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32<br />

E ccolo:<br />

eccolo ancora nei<br />

ricordi il ragazzino<br />

magro e coi capelli ricci, in<br />

piedi nel sottopassaggio di<br />

Eminönü. Non è da solo:<br />

accanto a lui, ovunque lungo<br />

il cemento e accanto agli<br />

scalini malandati (tutti<br />

disuguali come i passanti che<br />

li attraversano di fretta) i<br />

venditori si propongono in<br />

silenzio. Un uomo, vecchio<br />

di mille rughe, è seduto su<br />

un tappeto con davanti tre<br />

barattoli di cotton fioc.<br />

Sembra strano che venda<br />

proprio questo. Un oggetto<br />

che non lo riguarda, credo. E<br />

viene da chiedersi perché tra<br />

le tante possibili merci non<br />

ne abbia scelto un’altra: una<br />

che fosse più simile a sé, e<br />

meno imprevedibile. Proprio<br />

come l’uomo che gli siede<br />

accanto, e vende tabacco per<br />

pipe. Lo ravviva con dita<br />

esperte nei piccoli mucchietti<br />

sostenuti da fogli d’alluminio accartocciati. C’è chi<br />

vende lamette per la barba – dell’ultimo modello<br />

sul mercato – chi , invece, offre ai passanti tè alla<br />

mela liofilizzato. Tra i tanti, c’è anche chi non<br />

vende nulla (o che ha venduto tutto) e sta in<br />

silenzio, immobile, in mezzo a tutto il movimento.<br />

Il ragazzino magro invece, si muove sempre:<br />

davanti a sé ha uno sgabello alto su cui di volta in<br />

volta poggia un panino aperto. È rotondo e un po’<br />

passato, come si dice nei paesi. In basso, accanto<br />

alle sue scarpe, i tanti sacchetti colorati<br />

contengono formaggio, uova, verdure, varie salse,<br />

olive e gli altri ingredienti necessari. Lui li<br />

maneggia rapidissimamente di fronte alla coda di<br />

acquirenti. Lo spazio della sua bottega è quello del<br />

palmo di una mano: avesse un bancone innanzi a<br />

sé potrebbe preparare tanti panini in poco tempo.<br />

Invece ha solo uno sgabello su cui contare: e deve<br />

chinarsi cento e cento volte al giorno: tagliare<br />

l’uovo sodo nella mano, e anche il formaggio, per<br />

poi comporlo il più elegantemente possibile dentro<br />

un pane molle e con la crosta ormai a forma di<br />

mosaico. Con quelle stesse mani contratta, ottiene<br />

un pagamento, consegna le monete di resto,<br />

quando non gliele lasciano per compassione.<br />

Ha molti brufoli tra il naso e il mento<br />

e la sua tuta grigia è un po’ la storia dei panini<br />

che ha venduto: ne porta i segni ovunque.<br />

Il giallo del tuorlo, soprattutto: sfarinato<br />

ovunque, ormai. I suoi panini sono buoni<br />

e i passanti regolari lo sanno bene.<br />

Le rare volte che non ha clienti, il ragazzino<br />

rimane fermo davanti al suo panino appena<br />

preparato, e ancora aperto per mostrare a tutti<br />

con orgoglio gli ingredienti. Guarda in basso,<br />

però. Forse si vergogna del lavoro che fa. Forse,<br />

quando non ci sono né clienti né guadagno,<br />

preparare panini nel sottopassaggio di Eminönü<br />

diventa più difficile e vergognarsi, invece, assai<br />

più facile. Soprattutto per colpa di quelle macchie<br />

sparse ovunque (che mentre vende non vede mai,<br />

indaffarato come è a sistemare gli ingredienti) ma<br />

Cultura<br />

I REPORTAGES DI VIAGGIO DI NICOLA LECCA<br />

Istanbul<br />

Da questo numero riprende la collaborazione con<br />

“Il Messaggero sardo” di Nicola Lecca, giovane<br />

scrittore sardo, nato a Cagliari nel 1976, considerato<br />

uno dei più brillanti autori italiani. Ha scritto:<br />

Concerti senza orchestra (Marsilio, 1999 IV<br />

ediz.) finalista del Premio Strega, Premio Rhegium<br />

Julii per l’opera prima, Premio selezione Chiara,<br />

Premio Basilicata; Ritratto Notturno (Marsilio,<br />

2000) Prix du Premier Roman; Ho visto tutto<br />

(Marsilio, 2003 II ediz.), Premio Hemingway; Hotel<br />

Borg (Mondadori, 2006 II ediz.), Premio della<br />

società lucchese dei lettori. Il suo saggio filosofico<br />

Di quasi tutto non ci accorgiamo è stato<br />

pubblicato dall’editore olandese Nexus. Il suo ultimo<br />

libro di intitola Il corpo odiato (Mondadori, 2009).<br />

che ora gli appaiono nella loro moltitudine<br />

colorata. Potrebbe mettersi un grembiule: è vero.<br />

Ma non lo vuole fare. E nemmeno sa perché. È<br />

così Istanbul: e questo suo dettaglio non fa che<br />

suggerirne tanti altri, simili fra loro.<br />

I gatti, per la strada, lungo i viali in discesa che<br />

portano dagli antiquari, il rigagnolo del loro piscio<br />

e l’eco di miagolii furibondi, nascosti da portoni<br />

chiusi, proprio accanto alla rivendita di sottaceti<br />

colorati, conservati in vasi enormi da chili e chili:<br />

ci sono peperoni, zucchine, cipolle, ma anche<br />

fagiolini verdi, fave e perfino frutti. E, poco più<br />

avanti, il mare: sempre tra un palazzo e l’altro,<br />

sempre obliquo e in discesa. Sempre intuito –<br />

nell’assenza – e sempre con qualche nave che,<br />

inaspettatamente, lo muove un poco anche nella<br />

mia mente. E il giovane magro e con le<br />

sopracciglia folte cantare con passione –<br />

nonostante sia vuoto il locale in cui si sta<br />

esibendo. Mi fermo: lo guardo a lungo. È come se<br />

avesse davanti a sé migliaia di persone. Non vede<br />

il vuoto delle sedie che gli stanno innanzi? Lo<br />

invidio tanta è la sua passione per ciò che fa. E<br />

mentre scendo verso il Bosforo per queste strade<br />

inaspettatamente belle mi vergogno anche di altro:<br />

www.ilmessaggerosardo.com<br />

IL<br />

MESSAGGERO<br />

SARDO<br />

di avere temuto Istanbul,<br />

di essermi lasciato<br />

influenzare, da tutti quei<br />

discorsi e dai pregiudizi su<br />

pericoli che non ci sono. Ed<br />

io nonostante i tanti viaggi a<br />

Mosca, a Pietroburgo, a<br />

Praga e anche in<br />

Bielorussia: nonostante le<br />

passeggiate notturne nel<br />

porto commerciale di Rodi, e<br />

a Londra nei quartieri<br />

popolari, ho temuto questa<br />

città senza motivo.<br />

La guardo, e quasi<br />

me ne scuso: non voglio<br />

più avere un’opinione<br />

senza che sia la mia.<br />

Divisa in tante parti,<br />

Istanbul ha una forte<br />

personalità: eppure i suoi<br />

abitanti la vivono con una<br />

certa indifferenza.<br />

Camminano accanto<br />

alla Moschea Blu come<br />

fossero in una qualunque<br />

strada del mondo.<br />

E viene voglia di fermarli e domandare loro:<br />

“Ma non vedete cosa avete accanto?”<br />

Il segreto di questa loro indifferenza è la città<br />

stessa che – nonostante sia grandiosa – non mette<br />

affatto in soggezione. Nemmeno la Cattedrale di<br />

Santa Sofia anch’essa con i gatti in giro e le<br />

colombe che si appoggiano con indifferenza<br />

accanto al mosaico di Giustiniano).<br />

Gli scarafaggi piccoli e marroncini nel bagno turco<br />

più antico della città – pure loro ignorati dai<br />

clienti che si fanno massaggiare con federe gonfie<br />

di schiuma e di aria insaponata.<br />

Tanta pulizia in tanta sporcizia è sorprendente.<br />

Proprio come l’atmosfera finta di quei grandi<br />

alberghi di stampo occidentale che nella soglia<br />

della loro porta cambiano le regole della città.<br />

Le stravolgono. Ecco che tutto splende, nella hall<br />

e i centralinisti rispondono al telefono dicendo:<br />

“Sono Samir, come posso aiutarla?”.<br />

Contrasto. È questa la parola, l’unica possibile<br />

per descrivere una città in bilico tra un continente<br />

e l’altro: la grandezza delle sue memorie<br />

e il degrado della sua attuale quotidianità.<br />

Eppure con quanto amore si guarda,<br />

dai suoi ponti, il mare: con quale impazienza<br />

propria dei bambini si attende di passeggiare<br />

lungo il Bosforo e di vederli questi palazzi<br />

dei sultani ammuffire a poco a poco.<br />

Allora, pur senza capire il perché, si benedice<br />

tutto. Anche le preghiere altere strillate dagli<br />

altoparlanti alle cinque del mattino,<br />

le due o tre lire imbrogliate dal tassista, la diarrea<br />

e l’acqua avvelenata. Si benedice tutto.<br />

Perché luoghi come Istanbul hanno un prezzo e<br />

questo prezzo va pagato per potersi emozionare,<br />

per poter raccogliere nello spazio piccolo della<br />

nostra testa un’immensa varietà. Tale da non<br />

permetterci di ricordarla tutta – nemmeno<br />

a poco a poco – tanto è grande e tanto<br />

inaspettate sono le sue strade. E dietro a ogni<br />

porta, dietro a ogni finestra, mille storie si<br />

nascondono in attesa di essere raccontate.

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