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Leggi il primo capitolo - Libri Mondadori

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Scrittori italiani e stranieri


Ugo Riccarelli<br />

L’amore graffia <strong>il</strong> mondo<br />

romanzo


Dello stesso autore in edizione <strong>Mondadori</strong><br />

Le scarpe appese al cuore<br />

L’angelo di Coppi<br />

Il dolore perfetto<br />

Un mare di nulla<br />

Comallamore<br />

La repubblica di un solo giorno<br />

www.librimondadori.it<br />

L’amore graffia <strong>il</strong> mondo<br />

di Ugo Riccarelli<br />

Collezione Scrittori italiani e stranieri<br />

ISBN 978-88-04-61627-6<br />

© 2012 Arnoldo <strong>Mondadori</strong> Editore S.p.A., M<strong>il</strong>ano<br />

I edizione ottobre 2012


L’amore graffia <strong>il</strong> mondo<br />

Per Antonio,<br />

che è andato appena un attimo di là.


Muoiono d’amore i rami<br />

federico garcía lorca<br />

Dovevamo saperlo che l’amore brucia<br />

la vita e fa volare <strong>il</strong> tempo<br />

vincenzo cardarelli


prima parte


La casa dei ferrovieri se ne stava piantata in mezzo a un fascio di<br />

binari, neanche fosse un capostazione. Aveva un unico grande portone<br />

e una sf<strong>il</strong>ata di finestre bianche che a Delmo ricordavano una<br />

dentiera. L’ultima a destra era della sua camera da letto e quella<br />

mattina era l’unica spalancata, un buco nero che la faceva sembrare<br />

un dente mancante, o una carie appena visib<strong>il</strong>e per lo spessore<br />

di una nebbia infame, densa come l’orzata che adesso inondava<br />

tutta la stazione impedendo quasi di vedere la torcia del Passi<br />

mentre segnalava lo scambio.<br />

Delmo estrasse dal taschino l’orologio per controllare la puntualità<br />

del diretto che di lì a un minuto sarebbe dovuto sbucare dalla<br />

curva oltre la roggia, rompendo con <strong>il</strong> suo sferragliare l’incanto del<br />

galleggiare nella dolcezza di quella bevanda opaca.<br />

Fu proprio mentre iniziò a sentire <strong>il</strong> rumore del treno che dalla<br />

carie sulla casa si affacciò sua sorella Anita ad annunciare la nascita<br />

con un bercio da mercato, e lui all’improvviso dimenticò i treni<br />

e la dolcezza dell’orzata e si ricordò della moglie che un paio di<br />

ore prima aveva rotto le acque.<br />

«È nata» ripeteva la donna alla finestra, come se fosse accaduto<br />

un evento eccezionale e non fosse invece la terza volta che la Maria<br />

metteva al mondo un figliolo.<br />

Dalla coltre di nebbia si cominciava a intuire lo scuro della macchina<br />

a vapore.<br />

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«La Maria vuol sapere come la chiami, questa» gli urlò intanto<br />

l’Anita con quella voce da prefica.<br />

Delmo ristette, incerto. Francamente aveva pensato a un maschio,<br />

un altro figlio maschio a cui imporre un bel nome forte e contadino<br />

come aveva fatto per Severo e Olmo. E invece adesso si ritrovava<br />

con una femmina in mezzo ai piedi e un nome da scegliere proprio<br />

mentre <strong>il</strong> diretto stava arrivando in stazione.<br />

Alzò lo sguardo verso l’Anita che lo incalzava.<br />

«Allora Delmo, come la chiami questa?»<br />

Lui alzò la mano come faceva per fermare i treni affinché quella<br />

voce pungente si chetasse e gli lasciasse <strong>il</strong> tempo di pensare, ma già<br />

la motrice si era immessa nello scambio che <strong>il</strong> Passi aveva azionato<br />

e si annunciava con un fischio d’animale. Allora si voltò verso<br />

la banchina e la vide, vide <strong>il</strong> muso della locomotiva bucare <strong>il</strong> bianco<br />

e spargere intorno a sé scint<strong>il</strong>le e sbuffi di vapore, proprio mentre<br />

una lama di sole faceva br<strong>il</strong>lare <strong>il</strong> 640 scritto in acciaio, a indicare<br />

<strong>il</strong> modello di quel portento.<br />

A Delmo sembrò una scena da sogno, una specie di dea che sbucasse<br />

dalle nubi dell’Olimpo, o una Venere dal mare, che a dispetto<br />

di quel numero così burocratico nascondeva la bellezza di una linea<br />

unica, un’eleganza e un portamento che le avevano fatto dare<br />

dai ferrovieri <strong>il</strong> soprannome di Signorina.<br />

La vide arrivare in quel modo e capì di esserne innamorato, e <strong>il</strong><br />

fastidio per la nascita di un impiastro di femmina fu un poco mitigato<br />

dalla bellezza che anche un ammasso d’acciaio riusciva a<br />

esprimere in quel procedere maestoso.<br />

Allora si voltò verso l’Anita che aspettava una risposta:<br />

«Signorina» le disse, «la chiameremo Signorina.»<br />

Quindi si mosse verso la banchina e alzò la paletta da capostazione<br />

per arrestare la bellezza davanti ai suoi piedi.<br />

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Signorina non amava i treni, anche se loro la cullarono per anni<br />

passando e ripassando sotto la casa dei ferrovieri, regalandole ogni<br />

volta un tremolio che risparmiò alla Maria la fatica di ninnare quella<br />

figlioletta riccia.<br />

Nonostante <strong>il</strong> loro corteggiamento tenace, continuò ad avere in<br />

uggia lo sferragliare invadente dei convogli, lo stridere dell’acciaio,<br />

i colpi dei vagoni sui respingenti e <strong>il</strong> fischio dei locomotori<br />

che in fondo fu la prima cosa che lei aveva sentito quando era venuta<br />

al mondo.<br />

La Maria l’aveva appena spinta fuori da sé, quando la 640 che<br />

avrebbe stregato suo padre fece l’annuncio del suo arrivo con un<br />

sib<strong>il</strong>o acuto. Signorina lo sentì entrare dentro <strong>il</strong> suo piccolo corpo<br />

come una coltellata, un fastidio che si aggiungeva al bruciore<br />

dell’aria nei polmoni, alla luce che le feriva gli occhi e all’odore di<br />

mele che stagnava nella camera. E <strong>il</strong> suo <strong>primo</strong> str<strong>il</strong>lo, dunque, non<br />

fu, come ebbero a credere i presenti, <strong>il</strong> grido rituale di un essere<br />

offeso dall’obbligo di nascere, ma l’espressione di disappunto per<br />

l’urlo della locomotiva, che da quel momento l’avrebbe inquietata<br />

per tutta la vita. Abitava in mezzo ai binari, guardava <strong>il</strong> transito<br />

dei convogli dal terrazzino della cucina, camminava a malapena e<br />

già saltava sulle traversine giocando a campana, ma <strong>il</strong> fischio della<br />

locomotiva continuava a procurarle un fastidio sott<strong>il</strong>e, che ten-<br />

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tava di mitigare stringendo a sé la bambola di pezza che, prima di<br />

lei, aveva fatto compagnia all’Ada e alle figlie dell’Anita.<br />

Il fischio la inquietava, ma l’andare e venire delle persone che<br />

transitavano dalla stazione l’attraeva, anche perché <strong>il</strong> movimento<br />

della gente sulle banchine apparteneva a un mondo che le era stato<br />

proibito di esplorare dalle raccomandazioni piene di ansia della<br />

Maria, dallo sguardo severo di Delmo e dalla voce acuta dell’Anita.<br />

E come spesso succede, dunque, <strong>il</strong> territorio vietato finì per attirare<br />

sempre più la sua curiosità bambina, finché un giorno, sentendo<br />

l’urlo del locomotore che si annunciava in arrivo, Signorina<br />

fece un lungo respiro, si strinse al petto la sua bambola per darsi<br />

coraggio e si avviò verso la banchina.<br />

Era alta poco più di un cespuglio e con fatica si arrampicò sul sed<strong>il</strong>e<br />

di marmo dietro alla colonna della pens<strong>il</strong>ina, cercando di nascondersi<br />

<strong>il</strong> più possib<strong>il</strong>e alla vista di Delmo fermo al binario, la<br />

paletta alzata ad arrestare <strong>il</strong> convoglio. Il locomotore dette ancora<br />

un paio di fischiate e lei si coprì con le mani le orecchie, mentre<br />

spalancava ancora di più gli occhi per ammirare <strong>il</strong> portento che<br />

sbuffando vapore e fumo si arrestava a pochi passi dai suoi piedi.<br />

Il treno si fermò e per un breve istante tutto sembrò ghiacciato,<br />

sospeso, finché Delmo abbassò <strong>il</strong> braccio e come in una danza <strong>il</strong><br />

mondo si mise in moto: si spalancarono le porte dei vagoni e i passeggeri<br />

iniziarono a scendere sulla banchina mentre quelli che attendevano<br />

di salire si accalcavano alle porte. Signorina rimase a<br />

guardare a bocca aperta quello spettacolo di confusione, la varietà<br />

dei vestiti, i colori, i tipi di bagagli. L’universo intero le parve concentrato<br />

lì, chiuso tra le diverse fogge dei cappelli degli uomini e<br />

delle gonne delle donne, i grandi bauli di pelle lucida e le valigie<br />

strette, di legno e cartone; e poi i fagotti e i pacchi, i cartocci e le<br />

scatole, le borse dalle quali, a volte, spuntavano le teste di un paio<br />

di galline o di un gatto spaventato. E dalla scarsa altezza della sua<br />

visuale mirò le scarpe, l’enorme popolazione di calzature che a due<br />

a due si muovevano attorno ai vagoni, di ogni tinta e modello, consumate,<br />

nuove, coi tacchi alti o piatte come ciabatte. Signorina se<br />

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ne stette a guardare quel teatro fino a che scorse suo padre rialzare<br />

<strong>il</strong> braccio come un dio imperioso, agitare un paio di volte la paletta<br />

ed emettere un fischio lungo e lacerante al quale la locomotiva<br />

rispose col suo verso, pochi istanti prima di sbuffare nuvole di<br />

vapore e muoversi verso <strong>il</strong> viadotto.<br />

Signorina rimase ancora un po’ seduta sul marmo, l’occhio sempre<br />

attento alla posizione di Delmo che, per fortuna, se ne stava<br />

tornando verso la biglietteria voltandole le spalle. Rimase in<br />

quel modo, a digerire quella scorpacciata di immagini che l’avevano<br />

frastornata come lo spettacolo di un circo, così si accorse<br />

solo all’ultimo momento del signore che la stava guardando. Era<br />

un omino secco, vestito con una livrea elegante, con tanto di piccolo<br />

c<strong>il</strong>indro e una valigetta nera. Aveva dei baffetti appena accennati<br />

e due occhi stretti a mandorla, che luccicavano dietro un<br />

paio di occhialini tondi. Lui la fissò, le allargò un sorriso gent<strong>il</strong>e,<br />

si piegò in un inchino e lei sentì l’aria riempirsi di un dolce profumo<br />

di legno. Le disse qualcosa, gorgogliando parole che lei non<br />

capì. L’uomo finì di emettere i suoi suoni strani e si produsse in<br />

un altro inchino, poi, sempre sorridendo, si fermò a fissarla. La<br />

sorpresa di Signorina, intanto, si stava trasformando in imbarazzo<br />

per <strong>il</strong> s<strong>il</strong>enzio che si era stab<strong>il</strong>ito tra loro. Avrebbe voluto dirgli<br />

qualcosa, ma in quel momento l’unico gesto che si sentì di fare fu<br />

di allungare <strong>il</strong> braccio e offrire allo sconosciuto la bambola di pezza<br />

con cui condividere la possib<strong>il</strong>ità di un’amicizia. Una cortesia.<br />

Lui allargò di più <strong>il</strong> suo sorriso ed emise una specie di esclamazione<br />

strozzata, un rumore di gola.<br />

Poi, dopo un nuovo inchino, si avvicinò alla panchina e vi appoggiò<br />

la valigetta, la aprì e dall’interno estrasse un foglio di carta<br />

colorata, lo stese sul piano di marmo e cominciò a piegarlo con<br />

gesti eleganti e rapidi, mentre accompagnava i movimenti con la<br />

sua parlata misteriosa, fatta di suoni incomprensib<strong>il</strong>i.<br />

Non durò più di un paio di minuti <strong>il</strong> suo armeggiare, e alla fine<br />

di quella che a Signorina parve una magia, l’omino prese dalla sue<br />

mani la bambola e pose attorno al giocattolo di pezza <strong>il</strong> foglio di<br />

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carta che adesso era diventato, in tutto e per tutto, un piccolo vestito<br />

colorato, delicato e perfetto, con un paio di spalline e una taschina<br />

sul davanti.<br />

L’omino chiuse la valigia, si piegò per l’ultima volta in un inchino<br />

e poi si allontanò verso la curva della roggia.<br />

Signorina rimase da sola, a contemplare la sua bambola risplendere<br />

di una nuova grazia e di eleganza, con quel frag<strong>il</strong>e vestito di<br />

carta colorata che le toglieva gli anni di consunzione e lo sporco, le<br />

ditate dell’affetto e dei giochi, fasciandola con la bellezza che hanno<br />

le cose semplici, leggere.<br />

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La Maria aveva sposato Delmo quasi come un’evenienza naturale,<br />

dopo che la sua prima moglie, la Luisa, era morta in seguito al parto<br />

dell’Ada. Cresciute assieme nel podere del Castiglione, le due ragazze<br />

erano tanto amiche da considerarsi pressoché sorelle, condividendo<br />

ansie e desideri, segreti, aspirazioni, in un legame che era<br />

continuato anche dopo <strong>il</strong> matrimonio della Luisa, cosicché quando<br />

l’Ada se ne era venuta al mondo straziando le viscere di sua madre<br />

e lasciando Delmo da solo con un bambino di sei anni, Leone,<br />

la Maria aveva trovato cosa normale prendersi cura di quella famiglia<br />

disgraziata nella quale l’unica presenza femmin<strong>il</strong>e, l’Anita,<br />

aveva già <strong>il</strong> suo bel daffare nel tenere tranqu<strong>il</strong>la la propria ansia e<br />

i sei figli avuti dal marito.<br />

Con gli occhi pieni di lacrime la Maria aveva assistito l’amica<br />

nell’agonia, detergendole <strong>il</strong> sudore, raccogliendo bacinelle di sangue<br />

ormai viola e sforzandosi di mettere in pratica i consigli con cui<br />

la levatrice aveva cercato invano di allontanare l’insistenza della<br />

morte che, evidentemente offesa per la nuova vita che la Luisa aveva<br />

appena generato, s’era fissata di prendersi la sua per far quadrare<br />

<strong>il</strong> conto. E quando <strong>il</strong> becchino finì di calare la cassa d’abete nella<br />

terra del cimitero, la Maria se ne tornò di fretta da Delmo a cercar<br />

di mettere in ordine lo sfacelo che quella fine straziante aveva<br />

sparso nella casa in mezzo ai binari. Salì le scale bisbigliando ancora<br />

i Requiescat in pace, e nemmeno aveva pronunciato l’amen che<br />

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già indossava <strong>il</strong> grembiale grigio con cui Signorina l’avrebbe vista<br />

per tutta la vita, per dare un ordine al guazzabuglio che regnava<br />

in quelle stanze. Puliva, spolverava, cucinava, stirava, rassettava<br />

biancheria e vestiti di Delmo e dei bambini, per poi coricarsi<br />

su una branda stesa nel corridoio d’ingresso a stemperare la fatica<br />

con qualche ora di sonno, pronta a levarsi lesta prima dell’alba<br />

per preparare all’uomo la colazione e <strong>il</strong> vestito stirato e spolverato<br />

come si conviene a un capostazione.<br />

Così, quando qualche mese più tardi lui le propose <strong>il</strong> matrimonio,<br />

la Maria accolse quell’offerta senza troppa emozione, dato che<br />

moglie già si sentiva ampiamente. Certo, nel tempo che era trascorso<br />

dalla morte della Luisa, Delmo s’era comportato da galantuomo<br />

qual era, mai mancando di rispetto all’amica della sua consorte<br />

disgraziata. Invero, la tentazione di un approccio carnale si<br />

era fatta strada alcune volte nel pensiero dell’uomo, se non altro<br />

perché la Maria era, a quell’epoca, una giovane donna forse non<br />

bella, ma forte di petto e in carne quanto basta per suscitare <strong>il</strong> normale<br />

desiderio di un maschio. E poi, quella branda messa di fortuna<br />

nel passaggio del corridoio dava a Delmo l’impressione di<br />

una promiscuità tentatrice, oltre che una sensazione di provvisorietà<br />

e sciatteria che non gli garbava minimamente, tanto più che<br />

la permanenza della donna era così inusuale da suscitare bisbigli<br />

e chiacchiere in paese.<br />

Considerato questo, dopo aver sorseggiato l’ultima tazzina di caffè<br />

prima di uscire, neanche avesse dimenticato l’orologio o la paletta,<br />

una mattina Delmo richiuse l’uscio che aveva appena aperto<br />

per scendere tra i binari e tornò sui suoi passi, nella cucina dove<br />

la Maria stava finendo di vestire Leone, e come se le stesse proponendo<br />

una gita al lago o una passeggiata per un gelato si rivolse<br />

alla donna:<br />

«Credo sarebbe buona cosa sposarci» le disse.<br />

La Maria non si fermò neppure a guardarlo, continuando ad armeggiare<br />

attorno ai calzoni del bimbo ritto su una sedia, in attesa<br />

di indossare i vestiti.<br />

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«Se lo ritenete opportuno...» rispose quasi sottovoce, voltandosi<br />

appena verso l’acquaio per celare un leggero rossore che le stava<br />

salendo alle guance.<br />

Delmo tolse l’orologio dal taschino come per controllare la puntualità<br />

di un treno in arrivo.<br />

«Non appena riparte <strong>il</strong> merci delle nove, faccio un salto al Castiglione<br />

a mettere a posto le cose con vostro padre» le disse.<br />

La Maria annuì col capo un paio di volte, mentre abbottonava la<br />

camicia a Leone e poi, quando già Delmo era sulla porta per uscire,<br />

gli disse dietro, a voce alta:<br />

«Salutatemelo, mi raccomando.»<br />

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