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Il Treno 8017 Una Tragedia Dimenticata Balvano, 3 ... - Vesuvioweb

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G. DF. - S. A. per www.vesuvioweb.com<br />

<strong>Il</strong> <strong>Treno</strong> <strong>8017</strong><br />

<strong>Una</strong> <strong>Tragedia</strong> <strong>Dimenticata</strong><br />

<strong>Balvano</strong>, 3 marzo 1944<br />

02 - <strong>Il</strong> Disastro dell’<strong>8017</strong><br />

Salvatore Argenziano<br />

S. Argenziano. <strong>Balvano</strong> 1943. 02-<strong>Il</strong> Disastro dell’<strong>8017</strong> 1


G. DF. - S. A. per www.vesuvioweb.com<br />

IL DISASTRO DELL'<strong>8017</strong><br />

di Giulio Frisioli<br />

Articoli di Giulio Frisoli, pubblicati su "L'Europeo",<br />

11 marzo 1956, pagine 12-15;<br />

18 marzo 1956, pagine 52-55;<br />

25 marzo 1956, pagine 37-41.<br />

Fu la più grande catastrofe ferroviaria del mondo. Pochi sanno che accadde in<br />

Italia dodici anni fa<br />

COMINCIA LA RICOSTRUZIONE DI UNA CATASTROFE IGNOTA<br />

<strong>Il</strong> ferroviere dice: «Accadde là sotto» <strong>Balvano</strong>. Alle 0,50 del 3 marzo 1944 un<br />

treno merci, dopo aver sostato trentotto minuti a <strong>Balvano</strong>, si inoltrò lentamente nella<br />

galleria delle Armi di là dalla quale a sette chilometri c'è la stazione di Bella-Muro.<br />

Doveva percorrere la distanza in venti minuti. Non arrivò: 521 persone morirono<br />

asfissiate sotto la galleria. <strong>Il</strong> manovale Angelo Caponegro, in servizio a <strong>Balvano</strong> nel<br />

'44, indica l'ingresso della galleria.<br />

S. Argenziano. <strong>Balvano</strong> 1943. 02-<strong>Il</strong> Disastro dell’<strong>8017</strong> 2


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Prima puntata - 11 marzo 1956, pagine<br />

12-15<br />

IL CAPOSTAZIONE DÀ IL VIA AL<br />

LUGUBRE <strong>8017</strong><br />

Si era in guerra. Sulla linea Battipaglia-<br />

Potenza un solo treno passeggeri alla<br />

settimana. Ai borsari neri ne occorrevano<br />

molti: quindi salivano sui «merci». Autorità<br />

e ferrovieri erano costretti a chiudere gli<br />

occhi.<br />

All'una circa della notte fra il 2 e il 3<br />

marzo del 1944, un treno merci in servizio<br />

sulla linea Battipaglia-Potenza entrò in una<br />

galleria, e non riuscì a percorrerla. <strong>Il</strong><br />

lunghissimo convoglio, composto di 47<br />

carri trainati da due locomotive del tipo<br />

476 di alta montagna, una delle quali era<br />

stata aggiunta alla stazione di Romagnano,<br />

a metà strada circa fra Eboli e Potenza,<br />

dato che il peso del treno appariva<br />

eccessivo (470 tonnellate), era giunto alla<br />

stazione di <strong>Balvano</strong>-Ricigliano alle 0,12.<br />

Qui aveva sostato per trentotto minuti.<br />

Alle 0,50, il capostazione Vincenzo<br />

Maglio dette il segnale di partenza. <strong>Il</strong><br />

merci, che era contrassegnato dal numero<br />

convenzionale <strong>8017</strong>, si avviò lentamente.<br />

La stazione di <strong>Balvano</strong> dista da Potenza 39<br />

chilometri; la stazione immediatamente<br />

seguente, quella di Bella-Muro, 32; fra<br />

<strong>Balvano</strong> e Bella-Muro la distanza è quindi<br />

di soli sette chilometri, che un treno, per<br />

quanto vada lentamente, non dovrebbe<br />

percorrere in più di venti minuti.<br />

SOLO UN GIORNALE PARLÒ<br />

DELLA TRAGEDIA, IN POCHE<br />

RIGHE<br />

<strong>Il</strong> merci <strong>8017</strong> non riuscì a percorrere<br />

questo brevissimo tratto né in venti minuti<br />

né in un'ora; la coincidenza di due fattori (il<br />

primo, quello che esso era sovraccarico, il<br />

secondo, che il carbone bruciato dalle<br />

locomotive non era di buona qualità)<br />

concorse a farlo fermare, circa trecento<br />

metri dopo che esso aveva imboccato la<br />

galleria detta «delle Armi». Quasi tutti<br />

coloro che si trovavano sul convoglio<br />

morirono per asfissia: se si pensa al poco<br />

personale che di solito si trova sui treni<br />

merci, si potrebbe dedurne che persero la<br />

vita nel drammatico incidente solo alcuni<br />

individui. Se le cose stessero così, queste<br />

rievocazione del disastro di <strong>Balvano</strong> non<br />

avrebbe ragione di essere.<br />

Ma le cose stavano, invece, in tutt'altra<br />

maniera: perché a bordo del merci <strong>8017</strong><br />

avevano preso abusivamente posto circa<br />

seicento passeggeri, dei quali 521<br />

compirono il quel treno l'estremo viaggio<br />

della loto vita, un viaggio la cui stazione<br />

d'arrivo aveva il nome «Morte».<br />

Quella di <strong>Balvano</strong> fu una tragedia<br />

allucinante e silenziosa; pur costituendo la<br />

più grave sciagura ferroviaria mai<br />

verificatasi nel mondo, la sua eco non<br />

giunse quasi all'orecchio del grosso<br />

pubblico; o, diremo meglio, vi giunse<br />

attenuata, tanto da non suscitare nessun<br />

moto sentimentale. Solo un giornale, il<br />

quotidiano napoletano Risorgimento,<br />

l'unico autorizzato dalle autorità alleate a<br />

vedere la luce, accennò vagamente al fatto,<br />

il 7 marzo del 1944, in poche righe della<br />

sua cronaca regionale, senza specificare né<br />

la località nella quale la tragedia era<br />

avvenuta né il numero delle vittime.<br />

La censura, in quel periodo, ostacolava il<br />

lavoro dei giornalisti; anche quando le cose<br />

tornarono normali, nessuno, per molto<br />

S. Argenziano. <strong>Balvano</strong> 1943. 02-<strong>Il</strong> Disastro dell’<strong>8017</strong> 3


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tempo, pensò di rievocare quel tragico<br />

accaduto.<br />

Fu solo nel 1951 che due giornalisti<br />

napoletani, i quali svolgevano quella forma<br />

di attività tipica di quei pubblicisti che<br />

nelle nazioni anglosassoni vengono definiti<br />

«free lance writers», vale a dire scrittori<br />

indipendenti, pubblicarono sulle catene di<br />

quotidiani italiani ai quali collaboravano un<br />

articolo sul disastro di <strong>Balvano</strong>, argomento<br />

che venne ripreso da alcuni settimanali. Ma<br />

anche stavolta i fatti furono narrati<br />

frettolosamente, senza entrare nei<br />

particolari, e quindi molti aspetti del<br />

tristissimo avvenimento rimasero oscuri.<br />

Che cosa accadde con precisione nella<br />

gallerie delle Armi? A chi doveva essere<br />

fatta risalire la responsabilità dell'accaduto?<br />

L'Europeo si è proposto di rispondere a<br />

questi interrogativi, al secondo dei quali, lo<br />

diciamo subito, non è possibile dare una<br />

risposta precisa, perché l'ingarbugliatissima<br />

vicenda giudiziaria che prese le mosse dalla<br />

tragedia di <strong>Balvano</strong> non giunse alla sua<br />

fine.<br />

Prima di inoltrarci nella cronache del<br />

disastro, sarà bene ricordare un po' ai<br />

lettori, specie a quelli che vivevano nel<br />

1944 al di sopra della Linea gotica, quali<br />

erano le condizioni in cui si viaggiava<br />

nell'Italia meridionale. Le comunicazioni<br />

erano ovviamente mal servite, dato lo stato<br />

di guerra. I treni partivano, ma non sempre,<br />

in orario, e giungevano sempre con un<br />

elevato ritardo alle stazioni terminali.<br />

Quanto alla linea Battipaglia-Potenza, che<br />

tuttora non gode della trazione elettrica, e<br />

in molti tratti è ad un solo binario, essa era<br />

stata dichiarata di interesse militare, e il<br />

Governo Militare Alleato la gestiva in<br />

proprio, con l'aiuto del personale italiano<br />

delle Ferrovie dello Stato, consentendo che<br />

su di essa transitasse un solo treno la<br />

settimana per passeggeri.<br />

A questo punto, è necessario ricordare<br />

quel tipico fenomeno del tempo di guerra<br />

che fu la borsa nera. Fosse esercitata su<br />

vasta o su piccola scala, la borsa nera<br />

metteva in condizione gli abitanti delle<br />

grandi città di rifornirsi di quei viveri dei<br />

quali si avvertì la deficienza negli ultimi<br />

anni di guerra. Napoli specialmente, la<br />

grande città che soffrì, dal 1942 in poi, una<br />

grande fame, era un mercato che si<br />

presentava, per così dire, stimolante nei<br />

riguardi di chi se la sentiva di sottoporsi<br />

alla corvée di recarsi a reperire dove fosse<br />

possibile generi alimentari, per poi<br />

rivenderli con un certo margine di<br />

guadagno. Migliaia di individui dei paesi<br />

circostanti, sui quali si abbatté la disgrazia<br />

della disoccupazione, si orientarono quindi<br />

verso la borsa nera; poco per volta, essi<br />

giunsero alla convinzione, esatta, che la<br />

località in cui si sarebbero potuti più<br />

facilmente fornire di quei generi che<br />

mancavano a Napoli, come la carne, l'olio,<br />

il grano, il tabacco, e perfino la verdura,<br />

oltre che i cereali e i legumi, era Potenza, il<br />

capoluogo di una provincia la cui economia<br />

si fonda proprio sull'agricoltura e<br />

sull'allevamento del bestiame.<br />

S. Argenziano. <strong>Balvano</strong> 1943. 02-<strong>Il</strong> Disastro dell’<strong>8017</strong> 4


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I RIFORNIMENTI PER<br />

IL MERCATO NERO DI NAPOLI<br />

Potenza dista da Napoli solo 166<br />

chilometri; partendo la sera da Napoli era<br />

possibile giungervi all'alba, fare i propri<br />

acquisti, e tornare nella capitale della<br />

Campania nel pieno pomeriggio. <strong>Il</strong> piano di<br />

lavoro dei borsaneristi era semplice, se pur<br />

faticoso; ma, a stroncare la loro attività,<br />

venne la requisizione della linea ferroviaria<br />

Napoli-Potenza, effettuata dal Governo<br />

Militare Alleato subito dopo l'ingresso a<br />

Napoli delle truppe della 5ª armata<br />

americana, che avvenne alla fine del<br />

settembre del 1943. Come abbiamo detto,<br />

da allora fu autorizzato il transito di un solo<br />

treno settimanale per passeggeri, il<br />

mercoledì. Invece, i borsaneristi, specie<br />

quelli la cui attività potrebbe essere<br />

paragonata a quella dei commercianti al<br />

dettaglio, erano premuti dalla necessità di<br />

effettuare viaggi continui, e non potevano<br />

non servirsi delle ferrovie, data la<br />

requisizione di tutti i mezzi di trasporto<br />

azionati a benzina o anche a metano.<br />

Se davvero la militarizzazione della linea<br />

Napoli-Potenza avesse inferto un colpo<br />

mortale all'attività dei piccoli speculatori,<br />

non staremmo qui ora a stendere questa<br />

cronaca di un avvenimento di dodici anni<br />

fa; perché il merci <strong>8017</strong> non si sarebbe<br />

fermato nella galleria delle Armi, la cui<br />

pendenza, che non supera il 13 per mille,<br />

esso sarebbe riuscito a superare, tenuto<br />

conto del suo peso e della trazione<br />

effettuata da due locomotive. Invece, i<br />

borsaneristi non rinunziarono al loro<br />

lavoro; facendo giusto affidamento su certe<br />

qualità tipicamente meridionali, essi fecero<br />

in modo da adattare ai loro scopi la<br />

situazione, poiché non potevano adattarsi<br />

essi stessi alla situazione che l'ordinanza<br />

del GMA era venuta a creare; e nacque così<br />

una specie di «modus vivendi» sul quale,<br />

purtroppo, gli Alleati chiusero<br />

benevolmente gli occhi. In sostanza,<br />

avvenne questo: i borsaneristi trovarono<br />

rapidamente un accordo con il personale<br />

italiano di scorta ai treni merci che da<br />

Napoli si recavano ininterrottamente a<br />

Potenza; i conduttori dei treni, un po' per<br />

buon cuore, e qualcuno anche per speculare<br />

sulla situazione, consentivano che nei<br />

vagoni dei convogli, quando non erano<br />

stipati di merci, prendessero posto<br />

clandestinamente dei viaggiatori; quanto al<br />

personale alleato di scorta al treno, aveva<br />

capito la situazione, e fingeva di non<br />

rilevarne l'irregolarità.<br />

S. Argenziano. <strong>Balvano</strong> 1943. 02-<strong>Il</strong> Disastro dell’<strong>8017</strong> 5


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ALMENO 320 QUINTALI<br />

DI VIAGGIATORI ABUSIVI<br />

Questa specie di compromesso,<br />

comprensibile sul piano umano, funzionò a<br />

perfezione fino all'alba del 3 marzo del<br />

1944, fino al momento in cui, cioè, il merci<br />

<strong>8017</strong> si fermò nella galleria delle Armi. Nei<br />

carri scoperti, in quelli coperti, e perfino<br />

sugli imperiali di questi ultimi, avevano<br />

preso posto circa seicento persone, che<br />

viaggiavano certamente molto peggio dei<br />

quaranta militari che dovevano per<br />

regolamento, una volta, stiparsi nello<br />

spazio di un vagone. Un facile calcolo fa<br />

stimare il peso di quei seicento viaggiatori<br />

irregolari sui trecentoventi quintali<br />

almeno.<br />

Se si tiene conto del carbone adoperato,<br />

che veniva fornito dagli Alleati, e<br />

proveniva dalla Jugoslavia, ed era,<br />

notoriamente, dotato di un insufficiente<br />

potere calorifico, mentre abbondavano in<br />

esso le scorie che, bruciando nelle caldaie,<br />

si trasformavano in gas di scarico, costituiti<br />

per lo più da monossido di carbonio, un<br />

terribile veleno ad azione rapida;<br />

se si tiene conto del fatto che, con questo<br />

carbone, le due locomotive avrebbero<br />

potuto trainare, in salita, non più di<br />

cinquecento tonnellate;<br />

se si ricorda che il peso del merci <strong>8017</strong><br />

era, a vuoto, di 479 tonnellate, basterà<br />

sommare a queste tonnellate le 32 del peso<br />

dei passeggeri per notare come, sia pure di<br />

poco, il limite si sicurezza era stato<br />

superato.<br />

Naturalmente, queste considerazioni non<br />

furono fatte a Napoli, la sera del 2 marzo,<br />

prima che il treno partisse; se il<br />

capostazione che gli dette via libera si fosse<br />

preso la briga, di fronte al brulicare, nei<br />

carri, di persone che egli non poté fare a<br />

meno di vedere, di ragionare un po' sulla<br />

faccenda, il merci <strong>8017</strong> non sarebbe partito<br />

se non dopo che ne fossero scesi coloro i<br />

quali vi erano abusivamente saliti. Ma<br />

quello dei treni merci diretti in Lucania<br />

stracarichi di clandestini era ormai uno<br />

spettacolo consueto, per i ferrovieri<br />

napoletani. Perciò, dopo aver<br />

superficialmente controllato il «foglio di<br />

viaggio» del convoglio, sul quale era detto<br />

che il merci <strong>8017</strong> era destinato a Catanzaro,<br />

dove avrebbe dovuto caricare legname che<br />

«serviva per esigenze determinate dalla<br />

guerra e di competenza del Governo<br />

Militare Alleato» , quel capostazione si<br />

assicurò che il personale di scorta al treno<br />

avesse preso posto sui vagoni; poi agitò la<br />

mano verso i macchinisti, che, sporgendosi<br />

dal finestrino, attendevano il suo segnale,<br />

emise i regolamentari tre trilli dal suo<br />

fischietto. Non sapeva che, espirando con<br />

una certa violenza una minima quantità di<br />

aria dai suoi polmoni, avrebbe avviati 521<br />

persone verso il posto dove i loro polmoni<br />

sarebbero stati rapidamente saturati dal<br />

monossido di carbonio, e ne sarebbero<br />

rimasti paralizzati.<br />

S. Argenziano. <strong>Balvano</strong> 1943. 02-<strong>Il</strong> Disastro dell’<strong>8017</strong> 6


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Seconda puntata -<br />

del suo berretto. Quella notte, i due non<br />

18 marzo 1956, pagine 52-55<br />

avevano nessun motivo particolare per<br />

OGNI VIAGGIATORE SEDEVA<br />

interessarsi più del consueto al treno merci<br />

CADAVERE AL SUO POSTO<br />

Sotto la galleria delle Armi due<br />

locomotive emettevano fumo prodotto dalla<br />

combustione di cattivo carbone jugoslavo.<br />

<strong>Il</strong> treno <strong>8017</strong> si era appena fermato per<br />

insufficienze di calore. Un terribile errore:<br />

bisognava fare subito marcia indietro.<br />

Macchinisti e fuochisti asfissati per primi.<br />

Cinquecentoventuno persone passarono nel<br />

silenzio dalla vita alla morte<br />

I passeggeri «abusivi» del «merci» <strong>8017</strong><br />

erano quasi tutti addormentati quando il<br />

convoglio si arrestò sotto la galleria. Le<br />

loro salme furono allineate sul marciapiede<br />

della stazione, a un centinaio di metri dalla<br />

galleria.<br />

L'identificazione delle vittime fu iniziato<br />

subito. Non fu un'impresa facile. Molte di<br />

esse, per lo più piccoli trafficanti in borsa<br />

nera, erano prive di documenti.<br />

<strong>Il</strong> treno fu rimorchiato all'aperto la<br />

mattina del 3 marzo 1944.<br />

Angelo Caponegro è un manovale delle<br />

Ferrovie dello Stato; veste quasi sempre in<br />

borghese; un berretto col fregio che<br />

rappresenta due ali d'oro poggiate su un<br />

cerchio nel quale le lettere F e S sono<br />

ricamate l'una sull'altra indica la sua<br />

appartenenza alle Ferrovie; la visiera copre<br />

di una strana ombra i suoi occhi piccoli e<br />

acuti, sotto i quali un gran naso spicca sul<br />

volto onesto dell'uomo. Guarda lontano; si<br />

vede che, con la mente, si sforza di tornare<br />

indietro negli anni, che tenta di mettere a<br />

fuoco certi ricordi che vanno ormai, col<br />

trascorrere del tempo, diventando labili,<br />

imprecisi.<br />

La notte fra il 2 e il 3 marzo 1944 era di<br />

servizio alla stazione di <strong>Balvano</strong>-<br />

Ricigliano, insieme all'operaio di prima<br />

classe Vincenzo Biondi, il cui grado è<br />

rappresentato da una striscetta verticale<br />

d'oro che si trova ai due lati del sottogola<br />

<strong>8017</strong>, giunto da Napoli alle 0,12. Per i<br />

ferrovieri, un treno non rappresenta,<br />

naturalmente, un fatto umano; esso è solo<br />

un convoglio, contraddistinto da un numero<br />

convenzionale, dalla sua qualifica di treno<br />

rapido o diretto o accelerato o merci, dal<br />

numero dei suoi vagoni, dall'orario di<br />

arrivo e di partenza. Nessun treno attrae in<br />

modo particolare la loro attenzione, e a<br />

questa regola non sfuggì il merci <strong>8017</strong>.<br />

<strong>Il</strong> fatto che fosse gremito di passeggeri<br />

abusivi faceva parte anch'esso di una<br />

consuetudine che durava da più di un anno.<br />

Quando esso giunse alla stazione di<br />

<strong>Balvano</strong>, il suo carico umano era<br />

profondamente addormentato, in gran<br />

maggioranza. Adesso, può riuscirci difficile<br />

capire come si possa sprofondare nel sonno<br />

stando ammucchiati nei vagoni di un merci,<br />

nell'interno dei quali non v'è che il<br />

pavimento per adagiarvisi. Ma dodici anni<br />

fa la cosa era normale, o quasi,; ognuno di<br />

noi ricorderà di essersi addormentato in un<br />

rifugio, quando un allarme aereo si<br />

protraeva per lungo tempo: un fatto che<br />

oggi ci sembra impossibile.<br />

Nel treno merci che giunse, quella tale<br />

notte, a <strong>Balvano</strong>, tutti dormivano, meno i<br />

macchinisti delle due locomotive, i due<br />

fuochisti, e il frenatore del vagone di coda,<br />

Michele Palo. In questo fatto, è un altro<br />

segno della strana fatalità che si accanì sul<br />

lunghissimo convoglio. Se esso avesse<br />

dovuto percorrere di giorno i trentanove<br />

chilometri che separano <strong>Balvano</strong> da<br />

Potenza, senza dubbio il disastro non<br />

avrebbe assunto proporzioni tali da<br />

renderlo assolutamente eccezionale nella<br />

storia di tutte le ferrovie del mondo. In tal<br />

caso, quasi tutti avrebbero avvertito l'acre<br />

odore del monossido di carbonio che si<br />

sprigionava dai fumaioli delle due<br />

S. Argenziano. <strong>Balvano</strong> 1943. 02-<strong>Il</strong> Disastro dell’<strong>8017</strong> 7


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locomotive che trainavano i quarantasette<br />

carri; e avrebbero potuto tentare di<br />

raggiungere lo sbocco della galleria, che<br />

non distava più di duecento metri (quando<br />

il merci <strong>8017</strong> si fermò per sempre) dalla<br />

locomotiva di testa.<br />

Invece, i passeggeri del treno, che<br />

avevano abusivamente occupato i vagoni,<br />

dormivano della grossa. Quando, con il<br />

tipico sferragliare dei freni, l'<strong>8017</strong> si fermò,<br />

dodici minuti dopo la mezzanotte, nella<br />

stazione di <strong>Balvano</strong>, il tenebroso silenzio<br />

della campagna circostante, punteggiata da<br />

colline sulla cui vetta si poteva distinguere,<br />

grigiastra nel lividore della notte, la neve<br />

dello scorso inverno che ancora non si era<br />

sciolta, non fu rotto dunque dal<br />

caratteristico vocio che contraddistingue i<br />

treni che viaggiano di giorno, nei quali i<br />

passeggeri chiedono che ora è, a che ora si<br />

arriverà; e molti di essi approfittano della<br />

fermata per scendere a procurarsi<br />

dell'acqua, o per sgranchire le gambe.<br />

Ruppero quel silenzio di morte (già una<br />

specie di sintomo, di premonizione) solo le<br />

voci dei macchinisti, del capostazione, del<br />

manovale e dell'operaio, che si avvertivano<br />

appena, sullo sfondo del collettivo, pesante<br />

respiro della gente che dormiva nel treno;<br />

uno strano, grosso rumore, anch'esso<br />

silenzioso paradossalmente.<br />

<strong>Il</strong> ricordo di questo singolare rumore fa<br />

rabbrividire ancora oggi Angelo Caponegro<br />

e Vincenzo Biondi; perché esso assunse,<br />

dopo la sciagura, il lugubre significato di<br />

una introduzione alla morte, una specie di<br />

drammatica ouverture. A questo non<br />

pensarono i due allora, né lo pensò il<br />

capostazione Vincenzo Maglio, che sbrigò<br />

la pratica del merci <strong>8017</strong>, e dette alle 0,50<br />

il segnale di via libera verso Potenza, dove<br />

il lunghissimo convoglio non sarebbe mai<br />

giunto.<br />

A questo punto, prima che il treno si<br />

avvii, sarà bene vedere come esso è<br />

composto con esattezza, chi lo aveva fatto<br />

comporre, e perché; tutte cose che, dato<br />

l'allora vigente regime di occupazione<br />

militare da parte degli Alleati, non erano a<br />

conoscenza nemmeno di tutti i ferrovieri<br />

italiani, e si appresero solo in seguito, nel<br />

corso del procedimento giudiziario che<br />

venne provocato dai parenti delle 521<br />

vittime.<br />

Come gli altri treni circolanti sulla linea<br />

Battipaglia-Potenza, l'<strong>8017</strong> veniva<br />

effettuato su ordini delle autorità alleate<br />

che specificavano il numero dei carri che<br />

dovevano comporlo. Le Ferrovie italiane,<br />

del materiale a loro disposizione,<br />

sceglievano quello adatto a quel percorso e<br />

al tipo di trasporto che doveva essere<br />

effettuato. L'<strong>8017</strong> del giorno 2 marzo<br />

venne costituito con 47 carri e due<br />

locomotive in testa, del tipo a quattro assi<br />

accoppiati. Dai calcoli effettuati prima di<br />

comporre il treno, venne rilevato, come<br />

dicemmo nella scorsa puntata, che esso<br />

poteva «tirare», tenuto conto del carbone<br />

scadente, che veniva fornito dalle autorità<br />

alleate, 600 tonnellate e non più (e abbiamo<br />

anche visto che questo margine di sicurezza<br />

fu superato, se pure di poco, dato il peso<br />

complessivo dei seicento viaggiatori<br />

abusivi). <strong>Il</strong> carbone era di provenienza<br />

iugoslava. Esso non sviluppava un calore<br />

sufficiente per il tipo di locomotive di cui<br />

disponevano le Ferrovie italiane; ed<br />

emanava dalla combustione gas tossici che<br />

spesso stordivano i macchinisti.<br />

S. Argenziano. <strong>Balvano</strong> 1943. 02-<strong>Il</strong> Disastro dell’<strong>8017</strong> 8


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IL TRAFFICO SULLE LINEE<br />

REQUISITE DAGLI ALLEATI<br />

Questo inconveniente fu fatto rilevare<br />

alcune volte agli Alleati dal capo del<br />

deposito del personale viaggiante di<br />

Salerno, Francesco Mittiga, come egli<br />

stesso dichiarò in una deposizione resa il<br />

25 maggio 1948; ma, per esprimerci con le<br />

sue parole, «senza nulla ottenere, perché gli<br />

Alleati si rifiutarono di prendere qualsiasi<br />

provvedimento». Lo stesso Mittiga ci<br />

fornisce preziose indicazioni sul come si<br />

svolgeva, nel 1944, il traffico sulle linee<br />

requisite dagli Alleati. Formalmente, la<br />

direzione del movimento nelle stazioni era<br />

tenuta da funzionari italiani; in realtà, le<br />

disposizioni erano impartite dagli Alleati,<br />

che stabilivano la composizione dei treni e<br />

l'orario di partenza; per cui l'attività dei<br />

capistazione era solamente esecutiva,<br />

diretta a rendere possibile l'adempimento di<br />

quanto veniva stabilito dagli Alleati, i quali<br />

si servivano di un loro personale tecnico<br />

composto di capistazione, capitreno e<br />

deviatori, che impartivano gli ordini. <strong>Il</strong><br />

personale viaggiante dei treni era, però,<br />

italiano.<br />

<strong>Il</strong> merci <strong>8017</strong> del 2 marzo 1944 venne<br />

costituito in tal modo. Esso avrebbe dovuto<br />

viaggiare vuoto: solo un ufficiale italiano e<br />

sette soldati, regolarmente autorizzati dal<br />

Comando alleato, avrebbero dovuto<br />

prendervi posto.<br />

Ma abbiamo visto invece che il<br />

convoglio era gremito di passeggeri<br />

abusivi, per lo più piccoli borsaneristi, dei<br />

quali il personale italiano e gli stessi Alleati<br />

fingevano di non accorgersi, essendosi<br />

compenetrati dei bisogni di tanta povera<br />

gente per la quale era necessario, per i loro<br />

piccoli traffici, raggiungere quelle località<br />

dove potevano rifornirsi di generi richiesti<br />

in città.<br />

Formalmente vuoto, in realtà pieno<br />

zeppo di gente, il merci <strong>8017</strong>, scortato dal<br />

regolamentare «foglio veicoli» che gli<br />

Alleati redigevano in duplice copia, partì<br />

da Napoli diretto a Potenza; e di qui, come<br />

già dicemmo, doveva proseguire per<br />

Catanzaro a caricarvi del legname. Pesava<br />

più delle seicento tonnellate che le<br />

locomotive potevano in teoria trainare.<br />

Giunse a <strong>Balvano</strong> poco dopo mezzanotte, e<br />

ne ripartì dieci minuti prima dell'una, con il<br />

suo carico di passeggeri (tutti abusivi,<br />

meno l'ufficiale e i sette soldati autorizzati)<br />

che dormivano.<br />

S. Argenziano. <strong>Balvano</strong> 1943. 02-<strong>Il</strong> Disastro dell’<strong>8017</strong> 9


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LE RUOTE GIRARONO A VUOTO<br />

SUI BINARI UMIDI<br />

<strong>Il</strong> capostazione Vincenzo Maglio,<br />

l'operaio Vincenzo Biondi e il manovale<br />

Angelo Caponegro lo videro avviarsi<br />

lentamente, mentre dai fumaioli delle<br />

locomotive si levavano alti bioccoli di<br />

candido fumo, e imboccare la prima<br />

galleria che si trova sul tratto da <strong>Balvano</strong> a<br />

Bella Muro, che dista non più di duecento<br />

metri dalla stazione di <strong>Balvano</strong>. <strong>Il</strong> buio<br />

della galleria lo inghiottì; per un po', si vide<br />

brillare il fanalino di coda, sito all'esterno<br />

della garitta dove si trovava il frenatore<br />

Michele Palo; poi, anche quel lume sparì<br />

dietro la prima curva. Nella stazione di<br />

<strong>Balvano</strong>, il telegrafista dette al suo collega<br />

di Bella Muro il segnale di «partito».<br />

Subito dopo <strong>Balvano</strong>, il terreno<br />

incomincia a salire. <strong>Il</strong> merci <strong>8017</strong> superò<br />

facilmente la prima, breve galleria; anche<br />

la seconda fu attraversata senza che,<br />

evidentemente, i macchinisti si rendessero<br />

conto di qualche difficoltà. <strong>Il</strong> convoglio<br />

procedeva lentamente, in un paesaggio<br />

orrido, fatto di rocce che assumono strane<br />

forme per la nebbia. Dopo l'uscita dalla<br />

seconda galleria, i binari fanno una curva,<br />

su un viadotto lungo un trecento metri,<br />

prima di inoltrarsi nella galleria delle Armi,<br />

che si profila a sinistra, e il cui imbocco è<br />

contraddistinto da una S segnata sulla<br />

parete di sinistra. I macchinisti forse<br />

notarono (nessuno poté raccogliere le loro<br />

disposizioni, perché furono i primi a<br />

morire) che la velocità dell'<strong>8017</strong> non<br />

corrispondeva alla pressione delle caldaie;<br />

ma dovettero pensare di potercela fare, e<br />

proseguirono la corsa. Forse le loro<br />

supposizioni non erano del tutto errate.<br />

Nonostante il limite massimo di peso fosse<br />

stato superato, però non di molto, essi<br />

dovettero avere la netta sensazione di poter<br />

superare anche la pendenza che presenta il<br />

terreno nella galleria delle Armi, pendenza<br />

che raggiunge il 13 per mille.<br />

Ma un altro imprevisto coefficiente si<br />

coalizzò con il peso, con il sonno dei<br />

passeggeri e con la cattiva qualità del<br />

carbone, per trasformare in una lunga bara<br />

il merci. Durante tutto il giorno 2, in<br />

Lucania aveva piovuto, una di quelle<br />

fastidiose pioggerelle che scendono<br />

monotone, come costrette, da uno spesso<br />

banco di nubi basse. Alle ventidue circa<br />

aveva smesso di piovere; ma l'aria era<br />

rimasta impregnata di umidità, una umidità<br />

che era penetrata nelle gallerie fra <strong>Balvano</strong><br />

e Bella Muro, e aveva steso sui binari una<br />

specie di micidiale, viscido manto<br />

scivoloso.<br />

<strong>Il</strong> dramma avvenne rapidamente. Le<br />

locomotive avevano percorso di slancio<br />

non più di duecento metri all'interno della<br />

galleria delle Armi, quando i macchinisti si<br />

avvidero che le ruote trovandosi a dover<br />

girare proprio nel posto dove la pendenza<br />

raggiunge il suo massimo valore, non<br />

«mordevano» più i binari, e cominciavano<br />

a girare a vuoto, con una velocità sempre<br />

maggiore, mentre il convoglio non<br />

avanzava più di un metro.<br />

I due macchinisti ed i due fuochisti del<br />

merci <strong>8017</strong> del 2 marzo furono i primi a<br />

morire, lo abbiamo detto. Di fronte alla<br />

morte, un senso di pietà dovrebbe<br />

sommergere ogni altra considerazione. Ma<br />

noi stiamo facendo una rievocazione di un<br />

fatto, e la commozione non deve velarci gli<br />

occhi. È indubbio (bisogna dirlo, se pure<br />

con rammarico) che il personale di<br />

macchina commise un grave errore. Risultò<br />

dalle perizie condotto dopo il disastro, che<br />

le caldaie, quando i macchinisti ed i<br />

fuochisti si abbatterono, esanimi, sulle leve<br />

di comando, erano al massimo della loro<br />

pressione. Dal fatto si può dedurre che essi,<br />

invece di invertire immediatamente la<br />

marcia, e tentare di portare il treno<br />

S. Argenziano. <strong>Balvano</strong> 1943. 02-<strong>Il</strong> Disastro dell’<strong>8017</strong> 10


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all'aperto, manovra che avrebbe richiesto<br />

non più di tre o quattro minuti, commisero<br />

invece la grave imprudenza di aumentare la<br />

pressione delle caldaie, nella speranza di<br />

riuscire forse a scuotere il pesante<br />

convoglio dalla sua mortale inerzia. In quei<br />

tremendi attimi, essi dovettero dimenticare<br />

o trascurare il gravissimo pericolo<br />

costituito dal monossido di carbonio che si<br />

sprigionava dal carbone combusto, e la<br />

tragedia si compì, sotto il segno di una<br />

fatalità tale dal lasciare increduli, stupefatti.<br />

<strong>Il</strong> monossido di carbonio è un veleno ad<br />

azione rapida.<br />

I macchinisti ne aumentarono, certo<br />

senza volerlo, la produzione, alzando la<br />

pressione.<br />

L'ovattato fumo che usciva dai fumaioli<br />

entrò nel loro abitacolo; il veleno li prese<br />

alla gola, penetrò nei loro polmoni, li<br />

strozzò in qualche minuto. Poi la nube<br />

mortale cominciò a stendersi, come una<br />

specie di mostruoso serpente, nella galleria<br />

delle Armi, e si insinuò nei carri dove i<br />

passeggeri dormivano; qui entrò a far parte<br />

del meccanismo della loro respirazione, e li<br />

avvelenò senza scampo.<br />

S. Argenziano. <strong>Balvano</strong> 1943. 02-<strong>Il</strong> Disastro dell’<strong>8017</strong> 11


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«LÀ SONO TUTTI MORTI»<br />

RIUSCÌ A DIRE IL FRENATORE<br />

La drammaticità della tragedia è adesso<br />

acuita, ai nostri occhi, da un altro elemento:<br />

il silenzio. Un naufragio, uno scontro, un<br />

crollo, una battaglia sono rumorosi. La<br />

gente grida, impazzisce, si lamenta. Nella<br />

galleria delle Armi questo pathos che<br />

precede di solito un dramma fu del tutto<br />

assente. Nemmeno una voce commentò<br />

l'accaduto.<br />

Tutti passarono dal sonno alla morte,<br />

tutti quelli che morirono, perché non<br />

morirono tutti. L'ultimo vagone, infatti, non<br />

fu sommerso anch'esso dalla nuvola di<br />

fumo, per fortuna; non lo fu, perché rimase<br />

per metà all'aperto, come in bilico fra la<br />

vita e la morte, in parte dentro e in parte<br />

fuori della galleria.<br />

Che cosa avvenne dei suoi passeggeri,<br />

che quando si svegliarono, più tardi, quasi<br />

impazzirono per il terrore, non siamo<br />

riusciti a saperlo. Essi rientrarono nella vita<br />

di ogni giorno, con quel pesante ricordo nel<br />

cuore; poiché non esisteva ovviamente una<br />

lista di nomi che potesse metterci in<br />

condizioni di rintracciarli, non abbiamo<br />

potuto raccoglierne le testimonianze.<br />

Abbiamo tentato di metterci in contatto con<br />

chi visse, magari in uno stupefatto<br />

dormiveglia, quegli attimi in cui stavano<br />

per varcare la soglia dell'ignoto; ma<br />

inutilmente; ci deve essere, in costoro, un<br />

sentimento che deve portarli a fuggire<br />

quanto più è possibile dal ricordo di quei<br />

momenti di incubo.<br />

L'unico degli occupanti l'ultimo vagone<br />

che non poteva estraniarsi alla tragedia, per<br />

la sua funzione, fu il frenatore Michele<br />

Palo. Egli non aveva certo azionato i freni,<br />

cosa che viene effettuata quando, con una<br />

richiesta convenzionale, espressa con un<br />

fischio dai macchinisti, i frenatori vengono<br />

avvertiti della necessità di manovrare la<br />

ruota che serve a bloccare la vettura in cui<br />

si trovano.<br />

Michele Palo stava riscaldandosi,<br />

quando avvenne il disastro, con un<br />

fuocherello fatto accendendo alcuni<br />

giornali strettamente strizzati, un artifizio<br />

messo in atto di solito dai frenatori per far<br />

durare il fuoco più a lungo. Non pensava<br />

assolutamente a niente, tranne che a<br />

combattere il freddo umido della notte con<br />

quel fuocherello sul quale si era come<br />

accartocciato. Non pensò nemmeno a<br />

guardare l'orologio, quando si avvide che il<br />

treno si era fermato, e perciò non possiamo<br />

conoscere l'ora esatta in cui la tragedia<br />

ebbe inizio. Egli rimase tanto stupefatto<br />

dell'inconsueto accaduto (non si era potuto<br />

rendere conto di quello che era avvenuto<br />

nelle due locomotive) che non pensò ad<br />

altro se non a scendere per vedere che<br />

diamine era successo, perché fosse stato<br />

necessario arrestare, senza chiedere la sua<br />

opera, il treno. Si avviò, quindi, verso<br />

l'interno della galleria. Percorso che ebbe<br />

qualche metro, si sentì aggredire alla gola<br />

dall'aspro odore del monossido di carbonio.<br />

Barcollò per un attimo, sopraffatto dalla<br />

nausea e dalla tremenda rivelazione, si<br />

voltò verso l'imbocco del budello, e si mise<br />

a correre.<br />

Tornato all'aria aperta, le gambe gli si<br />

paralizzarono sotto. Rimase, così, fermo,<br />

per qualche istante, mentre una massa di<br />

confusi pensieri gli sconvolgeva la mente.<br />

<strong>Il</strong> tremendo silenzio di morte che gli era<br />

alle spalle gli parve dovesse raggiungere,<br />

implacabile, anche lui. <strong>Il</strong> pensiero della<br />

morte evocò per contrasto subito, nella sua<br />

mente, quello della vita: a <strong>Balvano</strong> era la<br />

vita, qui alla galleria delle Armi, la morte;<br />

doveva raggiungere al più presto <strong>Balvano</strong>.<br />

Michele Palo riuscì a scuotersi dal torpore<br />

che lo aveva come irrigidito. Emise un<br />

terribile grido, e si precipitò, seguendo i<br />

binari, verso <strong>Balvano</strong>.<br />

S. Argenziano. <strong>Balvano</strong> 1943. 02-<strong>Il</strong> Disastro dell’<strong>8017</strong> 12


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Nel 1944, Michele Palo era ancora<br />

giovane: dalla galleria delle Armi, non<br />

doveva percorrere, per raggiungere<br />

<strong>Balvano</strong>, più di quattro chilometri e per di<br />

più in discesa. In meno di un'ora di marcia,<br />

a buon passo, la cosa è possibile. Invece, di<br />

ore egli ne impiegò due: pure, gli parve di<br />

correre, di volare. È chiaro che il povero<br />

frenatore doveva essere tanto sconvolto,<br />

quasi privo di sensi, che credeva di correre,<br />

ed invece si trascinava. Esausto, con gli<br />

abiti a brandelli (non capì mai come avesse<br />

potuto lacerarseli), alle tre del 3 marzo<br />

1944 Michele Palo vide finalmente, uscito<br />

che fu dalla prima galleria, quella che dista<br />

un duecento metri da <strong>Balvano</strong>, le luci della<br />

stazione. Come attraverso un'ombra, i suoi<br />

occhi videro che sul binario stava, sotto<br />

pressione, una locomotiva; capì che a<br />

<strong>Balvano</strong> avevano saputo, se non proprio del<br />

disastro, qualcosa. Percorse gli ultimi metri<br />

carponi, con una stanchezza nelle membra<br />

quale mai aveva avvertito; quando giunse<br />

vicino a Vincenzo Biondi e ad Angelo<br />

Caponegro, non ebbe la forza di<br />

pronunciare una frase compiuta. Tremava,<br />

emetteva suoni sconnessi dalle labbra.<br />

«Che è successo, che è stato?» gli<br />

gridarono l'operaio e il manovale. Prima di<br />

venir meno Michele Palo riuscì a proferire:<br />

«Là, là, sono tutti morti, tutti morti». Poi,<br />

cadde sul marciapiede mentre l'eco delle<br />

sue parole giungeva all'orecchio del<br />

capostazione Vincenzo Maglio e del vice<br />

capostazione Giuseppe Colonia.<br />

S. Argenziano. <strong>Balvano</strong> 1943. 02-<strong>Il</strong> Disastro dell’<strong>8017</strong> 13


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Terza puntata - 25 marzo 1956, pagine<br />

37-41<br />

IN PUNTA DI PIEDI I FERROVIERI<br />

SI AVVICINARONO AL TRENO DEI<br />

MORTI<br />

* Nessuno si preoccupò del ritardo: in<br />

quei tempi accadeva spesso che per<br />

percorrere sette chilometri fossero<br />

necessarie più di due ore<br />

* Cosa succedeva nelle stazioni di<br />

partenza e di arrivo mentre 521 persone<br />

morivano sotto la galleria delle Armi<br />

* <strong>Il</strong> «merci» fu raggiunto alle quattro del<br />

mattino, tre ore dopo la sua partenza da<br />

<strong>Balvano</strong>. Del gas omicida non rimaneva<br />

alcuna traccia<br />

* Soltanto sull'ultimo vagone, fermo a<br />

metà fuori della galleria, qualche<br />

viaggiatore respirava ancora. <strong>Il</strong> resto del<br />

treno era immerso nel silenzio<br />

* Abbiamo potuto rintracciare due<br />

superstiti. Uno ha perso la ragione, l'altro,<br />

da allora, ha i capelli bianchi.<br />

Domenico Miele è uno dei superstiti.<br />

Deve la vita alla sciarpa di lana, che porta<br />

sempre al collo, come un portafortuna. E'<br />

un giovane: nella notte della tragedia i suoi<br />

capelli incanutirono.<br />

Che cosa accadeva nelle stazioni di<br />

<strong>Balvano</strong>-Ricigliano e di Bella-Muro mentre<br />

il merci <strong>8017</strong> era fermo sotto la galleria<br />

delle Armi, dove il monossido di carbonio<br />

sprigionato dal carbone iugoslavo stava<br />

asfissiando quasi tutti i viaggiatori che<br />

avevano preso irregolarmente posto nel<br />

convoglio?<br />

Alle 0,50 del 3 marzo del 1944, subito<br />

dopo la sua partenza, il telegrafista della<br />

stazione di <strong>Balvano</strong> trasmise a Bella-Muro<br />

il regolamentare avviso di «partito»<br />

relativo al treno <strong>8017</strong>. Esso avrebbe dovuto<br />

giungere a Bella-Muro al più tardi in una<br />

mezz'ora: non vi giunse, abbiamo già visto<br />

perché. Nonostante questo fatto, Bella-<br />

Muro non entrò in allarme; e nemmeno<br />

entrò in allarme la stazione di <strong>Balvano</strong>, che<br />

non ebbe da Bella-Muro il segnale di<br />

«giunto».<br />

Un giornale che, nel 1951, fece una<br />

breve cronaca del disastro scrisse che<br />

questo fu, in un certo senso, l'aspetto più<br />

fosco ed inspiegabile della sciagura; e<br />

asserì che il personale delle due stazioni<br />

non si preoccupò di chiedere in qualche<br />

modo notizia del «convoglio fantasma». Un<br />

fatto gravissimo, secondo quel giornale. E<br />

davvero lo sarebbe, se non ci fosse una<br />

qualche spiegazione della cosa; davvero il<br />

fatto getterebbe una luce sinistra sui<br />

ferrovieri delle due stazioni, i quali<br />

avrebbero preferito andarsene<br />

tranquillamente a riposare, senza pensare,<br />

dato il grave ritardo, alla possibilità di un<br />

disastro.<br />

Ma in realtà, come ricordammo nella<br />

prima puntata di questa nostra<br />

rievocazione, dodici anni fa, nell'Italia<br />

meridionale, i treni partivano forse in<br />

orario, ma per la strada perdevano di vista<br />

questo orario, e accumulavano ritardi<br />

assolutamente incredibili.<br />

Come risultò durante il procedimento<br />

giudiziario che seguì la tristissima vicenda,<br />

il tratto <strong>Balvano</strong>-Bella-Muro, benché la<br />

distanza fra le due stazioni fosse solo di<br />

sette chilometri, veniva compiuto talvolta,<br />

dai treni che lo percorrevano, anche in 120<br />

minuti.<br />

Questo è un dato di fatto che può<br />

spiegare l'apparente disinteresse dei<br />

funzionari delle due stazioni, un<br />

disinteresse che solo per un caso assunse,<br />

più tardi, l'aspetto di una trascuratezza<br />

colpevole.<br />

A <strong>Balvano</strong>, la notte fra il 2 e il 3 marzo<br />

1944, il capostazione titolare Vincenzo<br />

Maglio, dopo aver dato il segnale di<br />

partenza al merci <strong>8017</strong>, se ne andò a casa a<br />

dormire, nella massima tranquillità di<br />

S. Argenziano. <strong>Balvano</strong> 1943. 02-<strong>Il</strong> Disastro dell’<strong>8017</strong> 14


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spirito. Non v'era motivo perché fosse<br />

turbato; non ebbe nessuna premonizione.<br />

Si accertò che il capostazione Giuseppe<br />

Salonia sarebbe rimasto al suo posto, per<br />

assicurare il regolare svolgimento del<br />

servizio; salutò tutti, e se ne andò a casa.<br />

<strong>Il</strong> capostazione Salonia si sedette dietro<br />

la sua scrivania, e si mise ad attendere: da<br />

Battipaglia doveva giungere, alle 2,40, un<br />

altro treno diretto a Potenza; egli doveva<br />

aspettarne l'arrivo, e «istradarlo». L'8025<br />

giunse stranamente in orario.<br />

E fu allora che, dovendolo avviare,<br />

Giuseppe Salonia incominciò a pensare che<br />

bisognava sapere qualcosa circa l'eccessivo<br />

ritardo del merci <strong>8017</strong>; infatti, essendo la<br />

linea Battipaglia-Potenza servita in quasi<br />

tutto il suo percorso da un solo binario, non<br />

poteva far partire l'8025 se non quando<br />

avesse accertato che la linea era sgombra.<br />

Quasi contemporaneamente, anche il<br />

capostazione di Bella-Muro pensò le stesse<br />

cose: perché potesse entrare in stazione il<br />

treno 8025 occorreva che, prima di esso, il<br />

merci <strong>8017</strong> continuasse la sua corsa.<br />

Dopo aver atteso anche lui senza troppo<br />

preoccuparsi fino alle 2,50 (da dieci minuti<br />

l'8025 era giunto, intanto, a <strong>Balvano</strong>),<br />

telefonò al collega Giuseppe Salonia.<br />

S. Argenziano. <strong>Balvano</strong> 1943. 02-<strong>Il</strong> Disastro dell’<strong>8017</strong> 15


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FINALMENTE SI DECIDE<br />

DI ISPEZIONARE LA LINEA<br />

Attualmente i due funzionari non lo<br />

ricordano, perché i loro ricordi furono<br />

sommersi dalla terribile realtà alla quale si<br />

trovarono di fronte in seguito: ma forse, nel<br />

corso di quella telefonata, mentre gli<br />

occupanti dell'<strong>8017</strong> erano già freddi<br />

cadaveri, essi scherzarono sull'inefficienza<br />

del materiale rotabile allora in funzione,<br />

attribuendo il ritardo a qualche guasto. In<br />

ogni caso, poiché del merci non si erano<br />

avute notizie, si rendeva necessaria una<br />

ispezione della linea, per vedere se, dove e<br />

perché l'<strong>8017</strong> si era fermato; perciò<br />

Giuseppe Salonia disse al collega che<br />

avrebbe provveduto lui ad un sopraluogo;<br />

e, per effettuarlo, dette ordine ad Angelo<br />

Caponegro e a Vincenzo Biondi,<br />

rispettivamente manovale ed operaio di<br />

prima classe, di staccare dal treno 8025,<br />

giunto alle 0,40, la locomotiva, sulla quale<br />

sarebbe salito per una ricognizione.<br />

Poiché ancora non sapevano niente del<br />

disastro, i ferrovieri di <strong>Balvano</strong> apparvero<br />

più seccati che altro per il fatto che li<br />

costringeva ad un lavoro straordinario<br />

piuttosto noioso. Brontolando, essi<br />

staccarono la locomotiva del treno 8025, e<br />

si dettero alla ricerca di attrezzi e di<br />

lanterne. Sulla locomotiva salì il<br />

capostazione Salonia. Già la macchina<br />

stava per avviarsi, e Angelo Caponegro e<br />

Vincenzo Biondi si erano un po' scostati da<br />

essa, sul marciapiede della stazione,<br />

quando dall'ombra emerse, come una<br />

specie di fantasma lacero, Michele Palo, il<br />

frenatore della vettura di coda dell'<strong>8017</strong>, il<br />

quale partito dalla galleria delle Armi a<br />

piedi, verso l'una, aveva impiegato due ore<br />

per giungere a <strong>Balvano</strong>. La sua apparizione<br />

fece capire che qualcosa di drammatico era<br />

avvenuto; le sue parole: «Là, là, sono tutti<br />

morti!» lo confermarono.<br />

Giuseppe Salonia scese dalla<br />

locomotiva. Con una freddezza della quale<br />

lui stesso si stupì in seguito, prese in mano<br />

la situazione; ordinò ad un guardasala di<br />

svegliare il capostazione titolare Maglio, e<br />

di recarsi subito dopo in paese (<strong>Balvano</strong><br />

dista tre chilometri dalla stazione) per<br />

avvertire i carabinieri, il pretore ed il<br />

sindaco ingegner Alessandro di Stasio, che<br />

adesso vive a Potenza. Poi risalì sulla<br />

locomotiva, mentre Angelo Caponegro e<br />

Vincenzo Biondi si prodigavano per<br />

soccorrere Michele Palo; e si avviò verso il<br />

posto (che ancora non si sapeva quale<br />

fosse) dove avrebbe dovuto trovare i morti<br />

di cui il frenatore aveva parlato.<br />

L'<strong>8017</strong> stava fermo lì, all'imbocco della<br />

galleria delle Armi, in un innaturale<br />

silenzio. Dei suoi 47 vagoni, solo l'ultimo<br />

era fermo a metà fuori dalla galleria; di<br />

essi, 41 erano vuoti, perché chiusi con un<br />

catenaccio applicato alle serrande<br />

scorrevoli; gli altri sei erano quelli in cui si<br />

erano ammucchiati circa seicento<br />

passeggeri in un certo senso clandestini,<br />

più un ufficiale e sette soldati autorizzati a<br />

viaggiare sul merci.<br />

Come scrivemmo in un'altra puntata,<br />

quasi tutti i viaggiatori erano piccoli<br />

borsaneristi che si recavano in Lucania per<br />

rifornirsi di generi alimentari che poi<br />

vendevano a Napoli. Ma c'era anche chi<br />

non aveva niente a che fare con l'ambiguo<br />

mondo dei piccoli trafficanti, tipico di quel<br />

periodo. Molte persone le quali, per la loro<br />

attività, dovevano forzatamente spostarsi<br />

fra Potenza e i centri della Campania si<br />

vedevano costrette a servirsi anch'esse di<br />

qualsiasi mezzo pur di non trascurare i<br />

propri interessi. Si trattava di<br />

commercianti, di studenti, di professori, di<br />

medici; tutta gente munita magari di<br />

regolare biglietto, o anche di un<br />

abbonamento settimanale, come ad<br />

esempio il professor Vincenzo Iura,<br />

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dell'università di Bari. <strong>Il</strong> professor Iura si<br />

trovava in un carro di cui divideva le<br />

scomodità con novanta studenti della sua<br />

facoltà, costretti, per recarsi a Bari dal<br />

centro della Campania dove risiedevano, a<br />

raggiungere la città presso la cui università<br />

erano iscritti per la via di Potenza.<br />

<strong>Il</strong> professor Vincenzo Iura, un noto<br />

chirurgo, era con loro perché non aveva<br />

voluto, durante quei difficili anni, benché<br />

vivesse nella capitale della Puglia,<br />

abbandonare il suo lavoro di consulente<br />

dell'ospedale San Carlo di Potenza e<br />

dell'ospedale Sant'Anna di Eboli. Alle<br />

spalle di Vincenzo Iura era tutta una<br />

carriera in cui l'attività scientifica si era<br />

sposata ad un profondo senso di umanità.<br />

Ad Eboli, dove ci siamo recati per<br />

raccogliere qualche testimonianza, tutti lo<br />

ricordano ancora con commozione. Le<br />

suore dell'ospedale, i dottori Imperato,<br />

Cassese e Paesano ricordano che il più<br />

delle volte operava gratuitamente. Dopo<br />

quel 3 marzo del 1944 l'università di Bari,<br />

dov'era ordinario di patologia chirurgica e<br />

di propedeutica clinica, promise ai suoi<br />

familiari che egli sarebbe stato ricordato<br />

con una lapide di marmo, lapide che sia<br />

detto per inciso non fu eseguita.<br />

Quando il capostazione Giuseppe<br />

Salonia giunse, con la locomotiva<br />

dell'8025, sul viadotto che precede di poche<br />

centinaia di metri l'imbocco della galleria<br />

delle Armi, erano le quattro circa del 3<br />

marzo 1944. <strong>Una</strong> luce livida, quella<br />

dell'alba grigiastra, incominciava a<br />

rischiarare il paesaggio lunare, denso di<br />

rocce e di cespugli che ancora l'ultima neve<br />

screziava di bianco. L'ultimo vagone del<br />

merci <strong>8017</strong> si intravedeva a stento. In punta<br />

di piedi, religiosamente, Giuseppe Salonia,<br />

il macchinista ed il fuochista della<br />

macchina che li aveva portati sul luogo<br />

della sciagura si avvicinarono al treno.<br />

S. Argenziano. <strong>Balvano</strong> 1943. 02-<strong>Il</strong> Disastro dell’<strong>8017</strong> 17


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IL TRENO RITORNA<br />

A BALVANO CON I MORTI<br />

A tre ore di distanza dal momento in cui<br />

si era compiuto il tragico destino dei<br />

viaggiatori dell'<strong>8017</strong>, nessuna traccia<br />

rimaneva dell'accaduto. <strong>Il</strong> fumo saturo di<br />

veleno che aveva ucciso 521 viaggiatori si<br />

era ormai diradato. Giuseppe Salonia<br />

ripeteva tra sé, in una specie di monotona<br />

cantilena: «Ma è impossibile, ma è<br />

impossibile». Come tre automi, lui, il<br />

macchinista ed il fuochista sbloccarono i<br />

freni del merci, lo agganciarono in coda<br />

con la loro locomotiva, lo rimorchiarono<br />

alla stazione di <strong>Balvano</strong>. Qui trovarono ad<br />

attenderli il titolare Maglio, il pretore, il<br />

sindaco ed i carabinieri. Qualcuno salì sui<br />

carri gremiti di «abusivi»; nei primi cinque<br />

giacevano morti compostamente, come se<br />

ancora dormissero, tutti i loro occupanti;<br />

nell'ultimo, il silenzio non era così<br />

completo ed agghiacciante: i viaggiatori<br />

stipati in esso erano rimasti fra la vita e la<br />

morte; qualcuno aveva ceduto; i più,<br />

invece, erano rimasti semiasfissiati, per la<br />

benefica azione esercitata dall'aria pura che<br />

si respirava all'ingresso della galleria delle<br />

Armi. I morti vennero scaricati sui<br />

marciapiedi della stazione di <strong>Balvano</strong>; i<br />

vivi furono ammucchiati nella piccola sala<br />

d'aspetto e nelle stanze degli uffici. Si tentò<br />

in ogni modo di rianimare questi ultimi, ma<br />

lo stato di stupefatto torpore nel quale si<br />

trovavano non sparì che qualche ora più<br />

tardi, quando grossi autocarri giunti da<br />

Potenza li trasportarono nell'ospedale civile<br />

di quella città. Coloro che sopravvissero al<br />

disastro non riuscirono, negli anni seguenti,<br />

a ricostruirlo nella loro memoria. Prima di<br />

cadere in quella specie di torpore quasi<br />

mortale, Luigi Cozzolino, un piccolo<br />

trafficante di Resina, dovette accorgersi che<br />

un suo figlioletto di otto anni, che<br />

viaggiava con lui, era morto, perché lo<br />

ritrovarono abbracciato al corpo esanime<br />

del bambino. Forse, come tutti gli altri,<br />

Luigi Cozzolino dormiva. Si svegliò<br />

quando si sentì aggredire alla gola da un<br />

sapore aspro; e vide che già suo figlio era<br />

morto. In quell'attimo terribile, il suo<br />

cervello si svuotò di ogni pensiero<br />

ragionevole, e divenne preda di una<br />

benigna follia. Lo rinvennero abbracciato al<br />

bimbo, dimentico di tutto. Tornò a casa, a<br />

Resina, e qui lo abbiamo rintracciato e<br />

fotografato. È rimasto, di lui, un uomo<br />

incapace di fare un discorso coerente; nei<br />

suoi occhi è una pena inenarrabile, della<br />

quale per fortuna lui stesso non si rende<br />

conto.<br />

S. Argenziano. <strong>Balvano</strong> 1943. 02-<strong>Il</strong> Disastro dell’<strong>8017</strong> 18


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UNO CHE DEVE LA VITA<br />

A UNA SCIARPA DI LANA<br />

Abbiamo scritto, nella scorsa puntata,<br />

che non eravamo riusciti a rintracciare<br />

nessuno dei superstiti del disastro<br />

ferroviario più impressionante del mondo;<br />

dobbiamo modificare questa affermazione.<br />

Infatti, abbiamo potuto vedere Luigi<br />

Cozzolino; e dopo una lunga e difficile<br />

indagine siamo anche entrati in contatto<br />

con Domenico Miele, di Roccarainola.<br />

Guardatene la fotografia, quella che lo<br />

riproduce mentre, seduto al bordo del suo<br />

campiello con quattro suoi conoscenti,<br />

racconta quello che avvenne. Vedrete<br />

l'immagine di un uomo anziano, dai capelli<br />

bianchi, con una sciarpa alla gola e una<br />

sigaretta fra le dita della mano sinistra. È<br />

senz'altro, all'apparenza, il più vecchio dei<br />

cinque individui ritratti. Invece, ha la stessa<br />

età del giovane coi baffi che si trova alla<br />

sua destra. I capelli bianchi di Domenico<br />

Miele sono un ricordo del merci <strong>8017</strong>. Egli<br />

si recava sistematicamente, nel 1944, a<br />

Potenza, dove comperava olio, che<br />

rivendeva nei dintorni di Napoli. Avrebbe<br />

dovuto morire, perché prese posto nel<br />

quinto carro del merci <strong>8017</strong>. Per un puro<br />

caso, era però ben sveglio, quando il<br />

monossido di carbonio si sparse all'interno<br />

della galleria delle Armi. A <strong>Balvano</strong> scese<br />

un momento dal vagone ed ebbe salva la<br />

vita. La sciarpa che si è messa al collo<br />

prima di essere fotografato, gli fu anche<br />

d'aiuto. Appena il monossido di carbonio lo<br />

aggredì, Domenico Miele si fasciò la bocca<br />

con la sciarpa. Barcollando, col fiato<br />

mozzo, scese dal suo vagone, e si diresse<br />

verso l'uscita della galleria delle Armi.<br />

Quando giunse all'ultimo carro, le forze gli<br />

vennero meno. Sentì dei lamenti, e invece<br />

di compiere altri pochi metri, e mettersi<br />

definitivamente in salvo allo scoperto, salì<br />

su quel carro, e cadde svenuto sui corpi<br />

abbandonati di chi l'occupava. Quando si<br />

riebbe, dopo qualche ora, gli capitò di<br />

trovarsi, per ravviarsi nervosamente i<br />

capelli, davanti ad uno specchio. Guardò<br />

esterrefatto la sua immagine riflessa. I suoi<br />

capelli erano diventati tutti bianchi come la<br />

neve.<br />

Anche lui venne deposto sui marciapiedi<br />

della stazione di <strong>Balvano</strong> con gli altri<br />

occupanti dell'<strong>8017</strong>. Mentre alcuni<br />

autocarri si dirigevano velocemente verso<br />

quella stazione, da Potenza, ferrovieri e<br />

carabinieri effettuavano il macabro lavoro<br />

di separare i morti dai vivi, e di identificare<br />

tutti i colpiti. Nell'orgasmo con cui questa<br />

operazione vene compiuta, non fu fatto<br />

nemmeno un esatto calcolo numerico dei<br />

viaggiatori dell'<strong>8017</strong>. Possiamo però<br />

affermare, in contrasto con quanto sostiene<br />

qualcuno, che i morti furono 521, dei quali<br />

193 non identificati.<br />

Era pieno mattino quando giunsero gli<br />

autocarri da Potenza. Dopo le constatazioni<br />

di rito, il pretore dispose per il<br />

seppellimento dei morti. <strong>Il</strong> cimitero di<br />

<strong>Balvano</strong> è piccolo; venne perciò scavata<br />

una grande fossa comune, e qui furono<br />

ammucchiati i cadaveri, sui quali fu gettato<br />

uno strato di calce. Più tardi, per<br />

l'intervento di qualche parente alcune salme<br />

furono sistemate in una tomba a parte. Gli<br />

scampati vennero avviati all'ospedale di<br />

Potenza: ne furono dimessi dopo pochi<br />

giorni.<br />

Trascorse qualche anno. A un certo<br />

momento, ci fu chi pensò di citar per i<br />

danni le Ferrovie dello Stato. Un certo<br />

numero di vedove, di orfani, di genitori<br />

privati dei figli si rivolsero ad alcuni<br />

avvocati napoletani; ed ebbe così inizio una<br />

lunga vertenza giudiziaria, che non giunse<br />

alla sua conclusione. Nel corso di essa, le<br />

Ferrovie dello Stato sostennero che, dato<br />

l'allora vigente regime di occupazione<br />

militare da parte del governo alleato, e dato<br />

il fatto che agli occupanti dell'<strong>8017</strong> non<br />

S. Argenziano. <strong>Balvano</strong> 1943. 02-<strong>Il</strong> Disastro dell’<strong>8017</strong> 19


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poteva essere riconosciuta la qualifica di<br />

viaggiatori regolari, nessuna responsabilità<br />

poteva essere addebitata alla<br />

amministrazione.<br />

<strong>Il</strong> governo alleato aveva condotto intanto<br />

un'inchiesta sull'accaduto, concludendola<br />

con l'esclusione di ogni responsabilità da<br />

parte del personale delle Ferrovie. I giudici<br />

italiani, però, non espressero recisamente lo<br />

stesso pensiero. Se era vero che i<br />

viaggiatori dell'<strong>8017</strong> erano tutti «abusivi»,<br />

come la cosa poteva conciliarsi con<br />

l'esibizione, da parte degli avvocati, di<br />

alcuni biglietti rilasciati dal personale di<br />

scorta al treno? D'altra parte, si affermò nel<br />

corso della vertenza, non è vero che un<br />

viaggiatore non possa assolutamente<br />

prendere posto su un merci. Se la cosa<br />

accade, egli deve pagare il biglietto ed una<br />

penale, e scendere alla prima stazione. Però<br />

può risalire sullo stesso merci, pagare<br />

ancora un biglietto ed una penale, scendere<br />

alla stazione seguente; e poi ancora risalire<br />

e pagare biglietto e penale e così via fino<br />

alla fine del viaggio. Non si può dire, però,<br />

che la cosa si sia verificata sul «treno della<br />

morte» di <strong>Balvano</strong>. Così come non si poté<br />

provare che l'esercizio della linea Napoli-<br />

Potenza era stato affidato alle Ferrovie<br />

italiane il 15 febbraio del 1944. <strong>Una</strong><br />

circolare in tal senso venne diramata<br />

effettivamente dal compartimento di<br />

Napoli. Ma forse essa non era ancora<br />

entrata in fase di esecuzione al tempo della<br />

sciagura.<br />

MOLTE OMBRE CHE NON<br />

SONO STATE DIRADATE<br />

In sostanza, sul piano giudiziario il<br />

disastro ferroviario di <strong>Balvano</strong> rimase<br />

avvolto da alcune ombre, che non si son<br />

potute diradare; perché, a un certo<br />

momento, nella questione intervenne, con<br />

un senso di umanità raro nella burocrazia, il<br />

ministero del Tesoro, che propose di<br />

risarcire le famiglie dei morti in base alla<br />

legge sui danni di guerra. <strong>Il</strong> procedimento<br />

giudiziario venne così sospeso. Ma la<br />

burocrazia riscattò la sua precedente<br />

benemerenza con il ritardo nelle<br />

liquidazioni. Esse, infatti, non sono ancora<br />

state versate a coloro i quali debbono<br />

godere di questo beneficio, che è un fatto<br />

materiale, non sufficiente in ogni caso a<br />

compensare quel terribile fatto che è la<br />

morte.<br />

Intanto, il ministero dei Trasporti ha<br />

ordinato, per la modernizzazione della linea<br />

Battipaglia-Taranto, la costruzione di<br />

venticinque locomotive Diesel di tipo<br />

americano. Quando esse entreranno in<br />

esercizio, disastri come quello che abbiamo<br />

rievocato non ne potranno più accadere. È<br />

da sperare che la loro immissione sulla<br />

linea non preceda la liquidazione dei danni<br />

alle famiglie delle vittime. Se così sarà, in<br />

un certo senso potremo dire che la tragedia<br />

di <strong>Balvano</strong> sarà finalmente un fatto<br />

definitivamente compiuto.<br />

Giulio Frisoli<br />

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Finirono di vivere tutti alla stessa ora e nello stesso buio<br />

L'<strong>8017</strong> fu rimorchiato fino a <strong>Balvano</strong> da una locomotiva di soccorso. I cadaveri furono<br />

deposti sulla banchina della stazione e accanto ai binari.<br />

Con gli autocarri arrivati da Potenza, le salme furono trasportate al cimitero di <strong>Balvano</strong>, che<br />

dista tre chilometri dalla stazione, e subito sepolte.<br />

I 521 morti dell'<strong>8017</strong> furono sepolti in una fossa comune, che fu ricoperta di calce viva.<br />

Soltanto più tardi, per desiderio dei parenti, alcune salme furono riesumate e sepolte più<br />

decorosam<br />

S. Argenziano. <strong>Balvano</strong> 1943. 02-<strong>Il</strong> Disastro dell’<strong>8017</strong> 21

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