Massimiliano Capati MONTALE SAGGISTA
Massimiliano Capati MONTALE SAGGISTA
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<strong>Massimiliano</strong> <strong>Capati</strong><br />
<strong>MONTALE</strong> <strong>SAGGISTA</strong><br />
1
La sobria ed elegante veste tipografica, lʹannuncio pacato e senza enfasi,<br />
il modico entusiasmo di recensori e curatori, non devono ingannare sulla<br />
entità dellʹimpresa. La pubblicazione in tre volumi ‐ più uno di indici ‐<br />
dellʹintera (o quasi) produzione saggistica di Montale è lʹevento capitale tra<br />
quelli realizzati nellʹambito delle celebrazioni per il centenario della sua<br />
nascita. Tanto più preziosa questa ricomposizione in libro dei saggi di<br />
Montale, quanto più essa fu dilazionata, guardata ‐ riferisce il curatore<br />
Giorgio Zampa ‐ con indifferenza disarmante dal poeta stesso. Anche perché<br />
Montale non fu solo un buon critico letterario, ma fu ‐ quando volle ‐ un buon<br />
lettore di se stesso, della propria poesia. In questi volumi del Secondo mestiere<br />
si troveranno allora intuizioni, illuminazioni, indagini sofisticate su scrittori,<br />
avvenimenti politici o culturali, ma anche il più adeguato viatico per la<br />
lettura dei suoi versi 1 .<br />
Della agilità critica di Montale si era accorto, per esempio, Luigi Russo,<br />
che nel Prologo della sua grossa Critica letteraria contemporanea, lo nominava<br />
tra coloro di cui avrebbe voluto occuparsi in un capitolo ancora da scrivere (e<br />
poi mai scritto) 2 . Da uno scambio di lettere riportato in parte nei volumi<br />
montaliani, sappiamo ora che nella sua dichiarazione di stima non era<br />
estranea una conversazione con Croce, il quale ‐ nelle parole di Russo ‐<br />
includeva Montale tra “i dilettanti in senso superiore, gli irregolari, i quali<br />
portano un contributo molto notevole e di sensibilità artistica e di visione<br />
etico‐storicaʺ(P, p. XXXII). Gianfranco Contini, poi, ed Emilio Cecchi, non<br />
perderanno occasione per rammentare lʹauspicabilità e lʹurgenza di una<br />
raccolta o ricca antologia degli scritti critici di Montale 3 .<br />
Se questi sono i precedenti, appare incomprensibile il grave imbarazzo<br />
di fronte alla mole degli inediti manifestato dal curatore Giorgio Zampa che<br />
dopo averne desiderato la ricomposizione in libro, sembra impegnato<br />
nellʹIntroduzione a denunciarne soprattutto i limiti. Segnala dunque con<br />
grande solerzia le ʺincombenze penoseʺ toccate al Montale giornalista, i suoi<br />
ʺpunti di maggior depressioneʺ, o anche ʺlʹassenza di scrittori importanti, di<br />
protagonisti, o di opere‐chiave, di testi rivelatori dello Zeitgeistʺ, che, sempre<br />
secondo Zampa ʺnon trova giustificazione apparenteʺ. Giunge addirittura,<br />
quando gli sembra eccessiva lʹinsistenza su alcuni scrittori, evidentemente<br />
minori, ad invitare il lettore a divinare ʺil rovescio di certe medaglieʺ, il<br />
2
doppio senso, lʹeventuale commento privato del poeta: ʺSi sarebbe visto da<br />
quali occasioni o spinte o ingiunzioni nacquero certi pezzi, che origine ebbero<br />
singolari insistenze, un tono affettuoso, certi riguardi; che cosa coprivano o<br />
nascondevanoʺ.<br />
Sfugge la necessità di queste giustificazioni, pure comprensibili in un<br />
amico di Montale, che ha sentito la coerenza del suo itinerario poetico;<br />
inversamente proporzionale alla occasionalità di molti pezzi del suo<br />
repertorio giornalistico. ʺSi prova ancora oggi disagio ‐ continua Zampa ‐ nel<br />
leggere interviste di Montale a personaggi a lui inferiori, illuminati dalla<br />
moda o da ragioni di mercatoʺ(P, p. XLII). E perché? Non si nasce tutti<br />
Manzoni, o Croce (o Giorgio Zampa). E ancor prima di deprecare i mancati<br />
riconoscimenti al poeta ‐ costretto per anni nella posizione giornalistica di<br />
r.o., redattore ordinario al Corriere della sera ‐ ci si potrebbe interrogare su<br />
quanto tutto ciò non rientri nella sua natura paguresca, di animale schivo e<br />
difeso, restio ad assumere posizioni esposte a una eccessiva e disturbante<br />
visibilità.<br />
Ben più fondato invece lʹaltro disagio del curatore, la difficoltà cioè di<br />
racchiudere in un insieme coerente la voluminosa, intermittente, eccentrica<br />
produzione del Montale critico e giornalista. Nonostante infatti lʹaiuto degli<br />
Indici e delle Note al testo i volumi non riescono a contenere lʹinevitabile<br />
confusione tematica dei saggi. E gli stessi singolari criteri di edizione degli<br />
scritti ‐ disposti prima in ordine cronologico, poi tematico ecc. ‐ aumentano,<br />
se possibile, la confusione. Al lettore, alla sua compartecipazione attiva, il<br />
compito di rintracciare segrete e sotterranee corrispondenze o isolati grumi<br />
sapienziali, entro la vasta congerie di parole.<br />
Va aggiunto che alcuni articoli di Montale sono sfuggiti ai curatori di<br />
questa opera omnia, mentre vi è finito almeno un pezzo che non è suo ma di<br />
Giovanni Ansaldo (Calendarietto. Due ombre, pp. 440‐443). Inoltre ‐ ed è<br />
imperdonabile ‐ manca qualsiasi accenno alla “collaborazione” di Henry<br />
Furst in molti articoli firmati dal poeta. Eppure in una vecchia testimonianza<br />
Mario Soldati era stato esplicito: ʺParecchie recensioni, di nuovi libri<br />
americani e inglesi, gliele scriveva Furstʺ 4 .<br />
Superate le distrazioni dei curatori, ci si può dedicare alla lettura del<br />
testo. La tentazione più forte e più ovvia, nel caso di Montale, è quella di<br />
leggere la sua opera di critico e saggista in stretto rapporto con la sua opera in<br />
versi. Ma anche qui le difficoltà aumentano piuttosto che diminuire. E non è<br />
fuori luogo lʹavvertenza della cautela a chi si propone ʺdi tracciare schemi, di<br />
3
dedicare capitoli alla mosaicata cultura di Montaleʺ(P, XLI). Non solo a causa<br />
di un lavoro redazionale che lo spingeva spesso lontano dai suoi veri interessi<br />
ma anche per la sua natura di lettore dotato di mostruose capacità di<br />
assorbimento, che sembra presupporre nella sua poesia, di volta in volta, un<br />
diverso e sempre necessario confronto con la modernità letteraria dʹoccidente.<br />
Naturali e conseguenti allora le difficoltà dei suoi interpreti. In nessun<br />
caso come su Montale la critica si è profusa in indicazioni di fonti, affinità,<br />
derivazioni culturali. Per fare solo un esempio, in un libro del 1965 intitolato<br />
alla Poesia italiana del Novecento ‐ precedente lʹimmane lavoro della filologia<br />
montaliana ‐ che ebbe qualche successo quando uscì (comprovato da varie<br />
ristampe) sono citati come fonti di Montale, in un breve capitolo: Ungaretti,<br />
DʹAnnunzio, Eliot, Valéry, Proust, Dante, Joyce, i surrealisti, gli stilnovisti,<br />
Pascoli, Palazzeschi, Govoni e Gozzano 5 . Montale inoltre non è un Benn o un<br />
Valéry, scrittori animati da un sacro furore genetico, che hanno lasciato saggi<br />
memorabili sui propri maestri e ispiratori, e sulla propria posizione nei<br />
confronti della Tradizione. Cʹè anzi in lui un trarsi in disparte, una<br />
dissimulazione difensiva, una sorta di cattiva coscienza che si esprime spesso<br />
nella riconoscibile volontà di celare i propri autori.<br />
Non per questo ogni tentativo di ʺesegesi delle fontiʺ è destinato<br />
allʹinsuccesso. Anzi, tra il suo primo saggio su Sbarbaro e le tarde preziose<br />
interviste ‐ che rispettivamente aprono e chiudono i tre volumi, esclusa una<br />
ritardataria Appendice editoriale ‐ le indicazioni di Montale si rivelano,<br />
nonostante tutto, il più sicuro riferimento per lʹinterpretazione della sua<br />
scrittura. Quel mistero, quellʹoscurità della sua poesia ‐ che un giorno<br />
Giovanni Macchia volle difendere da aggressioni troppo esplicite 6 ‐ è stato in<br />
realtà sapientemente svelato da Montale, il quale tra interviste, note,<br />
suggerimenti ai fedeli discepoli, ha costruito con garbo e discrezione un auto‐<br />
commento continuo.<br />
Ancor più delle interviste della maturità, è di importanza decisiva il<br />
cosiddetto Quaderno genovese ‐ qui ripubblicato ‐ sorta di mini‐zibaldone<br />
montaliano, quaderno del 1917 colmo di appunti, versi, annotazioni di letture<br />
e stati dʹanimo. È un Montale acerbo, giovane autodidatta, letterato un poʹ<br />
snob, vicino in spirito alle avanguardie francesi o italiane, tra simbolismo,<br />
futurismo e ultimi rigurgiti lacerbiani e vociani. È il giovane che può dire ʺil<br />
mio Sofficiʺ o affermare, sempre secondo il suo precettore che ʺlʹarte è arbitrio<br />
e artifizioʺ(AMS, pp. 1294 e 1333). Oppure:<br />
4
Vedo già che ogni anno brucerò e schernirò gli scritti dellʹannata precedente (e<br />
sarà progresso!). Alla fine poi ‐ 60 anni? 70? ‐ non avrò più nulla nei cassetti; solo<br />
della cenere nei fornelli. Niente avrò fatto: e pure sarò in progresso! Lʹidea mi diverte<br />
(AMS, 1313).<br />
Un funambolismo che risente dei modi futuristici del giovane<br />
Palazzeschi e che gli permetterà, quando sarà il momento, di riconoscere<br />
subito il significato dellʹesperimento Dada. Ha già letto Croce, e in alcuni<br />
appunti e ragionamenti sullʹarte sembra ragionare da crociano. Non fino al<br />
punto però di consentire col filosofo nelle sue ricorrenti condanne dellʹarte<br />
contemporanea. Il pretesto al gesto di rifiuto è la lettura di un libretto in cui<br />
lʹautore dichiarava di dover ʺquasi tuttoʺ a Croce 7 ; è la Letteratura italiana<br />
contemporanea di Karl Vossler (davvero insulso e lontano dalla consueta<br />
lungimiranza del critico tedesco): ʺEsilarante e scandalosa. Parla del<br />
futurismo come un cuoco analfabeta. Questo libello esiste anche in biblioteca.<br />
Disgraziatamenteʺ(AMS, 1302).<br />
Il dato più appetibile del Quaderno genovese è la mappa delle sue letture<br />
francesi (ʺCiò che dobbiamo alla Francia. Le dobbiamo tutto infatti! Io poi...<br />
tuttissimo...ʺ), in cui si rivela ancora una volta determinante ‐ e poco indagata<br />
dai critici ‐ quella zona simbolista o postsimbolista, tra Verlaine, Apollinaire,<br />
Jammes, Larbaud, Corbière e Cros. Un ambiente poetico che ispirerà più tardi<br />
le amorevoli cure del suo futuro amico Sergio Solmi e che tornerà a lasciare<br />
tracce evidenti negli ultimi versi di Montale.<br />
Quando dal Quaderno si passa ai suoi primi saggi il tono è già un altro.<br />
Una diversa responsabilità sembra guidare il suo gesto critico, che si<br />
organizza in discorso coerente, in ritratto. Il primo saggio, su Camillo<br />
Sbarbaro, è del 1920, e già Montale è capace di riconoscersi in quellʹamore<br />
ʺdel ʹrestoʹ, dello ʹscartoʹʺ, in quel vento di malattia, in quel tenersi a galla sui<br />
fenomeni della vita, in quella parola poetica che ha in sé ʺle stimmate della<br />
propria genesi dolorosa e necessariaʺ(P, 6).<br />
Se Sbarbaro appartiene alla genesi del Montale poeta ‐ è anzi il più<br />
immediato riferimento, con Ceccardo, tra gli scrittori della sua gente ligure ‐<br />
Emilio Cecchi (a cui è dedicato il secondo saggio del 1923) è in quegli anni la<br />
massima espressione della critica di terza pagina; il più sicuro esempio<br />
stilistico per il Montale saggista. E più tardi avrà la ventura di condividere<br />
con lʹantico maestro la stessa rubrica di Letture sul ʺCorriere della seraʺ 8 . In<br />
nessun altro dei critici contemporanei poteva trovare una tale riserva di<br />
suggestioni; non nel volontarismo di un Borgese, ma neanche nelle<br />
5
complicazioni tematiche ‐ non sempre gratuite ‐ del giovane amico<br />
Debenedetti.<br />
Bastano questi riferimenti a riformare quellʹimmagine di critico eslege a<br />
cui lui stesso dette ripetutamente credito. I suoi primi scritti sembrano più<br />
necessari di quanto Montale volle far credere. E ognuno è bravo, in tale<br />
evidenza, a sottolineare i passi immediatamente autobiografici nei capitoli<br />
dedicati a Sbarbaro, appunto, o a Linati, Pea, Benco, Svevo (dal secondo<br />
saggio in poi), Saba, Pellerin, Supervielle eccetera.<br />
Lo stesso Saba non celò le proprie perplessità alla lettura del saggio a<br />
lui dedicato. Gli sembrava infatti ‐ è Bazlen in una sua lettera a riferirlo a<br />
Montale ‐ ʺche nel tuo saggio su di lui, parli più di tue intime preoccupazioni<br />
dʹordine estetico, che della sua poesia; in parte ha ragione. Ciò non toglie che,<br />
assieme al saggio di Giacomino [Debenedetti] ... ed ad un bellissimo articolo<br />
di Benco, il tuo saggio sia il più presentabile di quanto finora è stato scritto su<br />
Sabaʺ 9 .<br />
Queste considerazioni sulla precoce maturità critica di Montale non<br />
escludono alcune linee di continuità con il giovane ribelle del Quaderno<br />
genovese. Ho accennato prima alle difese di Montale; per questi primi saggi si<br />
dovrà parlare piuttosto del loro carattere sicuro, spesso apodittico. Una<br />
certezza giudicante sembra guidarlo, sia nella discriminazione poetica che<br />
nellʹenunciazione teorica (contro la lirica pura, contro lʹOpera totale ecc.). Al<br />
primo gesto iconoclasta si è ora sovrapposto un moralismo di stampo<br />
torinese, del Gobetti crociano e illuminista. Da lì quel suo continuo (nel ʹ25<br />
come nel ʹ45) richiamo alla chiarezza, tanto più singolare in un poeta su cui si<br />
è riportata più volte la taccia di oscurità. Da lì anche lʹuso spesso paradossale<br />
del buon senso, lʹironia sulle facili mode, sui giochi verbalistici, lʹodio per il<br />
generico, lʹavversione verso il culto dellʹirrazionale, tanto più necessaria in<br />
tempi ʺdi turbamento intellettuale, misticismi‐danza‐del‐ventre ed altre<br />
stortureʺ(P, 58: sono parole del ʹ25, ma se ne trovano di simili in tutto il suo<br />
iter saggistico).<br />
La sotterranea coerenza del critico Montale non fa velo a quelle che si<br />
possono descrivere come sue carenze, difficoltà. Montale è, in modo<br />
pressoché esclusivo fino al ʹ43, un critico militante, addetto alla segnalazione<br />
di novità letterarie. Spesso, e questo vale anche per molti suoi pezzi del<br />
dopoguerra e oltre, i suoi articoli non superano il medio livello redazionale.<br />
Non credo sia rendergli un buon servizio ricercare in essi a tutti i costi ‐<br />
perché ʺla firma che recano lo richiedeʺ (P, XL) ‐ i modi stilistici della sua più<br />
6
alta scrittura. Proprio perché lui stesso ci ha informati sulla diversa natura del<br />
tremore poetico, sulla lunga e spesso inconsapevole accumulazione che<br />
precede il segno di penna discriminante, lʹestrinsecazione originaria della<br />
poesia. Diverso discorso va fatto semmai per lʹultimo Montale, il versificatore<br />
del dopo‐Satura, che sembra anzi sostituire e inglobare ‐ con una di quelle<br />
trasfigurazioni in cui era maestro ‐ il critico e il saggista, che intanto grazie<br />
anche a cospicui riconoscimenti (la nomina a senatore a vita e il premio<br />
Nobel) viene diradando i suoi impegni.<br />
Non serve in ogni caso il continuo raffronto con la poesia, in un saggista<br />
che ha già tutti i titoli per figurare in proprio. Dopo Cecchi e Borgese,<br />
Montale è con ogni probabilità uno dei maggiori scopritori di talenti del<br />
Novecento letterario italiano. Suo il primo articolo sul caso Svevo, ma anche<br />
la scoperta e la presentazione della Manzini, di Comisso, Delfini, Lalla<br />
Romano, Siciliano, Soldati (appena dopo Borgese) e tanti altri. Senza contare<br />
lʹinconsueta prontezza (maturata a contatto della Trieste di Saba, Svevo,<br />
Bazlen) con cui aveva saputo riconoscere la parola e la scrittura di buoni<br />
autori stranieri, Du Bos e Proust, Joyce e Freud, Malraux e Larbaud. Sarebbe<br />
un errore vedere in questa capacità divinatoria solo un perfetto tempismo di<br />
prima linea, o anche lʹattenzione esclusivamente estetica per qualsiasi<br />
originalità rivelata. Questa prolungata attenzione nasce in realtà da una<br />
auscultazione, tanto più profonda quanto meno ostentata, di ogni risvolto<br />
sociale e culturale del fenomeno letterario. Non di rado nelle sue pagine si<br />
ritrovano spunti, rimasti inutilizzati, di una non banale sociologia letteraria.<br />
Due soli frammenti del ʹ26:<br />
Nella poesia di Saba e in quella del Campana, ma più limitatamente (dobbiamo<br />
citare ancora insieme questi poeti così diversi), entra per la prima volta in Italia, e<br />
non in virtù di inutili descrizioni, ma come di fuso senso tonale, il sapore di<br />
quellʹacre georgica urbana che Baudelaire, altri lʹha osservato, portò<br />
incomparabilmente nella poesia francese (P, 122).<br />
E ancora, su Svevo:<br />
A confutare, frattanto, ogni critica eccessiva, potremmo chiedere a questi<br />
scontenti in quale altro libro nostro sia contenuta una rappresentazione altrettanto<br />
profonda della media borghesia italiana di questi ultimi anni. Lʹosservazione ci<br />
sembra decisiva (P, 113).<br />
A chi abbia letto con attenzione i saggi del Montale entre‐deux‐guerre,<br />
non appare allora una assoluta novità il futuro, ironico pubblicista di Auto da<br />
fé, che si interroga senza sosta sulle nuove metodologie e forme dʹarte, sui tic<br />
7
e sulle metamorfosi di una società incurante e inconsapevole, o il tardo poeta<br />
gnomico di Satura e del dopo‐Satura, mondano dicitore di domande o<br />
sentenze aleatorie e definitive. Sia chiaro: questa constatazione ancora non<br />
dice nulla sulla qualità formale dellʹultima poesia montaliana; introduce però<br />
un ulteriore elemento di necessità in una evoluzione poetica che è spesso<br />
stata vista ai limiti dellʹestemporaneità o dellʹarbitrio.<br />
È ancora Montale a fornire un tracciato cronologico: “In definitiva,<br />
fascismo e guerra dettero al mio isolamento quellʹalibi di cui esso aveva forse<br />
bisogno. La mia poesia di quel tempo non poteva che farsi più chiusa, più<br />
concentrata (non dico più oscura). Dopo la Liberazione ho scritto poesie di<br />
ispirazione più immediata” (AMS, 1593). Non solo. Al raccoglimento segue lo<br />
sfogo, la manifestazione; lʹaccenno marginale si fa discorso compiuto, il<br />
letterato si riconosce uomo ‐ seguo i suoi termini ‐ e parla. Il periodo della<br />
Liberazione è il periodo dellʹarticolo politico, dellʹinizio di un non più<br />
interrotto discorso sul significato delle arti e della poesia nella nuova società.<br />
Non è in assoluto un nuovo Montale. Gli accenni di discontinuità<br />
cronologica, di periodizzazione, sfiorano appena la superficie di una carriera<br />
che nel fondo sembra far riferimento a solide costanti, almeno fino alla svolta<br />
annunciata dal libro di Satura.<br />
Lʹinesorabile e quieta Apocalisse, per come è descritta nelle pagine di<br />
Auto da fé, non è qualcosa che si riferisce ad un avvenimento o a un regime<br />
politico; è invece una eterna possibilità, uno stato dellʹanima. Allo stesso<br />
modo, una connaturata ironia lo terrà sempre distante da apocalittici furori.<br />
Anche in questo Montale è lontano da un Benn o da un Valéry, dalla loro<br />
nervosa o ipnotica eleganza. Più diverso ancora se possibile da uno qualsiasi<br />
dei poeti ermetici, accomunati da una prosa saggistica contratta, allusiva,<br />
spesso involuta e autoreferenziale, che consente però una più agevole lettura<br />
parallela delle loro scritture di prosa e di versi. Forse più appropriato un<br />
paragone con autori come Adriano Tilgher e Giuseppe Rensi ‐ tra i pochi<br />
italiani ʺcritici della civiltàʺ ‐ che conosce e legge fin da giovane. La crisi di<br />
Montale, in ogni modo, esclude compiacimenti e coinvolgimenti. Restano<br />
salde in lui, fin troppo, alcune certezze ereditate da una tradizione<br />
essenzialmente umanistica, in senso lato borghese e ottocentesca.<br />
Significativa la sua stima per Bernard Berenson o Carlo Sforza, di cui serba<br />
unʹimmagine tradizionale ma non banale. Uomini che dal secondo<br />
dopoguerra in poi altri cominciavano ad indicare come patetici, fastidiosi (o<br />
pericolosi, a seconda dei gusti) revenants ottocenteschi. La presenza<br />
8
dellʹOttocento si avverte anche in alcuni tic apparentemente secondari come<br />
lʹinsistita richiesta del Personaggio ‐ la cui morte definitiva era ormai<br />
accertata e passata in giudicato ‐ nel romanzo, o il rispetto per i moderni,<br />
quasi impossibili, eroi letterari, uomini dʹazione come Malraux e Lawrence<br />
dʹArabia. E potrà rimproverare Natalino Sapegno di non aver incluso<br />
l’avventuriero nostrano Curzio Malaparte – certo meno affascinante dei suoi<br />
pari novecenteschi ‐ nella sua Storia letteraria (P, 2062‐2068).<br />
Un reazionario? Non è la parola giusta. È piuttosto una specie di<br />
paradossale sociologo della letteratura, fuori da schemi, ricette e accademie,<br />
ma attento nellʹindividuare il significato socioculturale dellʹespressione<br />
letteraria (o musicale). Sconcertante lʹattualità ‐ oggi più di ieri ‐ delle sue<br />
pagine di Auto da fé, che gettano una luce inquietante sui vari progetti di arte<br />
programmatica o propagandistica, ostinatamente riproposti, fino a qualche<br />
anno fa, da studiosi recidivi e di severo aspetto con irreprensibile e comica<br />
serietà. Montale preferirà invece indicare i propri maestri ‐ da allievo non<br />
fedelissimo e con una sfumatura di snobismo ‐ in alcuni “critici del buon<br />
senso” come Pancrazi e Cecchi, o anche Silvio Benco e Alfredo Gargiulo. Il<br />
suo istinto analitico è come dissimulato da un tono di bonario o ironico<br />
distacco. Succede spesso che la sua pagina assuma i modi del proverbio, di<br />
una saggezza disincantata e popolare: ʺIn una letteratura moderna che si<br />
rispetti, direi che un critico come Charles Du Bos ci vuole: due sarebbero<br />
forse già troppiʺ(P, p. 530).<br />
O ci si può anche imbattere in un inciso tipo ʺscusate lo sternutoʺ<br />
(prima di nominare la parola Weltanschauung) e in un ʺdirebbe un critico<br />
eleganteʺ a seguito ‐ e a giustificazione ‐ dellʹuso di una formula di<br />
manierismo saggistico. Forse in questi rari ma ricorrenti momenti giocosi,<br />
così come nellʹinteresse per generi musicali come il melodramma e lʹoperetta,<br />
ha continuato a parlare una parte (infantile? sentimentale?) di sé, repressa per<br />
decenni, e che ‐ almeno fino a Satura ‐ non si espresse mai in poesia, ma solo<br />
in alcune prose e nellʹepistolario. È lo stesso Montale che aveva saputo<br />
descrivere con geometrica, auto‐ironica esattezza la scena di una sua<br />
passeggiata notturna in un corridoio dʹalbergo, con la donna sola,<br />
ammiccante e sospettosa che lo guarda e schiude la porta della propria<br />
stanza, mentre lui continua nervosamente a camminare rimuginando ʺle<br />
ipotesi 2 3 5ʺ(PR, 185‐186).<br />
A partire dal dopoguerra (lʹanno discriminante sembra però il ʹ42),<br />
dopo una diecina dʹanni dedicati quasi esclusivamente ad opere di<br />
9
traduzione, che assicuravano più regolari compensi, la critica di Montale<br />
lascia a margine quei modi faceti per farsi, nei momenti migliori, più secca,<br />
quasi strumentale. Tra la recensione su Campana del 1942 e, poniamo,<br />
lʹIntroduzione al Romanzo del Novecento di Debenedetti, del 1971, Montale<br />
scrisse non pochi saggi notevoli, facilmente rintracciabili tra le migliaia di<br />
pagine dei volumi Mondadori. Alcuni suoi giudizi su Dʹannunzio, Gozzano,<br />
Vittorini, T. E. Lawrence, Svevo (ʺLa Coscienza di Zeno è forse una città in cerca<br />
dʹautoreʺ) o su temi come La verità nel teatro o La solitudine dellʹartista, hanno<br />
qualcosa di definitivo (uso per una volta lʹimproprio termine). E le migliori<br />
pagine mai scritte su Giovanni Papini, per esempio, sono ancora quelle di un<br />
suo articolo del 1955 (P, 1763‐1768).<br />
La precisione del referto, unita al tono colloquiale, disegnano<br />
lʹimmagine di uno scrittore distante dalla consueta figura tradizionale del<br />
letterato italiano. ʺNon si insisterà mai abbastanza ‐ ha scritto, esagerando,<br />
Pier Vincenzo Mengaldo ‐ sul deciso stacco della prosa montaliana dalla<br />
tradizione indigena della ʹprosa dʹarteʹʺ 10 . Si deve pensare, per un possibile<br />
raffronto, alla sobria scrittura di un altro viaggiatore, conversatore e<br />
memorialista del Novecento italiano, Mario Soldati: un Soldati appena più<br />
adulto e intellettuale, in cui è parimenti riconoscibile una sfumata ma viva<br />
memoria dellʹottocento nostrano. Entrambi hanno guardato allʹesempio<br />
stilistico di Emilio Cecchi, ma un Cecchi depurato dalle sue pagine più<br />
artistiche, lʹaffabile e schietto conversatore, portatore di unʹalea di ʺsuperiore<br />
dilettantismoʺ (è lo scrittore a cui si richiamerà in seguito anche Giovanni<br />
Macchia 11 ). Una ammirazione che non esclude alcune riserve. Un anziano<br />
Montale avvertirà di non fidarsi troppo dei giudizi di Cecchi sui<br />
contemporanei: ʺEra molto più severo, addirittura aspro. Ma per tutta la vita<br />
ha dovuto barcamenarsi, perché campare con la collaborazione ai giornali<br />
non consente una vera libertàʺ. È un giudizio che si può usare, ed è stato<br />
usato, anche per lui. Con una precisazione. La folla di scrittori minori o<br />
inconsistenti che occupa una parte cospicua delle sue pagine critiche ha<br />
almeno unʹaltra ragione di esistere. Secondo Montale infatti ʺanche uno<br />
scrittore non destinato a sfidare il tempo può essere studiato per i problemi<br />
che pone o ripropone al suo critico [...] Il caso tra tutti più illustre può essere<br />
quello di Freud, che era lettore appassionato di Shakespeare e di Goethe ed<br />
ha scritto cose tanto importanti occupandosi della Gradiva di Jensenʺ 12 .<br />
Inoltre, la sua straordinaria capacità di ricezione gli ha permesso più<br />
volte di ritrovare tracce altrimenti invisibili di poesia entro ammassi di parole<br />
10
e di versi improponibili. ʺAnche in questo però ‐ mi servo delle parole di<br />
Ettore Bonora per descrivere il procedimento ‐ cʹè da fare i conti con la sua<br />
geniale maniera di impadronirsi di qualche idea, che entra nel suo ʹsistemaʹ,<br />
come di alcuni poeti ha captato qualche immagine, qualche parola e ne ha<br />
fatto cose sue. Nella ʹvita che dà barlumiʹ entrano anche filosofia e poesiaʺ 13 . I<br />
miracoli ʺin agguato davanti alla nostra portaʺ(P, 2675), per chi sa<br />
parteciparli, sono anche quelli rivelati da un verso, da un grumo epifanico di<br />
parole. Pochi hanno eguagliato la sua intellettuale voracità di occasioni<br />
salvifiche, riconosciute spesso nelle apparenze più dimesse (ʺdécouvrir des<br />
valeurs cosmiques dans les détails infimesʺ aveva scritto per lui Gianfranco<br />
Contini 14 ).<br />
È questo solo uno degli aspetti della ricchezza vitale di un uomo che è<br />
sembrato freddo, distante, non alieno da gelidi rancori; ma è un aspetto<br />
fondamentale della sua personalità stilistica. Per questo motivo le sue<br />
scritture di prosa, nei momenti migliori, rivelano la relatività della<br />
distinzione tra primo e secondo mestiere, da lui teorizzata in un articolo di<br />
Auto da fé (AMS, 128‐132). Il saggista diluisce in pacato discorso la<br />
coagulazione poetica, serbando come il ricordo della precedente (o<br />
successiva) forma. Qualcosa, è ovvio, va perduto in questa operazione. Solo<br />
al poeta ‐ come al DʹAnnunzio di un suo saggio ‐ è dato sfiorare e<br />
sperimentare tutte le possibilità, non solo stilistiche, che il suo (il nostro)<br />
tempo gli ha offerto. Si spiegano così le diverse e opposte preferenze dei<br />
lettori dei suoi versi o i rifiuti di intere zone della sua poesia. Nella sua<br />
enciclopedia di situazioni sentimentali e intellettuali ognuno ritrova il suo<br />
timbro, il suo articolo, la sua voce. Importante è che lì può trovarla. ʺIn questo<br />
senso ‐ il suggerimento vale anche per chi non sia riuscito ad amarlo senza<br />
riserve ‐ non aver appreso nulla da lui sarebbe un pessimo segnoʺ.<br />
[1998]<br />
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NOTE<br />
Recensione dei volumi montaliani Il secondo mestiere. Prose 1920‐1979 e Il secondo<br />
mestiere. Arte, musica, società, Mondadori, Milano 1996, apparsa sulla rivista La Cultura,<br />
dicembre 1998, qui ripubblicata con qualche variante. Va integrata con i miei saggi<br />
Contemporaneità di Montale e Franco Fortini e Geno Pampaloni, anch’essi nel sito.<br />
1 Cito dʹora in avanti con la sigla P i due primi tomi di E. Montale, Il secondo mestiere.<br />
Prose 1920‐1979, I, Milano 1996, p. XXXVIII. Analogamente, uso la sigla AMS per Il secondo<br />
mestiere. Arte, musica, società (Milano 1996); altre sue prove saggistiche si trovano nel<br />
volume di Prose e racconti, Milano, 1995 (citato come PR) nella stessa collana dei Meridiani<br />
Mondadori, entro cui sono raccolti in cofanetto quasi tutti gli scritti di Montale.<br />
2 L. Russo, La critica letteraria contemporanea (1942), Firenze 1967, p. XVI.<br />
3 Vedi G. Contini, La letteratura italiana. Otto‐Novecento (1974), Milano 1992, p. 333, e<br />
anche P, pp. XXXII‐XXXIII; E. Cecchi, Letteratura italiana del Novecento (a cura di P. Citati),<br />
Milano 1972, pp. 949‐953.<br />
4 M. Soldati, Due amici, in Opere, I, Racconti autobiografici, Milano 1991, pp. 849‐867. In<br />
proposito vanno lette le osservazioni di Rosanna Bettarini su ʺIl sole‐24 oreʺ del 10 e del 24<br />
agosto 1997. Altro problema ecdotico è rappresentato dalla decisione ingiustificata di<br />
Zampa di frantumare nel flusso cronologico di questa edizione il libro montaliano Sulla<br />
poesia del 1976, da lui stesso curato (e ora ristampato in edizione economica). Forse la<br />
ragione è da trovarsi nella mancata pubblicazione del necessario pendant di quel libro: il<br />
volume pensato da Montale Sulla prosa, di cui esistono comunque i materiali preparatori<br />
(in possesso dellʹamico editor Marco Forti). In ogni caso, resto dell’idea che una edizione<br />
dei suoi scritti articolata intorno ai volumi Sulla poesia, Sulla prosa, Auto da fé, darebbe<br />
un’idea più chiara (e filologica) del Montale saggista e prosatore.<br />
5 G. Pozzi, La poesia italiana del Novecento. Da Gozzano agli ermetici, Torino 1965; cito<br />
dalla terza edizione del 1970, pp. 160‐186.<br />
6 G. Macchia, La stanza dellʹAmiata, in Saggi italiani, Milano 1983, pp. 280‐281. Il<br />
capoverso si chiude con un riferimento alla necessaria oscurità del mottetto La speranza di<br />
pure rivederti: ʺLasciamo allora ‐ concludeva Macchia ‐ che un servo gallonato continui a<br />
trascinare tra i portici di Modena due sciacalli al guinzaglioʺ. Proprio quella poesia<br />
Montale aveva voluto spiegare nei suoi elementi materiali in una breve nota del 1950<br />
intitolata Due sciacalli al guinzaglio, in AMS, pp. 1489‐1493.<br />
7 Karl Vossler, Letteratura italiana contemporanea, Napoli 1916. Cito dalla seconda<br />
edizione ʺcon numerose aggiunte e correzioni dellʹautoreʺ, Napoli, 1922.<br />
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8 Sui rapporti stilistici di Montale con Cecchi vedi anche la Premessa di Giorgio<br />
Zampa allʹedizione 1995 di Auto da fé, riprodotta in AMS, pp. 1743‐1756.<br />
9 Vedi R. Bazlen, Lettere a Montale, in Scritti, Milano 1984, p. 371.<br />
10 P. V. Mengaldo, La tradizione del Novecento, Milano 1975; cito però da M. Forti (a<br />
cura di), Per conoscere Montale, Milano, 1995, p. 311.<br />
11 G. Macchia, Gli anni dellʹattesa, Milano 1987, pp. 153‐188.<br />
12 E. Bonora, Conversando con Montale, Milano 1983, pp. 85 e 120.<br />
13 Ibid., p. 76. Da vedere anche il saggio di Laura Barile, Adorate mie larve. Montale e la<br />
poesia anglosassone, Bologna 1990.<br />
14 G. Contini, Pour présenter Eugenio Montale, in Altri esercizi (1942‐1971), Torino 1972,<br />
p. 295.<br />
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