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tempo libero<br />
30<br />
al cinema<br />
Maurizio Tibaldi,<br />
vice-responsabile <strong>AC</strong>R<br />
“PRANZo DI FERRAGoSTo”<br />
dedicato agli adultissimi<br />
Affidate (appioppate?) al titubante Gianni<br />
dai rispettivi figli in partenza per il ponte<br />
di Ferragosto, quattro anziane signore<br />
(Valeria, Marina, Maria e Grazia) sono<br />
costrette ad un paio di giorni di convivenza, in un<br />
appartamento qualsiasi al quarto piano di un palazzone<br />
qualsiasi nella canicola romana di metà<br />
agosto. Da questa situazione di straordinaria ordinarietà<br />
Gianni De Gregorio trae “Pranzo di Ferragosto”:<br />
un film corale curioso, molto divertente,<br />
ironico, e amaro, che non può lasciare indifferenti.<br />
Un vero e proprio ritratto della terza età oggi,<br />
raccontata dal punto di vista di due generazioni<br />
- madri e figli – anagraficamente vicine, eppure<br />
apparentemente incapaci di comunicare.<br />
Indimenticabili le quattro protagoniste (tutte<br />
attrici non professioniste e alla loro prima apparizione<br />
sullo schermo, ma capaci di una spontaneità<br />
sorprendente!), alle quali sono affidati ruoli diversi<br />
tra loro, e rappresentativi, a ben vedere, di quelle<br />
che il regista individua come le quattro principali<br />
caratteristiche della vecchiaia.<br />
La inguaribile necessità di sapersi ancora dare<br />
un tono, impersonata dalla singolare madre di<br />
Gianni, Donna Valeria.<br />
La voglia di sfuggire alle ossessive attenzioni<br />
di chi ci sta accanto e sentirsi ancora autonomi e<br />
perfettamente in grado di fare ciò che si desidera,<br />
rappresentata dalla fuga notturna della signora<br />
Marina.<br />
La fatica di dare retta alle mille raccomandazioni<br />
di figli troppo apprensivi, e la capacità, allo<br />
stesso tempo, di leggere in questa insistenza<br />
un’autentica dimostrazione d’affetto: è il<br />
caso della povera Grazia, costretta ad abbuffarsi<br />
notte tempo della deliziosa pasta al<br />
forno – “un veleno” per lei, a detta del figlio<br />
medico, per via della sua debole digestione<br />
- di zia Maria.<br />
La virtù di saper lasciare che le cose vadano<br />
come devono andare, senza prendersela<br />
troppo: la dote principale di zia Maria.<br />
Si scorge, in fondo, un tratto che accomuna<br />
questi quattro caratteri: una<br />
saggezza spontanea (e per certi versi<br />
inconsapevole) maturata per lo più da<br />
autodidatti - ma non per questo meno capace di<br />
scendere in profondità – che stempera e riconduce<br />
alla sua naturale dimensione ogni difficoltà.<br />
Ma la trappola è dietro l’angolo: tra continue lamentele,<br />
medicine, cibi vietati, verdure lesse, goffa<br />
apprensività dei figli arriva la sera della vigilia di<br />
Ferragosto, e si rischia di abbandonarsi alla malinconia<br />
e ai ricordi, con riflessioni come quella di<br />
Grazia, che confida a Gianni “Mi piace ricordare<br />
[…] i momenti dell’infanzia, perché la vecchiaia ti<br />
offre poco, pochino. E invece vai, giri, negli anni,<br />
ritorni indietro. Mi piace tanto ricordare”.<br />
Dopo poco però sorge il sole, accecante, ad<br />
illuminare una bella giornata di metà agosto, ed<br />
improvvisamente qualcosa cambia: un Ferragosto<br />
qualsiasi diventa per queste quattro donne il momento<br />
decisivo, nel quale ritrovare qualcosa di sé<br />
e combattere la rassegnazione. Allora si imbandisce<br />
la tavola con la tovaglia migliore e tante succulente<br />
portate, per un pranzo di Ferragosto che è<br />
molto più di un semplice pasto.<br />
E gli altri? I figli? Chiederete voi. Beh, non c’è<br />
molto da dire, loro sì sono prevedibili e stereotipati,<br />
dando la netta impressione di non conoscerle<br />
affatto, forse semplicemente perché incapaci<br />
di pensarle “alla pari”, preoccupandosi soltanto<br />
di prendersi cura di loro. E così rimangono sullo<br />
sfondo, colmi di buona fede e perplessità, ed il fatto<br />
che il punto di vista scelto per il pubblico da De<br />
Gregorio sia quello di Gianni – il vero “pesce fuor<br />
d’acqua” in questa situazione – non è un caso.<br />
Non ci sono, peraltro, fronzoli cinematografici<br />
ad aiutarci, inquadrature ardite, situazioni ambigue,<br />
siparietti comici o personaggi sopra le righe<br />
(quelli da cinepanettone) a distrarci, o giustificarci.<br />
Lo stile è semplice, fatto di poche ampie inquadrature<br />
che lasciano spazio alla splendida gestualità<br />
dei personaggi, e riproducono con totale realismo<br />
il lento scorrere della quotidianità.<br />
Vi domanderete, chi uscirà vincitore da questo<br />
confronto fra generazioni? L’amara risata di Gianni<br />
nell’ultima scena parla da sé. Il protagonista, insieme<br />
agli spettatori, percepisce chiaramente la<br />
propria inadeguatezza ed incapacità di capire, ma<br />
a quanto pare non è dato sapere, né a lui né a noi,<br />
la ragione precisa. W gli adultissimi!<br />
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