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Leggi il primo capitolo - Libri Mondadori

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FranCesCO GUCCini<br />

CròniChe ePaFÁniChe


© 2013 arnoldo <strong>Mondadori</strong> editore s.p.a., M<strong>il</strong>ano<br />

i edizione Oscar bestsellers febbraio 2013<br />

isBn 978-88-04-62800-2<br />

Questo volume è stato stampato<br />

presso eLCOGraF s.p.a.<br />

stab<strong>il</strong>imento - Cles (Tn)<br />

stampato in italia. Printed in italy


Cròniche epafániche<br />

A Teresa, sperando che impari.<br />

Ad Angela, così impara.


i personaggi e gli avvenimenti di queste pagine non sono immaginari;<br />

forse qualcuno non si riconoscerà o penserà che abbia travisato<br />

certe cose. se è successo, l’ho fatto soltanto per la lab<strong>il</strong>ità<br />

della memoria e i f<strong>il</strong>tri incerti della fantasia e dell’affetto.


siamo bastardi di confine, anche se “border people” suonerebbe<br />

(chissà perché) meglio; in provincia di Pistoia, anche se molto al<br />

di qua dello spartiacque, siamo circondati dalla provincia bolognese.<br />

Parliamo perciò in modo curioso. Per fare qualche esempio,<br />

se voglio indicare quella vaschetta in legno o in muratura<br />

nella quale mangiano i maiali dirò trògo se parlo italiano ma trógo<br />

(con la o chiusa em<strong>il</strong>iana) se uso <strong>il</strong> dialetto; così <strong>il</strong> lièvito diventa<br />

al lévto, nella qual parola l’audacia dell’em<strong>il</strong>ianismo è moderata<br />

da quella o finale. e via andare.<br />

ho usato però più l’italiano parlato che <strong>il</strong> dialetto quindi i segni<br />

diacritici per indicare certi particolari suoni dialettali sono<br />

pochi, ma vediamoli.<br />

indico con:<br />

s˙ la sib<strong>il</strong>ante dentale sonora come nell’it. as<strong>il</strong>o (così farò eventualmente<br />

con la z di “zona”);<br />

sg la sib<strong>il</strong>ante palatale sonora, come nel francese jambe; cfr. <strong>il</strong><br />

pavanese nósge = “noce”;<br />

la sovrapposizione della t<strong>il</strong>de le vocali nasali, soprattutto in<br />

fine parola, ad es. cã = “cane”;<br />

ssc la doppia sib<strong>il</strong>ante palatale sorda, ad es. usscio = “uscio”;<br />

ggn la doppia nasale palatale, ad es. leggna = “legna”;<br />

sc (sopra <strong>il</strong> rigo) una specie di sib<strong>il</strong>ante palatale sorda appena<br />

accennata, ad es. bé sc tia = “bestia”;<br />

gl (sopra <strong>il</strong> rigo) la laterale palatale molto schiacciata, quasi i,<br />

ad es. cucame gl i = “primule”.<br />

Questi segni sono derivati dal “sistema di trascrizione semplificato”<br />

della «riD, rivista italiana di dialettologia».<br />

7


1<br />

<strong>il</strong> fiume è <strong>il</strong> fiume per eccellenza, per antonomasia, non c’è<br />

Orinoco o rio delle amazzoni che tenga. <strong>il</strong> Po, altro fiume,<br />

si sa che nasce dal Monviso, per definizione, ma è più invenzione<br />

letteraria che geografia. <strong>il</strong> reno esiste, ma quando<br />

si incontra col fiume cambia nome e genera un territorio<br />

indefinito, che si chiama appunto “i due fiumi”, e la larga<br />

iara attorno, perché <strong>il</strong> fiume non è affluente di nessuno,<br />

esiste in sé, quasi come Dio. non nasce, è; sopra la Diga si<br />

chiama Bacino, più in su è territorio misterioso e inesplorato,<br />

come le sorgenti del n<strong>il</strong>o. Dalla Diga in avanti è appunto<br />

<strong>il</strong> fiume.<br />

Diventa acqua, a volte, quando si parla di quella costa<br />

sulla sponda destra a spini e a rovi (dove non coltivato)<br />

che viene chiamata “di là da l’acqua”, ed è abitata da gente<br />

un po’ selvatica, e forse perché lì la natura ha fatto <strong>il</strong> salto<br />

(crescono cerri, non castagni, da quella parte), di usanze<br />

comunque ben diverse e meno civ<strong>il</strong>i di quelle veramente<br />

urbane del centro.<br />

<strong>il</strong> fiume ha affluenti, anche se non vengono considerati<br />

proprio tali, perché sono fossi, e anche i fossi esistono a<br />

parte, in sé, sono entità puramente staccate; non nascono,<br />

scorrono per certi tratti, d’inverno sono in gialla piena fangosa<br />

e d’estate quasi in secca e ruscellano lievi per pozzette<br />

9


che si riempiono di strani animaletti nuotanti che si riflettono<br />

sul fondo circondati da un alone luminoso e di rosse<br />

e f<strong>il</strong>amentose radici affioranti. L’acqua vi sarebbe limpida,<br />

ma se salta la ranocchia in un amen s’intorba e si fa acqua<br />

colomba: forse sono così le parti più umide e paludose delle<br />

giungle. nascostamente vanno a finire nel fiume, ma in<br />

maniera pudica, senza darlo a vedere. Possono essere preziosi,<br />

ci possono essere cave di terra greca, da tenere, una<br />

volta scoperte, rigorosamente segrete, o piriti d’argento incastonate<br />

in macigni affioranti, o risplendenti quarzi a tramoggia;<br />

a volte, risalendoli, si scoprono macchioni di vétiche<br />

da ut<strong>il</strong>izzare come introvab<strong>il</strong>i capanne. Possiedono<br />

nomi propri, proprio perché sono tanti e a volte può essere<br />

necessario distinguerli; così c’è quello di Maiólo, quello<br />

del Loghétto, quello di Pàvana, quello di ricchiòvoli che,<br />

come si sa, separa <strong>il</strong> paese vero e proprio da un habitat diverso<br />

e lontano, ubi sunt leones. C’è anche quello dla Centrale,<br />

che prima doveva avere nome diverso, se la Centrale<br />

è degli anni Venti, ma Potenza della Tènnica, che nella sua<br />

parte finale lo ha anche incementato, domato, e costretto a<br />

terminare suo corso nella Galerìa dello sfioratore.<br />

<strong>il</strong> fiume ogni tanto si allarga, e forma <strong>il</strong> Pozóne; c’è quello<br />

del Pontaccio, che è <strong>il</strong> più classico, e quello dla Centrale,<br />

che è <strong>il</strong> più largo e lungo, e <strong>il</strong> più fondo, si mormora, di<br />

abissi inimmaginab<strong>il</strong>i, forse anche cinque o sei metri, e che<br />

contiene angu<strong>il</strong>le di dimensioni spropositate, e trote ingigantite<br />

e inferocite dalla vecchiaia, e sauri, e nessie di Loch<br />

ness, e bórde malefiche, così verdastro e chiuso com’è fra<br />

gli alti muraglioni di cimento armato e gli archi da tempio<br />

Maya della Centrale distrutta. sul fondo ci sono anche<br />

i resti mortali della Centrale istessa, traversine di ferro arrugginite,<br />

blocchi di calcestruzzo, le macchine del Titanic,<br />

quantità pressoché <strong>il</strong>limitate di metalli preziosi che fanno<br />

sognare, noi miseri raccoglitori di superficie, e che, se recuperati<br />

e portati a vendere da Tiribitta, varrebbero fortu-<br />

10


ne. <strong>il</strong> Pozóne dla Centrale va bene per prove di alto ardimento,<br />

che dimostrino sangue freddo e compiuta vir<strong>il</strong>ità,<br />

prove quali correre sul muro a strapiombo o farsi portare<br />

dalla corrente dello sfioratore, sulla sua lézza sgu<strong>il</strong>losa,<br />

per poi fermarsi con m<strong>il</strong>le astuti accorgimenti ad un passo<br />

dal salto mortifero; va anche bene, data la lunghezza, per<br />

lo spia-Pesce. si procede così: si prende una piccola piagna<br />

rotondeggiante e, chinandosi <strong>il</strong> più possib<strong>il</strong>e a pelo dell’acqua,<br />

con un secco movimento del braccio e del polso la si<br />

lancia sulla superficie in modo che la tocchi rimbalzando <strong>il</strong><br />

maggior numero di volte possib<strong>il</strong>e. Tre volte è ritenuto appena<br />

sufficiente, dalle dieci in su da drago; una volta sola<br />

da bambine, le quali, come è noto, non solo non hanno occhio<br />

nella scelta del sasso e afferrano certi macigni destinati<br />

per loro costituzione a tendere naturalmente verso <strong>il</strong><br />

fondo, ma non sanno lanciare nemmeno i sassi, ciò è insito<br />

nella loro essenza, è un naturale dato di fatto, e nessuno<br />

sa quale grave colpa atavica (la mela di eva?) sia punita<br />

con questa dolorosa menomazione, forse un poco esagerata;<br />

ma Dio c’è, e sa.<br />

i Pozóni, o Bónzi, sono stati creati per due cose, pescarci<br />

e nuotare. essendo che <strong>il</strong> Pozóne esiste in un luogo definito<br />

ma le sue forme e dimensioni variano a seconda delle<br />

piene invernali, si dovrà procedere in questo modo: si aspetta<br />

<strong>il</strong> giorno di s. Giovanni, perché, come si sa, <strong>il</strong> bagno fatto<br />

prima di quel giorno potrebbe essere dannoso alla salute,<br />

poi, di mattina, si percorre tutto <strong>il</strong> tratto di fiume compreso<br />

fra la Centrale e <strong>il</strong> Pontaccio. i Pozóni degni di questo<br />

nome sono tre, è cosa ovvia: quello del Muraglione, quello<br />

delle scalette e quello del Pontaccio. si osservano con attenzione,<br />

e si discute a lungo su quale appaia <strong>il</strong> più degno<br />

per la stagione. Fatta la scelta, non sempre priva di controversie<br />

e permali, si deve dare inizio ai lavori, perché quasi<br />

mai la natura è perfetta, e richiede la mano esperta dell’homo<br />

ab<strong>il</strong>is per essere portata a perfezione.<br />

11


a monte, allora, si comincia a portare via sassi, perché <strong>il</strong><br />

corso del fiume risulti più sciolto e scorrevole, e maggiore<br />

portata d’acqua giunga senza inut<strong>il</strong>i frapposizioni; a valle,<br />

dove comincia a restringere, si inizia a costruire la Grande<br />

Diga, mirab<strong>il</strong>e esempio di ingegneria empirica, e ognuno<br />

porterà i propri macigni di peso sempre solo un poco superiore<br />

alle proprie forze, e li ribalterà addosso agli altri,<br />

insultando e venendo insultato, ma ciò fa parte del necessario<br />

rituale apotropaico e la Diga non riuscirebbe bene altrimenti,<br />

e si tureranno le falle con mota e farfanacci e vétiche<br />

e sassi piccoli, e ci si tufferà sul fondo per pulirlo dalla<br />

lézza e dai vetri e dalle latte arrugginite e da tutto ciò che<br />

<strong>il</strong> fiume invernale si è portato con sé, magie e gatti morti e<br />

biancheggianti ossa da lesso comprese.<br />

Di grande aiuto, in questa fase, la Madonna, intesa come “tirare<br />

delle”, anche nelle varianti un poco più sfumate dell’imprecazione<br />

semplice, da Dio a Zio, da Madonna a Maremma,<br />

da Cane a Caio, Campo, Campan<strong>il</strong>e, Campìsseri (variante toponima<br />

locale), Camposanto, ansietà, Lai, Latte, Latte e Ova,<br />

sul Ciuco, serpe, serpente, Brigadiere, Brigadiere delle Ferovie<br />

dello stato e via e via in creatività e poesia. a Madonne,<br />

è certo, si possono deviare i temporali: ci si siede sotto<br />

ad una pianta e si smadonna in direzione del fronte nuvoloso.<br />

Questo, dopo un po’, capisce che non è aria e si allontana<br />

per scaricarsi in località di gente più pia e meno decisa.<br />

a Madonne accadono anche avvenimenti miracolosi, dove<br />

è manifesta la presenza del soprannaturale Divino. Dice<br />

Giordano- natta, raccontando di quando scivolò sul ghiaino<br />

alla curva di serrandoli e uscì nel prato col 49: «Tirai tante<br />

di quelle Madonne che mi s’acese <strong>il</strong> fanale. C’era un buio<br />

che pareva d’entrare in culo, e mi s’acese <strong>il</strong> fanale».<br />

nuotare, si nuota in tre modi, oltre che a morto: alla cagnolina,<br />

alla spadona o marinara, all’italiana; esiste <strong>il</strong> cròl,<br />

ma solo nei f<strong>il</strong>mi americani perché solo gli americani sanno<br />

fare quelle cose. a cagnolina è <strong>il</strong> sistema primigenio, conna-<br />

12


turato, dell’homo-bambino: si muovono le braccia a cane e<br />

si battono i piedi a motoscafo, cercando di fare più spruzzi<br />

possib<strong>il</strong>e. Questo sistema si impara entrando in acqua e andando<br />

avanti; dopo <strong>il</strong> terzo ripescaggio viene naturale, e si è<br />

ufficialmente ammessi nella comunità dei nuotatori. La spadona,<br />

o marinara, si esegue stando sul fianco destro e allungando<br />

in avanti <strong>il</strong> braccio destro e all’indietro quello sinistro<br />

che si teneva rattrappito sul petto; le gambe scalciano all’indietro<br />

con potenza pari alla velocità desiderata. La spadona<br />

è nuoto riposante, e con esso si possono fare lunghe distanze.<br />

all’italiana è un po’ <strong>il</strong> nuoto di Tarzan, senza urlo e con<br />

la testa ben fuori dall’acqua, se no entra in bocca. Questo in<br />

fondo sarebbe poi male da poco, in quanto l’acqua del fiume<br />

si può bere; solo i v<strong>il</strong>egianti (bìscheri!) ne sono insospettiti,<br />

e chissà quali sporcizie e porcherie bevono in città. si avesse<br />

però in qualche modo <strong>il</strong> sospetto di attraversare un giorno non<br />

fausto, si può, a maggiore consolazione dell’animo e per rendere<br />

completamente asettica l’acqua, recitare la nota formula:<br />

acqua corénte<br />

ci passa <strong>il</strong> serpente<br />

ci beve Dio<br />

posso berci anch’io.<br />

Più fastidiosa l’acqua nell’orecchio; anche per questo fenomeno<br />

però c’è un sistema di sicuro effetto: si prenda un<br />

piccolo sasso rotondeggiante, lo si prema contro l’orecchio<br />

allagato, poi, chinandosi un poco da quella parte, si assestino<br />

piccoli colpi con altro sasso scelto all’uopo; se si ha<br />

avuto cura di scegliere un sasso ben asciutto, lo si vedrà rapidamente<br />

riempirsi dell’acqua incautamente inf<strong>il</strong>tratasi.<br />

<strong>il</strong> nuoto all’italiana è comunque eseguito solo da nuotatori<br />

di consumata ab<strong>il</strong>ità, per brevissimi tratti, e in presenza<br />

di elementi impressionab<strong>il</strong>i, quali ragazzi più piccoli o ragazze.<br />

assomiglia al cròl di certi v<strong>il</strong>egianti (non quello degli<br />

americani), che lo eseguono nelle stesse condizioni am-<br />

13


ientali; sola differenza, la testa quasi sempre sott’acqua che<br />

a volte emerge con sbuffi poderosi, come i Grandi Cetacei.<br />

si nuota ovviamente anche a rana, ma solo per pescare i<br />

sassi rossi dal fondo, quando l’acqua è limpida.<br />

Ci sono record natatori, escalation nei confronti di se<br />

stessi e della società: padronanza del Pozóne in lungo e in<br />

largo, attraversamento del bacino in largo, attraversamento<br />

in lungo, attraversamento del bacino di suviana in largo.<br />

in lungo non si può, è al di là delle possib<strong>il</strong>ità umane.<br />

Ci si tuffa in due modi: a seggiolina, o Pompiera, e a testa<br />

in giù. a la Pompiera è d’uopo prendere le gambe sotto <strong>il</strong><br />

braccio sinistro e stringersi <strong>il</strong> naso con le dita della mano<br />

destra; a testa in giù è però molto più vir<strong>il</strong>e, e la spanciata è<br />

nell’ordine naturale delle cose, come una pioggia in marzo.<br />

a nuotare poi non si va mai, si va a fare <strong>il</strong> bagno, o meglio,<br />

uno è lì e dice agli altri: “si fa <strong>il</strong> bagno?” e via ci si butta.<br />

senza costume, che non serve, <strong>il</strong> bagno vero si fa gnudi,<br />

meglio se ci sono v<strong>il</strong>egianti in giro; è ammessa la mutanda,<br />

mai lo slip, e questa, dopo <strong>il</strong> bagno, a scanso di eventuali<br />

problemi fam<strong>il</strong>iari che potrebbero sorgere, verrà asciugata<br />

prima battendola di qua e di là con grande forza su un sasso,<br />

poi lasciandola al sole ad asciugare, mentre noi stessi ci<br />

asciughiamo, e i più vecchi fumano la cicca rimediata da una<br />

tasca delle braghe. È lì che si sta bene, perché l’acqua può<br />

essere fredda, ma dentro si sta bene, e meglio fuori dopo al<br />

sole. si possono fare commenti. Loriano di Tonio-rosa diceva:<br />

«Guarda, quelle v<strong>il</strong>egianti, come si ungano. Le ungerei<br />

io sì, con un po’ d’unto creapòpoli!». sfuggiva <strong>il</strong> significato<br />

profondo dell’affermazione, e forse per questo lasciava<br />

una certa impressione di rifiuto, di un’idea in sé ributtante.<br />

nel fiume ci si pesca, anche; se non si considerano i mostri<br />

misteriosi del Pozóne dla Centrale e di quelli del bacino,<br />

di solito eran pesci normali, domestici, quelli che facevano;<br />

c’eran le lasche (e che emozione, quando padre Dante<br />

scrive, parlando della costellazione dei Pesci, “la grande<br />

14


Lasca”, e io l’unico a capire, in classe, bìscheri!), e la lasca<br />

è un po’ come <strong>il</strong> pane quotidiano, che se c’è non emoziona<br />

più di tanto. Già <strong>il</strong> barbo è diverso, più nob<strong>il</strong>e, con quei<br />

due baffetti di ciccia vicino al muso, più colorito, e grosso.<br />

Odìo, de le volte c’è certe lasche! Ma <strong>il</strong> barbo è <strong>il</strong> barbo,<br />

si sa. non come la trota, perché la trota è la trota; prenderne,<br />

di trote. Ora di barbi non ce n’è più; una volta sì, ce<br />

n’era, perché c’è sempre stato un tempo (remoto? e quanto?<br />

preistorico, ma è sempre lontano, di qualcuno trapassato,<br />

del nonno del nonno) che bastava svoltare un sasso,<br />

bastava. Paride-Palmiro: «si lavorava a far ’na griglia... e<br />

ma sarà stato... a ero un ragazzo, figuriamoci... s’era sotto<br />

Téglia, verso i due fiumi... alzai ’n sasso... ventidue barbi<br />

c’eran sotto, ventidue barbi; a macché... a ora non ce n’è<br />

mia piùvve». e ti maledici, per essere nato in epoca storica,<br />

così priva di tutto, così vuota di pesci nel fiume di funghi<br />

tra i boschi. Prendi i bròcioli! Bastava andar nel fiume<br />

con la forchetta, e tornavi a casa e facevi la fritura. Prova a<br />

trovarne uno se sei bòno, óggi.<br />

e già <strong>il</strong> bròciolo è pesce misterioso, che non nuota, e questo<br />

già la dice tutta sulla non pescità di fondo di questo pesce.<br />

salta, o meglio, si sposta a scatti sul fondo, muovendo un<br />

poco poco la mota, e sembra che ti stia a guardare e a dire:<br />

“Chiappami, se sei bòno” e non lo prendi no, se non hai la<br />

forchetta, lui con quel suo testone.<br />

in città (in particolare quella della Motta) non ci sono<br />

bròcioli, ed è inut<strong>il</strong>e parlarne agli altri e descriverne caratteristiche<br />

e proprietà specifiche (certe f<strong>il</strong>ze! certe friture!);<br />

trovi incomprensib<strong>il</strong>e indifferenza, disinteresse, anche se tu<br />

dicessi: “Conosco un posto dove fanno i bròcioli, ti ci porto”<br />

l’uditore non paleserebbe quella curiosità legittima che<br />

la notizia comporterebbe. anche se tu dicessi: “Conosco un<br />

posto dove fa l’angu<strong>il</strong>la...”.<br />

Ma sarebbe evidente menzogna, l’angu<strong>il</strong>la non fa, c’è ogni<br />

tanto, la si trova per caso fortunato, per giorno segnato dal<br />

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destino, di cui parlare di poi per anni. L’angu<strong>il</strong>la certo è nei<br />

posti da angu<strong>il</strong>la, nelle profondità senza nome già descritte,<br />

perché ha natura sotterranea e diabolica, è monstrum, non<br />

è certo pesce, non si sa bene cosa sia, mezza serpe e nera<br />

per giunta com’è, ma pesce no di sicuro. Quindi nel fiume<br />

normalmente non ci dovrebbe stare. a volte però capita di<br />

incontrarla, giunta innaturalmente dagli abissi come un angelo<br />

precipitato; allora un morso più violento la fa emergere<br />

attaccata ad una lenza, ma è raro, perché quello che succede<br />

più spesso è trovarla sotto a un sasso, quando inf<strong>il</strong>i<br />

le mani per tastare i pesci, e la senti, che non è pesce, così<br />

lunga, che si attorciglia, e scivolosa; allora ti esce <strong>il</strong> grido,<br />

che ti strozza la gola: “L’angu<strong>il</strong>la, c’è l’angu<strong>il</strong>la” ed è come<br />

un Pizarro che ti vede l’eldorado lì a due passi, e ti teme<br />

che possa svanire nel nulla dopo un attimo, una visione e<br />

via, come spetro o fantàsima. Perché averla trovata non è<br />

prenderla. allora devi andare indietro un po’, guardando<br />

che non scappi in quel momento, poi rovesciare <strong>il</strong> sasso.<br />

L’angu<strong>il</strong>la ha natura maligna, lo si diceva, e a volte, a<br />

sasso sottosopra, te la vedi trasformata in biscia d’acqua, o<br />

bòtta, che per lo schifo ti si mozza <strong>il</strong> fiato, quasi tu l’avessi<br />

biasciata, e ti lavi le mani cento e cento volte, e sputi e risputi<br />

quasi l’avessi deglutita. Fine tragica attende l’animale<br />

trasformato, ché la biscia d’acqua cerca di f<strong>il</strong>arsela ma più<br />

leste sono le sassate che la lasciano tutta attorcigliata su se<br />

stessa, e nulla vale al rospo la dignitosa stoica immob<strong>il</strong>ità,<br />

in pochi attimi di furore cieco e assassino. Ma se l’angu<strong>il</strong>la<br />

è angu<strong>il</strong>la, <strong>il</strong> furore aumenta, e tutto è teso alla cattura della<br />

bestia, che mostra la sua diabolica natura nel non volere<br />

assolutamente farsi catturare.<br />

L’angu<strong>il</strong>la è sgu<strong>il</strong>losa, e con le mani non la si può afferrare.<br />

Ci sarebbero certi modi sicuri di intrecciare le dita,<br />

e trasformarle in morse ferree e feroci, ma molti di questi<br />

modi sono segreti, tramandati di padre in figlio, e se non<br />

li conosci e stai lì ad intrecciare le dita l’angu<strong>il</strong>la è già an-<br />

16


data, e per quanto si cerchi sotto ai sassi vicini non la trovi<br />

più (è sicuramente, per vie solo a lei note, sprofondata nelle<br />

viscere della terra).<br />

La forchetta sarebbe sicura, ma in questo consiste l’astuzia<br />

dell’angu<strong>il</strong>la, che quando hai la forchetta non si fa trovare;<br />

a morsi andrebbe bene e c’è chi ha catturato angu<strong>il</strong>le<br />

a morsi (a è l’unico sistema, non ce n’è altri), ma anche<br />

questo è accaduto in tempi non storici, Quando Vuotarono<br />

<strong>il</strong> Bacino.<br />

Quando Vuotarono <strong>il</strong> Bacino c’era <strong>il</strong> paese in mezzo al<br />

fiume in piena, e i pesci si tiravan su coi panieri; coi panieri?!<br />

coi corbelli, si tiravan su, con le paniere da noci, con<br />

le gòrgole anche, perché <strong>il</strong> bacino l’avevano proprio fatto<br />

correre, e tutti gli antichi abitanti fluviali erano stati scaraventati<br />

giù per <strong>il</strong> salto dello sfioratore e giù per la Galerìa<br />

dello sfioratore con la corénte forte che c’era giù nel fiume;<br />

e lì c’era <strong>il</strong> paese che aspettava, tutti, vecchi, òmini, donne,<br />

coi sacchi li tiravan su, e c’eran certe angu<strong>il</strong>le che non<br />

s’eran mai viste, e coi denti le prendevano... ma non vennero<br />

mica giù tutti, e allora i più coraggiosi andarono nel<br />

fango del bacino, fino al petto a volte, e frugavan giù nella<br />

mota, e c’era ’gnicosa... ma non li hanno mica presi tutti,<br />

perché i più grossi, i più vecchi, andaron sotto anche due o<br />

tre metri, e, aaa, sono ancora là, sono.<br />

Ma <strong>il</strong> sistema più sicuro è quello del dito, perché la malvagia<br />

angu<strong>il</strong>la è mordace, e allora se uno le inf<strong>il</strong>a un dito<br />

in bocca, lo morde e non lo molla più, e se la può portare a<br />

casa, che sta lì atacata e non lo molla più.<br />

«Ma fa male?»<br />

«Fa male sì, fa male; ma non c’è altro sistema.»<br />

non ho mai avuto la fortuna di catturare angu<strong>il</strong>le col dito;<br />

non so dire, quindi, una volta giunti a casa, come si faccia<br />

a staccare l’angu<strong>il</strong>la.<br />

Ma pescare, si pesca in tanti modi. <strong>il</strong> più classico è a canna,<br />

che è proprio una canna di bambù, divisa in tre, e com-<br />

17


ponib<strong>il</strong>e con incastri di ottone. Finisce a punta sott<strong>il</strong>e sott<strong>il</strong>e,<br />

guizzante, <strong>il</strong> cimino, e lì con grande maestria ci si lega<br />

la bava; in mezzo ci vuole <strong>il</strong> galegiante, una peretta di sughero<br />

colorato, perché si deve vedere bene nell’acqua, poi<br />

<strong>il</strong> piombino e in fondo <strong>il</strong> lamo, che bisogna saperlo legare<br />

bene e io non sono capace, ma c’è chi ci fa certi nodi, al<br />

lamo, che non vien più via neanche!, e <strong>il</strong> pesce, se lo ingoia,<br />

non si slama da solo, che a volte era un cavedano così, ma<br />

mentre lo tiravo fuori s’è slamato. Ci sarebbe anche <strong>il</strong> mulinello,<br />

e qualche v<strong>il</strong>egiante ce l’ha, e sarebbe bello averlo,<br />

anche se non si sa bene a cosa serva. Loro lancian lontano,<br />

e fanno girare <strong>il</strong> mulinello, e poi non prendan mai niente,<br />

quei bìscheri. hanno anche dei lami speciali che si chiaman<br />

cuchiaini, o mosche, e sono delle cose tutte colorate, di metallo<br />

e piumette, che sarebbe bello avere, ma mica per andarci<br />

a pescare, che tanto non servano a niente, ma per tenerli<br />

così, come le figurine, da collezione. altra esca necessita!<br />

sul lamo ci si inf<strong>il</strong>a invece <strong>il</strong> lombrigo (anche se per certi<br />

pesci ci vuole la polenta) o la singhèlla, o i bacacci (dormiènti,<br />

i t’ dìggane i toscani) o certi vermini verdi che fanno<br />

sotto ai sassi del fiume; si scopre <strong>il</strong> sasso e li trovi lì,<br />

dentro a dei nidi fatti di sassini piccoli piccoli, tutti atacati,<br />

saran lunghi così, poco, e tiri via qualche sassino e <strong>il</strong> verme<br />

viene fuori, e ha delle zampine corte corte e tu lo prendi<br />

e lo inlami.<br />

Ma è più bello pescare a b<strong>il</strong>ancia, specie nei Pozóni; per<br />

la b<strong>il</strong>ancia ci vuole una pertica, una corda, due ferri incrociati<br />

coi pesi all’angolo e la rete a maglie fitte. normalmente<br />

però al posto della corda si usa <strong>il</strong> f<strong>il</strong>o del telefono degli<br />

americani, che è un f<strong>il</strong>o d’acciaio coperto di gomma coperta<br />

di stoffa catramata, e serve a tutto, a legare le viti, a legare<br />

i sacchi, tanto <strong>il</strong> telefono non ce l’ha nessuno, e nonnamabìlia<br />

guardava <strong>il</strong> telefono squ<strong>il</strong>lare e mormorava: “Ó<br />

povrétta mì, adessa al ch’i ho fare?”. <strong>il</strong> f<strong>il</strong>o del telefono degli<br />

americani sembra inventato per tener su la b<strong>il</strong>ancia, ma an-<br />

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che può essere usato per fare <strong>il</strong> cantino nei violini. Quando<br />

Fernando suonava <strong>il</strong> violino usò per cantino l’anima d’acciaio<br />

del f<strong>il</strong>o, e suonava bene, tanto che <strong>il</strong> babbo di Piero,<br />

che era appena arrivato, chiese: «Ma chi è che suona la tromba?»<br />

ed era Fernando che suonava <strong>il</strong> violino.<br />

Per la rete si usa la rete mimetica degli americani, quella<br />

più fitta, che copriva i quattro pezzi da 105/22 giù nella<br />

Piana; coi bossoli ci si fanno i vasi da fiori, che ce ne son<br />

due anche sull’altare. si portano da uno a Porétta che li taglia<br />

in bocca e li fa sporgere in fuori come fiori, o anche (ma<br />

costa di più) li sbalza e li cesella, inclito studio di scalpelli<br />

achei. Veramente con la rete ci si dovrebbe fare le canottiere,<br />

ma se si riesce a rubare un pezzo un po’ largo e due<br />

f<strong>il</strong>i di ferro ci si può fare la b<strong>il</strong>ancia. si pesca così: si getta<br />

la b<strong>il</strong>ancia in acqua e si aspetta che qualche pesce prima o<br />

poi ci finisca sopra; allora si tira su con tutte le forze e per<br />

<strong>il</strong> peso dell’acqua <strong>il</strong> f<strong>il</strong>i di ferro si piegano e i pesci scappano.<br />

Ma è bello lo stesso, perché si può bestemmiare a lungo,<br />

e sbattere la b<strong>il</strong>ancia contro a tutti i sassi del fiume, e<br />

urlare che scalogna, e tornare a casa con la pertica e <strong>il</strong> f<strong>il</strong>o<br />

che possono sempre servire per un’altra volta.<br />

È più fac<strong>il</strong>e prenderli, i pesci, con le mani, quando <strong>il</strong> gorello<br />

dello sfioratore del botàccio va in secca, e nelle pozétte<br />

qualche pesce rimane; una volta, quando c’era più pesci,<br />

usavano anche le nasse di stroppe, che ora sono rinsecchite<br />

e inerti nel Maganzino.<br />

nel Maganzino c’è tutto, oltre alle nasse grigiastre di<br />

polvere; ci sono delle cassette da frutta piene di scatole di<br />

remoti prodotti alimentari piene di chiodi di tutte le misure,<br />

e bene unti, e le sungie per ungere gli scarponi, e <strong>il</strong><br />

trabiccolo per risuolarli, e le bolétte da mettere sotto agli<br />

scarponi (certe sfiamarade, su quei sassi!) e un pezzo di<br />

canna di bambù scheggiata con cui mi tagliai un braccio<br />

nel ’44, <strong>il</strong> tagliere della sfoglia, i grandi vasi di vetro dentro<br />

ai quali dormono le uova sotto calce, e lanterne fun-<br />

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zionanti e lanterne rotte e la lampada a carburo di mio<br />

zio Merigo minatore, e i preti con gli scaldini, e buchi ragnatelosi<br />

contenenti tesori come due bossoli 7,62, e scatole<br />

vuote di razioni K americane con dentro p<strong>il</strong>e di giornali<br />

americani, «Life», «The saturday evening Post», la<br />

«Gazzetta di Pittsburgh» con le foto dei nostri ragazzi al<br />

Fronte, i barattoli di birra americana vuoti, quei barattoli<br />

di latta bombati sotto e la valvolina in cima (o era Diditi?),<br />

e bottiglie di whisky vuote, che nel ’57 le scolammo<br />

tutte e ce ne venne fuori un mezzo bicchierino, ma non era<br />

buono, e una stadera, e martelli, forbici da uva, lime, ma<br />

non tutti gli attrezzi, perché quelli sono giù, nella rimessa,<br />

dove c’è anche la mola per arrotare i coltelli, o nei casetti<br />

della madia. nel Maganzino però c’è quasi tutto; se<br />

uno cerca una cosa, un pezzo di lapis copiativo o da falegname,<br />

un metro snodab<strong>il</strong>e o a nastro, una sega da fèro,<br />

un tubicino di metallo col tappo per tenerci i fiammiferi,<br />

una placca di metallo scritta in americano che opportunamente<br />

adattata copre quella normale e serve da fibbia americana,<br />

tutto insomma, basta cercare, nel Maganzino c’è.<br />

<strong>il</strong> Maganzino è una stanza alta e lunga, con una finestra<br />

con la moschiera in fondo, a est, dalla parte del fiume; <strong>il</strong><br />

pavimento è nuovo perché la piena del ’37 portò via tutta<br />

l’ala, e anche le galline sotto, mentre dormivano nel gallinaio.<br />

stavano lì a dormire appollaiate e l’ondata di piena<br />

ruggente sfondò e se le portò via, assieme a dei cristiani<br />

che aveva raccattato più su, e depose <strong>il</strong> tutto con mota e<br />

macigni lungo le due grandi piane, e quando Ziomerìgo<br />

poté finalmente tornare (era andato ad aprire lo sfioratore<br />

della gora proprio quando l’ondata che ogni tanto m’insoggno<br />

piombò giù e lui riuscì a tagliare per quei grottini<br />

e a scappare verso Pàvana) vide qualcosa che roseggiava<br />

d’in tra la fanga e disse: «Guarda un maialino!» ed era<br />

una ragazza della sega, morta e nuda. Quella Piena del<br />

’37, quando la Diga tracimò, e mio babbo era a rovereto<br />

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