LOSER GAME di Vincenzo Brighenti Vincenzo Brighenti è nato nel 1975 a Como. Dopo gli studi di ragioneria scopre il desiderio di scrivere. Apre un blog su Virgilio e poi su Splinder. Stimolato dai commenti positivi dei lettori decide di provare a pubblicare. Nel 2010, per Gir<strong>al</strong>di Editore, esce il romanzo Unhappy Years. Si è classificato terzo <strong>al</strong> “Premio Letterario Giovane Holden 2010” con il racconto che dà il titolo <strong>al</strong> suo secondo libro, Le tragicomiche email di Hansi Müller. Il corpo della Rodriguez giaceva inanimato accanto <strong>al</strong> lettino. Indossava un maglioncino Benetton e una gonna a mezza gamba. La pelle del viso, assai liscia, lasciava immaginare un uso abbondante di creme. “Per avere 63 anni li porta bene. Anzi, li portava” scosse la capoccia con un moto ondoso in aumento il commissario Raul Petrini. Che poi chiese, <strong>al</strong> medico leg<strong>al</strong>e: “A che ora ris<strong>al</strong>e il decesso?” “Alle 19-20 di ieri” fu la risposta. “Causa?” “Ancora da accertare. Non ci sono segni di colluttazione. Ci vorranno esami approfonditi.” “Per il momento grazie, prosegui pure il lavoro” chiosò Raul con taglio notarile. Passò ad an<strong>al</strong>izzare lo studio della Rodriguez. Sulle pareti campeggiavano <strong>al</strong>cuni quadri; riconobbe La Solitudine di Chag<strong>al</strong>l. Nel cestino c’era un bicchiere di caffè vuoto; lo prese per farlo an<strong>al</strong>izzare. Aprì poi l’agenda della Rodriguez; “Che lavoraccio!” esclamò. Si sarebbero dovuti passare in rassegna tutti i pazienti della dottoressa: solo il giorno del decesso erano stati sei. Poi c’erano tutti quelli in cura da lei, e nemmeno la clientela storica andava tr<strong>al</strong>asciata. Quantificò un centinaio di nominativi, o forse più, da vagliare. Gli s<strong>al</strong>tò la scimmia; complessati, bambinoni, frustrati, fanatici, ninfomani, eccetera. Era il 21 marzo. Aveva sperato in un inizio di primavera migliore. I suoi pensieri furono interrotti d<strong>al</strong>l’arrivo di Luca Mannoni, il suo fedele aiutante. “Buongiorno commissario, comandi” disse con devozione. “Comando… di arrivare in orario! Hai usato una carrozza a cav<strong>al</strong>lo invece dell’auto di servizio?” “Traffico bloccato in Borgovico, un caos tremendo”. “Passiamo oltre… non c’è tempo per le chiacchiere. Abbiamo tra le mani una patata bollente, prima riusciamo a raffreddarla e meglio è per tutti. Te, me e il comando”. “Cosa facciamo commissario?” Passarono <strong>al</strong>cuni minuti, durante i qu<strong>al</strong>i il cadavere della Rodriguez fu portato via. “Mannoni, passa in rassegna ogni centimetro quadrato dello studio; pensa che sia il corpo di tua moglie.” “Meglio di no…” sibilò Mannoni pensando ai rotoli di ciccia della gentile consorte. “Inoltre controlla la borsa della Rodriguez. Ogni minimo dettaglio può esserci utile. Ci aggiorniamo più tardi. Io devo interrogare la prima persona che ha ritrovato il cadavere.” “Ok. Quando termino il lavoro le mando un SMS.” “Aahhh!!!” “C<strong>al</strong>ma… non volevo spaventarla.” Il portiere Gino Ortelli piangeva con il capo chino su un m<strong>al</strong>concio tavolo in legno antico. La guardiola aveva un arredamento spartano. Pavimento in linoleum in stile americano anni Cinquanta. Una serie di ganci appesi <strong>al</strong> muro per le chiavi dei vari appartamenti; a occhio circa una ventina. Vi era poi uno scaff<strong>al</strong>e con libri, tra i qu<strong>al</strong>i si notava Contratto collettivo nazion<strong>al</strong>e dei portieri. Quasi nascosta <strong>al</strong>la vista, nell’angolo destro del loc<strong>al</strong>e, una bustina bianca vuota. “Mi scusi, è come se avessi ingoiato un chilo di p<strong>al</strong>ta.” “La capisco. Sono il commissario Petrini, devo farle delle domande che potrebbero essere fondament<strong>al</strong>i per le indagini.” “Sigh… proverò ad aiutarla.” “Grazie. Quand’è che ha visto la Rodriguez per l’ultima volta?” “Ieri mattina <strong>al</strong>le nove. Come <strong>al</strong> solito le ho portato ‘La Repubblica’.” “A mezzogiorno non usciva a mangiare?” “Alcuni giorni sì, <strong>al</strong>tri no. Ieri non l’ho vista uscire, o comunque non me ne sono accorto.” “Certo, certo. Ha notato niente di strano ieri nel viavai d<strong>al</strong> suo studio?” “No. Anzi… a pensarci bene qu<strong>al</strong>cosa sì. Verso sera ho visto un paziente uscire di fretta sbattendo la porta dello studio urlando: ‘Lei è un comunista di merda, che rabbia!’.” “Questo è interessante. Si ricorda con precisione che ora erano?” “Suppergiù tra le 18.30 e le 19.” “Lei in quell’orario è sempre stato in portineria?” “Sì. Commissario… non per scortesia ma avrei <strong>al</strong>cune faccende da sbrigare…” “Le rubo ancora <strong>al</strong>cuni istanti… La Rodriguez andava d’accordo con gli abitanti del p<strong>al</strong>azzo?” “In gener<strong>al</strong>e sì. A parte <strong>al</strong>cuni battibecchi per la sosta. La vede quella Twingo nera vicino <strong>al</strong>la siepe? Non è proprio il parcheggio che insegnano a scuola guida.” “In effetti…” aguzzò la vista Petrini guardando quell’auto messa di traverso che avanzava fuori <strong>al</strong>meno di 30 cm d<strong>al</strong>le strisce gi<strong>al</strong>le. “Sig Ortelli…da quanti anni lavora in questo stabile?” “Dieci. D<strong>al</strong> 2002. Mi manca poco per la pensione.” “Quindi conosce la Rodriguez da <strong>al</strong>lora?” “Era qui da pochi mesi quando sono stato assunto.” “Ha mai litigato con lei?” “No. Persona discreta ma gentile, e ora… non c’è più! Che tragedia!” riprese a singhiozzare. Raul capì che era il momento di girare i tacchi: “Coraggio sig Ortelli… intanto la ringrazio per le informazioni. Se avrò bisogno ritornerò”. Mise i sigilli <strong>al</strong>la scena del crimine e si lasciò <strong>al</strong>le sp<strong>al</strong>le il condominio di via Zamenhof 4. “La porta dello studio non è stata forzata. Nella borsa della Rodriguez c’era il portafoglio con <strong>al</strong>cune centinaia di euro in contanti. È l’incasso delle sedute di ieri, ho trovato le relative ricevute”, disse Mannoni. “Da questi elementi si può dedurre che la vittima conosceva bene il suo assassino e che non è stata uccisa per motivi economici. Altro?” “Ho trovato degli appunti della dottoressa sul paziente Tiziano Ricciardi, ingegnere informatico. Era l’ultimo di ieri.” Un ritratto inquietante: “Affetto da manie di persecuzione, egocentrico, fanatico politico. Padre deceduto; vive con la madre Sonia della qu<strong>al</strong>e è succube. Ha tendenze potenzi<strong>al</strong>mente distruttive che reprime a fatica”. In data primo febbraio, la dottoressa aggiungeva: ”Sta iniziando a recidere il cordone ombelic<strong>al</strong>e”. Quelle news fecero sentire a Raul le pile nuovamente cariche: “Mannoni, abbiamo poltrito abbastanza. Adesso dividiamoci i compiti e risolviamo il caso. Prendi la Twingo della Rodriguez e f<strong>al</strong>la an<strong>al</strong>izzare. Poi recati a casa sua e vedi se trovi qu<strong>al</strong>cosa che può esserci utile.” “Commissario, mi piace quando ha queste vampate di ottimismo! Lei come intende procedere?” “Vado a informarmi d<strong>al</strong>l’informatico. Ho qu<strong>al</strong>che equazione da proporgli, vediamo se me la risolve”. S<strong>al</strong>ì sull’Alfa 159 e partì in direzione Piazz<strong>al</strong>e Gerbetto. La sede della Smanettoni S.p.A. era spaziosa e occupava l’intero terzo piano del p<strong>al</strong>azzo. Petrini superò velocemente la bionda signorina della reception per recarsi a parlare con il titolare dell’azienda. Il qu<strong>al</strong>e sostenne che Ricciardi era assai abile nell’ingegneria informatica, ma nelle public relations non eccelleva. Il commissario se lo fece indicare e accelerò il passo. Ricciardi era concentrato sul monitor in maniera feroce. Alcune gocce di sudore imperlavano quel volto p<strong>al</strong>lido. La zazzera era folta e ben tenuta; qua e là spuntava qu<strong>al</strong>che capello bianco. Petrini, prima di interpellarlo, lo fissò ancora per <strong>al</strong>cuni istanti; quel viso non gli era nuovo. “Buongiorno, sono il…”. “Ah, lei dev’essere il committente del sito per l’Hotel Athena. Non ho ancora finito; colpa del mio collega Benetti che ha ben pensato di mettersi in m<strong>al</strong>attia oggi. E quindi devo farmi il culo per due.” “No. Sono il commissario Petrini.” “Cosa vuole da me?” sparò bruscamente Ricciardi. “È stata uccisa la dottoressa Rodriguez, la sua an<strong>al</strong>ista. Vorrei <strong>al</strong>cune delucidazioni da lei.” “E io cosa cavolo c’entro? Ecco che cosa fa la Polizia, perseguita le persone oneste che lavorano e pagano le tasse. Con tutta la crimin<strong>al</strong>ità extracomunitaria che c’è in giro… è assurdo!” “Senta! Anch’io pago le tasse e lavoro. Mi faccia la cortesia di accompagnarmi in Centr<strong>al</strong>e, perché ostacolandomi non ricaverà nulla di positivo”. Ricciardi, inizi<strong>al</strong>mente, lo incenerì con lo sguardo. Poi si convinse a seguirlo. Per <strong>al</strong>cune ore la Smanettoni S.p.A. poteva andarsene <strong>al</strong> diavolo. “Da quando tempo andava d<strong>al</strong>la Rodriguez?” domandò il commissario. “Circa un anno.” “Di sua iniziativa o spinto da qu<strong>al</strong>cuno?” “Che domanda è?” “Risponda! Corpo di mille bombe!” “Mia madre Sonia. Io non ero dell’idea… ma <strong>al</strong>la fine le ho dato retta. Una scemenza sesquiped<strong>al</strong>e.” “Lei odiava la Rodriguez?” “Non mi stava molto simpatica. Poi sempre con quella cavolo di ‘Repubblica’ sottobraccio. Commissario, ma lei non sa i crimini che hanno commesso questi comun…” “Mi risparmi la tribuna politica. Veniamo <strong>al</strong>l’osso: se non le stava simpatica perché continuava ad andarci? Lei si diverte a buttare i soldi d<strong>al</strong>la finestra?” disse Petrini scarabocchiando nervosamente sul notes. “Era l’unica, seppur a pagamento, che mi ascoltava. Al lavoro sono tutti in burnout. I miei amici, ultimamente, pensano solo a se stessi. E io sono solo. Come da piccolo, quando mia madre mi costringeva a stare piegato sui libri perché dovevo essere il migliore. Ma la schiavitù finirà presto.” Petrini tergiversò <strong>al</strong>cuni istanti; poi fece prendere le impronte digit<strong>al</strong>i di Ricciardi. Proseguì a torchiarlo per un bel po’ ma senza esito. Il commissario decise <strong>al</strong>lora di sfoderare il suo famoso sguardo magnetico (che un tempo mandava in delirio le pulzelle). Fissò dritto negli occhi l’accusato, aggrottò le sopracciglia e: “Ha ucciso lei la Rodriguez?” 5 6