASCENDENTE ED ANGOLO EPATICO<br />

Il <strong>colon</strong> ascendente occupa la fossa lombare destra (<strong>colon</strong> lombare destro) e, talvolta, la<br />

parte superiore della fossa iliaca destra. Esso è quasi verticale con leggera obliquità<br />

indietro, cosi che la sua estremità superiore è situata più profondamente dell’inferiore. Dal<br />

cieco si estende fino alla faccia inferiore del fegato, ove si piega ad angolo ora acuto, ora<br />

retto, dando luogo alla flessura destra del <strong>colon</strong>, per formare in seguito il <strong>colon</strong> trasverso.<br />

Il <strong>colon</strong> ascendente è tenuto in posizione dal peritoneo che lo mantiene applicato contro la<br />

parete addominale posteriore. La coalescenza del meso<strong>colon</strong> ascendente con il peritoneo<br />

parietale posteriore genera la fascia di Toldt del lato destro che separa pertanto il <strong>colon</strong>meso<strong>colon</strong><br />

ascendente dagli organi retroperitoneali: il muscolo quadrato dei lombi, il polo<br />

inferiore del rene destro, uretere e i vasi gonadici omolaterali.<br />

Utilìzzando questo piano di clivaggio per la mobilizzazione del <strong>colon</strong>-meso<strong>colon</strong> vengono<br />

rispettati sia i vasi colici, che rimangono, anteriori, sia le strutture retroperitoneali, che<br />

rimangono posteriori e coperte dalla fascia di Gerota.<br />

L’accollamento del <strong>colon</strong> ascendente alla parete addominale posteriore è segnato dalla<br />

linea bianca di Toldt; può avvenire che tale coalescenza, sia lungo il <strong>colon</strong> ascendente<br />

che discendente, sia incompleta con la formazione di recessi peritoneali (recessi<br />

paracolici di Toldt) possibile sede di ernia interna (ernia mesocolica di Cooper e Peacock).<br />

La flessura destra del <strong>colon</strong> è posta ordinariamente nell’ipocondrio destro davanti al rene<br />

destro e alla porzione discendente del duodeno, al di sotto e al di dietro del lobo destro<br />

del fegato su cui produce la sua impronta (impressio colica).<br />

L’angolo epatico è tenuto in sede dal peritoneo e da alcune pliche sierose incostanti che si<br />

inseriscono sull’angolo stesso: legamento epato-colico, legamento cistico-colico,<br />

legamento reno-colico e legamento freno-colíco destro o sustentaculum hepatis<br />

(aderenza del margine del meso<strong>colon</strong> trasverso o del margine del grande omento alla<br />

parete laterale dell’addome).<br />

COLON TRASVERSO<br />

Si porta dall’ipocondrio destro al sinistro con decorso alquanto obliquo dal basso in alto e<br />

da destra a sinistra, descrivendo una curva a concavità posteriore (arco del <strong>colon</strong>). In alto<br />

corrisponde successivamente alla faccia inferiore del fegato, alla grande curvatura dello<br />

stomaco ed infine alla parte inferiore della milza.<br />

Il peritoneo avvolge il <strong>colon</strong> trasverso, formando un lungo mesenterio, meso<strong>colon</strong><br />

trasverso, che lo congiunge alla parete addominale posteriore secondo una linea estesa<br />

dal rene destro al sinistro e che suddivide la cavità addominale in due comparti, lo spazio<br />

sopramesocolico e quello sottomesocolico.<br />

La linea d’inserzione incrocia dapprima la faccia anteriore del rene destro, la porzione<br />

discendente del duodeno, la testa del pancreas, i vasi mesenterici superiori; passa poi<br />

sopra l’angolo duodeno-digiunale e termina in corrispondenza del terzo superiore del rene<br />

sinistro dopo aver seguito il margine inferiore del pancreas.<br />

4


Il meso<strong>colon</strong> trasverso appartiene, come il mesentere ed il meso<strong>colon</strong> ascendente, al<br />

mesentere comune primitivo e, rispetto al meso<strong>colon</strong> ascendente, viene sul lato destro<br />

individualizzato dalla linea di coalescenza estesa dall’AMS all’angolo destro del <strong>colon</strong>.<br />

Analogamente, dal lato sinistro il meso<strong>colon</strong> trasverso si accolla al peritoneo celomatico<br />

posteriore seguendo una linea obliqua ascendente che va dall’AMS all’angolo colico<br />

sinistro.<br />

Si forma in tal modo la radice secondaria del meso<strong>colon</strong> trasverso.<br />

Il meso<strong>colon</strong> trasverso, al di sotto della parte destra della sua radice, si mette in contatto<br />

con il peritoneo preduodenale determinando, al davanti del duodeno, del pancreas e<br />

dell’origine dell’AMS, una coalescenza che si estende dall’alto ìn basso: fascia di<br />

accollamento preduodenopancreatíca sottomesocolica o fascia di accollamento del<br />

meso<strong>colon</strong> trasverso destro di Fredet, che qualche autore impropriamente identifica con la<br />

fascia di Toldt.<br />

Sempre a destra del piano sagittale mediano del corpo, ma in corrispondenza del piano<br />

sovramesocolico, l’omento si accolla alla faccia anteriore della seconda porzione<br />

duodenale e della testa del pancreas a generare la fascia prepancreatica<br />

sopramesocolica omentale. Quest’ultima equivale in sede sottomesocolica alla fascia di<br />

Fredet.<br />

Esse, lateralmente al duodeno, si congiungono alla fascia retropancreatica di Treitz che in<br />

basso si continua nella fascia di Toldt.<br />

La porzione destra del meso<strong>colon</strong> trasverso è molto breve, mentre la porzione sinistra<br />

presenta una lunghezza sempre considerevole.<br />

Per tale disposizione la porzione sinistra del <strong>colon</strong> presenta un’eccessiva mobilità in parte<br />

corretta dal legamento gastrocolico.<br />

Quest’ultimo, costituito dal foglietto anteriore del grande omento, distalmente all’arcata<br />

vascolare gastroepiploica di Wínslow presenta un’area sottile e trasparente (zona<br />

circolare traslucida di Bouchet), che rappresenta la via di accesso classica alla retrocavità<br />

degli epiploon, in alternativa all’accesso per distacco colo-epiploico e a quello<br />

sottomesocolico attraverso l’arca avascolare di Riolano.<br />

ANGOLO SPLENICO E COLON DISCENDENTE<br />

L’angolo splenico, più acuto di quello epatico, è situato profondamente nell’ipocondrio<br />

sinistro ad un livello più alto di quello dell’angolo epatico ed è indietro e lateralmente in<br />

rapporto col terzo superiore del rene sinistro, con la capsula surrenale sinistra e con<br />

l’estremità inferiore della milza.<br />

Esso è collegato alla parete laterale dell’addome dal legamento freno-colico sinistro<br />

(sustentaculum lienis) la cui origine è paragonabile a quella del legamento frenocolico<br />

destro. La modalità di inserzione del legamento sull’angolo colico ne condiziona la<br />

morfologia.<br />

In molti casi una parte del legamento frenocolico proviene anche dall’estremità inferiore<br />

della milza, legamento splenocolico, che secondo Tillaux avrebbe ìnvece una sua precisa<br />

autonomia e sarebbe costituito da un fascicolo fibroso abbastanza resistente rivestito dal<br />

peritoneo e contribuirebbe alla fissità del <strong>colon</strong> discendente<br />

Il <strong>colon</strong> discendente si estende dalla flessura sinistra del <strong>colon</strong> fino al mezzo della cresta<br />

iliaca in corrispondenza della quale si continua nel <strong>colon</strong> ileopelvico. Esso è<br />

profondamente sìtuato nella fossa lombare, è verticale, quasi rettilineo e viene fissato dal<br />

peritoneo alla parete lombare sinistra nello stesso modo che il <strong>colon</strong> ascendente è reso<br />

aderente alla parete lombare destra.<br />

Mentre il <strong>colon</strong> ascendente riposa sulla faccia anteriore del rene destro, esso corrisponde<br />

piuttosto al margine laterale del rene sinistro.<br />

5


Anche questa porzione di intestino è inizialmente rettilinea e provvista di un meso<br />

sagittale.<br />

Lo sviluppo degli altri segmenti del canale digerente la fa ruotare a sinistra. Subentra il<br />

processo della coalescenza per cui il meso si fissa al peritoneo parietale posteriore<br />

generando così a sinistra, come a destra, la fascia di accollamento di Toldt che separa il<br />

<strong>colon</strong>-meso<strong>colon</strong> sinistro dal piano retroperitoneale e dagli organi in esso contenuti: rene<br />

sìnistro, uretere e vasi gonadici omolaterali.<br />

COLON ILEOPELVICO O SIGMOIDEO<br />

La porzione iliaca si estende dal mezzo della cresta iliaca sinistra al margine mediale del<br />

muscolo psoas e ai vasi iliací esterni ove si inflette per penetrare nella pelvi e continuarsi<br />

nel <strong>colon</strong> pelvìco.<br />

Le tenie sono meno evidenti che nei segmenti precedenti; i solchi sono più superficiali e le<br />

gibbosítà fanno una minore sporgenza. Il processo di coalescenza che interessa il <strong>colon</strong><br />

discendente si estende anche a quello iliaco e il meso si fissa al peritoneo parietale<br />

posteriore fino alla linea innominata.<br />

Il <strong>colon</strong> pelvico si estende dal margine mediale del muscolo psoas di sinistra, al corpo<br />

della terza vertebra sacrale ove si continua nel retto.<br />

Esso ha un calibro quasi uniforme, senza solchi e gibbosità evidenti; le tenie si riducono a<br />

due, anteriore e posteriore, che si continuano nella muscolatura longitudinale del retto.<br />

Con la sua faccia inferiore giace sugli organi del bacino o fra di essi: nell’uomo, sulla<br />

vescica o fra la vescica e il retto; nella donna sopra la vescica e l’utero oppure nelle due<br />

tasche vescico-uterina o retto-vaginale.<br />

Il peritoneo lo avvolge completamente costituendo il meso<strong>colon</strong> pelvico che non si accolla<br />

posteriormente alla parete addomino-pelvica ma mantiene anche nell’adulto la propria<br />

mobilità: in sua corrispondenza viene pertanto a mancare la fascia di Toldt. Il meso<strong>colon</strong><br />

pelvico si fissa alla parete posteriore per mezzo di due radici che delimitano fra loro un<br />

angolo acuto quasi retto aperto in basso e a sinistra. La radice primitiva è verticale e<br />

mediana e corrisponde al meso primitivo, la radice secondaria è trasversale e parallela<br />

alla linea innominata e corrisponde al punto dove l’accollamento del <strong>colon</strong> iliaco si arresta.<br />

A tale livello esiste nel 60-85% dei casi la fossetta intersigmoidea che al pari dei recessi<br />

paracolici risulta da un difetto di coalescenza del primitivo meso<strong>colon</strong> pelvico con il<br />

peritoneo parietale posteriore ed è visibile allorquando si rovescia in alto il <strong>colon</strong><br />

sigmoideo con il relativo meso<strong>colon</strong> dopo aver inciso il legamento mesentericomesocolico<br />

di Gruber, piega peritoneale tesa dalla porzione inferiore della radice<br />

mesenterica all’angolo di inserzione del meso<strong>colon</strong> sigmoideo.<br />

La ricerca e l’apertura di questa “finestra sigmoidea” è tempo chirurgico fondamentale<br />

nella colectomia sinistra laparoscopica.<br />

Il recesso sigmoideo può essere sede di ernia interna (ernia di Jonnesco).<br />

Angolo duodeno-digiunale<br />

Si trova posto immediatamente sotto la radice del meso<strong>colon</strong> trasverso, a sinistra della<br />

<strong>colon</strong>na vertebrale e a destra del <strong>colon</strong> discendente; il suo margine superiore è<br />

abbracciato dalla concavità dell’arco della vena mesenterica inferiore (VMI) nel momento<br />

in cui essa passa sotto e dietro al pancreas dopo aver costituito assieme all’arteria colica<br />

sinistra l’arco vascolare dei Treitz. Il peritoneo che riveste la porzione ascendente del<br />

duodeno e l’angolo duodeno digiunale forma pliche semilunari dietro le quali si trovano le<br />

fossette o recessi paraduodenali possibilì sedi di emie interne (ernie dei Treitz).<br />

6


Nella colectomia sinistra, il <strong>colon</strong> trasverso, portato in basso per l’anastomosi, può<br />

comprimere l’angolo duodeno-digiunale fino a stenosarlo. E’ pertanto opportuno<br />

procedere al suo abbassamento attraverso la sezione del muscolo di Treitz o legamento<br />

sospensore del duodeno.<br />

Questo muscolo è formato da fibrocellule muscolari lisce (talora rinforzate da un fascio<br />

accessorio) che dal pilastro sinistro del diaframma si inseriscono con variabili modalità alla<br />

flessura duodeno-digiunale e al duodeno, continuandosi con lo strato longitudinale della<br />

muscolatura del viscere.<br />

VASCOLARIZZAZIONE DEL COLON<br />

Il <strong>colon</strong> destro è irrorato dall’AMS e il <strong>colon</strong> sinistro dall’AMI; questi due sistemi circolatori<br />

sono collegati dall’arcata anastomotica di Riolano.<br />

L’AMS origina dalla faccia anteriore dell’aorta, 1 o 2 cm al di sotto del TC e circa 8 cm. al<br />

di sopra dell’AMI.<br />

Il decorso dell’AMS viene suddiviso in quattro segmenti: porzione retropancreatica (al<br />

centro del quadrilatero venoso di Rogie), porzione intraduodenopancreatica (al di sotto<br />

dell’istmo pancreatico e poi al davanti della terza porzione duodenale), segmento<br />

mesenterico fisso (a livello dell’angolo duodenodígiunale) e segmento mesenterico libero.<br />

La vascolarizzazione del <strong>colon</strong> destro origina dal fianco destro dell’AMS, in<br />

corrispondenza del segmento critico di Reiner attraverso le seguenti arterie:<br />

- a. colica media (o colica destra superiore), che nasce a livello del margine inferiore del<br />

pancreas e passa nella parte destra del meso<strong>colon</strong> trasverso dove, ad una distanza<br />

variabile dalla parete del <strong>colon</strong>, si divide in due rami, uno dei quali decorre verso destra<br />

per anastomizzarsi con il ramo ascendente dell’ a. colica destra, mentre l’altro gira a<br />

sinistra per anastomizzarsí con il ramo ascendente dell’ a. colica sinistra, la quale deriva<br />

dall’AMI, formando l’arcata di Riolano;<br />

- a. colica destra (o media), che si dirige orizzontalmente e lateralmente verso destra e si<br />

divide in due rami: uno ascendente che si anastomizza con il ramo destro dell’a. colica<br />

media (o superiore); l’altro discendente, che si anastomizza con il ramo ascendente o<br />

colico dell’a. ileocolica;<br />

- a. ileocolica (o colica inferiore destra), che decorre obliquamente in basso e lateralmente<br />

verso l’angolo fra l’ileo e il cieco e si divide, poco dopo la sua origine, in due rami: uno,<br />

ascendente o colico, che si anastomizza con il ramo discendente della colica destra o<br />

media; l’altro, discendente o ileale, che si ripiega in basso e medialmente per unirsi a<br />

pieno canale con la terminazione dell’AMS.<br />

L’ a. colica media può essere assente: in tali casi essa è rimpiazzata da un tronco colico<br />

medio destro comune o da un ramo dell’ a. colica sinistra la quale a volte raggiunge la<br />

flessura colica destra.<br />

Considerando che l’a. colica destra è assente nel 18% dei casi e che la colica media può<br />

anch’essa mancare, considerate inoltre le irregolarità dei loro collegamenti, la<br />

vascolarizzazione del <strong>colon</strong> ascendente e del <strong>colon</strong> trasverso costituisce una della<br />

situazioni anatomiche più variabili e imprevedibili.<br />

Nel 10% dei casi è presente l’ a. colica media accessoria che nasce dall’aorta o dall’AMS,<br />

decorre trasversalmente al davanti della VMI in prossimità del suo sbocco e forma una<br />

corda tesa tra l’AMS e l’angolo colico sinistro. Essa di solito si anastomizza con rami<br />

provenienti dall’ a. colica sinistra formando nella parte sinistra del meso<strong>colon</strong> un’arcata di<br />

Riolano secondaria.<br />

L’AMI origina dalla faccia anteriore dell’aorta, 4 o 5 cm. al di sopra della sua biforcazione<br />

e irrora il <strong>colon</strong> sinistro e buona parte del retto. Si dirige in basso e leggermente a sinistra<br />

7


lungo l’aorta al di dietro del peritoneo parietale, fornisce l’arteria colica sinistra, e le arterie<br />

sigmoidee e termina, come arteria emorroidaria superiore, nella parete del retto.<br />

Queste arterie in prossimità del <strong>colon</strong>, per mezzo delle loro divisioni e delle anastomosi<br />

che si stabiliscono tra rami vicini, danno origine ad una serie di arcate paracoliche<br />

analogamente a quanto descritto per il <strong>colon</strong> destro.<br />

La colica sinistra contribuisce con il suo ramo ascendente alla formazione dell’arcata di<br />

Riolano e con la porzìone terminale della VMI prende parte alla costituzione dell’arco<br />

vascolare di Treitz.<br />

Le arterie sigmoidee, nate isolatamente o come tronco comune, sono contenute nel<br />

meso<strong>colon</strong> pelvico e si anastomizzano in alto con l’ a. colica sinistra e in basso con l’ a.<br />

emorroidaria superiore.<br />

Quest’ultima anastomosi, definita per la sua precarietà punto critico di Sudeck, non ha, in<br />

tempi di exeresi colorettali ampie, che un interesse storico.<br />

L’a. emorroidaria superiore, continuazione dell’AMI si dirige in basso incrociando i vasi<br />

iliaci comuni di sinistra; contenuta dapprima nel meso<strong>colon</strong> pelvico, si porta verso la parte<br />

posteriore del retto e, all’inizio dell’ampolla rettale, si divide nelle arterie rettali superiori (ilo<br />

di Mondor) che sì anastomizzano in basso con l’ a. emorroidaria media.<br />

L’a. marginale dì Drummond o arcata anastomotica intermesenterica decorre<br />

parallelamente al margine mesenterico del grosso intestino, dal cieco alla giunzione<br />

rettosigmoidea e si anastomizza, a livello del tratto ileocecale, con l’arteria parallela di<br />

Dwigt disposta lungo l’inserzione mesenteriale del tenue. L’arcata di Drummond è definita<br />

il “vaso funzionale del <strong>colon</strong>” e come un cerchio di bicicletta, di cui le aa. coliche<br />

costituiscono i raggi, costeggia il <strong>colon</strong> sul versante mesocolico.<br />

Essa nel tratto corrispondente al <strong>colon</strong> trasverso distale, alla flessura splenica e al<br />

discendente prossimale sì identifica nell’arcata di Riolano.<br />

Lungo il decorso dell’arcata marginale possono esservi dei punti nei quali le connessioni<br />

anastomotiche sono poco sviluppate o addirittura assenti:<br />

- punto critico di Jaboulay (arcata di Treves) a livello ileocecale;<br />

- punto critico di Griffiths a livello della flessura splenica;<br />

- punto critico dì Sudeck all’altezza del gìunto rettosigmoideo.<br />

L’arcata di Riolano, detta anche arcata intermesenterica vera, è formata dall’anastomosi<br />

tra la branca ascendente dell’a. colica sinistra, ramo dell’AMI, e il ramo discendente dell’a.<br />

colica media, ramo dell’AMS.<br />

La circolazione venosa del <strong>colon</strong> corrisponde sostanzialmente per distribuzione e per<br />

decorso a quella arteriosa omologa.<br />

La vena mesenterica superiore inizia presso l’estremità terminale dell’ileo, sale quasi<br />

verticalmente nella radice del mesentere, passa davanti alla porzione orizzontale del<br />

duodeno, infine si porta dietro la testa del pancreas per continuarsi nel tronco della vena<br />

porta. Essa decorre a destra dell’arteria e in basso ne rimane anche al davanti. Riceve in<br />

alto, sul suo margine destro, il tronco di Henle, costituito dalla confluenza della v. colica<br />

media, della v. gastroepiploica destra e talora della v. pancreatico-duodenale anteroinferiore.<br />

La vena mesenterica inferiore (VMI) facendo direttamente seguito alla vena emorroidaria<br />

superiore, si dirige in alto lungo la parete posteriore dell’addome a sinistra dell’arteria<br />

omonima.<br />

Nel suo cammino ascendente viene a far parte dell’arco vascolare di Treitz, arcata per<br />

metà arteriosa e per metà venosa, alla cui formazione prendono parte la porzione iniziale<br />

dell’a. colica sinistra e la porzione terminale della VMI. La concavità di questa arcata<br />

guarda le fossette paraduodenali, possibili sedi di ernia interna (ernia duodenale di Treitz).<br />

8


La VMI dopo aver incrociato il peduncolo renale sinistro, contorna l’angolo<br />

duodenodigiunale, quindi si porta dietro il pancreas per confluire, a livello del quadrilatero<br />

venoso di Rogie, nell’asse venoso portomeseraico o nella vena lienale.<br />

Circolazione linfatica del <strong>colon</strong><br />

I vasi linfatici dalla parete intestinale drenano dapprima nei gangli epícolici poi in quelli<br />

intermedi o paracolici e infine in quellì centrali o regionali situati attorno ai peduncoli<br />

vascolari principali.<br />

Le stazioni linfonodali centrali per il <strong>colon</strong> destro sono situate sul fianco destro dell’AMS e<br />

della VMS, davanti al tronco venoso gastrocolico.<br />

I gangli centrali del <strong>colon</strong> trasverso sono prepancreatici a destra della VMS per l’angolo<br />

destro e i due terzi destri del <strong>colon</strong> trasverso e retropancreatici per l’angolo sinistro e per il<br />

terzo sinistro del <strong>colon</strong> trasverso. La stazione linfonodale centrale per il <strong>colon</strong> discendente<br />

e per quello sígmoideo è a livello dell’origine dell’AMI sull’aorta (axilla abdominis di<br />

Bacon). Per il terzo superiore del <strong>colon</strong> discendente esiste anche un peduncolo linfatico<br />

accessorio accollato alla VMI nel tratto in cui essa contorna l’angolo duodenodigiunale per<br />

poi scomparire sotto il bordo inferiore del pancreas (peduncolo linfatico iuxta meseraico).<br />

Ciascuno di questi relais centrali conduce infine al grande centro collettore línfatico<br />

retropancreatico o portale.<br />

RETTO<br />

Il retto, porzione terminale del grosso intestino, inizia a livello del corpo della terza<br />

vertebra sacrale e termina alla giunzione muco-cutanea del canale anale.<br />

Si distinguono un segmento superiore, retto pelvico, ed un segmento inferiore, retto<br />

perineale o canale anale. La lunghezza totale del retto è di 13-15 cm. dei quali gli ultimi tre<br />

spettano al retto perineale.<br />

Embriologicamente il retto pelvico e la parte superiore del canale anale appartengono<br />

all’intestino primitivo posteriore, sono di origine entodermica e sono irrorati dall’AMI; la<br />

restante parte del canale anale è di origine ectodermica, provenendo dal proctodeo, e la<br />

sua irrorazione origina dall’arteria ipogastrica.<br />

RETTO PELVICO<br />

Il peritoneo riveste solo una porzione del retto pelvico cosicché in esso si distinguono una<br />

parte peritoneale e una parte extraperitoneale.<br />

Il retto pelvico peritoneale o rettosigmoideo è una zona di passaggio tra <strong>colon</strong> e retto di<br />

lunghezza variabile da 3 a 6 cm e riconoscibile per la scomparsa del peritoneo dalla sua<br />

faccia posteriore, nonché delle appendici epiploiche e delle benderelle longitudinali che a<br />

questo livello convergono in un’unica tonaca muscolare longitudinale. Esso è ricoperto dal<br />

peritoneo solo anteriormente e lateralmente mentre posteriormente entra in rapporto, per<br />

mezzo di tessuto cellulare lasso e facilmente clivabile, con la faccia anteriore del sacro<br />

ricoperta dall’aponeurosi presacrale. Nel mesoretto posteriore è contenuto il peduncolo<br />

emorroidario superiore.<br />

Dalla faccia anteriore del retto il peritoneo si riflette nel maschio sulla faccia posteriore<br />

della vescica, nella femmina sulla faccia posteriore della vagina e dell’utero, formando<br />

rispettivamente ìl cavo retto-vescicale e il cavo retto-uterino del Douglas.<br />

Dalle superfici laterali del retto, il peritoneo si riflette sui lati della piccola pelvi, limitando<br />

da ciascun lato uno spazio a forma di doccia, il recesso pararettale. La riflessione<br />

9


peritoneale anteriore avviene a un livello più basso nella donna che nell’uomo,<br />

rispettivamente. a 5-7,5 cm. e 7-9 cm. dal margine anale.<br />

Sotto il peritoneo della parete pelvica camminano, ad una certa distanza, i due ureteri.<br />

Il retto pelvico sottoperitoneale descrive una curva a concavità anteriore fino al piano degli<br />

elevatori (curva sacrale); a questo livello il viscere, teso dalla fionda del muscolo<br />

puborettale, cambia direzione piegando in basso e indietro (curva perineale).<br />

Le due curve si continuano l’una nell’altra ad angolo quasi retto e questo punto segna il<br />

limite tra il retto pelvico e il retto períneale (angolo anorettale).<br />

Anche sul piano frontale il retto non ha un decorso uniforme presentando tre curvature<br />

delimitate dall’interno del viscere dalle valvole di Houston, di forma semilunare e di scarsa<br />

importanza chirurgica ad eccezione di quella media (piega trasversa di Kohlrausch) punto<br />

di riferimento endoscopico della riflessione peritoneale anteriore.<br />

Nella parte posteriore della cavità pelvica il retto occupa una specie di loggia, la loggia<br />

rettale, che è costituita dagli organi e dalle formazioni con cui il retto si trova in rapporto e<br />

da cui è separato da una serie di spazi contenenti tessuto areolare più o meno lasso.<br />

Posteriormente il retto è in rapporto con il sacro ed il coccige, i muscoli ischiococcigei, i<br />

vasi sacrali medi, il plesso ipogastrico superiore e le radici del plesso sacrale.<br />

Anteriormente è in rapporto nel maschio, dal basso in alto, con la prostata, le vescichette<br />

seminali, i vasi deferenti, gli ureteri e la parete vescicale; nella femmina con la parete<br />

vaginale posteriore.<br />

Lo spazio pelvi-sottoperitoneale, situato tra il peritoneo superiormente e il diaframma<br />

pelvico inferiormente e che una serie di setti divide in logge o spazi secondari, separa il<br />

retto dalle pareti laterali della pelvi e dal muscolo elevatore dell’ano.<br />

In questo spazio laterorettale sono contenuti gli ureteri, i vasi ipogastrici e i relativi rami<br />

nonché le strutture nervose, in rapporto con i legamenti sacro-retto-genito-pubici (guaine<br />

dell’arteria ipogastrica da cui, in un piano frontale, si distaccano i legamenti laterali o ali<br />

dei retto.<br />

La parete del retto pelvico è costituita da quattro tuniche: sierosa, muscolare,<br />

sottomucosa e mucosa. Il peritoneo riveste quasi completamente il terzo superiore del<br />

retto ad eccezione di un piccolo tratto della parete posteriore dove la riflessione<br />

peritoneale lascia solo un corto e spesso mesoretto.<br />

La tunica muscolare è costituita da due strati, uno esterno longitudinale che deriva dalla<br />

fusione delle tenie coliche ed uno interno circolare che si ispessisce procedendo ìn senso<br />

caudale fino a formare lo sfintere interno. La sottomucosa, ricca di linfatici e terminazioni<br />

nervose, consente alla mucosa un facile scorrimento sul piano muscolare.<br />

La tonaca mucosa, corredata di pliche trasversali e valvole semilunari presenta una<br />

muscolaris mucosae particolarmente sviluppata; l’epitelio è cilindrico semplice con<br />

ghiandole intestinali di dimensioni maggiori rispetto a quelle del restante intestino crasso.<br />

Particolare interesse anatomochirurgico rivestono le seguenti strutture:<br />

- mesoretto, il cui significato prescinde da quello strettamente anatomico e riveste quello<br />

chirurgicamente più importante di tessuto fibro-cellulo-linfatico riccamente vascolarizzato,<br />

che avvolge il retto sottoperitoneale per i tre quarti della sua circonferenza (lasciandone<br />

quasi libera la parete anteriore), e che nel segmento più distale del viscere, in prossimità<br />

degli elevatori, si assottiglia e infine si risolve. Esso confiene i linfatici e le branche di<br />

divisione dei vasi e dei nervi destinati al retto ed è avvolto da una sottile lamina<br />

connettivale densa, la fascia recti, che appartiene al foglietto viscerale della fascia pelvica;<br />

- fascia endopelvica, guaina sottoperitoneale di rivestimento delle pareti della cavità<br />

pelvica, dei visceri, dei vasi e dei nervi in essa contenuti.<br />

Il foglietto parietale membranoso, in continuità con la fascia parietale addominale, si<br />

estende sui muscoli che rivestono le pareti ossee della pelvi e su quelli che costituiscono il<br />

diaframma pelvico e aderisce tenacemente al sacro e al coccige formando la fascia<br />

10


presacrale. Quest’ultima ricopre i vasi sacrali medi, le vene presacrali, il plesso sacrale e i<br />

nervi splancnici pelvici.<br />

Il piano di clivaggio per lo scollamento del blocco retto-mesoretto, avvolto dalla fascia recti<br />

corre nel connettivo cellulo-adiposo dello spazio presacrale ed è praticamente avascolare<br />

essendo attraversato soltanto da sottili rami dell’arteria sacrale media (holy plane di<br />

Heald);<br />

- legamento retto-sacrale, le cui fibre, distaccandosi dalla fascia presacrale a livello della<br />

quarta vertebra sacrale, si fondono con la fascia recti, 3-5 cm. al di sopra dell’anello<br />

anorettale, costituendo il pavimento dello spazio retrorettale. Il legamento ha funzione di<br />

supporto e di fissazione per cui la mobilizzazione del retto ne comporta necessariamente<br />

la sezione trasversale;<br />

- aponeurosi prostato-peritoneale di Denonvilliers nell’uomo e fascia retto-vaginale nella<br />

donna.<br />

E’ una lamina muscolo-aponeurotica che sul piano frontale assume la forma trapezioidale<br />

a base superiore, estesa dalla tasca del Douglas al pavimento pelvico, lateralmente<br />

inserita sulle lamine sacro-retto-genito-pubiche e in continuità con la faccia anteriore del<br />

legamento laterale del retto.<br />

Nell’uomo i due foglietti costitutivi, fusi al di sopra della giunzione vescico-prostatica,<br />

delimitano uno spazio potenziale, spazio retroprostatico di Proust, piano di clivaggio<br />

avascolare tra retto e prostata. L’importanza chirurgica di questa fascia prescinde<br />

dall’interpretazione ontogenetica (teoria della fusione peritoneale, pertinenza urogenitale,<br />

accollamento fasciale) e risiede nella possibilità che essa offre di una metodologia<br />

dissettiva corretta;<br />

- legamenti alari dei retto (ali del retto) che contribuiscono a fissare il viscere alle pareti<br />

laterali del piccolo bacino e a mantenerlo in posizione mediana. Essi si distaccano dalle<br />

lamine sacro-retto-genito-pubiche tese dai fori sacrali anteriori al pube, costituite da<br />

tessuto connettivo che, nello spazio pelvi-rettale, si addensa attorno all’arteria iliaca<br />

interna e ai suoi rami inglobando le strutture nervose del plesso pelvico. La componente<br />

costante del legamento laterale del retto non è l’arteria rettale media, come<br />

tradizionalmente descritto, ma il plesso pelvico o ipogastrico inferiore, situato tra i vasi<br />

iliaci interni ed il retto, che permette di dividere il legamento suddetto in un segmento<br />

laterale e in uno mediale. In quest’ultimo decorrono i rami del plesso pelvico destinati al<br />

retto e i vasi rettali medi.<br />

RETTO PERINEALE<br />

La porzione perineale del retto corrisponde al canale anale chirurgico, esteso dall’anello<br />

anorettale al margine anale. Essa va distinta dal canale anale anatomico compreso fra la<br />

linea dentata e il margine anale.<br />

Invero la linea anorettale, che corrisponde all’anorectal ring, anello muscolare costituito<br />

dal complesso sfinteriale alla giunzione dei retto pelvico con il canale anale, è situata al di<br />

sopra della linea dentata o linea delle valvole rettali, localizzata in corrispondenza del<br />

punto di mezzo dello sfintere interno.<br />

Nel canale anale chirurgico, che risulta pertanto più lungo del canale anatomico, si<br />

distinguono, procedendo in senso distale, una zona colorettale, una zona di transizione - il<br />

cui limite inferiore corrisponde alle valvole rettali (valvole semilunari di Clacson) - e una<br />

zona squamosa.<br />

Il canale anale, circondato dagli elevatori e dagli sfinteri, è fissato alla punta del coccige<br />

dal rafe o legamento anococcigeo. Anteriormente esso è in rapporto nell’uomo con il<br />

centro tendineo del perineo (o corpo perineale), il diaframma urogenitale in cui è<br />

11


contenuta la porzione membranosa dell’uretra, il bulbo dell’uretra; nella donna con il corpo<br />

perineale e la parete vagìnale posteriore.<br />

Lateralmente il canale anale è in rapporto con la fossa ischiorettale la cui parete mediale è<br />

costituita dal muscolo elevatore dell’ano e dallo sfintere esterno e quella laterale<br />

dall’ischio, ricoperto dal muscolo otturatore interno e dalla sua fascia.<br />

In uno sdoppiamento di detta fascia è contenuto il canale di Alcock in cui decorrono il<br />

nervo pudendo e i vasi rettali inferiori.<br />

Alla costituzione dell’apparato sfinterico del retto perineale partecipano i muscoli sfintere<br />

interno, longitudinale congiunto, sfintere esterno ed elevatori dell’ano.<br />

Lo sfintere interno rappresenta la diretta continuazione della muscolatura circolare della<br />

parete rettale che progressivamente si ispessisce fino a costituire un manicotto muscolare<br />

liscio che circonda il rivestimento interno del canale anale.<br />

E’ innervato dal sistema nervoso autonomo e garantisce la continenza involontaria. Da<br />

esso e dalla muscolaris mucosae deriva il legamento sospensore di Parks situato nel<br />

punto di mezzo del canale anale e costituito da fibre che ancorano il rivestimento mucoso<br />

al piano muscolare.<br />

Il muscolo longitudinale congiunto del canale anale deriva dalla muscolatura longitudinale<br />

del retto che a livello dell’anello anorettale si unisce alle fibre striate provenienti dal<br />

muscolo elevatore dell’ano. Alla sua costituzione partecipano anche strutture<br />

aponeurotiche provenienti dalla fascia pelvica e nel tratto inferiore del canale anale anche<br />

la porzione profonda dello sfintere esterno.<br />

Esso si interpone nel canale anale tra sfintere interno e sfintere esterno ed alcuni suoi<br />

fasci attraversano lo sfintere interno, concentrandosi sulla sua superficie mediale, dove<br />

costituiscono, insieme a fibre della muscolaris mucosae, il muscolo della sottomucosa<br />

dell’ano. Altre fibre possono attraversare lo sfintere esterno per formare un setto trasverso<br />

che divide la fossa ischiorettale in spazio perianale ed in spazio ischioanale.<br />

Lo sfintere esterno, muscolo striato con una componente liscia, circonda il canale anale,<br />

lateralmente al muscolo sfintere interno e al muscolo longitudinale congiunto. Esso risulta<br />

di tre componenti, una sottocutanea, una superficiale e una profonda.<br />

Le fibre prossimali del muscolo non sono ancorate posteriormente ad alcuna struttura e<br />

avvolgono la parete dorsale dei canale anale delimitando anteriormente, insieme al<br />

muscolo puborettale, lo spazio retrosfinterico di Courtney o spazio postanale profondo<br />

compreso tra le fibre del rafe anococcigeo dell’elevatore dell’ano, superiormente, e quelle<br />

del legamento ano-coccigeo dello sfintere esterno, inferiormente. Questo spazio pone in<br />

comunicazione posteromedialmente lo spazio ischioanale di ciascun lato.<br />

Anteriormente il contingente periferico delle fibre prossimali segue il decorso in avanti del<br />

puborettale, mentre le fibre-centrali si congiungono alle controlaterali per formare un<br />

anello completo sulla parete anteriore dei canale anale.<br />

Il muscolo elevatore dell’ano separa la cavità pelvica dal perineo e svolge la duplice<br />

funzione di sostenere i visceri e provvedere alla continenza.<br />

Prende inserzione lateralmente sulla superficie interna della parete laterale della pelvi e<br />

medialmente si unisce alle fibre controlaterali per formare la maggior parte del pavimento<br />

pelvico.<br />

Classicamente viene considerato costituito da tre parti: il muscolo íleococcigeo che<br />

esercita una funzione dì sostegno senza contrarre rapporti diretti con la parete rettale; il<br />

muscolo pubococcigeo le cui fibre incrociandosi anteriormente e posteriormente al retto<br />

formerebbero un sistema ad 8 la cui tensione avrebbe funzione di sospensione e di<br />

chiusura dell’orifizio rettale del diaframma pelvico;<br />

il muscolo puborettale le cui fibre formano una fionda che, sospendendo il retto al pube,<br />

costituisce e mantiene l’angolo anorettale.<br />

12


VASCOLARIZZAZIONE DEL RETTO<br />

L’irrorazione del retto dipende dalle arterie emorroidarie superiori, medie e inferiori con il<br />

contributo di piccoli rami dell’a. sacrale media e dell’a. trasversa del perineo.<br />

L’AMI, all’incrocio con i vasi iliaci comuni di sinistra o distalmente all’ultima arteria<br />

sigmoidea, diventa arteria rettale superiore. Questa decorre nella radice del mesosigma,<br />

discende nel mesoretto e raggiunge la porzione superiore della parete posteriore del retto<br />

a livello della terza vertebra sacrale dividendosi in due branche, destra e sinistra, che si<br />

portano sulle pareti laterali del viscere (ilo rettale di Mondor).<br />

I suoi rami principali si dividono in rami minori che penetrano nella tonaca muscolare e<br />

nella sottomucosa raggiungendo le <strong>colon</strong>ne di Morgagni a livello delle valvole rettali e<br />

formando anastomosi arterovenose con il plesso emorroidario sottomucoso.<br />

L’arteria rettale media, elemento incostante, proviene direttamente dall’arteria iliaca<br />

interna e talora da uno dei suoi rami raggiunge la parete rettale decorrendo nello spessore<br />

del legamento laterale del retto e si anastomizza nella sottomucosa con i rami delle arterie<br />

rettali superiore ed inferiore.<br />

L’arteria rettale inferiore origina dalla pudenda interna, ramo dell’ipogastrica, nel canale di<br />

Alcock. Attraversa la fossa ischiorettale e si divide in rami che si distribuiscono agli sfinteri<br />

esterno ed interno e raggiungono la sottomucosa e il sottocutaneo del canale anale.<br />

Le vene che drenano il retto pelvico e il canale anale hanno un decorso simile a quello<br />

delle corrispondenti arterie.<br />

Esse costituiscono nella tonaca sottomucosa un ricco plesso, il plesso emorroidario,<br />

esteso per tutta la lunghezza dei retto ma soprattutto sviluppato nella parte inferiore.<br />

Le vene rettali superiori tributarie dei sistema portale, drenano il retto pelvico e la parte<br />

superiore del canale anale formando il tronco rettale superiore che raggiunge la VMI.<br />

Le vene rettali medie drenano il retto pelvico distale e la parte superiore del canale anale<br />

e confluiscono nelle vene ipogastriche.<br />

Le vene rettali inferiori raccolgono il sangue dal plesso emorroidario sottocutaneo o<br />

esterno e drenano nelle vene pudende interne tributarie delle vene ipogastriche.<br />

Attraverso le vene ipogastriche, quindi, le vene rettali medie ed inferiori sono tributarie del<br />

sistema cavale.<br />

Nella mobilizzazione posteriore del retto si deve evitare la lesione del plesso venoso<br />

presacrale tributario del sistema cavale inferiore e connesso, attraverso le vene<br />

basivertebrali, con il plesso venoso vertebrale interno.<br />

CIRCOLAZIONE LINFATICA DEL RETTO<br />

La rete linfatica del retto è organizzata in un plesso linfatico intramurale, costituito da<br />

reticoli linfatici sottomucosi, intermuscolari e mesorettali e in un plesso linfatico<br />

extramurale, in cui si distinguono tre peduncoli.<br />

Il peduncolo superiore drena la linfa del retto intraperitoneale e di parte di quello<br />

sottoperitoneale. Esso raccoglie i linfatici che si portano ai linfonodì dell’ilo di Mondor, a<br />

quelli del gruppo rettosigmoideo e a quelli dei gruppo sigmoidocolico. I linfatici di questo<br />

peduncolo corrispondono, quindi, ai linfonodi situati all’origine dell’AMI; da qui la linfa<br />

viene convogliata verso i linfonodi pre e lateroaortici.<br />

Il peduncolo medio drena la linfa del retto sottoperitoneale e del canale anale. Esso<br />

comprende i linfatici che seguono i vasi emorroidari medi decorrendo nel legamento<br />

laterale del retto e si portano ai linfonodi ipogastrici dai quali la linfa viene drenata nei<br />

linfonodi iuxtaortici; linfatici laterali da questa porzione del retto possono drenare anche<br />

nei linfonodi otturatori.<br />

13


Il peduncolo inferiore raccoglie la linfa dei retto distale e dei canale anale sovrastante la<br />

linea dentata e, seguendo i vasi rettali inferiori, raggiunge i linfonodi iliaci interni.<br />

I linfatici che raccolgono la linfa della porzione del canale anale sottostante la linea<br />

dentata drenano nei linfonodi inguinali superficiali.<br />

La regola è che la linfa del retto intraperitoneale sia drenata esclusivamente dal<br />

peduncolo superiore e quella del retto sottoperitoneale sia raccolta da uno o anche due<br />

dei complessivi tre collettori.<br />

INNERVAZIONE DEL COLON E DEL RETTO<br />

Il plesso simpatico mesenterico superiore emana dal plesso celiaco e accompagna i rami<br />

dell’AMS.<br />

Esso contiene anche fibre parasimpatiche del vago ed innerva il cieco e il <strong>colon</strong> fin verso<br />

la flessura sinistra<br />

Il plesso mesenterico inferiore nasce dal plesso aortico-addominale e accompagna i rami<br />

dell’AMI provvedendo alla innervazione del <strong>colon</strong> sinistro e della parte prossimale del<br />

retto.<br />

Il plesso aortico-addominale, continuazione inferiore del plesso celiaco, si estende al<br />

dinanzi dell’aorta fino alla sua biforcazione.<br />

Alla sua formazione concorrono, oltre alle fibre provenienti dal plesso celiaco, anche i<br />

nervi splancnici lombari che derivano come fibre pregangliari dai centri simpatici toracolombari.<br />

Al davanti dell’aorta addominale, tra l’origine dell’AMI e la biforcazione aortica, le tre<br />

radici, quella mediana proveniente dal plesso preaortico e le due laterali costituite dai<br />

nervi splancnici lombari di ciascun lato, si uniscono a formare il plesso ipogastrico<br />

superiore (o nervo presacrale di Latarjet) che fornisce innervazione simpatica alla parte<br />

medio-distale dei retto, al canale anale, alla vescica e agli organi sessuali.<br />

Il nervo presacrale è quindi situato nello spazio interiliaco tra i due ureteri, posteriormente<br />

all’arteria rettale superiore, tra la fascia presacrale posteriormente e la fascia mesorettale<br />

anteriormente.<br />

Esso, superato il promontorio, si biforca nei due nervi ipogastrici che, divergendo uno a<br />

destra e uno a sinistra, decorrono adiacenti al versante posterolaterale dei retto e si<br />

dirigono in basso sulle pareti laterali della pelvi dove formano, da ciascun lato, il plesso<br />

pelvico con il contributo del parasimpatico sacrale costituito dai nervi erigentes che<br />

originano dal II, III e IV nervo sacrale.<br />

Il plesso pelvico si trova all’altezza del terzo distale del retto, subito al di sopra del piano<br />

degli elevatori dell’ano in rapporto con le ali del retto, interposto tra il mesoretto e la parete<br />

laterale della pelvi.<br />

Dalle cellule gangliari di questo plesso originano fibre post-gangliari che si distribuiscono<br />

al retto distale, al canale anale e ad altri visceri pelvici.<br />

Si ritiene che le fibre del plesso pelvico, destinate al retto, decorrano nel segmento<br />

mediale delle ali del retto, mentre nel segmento laterale decorrano i nervi splancnici<br />

pelvici o erigentes, posteriormente ed inferiormente rispetto ai vasi rettali medi.<br />

Alla costituzione dei plesso pelvico partecipano anche fibre provenienti dal contingente<br />

simpatico sacrale, i cui ganglí sono localizzati medialmente ai fori sacrali anteriori.<br />

Di particolare interesse è il nervo cavernoso che origina dal plesso pelvico. Di aspetto<br />

plessiforme è largo 12 mm, si riduce progressivamente fino a 6 mm nel punto in cui<br />

raggiunge il bordo posterolaterale della prostata, al di fuori dell’aponeurosi di Denonvilliers<br />

in stretta vicinanza della faccia anterolaterale del retto distale. A questo lìvello, data<br />

l’estrema sottigliezza delle fibre, il tragitto del nervo è reso visibile per la presenza dei vasi<br />

satelliti che con esso formano la benderella neurovascolare di Walsh.<br />

14


Lo sfintere anale esterno è innervato dal nervo rettale inferiore, ramo del nervo pudendo e<br />

dal ramo perineale del IV nervo sacrale.<br />

Il muscolo elevatore dell’ano è innervato dai rami perineali del III e IV nervo sacrale per le<br />

sue fibre mediali e dal nervo pudendo per i fasci periferici<br />

L’innervazione sensitiva della porzione del canale anale sottostante la linea dentata<br />

dipende da fibre afferenti somatiche dei nervo emorroidario inferiore, mentre la sensibilità<br />

del canale anale sovrastante la linea dentata, come quella del retto, dipende da fibre<br />

afferenti viscerali dirette in senso centripeto attraverso gli stessi nervi in cui decorrono le<br />

fibre efferenti.<br />

Lo sfintere interno è innervato dal plesso pelvico.<br />

L’innervazione intrinseca, o plesso enterico, è costituita dal plesso mioenterico di<br />

Auerbach e da quello sottomucoso di Meissner, estesi dall’esofago fino alla zona di<br />

transizione del canale anale al di sotto della quale tale apparato nervoso scompare<br />

completamente.<br />

15


STATO DELL’ARTE DELLA CHIRURGIA LAPAROSCOPICA NELLE<br />

ETEROPLASIE COLO-RETTALI<br />

R. Pugliese<br />

L’avvento della chirurgia videolaparoscopica con il subitaneo successo incontrato dalla<br />

colecistectomia condusse i chirughi ad estenderne, in tempi brevi, l’applicazione alla chirurgia<br />

colorettale. Tale chirurgia apparve presto come il campo ideale ove la chirurgia mininvasiva<br />

poteva continuare a svilupparsi.<br />

E’ infatti ormai passato più di un decennio da quando nel 1991 Jacobs eseguì il primo<br />

intervento laparoscopico sul <strong>colon</strong>. Durante questi anni chirurghi in tutto il mondo si sono<br />

affacendati al fine di sviluppare ed affinare le tecniche chirurgiche. Da allora molte sono le<br />

casistiche in letteratura che hanno dimostrato la fattibilità e riproducibilità della metodica<br />

ormai giunta, per i vari tipi di intervento, alla codificazione.<br />

I risultati di tali procedure in termini di morbilità e mortalità così come la qualità della vita ad<br />

esse correlate sono apparse sovrapponibili, se non migliori secondo vari autori. Tuttavia sono<br />

presto sorte profonde controversie circa l’affidabilità della procedura, segnatamente in campo<br />

oncologico.<br />

Sulla base della letteratura esistente si può certamente affermare che oggi le resezioni colo-<br />

rettali palliative e/o radicali sono comunemente eseguite in centri di alta specializzazione ad<br />

opera di chirurghi più che sperimentati. Tuttavia mentre le resezioni palliative sono<br />

ubiquitariamente accettate e condivise, perché in grado di assicurare la palliazione riducendo<br />

al minimo il trauma opeartorio, altrettanto non si può affermare per gli interventi con intento<br />

radicale, a maggior ragione quando il tratto patologico sia rappresentato dal retto.<br />

Quello che ci si domanda è se l’accesso laparoscopico garantisca in termini di radicalità<br />

oncologica, sottoforma di adeguatezza di resezione e correttezza di linfoadenectomia,<br />

nonché in termini di complicanze e soprattutto di recidive e sopravvivenza a lungo termine, gli<br />

stessi risultati della chirurgia aperta.<br />

La letteratura sull’argomento ha sicuramente fornito una risposta adeguata alle prime tre<br />

ipotesi formulate nella domanda precedente.<br />

16


E’ stato cioè dimostrato da più autori come i pezzi chirurgici ottenibili in chirurgia<br />

laparoscopica siano assolutamente sovrapponibili a quelli della chirurgia aperta con morbilità<br />

e mortalità inferiori. Allo stesso modo l’ipotesi sollevata inizialmente da Wexner della maggior<br />

frequenza di metastasi parietali sui tragitti dei trocar, ha trovato in numerosi e recenti reports<br />

una valida smentita con percentuali di incidenza quantomeno sovrapponibili.<br />

Così Chapmann in una systematic review del 2001 su Annals of Surgery riportava una<br />

percentuale del1’1.28% non dissimile da due significative serie pubblicate rispettivamente da<br />

Hughes nel 1983 e da Reilly nel 1996 su Disease of Colon e Rectum dello 0.81 e 0.64%, in<br />

chirurgia aperta. Lo stesso Wexner con Zmora in una ulteriore review sempre del 2001 su<br />

Surgical Endoscopy riportava su 1737 pazienti un tasso di port site metastases dell’1%; e<br />

molte ancora sono le testimonianze laparoscopiche con tassi inferiori al 1%.<br />

Nonostante questo dato confortante nel 2002 compariva su Surgical Endoscopy, ad opera di<br />

Wexner e Mavrantonis una ulteriore interessante review basata su un questionario attraverso<br />

il quale si è dimostrato un decremento negli ultimi tre anni nella percentuale dei chirurghi<br />

americani appartenenti alla North American members of the Society of American<br />

Gastrointestinal Endoscopic Surgeons ( SAGES ) ed alla American Society of Colon and<br />

Rectal Surgeons che fanno ricorso alla laparoscopica colorettale. Pur essendo l’85% di<br />

questi chirurghi dedito alla chirurgia laparoscopica, solo il 48% di questi esegue resezioni<br />

laparoscopiche nel 21% dei propi pz; nel 74% dei casi l’intervento laparoscopico è eseguito<br />

per patologia diverticolare, nel 68% per polipi e 61 % per adenomi villosi e nel 36% per M. di<br />

Crohn.<br />

Invece soltanto il15% opera pz con cancro, percentuale che si riduce al l ‘8.5 e 7% nel<br />

trattamento del cancro rettale rispettivamente alto e basso, con un numero di interventi<br />

comunque limitato.<br />

Infine sebbene il 56% dei partecipanti si sarebbe esso stesso sottoposto a procedura<br />

laparoscopica per un adenoma villoso del retto, solo il 9% avrebbe fatto altrettanto in caso di<br />

patologia maligna rettale.<br />

La spiegazione è in parte nella revisione pubblicata da Chapmann nel 2001 su Annals of<br />

Surgery.<br />

17


Egli scrive infatti che “… Little high-level of evidence was available….The new procedure’s<br />

advantages revolve around early recovery from surgery and reduced pain.<br />

Così su 52 voci bibbliografiche evidenziate a tutto il 1999 con 2 strategie di ricerca da<br />

Madline,Current Contents, Embase, Cochrane Library, si evince un livello EBM 2 per 4 di<br />

queste, EBM3-2 per 11, EBM 3-3 in 4 ed infine un livello EBM 4 per 18 ulteriori voci<br />

bibliografiche.<br />

Ancora, del 2002 è uno studio randomizzato ( RCT ), pubblicato da Weeks et al. per The<br />

Clinical Outcomes of Surgical Therapy Study Group su Jama in cui la valutazione della QOL (<br />

Quality of life ) basata su uno score con punteggi predeterminati ( SDS = Symptoms distress<br />

scale e QLI= quality of life index ) riporta: “ compared with open colectomy, laparoscopic<br />

colectomy for <strong>colon</strong> cancer results in statistically significant but clinically modest decreases in<br />

the duration of post-operative hospital analgesia and lenght of stay (P


Ciò per molti fattori come la quantità dei parametri, riflesso della complessità della risposta<br />

immuno-mediata, e la loro misurazione nel periodo postoperatorio con tempistiche diverse, in<br />

presenza di altre significative variabili come differente durata degli interventi in base alla<br />

esperienza degli operatori ed uso di analgesici morfinici.<br />

Il tutto a giustificare l’indubbia difficoltà nell’interpretare dal punto di vista fisiopatologico le<br />

variazioni dei parametri.<br />

E’ doveroso a questo proposito sottolineare la recente pubblicazione su Lancet di un primo<br />

studio randomizzato in cui Lacy, autore di altre precedenti pubblicazioni sull’argomento,<br />

riporta per i pazienti in stadio III sottoposti ad intervento laparoscopico una sopravvivenza<br />

migliore rispetto a quelli operati con tecnica open, malati in cui si associa anche una minor<br />

incidenza di recidive, una ridotta morbilità perioperatoria ed una più breve ospedalizzazione.<br />

In particolare l’autore ipotizza che tale risultato sia correlato ad una miglior sorveglianza<br />

immunitaria, associata alla laparoscopia, che offrirebbe a lungo termine dei benefici<br />

sostanziali in pazienti con tumore più avanzato e per questo più a rischio dal punto di vista<br />

prognostico qualora il sistema immunitario sia maggiormente compromesso dall’intervento<br />

chirurgico.<br />

Alla stessa conclusione era precedentemente giunto anche Franklin, Schiedbach con<br />

Kocherling ed altri autori con risultati sulla sopravvivenza decisamente favorevoli, seppur in<br />

lavori retrospettivi e di minor valore dal punto di vista EBM.<br />

Lo stesso Lacy conclude che se questi risultati troveranno conferma in studi multicentrici<br />

attualmente in corso, l’approccio laparoscopico nella chirurgia oncologica colo-rettale potrà<br />

divenire il gold standard del trattamento chirurgico stesso.<br />

19


Tecnica Chirurgica della Resezione del Retto e del Mesoretto<br />

(Prof. R. Pugliese e coll.; S.C. di Chirurgia Generale I e Videolaparoscopia,<br />

A.O. “Niguarda Ca’ Granda” Milano )<br />

Preparazione del <strong>colon</strong><br />

Inizia con una dieta priva di scorie cinque giorni prima dell’intervento e prosegue, 48 ore<br />

prima, con la somministrazione di 30 cpr di carbone vegetale e 4 Lt di soluzione di<br />

glicolepolietilenico.<br />

Il giorno prima dell’intervento idratazione parenterale<br />

Materiale necessario<br />

- 1 trocar di Hasson<br />

- 3 trocars da 10-12 mm<br />

- 2 pinze di Babcok da 10 mm<br />

- 1 <strong>colon</strong>na VLS con 1 ottica da 30° treCCD ed insufflatore ad alto flusso<br />

- Lunghette di garza orlata (lunghe 10 cm e larghe 3 cm)<br />

- ENDOGIA da 45 con cariche sia vascolari che intestinali di vario calibro/spessore<br />

- Pinza a rastrello per la borsa da tabacco da confezionare all’estremità prossimale<br />

del <strong>colon</strong> sezionato<br />

- EEA meccaniche circolari ad uso laparoscopico<br />

- Ultracision (bisturi ad ultrasuoni) con manipolo da 10mm.<br />

- Applicatore di clips di tipo large ad uso laparoscopico<br />

Posizione del paziente e dell’equipe chirurgica<br />

Fondamentale un adeguato letto operatorio capace di garantire le posizioni di<br />

Trendelemburg ed antiTrendelemburg più spinte oltre che un’agevole variazione della<br />

20


divaricazione delle gambe. Paziente in decubito supino, in posizione litotomica, braccio<br />

destro lungo il corpo ed il sinistro abdotto, gambe divaricate e ginocchia flesse di 15-20°.<br />

Indispensabile fissazione con reggi-spalle per sostenere la posizione di Trendelemburg<br />

spinta e rotolo sotto il fianco sinistro. L’operatore si posiziona a destra del paziente, il<br />

primo aiuto a destra dell’operatore alla telecamera, il secondo aiuto alla sinistra del<br />

malato, lo strumentista si dispone tra le gambe del paziente<br />

Disposizione dei trocars e degli strumenti<br />

Premessa: nella strategia del posizionamento dei trocars è fondamentale considerare la<br />

valutazione del clisma opaco per lo studio della flessura splenica<br />

Si effettua l’intervento con quattro trocars:<br />

Il primo trocar da 10 mm è posto in sede mediana altoposta, 3-5 cm sovraombelicale<br />

secondo la conformazione brevi-longilinea del paziente: sarà l’accesso per il trocar di<br />

Hasson; da questa sede s’indurrà il pneumoperitoneo con tecnica open. Il secondo<br />

trocar da 10-12 mm è posto in emiaddome destro appena sopra l’ombelicale trasversa<br />

e a circa 8-10 cm. dall’ombelico. Va modulata di volta in volta la posizione; sarà la sede<br />

da cui l’aiuto addetto alla telecamera dovrà dare la migliore visione possibile.<br />

Il terzo trocar da 10-12 mm è posto in fossa iliaca destra, a circa 9-10 cm dall’ombelico.<br />

E’ il trocar operativo per la mano dx dell’operatore<br />

Il quarto trocar da 10 mm è posto in fossa iliaca sinistra: utilizzato per la Babcok del II<br />

aiuto, sarà la sede del successivo ampliamento minilaparotomico per l’estrazione del<br />

pezzo mobilizzato e pertanto al centro di un’ipotetica incisione pararettale sinistra.<br />

21


INTERVENTO<br />

Dopo adeguata esplorazione della cavità addominale, manovra fondamentale che<br />

permette di reperire le strutture anatomiche e di identificare eventuali alterazioni si<br />

procede con l’esecuzione dei tempi principali dell’intervento che sono: 1) mobilizzazione<br />

dell’angolo colico sin con abbassamento della radice del meso<strong>colon</strong> trasverso; 2) tempo<br />

vascolare e dissezione della doccia parietocolica sinistra: al contrario della chirurgia<br />

open il mantenimento degli accollamenti parieto-colici è fondamentale per una buona<br />

esposizione, pena la medializzazione ed occupazione del campo operatorio da parte del<br />

<strong>colon</strong> mobilizzato; 4) isolamento del retto con escissione del mesoretto; 5)<br />

esteriorizzazione e resezione del pezzo operatorio; 6) reinduzione del pneumoperitoneo<br />

e confezionamento di anastomosi termino-terminale transanale sec. Knight-Griffen; 7)<br />

eventuale ileostomia di protezione.<br />

Mobilizzazione dell’angolo colico sinistro<br />

Necessaria per poter effettuare un’anastomosi senza tensione.<br />

Il paziente è in antitrendelemburg di 20° e ruotato sul fianco destro. Il grande omento<br />

disposto sopra il <strong>colon</strong>, cade verso il basso trazionando il <strong>colon</strong> trasverso stesso in tal<br />

direzione. La procedura inizia con la sezione del legamento gastrocolico da destra verso<br />

sinistra a partire dalla metà del <strong>colon</strong> trasverso in corrispondenza della zona translucida<br />

di Bouchet. La Babcok dell’operatore, introdotta dal trocar sovraombelicale con la mano<br />

sinistra, traziona il legamento gastrocolico verso l’alto, mentre quella del II° aiuto<br />

(introdotta dal trocar in FIS) applica una opportuna controtrazione traendo verso il basso<br />

il <strong>colon</strong> trasverso, mediante una presa sul legamento gastrocolico stesso in prossimità<br />

del margine colico; il bisturi ad ultrasuoni (introdotto dal trocar in FID), può così<br />

22


coagulare e sezionare il legamento gastrocolico sotteso tra le due Babcok, aprendo<br />

ampiamente la retrocavità degli epiploon, mantenendosi con la sezione ad un centimetro<br />

dal <strong>colon</strong> e salvaguardando accuratamente l’arcata gastroepiploica controlateralmente.<br />

La manovra si protrae verso sinistra in direzione della milza, fino a sezionare il<br />

legamento splenocolico e frenocolico. L’angolo colico sinistro può quindi essere reclinato<br />

e trazionato verso il basso dalla Babcok in fossa iliaca sinistra (mediante un iniziale<br />

scollamento nel piano di clivaggio al davanti della lamina di Toldt). Medialmente si<br />

identifica il margine inferiore del corpo pancreatico ed inferiormente a questo livello si<br />

apre il peritoneo parietale posteriore, in corrispondenza della inserzione del meso<strong>colon</strong><br />

trasverso. Ciò consente di accedere ad un piano limitato posteriormente e medialmente<br />

dalla fascia di Treitz e lateralmente dall’accollamento della lamina di Toldt su quella di<br />

Gerota. Lungo questo piano avascolare si completa, per via smussa, lo scollamento<br />

della radice del meso<strong>colon</strong> trasverso e della flessura.<br />

Tempo vascolare<br />

Il paziente è posto in Trendelemburg sino a 30°, ed inclinato sul fianco dx. L’omento<br />

viene spostato verso l’alto, traendo con sé il <strong>colon</strong> trasverso. Le anse ileali vengono<br />

alloggiate nello spazio sovramesocolico destro ed in emiaddome dx.<br />

Si espongono in tal modo il meso<strong>colon</strong> e il mesosigma, il promontorio sacrale, il piano<br />

aortico de il Treitz. Dopo il riconoscimento dell’arteria iliaca comune di destra e<br />

dell’uretere destro che la scavalca, si procede alla ampia apertura del foglietto<br />

peritoneale del meso<strong>colon</strong> del discendente-sigma da sotto il promontorio in alto fino a<br />

sinistra dell’angolo duodeno-digiunale di Treitz. La linea di incisione si mantiene sul<br />

versante anteriore dell’aorta. Con questa manovra si attua l’apertura di uno spazio aorto-<br />

mesenterico esteso dal promontorio al Treitz e separato dall’origine dell’arteria<br />

23


mesenterica inferiore in due porzioni: una parte superiore (la prima ad essere “aperta”),<br />

o finestra aorto-mesenterica-vena ed una inferiore, o finestra aorto-mesenterica-arteria.<br />

Il bordo inferiore per entrambe le finestre corrisponde al piano aortico. L’arcata della<br />

vena mesenterica inferiore, così come l’arcata dell’arteria mesenterica inferiore,<br />

trazionate dalla pinza dell’operatore, formano il bordo superiore delle due rispettive<br />

finestre. In prossimità ed a sinistra dell’ angolo duodeno-digiunale di Treitz si reperta la<br />

vena mesenterica inferiore. Questa viene sottesa dalla Babcok dell’operatore, mentre il<br />

bisturi ad ultrasuoni al di sotto di essa inizia la dissezione a livello della finestra aorto-<br />

mesenterica-vena. La procedura è facilitata in parte dalla pneumo-dissezione ma<br />

soprattutto perché a questo livello risulta meglio evidenziabile il piano avascolare Toldt.<br />

Lo scollamento si estende in alto fino all’inserzione sotto pancreatica della radice del<br />

meso<strong>colon</strong> trasverso, unendosi così al precedente piano di scollamento allestito nel<br />

tempo di mobilizzazione dell’angolo colico sinistro e lateralmente, sul piano avascolare<br />

fra Toldt e Gerota, abbattendo così l’uretere ed i vasi gonadici fino a raggiungere la<br />

doccia parietocolica sinistra. Utile in queste fasi una lunghetta sia come tampone che<br />

per mantenere esangue il campo operatorio. Verso il basso la procedura porta all’arteria<br />

mesenterica inferiore che viene isolata a due cm dall’emergenza aortica. Il passaggio<br />

della lunghetta posteriormente all’arteria, dall’alto verso il basso consente estendere in<br />

senso caudale la finestra aorto-mesenterica–vena direttamente nella finestra aorto-<br />

mesenterica-arteria. Anche a questo livello vengono riconosciuti ed abbattuti l’uretere<br />

con i vasi gonadici, mentre la Babcock dell’operatore solleva adesso l’arcata creata<br />

dall’arteria mesenterica inferiore.<br />

Si procede quindi alla sezione di arteria e vena mesenterica inferiori; la legatura<br />

dell’arteria verrà eseguita a due centimetri dall’emergenza aortica prestando attenzione<br />

24


a non ledere i tronchi para-aortici ed in particolare il sinistro, verranno invece sezionati i<br />

rami nervosi per il <strong>colon</strong> sinistro ed il sigma. La sezione verrà effettuata con il bisturi ad<br />

ultrasuoni , dopo il posizionamento di doppie clips. La vena oltre che su clips può essere<br />

coagulata e sezionata con il bisturi ad ultrasuoni. La legatura dei peduncoli vascolari<br />

consente di completare la manovra di scollamento del <strong>colon</strong>.<br />

Giunti a livello dell’ incrocio con i vasi iliaci di sinistra nel 60%-80% dei casi si incontra la<br />

fossetta intersigmoidea, situata nel punto in cui il margine parietale del meso<strong>colon</strong><br />

sigmoideo incrocia il margine mediale del muscolo ileopsoas sinistro. Sollevando in alto<br />

il meso<strong>colon</strong> si evidenzierà un orifizio circolare di circa 10-15 mm. Tale orifizio porta ad<br />

una cavità imbutiforme circondata da una corona di arterie: al di sotto di esso si trovano<br />

l’a. iliaca primitiva con le sue branche di biforcazione e l’uretere sx, al di sopra l’arteria<br />

emorroidaria superiore e le tre arterie sigmoidee.<br />

Questo è un passaggio fondamentale ai fini del riconoscimento dell’uretere, dei vasi<br />

gonadici, del plesso nervoso ipogastrico<br />

Si completa a questo punto la mobilizzazione del <strong>colon</strong> sinistro e del sigma sezionando<br />

la riflessione peritoneale della doccia parietocolica sinistra lungo la linea di Monk,<br />

raggiungendo il piano di scollamento precedentemente realizzato.<br />

Isolamento del retto con escissione del mesoretto<br />

L’intervento prosegue verso il basso con lo scollamento del retto e del mesoretto avvolto<br />

dalla fascia rettale propria. Il piano di dissezione della fascia rettale è in diretta<br />

continuazione con il piano di scollamento della fascia di Toldt.<br />

A livello del promontorio si riconosceranno così il plesso ipogastrico superiore, elemento<br />

largo di aspetto laminare ("lamina ipogastrica superiore”) a stretto contatto con la<br />

biforcazione aortica e con la prominenza ossea del sacro. Tale struttura si continua a<br />

25


monte con i due tronchi simpatici paraortici, a valle con i due nervi ipogastrici (o<br />

presacrali) che divergono nel piccolo bacino e si accollano alla guaina del mesoretto<br />

prossimale, dal quale sono peraltro embriologicamente distinti e quindi dissociabili. I<br />

rami che originano dal plesso ipogastrico inferiore, possono confluire dapprima in un<br />

unico tronco, il nervo presacrale di Latarjet, che poi si sfibra nei due nervi ipogastrici.<br />

La dissezione del peritoneo pelvico anteriore continua 1-2 cm al davanti della riflessione<br />

rettovescicale (nell’uomo) e retto-vaginale (nella donna) per un tratto di 3-4 cm<br />

anteriormente all' aponeurosi di Denonvilliers, a stretto contatto con la parete anteriore<br />

del retto. Anche la dissezione laterale non deve essere spinta troppo distalmente per<br />

non danneggiare i plessi nervosi pelvici situati in corrispondenza delle ali del retto.<br />

La pinza da presa dell’operatore attira il retto verso l'alto. Una seconda pinza da presa (<br />

del II° aiuto) effettua una controtrazione prendendo il peritoneo che ricopre la vescica.<br />

La riflessione peritoneale è incisa da destra verso sinistra. Lo spazio prerettale, limitato<br />

dal <strong>colon</strong> e dall’aponeurosi di Denonvilliers è allora aperto e può essere liberata la<br />

parete anteriore del retto.<br />

Si inizia lo scollamento retrorettale lungo il piano che separa il foglietto parietale della<br />

fascia pelvica posteriormente ed il foglietto viscerale anteriormente. Quest’ultimo<br />

ricopre il mesoretto e bisogna prestare molta attenzione a non lederlo per garantire una<br />

dissezione adeguata dal punto di vista oncologico. In questa fase è molto importante<br />

seguire il plesso ipogastrico fino alla sua dicotomizzazione ed identificare a livello della<br />

biforcazione aortica i due nervi ipogastrici. La dissezione viene iniziata a livello della<br />

divisione dei nervi, si continua lungo la linea mediana e per proseguire poi verso il<br />

basso. La buona visualizzazione dei nervi ipogastrici e del plesso pelvico laterale<br />

garantisce una corretta exeresi lungo il piano corretto, senza aprire il foglietto viscerale<br />

26


che avvolge il mesoretto. Le ali del retto non vanno scheletrizzate troppo lateralmente<br />

poichè si rischia di danneggiare o di recidere il plesso pelvico laterale.<br />

Lungo le ali del retto decorre l’arteria rettale media (presente nel 30 % dei casi) che<br />

viene sezionata direttamente mediante il bisturi ad ultrasuoni. La dissezione di<br />

quest’ultima deve essere eseguita senza trazione poichè è in stretto rapporto con il<br />

plesso pelvico laterale.<br />

Durante questo tempo il retto con il mesoretto è lussato e trazionato in avanti così da<br />

lasciare i nervi addossati alle pareti della pelvi. La dissezione si estende verso il basso in<br />

direzione del piano degli elevatori fino a sezionare il legamento sacro-rettale che<br />

consente la resezione della parte terminale del mesoretto.<br />

Anteriormente la dissezione viene condotta a contatto con le vescicole seminali, al<br />

davanti all’aponeurosi prostatoperitoneale di Denonvilliers sino alla base della prostata.<br />

A questo livello, lungo la linea mediana non vi sono rischi di lesionare i nervi, mentre<br />

lateralmente, al di fuori dell’aponeurosi di Denonvilliers, decorrono i nervi cavernosi<br />

che originano dai rami sacrali S2, S3, S4 (nervi erigentes) e che si dirigono verso la<br />

fascia posterolaterale della prostata (bandelletta neurovascolare di Walsh)<br />

macroscopicamente non evidenziabile.<br />

Nella donna la dissezione viene condotta lungo la parete posteriore della vagina.<br />

Il retto pelvico è così completamente isolato.<br />

Sezione del retto<br />

Attraverso il trocar posto in FID s'introduce una suturatrice lineare Endogia roticulator<br />

che provvederà alla sezione del retto. Possono essere necessari più colpi di suturatrice<br />

ed è necessario, per ottenere una sezione ottimale che l'asse del <strong>colon</strong> e quello della<br />

27


suturatrice siano perpendicolari. La sezione potrà essere eseguita a seconda dei casi<br />

con carica blu o verde per i tessuti spessi.<br />

Esteriorizzazione e resezione del <strong>colon</strong><br />

Attraverso la minilaparotomia in FIS viene estratto il <strong>colon</strong>. Essa è protetta da un<br />

dispositivo in plastica tipo Vi-drape con anello di 123 mm di diametro o con il sistema<br />

Lap-disc.<br />

E’ indispensabile controllare l'integrità dell'arcata marginale di Drummond, vaso<br />

funzionale del <strong>colon</strong> che nel tratto corrispondente al <strong>colon</strong> trasverso distale, flessura<br />

splenica e discendente prossimale si identifica nell'arcata di Riolano e che può<br />

presentare punti in cui le connessioni anastomotiche sono poco sviluppate o addirittura<br />

assenti. Essa ha un percorso anastomotico paracolico dal cieco al sigma, lungo il<br />

versante mesenteriale a circa 3 cm dal margine intestinale e può essere paragonato ad<br />

un "cerchio di bicicletta", di cui le arterie coliche principali costituiscono i raggi (cinque<br />

pilastri: ileocolica, colica destra, colica media, colica sinistra, sigmoidea).<br />

Verificata la vascolarizzazione del <strong>colon</strong> si procede alla sua resezione. Posizionata la<br />

pinza a rastrello, si confeziona la borsa di tabacco sul moncone colico prossimale. Una<br />

testina di una suturatrice meccanica n° 29 è introdotta nel <strong>colon</strong> dopo aver realizzato la<br />

borsa di tabacco. Il <strong>colon</strong> con la testina è riposto in cavità addominale. Seguono la<br />

chiusura a strati della minilaparotomia di servizio e la reinduzione del pneumoperitoneo.<br />

Anastomosi<br />

La suturatrice circolare è introdotta per via transanale e viene confezionata un’<br />

anastomosi TT transanale secondo Knight-Griffen. Ricordiamo a tale proposito alcuni<br />

piccoli particolari di tecnica:<br />

28


1) il pistone dell’EEA va fatto fuoriuscire a metà della linea di sutura del moncone di<br />

resezione distale.<br />

2) è indispensabile un buon coordinamento tra chi introduce la stapler e il primo<br />

operatore. Allorchè la stapler mette delicatamente in tensione il moncone rettale,<br />

l’operatore afferrando con le Babcok le due estremità a cul di sacco della linea di sutura<br />

orienta e dispone correttamente il moncone consentendo il passaggio del pistone della<br />

suturatrice nel punto ideale.<br />

3) prima di serrare definitivamente la EEA va verificata l’assenza di torsione del <strong>colon</strong><br />

prossimale.<br />

4) l’anastomosi deve essere senza tensione e ben vascolarizzata<br />

L’intervento si conclude con il confezionamento di una ileostomia temporanea di<br />

protezione in tutte le resezioni basse per neoplasie del retto medio-distale o in<br />

relazione al giudizio dell’operatore nei casi di anastomosi ritenute a rischio.<br />

29


Disposizione degli operatori, assistenti e strumentazione<br />

30


Figure 3 e 4: Rappresentazione schematica della disposizione<br />

dei Trocars e Linea di incisione in FIS per l’estrazione del<br />

pezzo<br />

31


Mobilizzazione dell’angolo colico sinistro<br />

Vena Mesenterica Inferiore, Uretere e Vasi Gonadici sinistri<br />

32


Arteria Iliaca destra e Uretere destro<br />

Duplice finestra Aorto Mesenterica Arteria-Vena<br />

33


.<br />

Sezione della Vena Mesenterica con bisturi ad Ultrasuoni<br />

Sezione dell’Arteria Mesenterica Inferiore tra clips<br />

34


Plesso Ipogastrico<br />

Piano degli elevatori<br />

35


Anastomosi Retto-Colica sec. Knight-Griffen<br />

36


Exeresi Totale del Mesoretto<br />

Un’ampia revisione di studi i, ii relativi al drenaggio linfatico del retto ha permesso una più<br />

approfondita comprensione della diffusione linfatica dei tumori rettali. Infatti, è ormai<br />

dimostrato, che le reti linfatiche sottomucose e perimuscolari del retto, confluendo, si<br />

portano nel tessuto adiposo perirettale, definito mesoretto. Quest’ultimo, di aspetto<br />

bilobato e a sviluppo prevalentemente postero-laterale rispetto al viscere è rivestito dalla<br />

fascia recti e contiene tutte le stazioni linfonodali tributarie del drenaggio linfatico del<br />

retto. Dal mesoretto i collettori linfatici possono poi portarsi lungo la via di drenaggio<br />

“ascendente” che decorre verso i vasi emorroidari superiori per salire alla vena<br />

mesenterica inferiore, oppure scivolare lateralmente lungo i vasi rettali medi per<br />

raggiungere i linfonodi ipogastrici, iliaci ed otturatori. In quest’ottica, se la vena<br />

mesenterica inferiore viene definita l’“ascella” del retto in quanto rappresenta la via di<br />

fuga linfatica più battuta nelle neoplasie rettali, alla stregua dell’ascella nel cancro del<br />

seno, possiamo definire l’intero mesoretto come il “linfonodo sentinella” del retto proprio<br />

perché contiene le prime stazioni linfonodali che drenano la linfa del viscere iii .<br />

Questi presupposti hanno indotto i chirurghi sopracitati i.ii (Heald, Husband. Ryall e coll.)<br />

ad effettuare sistematicamente nei tumori del retto medio-basso, l’asportazione<br />

completa del mesoretto, con l’obbietivo di ottenere un migliore controllo locale della<br />

malattia, riducendo le recidive locali e migliorando la sopravvivenza. I risultati pubbilcati<br />

da Heald sono stati poi confermati da Enker e coll., e da Aitken e coll, che dimostrarono<br />

la netta riduzione dell’incidenza di recidive dal 40% a meno del 10% iv, v .<br />

L’asportazione del mesoretto ha una valenza sia stadiativa che curativa vi,vii . Infatti, non<br />

permette soltanto una più accurata stadiazione della malattia, ma garantendo<br />

un’adeguata clearance posteriore permette il miglior controllo locale, con riduzione delle<br />

37


ecidive pelviche e conseguente incremento della sopravvivenza a distanza viii . L’insieme<br />

di queste evidenze suggerisce che l’exeresi totale del mesoretto rappresenta il gold<br />

standard nel trattamento chirurgico del cancro del retto.<br />

Bibliografia<br />

i<br />

Sauer L., Bacon H.E.; “Influence of lateral spread of cancer of the rectum on radicability of operation and prognosis”;<br />

American Journal of Surgery 1951; 81:111-20;<br />

ii<br />

Quirke P., Durdey P., Dixon M.F., Williams N.S.; “Local recurrence of rectal adenocarcinoma due to inadequate surgical<br />

resection. Histopatological study of lateral tumor spread and surgical excision”;<br />

Lancet 1986; 2:996-999;<br />

iii<br />

Landi E., Siquini W., Marmorale C.; “Il cancro del retto:lo stato dell’arte”;<br />

General Surgery 2000; 21:460-473;<br />

iv<br />

Enker W., Thaler W.et al.; “Total mesorectal excision in the operative treatment of carcinoma of the rectum”;<br />

American Journal of Surgery 1995; 83:375-379;<br />

v<br />

Aitken R.J.; “Mesorectal excision for rectal cancer”;<br />

Lancet 1993; 341:457-460;<br />

vi<br />

W.L. Law and K.W. Chu “Impact of total mesorectal excision on the result of surgery of distal rectal cancer;<br />

British Journal of Surgery 2001; 88: 1607-1612;<br />

vii<br />

D.P. O’Leary, C.J. Fide, C.Foy, M.E. Lucarotti; “Quality of life after low anterior resection with total mesorectal excision<br />

and temporary loop ileostomy foe rectal carcinoma.<br />

British Journal of Surgery 2001;88: 1216-1220;<br />

viii<br />

Pikarsky A.J., Rosenthal R., Weiss E.G., Wexner S.D.; “Laparoscopic total mesorectal excision”;<br />

Surgical Endoscopy 2002; 16: 558-562;<br />

38


Standardizzazione della tecnica dell'emicolectomia sinistra laparoscopica con<br />

Linfoadenectomia radicale<br />

C.A. SARTORI, B. FRANZATO<br />

Divisione di Chirurgia Generale<br />

Chirurgia Generale e Videochirurgia<br />

Ospedale S. Camillo – Treviso<br />

Riassunto Viene descritta dettagliatamente una tecnica standardizzata dell'emicolectomia<br />

sinistra laparoscopica sulla base dei principali lavori in letteratura e dell'esperienza personale<br />

degli Autori, maturata in 166 casi operati. Sono menzionati il materiale necessario e tutti i<br />

singoli passaggi per eseguire uno dei più complessi interventi nell’ ambito delle tecniche<br />

laparoscopiche<br />

Introduzione<br />

La chirurgia laparoscopica del <strong>colon</strong> si sta diffondendo sempre di più, grazie ai vantaggi che<br />

offre in termini di più rapida ripresa delle condizioni generali, più breve ospedalizzazione e<br />

probabilmente in un vantaggio relativo alla minor inibizione delle difese immunitarie correlata<br />

con un minor trauma operatorio. Tra le maggiori difficoltà relative a questo tipo di approccio<br />

per la patologia del <strong>colon</strong>-retto, vi è la necessità di ottenere e mantenere una buona<br />

esposizione del campo operatorio, la necessita di eseguire una serie di gesti chirurgici<br />

complessi, che comporta, almeno inizialmente una durata complessiva delI'intervento<br />

piuttosto lunga. Fondamentale risulta l'attitudine del chirurgo ad una tecnica anatomicamente<br />

corretta. Fra le varie tecniche di resezione colica, quella più utilizzata è I'emicolectomia<br />

sinistra, a causa della più frequente incidenza di patologia in questa parte del <strong>colon</strong>. Nel<br />

presente lavoro viene presentata una tecnica standardizzata dell'emicolectomia sinistra<br />

laparoscopica, facendo riferimento ai dati della letteratura ed all'esperienza personale relativa<br />

a 166 casi operati.<br />

Casistica personale<br />

Da gennaio 1995 a marzo 1999 sono stati eseguiti 166 interventi chirurgici in laparoscopia sul<br />

<strong>colon</strong>/retto. Si trattava di 79 maschi e 93 femmine, di età compresa tra 17 e 86 anni (media<br />

66.3). 101 pazienti (60.8%) sono stati operati per patologia maligna. La tecnica di seguito<br />

illustrata è stata perfezionata nel corso di 75 emicolectomie sinistre (45.2% del totale degli<br />

interventi sul <strong>colon</strong> in laparoscopia. La durata media dell'intervento chirurgico si è<br />

progressivamente ridotta, mano a mano che I'operatore usciva dalla "learning curve",<br />

passando dai 232,3 minuti nel corso dei primi 50 casi agli attuali 140,1 minuti, negli ultimi 10<br />

casi. Analoghi risultati si sono osservati anche per altre procedure chirurgiche. Mano a mano<br />

che la tecnica dell'intervento veniva standardizzata, i tempi operatori tendevano ad<br />

uniformarsi, a testimonianza della progressiva codificazione dei gesti e della successione del<br />

passaggio. Le stesse osservazioni si sono ripetute per I'incidenza della morbilità maggiore<br />

negli interventi laparoscopici sul <strong>colon</strong>/retto: da una morbilità del 18.0% relativa ai primi 50<br />

casi si è passati ad una morbilità del 6.0% relativa ai successivi 116<br />

(Tab. l e Il).<br />

39


Tab. I. Complicanze in 166 interventi sul <strong>colon</strong>-retto per via laparoscopica<br />

Complicanze maggiori 17 (10,2%)<br />

Deiscenze anastomosi 6 (3.6%) (2 rioperati)<br />

Raccolte addominali 3 (1.8%)<br />

Sanguinamento 2 (1.2%) (1 rioperato)<br />

Ischemia <strong>colon</strong> 3 (1.8%) (2 rioperati)<br />

Lesione uretere 1 (0.6%)<br />

Lesione A.M.I. 1 (0.6%)<br />

Chiloperitoneo 1 (0.6%) (rioperato)<br />

Complicanze minori 9 (5.4%)<br />

Suppurazione ferita 9 (5,4%)<br />

Complicanze generali 6 (3.6%)<br />

Infezione vie urinarie 3 (1.8%)<br />

Scompenso ascitico 1 (0.6%)<br />

Embolia polmonare 1 (0.5%) (decesso)<br />

Infarto miocardio 1 (0.6%) (decesso)<br />

Tab. Il. Confronto tra la morbilità maggiore nei primi 50 e quella dei successivi 116 casi<br />

Complicanza Primi 50 casi Successivi 116 casi<br />

Deiscenza anastomosi 5 (10%) 2 (1,7%)<br />

Raccolte addominali 1 ( 2.0%) 1 (0,8%)<br />

Sanguinarnenti 1 ( 2.0%) 1 (0,8%)<br />

Ischemia <strong>colon</strong> 1 ( 2.0%) 1 (0,8%)<br />

Lesione uretere 1 ( 2.0%) -<br />

Lesione a. mes. inf. - 1 (0,8%)<br />

Chiloperitoneo - 1 (0,8%)<br />

TOTALE 9 (18,0%) 7 (6,0%)<br />

Preparazione, materiali e tecnica<br />

1. Preparazione del paziente<br />

La preparazione del paziente è la. stessa per interventi sul <strong>colon</strong> in laparoscopia o in<br />

laparotomia: vengono somministrati agenti catartici per os il giorno prima dell'intervento<br />

chirurgico; viene iniziata una chemioprofilassi antibiotica a largo spettro ed una profilassi delle<br />

tromboembolie la mattina delI'intervento chirurgico. Dopo induzione dell'anestesia generale<br />

con intubazione oro-tracheale viene posizionato un sondino naso-gastrico ed un catetere<br />

vescicale. Il paziente viene posizionato sul tavolo operatorio in posizione supina con le<br />

braccia lungo il corpo, le gambe divaricate e le ginocchia flesse non più di 15" per evitare<br />

limitazioni al movimento degli strumenti laparoscopici durante la procedura chirurgica. Il<br />

vantaggio dato da questa posizione delle gambe del paziente è quello di consentire al<br />

chirurgo di porsi tra le gambe del paziente nel corso di alcune fasi dell'intervento quali la<br />

mobilizzazione della flessura splenica ed il confezionamento dell'anastomosi colo-rettale o<br />

coloanale. Il tavolo operatorio dovrà consentire posizioni di Trendelemburg, anti-<br />

Trendelemburg e rotazione laterale molto spinte perché l'esposizione del campo operatorio è<br />

affidata quasi esclusivamente alla forza di gravità, il paziente andrà saldamente assicurato al<br />

tavolo operatorio a mezzo di una cintura a livello pelvico e a ciascun arto inferiore oltre al<br />

reggi spalle.<br />

40


2. Preparazione del campo chirurgico e posizione della strumentazione<br />

Il campo chirurgico deve essere preparato per un ampio ventaglio di possibilità di accesso e<br />

quindi molto ampio, dal torace al pube e più lateralmente possibile sui fianchi, lasciando libero<br />

accesso al perineo. E’ necessario disporre di due monitor, posizionandone uno a fianco della<br />

spalla sinistra del paziente ed uno a fianco dell'arto inferiore sinistro.<br />

Sotto il primo monitor verrà sistemata la <strong>colon</strong>na degli strumenti (insufflatore, fonte luminosa,<br />

dispositivo di lavaggio-aspirazione, telecamera e videoregistratore).<br />

Una volta disposto l'armamentario laparoscopico si induce lo pneumoperitoneo secondo le<br />

preferenze abituali ma tenendo presente che in caso di pregressi episodi di ascesso<br />

diverticolare, di perforazione o di pregressi interventi chirurgici sull'addome è preferibile<br />

l'accesso "open" alla cavità peritoneale.<br />

3. Materiale laparoscopico<br />

Sono necessari:<br />

1 trocar da 12 mm con possibilità di riduzione a 5mm<br />

3 trocars da 10 mm.<br />

1 o 2 trocars da 5 mm.<br />

per la manipolazione delle anse intestinali si consiglia I'uso di pinze da presa<br />

atraumatiche tipo "Johann - Microfrance" (almeno 3)<br />

1 portaaghi<br />

1 forbice con possibilità di coagulare con corrente monopolare o bipolare<br />

strumento utilissimo si è rivelato il coagulatore ad ultrasuoni, per i noti vantaggi che<br />

comporta il suo uso nella dissezione dei piani.<br />

un'ottica a 30 gradi.<br />

alcune lunghette di garza lunghe circa 10 cm e larghe 9<br />

suturatrici meccaniche lineari endoscopiche da 30 o 60 mm. con caricatori a tipo<br />

intestinale e a tipo vascolare<br />

una pinza applicatrice di clips<br />

sistema di legatura con confezionamento di nodi in extracorporeo e un protettore<br />

parietale in plastica tipo Vi-Drape piccolo con anello di 12 mm di diametro<br />

una pinza "a rastrello" e aghi retti con filo non riassorbibile per il confezionamento della<br />

borsa di tabacco all'estremità prossimale del <strong>colon</strong> resecato<br />

suturatrici meccaniche circolari<br />

un secondo tavolino per la strumentista con strumentazione tradizionale per la parte<br />

dell'intervento a cielo aperto.<br />

Occorrerà avere a disposizione in sala operatoria un <strong>colon</strong>scopio ed un rettoscopio poiché se<br />

la lesione da asportare non fosse visibile dall'interno dell'addome sarebbe necessario<br />

procedere ad una sua accurata localizzazione o controllare l'adeguatezza della resezione<br />

chirurgica, sempre che non si sia proceduto a tatuaggio della lesione con inchiostro o altre<br />

colorazioni, in fase preoperatoria. Fondamentale infine è I'uso dell'apparecchiatura ecografica<br />

con sonda laparoscopica per la stadiazione della lesione a livello epatico.<br />

41


4. Posizione degli operatori<br />

L'operatore si pone inizialmente alla destra del paziente, il primo aiuto a sinistra<br />

dell'operatore, il secondo aiuto a sinistra del paziente, la strumentista a destra dell’ operatore,<br />

a livello dell'arto inferiore destro del paziente.<br />

5. Posizione dei trocars<br />

Dopo aver introdotto il primo trocar da 10 mm a livello ombelicale per l'ottica, si procede<br />

all'introduzione dei successivi sotto diretto controllo visivo: si procederà quindi<br />

all'individuazione di vasi epigastrici di destra ed all'introduzione del trocar da 12 mm<br />

lateralmente ad essi, al 1/3 laterale della linea spina iliaca anteriore superiore-ombelico.<br />

Viene posizionato successivamente il secondo trocar da 10 mm 8-10 cm. cranialmente al<br />

trocar da 19 mm Il terzo trocar da 10 mm. verrà posizionato il più lateralmente possibile in<br />

fianco sinistro del paziente all'altezza dell'ombelicale trasversa. L'utilità della estrema<br />

lateralizzazione di questo trocar verrà apprezzata allorché l'operatore si posizionerà tra le<br />

gambe del paziente per eseguire il tempo della mobilizzazione della flessura splenica: più<br />

laterale sarà la posizione del trocar più agevole sarà la presa della mano destra dell'operatore<br />

in questa fase. Infine si procede all'introduzione di un trocar da 5 mm a livello della linea<br />

mediana, subito caudalmente alprocesso xifoideo.<br />

Si consiglia di fissare saldamente alla parete addominale, possibilmente con un punto<br />

trasfisso, a tutto spessore, il trocar da 12 mm ed il trocar da 10 mm in fianco destro in quanto<br />

tendono a dislocarsi nel sottocute piuttosto facilmente nel corso dell'intervento, causando non<br />

solo fastidiose perdite di tempo ma anche il passaggio della C02 nel tessuto sottocutaneo<br />

stesso con conseguente aumento della "End-Ti-dal C02" e la comparsa di enfisema<br />

sottocutaneo.<br />

6. Esplorazione addominale e stadiazione intraooeratoria<br />

Prima di iniziare qualsiasi manovra dovrà essere eseguita una meticolosa esplorazione della<br />

cavità peritoneale. Tutte le eventuali aderenze che impediscano la mobilizzazione del <strong>colon</strong> e<br />

delle anse del tenue dovranno essere lisate. Il passo successivo sarà quello, ne! caso si tratti<br />

di neoplasia maligna, di stadiare la lesione mediante l'ecografia intraoperatoria laparoscopica<br />

del fegato, il lavaggio intraoperatorio del cavo peritonea!e con l'invio del liquido per esame<br />

citologico estemporaneo e la localizzazione, se visibile, della neoformazione verificando<br />

l'eventuale sconfinamento verso organi circostanti e l'assenza di carcinosi peritoneale. Nella<br />

donna si potrà procedere alla sospensione dell'utero alla parete addominale mediante un<br />

agoretto infisso nella parete addominale, a livello sovrapubico, ricuperato con porta-aghi<br />

dall'interno del cavo addominale, passato attraverso il corpo uterino, nuovamente fatto<br />

fuoriuscire per trasfissione della parete addominale dall'interno e annodato all'esterno.<br />

7. Esposizione del campo operatorio<br />

Si posiziona quindi il paziente in posizione di Trendelemburg spinto con rotazione laterale<br />

destra, in modo da far cadere per gravità la matassa intestinale verso il fianco e I'ipocondrio<br />

di destra. Con le pinze da presa atraumatiche introdotte attraverso i trocar inseriti in fianco ed<br />

in fossa iliaca destra I'operatore sposterà quindi I'omento cranialmente, in modo da scoprire il<br />

42


<strong>colon</strong> trasverso, e le anse del tenue verso destra in modo che il campo operatorio sia<br />

perfettamente sgombro e I'esposizione costante. Una perfetta preparazione intestinale preoperatoria<br />

con intestino tenue completamente vuoto da rnateriale liquido e gassoso sarà di<br />

grande aiuto in questa fase, facilitandone notevolmente I'esecuzione. Una volta individuato il<br />

Treitz, questo viene afferrato dal primo aiuto con pinza da presa atraumatica iniserita nel<br />

trocar a livello del processo tifoideo e tenuto sollevato e un poco discosto verso destra. Il<br />

secondo aiuto afferrerà il meso del sigma a livello dell'incrocio con i vasi iliaci di sinistra e lo<br />

terrà teso caudalmente, sollevando così l'arteria mesenterica inferiore dalla sua origine a<br />

livello aortico. Queste manovre degli aiuti consentiranno all'operatore di agire con entrambe le<br />

mani libere dalla preoccupazione di mantenere I'esposizione e, in caso di emergenza, di poter<br />

disporre della massima libertà di movimento.<br />

8. Individuazione del piano e sezioni vascolari<br />

L'operatore a questo punto provvede a staccare il Treitz da quelle aderenze lasse ed<br />

avascolari che lo tengono unito alla vena mesenterica inferiore. Successivamente viene<br />

aperto tutto il peritoneo, dal Treitz allo scavo pelvico, lungo il decorso dell’aorta ed a sinistra<br />

dei vasi iliaci di destra, procedendo poi con la dissezione medio-lateralmente, ricercando il<br />

piano tra la fascia di Toldt (anteriore) e la fascia di Gerota (pesteriore), immediatamente al<br />

disotto dei vasi mesenterici inferiori. Il piano esatto viene ricercato inizialmente e più<br />

facilmente posteriormente alla vena mesenterica inferiore, che viene sollevata per facilitare Ia<br />

dissezione posteriore. Eseguita questa manovra, il primo aiuto lascia cadere il Treitz e afferra<br />

con la sua pinza la vena mesenterica inferiore, ,mantenendola solleva. In questo modo tutte<br />

le strutture retroperitoneali, tra cui vasi gonadici, uretere, plesso nervoso parasimpatico,<br />

vengono lasciate posteriormente ed il meso del <strong>colon</strong> anteriormente. Procedendo su questo<br />

piano caudalmente, si incontra l'origine dell'arteria mesenterica inferiore, che viene isolata,<br />

legata secondo le preferenze individuali (legatura con lacci, uso di clip, uso di suturatrice<br />

meccanica vascolare) e sezionata. Questa è una manovra che si consiglia di eseguire<br />

indipendentemente dal tipo di patologia del <strong>colon</strong> che si affronta in laparoscopia, in quanto la<br />

dissezione risulta molto più agevole e si limita il numero di legature vascolari da eseguire.<br />

Successivamente I'operatore passa all'isolamento ed alla sezione della vena mesenterica<br />

inferiore. A questo punto il primo aiuto afferra il moncone distale della vena mesenterica<br />

inferiore ed il secondo aiuto il moncone distale dell'arteria mesenterica inferiore, mantenendo<br />

così la tenda che si viene a formare sollevata dal piano posteriore: questa tenda deve essere<br />

mantenuta sollevata e tesa verso la destra del paziente. L'operatore separa per via smussa la<br />

fascia di Gerota dalla fascia di Toldt da destra verso sinistra fino alla doccia parieto-colica<br />

sinistra ed alla flessura splenica. A questo punto è visibile in alto il margine inferiore del<br />

pancreas, e I'operatore passa anteriormente ad esso e da destra verso sinistra, sezionando<br />

la radice del meso<strong>colon</strong> trasverso, il che faciliterà notevolmente il successivo abbassamento<br />

della flessura sinistra. Più caudalmente si seguirà il piano creato in precedenza rimanendo<br />

sempre strettamente a ridosso e posteriormente all'arteria mesenterica inferiore, sino a<br />

giungere in prossimità della parete addominale laterale sinistra, preparando la fase<br />

successiva del distacco colo-parietale.<br />

9. Distacco colo-parietale<br />

Il peritoneo parietale viene sezionato lungo il margine laterale del <strong>colon</strong> a partire dal sigma<br />

prossimale per proseguire in direzione della flessura splenica incontrando il piano preparato<br />

43


in precedenza con lo scollamento mediale. Il primo aiuto afferrerà il <strong>colon</strong> qualche centimetro<br />

prossimamente rispetto alla presa dell'operatore e terrà in tensione il <strong>colon</strong> spostandolo verso<br />

destra e sollevandolo leggermente, per facilitarne il distacco dal peritoneo parietale.<br />

10. Abbassamento della flessura splenica<br />

L'operatore cambierà a questo punto posizione collocandosi tra le gambe del paziente ed<br />

utilizzando con la mano destra il trocar da 10 mm. posto in fianco sinistro e con la mano<br />

sinistra il trocar da 10 mm posto in fianco destro del paziente. Il primo aiuto potrà utilizzare,<br />

oltre alla telecamera, il trocar da 12 mm in fossa iliaca destra ed il secondo aiuto il trocar da 5<br />

mm posto a livello del processo xifoideo. Il paziente viene mantenuto in posizione di<br />

Trendelemburg: il primo aiuto afferrerà il <strong>colon</strong> discendente, tenendolo in tensione<br />

caudalmente, il secondo aiuto afferrerà il <strong>colon</strong> trasverso, in prossimità della flessura,<br />

tenendolo in tensione caudalmente e leggermente verso destra. L'operatore proseguirà Iungo<br />

il piano creato in precedenza con lo scollamento colo-parietale dirigendosi verso la radice de!<br />

meso<strong>colon</strong> traverso staccata in precedenza lungo il margine inferiore del<br />

pancreas. Se necessario si potrà eseguire anche un parziale scollamento coloepiploico della<br />

metà sinistra del <strong>colon</strong> trasverso.<br />

11. Sezione del mesoretto e del retto<br />

Ritornato I'operatore nella posizione iniziale, alla destra del paziente, proseguirà nella<br />

dissezione, che si consiglia di effettuare con il bisturi ad ultrasuoni, al fine di poter isolare e<br />

sezionare il tesoretto ed infine il retto, sezionando i vasi emorroidali superiori. Il primo aiuto in<br />

questa fase afferrerà I'asse dell'arteria mesenterica inferiore; il secondo aiuto il sigma, dalla<br />

sua parte antimesenterica, trazionando il sigma cranialmente ed a destra o a sinistra, a<br />

seconda delle necessità. L'eccellente visione data dal laparoscopio e una buona esposizione<br />

consentono la discesa nello scavo pelvico se necessario fino al piano degli elevatori dell'ano.<br />

Terminata questa fase e avendo avuto cura di preparare il retto per un tratto di 3-4 cm.,<br />

sezionando<br />

il grasso perirettale in modo ortogonale alla futura linea di sezione rettale, senza<br />

scheletrizzare, eccessivamente il moncone rettale distale, si procederà all'introduzione della<br />

cucitrice meccanica lineare attraverso il trocars da 12 mm. posizionato in fossa iliaca destra.<br />

Nella mano sinistra si consiglia l'uso di una pinza da presa atraumatica che possa clampare il<br />

<strong>colon</strong> subito prossimalmente alla sede prescelta per la sezione, il che comporta il vantaggio di<br />

poter lavare con soluzione acquosa di Betadine dall'ano il retto prima dell'utilizzo della<br />

suturatrice meccanica e di preparare il retto all'ingresso della suturatrice meccanica lineare<br />

laparoscopica. Nella nostra esperienza preferiamo ricorrere all'utilizzo di due successive<br />

applicazioni della suturatrice lineare endoscopica da 30 mm, in quanto è possibile introdurla<br />

da un trocar da 12 mm, anziché da 18 mm.<br />

Si posiziona una pinza da presa atraumatica sul moncone colico distale per poterlo reperire<br />

con facilità all'apertura dell'addome e ci si prepara al confezionamento della minilaparotomia<br />

di servizio.<br />

12. Mini-laparotomia di servizio, estrazione del pezzo operatorio e confezionamento<br />

dell'anastomosi colo-rettale<br />

44


La sede da noi preferita per il confezionamento della mini-laparotomia è la fossa iliaca<br />

sinistra, poiché consente in caso di necessità, a differenza di aItri approcci, un suo<br />

"allargamento" con rapido accesso al campo operatorio. Ottime soluzioni si sono comunque<br />

rivelate mini-laparotomie sec. Pfannenstiel o in fossa iliaca destra. Dopo aver aperto i piani<br />

con tecnica di Mc Burney, si introduce il Vi-Drape, per proteggere la parete addominale da<br />

qualsiasi contaminazione da parte di materiale intestinale, insemenzamento da parte di<br />

cellule neoplastiche. Recuperato il pezzo operatorio con pinza ad anelli, lo si estrae e si<br />

sceglie il punto per la sezione del <strong>colon</strong> prossimale, tenendo<br />

sempre conto della regola che per un'anastomosi soffice, non in tensione e sicura a livello del<br />

retto medio, il moncone distale del <strong>colon</strong> deve arrivare all'altezza dell'osso pubico.<br />

Posizionata la pinza "a rastrello", si confeziona la borsa di tabacco, si dilata, se necessario,<br />

molto dolcemente il <strong>colon</strong> con dilatatori di Hegar ben lubrificati e si introduce la testina della<br />

cucitrice meccanica circolare, che dovrà avere calibro minimo di 28 mm, per evitare future<br />

stenosi dell'anastomosi.<br />

Reintrodotto il <strong>colon</strong> in addome, si rimuove il Vi-Drape. La mini-laparotomia potrà essere<br />

chiusa, in questa fase, in maniera provvisoria, mediante pinze di Bernard posizionate a tutto<br />

spessore "cute-peritoneo", o in maniera definitiva.<br />

Si induce nuovamente lo pneumoperitoneo e si confeziona I'anastomosi colo-rettale termino<br />

terminale con suturatrice meccanica transanale secondo Knight-Griffen sotto il diretto<br />

controllo del laparoscopio e con I'ausilio di una pinza da presa che guiderà la testina verso il<br />

mandrino della suturatrice meccanica transanale. L' intervento si conclude con il<br />

posizionamento di 2 drenaggi nello scavo pelvico in aspirazione secondo Redon, con la<br />

sutura a strati di tutte le brecce chirurgiche di almeno 10 mm. di diametro, per evitare il rischio<br />

di laparoceli e con la sutura della<br />

mini-laparotomia di servizio. La seguente letteratura offre un contributo di approfondimento<br />

all' argomento dell'articolo.<br />

Bibliografia<br />

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46


Posizione del paziente<br />

L’Emicolectomia sinistra secondo la tecnica<br />

di Cristiano G.S. Huscher<br />

Paziente in decubito dorsale, in posizione litotomica con il braccio destro lungo il corpo, le<br />

gambe divaricate e le ginocchia flesse a non più di 15 gradi<br />

Il chirurgo si posiziona a destra del paziente, l’aiuto alla sua destra e la strumentista tra le<br />

gambe del paziente.<br />

Strumentario<br />

3 o 4 trocars da 10-12 mm<br />

Pinze da presa da 10 mm<br />

Dissettore ad Ultrasuoni con manipolo da 10 mm.<br />

Ottica da 30° gradi<br />

Lunghette di garza cm. 20 x 3<br />

Protettore di parete in plastica tipo Vi-Drape con anello da 123 mm. O Lap-disc<br />

Suturatrice laparoscopica da 45-60 mm. con caricatore intestinale e vascolare<br />

Pinza a rastrello per confezione della borsa di tabacco sul <strong>colon</strong> resecato<br />

Suturatrice meccanica circolare 29 mm.<br />

47


Disposizione dei trocars<br />

Il primo trocar è posto sopra l’ombelico e consente di introdurre inizialmente l’ottica ed<br />

in seguito la pinza da presa o le forbici ad ultrasuoni<br />

Il secondo trocar da 10 mm è situato al fianco destro sulla linea emiclaverare ,<br />

qualche cm più in basso rispetto all’ombelico; attraverso tale trocar si introduce l’ottica<br />

Il terzo trocar di 10 mm è collocato in fossa<br />

iliaca destra, sull’emiclaveare destra.<br />

Attraverso esso si introdurranno l’Ultracision e la suturatrice lineare laparoscopica. In<br />

tale sede si potrà eseguire la minilaparotomia per l’estrazione protetta del reperto<br />

mediante V-Drape ad anello.<br />

In caso di necessità un quarto trocar può essere posto in fianco sinistropsull’emiclaveare<br />

all’altezza dell’ombelico.<br />

48


Procedure preliminari<br />

Il paziente è posto in anti-Trendelenburg di 10° gradi e ruotato verso destra di circa 20° gradi<br />

Il grande epiploon viene portato sullo stomaco al di sopra del lobo sinistro del fegato,<br />

esponendo il <strong>colon</strong> traverso. La posizione di anti-Trendelemburg vie aumentata fino a<br />

30°gradi. Le anse intestinali sono poste nello spazio sopramesocolico esponendo l’angolo<br />

duodenodigiunale di Treitz. Per favorire la completa esposizione della pelvi è necessario<br />

posizionare verso alto il cieco e l’ultima ansa ileale.<br />

Mobilizzazione dell’angolo colico sinistro<br />

Consente di ottenere l’allungamento e l’abbassamento dell’angolo colico di sinistra e di<br />

realizzare un’anastomosi senza tensione.<br />

Si apre il legamento gastrocolico distalmente all’arcata dei vasi gastropepiplooici di destra e si<br />

accede alla retrocavità degli epiploon.<br />

Si individua il bordo inferiore del pancreas e la radice del meso<strong>colon</strong> traverso. Si seziona il<br />

legamento splenocolico con Ultracision e si incide il meso<strong>colon</strong> traverso 1 cm inferiormente al<br />

bordo inferiore del pancreas. In tal modo si evitano lesioni iatrogene del pancreas e l’epiploon<br />

rimasto adeso alla flessura e al <strong>colon</strong> discendente sarà utilizzato per proteggere l’anastomosi<br />

colorettale.<br />

Legatura di arteria e vena mesenterica inferiore<br />

La dissezione prosegue afferrando e sollevando il meso<strong>colon</strong> sigmoideo a livello dell’incrocio<br />

dei vasi iliaci di sinistra.Il foglietto peritoneale alla radice del meso<strong>colon</strong> viene sollevato ed<br />

49


inciso con il bisturi ad ultrasuoni dal basso verso l’alto, dal promontorio lungo l’aorta sino al<br />

terzo duodeno.<br />

L’incisione prosegue per 2-3 cm in direzione dell’angolo colico di sinistra scoprendo in tale<br />

maniera la vena mesenterica inferiore.<br />

Il distacco ed il sollevamento del meso<strong>colon</strong> sigmoideo creano una finestra attraverso la<br />

quale prosegue la dissezione retroperitoneale verso sinistra, tra la fascia di Toldt(anteriore) e<br />

la fascia renalis (posteriore) composta da un foglietto anteriore(Gerota) ed uno posteriore<br />

(Zuckerkandl).<br />

In tal modo le strutture retroperitoneali, vasi gonadici, uretere, e plessi nervosi simpatici, sono<br />

lasciate posteriormente ed il meso del <strong>colon</strong> anteriormente. Proseguendo al dissezione<br />

posteriore in direzione craniale lungo il piano aortico, si incontra l’arteria mesenterica<br />

inferiore e la si circonda in stretta vicinanza dell’aorta senza legarla.<br />

Una legatura troppo a “raso” può portare ad una dissezione su un piano troppo profondo<br />

rispetto a quello del tronco simpatico lateroaortico esponendolo alla lesione del ricco intreccio<br />

nervoso preaortico che connette i due tronchi simpatici destro e sinistro. Procedendo in senso<br />

craniale si passa all’isolamento ed alla sezione della vena mesenterica inferiore dopo avere<br />

dissecato le aderenze che la tengono unita al Treitz. Essa va interrotta a valle dell’arcata<br />

vascolare di Treitz, in vicinanza del margine inferiore del pancreas.L’arcata suddetta è<br />

formata dalla porzione iniziale dell’arteria colica sinistra e dalla porzione terminale della vena<br />

mesenterica inferiore.<br />

Questi due vasi, l’a.colica che si dirige obliquamente in alto ed a sinistra e la V.M.I. che si<br />

dirige obliquamente in alto e a destra, si incrociano: l’arteria passa di solito dietro alla vena, in<br />

corrispondenza della parte inferiore della quarta porzione duodenale.<br />

L’arteria mesenterica inferiore può essere sezionata tra clips o per mezzo di suturatrice<br />

meccanica.<br />

La vena mesenterica inferiore può essere sezionata con la stessa tecnica o coagulata con<br />

bisturi ad ultrasuoni.<br />

Sollevando il meso<strong>colon</strong> discendente dal piano posteriore si continua la separazione della<br />

fascia di Toldt da destra verso sinistra sino alla doccia parietocolica sinistra ed alla flessura<br />

Splenica. A tal punto è visibile il margine inferiore del pancreas e la metà sinistra del<br />

50


meso<strong>colon</strong> trasverso che viene distaccata dalle inserzioni parietali facilitando il successivo<br />

abbassamento della flessura splenica.<br />

Nella chirurgia laparoscopica del <strong>colon</strong> non si inizia l’intervento con lo scollamento della<br />

doccia parietocolica sinistra per due motivi:<br />

Il <strong>colon</strong> così liberato si medializzerebbe occupando il campo operatorio laparoscopico<br />

L’asse di visione è dalla destra del paziente e sarebbe necessario andare a vedere da<br />

dietro per scollare il meso<strong>colon</strong> a questo livello.<br />

La visione più semplice si ottiene lasciando il <strong>colon</strong> connesso alla doccia parietocolica e<br />

prendendo il foglietto peritoneale del meso<strong>colon</strong> a livello della legatura dei vasi mesenterici<br />

inferiori si prosegue nel piano di clivaggio tra Toldt e Gerota secondo un asse obliquo da<br />

destra a sinistra e dall’alto in basso.<br />

Ne risulta che il meso<strong>colon</strong> sinistro viene portato in alto ed in avantim mentre i vasi genitali,<br />

l’uretere e la loggia renale di sinistra sono disposti in un piano posteriore.<br />

Si crea in tal modo una tenda la cui sommità è costituita dalla pinza di prensione,il limite<br />

superiore dello scollamento è in bordo inferiore del pancreas ed il limite sinistro è la doccia<br />

parietocolica destra. Nel momento della dissezione lungo la fascia di Toldt verso il basso,<br />

prima di giungere alla fascia perirettale, si incontrano le branche del plesso nervoso del <strong>colon</strong><br />

discendente e del sigma che bisogna sezionare.<br />

Scollamento della fascia perirettale<br />

A livello del promontorio si inizia la dissezione della fascia recti il cui piano di dissezione è in<br />

diretta continuazione del piano di scollamento della fascia di Toldt; ciò evita di entrare nello<br />

spazio presacrale. Si prosegue agevolmente fra il foglietto viscerale del mesoretto ed il<br />

foglietto parietale che ricopre i nervi ipogastrici.<br />

La Tecnica Nerve Sparing prevede come primo tempo l’isolamento del plesso ipogastrico<br />

superiore , localizzato a livello della biforcazione aortica posteriormente all’arteria<br />

emorroidaria superiore. Questo plesso si continua prossimalmente con il plesso aortico<br />

addominale e distalmente con i nervi ipogastrici.<br />

51


Si completa verso il basso il distacco dell’inserzione mesocolica sigmoidea e si inizia la<br />

dissezione mesorettale lungo il piano sacrale di Heald, scollando la fascia mesorettale da<br />

quella sacrale.<br />

Si evidenzia così il plesso ipogastrico superiore che a valle si divide nei due nervi ipogastrici<br />

che nel piccolo bacino divergono accollandosi alla guaina del mesoretto prossimale dal quale<br />

sono dissociabili.<br />

La dissezione del peritoneo pelvico anteriore continua 1-2 cm al davanti della riflessione<br />

rettovescicale per un tratto di 3-4 cm anteriormente all’aponeurosi di Denonvilliers, a stretto<br />

contatto con il versante anteriore del retto. Anche la dissezione laterale non deve spingersi<br />

troppo distalmente per non danneggiare i plessi nervosi pelvici situati in corrispondenza della<br />

ali del retto. Durante questo tempo il mesoretto è lussato e trazionato in avanti così da<br />

lasciare i nervi addossati alle pareti della pelvi ed il grasso pararettale è sezionato in modo<br />

ortogonale alla futura linea di sezione rettale: in tal modo si asportano con esso i linfonodi<br />

dell’ilo di Mondor ( biforcazione terminale dell’arteria rettale superiore ) tributari dell’ascella di<br />

Bacon (origine dell’arteria mesenterica inferiore).<br />

Incisione della doccia parietocolica di sinistra e della riflessione peritoneale<br />

La pinza presa sposta il sigma in direzione dell’ipocondrio destro: la riflessione viene incisa<br />

con il bisturi ad ultrasuoni dall’altezza dei vasi iliaci sino alla flessura splenica raggiungendo lo<br />

scollamento della fascia di toldt gia realizzato.<br />

La dissezione verso il basso prosegue lungo la faccia sinistra del retto, fino alla fascia<br />

perirettale: a tale livello occorre individuare e rispettare l’uretere.<br />

L’incisione della riflessione peritoneale viene effettuata attirando con la pinza il retto verso<br />

l’alto. La riflessione viene incisa da destra verso sinistra. L’apertura dello spazio prerettale nel<br />

piano dell’aponeurosi di Denonvillier consente di liberare la parete anteriore del retto.<br />

52


Dissezione del mesoretto<br />

Una volta scelto il livello della sezione , il retto viene liberato sino alla muscolatura del<br />

mesoretto.<br />

Tale dissezione viene condotta con il bisturi ad ultrasuoni , utilizzato , utilizzato anche per<br />

coagulare le arterie emorroidarie superiori.<br />

Sezione del retto<br />

Si esegue con suturatrice lineare introdotta nel troca in fossa iliaca destra. Possono essere<br />

necessarie più caricatura di suturatrice. Per ottenere una sezione ottimale e necessario che<br />

l’asse del <strong>colon</strong> e quello della suturatrice siano perpendicolari.<br />

Sezione del meso<strong>colon</strong> sinistro<br />

Scelto il livello di sezione prossimale del <strong>colon</strong> si incide il meso<strong>colon</strong> sino all’arcata marginale.<br />

Ciò evita la trazione sul meso al momento dell’estrazione del pezzo operatorio e aumenta la<br />

lassità del <strong>colon</strong> che può dispiegarsi in maniera migliore.<br />

Estrazione e resezione del prossimale del <strong>colon</strong><br />

Si esegue una minilaparotomia in fossa iliaca destra e si esegue l’estrazione attraverso Lap-<br />

Disc o V-drape. Si identifica l’arcata marginale che viene sezionata e si esegue la resezione<br />

del <strong>colon</strong>.<br />

Completata la preparazione del <strong>colon</strong> si posiziona la pinza a rastrello per il confezionamento<br />

della borsa di tabacco sul moncone colico prossimale.<br />

Si introduce la testina di una suturatrice meccanica circolare 29 e si riposiziona in cavità<br />

addominale.<br />

53


Anastomosi<br />

Introdotta la suturatrice per via transanale si perfora il retto lungo la linea di sutura e si<br />

accompagna il <strong>colon</strong> con la pinza da presa controllando che lo stesso non si sia ruotato.<br />

L’avvicinamento della testina alla suturatrice e l’esecuzione dell’anastomosi devono essere<br />

condotte sotto visione diretta del <strong>colon</strong> e del retto, dopo averne controllato tutta la<br />

circonferenza: l’anastomosi deve essere senza tensione, ben vascolarizzata e verificata<br />

mediante prova idropneumatica. Drenaggio aspirativo nello scavo pelvico e sutura a strati di<br />

tutte le breccie chirurgiche, concludono l’intervento.<br />

Estratto da :<br />

CHIRURGIA COLORETTALE LAPAROSCOPICA<br />

Cristiano G.S. Huscher<br />

Novembre 2002<br />

54


L’ANESTESIA E LA VENTILAZIONE<br />

NELLA CHIRURGIA LAPAROSCOPICA AVANZATA<br />

Giorgio A. Iotti<br />

Anestesia e Rianimazione<br />

Ospedale Santi Antonio e Biagio<br />

Az. Opedaliera Santi Antonio e Biagio e Cesare Arrigo<br />

Alessandria<br />

Sommario<br />

1. Tipo e gestione dell’anestesia<br />

2. Problemi emodinamici<br />

3. Problemi respiratori<br />

3.1 Problemi respiratori comuni dell’anestesia generale<br />

3.2 Condizioni sfavorevoli determinate dal pneumoperitoneo artificiale a CO2<br />

3.3 Corretta impostazione della ventilazione meccanica durante pneumoperitoneo<br />

PEEP<br />

Volume corrente<br />

Frequenza respiratoria<br />

Rapporto I:E<br />

Manovre di reclutamento<br />

3.4 Soluzioni per condizioni particolarmente difficili<br />

Ottimizzazione del pattern ventilatorio<br />

Riduzione dello spazio morto di apparato<br />

Passaggio in circuito aperto<br />

Riduzione-abolizione della PEEP esterna e tolleranza di una PEEP intrinseca<br />

Ipercapnia permissiva<br />

Pazienti con limitazione di flusso espiratorio<br />

3.5 Apparecchiature: presente e futuro<br />

4. Conclusioni<br />

55


Per affrontare le problematiche anestesiologiche della chirurgia laparoscopica del grosso<br />

intestino è opportuno distinguere tra<br />

Tipo e gestione dell’anestesia<br />

Problemi emodinamici<br />

Problemi respiratori<br />

1. Tipo e gestione dell’anestesia<br />

L’approccio anestesiologico della chirurgia laparoscopica del grosso intestino può<br />

comprendere la convenzionale anestesia generale bilanciata (con vapore anestetico,<br />

oppiaceo ev e miorilassante non-depolarizzate), o una anestesia endovenosa (con<br />

propofol, remifentanil e miorilassante non-depolarizzate), o una blended anesthesia (con<br />

somministrazione combinata di anestestetico locale mediante cateterino peridurale<br />

toracico). In tutti i casi il supplemento di protossido d’azoto trova la generale<br />

controindicazione rappresentata da tutte le chirurgie a rischio di embolia gassosa.<br />

Il paziente viene intubato per via oro-tracheale, e sono opportune le incannulazioni di<br />

un’arteria e di una vena centrale, che verrà utilizzata anche nel postoperatorio per le<br />

infusioni e la nutrizione parenterale. E’ opportuno predisporre il riscaldamento dei fluidi<br />

infusi, così come un dispositivo per il riscaldamento diretto del paziente.<br />

Il monitoraggio intraoperatorio comprende l’ECG, la pulsossimetria, la pressione arteriosa<br />

cruenta, l’analisi del gas inspirati ed espirati (CO2, O2 e vapore anestetico, se utilizzato) e<br />

la temperatura interna. Per le problematiche che verranno sviluppate oltre, è<br />

raccomandabile un monitoraggio avanzato della ventilazione.<br />

L’analgesia postoperatoria può essere garantita con morfina e un FANS per via ev, con<br />

protocolli di somministrazione più o meno sofisticata, dall’opzione minima dell’elastomero<br />

a velocità fissa, a quella della pompa meccanica a velocità modificabile, fino alla PCA.<br />

Alternativamente, quando si sia predisposto un cateterino peridurale toracico, un’ottima<br />

analgesia può essere ottenuta mediante somministrazione peridurale continua di<br />

anestetico locale e morfina.<br />

2. Problemi emodinamici<br />

L’aumento della pressione addominale legato al pneumoperitoneo, e i conseguenti<br />

aumenti di pressione pleurica e pericardica, peggiorano i problemi di interferenza<br />

emodinamica normalmente associati alla ventilazione meccanica passiva a pressione<br />

positiva in anestesia generale.<br />

La compromissione emodinamica è quantitativamente correlata sia alla pressione<br />

addominale sia alle pressioni sviluppate dalla ventilazione meccanica, e pertanto sarà<br />

particolarmente dipendente dal livello di pressione positiva di fine espirazione (PEEP)<br />

applicato dalla ventilazione.<br />

Il problema si estrinseca particolarmente sul cuore destro, che viene portato in una<br />

condizione ipodiastolica dalla compressione estrinseca determinata dall’aumento della<br />

pressione pericardica. Da un vista figurato, possiamo immaginarci un cuore letteralmente<br />

preso tra due fuochi, con la pressione di ventilazione che lo schiaccia da una parte, e<br />

quella del pneumoperitoneo che lo schiaccia dall’altra.<br />

56


Il cuore destro, oltre a trovarsi con un precarico ridotto, dovrà anche lavorare contro un<br />

postcarico in una certa misura aumentato, per l’effetto delle pressioni di ventilazione sul<br />

piccolo circolo.<br />

Il risultato è una riduzione della portata cardiaca, limitata da meccanismi compensatori e<br />

da effetti di redistribuzione della volemia dipendenti dal pneumoperitoneo stesso. La<br />

pressione arteriosa tende ad essere mantenuta per meccanismi compensatori da aumento<br />

del tono adrenergico.<br />

Stante il meccanismo alla base della riduzione della portata cardiaca, la risposta più<br />

razionale consiste in un’espansione volemica transitoria, facilmente realizzabile con<br />

plasma expanders con emivita lunga come gli idrossietilàmidi. Nei rari casi in cui una<br />

ragionevole espansione volemica apparisse non sufficiente, e in particolare si osservasse<br />

una compromissione rilevante della pressione arteriosa, non bisognerà esitare a ricorrere<br />

all’infusione di amine vasoattive, come la dopamina o la noradrenalina.<br />

Curiosamente, il paziente obeso sembra risentire meno di quello normale della<br />

combinazione di pneumoperitoneo artificiale e ventilazione meccanica, probabilmente per<br />

l’adattamento a un aumento cronico della pressione addominale e forse per una ridotta<br />

trasmissione toracica dell’iperpressione addominale sviluppata dal pneumoperitoneo.<br />

Al contrario, la compromissione emodinamica potrà essere particolarmente evidente nei<br />

pazienti ipovolemici e in quelli in cui i meccanismi compensatori risulteranno inibiti da<br />

determinati regimi farmacologici abitualmente assunti per patologie croniche.<br />

L’effetto di riduzione della portata cardiaca tipico del pneumoperitoneo rappresenta<br />

purtroppo la principale controindicazione all’uso in ventilazione di una PEEP generosa,<br />

che, come si vedrà più avanti, potrebbe antagonizzare alcuni dei problemi respiratori<br />

associati al pneumoperitoneo stesso.<br />

3. Problemi respiratori<br />

La necessità di sviluppare un pneumoperitoneo a CO2 di durata non breve comporta<br />

ripercussioni importanti e prolungate sulla funzione respiratoria, che devono essere gestite<br />

correttamente per garantire l’omeostasi respiratoria del paziente durante l’intervento.<br />

3.1 Problemi respiratori comuni dell’anestesia generale<br />

La gestione della ventilazione nell’anestesia generale per chirurgia elettiva è solitamente<br />

molto semplice, con poche eccezioni rappresentate essenzialmente proprio dalla chirurgia<br />

laparoscopica, dalla chirurgia toracica, dalla chirurgia della via aerea, e dal paziente<br />

portatore di gravi patologie respiratorie primitive (come una fibrosi polmonare o una<br />

broncopneumopatia cronica ostruttiva molto avanzata) oppure di patologie ad importante<br />

impatto sulla funzione respiratoria (come l’obesità maggiore).<br />

La semplicità deriva dalla bassa produzione di CO2 tipica dell’anestesia, dall’impiego di<br />

farmaci miorilassanti che consentono un perfetto adattamento del paziente a una banale<br />

57


ventilazione meccanica passiva, e dall’azione broncodilatatrice di alcuni dei farmaci più<br />

comunemente utilizzati in anestesia generale.<br />

In pratica per ottenere un livello normale di PaCO2 è solitamente sufficiente una basso<br />

volume minuto, dell’ordine di 80 ml/Kg/min rapportato al peso corporeo ideale. Data la<br />

bassa necessità di ventilazione alveolare, e data la bassa impedenza alla ventilazione da<br />

parte del sistema respiratorio, le scelte sul pattern respiratorio da applicare (volume<br />

corrente, frequenza e rapporto inspirazione-espirazione – I:E) possono basarsi:<br />

su criteri standard, essenzialmente basati sulla taglia del paziente,<br />

e sull’End-Tidal CO2 (ETCO2), un semplice parametro che monitorizza in modo non<br />

invasivo l’adeguatezza della ventilazione alveolare realizzata.<br />

L’unico problema di un qualche rilievo è rappresentato dal fatto che la ventilazione<br />

meccanica passiva, nell’anestesia generale con miorisoluzione, tende a generare<br />

atelettasia nelle zone polmonari dipendenti (cioè posteriori, nel decubito supino). Anche<br />

questo normalmente è un problema abbastanza semplice da affrontare:<br />

per l’estensione limitata del parenchima perso alla ventilazione,<br />

per la semplice possibilità di contrastare gli effetti negativi sull’ossigenazione con un<br />

moderato aumento della frazione inspiratoria di ossigeno (FiO2),<br />

per la possibilità di contrastare o risolvere lo sviluppo di queste atelettasie con una<br />

ventilazione con pressione positiva di fine espirazione (PEEP), con manovre<br />

meccaniche di reclutamento alveolare, ed evitando l’inalazione di ossigeno al 100%,<br />

e infine per il fatto che queste atelettasie normalmente si risolvono con la ripresa<br />

dell’attività respiratoria spontanea, al termine dell’anestesia.<br />

In definitiva, l’approccio ventilatorio nell’anestesia per tipi di chirurgia a basso impatto<br />

intraoperatorio sulla funzione respiratoria è semplice e non richiede apparecchiature<br />

sofisticate né per l’erogazione della ventilazione meccanica, né per il monitoraggio della<br />

funzione respiratoria. Si utilizza una classica ventilazione a volume controllato,<br />

eventualmente con un basso livello di PEEP (dell’ordine di 5 cmH2O), impostando:<br />

un volume corrente di 8-10 ml/Kg,<br />

una frequenza respiratoria adattata in modo da ottenere un valore di ETCO2 attorno ai<br />

35 mmHg<br />

una FiO2 adattata in modo da ottenere un valore soddisfacente, 95%, di saturazione<br />

arteriosa di ossigeno valutata in modo non invasivo con pulsossimetria (SpO2),<br />

e un rapporto I:E “normale”, cioè di 1:2 (o al massimo 2:3).<br />

3.2 Condizioni sfavorevoli determinate dal pneumoperitoneo artificiale a CO2<br />

Il pneumoperitoneo a CO2 si associa a un certo riassorbimento di CO2, che andrà a<br />

sommarsi alla produzione metabolica di CO2. Con l’instaurasi di un pneumoperitoneo a<br />

CO2, pertanto, la PaCO2 andrebbe necessariamente ad aumentare, se non si intervenisse<br />

con un aumento della ventilazione alveolare proporzionale all’aumento della produzione<br />

complessiva di CO2. Solitamente la compensazione necessaria è abbastanza contenuta, e<br />

corrisponde a un aumento di ventilazione del 20-30%. In altri termini, per mantenere una<br />

PaCO2 costante, bisognerebbe passare da una ventilazione minuto di 80 ml/Kg/min a un<br />

valore di 100 ml/Kg/min.<br />

Un tale aumento potrebbe essere senz’altro realizzato con facilità, se non fosse per le<br />

alterazioni meccaniche sfavorevoli determinate dal pneumoperitoneo sul sistema<br />

58


espiratorio. Bisogna a tale proposito ricordare che, da un punto di vista fisiologico, l’intero<br />

addome rappresenta una parte della parete toracica. Pertanto, un pneumoperitoneo a<br />

pressione controllata corrisponde, dal punto di vista della meccanica respiratoria, a una<br />

sensibile riduzione della compliance toracica, e quindi:<br />

a una riduzione della capacità funzionale residua e della capacità polmonare totale,<br />

a una riduzione della compliance totale del sistema respiratorio (polmoni più torace)<br />

a un aumento della abituale tendenza all’atelettasia delle zone postero-basali dei<br />

polmoni, tipica dell’anestesia generale con miorisoluzione,<br />

a una riduzione della compliance del polmone stesso, di fatto più piccolo e meno<br />

aperto alla ventilazione,<br />

e a un aumento della resistenza delle vie aeree, particolarmente in fase espiratoria e<br />

nei soggetti patologicamente predisposti al collasso espiratorio bronchiale e alla<br />

limitazione di flusso espiratorio (broncopneumopatici cronici ostruttivi e grandi obesi).<br />

Questo complesso di alterazioni meccaniche del sistema respiratorio, peraltro esacerbato<br />

dalla posizione di Trendelenburg, peggiora le alterazioni della funzione polmonare tipiche<br />

della ventilazione passiva in anestesia generale, disturbando lo scambio gassoso sia in<br />

termini di ossigenazione che di eliminazione di CO2. Si viene così a realizzare una<br />

condizione di insufficienza respiratoria reversibile che, dal punto di vista puramente<br />

meccanico e funzionale, presenta molti aspetti simili al modello dell’ARDS secondaria con<br />

compromissione maggiore della compliance toracica. Tale situazione<br />

da una parte può essere ancora perfettamente compensata con un appropriato utilizzo<br />

della ventilazione meccanica,<br />

e dall’altra, dal punto di vista della gestione della ventilazione, impone una via molto<br />

più stretta, e perdona molto di meno, rispetto alla facile condizione dell’anestesia<br />

generale senza pneumoperitoneo.<br />

3.3 Corretta impostazione della ventilazione meccanica durante pneumoperitoneo<br />

Il polmone, rimpicciolito, irrigidito e reso parzialmente atelettasico e disfunzionante dalla<br />

compressione estrinseca, potrebbe ritornare almeno in parte all’originaria morfologia e<br />

funzione se sottoposto a una PEEP adeguata. Tuttavia, come nell’ARDS secondaria con<br />

compromissione maggiore della compliance toracica, nel pneumoperitoneo artificiale un<br />

tale livello di PEEP può determinare una compromissione emodinamica sensibile, a<br />

maggior ragione in quanto realizzato in combinazione con un’anestesia generale.<br />

D’altra parte in una condizione come quella del pneumoperitoneo artificiale a CO2, che<br />

associa<br />

i vincoli meccanici legati a una riduzione della compliance del sistema respiratorio,<br />

gli ulteriori vincoli meccanici legati all’impiego di una PEEP,<br />

e un’aumentata richiesta di ventilazione alveolare,<br />

diviene di importanza fondamentale l’individuazione e l’applicazione di un pattern<br />

ventilatorio ottimale, sicuro dal punto di vista del potenziale danno polmonare da<br />

ventilazione, e ritagliato in modo dinamico sul singolo paziente.<br />

Nella maggior parte dei casi sarà ancora possibile trovare una combinazione ventilatoria<br />

che garantisca livelli perfettamente soddisfacenti sia di capnia che di ossigenazione, e<br />

simultaneamente risponda a tutti i requisiti di una strategia ventilatoria cosiddetta protettiva<br />

nei confronti del polmone. Tuttavia, a differenza di quanto avviene di solito in anestesia, la<br />

via potrebbe corrispondere a un compromesso piuttosto stretto, e pertanto la scelta<br />

richiederà sia solide basi di conoscenze fisiopatologiche, sia la disponibilità di mezzi di<br />

59


valutazione e monitoraggio respiratorio di uso più comune in terapia intensiva respiratoria<br />

che non in anestesia.<br />

Si discuteranno pertanto di seguito le indicazioni per le varie scelte ventilatorie, basate su<br />

una classica ventilazione a volume controllato con flusso inspiratorio costante.<br />

PEEP.<br />

Per cercare di limitare l’azione pro-atelettasia determinata dall’aumento della pressione<br />

addominale, è indicata l’applicazione di una PEEP di almeno 5 cmH2O. Livelli di PEEP<br />

superiori, fino a 10 cmH2O o oltre, sarebbero sicuramente più efficaci, ma non vengono<br />

comunemente utilizzati, se non in presenza di disturbi dell’ossigenazione tali da dover<br />

richiedere una compensazione con una FiO2 superiore a 0.6. La limitazione nel livello<br />

di PEEP applicato discende da problemi, effettivi o potenziali, di interferenza<br />

emodinamica. Sarebbe sicuramente auspicabile poter disporre, in futuro, di maggiori<br />

dati sperimentali sugli effetti della PEEP nel contesto qui considerato, perché un livello<br />

di PEEP insufficiente potrebbe risultare, in linea teorica, un fattore lesionale<br />

significativo per il parenchima polmonare.<br />

Volume Corrente<br />

La riduzione della compliance del sistema respiratorio legata direttamente e<br />

indirettamente all’aumento della pressione addominale comporta vincoli stretti nella<br />

scelta del volume corrente. Lo stesso volume di 8-10 ml/Kg che, nella fase precedente<br />

al pneumoperitoneo, coincideva con una pressione alveolare di picco sicuramente non<br />

pericolosa, potrebbe associarsi, nella fase di pneumoperitoneo, a una pressione<br />

alveolare di picco meno tranquillizzante.<br />

Questo argomento presenta tuttavia un margine di incertezza per la mancanza di dati<br />

certi su quale sia il vero limite di sicurezza per la pressione alveolare di picco, in<br />

particolare in un contesto in cui la riduzione di compliance del sistema respiratorio<br />

discende essenzialmente da una riduzione della compliance toracica, piuttosto che di<br />

quella polmonare. Volendo mantenere un certo margine di sicurezza, si potrebbe dire<br />

che bisogna scegliere un volume corrente sufficientemente piccolo da consentire una<br />

pressione alveolare possibilmente non superiore ai 25 cmH2O, e comunque mai<br />

superiore ai 30 cmH2O.<br />

In pratica questo significa che, nella fase di pneumoperitoneo, non potremo pensare di<br />

fronteggiare l’aumento della richiesta di ventilazione alveolare da assorbimento di CO2<br />

con un aumento di volume corrente al di sopra del valore basale di 8-10 ml/Kg. Anzi, in<br />

alcuni casi, al fine di garantire la sicurezza meccanica della ventilazione, sarà<br />

necessario apportare una riduzione del volume corrente basale, eventualmente anche<br />

al di sotto degli 8 ml/Kg, nonostante un pattern respiratorio a volume corrente ridotto<br />

coincida necessariamente con una riduzione di efficienza in termini di eliminazione di<br />

CO2.<br />

Se, come è auspicabile, l’apparato per anestesia dispone di mezzi per la valutazione<br />

della pressione alveolare di picco (cioè della funzione di occlusione manuale di fine<br />

inspirazione), e/o della possibilità di lavorare in ventilazione a pressione controllata,<br />

saranno semplici l’individuazione del massimo volume corrente teoricamente sicuro, e<br />

quindi la scelta individualizzata di un volume corrente che abbia un buon margine di<br />

sicurezza senza però penalizzare l’eliminazione di CO2.<br />

Se invece l’apparecchiatura non dispone di queste funzioni, sarà giocoforza optare per<br />

una riduzione di volume corrente essenzialmente alla cieca, operando una scelta di<br />

60


sicurezza meccanica che però potrebbe rendere molto più difficoltoso il controllo<br />

ottimale della capnia.<br />

Frequenza respiratoria<br />

L’aumento della frequenza respiratoria nella fase di pneumoperitoneo rappresenta il<br />

meccanismo fondamentale di compensazione dell’aumentata richiesta di ventilazione<br />

alveolare, e dovrà essere tanto più marcato quando i vincoli di sicurezza meccanica del<br />

sistema respiratorio abbiano imposto un volume corrente ridotto.<br />

I comuni apparecchi per anestesia non sono molto tolleranti nei confronti di una<br />

frequenza respiratoria elevata, in quanto la via espiratoria presenta una struttura<br />

piuttosto complessa e quindi una discreta resistenza al flusso. In presenza di un tempo<br />

espiratorio ridotto, l’alta resistenza può comportare facilmente una iperinflazione<br />

polmonare dinamica, con un effetto di PEEP intrinseca che può sfuggire all’operatore,<br />

quando manchino i mezzi idonei di verifica (funzione di occlusione manuale di fine<br />

espirazione) e monitoraggio (rappresentazione grafica del segnale di flusso-tempo e/o<br />

del loop flusso-volume). La PEEP intrinseca così generata può compromettere sia<br />

l’emodinamica che la sicurezza meccanica del setting ventilatorio prescelto.<br />

Fortunatamente la ridotta compliance del sistema respiratorio legata al<br />

pneumoperitoneo velocizza considerevolmente l’espirazione, rendendo meno probabili<br />

l’iperinflazione dinamica e la PEEP intrinseca.<br />

Pertanto, con l’instaurarsi del pneumoperitoneo, dopo avere eventualmente<br />

riaggiustato al basso il volume corrente, bisognerà semplicemente aumentare la<br />

frequenza respiratoria tanto da mantenere adeguati valori di PaCO2, con i seguenti<br />

accorgimenti:<br />

verificare l’assenza di iperinflazione dinamica sul tracciato di flusso-tempo, e/o sul<br />

loop flusso-volume, e meglio ancora con una manovra di occlusione di fine<br />

espirazione;<br />

ricordare che le alterazioni indotte dal pneumoperitoneo a CO2 possono modificare<br />

la relazione tra ETCO2 e PaCO2, e che quindi non ci si potrà fidare ciecamente del<br />

dato non invasivo di ETCO2, ma bisognerà procedere a un controllo<br />

emogasanalitico;<br />

ricordare che la sospensione anche temporanea dell’insufflazione peritoneale (in<br />

particolare in caso di laparotomia di servizio) immediatamente ripristina le<br />

condizioni meccaniche antecedenti al pneumoperitoneo: l’espirazione risulterà<br />

rallentata, e quindi l’elevata frequenza respiratoria genererà immediatamente<br />

iperinflazione dinamica e PEEP intrinseca.<br />

A seconda del grado di assorbimento di CO2, delle scelte operate sul volume corrente,<br />

e della compromissione dell’efficienza del polmone come scambiatore, l’aumento<br />

necessario in frequenza respiratoria può essere considerevole.<br />

Rapporto Inspirazione-Espirazione (I:E)<br />

La necessità di aumentare la frequenza respiratoria e i limiti meccanici dei sistemi per<br />

anestesia sconsigliano di scostare il rapporto I:E dal valore “normale” di 1:2, tanto in<br />

aumento quanto in riduzione.<br />

Manovre di reclutamento<br />

61


Al termine della fase di pneumoperitoneo, prima del passaggio alla ventilazione<br />

assistita o spontanea, può essere interessante recuperare precocemente le zone<br />

atelettasiche con manovre di reclutamento alveolare. Queste potranno essere<br />

effettuate in modi diversi, a seconda delle funzioni offerte dal ventilatore, più o meno<br />

sofisticate. Al contrario è da ritenersi poco efficace e/o poco sicura la realizzazione di<br />

manovre di reclutamento in ventilazione manuale.<br />

3.4 Soluzioni per condizioni particolarmente difficili<br />

In caso di sviluppo di un enfisema sottocutaneo esteso, l’assorbimento di CO2 aumenta<br />

enormemente, tanto da richiedere, per mantenere valori adeguati di capnia e pH, un<br />

aumento di ventilazione alveolare che potrebbe essere difficile da realizzare con<br />

sicurezza.<br />

45<br />

40<br />

35<br />

30<br />

25<br />

20<br />

15<br />

10<br />

220<br />

200<br />

180<br />

160<br />

140<br />

120<br />

100<br />

80<br />

5<br />

0<br />

EtCO2 (mmHg)<br />

MV (l/min)<br />

V'CO2 (ml/min)<br />

0 1 2 3 4<br />

Tempo (ore)<br />

62


Nell’esempio riportato nella figura sopra, al termine della 1 a ora di anestesia si osserva un<br />

aumento di ETCO2, coincidente con l’inizio del pneumoperitoneo. Questo primo aumento<br />

di ETCO2, facilmente contenuto con un aumento del 25% della ventilazione minuto (MV),<br />

corrisponde al normale, limitato, assorbimento di CO2 dal pneumoperitoneo, con basso<br />

impatto sul valore di eliminazione di CO2 (V’CO2), che si assesta al termine della 2 a ora di<br />

anestesia su un aumento del 20% circa.<br />

Ben diversa è la situazione che si produce a partire dalla seconda metà della 3 a ora di<br />

anestesia: per controllare il nuovo aumento di CO2 occorre portare la MV a valori superiori<br />

al doppio del basale, il tutto con un enorme aumento della V’CO2.<br />

Quella sopra descritta è la tipica situazione che si produce quando da una parte un<br />

importante enfisema sottocutaneo determina un iperassorbimento di CO2, e dall’altra<br />

l’anestesista riesce ad ottenere un efficace compenso mediante iperventilazione.<br />

In casi di questo genere la soluzione ideale è rappresentata dall’identificazione e dalla<br />

chiusura della breccia attraverso la quale si infiltra la CO2 insufflata. In genere alla base<br />

del problema c’è un trocar non più a tenuta. Quando però una soluzione causale sia<br />

impossibile o inopportuna, l’anestesista dovrebbe tentare una serie di contromisure, prima<br />

che l’equipe consideri una conversione laparotomica dell’intervento.<br />

Ottimizzazione del pattern ventilatorio<br />

Il volume corrente può essere aumentato ai massimi livelli di sicurezza meccanica<br />

predefiniti, e la frequenza respiratoria al massimo valore compatibile con l’assenza di<br />

iperinflazione polmonare dinamica.<br />

Se l’apparecchio per ventilazione consente una ventilazione a pressione controllata,<br />

questa opzione può essere un’ottima soluzione per massimizzare la ventilazione pur<br />

mantenendo con semplicità elevati margini di sicurezza.<br />

Riduzione dello spazio morto di apparato<br />

Il setting abituale di un apparato per anestesia prevede un considerevole spazio morto,<br />

dovuto agli elementi interposti tra il raccordo a Y del circuito respiratorio e il tubo<br />

endotracheale (filtro HME-antimicrobico e tubo corrugato). Questi elementi non sono<br />

indispensabili, quantomeno per un tempo limitato, e possono essere rimossi e sostituiti<br />

da un piccolo raccordo a T per il campionamento dei gas respiratori. Si ottiene così una<br />

riduzione netta di spazio morto dell’ordine di 100 ml, e un conseguente enorme<br />

aumento dell’efficienza della eliminazione di CO2. La sicurezza antibatterica verrà<br />

assicurata da filtri distali, posti in entrata e uscita sul ventilatore.<br />

Passaggio in circuito aperto<br />

Qualora si stesse lavorando con un sistema a ricircolo dei gas, si dovrebbe<br />

considerare il passaggio in circuito aperto. Infatti, in caso di respirazione rapida con<br />

elevata eliminazione di CO2, la calce sodata può non essere perfettamente efficiente e<br />

comunque può andare rapidamente incontro ad esaurimento, con conseguente<br />

inopportuno aumento dei livelli della concentrazione inspirata di CO2.<br />

Riduzione-abolizione della PEEP esterna e tolleranza di una PEEP intrinseca<br />

In caso di ventilazione con PEEP, si può considerare un ulteriore aumento di frequenza<br />

respiratoria, tollerando la generazione di un determinato livello di PEEP intrinseca, che<br />

verrà controbilanciato abbassando in misura equivalente la PEEP applicata<br />

esternamente dal ventilatore. Si tratta questa di una misura abbastanza acrobatica,<br />

63


che può essere attuata con sicurezza solo quando si disponga di un ventilatore idoneo,<br />

con caratteristiche simili a quelle delle macchine d’alta gamma per rianimazione.<br />

Insufflazione peritoneale con un gas differente dalla CO2<br />

La sostituzione della CO2 con un altro gas risolverebbe rapidamente le difficoltà di<br />

controllo della capnia. Ad oggi l’alternativa più interessante è rappresentata dal<br />

protossido d’azoto, che assomma anche il vantaggio di una potente azione analgesica,<br />

persistente anche nel primo postoperatorio. Rispetto alla CO2, tuttavia, il protossido<br />

d’azoto presenta un maggiore potenziale patogeno in caso di embolia gassosa, e<br />

pertanto il suo utilizzo dovrebbe essere adeguatamente ponderato.<br />

Ipercapnia permissiva<br />

Quando quanto sopra esposto risultasse insufficiente, è comunque possibile accettare<br />

con discreta sicurezza un certo grado di ipercapnia, con riduzione del pH fino a 7.25,<br />

sempre che il paziente dimostri una buona tolleranza cardiaca ed emodinamica, che la<br />

potassiemia si mantenga nel range della norma, e che non siano presenti altre<br />

controindicazioni all’ipercapnia.<br />

In questo contesto di acidosi respiratoria acuta con limitazione nell’eliminazione di<br />

CO2, non è indicata, ed anzi è controindicata, una correzione del pH con infusione di<br />

bicarbonato, che risulterebbe in un immediato ulteriore aumento della PaCO2.<br />

Pazienti con limitazione di flusso espiratorio<br />

I pazienti broncopneumopatici cronici ostruttivi e i grandi obesi presentano una<br />

tendenza al collasso espiratorio bronchiale, con conseguente limitazione del flusso<br />

espiratorio. Su questo substrato, un complesso di fattori che comprendono la pressione<br />

addominale associata al pneumoperitoneo, la posizione di Trendelenburg e la<br />

miorisoluzione comportano un aumento di pressione pleurica e quindi la comparsa o il<br />

peggioramento della limitazione di flusso espiratorio. Il fenomeno, quando presente,<br />

risulterà ben evidente dall’analisi del grafico flusso-tempo e del loop flusso-volume.<br />

Questo comporta un rallentamento dell’espirazione, e quindi una limitazione alla<br />

possibilità di aumentare con sicurezza la frequenza respiratoria.<br />

Limitatamente agli obesi, l’applicazione di un livello adeguato di PEEP può risolvere il<br />

problema, rendendo l’espirazione più omogenea e veloce, oltre a recuperare zone<br />

polmonari disventilate e quindi a migliorare gli scambi gassosi.<br />

Per quanto riguarda invece i pazienti broncopneumopatici cronici ostruttivi severi, il<br />

risultato favorevole di una PEEP è tutt’altro che scontato. Questo tipo di paziente<br />

difficilmente potrà tollerare un’elevata frequenza respiratoria. Tuttavia potrà tollerare<br />

bene un’ipercapnia spiccata, partendo già da una situazione cronica di ipercapnia<br />

compensata da una riserva alcalina aumentata.<br />

3.5 Apparecchiature: presente e futuro<br />

Fino ad oggi lo sviluppo degli apparecchi per anestesia è stato focalizzato essenzialmente<br />

sulla sicurezza e l’economia dell’erogazione degli anestetici inalatori, sul monitoraggio<br />

strettamente anestesiologico, e sul data management.<br />

Al contrario, dal punto di vista della ventilazione meccanica, la gran parte degli apparecchi<br />

per anestesia è rimasta a un livello abbastanza elementare, eventualmente arricchito da<br />

una sovrastruttura di monitoraggio respiratorio, che però a un’analisi attenta appare<br />

spesso più appariscente che completa.<br />

64


Evidentemente il concetto dell’apparecchio per anestesia è rimasto ancorato all’idea che la<br />

ventilazione in anestesia non sia un problema, se non per quanto riguardi le garanzie di<br />

sicurezza nella composizione della miscela dei gas inalati, e una gestione economica di<br />

anestetici inalatori sempre più costosi. Da quanto esposto nelle pagine precedenti,<br />

dovrebbe risultare evidente quanto questo concetto sia sbagliato e non al passo con i<br />

tempi. La diffusione sia attuale sia prevedibile della chirurgia laparoscopica ha portato e<br />

sempre più porterà in sala operatoria problematiche di ventilazione polmonare che fino a<br />

ieri erano di dominio quasi esclusivo della rianimazione respiratoria.<br />

Dobbiamo pertanto aspettarci ed augurarci una prossima generazione di apparecchi per<br />

anestesia completamente diversa, con varie funzioni di ventilazione mutuate dai ventilatori<br />

per rianimazione più avanzati, con estese capacità di misura e monitoraggio della<br />

meccanica respiratoria, e con funzioni di capnometria volumetrica che consentano misure<br />

di spazio morto ed eliminazione di CO2.<br />

Ad oggi gli apparecchi per anestesia che presentano caratteristiche più favorevoli per<br />

l’anestesia in laparoscopia sono rappresentati da adattamenti per anestesia di ventilatori<br />

per rianimazione, come i vecchi Servoventilator 900, nei modelli D e soprattutto C. Chi<br />

dispone di questi apparecchi, per quanto datati, antieconomici per la gestione degli<br />

anestetici e ormai superati per quanto riguarda le applicazioni in rianimazione, dovrebbe<br />

tenerli ben cari, in attesa della comparsa sul mercato di macchine appositamente<br />

concepite per l’anestesia in laparoscopia o in altre condizioni di ventilazione difficile.<br />

Un’interessante alternativa è rappresentata dall’impiego di moderni ventilatori di alta<br />

gamma per rianimazione, corredati di un dispositivo monouso per anestesia inalatoria, di<br />

un monitor dei gas respiratori di tipo anestesiologico, e di un sistema per l’evacuazione dei<br />

gas di scarico. Questa possibilità si è resa disponibile solo recentissimamente, con la<br />

comparsa sul mercato del dispositivo AnaConDa ® (Hudson), semplice ed economico, che<br />

consente di erogare vapori anestetici nel circuito esterno di qualsiasi ventilatore, con un<br />

efficienza pari a un circuito anestetico a basso flusso.<br />

Sempre nell’attesa della macchina del futuro, sarebbe senz’altro interessante ed utile<br />

abbinare agli apparecchi attuali dei monitor capnometrici avanzati, che combinino misure<br />

volumetriche e consentano pertanto valutazioni di spazio morto, eliminazione di CO2 ed<br />

efficienza dello scambio di CO2.<br />

4. Conclusioni<br />

La chirurgia laparoscopica maggiore presenta importanti ripercussioni intraoperatorie sulla<br />

funzione respiratoria, legate sia all’assorbimento di CO2 che alle modificazioni meccaniche<br />

indotte dal pneumoperitoneo.<br />

Queste ripercussioni meritano sicuramente un approccio attivo da parte dell’anestesista,<br />

che, nella fase di pneumoperitoneo, dovrà operare le opportune correzioni nella gestione<br />

della ventilazione meccanica. In alcuni casi la compensazione potrà risultare semplice, in<br />

altri meno, e in rari casi la problematica respiratoria potrà essere così rilevante da<br />

consigliare la conversione in chirurgia laparotomica.<br />

65


In particolare per affrontare le situazioni più difficile, e per evitare la necessità di<br />

conversione laparotomica, occorrono sia idee chiare sui meccanismi fisiologici e<br />

fisiopatologici, sia attrezzature appropriate per la ventilazione e il monitoraggio<br />

respiratorio. In questo senso, ad oggi l’industria medicale appare ancora troppo poco<br />

sensibile alle esigenze anestesiologiche particolari legate alla chirurgia laparoscopica.<br />

66


Punti nodali nella chirurgia laparoscopica del <strong>colon</strong>-retto<br />

Giusto Pignata, Marco Barone<br />

Unità Operativa di Chirurgia generale e Mini-Invasiva<br />

Direttore: dott. G. Pignata<br />

Ospedale “S.Polo” Monfalcone (Gorizia)<br />

L’evidenza scientifica fornita dai trials prospettici randomizzati pubblicati in Letteratura ci<br />

consente di affermare sulla base dell’evidence based medicine che la chirurgia<br />

laparoscopica del <strong>colon</strong>-retto fornisce sul piano oncologico gli stessi risultati della chirurgia<br />

open ed anzi, seppur allo stato attuale senza una significatività statistica, risultati anche<br />

superiori in termini di sopravvivenza per gli stadi più avanzati, verosimilmente in<br />

conseguenza di un ridotto stress chirurgico ed una minore immunodepressione. Pertanto,<br />

accanto ai vantaggi già riconosciuti e comuni a tutte le procedure mini-invasive, oggi<br />

possiamo affermare che esiste un’evidenza scientifica anche sul piano oncologico<br />

rendendo questo approccio chirurgico pienamente validato sul piano etico-scientifico.<br />

Il problema oggi è rendere la tecnica laparoscopica il più possibile riproducibile attraverso<br />

una standardizzazione delle procedure, poiché il limite più importante alla sua diffusione,<br />

una volta sgombrato il campo dai dogmi sino ad oggi esistenti, è la riproducibilità di una<br />

metodica complessa, con una curva di apprendimento superiore alla chirurgia open, che<br />

presuppone una solida conoscenza dell’anatomia chirurgica. D’altronde l’azione didattica<br />

della chirurgia laparoscopica attraverso le sue possibilità multimediali rappresenta un<br />

ottimo mezzo alla sua stessa diffusione e conoscenza.<br />

Cercheremo pertanto di focalizzare i punti salienti della standardizzazione della nostra<br />

tecnica laparoscopica cercando di evidenziare i possibili vantaggi della nostra Scuola forte<br />

di una consolidata esperienza nella chirurgia colorettale laparoscopica.<br />

Preparazione del paziente<br />

Due sono sostanzialmente le novità a tal proposito: la prima, come emerge da recenti<br />

meta-analisi pubblicate in Letteratura nel corso del 2004, ci permette oggi di affermare che<br />

la preparazione meccanica dell’intestino non solo non riduce l’incidenza di fistole, sepsi,<br />

infezioni intra-addominali o di ferita ma seppure senza significatività statistica potrebbe<br />

addirittura aumentare l’incidenza di fistole attraverso il meccanismo dell’edema di parete<br />

indotto dalla preparazione stessa. Pertanto nella chirurgia elettiva del <strong>colon</strong>-retto non<br />

esiste evidenza scientifica di un suo razionale utilizzo. La seconda considerazione<br />

riguarda una moderata restrizione idrica del paziente nel pre e perioperatorio, che se da<br />

un lato permette la prevenzione di un eccessivo effetto “nebbia” indotto dall’uso del<br />

dissettore ad ultrasuoni dall’altro potrebbe favorire l’edema della parete intestinale nel<br />

caso di una iperidratazione ipertonica che giocherebbe un’influenza negativa sui processi<br />

di cicatrizzazione dell’anastomosi.<br />

Posizione del paziente<br />

Gioca un ruolo fondamentale per la riuscita dell’intervento; sono necessari letti operatori<br />

idonei a determinare posizioni di lavoro anche spinte che risultano fondamentali in<br />

particolare qualora coesista un particolare sviluppo adiposo del paziente associato ad ileo.<br />

E’ necessario controllare accuratamente la sede di possibili lesioni da compressione<br />

neurologica o dell’apparato locomotore.<br />

67


Posizionamento dei trocar<br />

In particolare per il <strong>colon</strong> sinistro esiste una certa variabilità proposta dalle diverse Scuole<br />

che è riconducibile a due diversi approcci; noi siamo soliti optare per una tecnica a tre<br />

trocar posizionati secondo i principi della triangolazione di<br />

lavoro e dell’asse operatore-ottica-patologia e ciò come<br />

ampiamente dimostrato dalla nostra esperienza permette<br />

nella grande maggioranza dei casi di condurre a termine<br />

l’intervento. Non dev’essere intesa come un’impostazione<br />

dogmatica poiché la necessità di un quarto trocar (flessure<br />

spleniche alte, ileo, pazienti obesi, chirurgia del retto) deve<br />

scaturire da una reale necessità. Ciò riduce la conflittualità<br />

interna tra gli strumenti e quindi anche la potenziale<br />

incidenza di lesioni iatrogene. Per quanto concerne il trocar<br />

inferiore la sua posizione varia sia in funzione della flessura<br />

splenica che per la sede della neoplasia: nella chirurgia del<br />

retto pertanto la sua posizione risulterà lateralizzata. Il primo trocar viene posizionato con<br />

tecnica open e sempre sotto visione diretta, sfruttando quando possibile la<br />

transilluminazione, viene creata la triangolazione di lavoro.<br />

Nella chirurgia laparoscopica del <strong>colon</strong> destro sempre con tecnica a tre trocar questi sono<br />

sostanzialmente speculari a quelli appena descritti ma nell’emiaddome sinistro, in<br />

particolare mantenendo il trocar superiore più lateralizzato.<br />

Chirurgia laparoscopica del <strong>colon</strong> destro<br />

-Utilizziamo una tecnica che prevede la preparazione dal basso verso l’alto e dall’interno<br />

all’esterno: identificata tramite presa sulla valvola ileocecale la tenda sottesa dai vasi<br />

ileocolici essi vengono identificati e sezionati. Da tale livello inizia lo scollamento del<br />

meso<strong>colon</strong> ascedente sul piano del duodeno ricoperto dalla fascia di Toldt e lungo i vasi<br />

mesenterici superiori incontrando e sezionando progressivamente l’arteria colica destra<br />

quando presente e la branca destra dell’arteria colica media.<br />

-La magnificazione dell’immagine e l’accuratezza della linfadenectomia hanno riproposto<br />

l’esecuzione di procedure D3 per la terapia curativa del cancro del <strong>colon</strong> destro con<br />

sezione tra legature dei vasi gastroepiplooici destri alla loro origine per una<br />

linfadenectomia della stazione 6 e lungo il tronco di Henle ed una asportazione quasi<br />

completa dell’epiploon con interruzione dell’arcata gastroepiplooica nel punto di Van<br />

Goethem e quindi lungo lo stomaco in direzione da sinistra a destra verso l’origine dei vasi<br />

gastroepiplooici. E’ un dato di fatto che l’incidenza di recidive del cancro del <strong>colon</strong> destro<br />

sia particolarmente elevata e ciò per molti Autori dipenderebbe non solo da un ritardo di<br />

diagnosi ma anche da una sottostadiazione della patologia e quindi da un minor ricorso<br />

alla chemioterapia adiuvante.<br />

-Terzo punto nodale riguarda l’esecuzione dell’anastomosi che noi eseguiamo all’interno<br />

della cavità addominale; ciò non per un puro esercizio tecnico dovendosi eseguire suture<br />

intracorporee ma per non sottoporre a trazioni i monconi d anastomizzare controllandone<br />

con precisione l’orientamento e l’eventuale sanguinamento dai mesi.<br />

68


Chirurgia laparoscopica del <strong>colon</strong> sinistro<br />

Già da alcuni anni abbiamo adottato la tecnica della mobilizzazione della flessura splenica<br />

con accesso transomentale dall’alto e ciò sia per l’ottima visione<br />

che si ottiene sulla radice del meso<strong>colon</strong> al bordo inferiore del<br />

pancreas che per la visione diretta dei rapporti con la milza.<br />

Inoltre la preparazione del meso<strong>colon</strong> dal piano della fascia di<br />

Toldt può essere spinta nei casi più favorevoli fino alla vena<br />

mesenterica inferiore. E’ necessario posizionare l’ottica nel<br />

trocar più alto, utilizzare la mano sinistra e sfruttare<br />

l’antiTrendelemburg per facilitare tale accesso ma il vantaggio di<br />

completare in tempi rapidi la parte più impegnativa dell’intervento<br />

controllando sotto visione diretta la milza ci ha indotto ad<br />

adottare di routine tale procedura.<br />

E’ necessaria la conoscenza dell’approccio dall’esterno<br />

all’interno e dall’interno all’esterno in particolare per dominare le flessure complesse.<br />

Altro punto di interesse risulta la riproposizione della tecnica di Valdoni eseguibile anche in<br />

chirurgia laparoscopica e da riservare alla patologia benigna di pazienti anziani: essa<br />

consiste nella scheletrizzazione dell’arteria mesenterica inferiore con sezione dell’arteria<br />

colica sinistra e delle arterie sigmoidee nell’ottica di migliorare la vascolarizzazione del<br />

moncone distale del retto. L’accesso al peduncolo dell’arteria mesenterica inferiore che<br />

viene sezionata a qualche centimetro dalla sua origine viene da noi proposta dal basso<br />

verso l’alto a partire dalla base della plica di Gruber. La minilaparotomia risulta essere<br />

nella stragrande maggioranza dei casi un’incisione secondo Pfannenstiel di piccole<br />

dimensioni. L’anastomosi transanale sec.Knight-Griffen viene completata con un controllo<br />

accurato dell’orientamento sulla tenia e con una prova idraulica di tenuta. Un’eventuale<br />

ileostomia defunzionalizzante provvisoria viene collocata nella sede del trocar pararettale<br />

destro.<br />

Chirurgia laparoscopica del retto<br />

La magnificazione dell’immagine determina indubbiamente un<br />

reale vantaggio nell’esecuzione dell’exeresi totale del mesoretto<br />

per i tumori del retto medio-inferiore. Partendo dal repere<br />

anatomico del moncone distale dell’arteria mesenterica inferiore si<br />

procede con la dissezione del mesoretto lungo il piano sacrale di<br />

Heald, posteriormente fino alla sezione del legamento rettosacrale<br />

che permette di accedere al piano dei muscoli elevatori,<br />

lateralmente senza eseguire un’eccessiva scheletrizzazione per il<br />

rischio di lesione del plesso pelvico laterale ed anteriormente<br />

sotto visione diretta nel piano anteriore della fascia<br />

prostatoperitoneale di Denonvilliers. L’ausilio di un quarto trocar<br />

ed una posizione spinta di Trendelemburg risultano spesso<br />

necessarie all’esecuzione di una TME in particolare per neoplasie<br />

di grandi dimensioni in bacini maschili.<br />

69


Per tutta la chirurgia oncologica è necessario applicare tecniche ereditate dalla chirurgia<br />

open: “no touch tecnique”, dissezione in piani avascolari con minore traumatismo<br />

possibile, protezione di parete, evitare l’effetto “camino” dai trocar. Solo così è possibile<br />

ottimizzare i vantaggi dell’approccio mini-invasivo anche nel campo della chirurgia<br />

oncologica.<br />

In conclusione proponiamo la nostra casistica nel campo della chirurgia colorettale<br />

laparoscopica, aggiornata al settembre 2004.<br />

7<br />

10<br />

71 74 18<br />

15<br />

224<br />

70<br />

45<br />

Resezioni<br />

anteriori di retto<br />

AAP<br />

Resezioni parziali<br />

Emicolectomie<br />

destre<br />

Emicolectomie<br />

sinistre<br />

Resezioni del<br />

trasverso<br />

Colectomie totali<br />

Resezioni di<br />

sigma


L’Emicolectomia destra<br />

G. Spinoglio<br />

Descriviamo la tecnica da noi ormai sempre utilizzata e lo strumentario attualmente in uso.<br />

Esistono, ovviamente , altre varianti di tecnica e di strumentario utilizzate da altri chirurghi.<br />

Posizione del paziente<br />

Il paziente è in decubito dorsale, con il braccio sinistro lungo il corpo, le gambe unite, con<br />

letto operatorio in posizione piana e rotazione laterale di 15-20 gradi sul fianco sinistro.<br />

Il chirurgo si colloca alla sinistra del paziente con il primo aiuto alla sua sinistra ed il<br />

secondo alla destra.Lo strumentista alla sinistra del primo aiuto.<br />

Strumentario<br />

Telecamera digitale con due schermi affiancati<br />

Ottica 30° gradi, 10mm.<br />

Insufflatore ad alto flusso con riscaldatore di gas e recupero dello stesso<br />

Apparecchiature di registrazione continua in diverso formato<br />

1 ago di Veress (esclusa la necessità di open laparoscopy con trocar di Hasson)<br />

2 trocars da 10-12 mm di cui uno ottico per la prima introduzione<br />

2 trocars da 5 mm<br />

3 pinze da presa poliuso da 5 mm tipo johannes o Wattiez ( differente lunghezza<br />

del morso con identica presa). Talora vengono utilizzate pinze di Babcock<br />

monouso.<br />

1 o 2 pinze da presa 10mm poliuso ad anelli o, meglio, Babcok monouso<br />

1 dissettore passafili 10mm ad angolo retto<br />

Dissettore ad Ultrasuoni con manipolo da 5 mm preferibilmente.<br />

1 forbice elettrificata 5mm.<br />

1 pinza bipolare poliuso tipo Moueil da 5mm.<br />

Irrigoaspiratore elettrico peristaltico con riscaldatore di liquidi (Tipo Manhes)<br />

Lunghette di garza di tessuto non tessuto<br />

Protettore di parete in plastica tipo Vi-Drape con anello 12 cm.<br />

Suturatrice laparoscopica da 45 mm con caricatore vascolare ed intestinale<br />

Disposizione dei trocar<br />

I trocars si dispongono ad arco di cerchio nell’emiaddome di sinistra, con il meridiano sulla<br />

linea xifopubica e l’apogeo a livello della linea ombelicale trasversa, all’esterno della<br />

mammillare<br />

Il primo trocars da 10 mm. si posiziona lungo la linea ombelico-S.I.A.S all’esterno del<br />

margine del muscolo retto, il secondo sull’emiclaveare, 4-5 cm. cranialmente<br />

all’ombelicale trasversa, il terzo, da 5 mm, in regione sovrapubica sulla linea mediana, il<br />

quarto, da 5 mm in sede sottoxifoidea.<br />

71


Esposizione del <strong>colon</strong><br />

Si dispone l’epiploon cranialmente riponendolo sotto il lobo sinistro delfegato e sullo<br />

stomaco; le anse dsell’intestino tenue vengono raccolte nello spazio sottomesocolico<br />

nell’emiaddome sinistro. L’operatore espone a ventaglio il meso<strong>colon</strong> traverso<br />

trazionandolo con due pinze e, con tale manovra, si evidenzia la prima ansa digiunale<br />

all’angolo di Treitz.<br />

Preparazione e sezione dei vasi del <strong>colon</strong> destro<br />

Trazionando il meso<strong>colon</strong> traverso cranialmente e la radice del mesentere ileale<br />

caudalmente si evidenziano l’origine ed il decorso dell’arteria colica media: si afferra il<br />

meso<strong>colon</strong> in tale sede con una pinza da presa che viene affidata al secondo aiuto e<br />

mantenuta in leggera tensione in direzione craniale. Identificata l’ultima ansa ileale,<br />

l’operatore afferra con la pinza da presa nella mano sinistra il meso della stessa,<br />

ponendolo in tensione in direzione caudale: le due trazioni contrapposte creano una<br />

salienza lineare che si identifica con il decorso dei vasi mesenterici superiori e dei vasi<br />

ileocolici che li continuano.<br />

72


Incidendo con il bisturi ad ultrasuoni il peritoneo subito al di sotto della salienza dei vasi<br />

ileocolici si disseca il cellulare lasso che separa la fascia di Toldt dalla fascia di Gerota , o<br />

meglio i due foglietti della fascia di Toldt. La dissezione smussa ed esangue può essere<br />

estesa in senso caudocraniale dalla riflessione peritoneale sui vasi iliaci esterni alla<br />

porzione orizzontale del duodeno, mentre lateralmente si può guadagnare spazio sino alla<br />

doccia parietocolica, lasciando uretere e vasi gonadici al di sotto del foglietto profondo<br />

della fascia di Toldt.<br />

Proseguendo cranialmente l’incisione del peritoneo si espone la faccia anteriore della<br />

vena mesenterica superiore liberandola dal margine sinistro verso destra in modo da<br />

asportare in blocco tutto il tessuto linfograsso. Si identificano facilmente i vasi ileocolici che<br />

vengono isolati all’origine e sezionati tra clips. Di norma si isola e si seziona per prima la<br />

vena mentre l’’arteria si dispone dietro di essa, alla sua destra, e viene meglio<br />

scheletrizzata dopo la sezione venosa. Nei casi non frequenti in cui l’arteria ileocolica<br />

appaia per prima davanti ed alla sinistra della vena, l’isolamento di entrambi i vasi è più<br />

difficile.<br />

ARTERIA ILECOLICA<br />

ramo destro dell’arteria<br />

colica media<br />

Successivamente, esponendo tutta la faccia anteriore della vena mesenterica superiore, si<br />

possono incontrare, identificare e sezionare i vasi colici destri, quando presenti. Queste<br />

manovre consentono di estendere cranialmente lo scollamento del meso<strong>colon</strong> ascendente<br />

accollato, fino ad esporre tutta la faccia anteriore della testa pancreatica ed il duodeno. Il<br />

corretto piano di scollamento può essere più facilmente seguito conducendo la dissezione<br />

in senso latero-mediale, dal margine esterno della C duodenale alla superficie del<br />

pancreas: I vasi venosi del <strong>colon</strong> ascendente sono sollevati verso l’alto nella tenda<br />

mesocolica e danno la direzione del loro confluire nel tronco di Henle. Il passaggio<br />

caudocraniale diretto sulla superficie della testa pancreatica ha spesso provocato<br />

sanguinamento di vasellini della capsula pancreatica e non ha permesso una<br />

identificazione precoce del tronco di Henle con fastidiose emorragie legate a lesione dei<br />

suoi confluenti.<br />

Identificato il tronco di Henle non sezioniamo, di norma, nessuno dei suoi vasi ma<br />

passiamo alla identificazione, alla radice del meso<strong>colon</strong> traverso, dell’arteria colica media<br />

che viene scheletrizzata alla sua origine: pratichiamo la legatura e la sezione alla radice in<br />

caso di neoplasie della flessura colica destra, mentre eseguiamo la legatura del ramo<br />

destro di divisione negli altri casi,<br />

Aperto il meso<strong>colon</strong> traverso si entra nella retrocavità degli epiploon e, trazionando il<br />

<strong>colon</strong> traverso verso l’alto, si espone il tronco di Henle da entrambi i lati: risulta più agevole<br />

identificare sia la vena colica (destra o media) sia la vena gastroepiploica destra che<br />

73


possono essere sezionate. Il tempo vascolare si conclude con l’identificazione dell’arteria<br />

gastroepiploica destra e con la sua sezione all’origine, per asportare completamente la<br />

catena gastroepiploica. Tale procedura non è necessaria nelle neoplasie ciecali, ma data<br />

l’alta percentuale di recidiva locoregionale sulla superficie della testa pancreatica riferita in<br />

letteratura nelle neoplasie del <strong>colon</strong> destro, seconda solo alle recidive del cancro del retto,<br />

riteniamo che una linfadenectomia estesa possa essere corretta.<br />

Si seziona infine il meso ileale fino a ridosso del tubulo intestinale utilizzando il bisturi ad<br />

ultrasuoni, clips o suturatrice con punti vascolari.<br />

Apertura del legamento gastrocolico<br />

Il legamento gastrocolico viene sezionato con Ultracision iniziando dalla sua metà<br />

prossimale. Nelle neoplasie del cieco può essere conservata l’arcata vascolare<br />

gastroepiplooica, mentre nelle lesioni dell’ascendente distale e della flessura colica<br />

destra, l’arcata grastroeplooica destra viene interrotta a livello del suo ionosculo con la<br />

gastroepiploica sinistra ed asportata completamente rimanendo rasenti alla grande<br />

curvatura gastrica, con la radice vascolare già sezionata all’origine nel tempo vascolare<br />

appena descritto.<br />

Si mobilizza successivamente la flessura epatica e si giunge al piano precedentemente<br />

realizzato tra il meso<strong>colon</strong> e la C duodenale.<br />

Apertura della doccia parietocolica<br />

L’ultimo tempo dell’intervento è il distacco pariietocolico realizzabile con facilità se è stata<br />

effettuata la completa liberazione mediolaterale del meso<strong>colon</strong>. Viene eseguita al temine<br />

con il duplice scopo di favorire le precedenti manovre di dissezione e di ridurre al minimo<br />

la manipolazione della lesione neoplastica intestinale.<br />

74


Estrazione ed anastomosi<br />

Si pratica una breve laparotomia sottocostale destra trasversale (5-6 cm di lunghezza) e<br />

si introduce un telo ad anello. Si estrae il <strong>colon</strong> e si procede alla sezione colica con<br />

asportazione dell’epiploon ed alla sezione ileale. Si pratica la ricostruzione della continuità<br />

mediante anastomosi extracorporea, secondo la tecnica preferita. Particolare cura va<br />

posta nel controllo della corretta posizione delle anse per evitare la confezione di<br />

anastomosi con torsione del mesentere ileale.. . Non eseguiamo la riperitoneizzazione<br />

della breccia sui mesi.<br />

Una ulteriore esplorazione laparoscopica dopo la sutura della laparotomia di servizio,<br />

completa l’intervento. Non posizioniamo drenaggi.<br />

75


La learning curve e l’apprendimento della chirurgia laparoscopica del<br />

<strong>colon</strong> e del retto.<br />

G. Spinoglio<br />

La curva di apprendimento in chirurgia è tornata alla ribalta prepotentemente con<br />

l’introduzione e lo sviluppo della tecnica laparoscopica ed in particolare della chirurgia<br />

laparoscopica avanzata. I fattori responsabili dell’enfatizzazione sono soprattutto<br />

riconducibili alla grande differenza tra l’approccio laparotomico e quello laparoscopico e ad<br />

una certa diffidenza e contestazione con cui la tecnica laparoscopica è stata accolta da<br />

una gran parte del mondo chirurgico nelle tappe del suo sviluppo.<br />

Differenze d’approccio<br />

Le differenze che più condizionano il chirurgo in laparoscopia possono essere così<br />

sintetizzate:<br />

Differente campo visivo: si passa da una normale visione binoculare<br />

grandangolare (35°) tridimensionale ad una visione bidimensionale con un campo<br />

ristretto da microchirurgia con 20 ingrandimenti sullo schermo. Il vantaggio della<br />

magnificazione dei particolari paga lo scotto di una mancata visione d’insieme di<br />

tutto il campo operatorio. Viene quindi richiesto un nuovo progetto mentale<br />

dell’intervento chirurgico che deve essere spezzettato in tappe successive che<br />

fondano la loro correttezza sul perfetto riconoscimento dei particolari anatomici<br />

senza la verifica dello “sguardo d’insieme” che, tanto spesso, viene in soccorso<br />

nella laparotomia.<br />

Differente approccio operativo e postura:da una visione diretta e verticale con<br />

una operatività dominata dal gesto diretto si passa ad un movimento degli arti che<br />

muovono lunghe leve coordinato da una visione indiretta su uno schermo. L’abilità<br />

tecnica dei movimenti corretti e l’acquisizione della sensibilità di palpazione con gli<br />

stessi richiede tempo ed esercizio continuo.La visione televisiva obbliga, peraltro,<br />

ad una attenzione continua con postura non abituale, attivazione di muscoli diversi<br />

ed abolizione dell’accomodazione oculare e, di conseguenza, comporta un<br />

aumento di fatica.<br />

Costituzione di equipe affiatata: la preparazione in sala operatoria di un<br />

intervento di chirurgia laparoscopica avanzata è più indaginosa per le tecnologia<br />

impiegate e per la mancanza d’abitudine. La possibilità di visione dell’operatore è<br />

affidata totalmente all’aiuto che tiene la telecamera: bisogna raggiungere una<br />

perfetta identità di progetto mentale su ciò che si vuole vedere, come lo si vuol<br />

vedere e quando lo si vuol vedere.<br />

Diffidenza nella chirurgia laparoscopica<br />

Per i motivi sopraccitati la chirurgia laparoscopica è stata accolta con diffidenza e con<br />

contestazione in alcuni casi. In realtà questo atteggiamento deriva, in gran parte, da una<br />

condizione psicologica che ha condotto a definire una unlearning curve che deve integrare<br />

la learning curve. Richard Bettis in Strategic Management Journal evidenzia come esista<br />

una “logica dominante” che è frutto di “preconcetti” che derivano dalla consuetudine<br />

dell’esercizio professionale. Questa logica dominante ostacola il regolare delinearsi della<br />

learnig curve e pone in vantaggio di apprendimento i cosiddetti “nuovi competitori”, cioè<br />

coloro che sono meno esperti. Può, quindi, risultarne un’avversione preconcetta<br />

all’innovazione per la mancanza di risultati gratificanti a breve. In realtà una maggiore<br />

esperienza è sempre un vantaggio, se opportunamente utilizzata, e non esiste un’età<br />

76


limite oltre la quale l’innovazione non possa fare breccia, come hanno dimostrato in campi<br />

diversi Albert Einstein e George Bernard Shaw. Pertanto la logica dominante può essere<br />

controllata con una unlearnig curve, che non è altro che un processo di disposizione<br />

all’apprendimento rifiutando giudizi preliminari non controllati (pregiudizi). Tutto ciò ha<br />

condotto a porre la curva d’apprendimento al centro di tutte le discussioni usandola,<br />

talvolta, come una strumento di dissuasione alla diffusione degli interventi più impegnativi,<br />

piuttosto che considerarla correttamente quale strumento indispensabile della formazione<br />

chirurgica. Le conseguenze di questo atteggiamento estremo sono state soprattutto tre:<br />

La tecnica ed i risultati della laparoscopia sono stati attentamente controllati ed<br />

hanno potuto dimostrare la loro validità e riproducibilità<br />

Molti chirurghi hanno, purtroppo, sviluppato eccessiva sfiducia nelle possibilità del<br />

proprio centro di accedere routinariamente ad interventi di laparoscopia avanzata (<br />

cosiddetta “chirurgia per pochi” )<br />

E’ diventato evidente a tutti come la consuetudine dell’esercizio della chirurgia<br />

laparotomica abbia fatto dimenticare in questo settore l’importanza della curva di<br />

apprendimento, relegandola a strumento di controllo per le innovazioni.<br />

A seguito di queste considerazioni esaminiamo i caratteri che noi riteniamo cruciali nella<br />

nostra curva di apprendimento con l’intento di condividere e rivedere le nostre esperienze,<br />

ricordando che un training adeguato è il fondamento per il successo di qualunque<br />

chirurgia.<br />

La chirurgia laparoscopica del <strong>colon</strong> e, ancor più, del retto è difficile per la dissezione dei<br />

piani anatomici, per il controllo di vasi sanguigni importanti, per le numerose porte<br />

d’accesso ed il coinvolgimento di diversi quadranti addominali, per la manipolazione di<br />

grosse strutture e per l’esecuzione di manovre non abituali quali le resezioni intestinali ed<br />

il confezionamento di anastomosi. Le modalità di apprendimento si fondano su:<br />

Perfetta conoscenza dell’anatomia chirurgica<br />

Approfondita cultura oncologica<br />

Adeguato training in chirurgia laparoscopica di base<br />

Esperienza in chirurgia laparoscopica di base in casi complessi<br />

Approccio graduale alla chirurgia laparoscopica del <strong>colon</strong><br />

Perfetta conoscenza dell’anatomia chirurgica: le strutture devono essere dissecate<br />

accuratamente con tecnica microchirurgica; per questo è indispensabile una perfetta<br />

conoscenza dei peduncoli vascolari nella loro costituzione e suddivisione ed una<br />

conoscenza assoluta dei piani di accollamento.<br />

Approfondita cultura oncologica:legatura all’origine dei vasi scheletrizzati con rispetto<br />

delle strutture nervose, linfadenectomia completa, resezione corretta del tratto colico, no<br />

touch technique, sono mezzi per la cura della malattia ma anche per la facilitazione della<br />

riuscita tecnica dell’intervento poiché consentono una standardizzazione del metodo ed un<br />

campo operatorio esangue. Per questo motivo non differisce molto la tecnica resettiva per<br />

patologie benigne o maligne.<br />

Adeguato training in chirurgia laparoscopica di base ed esperienza in casi<br />

complessi: occorre familiarizzare con la strumentazione e migliorare il coordinamento<br />

occhio-mano con un buon affiatamento dell’equipe; è necessario un addestramento per la<br />

scelta corretta dei siti dei trocars, nei diversi tipi di addome, per prevenire la conflittualità;<br />

l’esperienza nei casi di base complessi ( viscerolisi, dissezione dei tessuti infiammatori,<br />

riconoscimento degli elementi anatomici sovvertiti, abitudine ad una chirurgia in campo<br />

esangue ) è importante per la sicurezza e tranquillità che può trasmettere.<br />

77


Approccio graduale alla chirurgia del <strong>colon</strong>: la selezione dei casi deve essere rigorosa,<br />

soprattutto nella fase iniziale; è bene iniziare con neoplasie coliche benigne, per passare<br />

successivamente alla malattia diverticolare, dove il fattore infiammatorio può complicare<br />

l’esecuzione tecnica, per finire con le neoplasie maligne. Per quanto riguarda la sede della<br />

resezione abbiamo ritenuto logico iniziare con emicolectomia sinistra con anastomosi<br />

intraperitoneale per passare succesivamente all’anastomosi sottoperitoneale,<br />

all’emicolectomia destra ed alla chirurgia vera e propria del retto per neoplasia maligna.<br />

Definizione dei termini della curva di apprendimento: una curva di apprendimento<br />

deve essere definita come metodo, come indicatori e come durata. Preferibilmente<br />

l’equipe operatoria deve essere la stessa per un certo numero di casi iniziali; la<br />

registrazione dell’intervento dev’essere rivista collegialmente; possono essere<br />

programmate conversioni di controllo ad un momento predeterminato dell’intervento; il<br />

tempo operatorio e la disponibilità degli operatori devono essere predefiniti ( l’ottimale è<br />

non porre limiti troppo ristretti).<br />

Gli indicatori, in genere, sono i tempi operatori, il % di conversioni, il % di complicanze<br />

intra e postoperatorie, il numero di linfonodi asportati.<br />

La durata della curva deve essere predeterminata in varie tappe per un controllo obiettivo<br />

del suo delinearsi: occorre almeno un anno di continuità perché i risultati possano essere<br />

significativi e momenti di sfiducia non interferiscano consigliando scelte emotive anziché<br />

razionali.<br />

Considerazioni finali sulla learning curve e sulle conversioni:<br />

la chirurgia laparoscopica del <strong>colon</strong> è faticosa e la curva di apprendimento è,<br />

generalmente, lunga perché necessita di un certo numero di casi, che devono essere<br />

anche selezionati e, quindi, non sempre reperibili in fretta. Questo fattore non deve essere<br />

un elemento negativo determinante, ma uno stimolo cosciente a proseguire con metodo e<br />

rigore. La fatica fisica e mentale, i lunghi tempi operatori che interferiscono con la normale<br />

attività routinaria, le critiche degli scettici o dei meno volenterosi che esistono all’interno di<br />

ogni equipe sono scotti con cui fare quotidianamente i conti in questo, ma non solo in<br />

questo, cammino dell’innovazione. Le complicanze sono, purtroppo, un bagaglio di<br />

chiunque faccia qualcosa, ed aumentano con la difficoltà del fare. Non siamo d’accordo,<br />

però, che la curva di apprendimento debba essere caratterizzata da complicanze:<br />

sicuramente possono esser in numero maggiore che non nella fase dell’esperienza<br />

matura, ma noi crediamo che la curva di apprendimento debba essere costellata di<br />

conversioni. La conversione non è una vergogna o la cartina tornasole tra chi è bravo e<br />

chi no: è la misura della prudenza del chirurgo ed è il momento che precede, e previene,<br />

la complicanza.<br />

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