Leggi il primo capitolo - Libri Mondadori
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Lesley Lokko<br />
una donna misteriosa<br />
traduzione di roberta scarabelli
Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi e luoghi citati sono invenzioni<br />
dell’autrice e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi<br />
analogia con fatti, luoghi e persone, vive o scomparse, è assolutamente casuale.<br />
isbn 978-88-04-62847-7<br />
Copyright © Lesley Lokko 2012<br />
First published by orion books Ltd, London<br />
© 2013 arnoldo mondadori editore s.p.a., m<strong>il</strong>ano<br />
titolo dell’opera originale<br />
An Absolute Deception<br />
i edizione apr<strong>il</strong>e 2013
una donna misteriosa<br />
A Tash. Mi manchi, ragazza
Gli inganni richiedono sempre segretezza, ma non sempre<br />
la segretezza ha come scopo l’inganno.<br />
sisseLa bok, f<strong>il</strong>osofa svedese
Prima Parte
ProLoGo<br />
Pointe M<strong>il</strong>ou, Saint Barts, Ant<strong>il</strong>le francesi, 2006<br />
Viste da una certa distanza, con gli ampi abiti neri sgualciti<br />
attorno ai fianchi, le donne del posto avevano <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o di<br />
trampolieri che zampettavano su e giù sulla sabbia bagnata,<br />
scalciando nella spuma delle onde che con regolarità si adagiavano<br />
sulla battigia. raccoglievano conchiglie di un rosa<br />
perlaceo per inf<strong>il</strong>are le collane che, ogni tanto, i forestieri delle<br />
v<strong>il</strong>le sull’isola compravano. in alto rispetto a loro, inosservata,<br />
una donna dai capelli argentei, con un portamento aggraziato<br />
da ballerina, scendeva con passo incerto lungo <strong>il</strong> sentiero che<br />
conduceva all’oceano, le braccia allargate in un gesto infant<strong>il</strong>e<br />
per mantenere l’equ<strong>il</strong>ibrio, come se si accingesse a prendere <strong>il</strong><br />
volo. <strong>il</strong> lungo strascico bianco del suo caftano in cotone leggero<br />
svolazzava. Qualche ciocca di capelli le cadde sul viso.<br />
La donna si fermò per un istante e si voltò per guardare la<br />
collina alle sue spalle. erano quasi le sette del mattino e <strong>il</strong> sole<br />
era sorto da un’ora. Lassù, appollaiati sull’altura che dominava<br />
la baia rivolta verso le isole arrotondate color smeraldo di<br />
Frégate e toc Vers, i suoi ospiti cominciavano probab<strong>il</strong>mente<br />
a svegliarsi. in cucina Hélène, ignara di tutto ciò che era successo<br />
durante la notte, doveva avere già iniziato a preparare la<br />
sontuosa colazione a buffet per cui era rinomata sheherazade,<br />
la sua v<strong>il</strong>la a saint barts. un invito a trascorrere <strong>il</strong> natale o ad<br />
accogliere <strong>il</strong> nuovo anno con anneliese zander de saint Phalle<br />
era un evento da non perdere. in oltre trent’anni, da quando<br />
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aveva comprato sheherazade, non si era persa un solo inverno,<br />
nemmeno uno. Fino a quel momento. Chiuse per un attimo gli<br />
occhi, poi riprese a camminare con passo deciso.<br />
Quando raggiunse la fine del sentiero, i suoi piedi affondarono<br />
nella sabbia soffice. alzò una mano per ripararsi gli occhi e<br />
guardò oltre la distesa scint<strong>il</strong>lante dell’oceano. L’aria era calda<br />
e mite, non ancora afosa. a Londra, nell’imponente palazzo di<br />
st John’s Wood in cui abitava da quasi quarant’anni, doveva<br />
essere un altro umido giorno invernale. riusciva quasi a vedere<br />
la signora betts, la governante, mentre si aggirava nel vasto<br />
open space al <strong>primo</strong> piano, dove lei riceveva gli ospiti e gli<br />
amici, per accendere le lampade, sistemare i cuscini, controllare<br />
la collezione di orchidee belle e rare nelle fioriere d’argento che<br />
le aveva regalato Callan in occasione di un suo compleanno.<br />
una giornata d’inverno uguale a tutte le altre. e invece quella<br />
era completamente diversa.<br />
Calciò via i sandali, lasciando affondare le piante nude dei<br />
piedi nella sabbia pallida e serica. Quelle calzature: facevano<br />
parte della sua collezione primavera-estate 2005, basse, con un<br />
sott<strong>il</strong>issimo tacco di legno e una semplice tomaia a t in pelle che<br />
spariva nella suola. abbassò lo sguardo sull’etichetta. “adsP.”<br />
“anneliese de saint Phalle.” una striscetta di lino color cioccolato<br />
con una scritta bianca. un carattere grafico molto lineare, tranne<br />
la “d”, che era in un corsivo graziato. un dettaglio elegante, pensato<br />
da bruno nel 1967, l’anno in cui avevano lanciato insieme <strong>il</strong><br />
loro marchio. era un omaggio all’infallib<strong>il</strong>e senso dello st<strong>il</strong>e del<br />
suo socio, e non lo avevano mai cambiato. adsP. era <strong>il</strong> marchio<br />
di fabbrica di anneliese, la sua firma, <strong>il</strong> suo segno distintivo.<br />
ogni tanto modificava i colori – grigio su bianco, blu navy su<br />
verde acido, prugna su beige – però mai la grafica di base. non<br />
ce n’era bisogno. “Parti con i dettagli giusti e <strong>il</strong> resto verrà da<br />
sé.” non si ricordava più dove l’aveva sentito dire la prima<br />
volta, ma aveva seguito con successo quella semplice f<strong>il</strong>osofia<br />
in quasi tutto ciò che aveva fatto. Le aveva fruttato schiere di<br />
ammiratrici eleganti, donne estremamente sicure di sé, ricche<br />
e indipendenti, che seguivano <strong>il</strong> suo lavoro con la devozione<br />
delle fan scalmanate. La sua clientela.<br />
ogni anno, in occasione delle nuove collezioni, <strong>il</strong> suo showroom<br />
di Londra era prenotato con mesi di anticipo. Le presentazioni<br />
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private, fissate quasi un anno prima, erano ambite come i suoi<br />
inviti a saint barts. e la sua nuova linea, a 2 , l’incursione tanto<br />
attesa nel mercato di massa, aveva avuto più successo di quanto<br />
tutti si aspettassero. Per un fuggevole istante, sulla sua bocca<br />
apparve un sorriso.<br />
arrivò in riva all’oceano. L’acqua si increspava e sciabordava<br />
intorno alle dita nude dei piedi, attirandola con <strong>il</strong> suo<br />
indolente umidore. nonostante la fitta di dolore che le serrava<br />
<strong>il</strong> cuore, anneliese si voltò per guardare la costa bordata di<br />
verde, immersa in tanta bellezza: le magnifiche e gigantesche<br />
palme “Cocco di mare” che ondeggiavano gent<strong>il</strong>mente; <strong>il</strong> cielo<br />
azzurro scint<strong>il</strong>lante, ancora segnato dalla notte; <strong>il</strong> bianco squarcio<br />
orizzontale di cemento che era <strong>il</strong> tetto di sheherazade, annidata<br />
con discrezione tra gli alberi. impossib<strong>il</strong>e pensare che, appena<br />
qualche ora prima, lei era seduta alla toeletta a spazzolarsi <strong>il</strong> bel<br />
caschetto di capelli color argento – un altro tratto caratteristico<br />
al pari dei vestiti eleganti e poco appariscenti –, preparandosi<br />
all’ennesimo cenone di Capodanno, dal sicuro successo, nella<br />
sua v<strong>il</strong>la sull’isola.<br />
L’acqua le arrivava ormai alle ginocchia. abbassò lo sguardo<br />
e vide <strong>il</strong> tessuto del suo caftano fluttuarle intorno in grandi<br />
mulinelli a spirale. La sabbia era morbida e pulita, impalpab<strong>il</strong>e<br />
come l’acqua, come l’aria. avanzò ancora, fino al petto,<br />
poi si immerse. si lasciò andare in quella pallida trasparenza<br />
turchese, che non richiedeva sforzi, non opponeva resistenza.<br />
Galleggiò, rivolgendo al cielo gli occhi pieni della luce del sole<br />
danzante. un mare iridescente. in fondo alla spiaggia, lontano<br />
dall’immacolata striscia di sabbia bianca riservata ai facoltosi<br />
turisti che svernavano lì, le donne del posto raccoglievano le<br />
ultime conchiglie prima di riprendere <strong>il</strong> sentiero che portava al<br />
piccolo v<strong>il</strong>laggio dove viveva la maggior parte di loro. erano<br />
le lavoranti dell’isola: le domestiche e le cuoche che, insieme<br />
ai giardinieri e agli autisti, avevano <strong>il</strong> compito di assicurare la<br />
perfetta gestione delle v<strong>il</strong>le in cui amavano rifugiarsi le persone<br />
ricche e famose come lei.<br />
anneliese avvertiva gli strattoni forti e insistenti della corrente<br />
vorticare sotto la superficie. nel giro di qualche minuto lei<br />
avrebbe superato <strong>il</strong> <strong>primo</strong> banco di sabbia, oltre <strong>il</strong> quale l’acqua<br />
scorreva blu e profonda. al di là dell’affioramento roccioso che<br />
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segnava l’estremità del promontorio, l’oceano diventava scuro.<br />
Qualcosa si impadronì di anneliese, una forza liquida improvvisa<br />
che catturò l’orlo del caftano trascinandola verso <strong>il</strong> basso.<br />
non si dibatté; si lasciò andare e fu sommersa, mentre l’acqua le<br />
riempiva gli occhi e <strong>il</strong> naso, le scorreva sulle orecchie. Qualche<br />
secondo, poi fu sospinta verso l’alto, libera. inspirò una boccata<br />
d’aria, ma, prima di riuscire a buttarla fuori tutta, la corrente<br />
la riafferrò. Giù, giù... una spinta laterale... ancora su e poi,<br />
altrettanto rapidamente, giù di nuovo. una mano gigantesca<br />
che spingeva e tirava, strattonava e avvolgeva, sbatacchiandola<br />
avanti e indietro come un giocattolo... una bambola di pezza nel<br />
suo bianco vestito fradicio. Per un attimo riemerse ondeggiando<br />
in superficie, poi la corrente la afferrò di nuovo, questa volta<br />
con maggiore violenza. Colse un ultimo lampo dell’isola e del<br />
suo folto scenario di alberi lussureggianti prima che l’acqua si<br />
chiudesse sopra di lei. successe tutto così in fretta che non ebbe<br />
quasi <strong>il</strong> tempo di pensare. ormai non era più possib<strong>il</strong>e cambiare<br />
idea. Per la seconda volta in vita sua, era troppo tardi. Le parole<br />
riaffiorarono nella sua mente attraverso le nebbie del tempo e<br />
della memoria. Ondeku lyuulukwa. “mi mancherai.” La lingua<br />
che non aveva mai dimenticato.<br />
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HanneLore<br />
Bodenhausen, Okahau, Africa del Sud-Ovest, 1948<br />
1<br />
«Hannelore! Hannelore!» <strong>il</strong> grido fu ripetuto dai figli dei domestici,<br />
vestiti di stracci e dalla pancia gonfia che vivevano nella<br />
f<strong>il</strong>a di baracche al margine della fattoria, vicino alla pozza artificiale<br />
dove a volte gli animali andavano ad abbeverarsi. sulle<br />
loro labbra <strong>il</strong> nome prendeva un’altra consonante: “Hannahlorah!<br />
Hannah-lorah!”. sembrava che la stessero canzonando.<br />
“Hannah-lorah! Hannah-lorah!” Hannelore si tappò le orecchie<br />
con le mani per non sentire. era ella, la sua bambinaia, che la<br />
chiamava. «Hannelore! Vieni! insomma... dove sei? La mamma<br />
ti sta cercando.»<br />
“no, non è vero” pensò Hannelore ribellandosi. “sei tu che<br />
mi stai cercando.” si sdraiò sulla terra liscia e si mise a fissare <strong>il</strong><br />
soffitto. Le piaceva <strong>il</strong> disegno a ragnatela che formavano le travi<br />
aprendosi a ventaglio dal centro a punta. Cominciò a contarle.<br />
una, due, tre, quattro...<br />
«Hannelore! Cosa fai lì?» La porta di legno si spalancò di<br />
scatto. ella era in piedi sulla soglia, <strong>il</strong> corpo formoso e morbido<br />
che si stagliava in controluce. teneva le mani sui fianchi mentre<br />
osservava la piccola che le era stata affidata. «sei davvero una<br />
bambina cattiva... ti sarai sporcata <strong>il</strong> vestito e adesso tua mamma<br />
si arrabbierà con me. Perché fai così?»<br />
«Perché fai così! Perché fai così!» Fuori dalla porta, i bambini<br />
ripresero allegramente <strong>il</strong> rimbrotto. Loro non parlavano quella<br />
lingua, ma ripetevano semplicemente <strong>il</strong> suono delle parole,<br />
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facendolo rotolare in bocca senza capirne <strong>il</strong> significato. Fra di<br />
loro e con Hannelore parlavano in oshiwambo, l’idioma locale,<br />
che ella non conosceva. Lei parlava solo afrikaans, che H<strong>il</strong>debrand,<br />
la madre di Hannelore, detestava. “Das ist keine Sprache”<br />
diceva sempre, e la sua bella bocca dipinta di rosso si incurvava<br />
sdegnosa verso <strong>il</strong> basso. “Quella non è una lingua. È un morbo.”<br />
La usava di malavoglia con ella – non aveva scelta –, ma<br />
in famiglia, fra loro tre, parlavano solo Hochdeutsch, <strong>il</strong> tedesco<br />
nob<strong>il</strong>e. La lingua di sch<strong>il</strong>ler e di Heine, non quel tedesco platte,<br />
imbastardito e dal suono volgare dei loro vicini. su quel punto<br />
entrambi i genitori di Hannelore si trovavano d’accordo. non ci<br />
sarebbero stati cedimenti, nessun ammorbidimento delle regole.<br />
bisognava conservare un certo livello, soprattutto in quell’angolo<br />
d’africa sperduto e dimenticato da dio che, almeno per<br />
Ludwig von riedesal, sarebbe stato per sempre tedesco. non<br />
sudafricano, assolutamente no, qualunque cosa avesse deciso<br />
la società delle nazioni tanti anni prima. avere perso la Prima<br />
guerra mondiale era già stato un boccone abbastanza amaro,<br />
aver dovuto rinunciare anche alle preziose colonie africane era<br />
stato quasi insopportab<strong>il</strong>e. non appena la società delle nazioni<br />
aveva dichiarato la fine del dominio tedesco, quei bastardi del<br />
sud si erano riversati in massa, portando con sé la loro terrib<strong>il</strong>e<br />
lingua, l’afrikaans, che avevano imposto ovunque. be’, diceva<br />
decisa H<strong>il</strong>debrand von riedesal, i sudafricani potevano fare<br />
quello che volevano con i cartelli stradali, ma non avrebbero<br />
avuto certo <strong>il</strong> diritto di imporle la lingua con cui parlare a casa<br />
propria, nella sua fattoria, sulla sua terra. una lingua, cominciava<br />
già a capire a cinque anni la piccola Hannelore, era più che un<br />
semplice insieme di suoni.<br />
d’un tratto fu sollevata bruscamente in piedi. in effetti aveva<br />
<strong>il</strong> vestito decisamente sporco: sulla schiena era striato di terra<br />
rossa fino all’orlo. La mano di ella calò su di lei per scuotere<br />
via la polvere, senza risparmiare, mentre lo faceva, le gambe<br />
nude e <strong>il</strong> sedere di Hannelore. Gli altri bambini, sulla soglia a<br />
occhi sgranati, la guardavano ridendo. Con le guance in fiamme,<br />
Hannelore fu trascinata fuori e su per <strong>il</strong> pendio erboso che<br />
portava al retro della casa padronale. detestava fare figure del<br />
genere, specialmente di fronte a loro.<br />
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Più tardi, quello stesso pomeriggio, quando <strong>il</strong> sole in giardino<br />
aveva bruciato l’erba già secca fino a farla diventare friab<strong>il</strong>e,<br />
Hannelore si sedette in bagno in una pozza di tiepida acqua<br />
marrone a osservare le mosche che ronzavano verso la morte<br />
contro i vetri della finestra. La casa era immersa nel s<strong>il</strong>enzio.<br />
da qualche parte giungeva <strong>il</strong> debole suono del piano, catturato<br />
dalla brezza. era sua madre che, come tutti i pomeriggi di ogni<br />
giorno dell’anno, eseguiva qualche brano. mozart, bach e, <strong>il</strong><br />
preferito del padre di Hannelore, beethoven. tedeschi, per lo<br />
più, con l’aggiunta occasionale di qualche austriaco. in effetti,<br />
come piaceva sottolineare a Ludwig, gli austriaci in realtà erano<br />
tedeschi. un paio di volte all’anno, quando arrivavano ospiti<br />
alla fattoria e le stanze venivano abbellite da lunghe candele che<br />
lasciavano colare sul pavimento spessi nastri cremosi di cera, lei<br />
suonava per gli altri, seduta in quel suo modo maestosamente<br />
eretto, le dita che scivolavano sicure sui tasti. Quelle erano<br />
serate da ricordare e conservare nella memoria. tutta la casa<br />
veniva pulita da cima a fondo, dentro e fuori: spazzata, lucidata,<br />
spolverata e poi di nuovo spazzata. si bollivano le lenzuola<br />
per poi stenderle fuori ad asciugare, dove sventolavano agitate<br />
dal vento; la cucina e la sala da pranzo erano impregnate del<br />
profumo delle pagnotte di Schwarzbrot appena sfornato. se era<br />
estate e si avvicinava <strong>il</strong> natale, si aggiungevano anche piatti di<br />
biscotti di pan di zenzero e tortine rotonde che si scioglievano<br />
in bocca. <strong>il</strong> natale a okahau era molto diverso da quelli a casa<br />
di cui aveva sentito parlare i suoi genitori.<br />
Casa. Hannelore si interrogava spesso su quella parola. sembrava<br />
che “casa” non fosse dove stavano loro, bensì in qualche<br />
mitico, magico posto al di là del mare, oltre <strong>il</strong> vasto continente<br />
dell’africa, oltre i deserti, le giungle, i fiumi. da qualche parte<br />
nella Foresta nera, vicino alla città di Lörrach nel baden-<br />
Württemberg, si trovava la dimora atavica dei riedesal zu<br />
Lörrach, per usare <strong>il</strong> loro nome aristocratico completo. Hannelore<br />
l’aveva vista solo in fotografia. Circa un anno prima, sua madre<br />
era partita dalla fattoria per andare in nave in europa a partorire<br />
<strong>il</strong> fratellino che Hannelore aspettava da mesi. se n’era andata<br />
con <strong>il</strong> papà un giovedì pomeriggio, lasciando la figlia in lacrime<br />
insieme a ella. i suoi genitori avrebbero impiegato quasi un<br />
intero giorno per raggiungere in macchina swakopmund, sulla<br />
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costa, da dove partivano le navi per <strong>il</strong> Vecchio Continente. due<br />
settimane di navigazione intorno alla protuberanza dell’africa<br />
occidentale, poi su a nord verso le Canarie, <strong>il</strong> Portogallo, la<br />
spagna, la Francia, costeggiando <strong>il</strong> canale della manica fino<br />
ad amburgo. Hannelore e <strong>il</strong> papà avevano tracciato insieme la<br />
rotta sul grande mappamondo della biblioteca. da amburgo<br />
sarebbe iniziato <strong>il</strong> lungo viaggio in treno attraverso la Germania<br />
fino a Lörrach. dopo la nascita del bambino, la mamma avrebbe<br />
aspettato altri due mesi prima di affrontare <strong>il</strong> viaggio a ritroso<br />
per tornare a okahau.<br />
non appena se n’era andata, Hannelore aveva iniziato <strong>il</strong> conto<br />
alla rovescia dei giorni che mancavano alla partenza in nave,<br />
dei giorni di viaggio e di quelli che dovevano trascorrere prima<br />
del suo ritorno, con una gioia nervosa che a volte la faceva stare<br />
male. era tutto pronto per accogliere <strong>il</strong> fratellino da cui sembrava<br />
dipendere la felicità del papà. Hannelore era troppo piccola<br />
per capire perché un figlio maschio fosse così importante, ma<br />
qualunque cosa rendesse felice <strong>il</strong> papà, rendeva felice anche lei.<br />
ma <strong>il</strong> ritorno della mamma non era stato come lei aveva<br />
immaginato. era arrivata da sola. <strong>il</strong> bambino era morto, nelle<br />
prime ore di una di quelle notti nere come l’inchiostro al largo<br />
delle coste del senegal, dove <strong>il</strong> vento cala fino a diventare un<br />
sussurro e le stelle sono così luminose che si sarebbe potuto<br />
leggere un libro grazie al loro chiarore... o almeno così Hannelore<br />
aveva sentito dire alla mamma, un giorno, mentre parlava<br />
con suo padre. di punto in bianco se n’era uscita con quella<br />
frase: “Die Sterne... so hell, Ludi, so hell. Du kannst es dir gar nicht<br />
vorstellen. Nie. Warum sind Sie so hell?”. “Perché le stelle sono<br />
così luminose?” una strana domanda. La mamma faceva spesso<br />
domande del genere, si rendeva conto Hannelore, domande<br />
che non richiedevano una risposta. <strong>il</strong> papà si limitava ad accarezzarle<br />
i capelli o la mano, prima di uscire dalla stanza. non<br />
chiamavano mai <strong>il</strong> bambino con <strong>il</strong> nome che avevano scelto<br />
tutti insieme prima che la mamma partisse. sebastian Christian<br />
von riedesal zu Lörrach. era semplicemente “lui”. “Lui è morto.”<br />
“Lui piangeva.” Lui. Lui. Lui. sebastian Christian. Come<br />
i bambini della fattoria, anche lei si faceva rotolare in bocca le<br />
parole con amore, come fossero biglie. ma solo fra sé, mai con<br />
la mamma. e di sicuro mai con <strong>il</strong> papà.<br />
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odenhausen era la loro vasta e immensa fattoria, che si<br />
estendeva dalla cima delle basse colline da un lato dell’orizzonte<br />
fino alle colline dall’altro. Pioveva forse un paio di volte<br />
all’anno, temporali che arrivavano dal nulla: lingue argentee e<br />
saettanti di lampi seguiti da un tuonare basso e minaccioso che<br />
precedeva la pioggia. C’era un’unica strada che portava alla<br />
fattoria, una cicatrice rossastra nel paesaggio che diventava di<br />
un nero uniforme appena prima del bivio per quella successiva,<br />
a una ventina di ch<strong>il</strong>ometri di distanza. <strong>il</strong> governo l’aveva fatta<br />
asfaltare, anche se nessuno sapeva bene perché. La terra era<br />
immob<strong>il</strong>e e s<strong>il</strong>enziosa; gli animali la abitavano come se fossero<br />
dentro una casa. non sapevi mai quando una piccola tana sotterranea<br />
si sarebbe aperta davanti a te per lasciar sgusciare fuori<br />
una di quelle lente e velenose vipere delle rocce che strisciavano<br />
sull’erba quasi fosse acqua. né quando uno spasmo nell’erba<br />
dell’elefante rivelava la presenza di un’ant<strong>il</strong>ope. o di un cudù,<br />
una cervicapra, un impala, una gazzella. Hannelore conosceva<br />
<strong>il</strong> nome di tutti i mammiferi, gli insetti, i rett<strong>il</strong>i e gli uccelli che<br />
si trovavano in quel luogo, grazie agli insegnamenti del papà.<br />
<strong>il</strong> grande mondo all’aria aperta era <strong>il</strong> suo regno.<br />
Gli edifici colonici erano ben divisi in una serie di zone dove<br />
abitavano le varie persone che lavoravano nella fattoria. Prima<br />
di tutto, ovviamente, c’era la bella v<strong>il</strong>la padronale, riservata alla<br />
famiglia. Costruita con una pietra chiara estratta da una cava<br />
sulla collina, aveva una larga veranda che correva lungo tutta<br />
la facciata nord e proteggeva le stanze dal cocente sole africano.<br />
un progetto ingegnoso copiato dagli inglesi, le aveva spiegato<br />
<strong>il</strong> papà. Le aveva mostrato come <strong>il</strong> sole si muovesse intorno<br />
alla terra nelle diverse stagioni, e come ciò che adesso era in<br />
ombra lì – indicando con un dito <strong>il</strong> punto sul mappamondo<br />
dove si trovavano loro – sarebbe stato in pieno sole in un’altra<br />
stagione. Lei annuiva energicamente, anche se non riusciva a<br />
capire bene come ciò potesse accadere. La casa aveva due ali:<br />
una riservata alla famiglia, l’altra agli ospiti. non che ne avessero<br />
molti, beninteso: l’africa del sud-ovest era lontanissima<br />
da tutti i loro cari.<br />
malgrado ciò, la mamma teneva tutta la casa immacolata. oltre<br />
a ella, che poteva entrarci solo durante <strong>il</strong> giorno, c’erano Helga<br />
che lavava i pavimenti due volte alla settimana, Gertrude che<br />
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cucinava quasi tutti i piatti, nadine che la aiutava a preparare i<br />
cibi e rigovernava, e bettina che faceva <strong>il</strong> bucato. avevano tutte<br />
un nome tedesco, quello che la mamma aveva assegnato loro.<br />
avevano però anche altri nomi, nella loro lingua, che significavano<br />
cose come “dio ha fatto un buon lavoro”, oppure “nata<br />
con la luna crescente” o persino “Colei che porterà la pioggia”.<br />
a Hannelore quei nomi piacevano molto più di quelli tedeschi.<br />
La casa era sempre piena di gente, almeno durante <strong>il</strong> giorno.<br />
C’erano più servitori che padroni, aveva sentito dire a ella una<br />
volta, e non stava scherzando. Le cinque domestiche erano tutte<br />
quante mulatte. Vivevano insieme ai parenti in una schiera di<br />
casette bianche poco distanti dalla v<strong>il</strong>la, nascoste alla vista da<br />
una f<strong>il</strong>a di magnifici eucalipti che sussurravano dolcemente al<br />
vento.<br />
ancora più lontano, in un profondo avvallamento nel paesaggio<br />
e invisib<strong>il</strong>i dalla v<strong>il</strong>la, c’era un gruppo di piccole capanne<br />
fatte di un impasto di letame e mattoni dove abitavano i lavoranti<br />
di colore della fattoria. Hannelore non conosceva i nomi di<br />
tutti. Peter, toivo, samuel, muyanga... montavano i cavalli delle<br />
scuderie dietro la fattoria e, ogni tanto, guidavano <strong>il</strong> camion di<br />
suo padre. Le loro mogli erano donne timide dalla pelle scura,<br />
che le sorridevano distrattamente quando le incontrava. erano<br />
contente di sentire che lei parlava l’oshiwambo, ma non si sarebbero<br />
mai sognate di rivolgerle la parola, non più di quanto<br />
lo facessero con sua madre. i loro figli erano diversi. sfacciati e<br />
sicuri di loro stessi in modo insolente, la prendevano in giro per<br />
i suoi capelli, i vestiti, la pelle bianco latte, gli occhi azzurri, le<br />
labbra rosa. Per loro era solo un’altra bambina. mwane, <strong>il</strong> figlio<br />
del capo mandriano, era <strong>il</strong> suo migliore amico. aveva un anno<br />
e mezzo più di Hannelore e, dietro insistenza della mamma,<br />
aveva cominciato a prendere lezioni insieme a lei per imparare<br />
a leggere, scrivere, compitare. era intelligente, aveva notato la<br />
mamma, e possedeva una curiosità istintiva che la sorprendeva.<br />
Parlava già un tedesco impeccab<strong>il</strong>e, proprio come Hannelore.<br />
<strong>il</strong> maestro, Herr brandt, veniva tre volte alla settimana e, dopo<br />
un’iniziale esitazione, si era rassegnato a insegnare a entrambi.<br />
Le nuvole di polvere che la sua vecchia auto sollevava mentre<br />
risaliva sobbalzando la collina rimanevano sospese nell’aria per<br />
molto tempo dopo che lui se n’era andato.<br />
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ed eccola lì, a cinque anni, castellana e principessa di un regno<br />
che si estendeva a perdita d’occhio, ma che era disabitato come<br />
lei si immaginava fosse la luna. aveva pochi compagni di giochi:<br />
una manciata di bambini insolenti; un ragazzino più grande di<br />
un anno e mezzo, <strong>il</strong> suo unico amico; una madre che di sera si<br />
addormentava piangendo e un padre quasi sempre assente. era<br />
tutto lì, <strong>il</strong> mondo che conosceva. non c’era nient’altro.<br />
scivolò ancora più giù nell’acqua del suo bagnetto che si stava<br />
raffreddando, disgustata e al tempo stesso affascinata dalla vista<br />
del proprio corpo rosa perlaceo sotto la superficie, così diverso<br />
come colore, tonicità e sensazione al tatto da quasi tutti quelli che<br />
la circondavano. La pelle di mwane era una liscia pellicola nera<br />
che splendeva lucente al sole. La sua, invece, diventava rossa e a<br />
chiazze, imperlata di sudore che le causava un’eruzione cutanea,<br />
la quale a sua volta le faceva venire vesciche che sanguinavano<br />
e producevano pus. mwane apparteneva a quel posto. ogni cosa<br />
in lui si fondeva senza soluzione di continuità nell’ambiente<br />
che lo circondava: la sua lingua, <strong>il</strong> cibo che mangiava, gli abiti<br />
che indossava, <strong>il</strong> modo in cui camminava e parlava. invece lei<br />
no. tutto in lei era straniero, alieno a quella terra. si immerse<br />
nell’acqua ormai sporca, crogiolandosi. aveva sempre avuto<br />
una strana pred<strong>il</strong>ezione per l’acqua, la conseguenza, diceva la<br />
mamma, di vivere in quella terra dove non ce n’era. ai piedi<br />
della collina, vicino alla pozza artificiale, c’era un fiumiciattolo<br />
stagionale. dopo uno dei rarissimi temporali, scorreva per<br />
qualche centinaio di metri, poi veniva assorbito dal terreno e si<br />
prosciugava. Per <strong>il</strong> resto dell’anno era un grigio letto pietroso<br />
e screpolato, in cui sfrecciavano le lucertole. uno dei quadri<br />
in sala da pranzo rappresentava una scena invernale dello<br />
schauinsland, un monte vicino a Lörrach. Hannelore si fermava<br />
sempre a osservare quel paesaggio imbiancato... “acqua gelata”<br />
diceva la mamma. rami di faggio carichi di neve si piegavano<br />
sotto <strong>il</strong> peso. una terra fredda e s<strong>il</strong>enziosa, sepolta sotto acquadiventata-ghiaccio.<br />
Fingeva di provare un brivido di fronte a<br />
quella scena. Brrr.<br />
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